GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO – CHIESA, FEDELI, MONDO (I)

GREGORIO XVII

IL MAGISTERO IMPEDITO:

CHIESA – FEDELI – MONDO

-I-

Ortodossia -III-

[Lettera pastorale del 5 agosto 1962; «Riv. Dioc. Genovese», 1962, pp. 208-248].

 

Fedeli all’impegno preso e al sacro dovere di tutelare in tempi di diffusa follia la purezza della vostra fede e la rettitudine del vostro sentire, eccoci a indirizzarvi, cari confratelli, una terza lettera sulla ortodossia. Essa ha un tema assai unitario, perché verte su stati d’animo, equivoci, errori e problemi dai quali potrebbe venire ed è già venuto gran danno alla Chiesa. Non dimentichiamo mai che la Chiesa, pur fatta di uomini, è nostra madre e che noi dobbiamo essere in piena comunione con essa, se vogliamo essere in piena comunione con Cristo. Prima di venire a trattare i singoli e gravi argomenti sui quali ci pare doveroso attirare la vostra attenzione, stimiamo necessario svolgere alcuni concetti generali.

Rapporto Chiesa — mondo

I rapporti tra la Chiesa e i fedeli sono stati determinati dallo stesso divin Fondatore in modo chiaro e definitivo. La Chiesa è gerarchica e questo significa che la obbedienza a Dio esiste solo se c’è la obbedienza alla Chiesa nei limiti fissati da Gesù Cristo. Questo rapporto non può legittimamente cambiare: ogni sua sostanziale alterazione significa scisma od eresia o tutti e due. Il discorso dei rapporti tra la Chiesa e il «mondo» non è così semplice. Apparirà più avanti la ragione per cui il rapporto è assai più complesso. Cominciamo a chiarire il significato nel quale si prende la parola «mondo». Data la possibilità, per essa, nello stesso linguaggio religioso od ecclesiastico, di più significati, si impone una determinazione netta del senso in cui viene assunta. Noi prendiamo qui il termine «mondo» nel senso di «comunità umana». Non usiamo intenzionalmente il senso di «comunità civile», perché restringerebbe il significato «universale» nel quale dobbiamo prendere il termine «mondo». Infatti esistono ancora comunità che non possono dirsi civili o pienamente civili e queste andrebbero fuori del nostro discorso. Il che non deve accadere: la comunità che non fosse ancora civile o molto civile avrebbe tutti i suoi diritti, per il fatto che è umana. Infatti non ci sarebbero diritti sul nostro pianeta, se non ci fossero uomini. Ma dove ci sono uomini, siano essi incolti o colti, educati o meno, ci sono anche diritti. – Coi termini «mondo» o «comunità umana» si definiscono «gli uomini in vita associata». Tale vita associata ha o dovrebbe avere per fine il bene comune terreno; poggia su di una organizzazione, consta di rapporti quali sono possibili e convenienti tra esseri dotati di intelligenza e libertà. Conseguentemente a tale duplice capacità, si perfeziona quanto può e gradualmente col diritto, con l’autorità e con la legge. La «comunità umana» è una società perfetta, la quale può articolarsi in elementi distinti – ancora «società perfette» – che sono i singoli Stati (per usare il linguaggio moderno). È per questo che il termine «comunità umana» può essere adeguatamente, ma propriamente usato per i singoli Stati o addirittura e semplicemente per lo « Stato ». Così nel nostro argomento il termine «mondo» può significare tanto la comunità degli uomini come la comunità degli Stati, come semplicemente lo «Stato». Dipenderà dal contesto decidere delle sfumature di riferimento. Precisato tutto questo, cerchiamo ora di richiamare il rapporto che Gesù Cristo ha messo tra la sua Chiesa e il mondo. Ecco gli elementi che determinano il rapporto:

a) Gesù ha voluto che la sua Chiesa fosse una vera e propria società universale, visibile. In tal modo essa non resta soltanto in fondo alle coscienze, ma si configura «nel» mondo;

b) Gesù ha voluto che la sua Chiesa avesse un «diritto» ed ha voluto che sorgente di tale «diritto» fosse solamente Lui, non pertanto gli uomini o la comunità della loro vita associata;

c) Gesù ha voluto che lo scopo della sua Chiesa, società visibile, fosse al di sopra ed oltre la «comunità umana», fosse cioè soprannaturale ed eterno e risolvesse al livello di «grazia» il problema fondamentale e totale dell’uomo. – Per la prima determinazione fatta da Gesù esiste dunque in questo mondo un’altra associazione, un’altra organizzazione, un’altra autorità, di natura tuttavia diversa, e la stessa «comunità umana» viene a far parte di una «comunità maggiore» che è la “communio sanctorum”, e in più si dilata al di là dei limiti del tempo. Per la seconda determinazione, viene concretamente chiarito come la unica sorgente di qualunque vero diritto non possa essere altri che Dio (e ciò serve a rassicurare gli uomini); viene precisato come il diritto umano abbia dei limiti (il che costituisce rimedio contro tutte le tirannie); sicché, l’esistenza di un indipendente diritto nella Chiesa, relativamente al suo campo specifico, funziona come garanzia, confronto e risorsa per la stessa libertà degli uomini. – Per la terza determinazione è posto il principio della autonomia nel rispettivo campo: infatti la «comunità umana» è volta al bene complessivo terreno, la società ecclesiastica è volta al bene definitivo soprannaturale ed eterno. Rimane un margine, a proposito di questa reciproca autonomia, che potrebbe teoricamente creare qualche difficoltà, ciò che rende necessarie alcune considerazioni ulteriori. Infatti ad un certo punto è logico che le ragioni superiori ed eterne prevalgano. Il fine della società ecclesiastica è più largo, più definitivo e più alto di quello della comunità umana. Le conseguenze sono chiare. La «comunità umana», anche prescindendo dalla rivelazione divina e da quanto Cristo ha stabilito, ha una radicale incompletezza della quale bisogna tener conto. Si tratta di questo: essa accompagna i suoi membri fino alla morte. Dopo, non può più nulla. Tuttavia nel non potere «più nulla» ha una precisa indicazione del suo dovere. Essa ed i suoi membri hanno nel pellegrinaggio terreno sufficienti ragioni (storicamente è chiaro) per sapere di una immortalità dell’anima, ossia di una sopravvivenza, ben maggiore del limitato tratto di tempo in cui si svolge la vita terrena. Dalla percezione di questi motivi sufficienti nasce ed è nato di fatto il più grave problema della vita di ogni uomo: provvedere nel modo più sicuro, durante il limitato presente, all’interminabile «poi». La soluzione di questo problema condiziona e condizionerà sempre la esistenza, la quantità e il modo di quel bene comune terreno al quale è volta la comunità umana. Infatti nessuno vivrà con serenità se non potrà pensare che ha provveduto al «dopo», tuttavia così oscuro e misterioso. Di fronte a questo «dopo» che campeggia su ogni evento, in ogni coscienza e su ogni ideale veramente civile, la comunità umana, che pur può avere una religione e con essa può protendersi verso l’ai di là, rimane monca ed incompleta. La radicale incompletezza impone un preciso atteggiamento (fondato nella inevitabile serietà del maggiore problema) verso la rivelazione divina. – La «comunità umana» non può fare nulla che impedisca ai suoi membri di provvedere alla eternità; non può rendere difficile nessuna via tendente alla risoluzione del grande problema; deve contrarre se stessa su quei margini oltre i quali potrebbe diventare ostacolo e distrazione od ingombrante impegno, rispetto al diritto dei suoi membri di provvedere al “dopo”. Ne nasce obiettivamente una situazione, anche giuridica, della quale tutti possono vedere il peso nella determinazione del rapporto tra la Chiesa e il mondo. – Tuttavia intendiamoci bene: se parliamo di radicale incompletezza della «comunità umana», non affermiamo questo riferendoci alla sua capacità giuridica di provvedere al proprio fine particolare (benessere terreno complessivo); lo affermiamo invece rispetto ad un problema sempre affiorante per i singoli e per la collettività e che sconfina dalle cose terrene. Vogliano o non vogliano gli uomini, il problema della eternità se lo trovano davanti sempre; le loro esperienze del tempo sono tutte fugaci e generalmente amareggiate dalla presenza di quel problema. Il quale non è affatto risolto con la furbizia laicista di non pensarci o di considerarlo come non esistente per la comunità. Esso è invece l’ombra di tutto. La comunità umana ha le sue successive «simpatie» che, come accade di tutte le simpatie, almeno in un certo senso la limitano. La simpatia del momento è la tecnica, figlia di una scienza del mondo materiale che rende più comoda la esistenza, più facile ed imperioso l’esercizio del potere, più maneggevole la pubblica opinione. E piuttosto ovvio che la nostra età, nelle favorevoli condizioni di conquista del cosmo, si senta attratta a vivere soprattutto di tecnica. Ma questa tecnica riguarda il mondo materiale, mentre nell’uomo rimane dirimente il mondo spirituale. Qui sta la questione ed il facile errore. Qui è la ragione per cui anche certi cristiani per bene finiscono, senza volerlo, col trovarsi sul piano dei materialisti (marxisti o no). La stessa scuola ha cominciato a scivolare sulla china della preferenza tecnica a danno della fondamentale istruzione ed educazione umanistica. Il punto è questo: ad un popolo incivile si può insegnare a costruirsi delle automobili nel giro di dieci anni; ma per insegnargli a «sentire» in modo elevato, ad avere una cultura, a saperla produrre e volgarizzare, sì da colorarne le proprie istituzioni e i propri costumi, possono occorrere secoli. Noi siamo esattamente a questo punto: la comunità umana potrà tecnicizzare in breve delle aree rimaste fino ad oggi smorte o inattive; ma non potrà nello stesso tempo civilizzarle intimamente. Anzi, con la sola tecnica acuirà il problema del contrasto che sorge naturalmente tra il molto progresso esteriore ed il poco o nullo progresso interiore. – È affiorata una delle tante debolezze che toccano la comunità umana e che ne possono turbare lo sviluppo e la pace. Perché abbiamo cominciato a recensirle? Perché esse servono a porre in termini «di fatto» e non soltanto in termini di diritto i rapporti tra la Chiesa e la comunità umana. – Riprendiamo ora il nostro cammino. In taluni punti la Chiesa si incontra con la comunità umana. Ne abbiamo detto il perché. Come si risolvono i problemi emergenti? In linea di dottrina la superiorità e maggiore comprensività del fine della Chiesa (eterno e soprannaturale) rispetto a quello della comunità umana (terreno e limitato), oltre a stabilire una gerarchia di valori, stabilisce pure per le materie miste e per l’aspetto morale di tutte le materie quale considerazione debba avere la società umana per la Chiesa. E lo stabilisce nettamente, inequivocabilmente, se si accetta la divina rivelazione. Accade di fatto che taluni Stati, per la loro storia, per la religione o non religione professata da parte della popolazione, per le ragioni politiche della parte dominante, non abbiano alcuna intenzione di riconoscere la rivelazione divina, dalla quale trae essenza e valore giuridico la Chiesa. Pertanto non hanno alcuna intenzione di inchinarsi a ragioni superiori, che essi non riconoscono. È difficile in cali casi iniziare un dialogo in sede di diritto, a meno che non ci si appelli alla esistenza di fatto di una popolazione cattolica, di una maggioranza o minoranza cattolica, la quale, in democrazia soprattutto, trasforma un fatto in un diritto efficace e considerevole. – Per taluni non avrà purtroppo peso che Gesù Cristo sia Dio, ma avrà peso che un certo numero di cittadini lo riconosca Dio. Tuttavia, se si tengono le considerazioni che sono state premesse, si comprende come, anche là ove è difficile un discorso in linea di diritto per la considerazione supereminente dovuta alla Chiesa, diventa più facile un discorso in linea «di fatto». Nessuna organizzazione al mondo ha incidenza sulle anime, sul loro orientamento morale, sulla loro educazione, sul loro equilibrio in pericolo di essere rotto dalla straripante crescita tecnica, come la Chiesa. Nessuna organizzazione religiosa ha in mano una dottrina sociale, che sia radicata nei suoi stessi supremi principi (e pertanto non occasionale o raccogliticcia) e che difenda l’uomo salvando l’equilibrio tra singolo e società, come la Chiesa. Effettivamente la situazione moderna permette di vedere che cosa valga l’individualismo protestantico (connesso con le sorgenti del medesimo protestantesimo). Non parliamo del rimanente. – La conclusione è questa: quando si parla di rapporti tra Chiesa e mondo, bisogna sempre badare ai principi dottrinali indefettibili stabiliti da Cristo, anzitutto. Ma bisogna anche, per una ragione pratica di accessibilità a chi quei principi non riconosce sufficientemente, badare ad una permanente ragione «di fatto».

Rapporto Chiesa – storia

Non si tratta di un pleonasmo. È vero che la storia appartiene alla comunità umana, almeno nel suo nucleo sostanziale, ma appartiene al «passato». Quando noi parliamo di comunità umana, parliamo di quella del «presente». Ecco perché è giustificato il trattare a parte il rapporto tra Chiesa e storia. Anche alla comunità umana accade quello che accade ai singoli uomini: quando una azione l’hanno compiuta, sfugge loro di mano, non è più oggetto della loro libertà. Entra nel corso degli avvenimenti e nessuno l’afferra più, arrivando anche ad impensabili effetti. La storia, nella quale la comunità ha giocato, tra le cose visibili, il ruolo di protagonista, le sfugge di mano ogni momento. – Il rapporto della Chiesa alla storia va recensito sotto diversi profili, tutti interessanti lo scopo del nostro scritto.

a) La Chiesa entra nella storia e passa per la storia con una invulnerabilità. La Chiesa è stata costituita da Cristo indefettibile: ciò significa che durerà, nella sua sostanza, identica a se stessa fino alla fine. Gli avvenimenti, in quella sostanza, non la potranno mai superare; dovranno aprirle un varco e se, nella singolare tenzone, qualcuno deve cedere e finire, questo non sarà la Chiesa. Con la Chiesa è dunque entrato un condizionamento nella storia. Abbiamo parlato di una invulnerabilità, non della invulnerabilità. Infatti sul margine degli uomini, delle fortune passeggere, delle vicende caduche, dei maggiori o minori frutti – salva la sostanza della sua costituzione, della sua vita e del tesoro che porta con sé – la Chiesa può patire tutte le vicissitudini ed incontrare tutte le persecuzioni. La invulnerabilità della Chiesa è dovuta ad un divino intervento e questo può deviare il corso di molti fatti.

b) La Chiesa entra nella storia e passa per la storia con in mano il più grande destino della storia stessa. Infatti è il regno di Dio che, posta la elevazione soprannaturale e la preminenza della incarnazione del Verbo su tutti gli avvenimenti, raccoglie le fila di tutto verso il momento escatologico. Quello che gioca in un tale confluire sorge da profondità, dunque, per noi abissali ed eterne.

c) La invulnerabilità sostanziale e l’essere la Chiesa portatrice di un destino supremo stabilisce i termini di confronto tra la stessa Chiesa e tutti gli altri avvenimenti, mai invulnerabili e mai, da soli e come tali, portatori di un destino eterno.

Tutto questo è la semplice esposizione di quanto ha stabilito Gesù Cristo e di quanto appare chiaramente dal complesso della rivelazione divina. Ciò non altera affatto i limiti delle umane competenze e la autonomia di quello che nella comunità umana ha il diritto di svolgersi entro la sua onesta libertà. Però stabilisce un modo di considerare la Chiesa, un rispetto per quello che in essa conta, un sommo apprezzamento della Provvidenza che in essa agisce, una indicazione circa le vie della saggezza anche negli affari meramente umani, una coscienza della sicurezza e della risorsa che essa, la Chiesa, rappresenta per tutto. In essa infatti l’elemento umano, libero e vario, mai sopprime o coarta nella sostanza l’elemento divino. Sicché la efficacia non manca mai, anche in mezzo a quei difetti che non dovrebbero meravigliare nessuno, se si tratta di uomini. – Questo solco aperto da Dio nella terra, e che nessuno potrà mai definitivamente interrompere o ingorgare, deve rendere pensosi tutti circa la singolare componente che entra così nei fatti umani e che può sommergere i corti disegni degli effimeri cicli.

La Chiesa è organismo vivo

Riteniamo di somma importanza che si abbia ben chiara la dottrina in proposito e che la si abbia rilevata su ogni altra considerazione relativa alla Chiesa, perché questa verità porta gravi conseguenze ed ha la possibilità di valorizzare modi di pensare fatui e fluttuanti. Ricapitolando semplicemente quello che risulta «certo» nella dottrina cattolica a proposito della Chiesa, ci chiediamo: quali sono gli elementi che, per volontà di Cristo, la rendono un organismo «vivo»? Non dimentichiamo che la «vita» è un movimento “ab intrinseco” e che non può essere affatto confusa con qualsivoglia movimento od automazione o motorizzazione o azione artificiale dal di fuori. – Ecco gli elementi che fanno la Chiesa «organismo vivo».

– La Chiesa è il corpo mistico di Cristo, per usare la figura assunta dallo stesso divin Salvatore (cfr. Gv. 15,1 sgg.), la vite della quale Egli è il tronco, gli altri i tralci e nella quale la linfa viene dalla vite ai tralci. La affermazione è chiara e netta. La profondità del suo contenuto attinge il mistero e l’ordine divino. La esposizione di questa verità richiede un discorso lungo, che non incombe in questo momento a noi. Qui basta ricordare che si tratta di una vita concreta, non astratta; precisa e non vaga; che, soprattutto, essa rende continuamente operante negli uomini e nei fatti, al di là di entrambi, un elemento superiore all’ordine umano, capace per noi di tutte le sorprese in tutti i rischi e in tutte le umane disfatte, capace anche più di frutti non computabili al solito metro degli ordinari avvenimenti. Si tratta del “mysterium Ecclesiæ”. Volerlo far svanire, in modo da rallentare — nel largo — tutte le briglie contro la umiltà, la obbedienza ed il sacrificio, è azione falsa e nefasta; volerlo precisare troppo con i nostri corti mezzi, e pertanto opporgli dei limiti e delle conformazioni piacevoli alla moda, è azione illegittima ed empia. Volerlo confinare in una regione in cui si fa a meno degli strumenti di cui ha bisogno la Chiesa «visibile», per chissà quali scopi, è deformare tutta l’opera di Gesù Cristo. Questo mysterium Ecclesiæ ha una conseguenza molto evidente: allorché si ragiona della Chiesa, se manca il riferimento ad una costante componente soprannaturale, il ragionamento stesso resta sempre inadeguato e facilmente erroneo.

– La Chiesa ha una efficacia (santificazione e salvezza eterna degli uomini), la quale, soprannaturale e divina, (grazia santificante, grazia attuale e doni dello Spirito Santo) è pure legata ad atti liberi di uomini. Ogni sacramento almeno in chi lo conferisce (p.e. nel caso del Battesimo) richiede una intenzione, che è quanto dire un atto libero. La efficacia dunque vitale della Chiesa passa anche attraverso atti vitali e liberi degli uomini.

– La efficacia della Chiesa non si ha solamente attraverso gli atti sacramentali, legati almeno in un certo limite al Sacramento dell’ordine, ma anche attraverso una azione di regime e di Magistero, la quale si attua con atti liberi di uomini. Che questo regime e questo Magistero sia assistito in modo da non essere mai essenzialmente lesivo della indefettibilità ed infallibilità della Chiesa è cosa che riguarda Iddio, ma non diminuisce mai né la libertà, né la vitalità degli atti umani. Se mai servirà a ricordare che dietro ogni facciata, bella o brutta che possa parere, ad un certo punto si troveranno sempre una ragione ed una garanzia divine, più grandi degli uomini che agiscono sulla scena della vita.

– La Chiesa deve trasmettere un messaggio a tutte le genti: quello evangelico. Qui abbiamo uno degli aspetti più tipici del suo carattere vivente. Attenti: questo messaggio non è fatto di quattro formule da ricantare materialmente fino alla fine dei tempi, come farebbe una radio perennemente accesa. No. Esso è fatto di verità eterne, assorbe verità naturali, cela ricchezze che possono essere via via dipanate, senza tradire o contraddire il messaggio stesso, e che hanno aspetti, nella loro sostanziale immutabilità, adatti alle congiunture di tutti i tempi che furono e che saranno. Il messaggio stesso, chiuso con l’ultimo Apostolo, senza mutare od arricchirsi di qualcosa che non contenga già almeno virtualmente, appare cosa vivente.

– Anche il modo con cui il messaggio è custodito e trasmesso alle genti appare con lo stesso saliente e singolare carattere. Esso ha una parte scritta, ma ha una tradizione orale, il cui mantenimento è assicurato tanto dalla esistenza della infallibilità che dalla garanzia di indefettibilità. Infatti il Magistero, non di pura e fredda ripetizione, ma di insegnamento (che è cosa ben più ricca) è nella Chiesa, così garantito eppur affidato ad uomini. In tal modo i chiamati alla redenzione, camminando per la Storia, portano sulle stesse mani loro il divino deposito e, attraverso la loro stessa azione, lo Trasmettono.

– Tutto è redatto alla unità vera e funzionale perché Cristo ha costituito un capo, Pietro, il quale si prolunga nei secoli attraverso il Pontefice Romano, munito d’ogni potere, assistito nel solenne insegnamento da un personale carisma di infallibilità, eppure sempre libero nel cangiante respiro della storia. Dietro a tutto quello di visibile che la Chiesa espone al mondo in mezzo al quale cammina, si leva universale, profonda e dirimente l’azione dello Spirito Santo. – Questa verità balza in modo impressionante da tutta la letteratura neotestamentaria e rovescia tutte le interpretazioni storicistiche, troppo umanistiche, scettiche o quasi, della vita nella Chiesa. L’azione dello Spirito Santo può certo anche diventare carismatica come lo fu il giorno della Pentecoste, ma non ha alcun bisogno di diventare esterna e miracolosa; anzi è sempre ordinariamente contenuta in quel discreto modo che lascia agli uomini la loro piena libertà e, se proprio lo vogliono, anche le loro distrazioni ed evasioni. In questa azione dello Spirito Santo, punto veramente fondamentale della rivelazione di Cristo, la Chiesa è sempre singolarmente e potenzialmente un organismo vivo e di una vita ben superiore alle forme note e forse trite per la semplice natura. Che la Chiesa sia organismo realmente, intimamente e soprannaturalmente vivo ha conseguenze di grave portata, che bisogna subito mettere nel giusto rilievo.

– La Chiesa rende testimonianza certa e sicura della verità e della via della salute in qualunque tempo, come in qualunque tempo è viva. Essa dunque rende testimonianza oggi, con lo stesso valore dell’evo subapostolico. Per sapere di una verità non occorre io interroghi età lontane, anche se questo è utilissimo e può essere necessario sotto altri profili; basta ascolti quello che la Chiesa fa e dice oggi.

– Non è ammissibile accettare che la Chiesa debba essere riportata a questa o a quell’altra epoca. Dire questo è ammettere che essa sia non un organismo vivo, della cui vita si è reso responsabile e garante Dio stesso, ma solo una preziosa mummia, interessante documento, da restaurarsi secondo schemi che solo l’archeologia (né la Rivelazione, né la grazia) procurerebbe. La Chiesa ha sempre bisogno di misurarsi anche con sforzo eroico sull’unico vero modello, Gesù Cristo. Ma questo non significa che essa sia in qualcosa morta e debba essere ridipinta dalla dubbia saggezza di uomini fantastici.

– La Chiesa, per questa sua vita di tale potenza e carattere, potrà trarre contingente vantaggio da tutte le culture, perché «omnia cooperantur in bonum» (Rm. VIII, 28), ma la considerazione di questa vita non può mettersi al livello assai inferiore di contingenti e non necessari apporti. Tanto meno potrà essere subordinata alle fisionomie contingenti e meramente umane di quelli. Essa sta al di sopra, il che significa non esistere alcuna ragione per cui una nascente chiesa africana od asiatica si senta in grado inferiore; come non esiste alcuna ragione per cui una chiesa europea debba credersi di grado superiore anche solo emotivamente parlando. Di superiorità giuridica non ne esiste veramente che una, quella della Chiesa Romana, perché è piaciuto a Dio per il ministero di Pietro affidare a quella l’episcopato del mondo.

Il Magistero ecclesiastico oggi

È un punto sul quale si possono confondere le idee per il facile influsso di quello che accade nel «mondo». Questo è portato dall’aria che spira a non riconoscere la esistenza di un potere vero e proprio, umano, in campo dottrinale, e si picca di rispettare la libertà di pensiero, in tale modo, anche se esercita nel sottobosco qualcosa che non è un magistero, bensì una suggestione ed allucinazione persuasiva a seconda che gli comoda. Odio al magistero, ma via aperta alla imbottitura delle teste. – In secondo luogo il «mondo» considera l’azione magisteriale come la procedura «per far capire qualcosa e portare al grado di saper pensare da sé», non come una trasmissione autorevole di principi certi. – Queste due caratteristiche del «mondo» rispetto a qualsivoglia «magistero» provengono da talune tare storiche, delle quali non abbiamo qui a discorrere; tuttavia hanno un certo fondamento, in quanto difficilmente il «mondo» riuscirebbe a mettere insieme la serietà sufficiente per instaurare un magistero propriamente detto. – Esso sfoglia i documenti, li ricerca, li custodisce, li critica, ci si diverte; ma sa benissimo che i documenti in sé sono cose inerti e possono anche essere morte. – Abituato così, diffonde intorno un senso critico coerente a questa situazione. Il «mondo», che non ha studiato bene teologia, non ha l’idea di un Magistero che sia vivo. La sua opposizione ad un Magistero vivo è fatta più di ignoranza che di cattiveria; però riesce a mettere in complesso di inferiorità anche chi, non bene edotto di tutto, si trova a meditare su questo fatto eccezionalmente interessante tra i fatti umani e riesce a comunicargli delle perplessità e delle mosse del tutto sbagliate. Noi scriviamo perché non vorremmo che questo accadesse tra di voi. Ed è pertanto che abbiamo parlato prima della Chiesa organismo «vivo» con un Magistero» che è «vivo». – Vi ricapitoliamo pertanto i concetti giusti in proposito, con quelle osservazioni che saranno del caso.

– Il magistero della Chiesa propone tutto il messaggio di Cristo, ma lo spiega, lo interpreta autoritativamente, lo applica, ne trae le ricchezze più recondite deducendo e svolgendo, rassicura sui dubbi, delucida le questioni che via via si possono presentare, si estende alle verità connesse anche se di ordine naturale. Tutto questo serve a manifestare successivamente, e senza alterare il messaggio, la inesauribile ricchezza in esso contenuta e la indefinita capacità di rispondere via via alle necessità delle anime in cammino verso la vita eterna. – Si compongono così due fatti singolari: la inalterabilità del messaggio di Cristo, che né si deforma né si appesantisce di elementi estranei al momento della Rivelazione, e il progresso dottrinale, che trae sempre dallo stesso identico tesoro e con quello che ne trae risponde alle esigenze della salute delle anime. Queste esigenze sono nella sostanza le stesse, ma hanno variazioni marginali. I due fatti singolari si possono comporre perché la Chiesa è un organismo vivente in cui agiscono uomini liberi, ma la cui anima sta nella azione dello Spirito Santo e nella vitale connessione con Cristo, Capo invisibile della medesima Chiesa. La ragione insomma della coesistenza di due elementi apparentemente tanto diversi sta in una vita, la quale affonda le radici nella eternità. Il carattere del «magistero vivo» si rivela non solo dalla sua intima essenza e dai suoi fondamenti, ma ancora dalla sua procedura. – Eccone gli elementi. Può essere solenne e ciò tanto nel Romano Pontefice da solo, quanto nella intera Chiesa docente, composta di tutti i Vescovi uniti col Romano Pontefice ed in quanto uniti col Romano Pontefice, come accade in un Concilio. Ma non esiste solo un magistero solenne. Se così fosse il magistero sarebbe certamente un magistero vivo, ma opererebbe, per ovvie ragioni, così raramente da essere un magistero il più delle volte dormiente. La vita sì, ma la vita manifestata a tratti. Conseguentemente il cammino delle anime troverebbe la propria strada illuminata solo in qualche tornante e troverebbe poi molte pericolose zone d’ombra. Le zone d’ombra sarebbero le facili foreste dei lupi rapaci. No.

Esiste un Magistero Ordinario.

Questo magistero ordinario appartiene a chi può esercitare il magistero ed alle stesse condizioni. Gesù ha mandato a predicare sempre. Gli Apostoli hanno predicato sempre. Il messaggio di Cristo è stato orale e per qualche tempo non ce ne fu altro. Da questo messaggio orale gli agiografi neotestamentari hanno tratto i loro documenti. L’ufficio magisteriale è chiarissimo nella Chiesa dei primi secoli. Dio ha permesso le persecuzioni dei primi tre secoli anche per dimostrare che, in tempi in cui era assai difficile e raro esercitare il Magistero solenne, poteva (per la vita di ogni giorno) bastare il Magistero ordinario. – La nostra attenzione si deve allora portare con maggiore impegno proprio su questo Magistero ordinario, sì da chiarirne la estensione ed il modo. Quale, dunque, la condizione perché si realizzi il Magistero Ordinario? La risposta è semplice. Poiché questo Magistero è stato da Cristo affidato a Pietro e alla Chiesa gerarchica come tale, esso si ha quando si può dire che Pietro o la Chiesa parlano. Si può dire che la Chiesa «parla» quando è unita ed è col suo capo, ossia quando esiste il consenso: questo consenso, per via esplicita od implicita, diretta od indiretta, è nella unione col Pontefice. Il consenso nella unione al capo è il «segno» che la Chiesa parla. Non si tratta di una verità creata da uomini, ma di una verità che è garantita attraverso uomini i quali, in quelle condizioni, beneficiano secondo la promessa del Salvatore della assistenza dello Spirito Santo. Basta quello che si è detto per valutare cosa significhi, anche per il Magistero Ordinario, la presenza e l’ufficio del Romano Pontefice, nonché degli strumenti dottrinali dei quali egli per la sua pienezza di potestà si serve e che sono ordinariamente nella Curia romana. – Sarebbe pertanto ben erroneo credere che la tranquillità dottrinale venga ai fedeli soltanto da un Magistero solenne, tanto raro e talvolta ostacolato da circostanze storiche. La piena e perfetta tranquillità dottrinale, il criterio certissimo della verità, lo si ha pure attraverso il Magistero Ordinario, il quale, come si è dimostrato, se non ha i caratteri esterni del Magistero solenne, ne raggiunge la stessa efficacia in definitiva e manifesta – per essere sempre in atto, ogni giorno – il carattere di «vita» della Chiesa. E per questo che prima di iniziare questo discorso abbiamo a lungo trattato della Chiesa «organismo vivo». – Prima di passare ad aspetti particolari del Magistero Ordinario riteniamo doveroso ribadire che esso sta soltanto, per sé, nel Papa e nella Chiesa gerarchica, che non è tale se non in quanto è unita con il Papa. Non sta dunque per sé altrove. Il Magistero ordinario non è, dunque, per sé affidato ai teologi, ai ricercatori di cose antiche, alle università, alle scuole. Vedremo quale autorità abbiano i teologi e per che via. Ma qui un principio deve essere ben chiaro: essi non sono i maestri o, se lo sono, lo saranno soltanto di riflesso. Principio di verità che li deve rendere bene attenti ed umilmente docili, perché nessuna presunzione riesce a dare loro quello che Cristo non ha dato. – Il Magistero Ordinario si attua in molti modi e non in uno solo, sia attraverso l’insegnamento diretto, sia attraverso atti che implicano in qualche modo un insegnamento. Ecco perché sarebbe inesatto volerlo stabilire solamente in base a documenti scritti. Ciò va notato per taluni ricercatori del tempo andato, i quali (per dimenticare questo) giungono talvolta a conclusioni meno perfette. Il Magistero Ordinario di un qualunque periodo storico non è detto debba apparire solamente attraverso scritti qualificati più o meno, dato che con è solamente con quelli che si esplica. Questa ampiezza di mezzi da ulteriormente l’idea di quanto sia vivo il magistero stesso. – Sorprende assai il vedere taluni studi, certo egregi, che nel ricostruire l’insegnamento teologico di un qualche periodo conoscono tutte le «fonti» qualificate, anche minime, e non tengono conto di quello che scaturisce dai fatti, anche più ampiamente considerati, ben oltre i documenti scritti. I quali talvolta non possono essere «letti» bene, se non in una cornice storica obiettiva, che li supera e che sa rendere tutto utile a tale effetto. Dobbiamo osservare come in materia teologica l’entusiasmo di certe ricerche patisca il danno non lieve della sopraddetta unilateralità. Abbiamo detto che il Magistero Ordinario si attua a talune condizioni e le abbiamo indicate. Può darsi il caso che si abbia un periodo in cui quelle condizioni non si attuano ancora per la soluzione di un dubbio o per una esigenza di chiarificazione o per la esposta ad un problema posto in maniera nuova da nuove circostanze. In tale caso si ha un «periodo di preparazione» in cui si fanno tentativi, discussioni, ricerche, si elaborano opinioni diverse, in cui l’autorità della Chiesa può intervenire — a scopo assicurativo, tentativo o difensivo – non solo in quanto maestra, bensì anche in quanto capace di guidare, reggere e fare pertanto leggi o decreti. Ciò spiega perché in tale «periodo di preparazione» si possano avere norme orientative di carattere assolutamente temporaneo, e cioè valevoli fino a che la questione non sia definitivamente e completamente chiarita nei termini che impegnano veramente e per sempre il Magistero ecclesiastico. Non c’è dunque da meravigliarsi di decreti che hanno in tale situazione un valore prudenziale. Basta del resto scorrere le cosidette «censure teologiche» che nei documenti ecclesiastici sono state usate a proposito di talune proposizioni: periculosa, temeraria, damnosa, haeresim sapiens, errori proxima, etc. Non si dimentichi che il Magistero Ordinario è vivo anche perché affidato a uomini i quali, esercitandolo, non cessano di essere limitati e di avere bisogno del tempo e dello studio; e che il carisma della infallibilità nella Chiesa non è legato alla ispirazione divina, anche se non la esclude, ma impedisce l’errore nella materia che è oggetto di infallibilità. – Il Magistero della Chiesa, solenne ed ordinario, riflette qualcosa sui teologi, questo può avvenire senza che la Chiesa sappia ed approvi; devesi invece ritenere per certo che, quando un tale consenso avviene direttamente od indirettamente consenziente la Chiesa docente, sola depositaria del Magistero, il consenso dei teologi, pur non costituendo per sé un Magistero Ordinario (i teologi non ne sono il soggetto), data la connessione con il soggetto vero del medesimo, diventa criterio certissimo di verità. – La «connessione» di cui abbiamo fatto parola, per la facilità odierna di pubblicare, per il facile indirizzo idealista, molto disimpegnato dai canoni della verità obiettiva, e per quello positivista, altrettanto disimpegnato dalle ragioni interne delle cose, implica oggi forse una maggiore sorveglianza che nel passato da parte dei Vescovi. Se noi scriviamo questa lettera è proprio per assolvere questo maggiore impegno. –  Un Magistero così articolato, e che può seguire fino alle ultime applicazioni o conseguenze o connessioni il contenuto immutabile della parola di Dio, può fare una certa impressione. E naturale che questo accada e tanto maggiore sarà la impressione quanto più si perderà il senso della verità obiettiva dopo le infiltrazioni filosofiche nell’abito culturale degli uomini. I quali, a forza di sentir confondere oggetto e soggetto, nonché di sentir semplicemente inventare invece di ricercare, hanno qualche volta perduto di vista l’elementare principio che la realtà e la verità obiettiva si identificano e che pertanto non si può giocare contro la verità obiettiva. – Quando esiste il senso della verità obiettiva non ci si meraviglia che, per quanto concerne la rivelazione divina, Cristo l’abbia protetta in tal modo. La meraviglia dipende da una triste malattia del tempo. E le malattie non sono né doni né vanti né glorie. L’esser il Magistero della Chiesa di una tale natura e di una tale lavabilità indica chiaro che la interpretazione della parola di Dio non può lasciarsi mai all’arbitrio del singolo, alla fantasia della moda, alla paura di chi, nell’apprendere dalla scienza umana qualcosa di nuovo, crede subito che crolli il mondo, crollino le idee ed i principi primi. – La Chiesa ha soprattutto da custodire la verità, perché essa illumina la via e promuove gli atti necessari a raggiungere la salvezza eterna. Infatti la fede, atto di intelletto col quale si accettano le verità rivelate da Dio, è il primo insostituibile passo verso la vita eterna. L’oggetto della fede, allora, va tutelato. Perché tutto questo discorso? Perché gli sforzi spesso incoscienti e subcoscienti di molti sono diretti proprio contro la latitudine del Magistero ecclesiastico ed hanno di mira di restringere l’oggetto della fede o di quanto si collega con la fede. Nella folle speranza che l’uomo sia più libero. Hanno dimenticato quello che è stato scritto: «La verità vi farà liberi…!» (Gv. VIII,32). [Continua…]

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.