Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (11), capp. XX-XXI

CAPITOLO XX.

MARTIRIO DEL BUON LADRONE.

  1. Disma può egli veramente chiamarsi martire? Tre condizioni richieste per il martirio. — Sentenze di S. Cipriano, di S. Agostino, di S. Girolamo, di S. Bernardo. La rottura delle gambe e delle cosce ordinata in odio di Gesù Cristo. — Il Crurifragium o supplizio distinto dalla crocifissione. — Esempi di questo presso i pagani. — La legge dei giudei non lo comandava. — Testimonianza di Origene.—-La consuetudine non lo autorizzava.— Belle spiegazioni dei Padri. — Sapiente riservatezza della Chiesa Romana. — Essa autorizza l’ufficio del Buon Ladrone sotto il nome di confessore. — Decisione della S. Congregazione dei Riti.

Per fare di s. Disma un capolavoro compiuto della bellezza morale, sembra che manchi una perla alla sua corona. Questa perla è la più preziosa di tutte; poiché essa sola fa brillare di tutto il loro splendore le virtù eroiche del coronato atleta: noi vogliam dire il martirio. Tale e tanto ne è il valore, che esso basta a far glorioso il più umile cristiano, al di sopra di tutti i santi dottori, pontefici, anacoreti, missionari che non siano martiri. Ed una simile gloria manca forse al nostro beato? Ce lo dirà la risposta alle seguenti interrogazioni. Quali sono le condizioni richieste pel martirio? Sono esse concorse nella morte di Disma? – Secondo la Teologia Cattolica tre cose costituiscono il martirio. Soffrire la morte o i tormenti capaci di produrla; soffrirla volontariamente; soffrirla per difesa della vera fede, o di altra virtù cristiana. Data appena una tale definizione, tosto vi ha chi risponde: S. Disma non fu martire. I suoi patimenti non furono volontari, né egli li soffrì per la difesa della fede. Il gran martire di Cartagine, s. Cipriano, replica molto a proposito. « Nella passione di questo Ladrone bisogna distinguere due tempi, due uomini, ed il sangue Dell’uno da quello dell’altro. Il sangue ch’ ei versò prima della dichiarazione di sua fede fu il sangue del ladro; e dopo quella dichiarazione fu il sangue di un Cristiano. Il sangue del ladro fu la pena dei delitti; ma il sangue del ladro versato nella confessione della fede cristiana, per affermare la divinità del Figlio di Dio, fu il sangue di un confessore »  [De Cœn. Doni., apud Orilia, p. 223, et Cor. a Lapid., in Luc., XXIII, 42]. S. Agostino riporta la sentenza del suo illustre collega dicendo: « Il Ladrone, non discepolo di Nostro Signore prima della croce, ma confessore sulla croce, è posto da S. Cipriano nel numero dei martiri. In vero per aver confessato Gesù Crocifisso, egli si ebbe ugual merito che se fosse stato crocifisso per Gesù. La misura dei martire si ritrova in colui che confessa Cristo nel momento in cui lo abbandonarono coloro che un giorno sarebbero stati martiri » [De anim. et ejus orig., lib. I, n. 11, Opp., t. X, p. 700]. In altro luogo Io stesso dotto Vescovo si esprime cosi: « Il Ladrone eletto già prima di esser chiamato, non ancor servo e già amico, non ancor discepolo e già maestro, da ladro diviene confessore. Senza dubbio; da ladro incomincia il suo supplizio, ma per un prodigio ineffabile il consuma da martire » [Serm. cxx, De Tempor.] – Lo stesso pensiero troviamo in S. Girolamo « Il Ladrone, dice il gran Dottore, cangia la croce per il paradiso, e della pena dei suoi omicidi fa un martirio. » [Epist. XIII, Ad Paulin.]. – Ascoltiamo ora S. Bernardo. « O beatissimo ladro… che dissi mai? non ladro, ma martire e confessore! Egli fa liberamente della necessità virtù, e muta la pena in gloria, e la croce in trionfo. In voi fortunatissimo confessore e martire, raccoglie il Salvatore le reliquie della fede in mezzo al mondo intero, che non ne ha più. I discepoli fuggono, Pietro rinnega, e voi aveste la sorte di essere il compagno di sua passione. Sulla croce voi foste Pietro, e nella casa di Caifa Pietro fu il ladro. E Pietro fu ladro per tutto quel tempo che ascondendo interamente quel ch’egli era, esternamente rinnegava il suo divino Maestro. Or ecco perché voi avete preceduto Pietro nel Paradiso. Imperciocché Colui che abbracciandovi sulla croce, divenne vostro capo e vostra guida, il giorno stesso in cui rientrò nel suo regno, in quello seco v’introdusse suo fedele e glorioso soldato. » Eccovi delle autorità, certamente rispettabili, che non esitarono di dare al nostro Santo il titolo di martire. Glielo danno perché ha sofferto almeno in parte il supplizio della croce confessando la divinità di Nostro Signore. Per assicurare a Disma questo titolo glorioso, faremo parola di un altro supplizio che gli venne inflitto a punizione della sua professione di fede. Intendiamo parlare del crurifragium o rottura delle gambe e delle cosce. – La crocifissione e la rottura delle gambe, erano due supplizi distinti. Uno non traeva seco necessariamente l’altro. La storia profana ce ne fornisce moltissime prove. « Augusto, scrive Svetonio, avendo scoperto che Thallo, suo segretario, aveva dato una lettera e ricevuto per essa cinquecento denari, gli fece romper le gambe e le coscie l. » [In Aug., c. LXVIII] Il medesimo autore narra come Tiberio facesse romper le gambe a due giovani, perché avevano rinfacciato a quel vile tiranno un turpe delitto. In Seneca leggiamo che Silla trattò nella stessa guisa Marco Mario Gratidiano. [De ira, III, c. XVIII.] – Nè il Crurifragium era proprio dei soli romani. Questo genere di supplizio era in uso presso gli altri popoli dell’antichità. Polibio riferisce che in Africa una popolazione ribelle, essendosi impadronita dei cittadini più illustri di Cartagine, li mutilò rompendo loro le gambe, e gettandoli semivivi in un fosso. Inutile è l’aggiungere che la stessa tortura fu largamente adoperata a riguardo dei martiri. Fra gli altri molti, gli atti di s. Adriano ne offrono un esempio, che può dare un’idea della crudeltà dei tiranni imperiali e della costanza dei confessori della fede. Tutti questi fatti ci mostrano che la rottura delle gambe aveva luogo alcuna volta senza il supplizio della crocifissione; e quelli che abbiamo citati antecedentemente ci hanno mostrata la crocifissione senza la rottura delle gambe. I popoli antichi erano sì poco premurosi di affrettar la morte dei crocifissi, che li lasciavano spirar sulla croce il più lentamente possibile. Così volevasi dal legislatore che si aggravassero i loro patimenti, e si prolungasse la lezione di terrore data col loro supplizio. Per accelerare la loro morte, era necessario, dicono gli antichi giureconsulti Paolo ed Ulpiano, che ricorresse l’anniversario della nascita del principe, o la domanda dei parenti, o qualche altra grave ragione; altrimenti si lasciavano imputridire sulla croce. Come presso i pagani, così presso i Giudei, il Crurifragium non era la conseguenza necessaria della crocifissione. In alcun luogo si trova indizio del contrario, e il testo del Deuteronomio che regola il supplizio della croce, non ne fa motto. Eccolo: « Quando un uomo avrà fatto un peccato da punirsi colla morte, e condannato a morire, sarà stato appeso al patibolo, non rimarrà sul legno il suo cadavere, ma sarà sepolto lo stesso dì; perché è maledetto da Dio chiunque è appeso al legno: e tu non dei contaminar quella terra, di cui il Signore Dio tuo ti avrà dato il possesso. » [XXI, 22-23]. La legge ordinava di deporre il cadavere dei crocifissi prima della fine del giorno, ma essa punto non dice che a farli morire innanzi all’ora stabilita, si dovessero spezzar loro le gambe e le cosce. Ma almeno era forse consuetudine ricorrere a quel barbaro mezzo? Nulla ci autorizza a pensarlo; anzi sembra chiaramente risultare il contrario dal testo evangelico. Ascoltiamo Origene, così vicino al tempo di Nostro Signore, e tanto pratico degli usi dell’Oriente. Su queste parole di s. Giovanni: i Giudei pregarono Pilato che fossero ad essi rotte le gambe e fossero tolti via, egli dice: « Un tal fatto ebbe luogo il giorno della morte di Nostro Signore Gesù Cristo; ma per ordinare che ad esso fossero spezzate le gambe. Pilato non invoca la consuetudine. L’Apostolo lo fa ben rilevare, dicendo che coloro pregarono Pilato che fossero ad essi rotte le gambe e fossero tolti via. Era forse necessario di andare a chiedere una tal cosa come una grazia, se tale, fosse stata la consuetudine? » [Tract. XXXV, in Matth.]. Col domandare questo crudele supplizio, i Giudei operavano ancora contro la consuetudine. Questa consisteva nel dare al condannato, del quale si voleva accelerare la morte, un colpo di lancia sotto le ascelle verso la regione del cuore; e questa era una maniera meno barbara di togliergli la vita. Noi dobbiamo ad Origene questi dettagli, il quale vivendo al tempo delle persecuzioni, conosceva meglio degli altri i particolari dell’esecuzioni capitali. Da qui la sorpresa di Pilato venendo a conoscere la pronta morte di Nostro Signore. Dall’un canto per piacere forse ai Giudei, non aveva egli dato l’ordine dell’ordinario colpo di lancia al Salvatore; dall’altro, egli sapeva che i crocifissi vivevano sulla croce, non solo alcune ore, ma dei giorni e delle notti intere. Fu perciò grande la sua meraviglia, quando il centurione, inviato per rompere le gambe ai condannati, venne ad annunziargli che Gesù era morto prima di questo supplizio. Quanto al colpo di lancia dato al Salvatore, oltre le ragioni misteriose, con le quali il permise la provvidenza, esso si spiega per la consuetudine che abbiamo accennata. Per assicurarsi se Nostro Signore fosse veramente morto, e togliere ad esso lui l’ultimo soffio di vita che gli poteva ancor restare, il soldato fece a riguardo suo ciò che era in uso di farsi pei condannati alla croce. Sotto una forma diversa, la consuetudine di cui parla Origene erasi conservata nell’antica legislazione penale delle nazioni europee. Al reo condannato ad aver rotte le gambe, il carnefice cominciava dal dare un colpo alla parte del cuore per ammortire il dolore dello spezzamento delle gambe e delle braccia. Nel caso poi, in cui il condannato meritasse di soffrire più a lungo, il colpo al cuore non si dava che in ultimo luogo. Questo era quello che chiamasi colpo di grazia. Ora perché mai, in luogo del colpo di lancia, i capi della Sinagoga chiedono che siano spezzate le ossa? Senza dubbio per rodio che portavano a Nostro Signore, e particolarmente al Buon Ladrone. Non avevano dimenticato che se essi avevano voluto far cambiare lo scritto da soprapporsi alla croce, che dichiarava la regia condizione del Salvatore, Disma aveva dal canto suo giustificata la dichiarazione di Pilato, ed accusato perciò i Giudei del più enorme degli attentati. La rottura delle ossa doveva punire il di lui coraggio. – Che tale si fosse la intenzione degli Ebrei, i Padri della Chiesa mostrano di non dubitarne: « Andarono pertanto i soldati, dice il Vangelo, e ruppero le gambe al primo e all’altro che era stato crocifisso con lui. » Secondo Luca di Burgos il primo indica il Buon Ladrone, crocifisso alla destra di Nostro Signore, e che respirava ancora, « E perché, domanda s. Gregorio Magno, tutte queste minute particolarità? Può mai credersi ch’esse non nascondano un qualche mistero? Perché non dire semplicemente ruppero le gambe ai due ladroni, se ciò non è per indicare nelle parole del primo e dell’altro, un senso occulto? » [Omil. XXII, in Evang.]. E quale è mai questo senso? Eutimio, citato dal dotto P. Silveira, viene a dircelo: « Con questa parola di primo il Vangelo indica il Ladrone crocifisso alla destra di Nostro Signore e convertito. Siccome il giusto è sempre il primo a ricevere i colpi, i Giudei da esso lui incominciarono, irritati com’erano contro di lui per aver presa la difesa del Signore ». Da tutte queste circostanze, il celebre commentatore arditamente conclude, che Disma fu un vero martire, e che i Padri della Chiesa ben si apposero nel dargli un tal titolo. « Pieni di livore, i Giudei cominciarono da lui il crudele supplizio del crurifragium. Ed avendolo Disma sopportato senza lamenti, in continuazione della magnifica testimonianza che egli avea resa all’innocenza ed alla regia qualità di Nostro Signore, io non esito punto a chiamarlo martire coi padri della Chiesa » Non ostante tutte queste testimonianze, noi dobbiamo alla verità della storia dichiarare che, sul martirio di s. Disma, vi han due diversi pareri: l’uno che gli attribuisce la qualità di martire propriamente detto, e l’altro che gliela nega. Nel passato secolo la Congregazione dei Riti prese a discutere siffatta questione, e la sua decisione dà luogo ad ammirare sempre più la prudente riserva della Chiesa Romana. Senza biasimare la opinione dei Padri e dei Dottori che attribuiscono a Disma il titolo di vero martire, la Congregazione adottò per la liturgia la opinione contraria: ed autorizzò 1’ufficio del Buon Ladrone, sotto il titolo di confessore non pontefice. A scanso poi di ogni critica, essa pur’anche soppresse il nome tradizionale di Disma [Vedi Benedetto X I V , De Canon. SS.; lib . IV , part. II, c. XII, n. 10].

CAPITOLO XXI

IMITATORI DEL BUON LADRONE.

(Per imitatori del buon Ladrone intendiamo i grandi peccatori che lo imitarono nella prontezza e sincerità della loro conversione).

 La conversione del Buon Ladrone inspira la fiducia. — Condanna la presunzione. — Espressione di S. Agostino. — Eloquenti parole del vescovo Eusebio. — Incoraggiamenti dati da S. Ambrogio e da S. Agostino. — Esempi di grandi peccatori subitaneamente convertiti. — Il giovane ladro dell’Apostolo S. Giovanni. — Sua storia.

Dopo la riforma del Breviario Romano, l’officio del Buon Ladrone fu primamente richiesto dall’ordine Europeo, sì famoso nella storia della carità cattolica, di Nostra Signora della Mercede, pel riscatto degli schiavi. Qual migliore avvocato, qual più perfetto modello per tanti infelici incatenati nei bagni di Tunisi e di Algeri? La domanda fu appagata da Sisto V. Venne di poi nel passato secolo la Congregazione Italiana dei Pii Operai. In riconoscenza delle molte e strepitose conversioni ottenute nelle missioni, per la intercessione di s. Disma, quei zelanti apostoli domandarono nel 1724 l’autorizzazione di far l’ufficio di quel grande avvocato dei peccatori. Roma accolse la loro domanda, ed il Buon Ladrone divenne il protettore speciale del loro ordine. – Il medesimo favore venne accordato ai Padri Teatini degni figli di s. Gaetano Tiene, non che ai Servi di Maria ed agli Oblati di Marsiglia; eroici missionari dell’America Settentrionale. – Non è dunque l’ammirazione il solo sentimento che ispirar ci deve la conversione del Buon Ladrone: una dolce e salda fiducia nell’infinita misericordia di Dio deve esserne il frutto. Fondata sull’esempio di tante conversioni, questa fiducia ci sembra che sia nei voti della Chiesa. Se non fosse per ispirarla ai suoi figli, peccatori o non peccatori, perché canterebbe ella ai funerali: Qui latronem absolvisti mihi quoque spem dedisti? – Senza dubbio sarebbe sommamente imprudente il peccatore, che incoraggiato dall’esempio di Disma, rimettesse all’estremo della vita la sua conversione. Dall’un canto, chi gli dice, che in quel punto sarà in grado di conoscere il suo stato? « Quegli, dice s. Agostino, che ha promesso il perdono al peccatore, non gli ha promesso il domani. » Qui veniam promisit, crastim non promisit. Dall’altro canto la conversione del Buon Ladrone è un miracolo di prim’ordine. Ma il miracolo è sempre un fatto eccezionale, ed il governo della divina Provvidenza non si fonda sulle eccezioni. Iddio non promette né deve miracoli a chicchessia, e molto meno ancora a chi contasse su tal favore per continuare ad offenderlo. Quindi quell’altra osservazione di s. Agostino : « Dei due ladroni uno si converte, perché non abbiate a disperarvi; ma egli è solo perché non abbiate a presumere: » Unus est ne desperes, solus est ne confidas.Non è dunque, ce ne guardi Iddio, per addormentare in una funesta sicurezza gli innumerevoli peccatori dei nostri giorni, che noi citeremo la subitanea conversione di un certo numero di grandi colpevoli. Nostro fine si è di mostrare non esser mai troppo tardi per tornare a Dio; che la sua misericordia si estende a tutti i secoli, inesauribile, infinita; che non v’ha vita sì rea, la quale non possa finire con una morte santa; che nessun peccatore fosse egli al momento di render l’anima, non deve gettarsi in braccio alla disperazione; e finalmente che l’esempio del Ladrone convertito sulla croce venne lasciato come un’ancora di salute ai peccatori moribondi e prossimi a cadere nell’abisso dell’impenitenza finale. Tale si fu pure l’idea dei Padri della Chiesa. « Iddio, dice il gran vescovo Eusebio, era in Nostro Signor Gesù Cristo riconciliantesi il mondo; vale a dire la divinità operava in un corpo mortale. Appariva la umanità nella fragilità della sua natura; e la divinità si rivelava nella maestà della sua potenza. Uomo, egli muore, e scende all’inferno. Dio, ne ritorna trionfante. Per salvare i colpevoli Ei si lascia collocare in mezzo ai rei; l’uno è alla sua destra, l’altro alla sinistra. Con i patimenti della sua Croce, il Giusto merita la gloria ad uno dei ladri; ma se ci poniamo ben mente, noi vediamo che una tal grazia non fu ad esso concessa per lui solo. Perdonando ad un sì gran colpevole, condonando ad un simile debitore la immensa somma dei suoi debiti, il Dio Redentore ha decretato la salvezza del genere umano. – « Egli vuole che il perdono di un sol disperato sia la consolazione e la speranza di tutto il popolo, e che un dono personale diventi un pubblico beneficio: e perciò bisogna credere senza esitazione, che se la conversione del Buon Ladrone fu la gloria della sua fede, essa è pur anche per noi un pegno di speranza, ed una sorgente di vantaggi. L’immensa bontà del nostro Dio accorda liberalmente ciò che Egli sa dover esser utile a tutti. Se dunque pieno di fiducia in una tale misericordia, qualcuno tra noi condanna la sua vita passata, coll’intraprendere una vita migliore, e se tutta ripone la sua speranza in Gesù Crocifisso, diviene pur esso un Buon Ladrone, che apre a se stesso le porte del cielo » Scrivendo a Teodoro, sì famoso per la sua caduta, s. Gio. Crisostomo gli dice: « Tale è la clemenza di Dio per gli uomini, che non rigetta mai una sincera penitenza. Fosse pur caduto il peccatore nel profondo dell’abisso dell’iniquità, se egli vuol tornare alla virtù Dio lo riceve, lo abbraccia, e nulla tralascia per rimetterlo nel suo primiero stato. Altra prova ancora più grande della sua misericordiosa bontà: se il peccatore non ha fatta una intera penitenza, non ne disdegna Egli una incompleta e leggiera, e magnificamente la ricompensa. Osservate il ladrone. Impiega egli forse gran tempo per ottenere il paradiso? Non più che il momento da poter proferire due sole parole, e tutte le sozzure dell’intera sua vita son cancellate, e prima degli stessi Apostoli è ammesso al premio nel cielo. » – Similmente per mostrare le ricchezze della divina misericordia, confortare la nostra debolezza, e raffermare la nostra speranza, Iddio ha permesso e permette ancora le gravi cadute di molti gran santi. Questo salutare coraggio, s. Agostino ispirava ai peccatori di tutti i tempi, di tutti i paesi, di tutte la classi. « David, diceva quel gran vescovo, David profeta e re secondo il cuore di Dio, proavo del Messia, ha commesso due enormi delitti. Ecco quello che debbono gli uomini evitare. Se poi essi pur caddero, ascoltino quello che debbono imitare. Molti vogliono cadere con David, ma non vogliono rialzarsi con David. Il suo esempio non deve insegnare cadere, ma sebbene a risorgere se mai cadeste. Non sia di gioia ai deboli la caduta dei forti, ma la caduta dei forti sia di timore per i deboli. A questo fine fu scritto l’esempio di David; e solo a questo fine viene spesso ricordato e cantato dalla Chiesa. I peccatori adunque si guardino bene di cercare una scusa nell’esempio del santo re, per dire: se David poté farlo perché non lo potrò io? ».  Proporsi di fare il male perché David il fece, è un rendersi più reo di David. David peccando non si era proposto un modello. Egli cade vinto dalla passione, non già incoraggiato dall’esempio di un santo. Voi per peccare vi ponete un santo innanzi gli occhi, e non por imitarne la santità, ma la rovina. Voi amate in David ciò che David odiò tanto in se stesso. Voi leggete ed ascoltate la santa Scrittura per darvi animo a far ciò che dispiace a Dio. Non così fece David. Egli fu rimproverato dal Profeta, e non cadde per cagione del Profeta. « Se fra coloro che mi ascoltano, vi fosse alcuno che sia già caduto, ei deve sicuramente riflettere alla gravità della sua caduta, alla profondità della sua ferita, ma non disperare della potenza del medico: peccato e disperazione è morte certa. Non vi sia dunque alcuno che dica: Io ho peccato, dunque sarò dannato: Iddio non perdona sì gravi colpe. E perché mi asterrò dal peccare ancora? Mi abbandonerò a tutte le mie passioni. Non avendo più speranza di salvarmi, io voglio godere di quello che vedo, mentre non posso conseguire quello che credo. « L’esempio di David risponde ad un simile ragionamento. Coma ammonisce a stare in guardia quei che non son caduti, così ritrae dal disperarsi coloro che caddero. O voi che avete peccato, e disperando della vostra salute, non volete far penitenza della vostra prevaricazione, ascoltate David che piange. A voi non verrà mandato Nathan profeta, ma è David stesso che vien a farvi coraggio ed a servirvi di modello. Voi l’udite esclamare; esclamate con lui; gemere, gemete con lui; piangere, alle sue unite le vostre lacrime. Voi lo vedete convertito, prendete parte alla sua buona ventura. Se esso non poté impedirvi di peccare, or vi conforti colla speranza di risorgere dalla vostra caduta » [Enarrat. in ps. L, n. 3 et 5. Opp., t, IV , p. 658, 660]. – All’eloquenza delle parole è tempo di aggiungere l’eloquenza dei fatti. Noi li sceglieremo tra tutte le specie di peccatori, per dimostrare che la divina misericordia si estende a tutto ed a tutti, e forse di preferenza ai ladri, e agli assassini. Noi scriviamo la storia del più insigne fra loro, e l’abbiano dedicata ad un gran ladro; poi ci pare che in questa classe di sciagurati il Buon Ladrone debba ricercare i suoi prediletti clienti, perche è ben naturale che i santi provino un particolare interesse per coloro che vengono soggetti alle stesse malattie morali, delle quali furono essi le vittime, e che godano di una speciale virtù di soccorrerli. – Il primo che ci si presenta è il capobanda convertito da s. Giovanni. Come quella di s. Disma, la storia di esso dimostra con qual celerità operi la divina misericordia. – Tornato ad Efeso dopo la sua relegazione all’isola di Patmos, il prediletto discepolo, nonostante la sua grave età, visitava le diverse Chiese dell’Asia, delle quali egli era fondatore e padre. Venuto in una città per regolare alcuni punti di disciplina, e decidere alcune controversie, posò l’occhio su di un bel giovane pieno di vigore e di brio. E voltosi al vescovo gli disse; « Siavi a cuore quel giovane, e su di lui vegliate con la più grande sollecitudine, lo ve lo affido innanzi alla Chiesa ed a Gesù Cristo, » Il vescovo lo prende sotto la sua responsabilità, e promette di fare per lui tutto ciò che gli domanda l’apostolo. S. Giovanni ritorna ad Efeso. Il vescovo prende in sua casa il giovane, Io istruisce, lo sorveglia, lo ricolma di paterne amorevolezze; infine lo ammette al battesimo, più tardi lo conferma col sacro crisma, e credendolo ormai ben’assicurato, rimette alquanto dall’usata sorveglianza. Ne profitta il giovane per vivere con maggior libertà, e ben tosto si lega in amicizia con altri giovani dell’età sua, oziosi, infingardi e dati ad ogni maniera di vizi. Questi nuovi compagni lo invitano a conviti e stravizzi, e lo fanno suo malgrado uscir di casa la notte per renderlo complice dei loro furti, e fargli animo a commettere maggiori delitti. Egli man mano vi si abitua, e pieno di coraggio e di confidenza nelle sue forze, come il cavallo che ha rotto il morso, si getta nell’abisso di tutti i vizi. Disperando poi della sua salute, non fa più conto alcuno dei delitti ordinari, e di accordo coi suoi compagni si avvisa di diventare un eroe del delitto. Riunisce infatti intorno a se e forma una banda di ladri, dei quali per la sua audacia, abilità e crudeltà divenne il capo. In questo mezzo, s. Giovanni da diversi affari è richiamato alla città, nella quale aveva conosciuto quel giovane, e dirigendosi al vescovo; « Rendimi, gli disse, il deposito che ti affidai alla presenza di Gesù Cristo e della chiesa della quale hai il governo. » Il vescovo meravigliato Don comprese, e credé che l’Apostolo gli richiedesse qualche somma di danaro deposto nelle sue mani, del quale non aveva tenuto alcun conto. « Io ti ridomando, riprese allora a dir s. Giovanni, quel giovine che ti confidai, ti chiedo l’anima del tuo fratello. » A queste parole il vecchio pastore chinò il capo e si pose a piangere. « Egli è morto, disse. — Come e di qual genere di morte? — È morto a Dio. Coperto di delitti; immerso nei vizi, si è fatto pubblico ladro e assassino. In luogo della Chiesa, nella quale abitava, ora occupa una montagna, ov’è alla testa di una banda di briganti suoi pari. » A tale notizia l’Apostolo lacerò le sue vesti, e dato un gran sospiro battendosi il volto con ambe le mani esclamò : « Veramente ad un buon guardiano confidai l’anima di tuo fratello! Or subito, mi si prepari un cavallo ed una guida. » E frettolosamente uscì dalla Chiesa. Or vedete s. Giovanni, il ben amato discepolo, già più che nonagenario, correre dietro alla pecorella smarrita! Giunto sulla montagna, egli cade nelle mani dell’avamposto dei masnadieri che l’arrestano senza che ei pensi né a fuggire né a difendersi : « E per questo io son venuto, gridò con tutta forza, conducetemi al vostro capo. » Questi armato di tutto punto, lo attendeva, e accortosi che era s. Giovanni che veniva a lui, vinto dalla vergogna prese la fuga. Ma l’Apostolo dimentico dell’età sua si pose a correre dietro i suoi passi gridando: « Figlio mio, perché fuggi tuo padre ch’è senz’armi e rotto dagli anni? Abbi compassione del mio affanno e della mia stanchezza. Non temere, v’ha ancora per te speranza di salute. Io risponderò per te a Gesù Cristo, e se sarà d’uopo, darò di buon grado la mia vita per salvare la tua, come il Signore diede la sua per noi tutti. Fermati, abbi fiducia, perché Gesù Cristo è quegli che mi ha mandato a te. » Al sentire un tal linguaggio il brigante abbassa gli occhi e si arresta; poi getta via le armi: quindi penetrato di orrore, amaramente sospira, e cade nelle braccia del santo vecchio: poi per quanto può, con lacrime dirotte lava la sozzura delle sue colpe, e solo gelosamente nasconde la sua mano destra, ch’era stata il principale strumento dei suoi delitti. L’Apostolo di bel nuovo lo assicura ch’egli otterrà dal Signore il suo pieno e intero perdono, ed inginocchiato a lui davanti, gli bacia la mano destra, ormai lavata dalle lacrime del pentimento, e Io riconduce seco alla Chiesa. Ei prega molto, e digiuna e si mortifica per lui; nutre 1’anima sua con le salutari massime della Scrittura, vi fa discendere il balsamo della speranza, lo ristabilisce nella pace, e non se ne diparte che dopo di avergli dato un uffizio nella chiesa. – Questa solenne conversione è ad un tempo il trionfo della penitenza, la prova della risurrezione che essa opera, ed un esempio da proporsi all’imitazione dei più grandi peccatori. [Euseb., Hist. 1. III, c. XVII]. – Non ci sarà permesso di aggiungere che questo episodio della vita di s. Giovanni sarebbe per gli artisti un soggetto di un magnifico dipinto? L’importanza del fatto in se stesso, il contrasto delle figure, e come accessori, gli alberi e le rupi della montagna, e quella schiera di banditi attoniti alla scena che ha luogo tra il venerando vecchio ed il loro capo; qual ricco campo per la immaginazione, e qual ricchi elementi per la pittura! – Con la scelta di somigliami soggetti, l’arte ridiverrebbe quel che deve essere, un sacerdozio; mentre perdendosi, com’essa fa dal Risorgimento in poi, nell’impuro labirinto della pagana mitologia, essa non è che uno sterile mestiere e quasi sempre uno strumento di corruzione.