DOMENICA XV DOPO PENTECOSTE (2023)

XV DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

La Lezione dell’Ufficio in questo giorno coincide spesso con quella del libro di Giobbe. Questo pio e ricco signore del paese di Hus, dapprima ripieno d’ogni bene, fu colpito dai mali più spaventosi che si possano quaggiù immaginare. « satana, dicono le Sacre Scritture, si presentò un giorno avanti a Dio e gli disse: Circuivi terram, ho percorsa tutta la terra e ho visto come hai protetto Giobbe, la sua casa, le sue ricchezze. Ma stendi la tua mano su di lui e tocca quello che possiede e vedrai come ti maledirà. Il Signore gli rispose: Va: tutto quello che lui possiede è in tuo potere, ma non togliergli la vita. E satana uscì dal cospetto del Signore. E ben presto Giobbe perdette il bestiame, i beni, la famiglia e fu colpito da satana con un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi fino alla testa ». E Giobbe, disteso su un letamaio, fu costretto a togliere il putridume delle sue ulceri con un coccio » La Chiesa, pensando alla malizia di satana, ci fa domandare di essere sempre difesi contro gli assalti del demonio, contra diabolicos incursus (Segr.). satana ha l’impero della morte e, se Dio lo lasciasse fare, dicono i Padri, egli toglierebbe a tutti gli esseri la vita che posseggono. S. Paolo definisce una sua malattia: «L’angelo di satana che lo colpisce. « Ed il demonio, dice la S. Scrittura, riduce Giobbe ad un punto tale, che il santo uomo può gridare: « Il soggiorno dei morti è diventato la mia dimora, io ho preparato il mio giaciglio nelle tenebre, e ho detto al marciume: tu sei mio padre; alla putredine: madre mia, sorella mia. (XVII, 14). Le mie carni si sono consumate come un vestito roso dai tarli, e le mie ossa si sono appiccicate alla mia pelle ». Così la Chiesa applica ai defunti il disperato appello che Giobbe fece allora ai suoi amici: « Abbiate pietà di me almeno voi, o amici, poiché la mano del Signore m’ha colpito. Ma il suo appello rimase senza risposta; Giobbe allora si rivolse verso Dio e gridò con una salda speranza: « Io so che il mio Redentore vive e ch’io risusciterò dalla terra l’ultimo giorno; che sarò di nuovo rivestito della mia pelle e nella mia carne rivedrò il mio Dio. Lo vedrò io stesso e i miei occhi lo contempleranno: questa speranza riposa nel mio cuore ». E Giobbe descrive la gioia con la quale ascolterà un giorno la voce di Dio che lo chiamerà a una vita nuova: « Tu mi chiamerai e io ti risponderò, tu stenderai la tua destra verso l’opera delle tue mani ». – « Il Signore, mettendo fine ai mali che lo travagliavano, gli rese il doppio di quello che possedeva prima e lo colmò di benedizioni più negli ultimi anni di vita che non nei primi ». — La Chiesa, raffigurata in Giobbe, domanda a Dio « di essere purificata, protetta, salvata e governata da Lui » (Oraz.). Col Salmo dell’Introito essa dice: « Rivolgi, o Signore il tuo occhio verso di me ed esaudiscimi, che io sono povera e mancante di tutto (Versetto 1°). Signore, abbi pietà di me, che ho gridato verso di te tutto il giorno. Vieni alla mia anima che io ho elevata fino a te (Versetto 4°). Io ti loderò, o Signore, poiché mi hai liberato dall’inferno più profondo (Versetto 13°) ». Col Salmo dell’Offertorio essa aggiunge: « Io ho atteso il Signore con perseveranza, ed Egli infine si è volto verso di me, ha esaudita la mia preghiera e ha messo sulle mie labbra un cantico nuovo ». Questo cantico è quello delle anime cristiane risuscitate alla vita di grazia. « È bello, esse dicono, lodare il Signore e annunciare la sua grande misericordia » (Grad.). « Sì, davvero il Signore è il Dio onnipotente, il Gran Re che regna su tutta la terra » (All.).L’Epistola di S. Paolo è intieramente consacrata alla vita soprannaturale che lo Spirito Santo dà o rende alle anime. « Se noi viviamo per lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito », cioè siamo umili, dolci, caritatevoli, verso quelli che cadono, ricordandoci che noi siamo deboli e che di fronte al supremo Giudice porteremo il fardello delle nostre colpe personali. Contraccambiamo generosamente con beni temporali (denaro, cibi, vesti) le persone che ci predicano la parola di Dio (divina parola che dà la vita) e non indugiamo, perché Dio non tollera che ci burliamo di Lui. Il raccolto sarà conforme alla natura della semenza gettata. Seminiamo opere piene di spirito soprannaturale e mieteremo la vita eterna. Non tralasciamo un istante di fare il bene. Evitiamo le opere della carne che sono la mancanza di carità, l’orgoglio, l’avarizia e la lussuria, poiché quelli che commettono peccati sono morti alla vita di grazia e non mieteranno che corruzione. Usciamo, dunque, dalla morte e viviamo come veri risuscitati. — Il Vangelo ci dà questo stesso insegnamento raccontandoci la risurrezione del figlio della vedova di Naim. Gesù, vedendo il dolore di questa madre, fu mosso a compassione: si accostò al feretro e toccando il morto disse: « Giovinetto, te lo comando, alzati! ». E subito il morto si levò e cominciò a parlare. E tutti glorificavano Iddio dicendo; « un grande profeta è apparso in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo ». Il Verbo facendosi carne si è accostato alle anime che giacevano nella morte del peccato, e, commosso dalle lacrime della Chiesa, nostra madre, le ha resuscitate alla vita della grazia. Poi, mediante l’Eucaristia ha posto nei corpi un germe di vita, affinché essi risuscitino nell’ultimo giorno (Com.). — Fa, o Signore, che il nostro corpo e la nostra anima siano interamente sottomessi alla influenza dell’Ostia divina, affinché l’effetto di questo sacramento domini sempre in noi (Postcom.). – Vivificati dallo Spirito Santo, solleviamo con sollecitudine quelli che sono morti alla vita della grazia, aiutiamo con le nostre sostanze quelli che con la parola della verità diffondono la vita dello Spirito, e promuovono sempre più in noi la vita soprannaturale che abbiamo ricevuta nel Battesimo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.

S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXXV: 1; 2-3
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Lætífica ánimam servi tui: quia ad te, Dómine, ánimam meam levávi.

[Allieta l’ànima del tuo servo: poiché a Te, o Signore, levo l’anima mia.]

Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Ecclésiam tuam, Dómine, miserátio continuáta mundet et múniat: et quia sine te non potest salva consístere; tuo semper múnere gubernétur.

[O Signore, la tua continua misericordia purífichi e fortífichi la tua Chiesa: e poiché non può essere salva senza di Te, sia sempre governata dalla tua grazia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti s. Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 25-26; 6: 1-10

Fratres: Si spíritu vívimus, spíritu et ambulémus. Non efficiámur inanis glóriæ cúpidi, ínvicem provocántes, ínvicem invidéntes. Fratres, et si præoccupátus fúerit homo in áliquo delícto, vos, qui spirituáles estis, hujúsmodi instrúite in spíritu lenitátis, consíderans teípsum, ne et tu tentéris. Alter alteríus ónera portáte, et sic adimplébitis legem Christi. Nam si quis exístimat se áliquid esse, cum nihil sit, ipse se sedúcit. Opus autem suum probet unusquísque, et sic in semetípso tantum glóriam habébit, et non in áltero. Unusquísque enim onus suum portábit. Commúnicet autem is, qui catechizátur verbo, ei, qui se catechízat, in ómnibus bonis. Nolíte erráre: Deus non irridétur. Quæ enim semináverit homo, hæc et metet. Quóniam qui séminat in carne sua, de carne et metet corruptiónem: qui autem séminat in spíritu, de spíritu metet vitam ætérnam. Bonum autem faciéntes, non deficiámus: témpore enim suo metémus, non deficiéntes. Ergo, dum tempus habémus, operémur bonum ad omnes, maxime autem ad domésticos fídei.

[Fratelli: Se viviamo di spirito, camminiamo secondo lo spirito. Non siamo avidi di vanagloria, provocandoci a vicenda, a vicenda inviandoci. Fratelli, quand’anche uno venisse sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali ammaestratelo con lo spirito di dolcezza, e bada a te stesso che tu pure non cada nella tentazione. Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. Poiché, se alcuno crede di essere qualche cosa, e invece non è nulla, costui inganna sé stesso. Piuttosto ciascuno esamini le proprie opere, e allora avrà motivo di gloriarsi soltanto in se stesso, e non nel confronto con gli altri. Perché ciascuno porterà il proprio fardello. Chi poi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i beni a chi lo istruisce. Non vogliate ingannarvi: Dio non si lascia schernire. Ciascuno mieterà quello che avrà seminato. Così, chi semina nella sua carne, dalla carne mieterà corruzione: chi, semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna. Non stanchiamoci dunque dal fare il bene; poiché se non ci stanchiamo, a suo tempo mieteremo. Perciò mentre abbiamo tempo facciamo del bene a tutti, e in modo speciale a quelli che, per la fede, sono della nostra famiglia.]  

CONOSCI TE STESSO

L’Epistola di quest’oggi è la continuazione di quella della domenica scorsa, nella quale si inculcava di vivere secondo lo spirito. Per vivere secondo lo spirito, prosegue l’Apostolo, bisogna fuggire la vanagloria e l’invidia. Si deve correggere chi sbaglia con spirito di dolcezza; tutti hanno a sopportarsi vicendevolmente. Persuasi del proprio nulla, devono esaminar spassionatamente le proprie azioni. Siamo, inoltre, generosi con chi ci istruisce nella fede. E conclude esortando di non stancarci di fare il bene, essendo la nostra vita il tempo della semina. Se in questa vita non ci stancheremo a seminare nello spirito, a suo tempo, mieteremo la vita eterna. – Accogliamo l’invito di S. Paolo, a esaminare le nostre opere.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

Graduale

Ps XCI: 2-3.
Bonum est confitéri Dómino: et psallere nómini tuo, Altíssime.

[È cosa buona lodare il Signore: inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]

V. Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctemm.

[È bello proclamare al mattino la tua misericordia, e la tua fedeltà nella notte.].

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XCIV: 3

Quóniam Deus magnus Dóminus, et Rex magnus super omnem terram. Allelúja.

[Poiché il Signore è Dio potente e Re grande su tutta la terra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum S. Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc VII: 11-16
“In illo témpore: Ibat Jesus in civitátem, quæ vocátur Naim: et ibant cum eo discípuli ejus et turba copiósa. Cum autem appropinquáret portæ civitátis, ecce, defúnctus efferebátur fílius únicus matris suæ: et hæc vidua erat: et turba civitátis multa cum illa. Quam cum vidísset Dóminus, misericórdia motus super eam, dixit illi: Noli flere. Et accéssit et tétigit lóculum. – Hi autem, qui portábant, stetérunt. – Et ait: Adoléscens, tibi dico, surge. Et resédit, qui erat mórtuus, et coepit loqui. Et dedit illum matri suæ. Accépit autem omnes timor: et magnificábant Deum, dicéntes: Quia Prophéta magnus surréxit in nobis: et quia Deus visitávit plebem suam.

[“In quel tempo avvenne che Gesù andava a una città chiamata Naim: e andavan seco i suoi discepoli, e una gran turba di popolo. E quand’ei fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato fuori alla sepoltura un figliuolo unico di sua madre, e questa era vedova: e gran numero di persone della città l’accompagnavano. E vedutala il Signore, mosso di lei a compassione, le disse: Non piangere. E si avvicinò alla bara, e la toccò (e quelli che la portavano si fermarono). Ed egli disse: Giovinetto, dico a te, levati su; e il morto si alzò a sedere, e principiò a parlare. Ed egli lo rese a sua madre. Ed entrò in tutti un gran timore; e glorificavano Dio, dicendo: Un profeta grande è apparso tra noi; e ha Dio visitato il suo popolo”

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

LA MADRE

Era Naim una borgata di Palestina. Fu proprio alle sue porte, che il Maestro incontrò un funerale. Portavano a sepoltura un giovane, un figlio unico: e sua madre era una vedova. Gran tratta di popolo, mossa dalla pietà del caso, accompagnava la salma. Gesù si fermò ed ecco una donna venire col viso nascosto sotto il velo oscuro, curva sotto il velo oscuro, curva sotto un’angoscia senza parola. La madre! Come la vide, il Figlio di Dio sentì il cuore pieno di misericordia per lei, per la madre. E dicendole — Non piangere! — chiamò il figliuolo fuori dal sonno della morte e lo restituì a lei: alla madre. Quam cum vidisset, motus super eam… Non il pietoso cadavere d’un giovanetta non la commiserazione d’una città, ma una madre in ambascia ha ottenuto il miracolo. Quando una Madre piange, Dio sente straziarsi le viscere (è il significato preciso della parola greca usata da Luca: « esplachnìsthe ») e non sa più resistere. « Madre », che misteriosa parola: essa è la prima che il bambino ignaro della vita riesce a balbettare. Essa è l’ultima che l’uomo esperto d’ogni amara fatica mormora nel turbine dell’agonia. Nelle ore più disperate in cui ci sentiamo schiacciati e soli nel mondo, involontariamente ognuno chiama la sua mamma: « Dov’è ella mai? Perché non sento la sua mano bianca carezzarmi la fronte ardente? » Nelle ore più benedette e fortunate, nessuna gioia è piena, nessuna gloria è colma, se manca la nostra mamma. « Dov’è ella mai? se mi potesse vedere! ». Guardando un giovane ben educato, che fa bella e onesta riuscita nel mondo, subito ci vengono in mente queste parole: « Sono i consigli, sono le preghiere di sua madre ». Incontrando invece qualche cattivo soggetto, fuorviato, depravato, noi diciamo: « Non ha avuto madre ». Ed io sono del parere di quelli che asseriscono come neppure il Figliuol Prodigo sarebbe finito a riempirsi il ventre con le ghiande dei porci, se la parabola gli avesse messo accanto una mamma. E non avete osservato con che accento d’insaziabile pietà gli orfani dicono: « La mia povera mamma… »? E non avete osservato quale tremito d’amarezza trascorre sulla bocca dell’uomo che tormentosamente esclama: « Ho fatto piangere mia madre… »? Madri, voi siete una potenza nel mondo. Perciò, permettete che vi richiami la dignità altissima a cui foste innalzate da Dio e da Cristo Salvatore. Permettete ch’io vi riguardi nella luce della nostra fede, in quella luce in cui Gesù vide la madre di Naim. Madre cristiana, significa Martire, perché la sua vita è un continuo olocausto; madre cristiana significa Angelo, perché la sua vita deve essere una continua elevazione a Dio sulle ali della preghiera. Forse questi pensieri faranno piangere molte che hanno dimenticato ciò che dovrebbero essere; faranno arrossire anche i mariti che in questa luce non hanno considerato mai la loro sposa; faranno pentire tutti i figliuoli che hanno disgustato la loro mamma. Dio voglia che avvenga così. – 1. LE MADRI DOLORANTI. Un lontano venerdì, al meriggio, una Madre ascendeva verso il sommo d’una collina appena fuori dalle mura di Gerusalemme. Era Maria, la madre di Dio: di Dio suo Figlio che agonizzava sopra una croce per la salvezza del mondo. Ed Ella dolorosa e lacrimosa stette a contemplare lo strazio del suo Unigenito. Grande come il mare fu la sua angoscia, e per ciò tutte le generazioni l’hanno riconosciuta come la più addolorata fra le donne. E dopo di Lei, dovrò ricordare tutte le madri cristiane, che l’imitarono nel sacrificio? Ricorderò Santa Sofia che vide co’ suoi occhi le tre figliuole uccise per la fede, e poi raccolse le reliquie delle tre piccole martiri, e le compose nella stessa arca e si adagiò sul loro sepolcro; e vi morì di dolore e di amore. Ricorderò anche la madre di S. Barulo. Mentre camminava per le vie di Antiochia con l’unico suo figlioletto, improvvisamente fu trascinata al tribunale del prefetto Asclepiade. Stavano processando un diacono, perché s’era rifiutato di adorare gli idoli. « Fa venire un fanciullo semplice ed innocente — diceva il martire al giudice — e sentiremo da lui se si devono onorare più dei, o un Dio solo ». E il primo fanciullo trovato, fu Barulo. « Barulo! — gli diceva Asclepiade con voce ingannevole — quella rosa che tieni fra le mani, non la potresti offrire a Giove? » « No! — rispose il bimbo — perché soltanto il Dio dei Cristiani è il Vero ». Scoppiò d’ira il prefetto: « Chi ti apprese a parlar così? ». « Mia madre rispose il piccolo — e a mia madre Iddio ». Allora fu consegnato ai carnefici perché fosse sospeso in alto e flagellato a morte in presenza della madre. E dall’alto, mentre le tenere carni percosse cadono a brani, dalle labbra riarse del fanciullo si sprigiona un lamento: « Oh, mamma, una goccia d’acqua! Ho sete ». « Figlio mio! — risponde la madre straziata — chi beve l’acqua terrena ha sete ancora… sopporta un poco e berrai al fonte dell’acqua che disseta per sempre ». Sopportò un poco ancora e gli fu troncata la testa nel grembo di sua madre! Che la Madre di Dio, che le madri doloranti dei martiri, insegnino anche alle nostre madri l’olocausto della maternità. La vita non è una festa, e i figliuoli non sono balocchi da conservare tra le carezze, gli agi, i capricci. La vita di una vera madre è un sacrificio lento, oscuro, continuo: è un immolarsi corpo ed anima, di giorno in giorno, per i figli e per lo sposo. Ma ora le giovani vanno al matrimonio sognando le rose soltanto, e di spine non vogliono saperne. Ecco perché con peccati e talvolta con delitti esecrandi si arriva fino a rifiutare d’essere madri, per sfuggire ai pesi e ai sacrifici della maternità. – 2. LE MADRI PREGANTI. Nell’infocato deserto di Bersabee da più giorni erravano una madre e un figlio: ed il figlio moriva di sete. Allora la madre lo pose sotto uno degli alberi che v’erano, s’allontanò quanto un tiro d’arco e piangendo alzava le mani e la voce al cielo: « Signore, non vedrò morire il mio fanciullo ». Quel grido fu udito da Dio, e venne un Angelo a dire: « Agar, che fai, non piangere più: prendi il figlio tuo e guarda ». In quel momento i suoi occhi scorsero non lontano un pozzo d’acqua, ove riempiendo l’otre, ella dissetò Ismaele (Gen. XXI). Ascoltate ancora di un’altra madre. Una volta che Gesù s’era spinto entro i confini della regione cananea, una donna che aveva la figlia torturata dal demonio venne a Lui, si buttò ai suoi piedi gridando: « Signore, pietà di mia figlia, e di me ». Ed il Signore dapprima la guardò senza rispondere, ma come ella raddoppiava le insistenze, i discepoli stessi lo pregarono di esaudirla. Egli allora parlò, ma per dire una parola dura: « Il mio popolo è quello d’Israele, tu sei forestiera. Donna, non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cani ». Ma quella donna era madre e pregò con eroica fede così: « E s’io sono un cane, almeno non mi sia negato il diritto dei cani che è ben quello di raccogliere le briciole cadute dalla tavola del padrone ». Gesù non poté più resistere: « La tua fede è grande! — esclamò commosso — ti sia concesso ciò che domandi ». Quante madri ancora somigliano ad Agar dell’Antico Testamento? l’anima del loro figlio, del loro sposo muore di sete nel deserto della vita, poiché da tempo hanno lasciato la Chiesa, le devozioni, l’amor del lavoro e della famiglia… Quante madri ancora somigliano alla Cananea del Nuovo Testamento; la loro figlia è tormentata dal demonio: non vuol più ubbidire, non vuol più vivere onestamente. Le mode, le gite, gli amici, le lunghe ore serotine passate fuori di casa l’hanno rovinata nell’anima… Bisogna pregare. « Signore! — dicono anch’esse piangendo — io non voglio vederlo morire di sete! Fa’ che ritorni a Te ed ai Sacramenti, fa che si disseti con l’acqua della tua grazia, fa che diventi buono » — « Signore! — dicano anch’esse — scaccia da mia figlia il demonio della leggerezza, dell’immodestia, della vanità, della disobbedienza, dello scandalo. Fa che diventi buona ». Alle madri che pregano e piangono con fede, con insistenza di anni e di anni — come santa Monica — Dio non può resistere. Ma perché dunque queste giovani madri dei nostri tempi pregano così poco? Perché non si recita più il Rosario alla sera, la preghiera prima dei pasti e del riposo, l’Angelus del mezzodì, le giaculatorie durante il lavoro? Perché non si sente il bisogno della Comunione frequente, della Messa quotidiana? – Si racconta dell’imperatore Corrado che assediò una città di Germania e la prese a discrezione. « Sia sterminata col ferro e col fuoco e nella rovina perisca ogni abitante ed ogni roba », questo era l’orrido bando. Ma le madri scarmigliate si prosternarono davanti al padiglione del terreo conquistatore e seppero singhiozzare così pietosamente che concesse a loro il permesso di fuggire con ciò che potevano portarsi dietro. E quelle con improvviso ardimento, si presero sulle spalle gli sposi e sulle braccia i figli e li sottrassero alla morte. Ah, le madri cristiane avranno forse meno zelo per sottrarre i loro cari alla morte spirituale? Ecco che il re dell’inferno cinge d’assedio le nostre case: sono mille nuovi pericoli che accerchiano la fede e il buon costume delle famiglie. Solo il sacrificio e la preghiera delle madri potrà strappare fuori dall’eterna rovina gli uomini ed i fanciulli. — LA SANTA MADRE CHIESA PIANGE. Questa donna di Naim mi ricorda un’altra mistica donna che oggi piange dietro alle anime morte non di uno solo, ma di mille e mille suoi figli giovanetti: la santa Madre Chiesa. Non è essa la sposa di Cristo vedovata per l’ascensione di Lui al cielo? Tutti i giovani che hanno perso l’innocenza della vita e l’amore alla preghiera e il desiderio della Comunione, non sono forse i suoi figliuoli morti? La gioventù non respira più nell’atmosfera cristiana, ma agonizza e muore nello spasimo di un’asma morale. V’è un attossicamento di anime, una lebbra di cuori, una tubercolosi spirituale. Perciò la Chiesa oggi piange. O Cristiani aprite una volta gli occhi e vedete la corruzione della nostra gioventù come dilaga; poi ricercatene qualche causa per opporvi rimedio. – 1. LA CORRUZIONE DEI GIOVANI. Un giorno che il Papa San Gregorio attraversava la piazza del mercato di Roma, vide un gruppo di giovani legati sopra un banco: bellissimi di forma, piacevoli di volto e tutti biondi di capelli. Erano schiavi ed aspettavano che qualcuno li comprasse. Il beato Gregorio passando vicino, domandò al mercante donde li avesse condotti. « Di Bretagna, — rispose quello — là, ove gli abitanti risplendono di simigliante bianchezza ». E ancora domandò: « Almeno sono essi Cristiani? » E il mercante rispose: « Non sono Cristiani, anzi sono involti negli orrori del paganesimo ». Allora S. Gregorio incominciò fortemente a sospirare in mezzo al mercato, e a piangere come un fanciullo, così dicendo: « Ohimè, dolente! che bellissimi giovani e che splendidi facce son venduti schiavi agli uomini pessimi e al demonio maligno ». Usciamo anche noi, e guardiamo con occhi cristiani su questa gran piazza di mercato che è il mondo: guardiamo la sorte della nostra gioventù. Sono fanciulli che a otto a dieci anni perdono di già la santa Messa nei giorni festivi; che di già non pregano più né mattina né sera. Sono giovani che non vengono mai alla dottrina cristiana, che non vogliono frequentare più l’oratorio, per divertirsi tutta la domenica e offendere il Signore. – I campi sportivi, i divertimenti; i balli rigurgitano di giovanetti: alla sera tornano a casa, ma il loro occhio non è limpido, ma la loro fronte non è più serena, ma la loro anima è una fiamma. Una fiamma d’impurità che li divora. Essi hanno visto, hanno udito, hanno imparato il male. E quando il demonio del vizio brutto entra in corpo a un nostro figliuolo lo rende muto. Subito ve ne accorgete, perché non prega più, non si confessa più come una volta, non apre più la sua bocca a ricevere il Pane degli Angeli. Allora è finita. E che cosa si può sperare ancora quando finanche le fanciulle hanno perso il senso del pudore istintivo nel cuor della donna? Voi le vedete in giro ad ogni ora, e sole: di giorno, di sera, di notte. Voi le sentite frivolmente ridere e scherzare per le strade; vestono una moda così immorale che forse non s’è vista mai, neppure al tempo dei pagani. E la gioventù ha l’anima bella. Un’anima splendente, che non vien di Bretagna come quei giovani che vide il beato Gregorio, ma viene da Dio e a Dio deve ritornare. Ma chi piange ora che sì belle anime cadono schiave di uomini pessimi e del demonio maligno? Il Papa più volte ha levato il suo grido d’allarme e contro alla moda e contro alla corruzione che dilaga. Il Papa dal Vaticano, come un giorno S. Gregorio sul mercato di Roma, sospira fortemente e piange sulla rovina della gioventù. – 2. QUALCHE CAUSA. « Oh i ragazzi adesso, non sono più come quelli di una volta! Nascono. già con un istinto più perverso… » così dicono le mamme ed anche i papà. Può darsi: ma è proprio possibile che il Signore tutti i buoni figliuoli li abbia già fatti nascere, e per i nostri tempi, abbia riserbato soltanto i cattivi? « Adesso si respira un’aria diversa. Ai nostri tempi non c’erano tanti luoghi di divertimento, tanti sports: e siamo cresciuti più sani e più onesti ». Sì, questo è vero ma non basta a spiegar tutto. Io credo, — e scusate genitori se ve lo dico, è per vostro bene — io credo che la vera colpa di tanto sfacelo morale ricada sui padri e sulle madri. Sapete perché i ragazzi di adesso non sono più come quelli di una volta? Perché anche ì genitori d’adesso non sono più come quelli d’allora. Il figlio in mano vostra è come una cera e cresce come voi lo volete. Il grande Vescovo di Costantinopoli S. Giovanni Crisostomo, quell’uomo meraviglioso che tanta orma di sé ha impresso sui secoli della storia, nacque nel 344, in una ricca e distinta famiglia. Il padre Secondo morì nel fior dell’età e lasciò vedova a vent’anni Antusa. A questa donna, ben degna dell’augusto nome di madre, si deve in gran parte la gloria del figlio. Per donarsi totalmente all’educazione del suo Giovanni, rifiutò un secondo matrimonio. Fu così fedele per ben due decenni ai suoi doveri di madre da strappare al pagano Libanio queste parole: « Che donne meravigliose ci sono tra i Cristiani! ». Or dove sono queste mamme? Che meraviglia allora che non ci siano più figli come Giovanni Crisostomo? Naturalmente non basta sorvegliare e avvisare i figli, sgridarli, castigarli: bisogna dar loro l’esempio. Perché i giovani non ragionano ancora e vivono di imitazione. Il piccolo Origene era un’anima ardente e pura. In quel tempo infieriva la persecuzione contro i Cristiani: lo sapeva il fanciullo, ma non aveva paura. Anzi agognava il martirio, per testimoniare col suggello della vita e del sangue a Cristo tutto il suo amore. Già in segreto aveva deciso di consegnarsi spontaneamente nelle mani dei carnefici. E sarebbe morto martire se l’astuzia della madre non fosse riuscita ad impedirglielo. La santa donna, che aveva intuito l’eroico disegno del suo figliuolo, prima che si svegliasse, nascose tutti i suoi abiti e l’obbligò a rimane a letto (EUSEBIO, Storia Eccl., VI, 2-5). Com’è possibile in un fanciullo tanto coraggio, tanta fede e questo entusiasmo fino alla morte? Com’è possibile? Suo padre gliene aveva dato l’esempio: il beato Leonida era morto martire. O genitori! i vostri figliuoli cresceranno secondo i vostri esempi. Li volete obbedienti? Cominciate voi ad ubbidire a tutte le leggi di Dio. Li volete devoti, che frequentino i Sacramenti? Cominciate voi ad essere devoti e a frequentare i Sacramenti. Li volete puri, onesti, lavoratori? Cominciate voi ad essere puri, onesti, lavoratori. Infine, vi raccomando: pregate per i vostri figliuoli, offrite qualche sacrificio per loro, fate per loro qualche elemosina. Perché noi ci affanniamo, ma quello che fa tutto è Dio. Una volta ho sentito una mamma che in un momento di stizza, fece questa imprecazione contro un suo bambino: « Che Dio ti faccia morire! ». No: non dite mai, non dite più questa parola. Bisogna pregar Dio per i vostri figliuoli ogni giorno, non perché li faccia morire, ma perché ce li preservi dal male, che è tanto nel mondo, che è orribile. Così pregava Gesù per i suoi Apostoli, che teneramente amava come figliuoli: « O Signore! non perché li tolga da questo mondo, ma perché li preservi dal male, io ti prego ». Non rogo ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo (Giov., XVII, 15). –  O Gesù! che un giorno hai sentito fremere il tuo cuore davanti alla desolata donna di Naim piangente sul suo giovanetto figlio, oggi ti prenda compassione anche della santa Madre Chiesa, che piange la rovina di tanti suoi figli giovanetti. Non permettere che pianga più oltre: consola il tuo Vicario. O Gesù! come un giorno alle porte di Naim, avvicinati oggi alle porte delle nostre città, alle porte dei nostri paesi, alle porte del cuore dei nostri figliuoli. Toccali Tu. Liberali dalla morte del peccato. Grida anche loro la tua parola di vita: « Giovanetto, risorgi: son Io che te lo comando ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 2; 3; 4
Exspéctans exspectávi Dóminum, et respéxit me: et exaudívit deprecatiónem meam: et immísit in os meum cánticum novum, hymnum Deo nostro.

[Ebbi ferma fiducia nel Signore, il quale si volse verso di me e ascoltò il mio grido: e pose nella mia bocca un càntico nuovo, un inno al nostro Dio.]

Secreta

Tua nos, Dómine, sacramenta custodiant: et contra diabólicos semper tueántur incúrsus.

[I tuoi sacramenti, o Signore, ci custodiscano e ci difendano sempre dagli assalti del demonio.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Domine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua gloria, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretionis sentímus. Ut in confessione veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia unitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamare quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Benedíctus, qui venit in nomine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præceptis salutáribus móniti, et divína institutióne formati audemus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann VI: 52
Panis, quem ego dédero, caro mea est pro sæculi vita.

[Il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo.]

Postcommunio

Orémus.

Mentes nostras et córpora possídeat, quǽsumus, Dómine, doni cœléstis operátio: ut non noster sensus in nobis, sed júgiter ejus prævéniat efféctus.

[L’azione di questo dono celeste dòmini, Te ne preghiamo, o Signore, le nostre menti e nostri corpi, affinché prevalga sempre in noi il suo effetto e non il nostro sentire.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (268)

LO SCUDO DELLA FEDE (268)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (10)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO XI.

CATTOLICESIMO

I. La religione non s’ha da immischiare nell’avviamento esterno della società. Il. La prudenza richiede il giusto-mezzo — la moderazione,— non bisogna essere esclusivi.

Abbiamo accennato sopra tante sorti di religione che ormai sembra che dovrebbe bastare: eppure, osservando quel che accade nel mondo, ve n’ha ancora una specie di cui non si può tacere. Ed è un cattolicismo inventato da poco tempo in qua, e di così buona natura, che tollera tutto quello che gli si vuole far tollerare. È modesto e chiude gli occhi, è pacifico e tiene la lingua, è umile e non comanda, è prudente e vive ritirato, non intorbida le coscienze, non agita gli spiriti, condiscende a tutto quello che altri vuole, e restringendosi alla sagrestia ed all’interiore della famiglia non pretende di mostrarsi nell’andamento esterno della società. Questo è il cattolicesimo che è di moda principalmente nelle case di personaggi chiari, come Deputati, Ministri, Magistrati, uomini di Stato, e poi si stende a quelli che ad essi reggono il lume e tengono il sacco. Mi chiederete come si sorregga questa nuova religione? Vi risponderò che con due principii magistrali che vogliono ognuno da sé una dimostrazione: La religione s’occupa del cielo, e non s’immischia degli affari umani;- la prudenza vuole il giusto mezzo in tutte le cose, e non bisogna essere troppo esclusivi nel proprio modo di vedere: con questi sostegni essa cammina snella e non teme d’inciampi.. Vogliamo però credere che anche il Signore, li riconoscerà?

Ora lo vedremo.

I. La religione non s’ha da immischiare nell’andamento esteriore della società. Questa proposizione potrebbe in qualche modo trarsi a buon senso, ma, presa così generalmente come ella suona, è falsissima. La religione non s’ha da immischiare nell’andamento esteriore della società, cioè non ha da ordinare per sé medesima le cose civili, è chiaro. La religione non fa le leggi, non ordina le milizie, non amministra le rendite, non nomina gl’impiegati, non mette in piedi né banche né le borse, non fa le paci né le guerre, la cosa parla da sé: ma la religione non s’ha da-intromettere in tutte queste cose colla sua virtù, colle sue norme, questo è falso, in guado superlativo: Che cosa è la religione? È il complesso; l’accolta di tutti i doveri che si corrono verso il Signore: è dunque chiaro che non abbraccia solo la preghiera, il sacrifizio i sacramenti e le pratiche di pietà, ma ancora e principalmente la giustizia, l’onestà, le virtù, colle quali si presta a Dio un culto perfetto: Come dunque la religione non s’ha da immischiare nell’andamento esterno della società? E può adunque la società andare avanti senza la giustizia, l’onestà, la fedeltà, le leggi eterne di Dio? Ma allora ci farete non una società d’uomini, sebbene un covile di fiere o una mandria di armenti. – Del resto, si comprenderà vie meglio l’assurdo di quella proposizione, percorrendo alcuni di quei punti, da quali si vuole’ più di proposito rimuovere la religione: La politica è la prima ad escluderla. Ad intendere alcuni quando si tratta di vantaggi del proprio paese, delle relazioni che passano tra nazione e nazione, allora la religione non ci ha che vedere. Ma, di grazia, e le società non sono più obbligate al pari degli individui a mantenere la giustizia e ad onorare con essa la divinità? Sarebbe bella che i furti, le rapine, gli omicidii, l’irreligione fossero delitti finché si commettono dai privati ed in materia tenue, e diventassero virtù quando si commettono dalle nazioni, ed in materia tanto più ampia. È chiaro adunque che la religione ha da entrare anche in diplomazia, ha da presiedere alle relazioni internazionali, e tanto. più ha da tenere ivi gli occhi aperti, quanto sarebbero più gravi le ingiustizie o quanto più difficile ne sarebbe il rimedio. Le varie fogge di governo che possono introdursi in un paese, sono di appartenenza della religione. Verissimo; presa la cosa in astratto, poiché può darsi caso in cui sia vera autorità e diritto, e forse anche vantaggio, convenienza e, se volete, perfino necessità, d’innovare e di riformare. Ma non sarebbero possibili anche cambiamenti che pregiudicassero ai diritti preesistenti? E se questo calo si desse, la religione non dovrebbe più chiamare le cose pel loro nome, e dir furto al furto, oppure, cesserebbe ella di essere la custode della giustizia? Inoltre, se questi cambiamenti, oltre alla forma politica, si stendessero anche ad immutare le leggi o la costituzione della Chiesa; se riuscissero di grave danno alla purezza della fede o del costume, nè anche allora avrebbe nulla che dire la religione? – Alla religione sogliono per lo più fare il viso dell’armi i legislatori alla moderna. E tuttavia dove starebbe essa meglio di casa che presso di loro? Tanto hanno da essere commensurate le leggi alle norme della giustizia, della onestà, della religione, che, dove le fossero evidentemente contrarie, non hanno neppure valor di legge. E ciò fu inteso sì fattamente persino dai pagani al lume di natura, che tutti hanno fatto intervenire come assistente ai legislatori la divinità. Perché dunque la religione vera non dovrà offrire a quelli le sue norme di giustizia, di verità, di carità, sia per loro sicurezza come per guarentigia del pubblico bene? Chi pensa potere senza religione dettar leggi, sente più del tiranno che delnprincipe, e fa grande sospetto dove non voglia la religione per consigliera, di volervi solo l’interesse proprio o la passione. Senzaché la legge può essere anche o per ignoranza o per malizia del legislatore offensiva della giustizia, oppure contraria alla medesima religione; ed allora a chi tocca far sentire le sue giuste querele se non a quella che fu data da Dio agli uomini per guida suprema? La magistratura eziandio crede talvolta bastarle la lettera della legge e non abbisognare di religione, ma e chi ne abbisogna nel fatto più di lei? E dove sono leggi siffatte al mondo che non lascino infiniti casi particolari alla prudenza, alla discrezione, alla coscienza dei magistrati? Se però questi non hanno bene stabilita in cuore la religione, come resisteranno alle seduzioni dell’oro, dell’amicizia, della passione, del timore, ed a tutte le corruttele della misera umanità? – La religione viene sbandita al dì nostri dalle università, poiché si stima la scienza non abbisognare di lei. E tuttavia qual è quella scienza che, non confortata dalla religione, possa incedere sicura? Se ne togliete un poco di empirismo nelle scienze naturali, tutte le altre dalla religione ricevono la vita. E ciò per non dir nulla che uffizio così geloso, che è il dare agli uomini una seconda vita qual è l’intellettuale, esige al tutto ne’ maestri come cauzione unanprofonda religiosità: se già non s’ha da cambiare in veleno di errori il farmaco salutare della scienza. • La milizia stessa, che a prima vista può parere meno affine alla religione, pur la domanda a gran voce; conciossiaché che cosa sono i gran corpi di eserciti senza quell’ anima interiore? Sono una forza brutale, smisurata, più pronta a mettere in piedi il disordine, a difenderlo, a patronarlo, che non a tutelare la società. – In una parola, la religione non ha essa da costituire le leggi, né i magistrati, né le milizie, né niuna altra cosa meramente civile, ma ha da èssere l’anima di tutto quello che viene costituito. Ha da prescrivere all’individuo la condotta privata entrandogli fin nell’intimo della coscienza, e reggendone anche tutto l’esteriore. Ha da penetrare nel segreto della famiglia e comporre le relazioni scambievoli dei coniugati fra di sé, dei genitori verso dei figliuoli, dei padroni verso dei servi e viceversa. La religione ha da mostrarsi in pubblico ne’ fondachi, nelle botteghe, nelle officine; ha da spaziare in sulle piazze, in sui mercati, alle borse; ha da accompagnarsi coi campagnoli, coi popolani, coi soldati; ha da salire sulle scranne dei Deputati, dei giudici, dei legislatori; ha da penetrare nei gabinetti dei Ministri, dei diplomatici, e s’ha da assidere sul soglio degl’Imperatori e dei Re. Tutte le azioni dell’uomo hanno da essere informate delle sue massime, regolate co’ suoi precetti, infrenate da’ suoi divieti, confortate dalle sue promesse. I doveri vanno osservati con religione, con religione mantenuti i diritti, e ciò con una costanza saldissima, perché bisogna che sia così sino all’ultimo respiro. Né solo negativamente, in quanto non sia mai lecito in verun tempo far cosa che disconvenga alla religione; ma ancora positivamente, in quanto niuna azione possa mai farsi che non sia commensurata alle norme prescritte dalla religione. – E tuttociò è evidente dalla padronanza suprema che Gesù Cristo, autore della religione, ha sopra tutti gli uomini e grandi e piccoli, e nobili e plebei, e dotti e ignoranti, e sudditi e monarchi; dall’imporre che ha fatto a tutti le stesse norme senza eccettuare persona di sorta; dalla necessità indispensabile di rendere sempre a Dio il culto della giustizia, della verità; dalla permanenza incrollabile de’ suoi divieti, pei quali ha proibito di contravvenire a questa sua volontà sì solenne. Sopra quale fondamento adunque si stabilisce che la religione non ha da entrare nelle cose pubbliche? – Inoltre perché la religione non entri nell’esterior governo della società. sarebbe necessario ammettere una di queste due cose, o che il privato si spogli della coscienza, quando amministra la cosa pubblica, oppur che si provveda di due coscienze ad un tratto. Che si spogli della propria coscienza: poiché se vi apporta la medesima, supposto che stimi doverosa la religione in privato, quella non potrà mai presentare altro che le stesse norme per quello che è pubblico. Chi giudica, a cagion di esempio, in privato non poter rubare uno scudo, o percuotere un innocente, non potrà mai stimarsi lecito rubare un milione, o mandar un innocente al patibolo: oppure che si provveda di due coscienze ad un tratto; l’una per giudicare ad un modo gli affari suoi privati, individuali, domestici; l’altra per trattare i negozi civili, pubblici, politici. Sarebbe questo veramente un trovato meraviglioso, eppure niente raro in questi tempi di coraggio civile. Abbiamo veduto uomini incomparabili, i quali scrivevano libri devoti ed orazioni affettuose, e poi ne scrivevano altri contro dei preti e dei Cardinali: abbiamo veduto Ministri di Stato e uomini di Governo che andavano devotamente alla santa Messa, e poi rientrati ne’ loro uffici s’occupavano più divotamente a tormentare Vescovi e religiosi: abbiamo veduto diplomatici di gran vaglia disputare tutta la sera alla santa Chiesa i più incontrastabili suoi diritti, e poi fare con grand’edificazione la mattina seguente la Comunione: abbiamo veduto uomini che giuravano di esser Cattolici quanto il Papa, ma che frattanto bravavano le più orrende scomuniche con usurpazioni sacrileghe: e vediamo ed udiamo tutto giorno molti di costoro, i quali, grazie a Dio, come parlano essi, sanno quel che debbono alla religione, ma perché sanno anche quel che debbono alla politica, mantengono che è uno scandalo vedere il Sommo Pontefice alla testa di uno Stato, che è un orrore vedere il successor di san Pietro sul trono. E mentre scrivo queste parole, mi giunge alle mani un libretto, dove l’autore, fatte mille proteste di esser cattolico, e prodigati i più grandi elogi alla Sede apostolica; dice poi che il Papa ed i Vescovi ed il clero tutto quanto non conoscono più né la giustizia, né il dovere, perché non caldeggiano la santa rivoluzione d’Italia. – Colla qual religione s’ha poi anche un altro vantaggio tanto più prezioso, quanto finora meno conosciuto: ed è il comporre insieme cose che fìnquì si stimavano al tutto contraddittorie e repugnanti; soddisfare cioè a Dio senza dare troppo ombra al diavolo, acquetar la coscienza e non iscontentar la passione, accettar l’opera dei preti e dei regolari, e perseguitar preti e regolari, incontrar lode vesso i Cattolici e non incorrer biasimo presso dei miscredenti. – In tempo di fusioni siccome è questo, il trovato è inestimabile. Peccato solo che in quella composizione vi sia qualche metallo che al tutto non voglia far lega con gli altri e che Gesù Cristo abbia detto che chi non è con Lui, è contro di Lui; che chi con Lui non raccoglie, disperde; che niuno può servire a due padroni! Ma questo sel vedranno essi: forse avranno trovato il modo come persuadere a sé che la religione non ha da entrar nella cosa pubblica, così di persuadere a Gesù Cristo che non s’ha da mescolar delle cose loro; chi sa? – Voi, frattanto, o lettore, cavate dal fin qui detto una conseguenza di sommo rilievo, ed è il torto che hanno quei che pretendono, il clero non doversi immischiare nelle cose politiche, e l’equivoco da cui procedono tutte le loro declamazioni. Imperocché se vogliono significare solo che il clero non s’ha da occupare di contratti, di merci, di borse, di banche, di brighe secolaresche, di fare e disfare il mondo, noi li ringrazieremo dell’avviso, e solo pregheremo cotesti zelanti a contentarsi di lasciar fare alla Chiesa, che probabilmente se ne intenderà più di loro. Al più, al più lascino la necessaria libertà ai Vescovi per fare osservare i canoni, non prendano la protezione di qualche prete riottoso, non tengano il sacco a qualche frate impazzato che si trafora dove non debbe. Ma se vogliono dire che al clero don appartiene l’occuparsi della cosa pubblica in altri modi, lo negheremo recisamente. Il clero può trattare tutte le quistioni sociali, siccome scienza, al pari di qualunque altro, e forse più e meglio per ragione delle scienze sacre a cui è addetto. Ne’ paesi retti a libere istituzioni, il clero vi ha quel diritto che v’ha ognuno, se già l’essere di sacerdote non toglie ormai l’essere di cittadino, come pare a taluni. Il clero debbe parlare come quello che è custode della moralità, e finora non s’è recato mai in dubbio che spettasse alla Chiesa il definire come e quando la moralità rimanga o non rimanga violata. Il clero debbe parlare perché le questioni politiche, il soggetto delle leggi, i pubblici provvedimenti nella società cristiana hanno infinite relazioni col costume, colla fede, coi sacramenti, colla Chiesa. – Non solo può, ma debbe il clero in molti casi parlare e parlar alto per soddisfare all’obbligo impostogli da Gesù Cristo di mantenere i diritti di lui, di sicurare il popolo fedele contro la seduzione dell’errore. Debbono parlare i sacerdoti, e debbono parlar anche più alto i Vescovi come quelli che succedono agli Apostoli, i quali dicevano agli anziani della sinagoga: non possiamo tacere. So bene che dove non basteranno le declamazioni a farli ammutolire, saranno talora impiegate contro di essi le minacce, le violenze, gli esilii, le carceri e le mannaie; ma so ancora che il sacerdozio non per questo tacerà. Finchè rimarrà una voce (e questa non verrà mai meno), quella voce parlerà é per onore di Gesù Cristo e per salvaguardia del popolo cristiano, e parlando condannerà le leggi ingiuste, i procedimenti arbitrari, le violazioni, i soprusi, le angherie, le usurpazioni sulla Chiesa, la politica di Macchiavello, e tutte non solo le private ma pure le pubbliche iniquità. Se il mondo non ha intelletto per comprendere quanto divina istituzione sia quella che, attraverso i secoli e le passioni, mantiene sempre intatte e proclama le leggi eterne della giustizia, e sfolgora tutti gli errori, tal sia di lui; non per questo Gesù o la cambierà o la lascerà venir meno: e chi non se ne gioverà per iscampo e salvezza, la incontrerà per confusione e condanna.

II. L’altro sostegno del nuovo Cattolicesimo, di cui parliamo, è riposto in un gran numero di principii che si formulano in vari modi: Ci vuol prudenza il giust0 mezzo non esagerare…. accomodarsi non essere esclusivi: tutti segreti opportuni coi quali la religione di alcuni passa in mezzo a tutti gli scogli senza urtare giammai. Ora, o lettore, io non ho veruna difficoltà a concedervi che la prudenza sia sommamente necessaria al mondo, poiché senza di essa gli stessi provvedimenti e i fini più santi non approdano: però neppur voi negherete a Gesù Cristo che lo insegna, che ci possa essere anche una prudenza carnale, animalesca, diabolica. – Inoltre, spero che neppure farete alla Chiesa il torto di credere che proceda all’avventata, che operi per puntiglio, che sollevi pretensioni vane, che faccia e disfaccia a capriccio, che perfidii per ostinazione nelle sue determinazioni. Cento di quelle istituzioni che ora riprendono i libertini in lei, non sono altro che l’effetto della divina prudenza per cui ella s’accomodò, se così volete parlare, alle tendenze dei popoli e delle nazioni nelle varie età e circostanze. Eccovene un saggio. Dopo le invasioni che i barbari del Nord fecero dell’Impero romano, il voto di tutti i popoli già cristianeggiati era che la Chiesa prendesse in mano il governo anche temporale di loro, perché sola potente a ricoprirli colla sua egida da quei fieri padroni che li dominavano: e la Chiesa consentì che essi se ne incaricassero, e fondassero così gl’imperi moderni e la civiltà. Si risvegliò più tardi tra queste nazioni lo spirito cavalleresco e la vaghezza d’imprese ardite, e la Chiesa, cedendo a questo spirito in parte, lo santificò col volgerlo ad opere sante: onde ne nacquero li ordini militari, le crociate, la difesa e l’onore del sesso più debole. Il secolo mirava a correre avventure strane in viaggi folli e romanzeschi, e la Chiesa, cedendo in parte, santificò quei desideri ponendo loro per oggetto il visitare il santo Sepolcro, Nostra Donna di Loreto, S. Giacomo di Galizia, ed altri pellegrinaggi dívoti. Più tardi si risvegliò in mezzo al secolo la brama della vita religiosa pei luminosi esempi che ne porgevano i patriarchi Francesco e Domenico, e la Chiesa, cedendo in parte a queste brame, istituì i terzi Ordini pei laici, ed innumerevoli altre associazioni e fraternità. Ai dì nostri l’amor della umanità e delle associazioni domina soprattutto: e la Chiesa non ha difficoltà di fondare asili, orfanotrofi, ricoveri, scuole pel popolo, purché s’introduca in essi il principio cristiano; e dà vigore alle associazioni di S. Vincenzo de’ Paoli, di S. Bonifacio, di Pio IX, di S. Francesco Regis e ad innumerevoli congregazioni di uomini e di donne di tutte le classi della società. E ciò per non dir nulla delle sue condiscendenze con ogni condizione di persone; ne’ digiuni e nelle astinenze che prescrive e modifica secondo i luoghi e le circostanze; nelle predicazioni che istituisce di conferenze, di catechismi di perseveranza e di ritiri: nelle istituzioni che fa pei vecchi, pei giovani, per le pericolanti, per le ripentite: nelle quali tutte è manifesto anche ai ciechi quanto essa si attemperi ed adatti ai bisogni della società. Non vogliamo dunque escluder la vera prudenza, né distrugger la vera discrezione e la giusta condiscendenza. – Che cosa è pertanto quello che qui si condanna come sostegno fragile di un più fragile Cattolicesimo? È il nascondere che si fa sotto quel velo una vera infedeltà, una vera apostasia. Imperocché non è mai che un Cattolico di questa foggia appelli alla prudenza, al giusto mezzo, alla discrezione, che non sia col fine d’immolare qualche verità di fede, o qualche principio morale alla miscredenza, al filosofismo ed all’empietà. Se non lo credete a me, credete a voi stessi, osservando in quali quistioni ed argomenti siano essi più ordinariamente messi in campo. Fate che si metta discorso intorno alla fede, che è sì frequente a’ dì nostri, e che un Cristiano più fervoroso accenni alle felicità di esser Cattolico, all’infelicità del protestante; udrete subito i moderati dargli sulla voce come ad intollerante, e gridare: oh perché ne staremo noi meglio di loro; chi sa poi alla fine dei conti quello che ne sarà; e colla sua rara discrezione pospone il Cattolicesimo al protestantismo, vi reca in dubbio la fede cattolica, vi scema l’orrore che è giusto che si abbia dell’eresia. Si parli di pratiche religiose, e fate che alcuno esalti il fervore e la fedeltà nel soddisfarvi, che lodi qualche atto più segnalato di virtù, I’annegazione di se stesso, la penitenza, l’austerità : se uno di cotesti moderati lo sente, non fallirà a dir tosto, che ei non intende tutte queste asceticherie ed esagerazioni, che non vede male a godere onestamente i beni del mondo: e così con gran moderazione riprende la dottrina evangelica, biasima quel che hanno fatto tutti i Santi, e disconosce la giusta severità ed il santo rigor cristiano. – Intorno alla Chiesa poi sono infiniti i mezzi termini, i giusti temperamenti che si prendono per isfuggire le esorbitanze, per non essere esclusivi. La Chiesa ha vera autorità di far leggi, perchè gliel’ha conferita il divin Salvatore, ma si provi a tentarlo dinanzi al tribunale dei moderati, e vedrà come ne sarà concia. Le faccia pure, diranno certi Ministri di Stato di questa risma, le faccia pure, ma le comunichi prima a noi; dia pure la sua giurisdizione ai Vescovi, ai sacerdoti, ma quando il consentiremo noi: così lo richiede l’accordo necessario tra le due podestà. E frattanto con questo giusto mezzo si toglie alla Chiesa ogni libertà, e si grava di ceppi più che non fece nè Decio nè Diocleziano. Il Papa sfolgora colle sue costituzioni la libertà di pensiero, di stampa, di culti che si predica oggidì; ma e che gran male c’è, ripiglian costoro, a manifestare un pensiero, a levarsi una curiosità? La Chiesa condanna le società segrete di qualunque fatta, ma e chi lo persuade a costoro, che vi dicono, compassionando la Chiesa che non se n’intende, che le società segrete non sono poi per altro che per esercitare la beneficenza e la carità? Né si avveggono pure che in tutto ciò disconoscono affatto l’autorità della Chiesa, il suo Magistero, la sua infallibilità. – La Chiesa ha avuto dalla Provvidenza divina un trono per la sua indipendenza: qual è quel moderato a cui non sappia ostico quella sovranità, che non conosca a fondo che finalmente non le è poi necessaria, che non ripeta che S. Pietro non regnava sul trono; che cioè dal suo canto almeno colle parole non consenta alla spogliazione più sacrilega che si possa fare dall’empietà congiurata coll’assassinio. – Io non finirei mai se volessi enumerare tutti i punti intorno a cui la discrezione, la prudenza ha inventato mezzi termini per patteggiar coll’errore. Non si parlamenta solo, ma si capitola: si ammette la fede, ma quando la ragione il consente; si ricevono i misteri , ma purché non offendano troppo; i miracoli ma che non siano esorbitanti; l’autorità della Chiesa, ma purché usi modo e maniera; la vita cristiana, ma ben inteso che non sofistichi troppo sopra i divertimenti; l’inferno, purché si rimuova l’idea del fuoco; il paradiso e l’eternità, purché non sia mestieri rinunziare ai godimenti della terra nel tempo. Cosa incredibile ma pur vera, ho inteso colle mie orecchie taluno di costoro rifare sulle labbra del Sommo Pontefice il discorso, e trovare che nelle sue allocuzioni medesime, salve le cose, e doveva e poteva recarvi più moderazione di formole, e credere in sul serio che poteva insegnare al Papa il modo con cui parlare! – Gran Dio! Che cosa è mai tutto ciò? È un rinnegare e snaturare tutta la religione, e commettere un vero atto di apostasia. Dico snaturare la religione, perché, tranne quei punti, ne’ quali ho mostrato ragionevole la condiscendenza della Chiesa, quanto ai dogmi ed alle verità speculative, quanto ai principii ed ai precetti pratici, essa tanto non può cedere quanto non può consentire all’errore. Non sono vere per metà le cose rivelate che ci propone a credere, non sono obbligatori per metà i precetti che essa ci propone ad osservare: i suoi principii non variano colle vicende umane, il suo spirito non è vago, non è incerto, non è fluttuante, non dipende dalla nostra mutabilità. Il perché tutte quelle modificazioni, restrizioni, accomodamenti che altri v’apporta, sono un pervertimento fatto alla verità. – Che se volete comprendere anche meglio il veleno della moderazione rifatevi un istante alla sorgente da cui proviene. La falsa moderazione ha per sorgente in primo luogo la viltà dell’animo. Essa si ingenera in quegli spiriti imbastarditi, molli, infranti, i quali non hanno più veruna forza, veruna energia, e sacrificano alle esigenze della moda e dei libertini quello che v’ha di più santo tra gli uomini: essa scopre quel che cova nel fondo dei loro cuori, uno scetticismo abietto, per cui né sanno più quel che sia vero né quel che falso; quel che debbano credere, quel che discredere, e per conseguente né quel che operare, né quel che omettere per esser Cristiani. Il primo o l’ultimo che loro parla, è sempre quello che presso di loro ha ragione, e quegli stessi che talora vantano, forse per antifrasi, le profonde convinzioni, non sono altro che il ludibrio e lo scherno delle opinioni altrui. Un’altra cagione di questa falsa moderazione è il tornaconto. Non tutti tengono in ispeculazione il sistema utilitario come veritiero: ma pur molti l’abbracciano praticamente siccome comodo. Bisogna farsi degli amici per giungere ai posti, alle cariche, al denaro. Questi non si possono scegliere perchè bisogna ingraziarsi con quelli, la cui protezione può tornar giovevole: dunque se ne adottano i concetti, i pensieri, le maniere di parlare, e se la coscienza protesta in contrario, si attutisce coi mezzi termini che l’ingegno in servigio della passione va ricercando. E così si spiegano quelle trasformazioni d’uomini che vediamo sì frequenti a nostri giorni: di quelli che in pochi anni hanno servito tutte le cause, che hanno sacrificato a tutti gl’idoli, che hanno congiunto Cristo con Belial, e l’incredulità colla religione. La moderazione odierna è la figlia schifosa di una madre più vile ancora, la servilità, l’abiezione dello spirito. – Finalmente cotesto spirito di falsa moderazione è sommamente a detestare, perché è la via ordinaria per cui si introduce nel mondo ogni più grave abominazione e falsità. Chi è che stabilisce nel mondo più efficacemente i principii sovversivi della società, e promuove con miglior esito lo spirito di rivolta? Non certo que’ demagoghi più furenti, i quali dicono tutto quel che vogliono, e vogliono tutto quello che dicono: essi destano orrore. I veri ed efficaci patrocinatori della rivolta sono quegli ipocriti e moderati, i quali apportano temperamento in ogni cosa, si ricoprono sempre col manto della legalità, e tutto pretendono pel maggior bene del mondo. Quelli riescono ad ogni loro intento, poiché si fanno strada, anche presso dei buoni che non veggono troppo oltre. A cagione di esempio, quando nel parlamento subalpino si ventilò la soppressione iniquissima dei regolari, quella proposta mise orrore e non passava: due moderati la spogliarono di certe durezze e violenze, onde era rivestita, e passò, ed il delitto fu consumato. Similmente nel nostro caso; come è che si guasta nei popoli la purezza della fede cattolica ? Se si declamasse apertamente contro di essa alla foggia dei luterani o dei calvinisti non farebbe prova: ma coperte ipocritamente le obiezioni sotto il manto della moderazione, della prudenza, del maggior bene della stessa Chiesa, trovano molti inetti i quali si lasciano prendere al laccio, ed a mano a mano vengono condotti fin dove son giunti i più gran nemici della cattolica verità. Il male non entra e non si fa largo nel mondo sotto aspetto di male: vegga dunque ognuno di non lasciarselo entrar nel cuore sotto la maschera di bene, di virtù.