XV DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2023)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,
comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semidoppio. • Paramenti verdi.
La Lezione dell’Ufficio in questo giorno coincide spesso con quella del libro di Giobbe. Questo pio e ricco signore del paese di Hus, dapprima ripieno d’ogni bene, fu colpito dai mali più spaventosi che si possano quaggiù immaginare. « satana, dicono le Sacre Scritture, si presentò un giorno avanti a Dio e gli disse: Circuivi terram, ho percorsa tutta la terra e ho visto come hai protetto Giobbe, la sua casa, le sue ricchezze. Ma stendi la tua mano su di lui e tocca quello che possiede e vedrai come ti maledirà. Il Signore gli rispose: Va: tutto quello che lui possiede è in tuo potere, ma non togliergli la vita. E satana uscì dal cospetto del Signore. E ben presto Giobbe perdette il bestiame, i beni, la famiglia e fu colpito da satana con un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi fino alla testa ». E Giobbe, disteso su un letamaio, fu costretto a togliere il putridume delle sue ulceri con un coccio » La Chiesa, pensando alla malizia di satana, ci fa domandare di essere sempre difesi contro gli assalti del demonio, contra diabolicos incursus (Segr.). satana ha l’impero della morte e, se Dio lo lasciasse fare, dicono i Padri, egli toglierebbe a tutti gli esseri la vita che posseggono. S. Paolo definisce una sua malattia: «L’angelo di satana che lo colpisce. « Ed il demonio, dice la S. Scrittura, riduce Giobbe ad un punto tale, che il santo uomo può gridare: « Il soggiorno dei morti è diventato la mia dimora, io ho preparato il mio giaciglio nelle tenebre, e ho detto al marciume: tu sei mio padre; alla putredine: madre mia, sorella mia. (XVII, 14). Le mie carni si sono consumate come un vestito roso dai tarli, e le mie ossa si sono appiccicate alla mia pelle ». Così la Chiesa applica ai defunti il disperato appello che Giobbe fece allora ai suoi amici: « Abbiate pietà di me almeno voi, o amici, poiché la mano del Signore m’ha colpito. Ma il suo appello rimase senza risposta; Giobbe allora si rivolse verso Dio e gridò con una salda speranza: « Io so che il mio Redentore vive e ch’io risusciterò dalla terra l’ultimo giorno; che sarò di nuovo rivestito della mia pelle e nella mia carne rivedrò il mio Dio. Lo vedrò io stesso e i miei occhi lo contempleranno: questa speranza riposa nel mio cuore ». E Giobbe descrive la gioia con la quale ascolterà un giorno la voce di Dio che lo chiamerà a una vita nuova: « Tu mi chiamerai e io ti risponderò, tu stenderai la tua destra verso l’opera delle tue mani ». – « Il Signore, mettendo fine ai mali che lo travagliavano, gli rese il doppio di quello che possedeva prima e lo colmò di benedizioni più negli ultimi anni di vita che non nei primi ». — La Chiesa, raffigurata in Giobbe, domanda a Dio « di essere purificata, protetta, salvata e governata da Lui » (Oraz.). Col Salmo dell’Introito essa dice: « Rivolgi, o Signore il tuo occhio verso di me ed esaudiscimi, che io sono povera e mancante di tutto (Versetto 1°). Signore, abbi pietà di me, che ho gridato verso di te tutto il giorno. Vieni alla mia anima che io ho elevata fino a te (Versetto 4°). Io ti loderò, o Signore, poiché mi hai liberato dall’inferno più profondo (Versetto 13°) ». Col Salmo dell’Offertorio essa aggiunge: « Io ho atteso il Signore con perseveranza, ed Egli infine si è volto verso di me, ha esaudita la mia preghiera e ha messo sulle mie labbra un cantico nuovo ». Questo cantico è quello delle anime cristiane risuscitate alla vita di grazia. « È bello, esse dicono, lodare il Signore e annunciare la sua grande misericordia » (Grad.). « Sì, davvero il Signore è il Dio onnipotente, il Gran Re che regna su tutta la terra » (All.). – L’Epistola di S. Paolo è intieramente consacrata alla vita soprannaturale che lo Spirito Santo dà o rende alle anime. « Se noi viviamo per lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito », cioè siamo umili, dolci, caritatevoli, verso quelli che cadono, ricordandoci che noi siamo deboli e che di fronte al supremo Giudice porteremo il fardello delle nostre colpe personali. Contraccambiamo generosamente con beni temporali (denaro, cibi, vesti) le persone che ci predicano la parola di Dio (divina parola che dà la vita) e non indugiamo, perché Dio non tollera che ci burliamo di Lui. Il raccolto sarà conforme alla natura della semenza gettata. Seminiamo opere piene di spirito soprannaturale e mieteremo la vita eterna. Non tralasciamo un istante di fare il bene. Evitiamo le opere della carne che sono la mancanza di carità, l’orgoglio, l’avarizia e la lussuria, poiché quelli che commettono peccati sono morti alla vita di grazia e non mieteranno che corruzione. Usciamo, dunque, dalla morte e viviamo come veri risuscitati. — Il Vangelo ci dà questo stesso insegnamento raccontandoci la risurrezione del figlio della vedova di Naim. Gesù, vedendo il dolore di questa madre, fu mosso a compassione: si accostò al feretro e toccando il morto disse: « Giovinetto, te lo comando, alzati! ». E subito il morto si levò e cominciò a parlare. E tutti glorificavano Iddio dicendo; « un grande profeta è apparso in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo ». Il Verbo facendosi carne si è accostato alle anime che giacevano nella morte del peccato, e, commosso dalle lacrime della Chiesa, nostra madre, le ha resuscitate alla vita della grazia. Poi, mediante l’Eucaristia ha posto nei corpi un germe di vita, affinché essi risuscitino nell’ultimo giorno (Com.). — Fa, o Signore, che il nostro corpo e la nostra anima siano interamente sottomessi alla influenza dell’Ostia divina, affinché l’effetto di questo sacramento domini sempre in noi (Postcom.). – Vivificati dallo Spirito Santo, solleviamo con sollecitudine quelli che sono morti alla vita della grazia, aiutiamo con le nostre sostanze quelli che con la parola della verità diffondono la vita dello Spirito, e promuovono sempre più in noi la vita soprannaturale che abbiamo ricevuta nel Battesimo.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Introitus
Ps LXXXV: 1; 2-3
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.
[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]
Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
Lætífica ánimam servi tui: quia ad te, Dómine, ánimam meam levávi.
[Allieta l’ànima del tuo servo: poiché a Te, o Signore, levo l’anima mia.]
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.
[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]
Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Orémus.
Ecclésiam tuam, Dómine, miserátio continuáta mundet et múniat: et quia sine te non potest salva consístere; tuo semper múnere gubernétur.
[O Signore, la tua continua misericordia purífichi e fortífichi la tua Chiesa: e poiché non può essere salva senza di Te, sia sempre governata dalla tua grazia.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti s. Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 25-26; 6: 1-10
Fratres: Si spíritu vívimus, spíritu et ambulémus. Non efficiámur inanis glóriæ cúpidi, ínvicem provocántes, ínvicem invidéntes. Fratres, et si præoccupátus fúerit homo in áliquo delícto, vos, qui spirituáles estis, hujúsmodi instrúite in spíritu lenitátis, consíderans teípsum, ne et tu tentéris. Alter alteríus ónera portáte, et sic adimplébitis legem Christi. Nam si quis exístimat se áliquid esse, cum nihil sit, ipse se sedúcit. Opus autem suum probet unusquísque, et sic in semetípso tantum glóriam habébit, et non in áltero. Unusquísque enim onus suum portábit. Commúnicet autem is, qui catechizátur verbo, ei, qui se catechízat, in ómnibus bonis. Nolíte erráre: Deus non irridétur. Quæ enim semináverit homo, hæc et metet. Quóniam qui séminat in carne sua, de carne et metet corruptiónem: qui autem séminat in spíritu, de spíritu metet vitam ætérnam. Bonum autem faciéntes, non deficiámus: témpore enim suo metémus, non deficiéntes. Ergo, dum tempus habémus, operémur bonum ad omnes, maxime autem ad domésticos fídei.
[Fratelli: Se viviamo di spirito, camminiamo secondo lo spirito. Non siamo avidi di vanagloria, provocandoci a vicenda, a vicenda inviandoci. Fratelli, quand’anche uno venisse sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali ammaestratelo con lo spirito di dolcezza, e bada a te stesso che tu pure non cada nella tentazione. Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. Poiché, se alcuno crede di essere qualche cosa, e invece non è nulla, costui inganna sé stesso. Piuttosto ciascuno esamini le proprie opere, e allora avrà motivo di gloriarsi soltanto in se stesso, e non nel confronto con gli altri. Perché ciascuno porterà il proprio fardello. Chi poi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i beni a chi lo istruisce. Non vogliate ingannarvi: Dio non si lascia schernire. Ciascuno mieterà quello che avrà seminato. Così, chi semina nella sua carne, dalla carne mieterà corruzione: chi, semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna. Non stanchiamoci dunque dal fare il bene; poiché se non ci stanchiamo, a suo tempo mieteremo. Perciò mentre abbiamo tempo facciamo del bene a tutti, e in modo speciale a quelli che, per la fede, sono della nostra famiglia.]
CONOSCI TE STESSO
L’Epistola di quest’oggi è la continuazione di quella della domenica scorsa, nella quale si inculcava di vivere secondo lo spirito. Per vivere secondo lo spirito, prosegue l’Apostolo, bisogna fuggire la vanagloria e l’invidia. Si deve correggere chi sbaglia con spirito di dolcezza; tutti hanno a sopportarsi vicendevolmente. Persuasi del proprio nulla, devono esaminar spassionatamente le proprie azioni. Siamo, inoltre, generosi con chi ci istruisce nella fede. E conclude esortando di non stancarci di fare il bene, essendo la nostra vita il tempo della semina. Se in questa vita non ci stancheremo a seminare nello spirito, a suo tempo, mieteremo la vita eterna. – Accogliamo l’invito di S. Paolo, a esaminare le nostre opere.
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]
Graduale
Ps XCI: 2-3.
Bonum est confitéri Dómino: et psallere nómini tuo, Altíssime.
[È cosa buona lodare il Signore: inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]
V. Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctemm.
[È bello proclamare al mattino la tua misericordia, e la tua fedeltà nella notte.].
Alleluja
Allelúja, allelúja Ps XCIV: 3
Quóniam Deus magnus Dóminus, et Rex magnus super omnem terram. Allelúja.
[Poiché il Signore è Dio potente e Re grande su tutta la terra. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc VII: 11-16
“In illo témpore: Ibat Jesus in civitátem, quæ vocátur Naim: et ibant cum eo discípuli ejus et turba copiósa. Cum autem appropinquáret portæ civitátis, ecce, defúnctus efferebátur fílius únicus matris suæ: et hæc vidua erat: et turba civitátis multa cum illa. Quam cum vidísset Dóminus, misericórdia motus super eam, dixit illi: Noli flere. Et accéssit et tétigit lóculum. – Hi autem, qui portábant, stetérunt. – Et ait: Adoléscens, tibi dico, surge. Et resédit, qui erat mórtuus, et coepit loqui. Et dedit illum matri suæ. Accépit autem omnes timor: et magnificábant Deum, dicéntes: Quia Prophéta magnus surréxit in nobis: et quia Deus visitávit plebem suam.
[“In quel tempo avvenne che Gesù andava a una città chiamata Naim: e andavan seco i suoi discepoli, e una gran turba di popolo. E quand’ei fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato fuori alla sepoltura un figliuolo unico di sua madre, e questa era vedova: e gran numero di persone della città l’accompagnavano. E vedutala il Signore, mosso di lei a compassione, le disse: Non piangere. E si avvicinò alla bara, e la toccò (e quelli che la portavano si fermarono). Ed egli disse: Giovinetto, dico a te, levati su; e il morto si alzò a sedere, e principiò a parlare. Ed egli lo rese a sua madre. Ed entrò in tutti un gran timore; e glorificavano Dio, dicendo: Un profeta grande è apparso tra noi; e ha Dio visitato il suo popolo”
Omelia
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)
LA MADRE
Era Naim una borgata di Palestina. Fu proprio alle sue porte, che il Maestro incontrò un funerale. Portavano a sepoltura un giovane, un figlio unico: e sua madre era una vedova. Gran tratta di popolo, mossa dalla pietà del caso, accompagnava la salma. Gesù si fermò ed ecco una donna venire col viso nascosto sotto il velo oscuro, curva sotto il velo oscuro, curva sotto un’angoscia senza parola. La madre! Come la vide, il Figlio di Dio sentì il cuore pieno di misericordia per lei, per la madre. E dicendole — Non piangere! — chiamò il figliuolo fuori dal sonno della morte e lo restituì a lei: alla madre. Quam cum vidisset, motus super eam… Non il pietoso cadavere d’un giovanetta non la commiserazione d’una città, ma una madre in ambascia ha ottenuto il miracolo. Quando una Madre piange, Dio sente straziarsi le viscere (è il significato preciso della parola greca usata da Luca: « esplachnìsthe ») e non sa più resistere. « Madre », che misteriosa parola: essa è la prima che il bambino ignaro della vita riesce a balbettare. Essa è l’ultima che l’uomo esperto d’ogni amara fatica mormora nel turbine dell’agonia. Nelle ore più disperate in cui ci sentiamo schiacciati e soli nel mondo, involontariamente ognuno chiama la sua mamma: « Dov’è ella mai? Perché non sento la sua mano bianca carezzarmi la fronte ardente? » Nelle ore più benedette e fortunate, nessuna gioia è piena, nessuna gloria è colma, se manca la nostra mamma. « Dov’è ella mai? se mi potesse vedere! ». Guardando un giovane ben educato, che fa bella e onesta riuscita nel mondo, subito ci vengono in mente queste parole: « Sono i consigli, sono le preghiere di sua madre ». Incontrando invece qualche cattivo soggetto, fuorviato, depravato, noi diciamo: « Non ha avuto madre ». Ed io sono del parere di quelli che asseriscono come neppure il Figliuol Prodigo sarebbe finito a riempirsi il ventre con le ghiande dei porci, se la parabola gli avesse messo accanto una mamma. E non avete osservato con che accento d’insaziabile pietà gli orfani dicono: « La mia povera mamma… »? E non avete osservato quale tremito d’amarezza trascorre sulla bocca dell’uomo che tormentosamente esclama: « Ho fatto piangere mia madre… »? Madri, voi siete una potenza nel mondo. Perciò, permettete che vi richiami la dignità altissima a cui foste innalzate da Dio e da Cristo Salvatore. Permettete ch’io vi riguardi nella luce della nostra fede, in quella luce in cui Gesù vide la madre di Naim. Madre cristiana, significa Martire, perché la sua vita è un continuo olocausto; madre cristiana significa Angelo, perché la sua vita deve essere una continua elevazione a Dio sulle ali della preghiera. Forse questi pensieri faranno piangere molte che hanno dimenticato ciò che dovrebbero essere; faranno arrossire anche i mariti che in questa luce non hanno considerato mai la loro sposa; faranno pentire tutti i figliuoli che hanno disgustato la loro mamma. Dio voglia che avvenga così. – 1. LE MADRI DOLORANTI. Un lontano venerdì, al meriggio, una Madre ascendeva verso il sommo d’una collina appena fuori dalle mura di Gerusalemme. Era Maria, la madre di Dio: di Dio suo Figlio che agonizzava sopra una croce per la salvezza del mondo. Ed Ella dolorosa e lacrimosa stette a contemplare lo strazio del suo Unigenito. Grande come il mare fu la sua angoscia, e per ciò tutte le generazioni l’hanno riconosciuta come la più addolorata fra le donne. E dopo di Lei, dovrò ricordare tutte le madri cristiane, che l’imitarono nel sacrificio? Ricorderò Santa Sofia che vide co’ suoi occhi le tre figliuole uccise per la fede, e poi raccolse le reliquie delle tre piccole martiri, e le compose nella stessa arca e si adagiò sul loro sepolcro; e vi morì di dolore e di amore. Ricorderò anche la madre di S. Barulo. Mentre camminava per le vie di Antiochia con l’unico suo figlioletto, improvvisamente fu trascinata al tribunale del prefetto Asclepiade. Stavano processando un diacono, perché s’era rifiutato di adorare gli idoli. « Fa venire un fanciullo semplice ed innocente — diceva il martire al giudice — e sentiremo da lui se si devono onorare più dei, o un Dio solo ». E il primo fanciullo trovato, fu Barulo. « Barulo! — gli diceva Asclepiade con voce ingannevole — quella rosa che tieni fra le mani, non la potresti offrire a Giove? » « No! — rispose il bimbo — perché soltanto il Dio dei Cristiani è il Vero ». Scoppiò d’ira il prefetto: « Chi ti apprese a parlar così? ». « Mia madre rispose il piccolo — e a mia madre Iddio ». Allora fu consegnato ai carnefici perché fosse sospeso in alto e flagellato a morte in presenza della madre. E dall’alto, mentre le tenere carni percosse cadono a brani, dalle labbra riarse del fanciullo si sprigiona un lamento: « Oh, mamma, una goccia d’acqua! Ho sete ». « Figlio mio! — risponde la madre straziata — chi beve l’acqua terrena ha sete ancora… sopporta un poco e berrai al fonte dell’acqua che disseta per sempre ». Sopportò un poco ancora e gli fu troncata la testa nel grembo di sua madre! Che la Madre di Dio, che le madri doloranti dei martiri, insegnino anche alle nostre madri l’olocausto della maternità. La vita non è una festa, e i figliuoli non sono balocchi da conservare tra le carezze, gli agi, i capricci. La vita di una vera madre è un sacrificio lento, oscuro, continuo: è un immolarsi corpo ed anima, di giorno in giorno, per i figli e per lo sposo. Ma ora le giovani vanno al matrimonio sognando le rose soltanto, e di spine non vogliono saperne. Ecco perché con peccati e talvolta con delitti esecrandi si arriva fino a rifiutare d’essere madri, per sfuggire ai pesi e ai sacrifici della maternità. – 2. LE MADRI PREGANTI. Nell’infocato deserto di Bersabee da più giorni erravano una madre e un figlio: ed il figlio moriva di sete. Allora la madre lo pose sotto uno degli alberi che v’erano, s’allontanò quanto un tiro d’arco e piangendo alzava le mani e la voce al cielo: « Signore, non vedrò morire il mio fanciullo ». Quel grido fu udito da Dio, e venne un Angelo a dire: « Agar, che fai, non piangere più: prendi il figlio tuo e guarda ». In quel momento i suoi occhi scorsero non lontano un pozzo d’acqua, ove riempiendo l’otre, ella dissetò Ismaele (Gen. XXI). Ascoltate ancora di un’altra madre. Una volta che Gesù s’era spinto entro i confini della regione cananea, una donna che aveva la figlia torturata dal demonio venne a Lui, si buttò ai suoi piedi gridando: « Signore, pietà di mia figlia, e di me ». Ed il Signore dapprima la guardò senza rispondere, ma come ella raddoppiava le insistenze, i discepoli stessi lo pregarono di esaudirla. Egli allora parlò, ma per dire una parola dura: « Il mio popolo è quello d’Israele, tu sei forestiera. Donna, non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cani ». Ma quella donna era madre e pregò con eroica fede così: « E s’io sono un cane, almeno non mi sia negato il diritto dei cani che è ben quello di raccogliere le briciole cadute dalla tavola del padrone ». Gesù non poté più resistere: « La tua fede è grande! — esclamò commosso — ti sia concesso ciò che domandi ». Quante madri ancora somigliano ad Agar dell’Antico Testamento? l’anima del loro figlio, del loro sposo muore di sete nel deserto della vita, poiché da tempo hanno lasciato la Chiesa, le devozioni, l’amor del lavoro e della famiglia… Quante madri ancora somigliano alla Cananea del Nuovo Testamento; la loro figlia è tormentata dal demonio: non vuol più ubbidire, non vuol più vivere onestamente. Le mode, le gite, gli amici, le lunghe ore serotine passate fuori di casa l’hanno rovinata nell’anima… Bisogna pregare. « Signore! — dicono anch’esse piangendo — io non voglio vederlo morire di sete! Fa’ che ritorni a Te ed ai Sacramenti, fa che si disseti con l’acqua della tua grazia, fa che diventi buono » — « Signore! — dicano anch’esse — scaccia da mia figlia il demonio della leggerezza, dell’immodestia, della vanità, della disobbedienza, dello scandalo. Fa che diventi buona ». Alle madri che pregano e piangono con fede, con insistenza di anni e di anni — come santa Monica — Dio non può resistere. Ma perché dunque queste giovani madri dei nostri tempi pregano così poco? Perché non si recita più il Rosario alla sera, la preghiera prima dei pasti e del riposo, l’Angelus del mezzodì, le giaculatorie durante il lavoro? Perché non si sente il bisogno della Comunione frequente, della Messa quotidiana? – Si racconta dell’imperatore Corrado che assediò una città di Germania e la prese a discrezione. « Sia sterminata col ferro e col fuoco e nella rovina perisca ogni abitante ed ogni roba », questo era l’orrido bando. Ma le madri scarmigliate si prosternarono davanti al padiglione del terreo conquistatore e seppero singhiozzare così pietosamente che concesse a loro il permesso di fuggire con ciò che potevano portarsi dietro. E quelle con improvviso ardimento, si presero sulle spalle gli sposi e sulle braccia i figli e li sottrassero alla morte. Ah, le madri cristiane avranno forse meno zelo per sottrarre i loro cari alla morte spirituale? Ecco che il re dell’inferno cinge d’assedio le nostre case: sono mille nuovi pericoli che accerchiano la fede e il buon costume delle famiglie. Solo il sacrificio e la preghiera delle madri potrà strappare fuori dall’eterna rovina gli uomini ed i fanciulli. — LA SANTA MADRE CHIESA PIANGE. Questa donna di Naim mi ricorda un’altra mistica donna che oggi piange dietro alle anime morte non di uno solo, ma di mille e mille suoi figli giovanetti: la santa Madre Chiesa. Non è essa la sposa di Cristo vedovata per l’ascensione di Lui al cielo? Tutti i giovani che hanno perso l’innocenza della vita e l’amore alla preghiera e il desiderio della Comunione, non sono forse i suoi figliuoli morti? La gioventù non respira più nell’atmosfera cristiana, ma agonizza e muore nello spasimo di un’asma morale. V’è un attossicamento di anime, una lebbra di cuori, una tubercolosi spirituale. Perciò la Chiesa oggi piange. O Cristiani aprite una volta gli occhi e vedete la corruzione della nostra gioventù come dilaga; poi ricercatene qualche causa per opporvi rimedio. – 1. LA CORRUZIONE DEI GIOVANI. Un giorno che il Papa San Gregorio attraversava la piazza del mercato di Roma, vide un gruppo di giovani legati sopra un banco: bellissimi di forma, piacevoli di volto e tutti biondi di capelli. Erano schiavi ed aspettavano che qualcuno li comprasse. Il beato Gregorio passando vicino, domandò al mercante donde li avesse condotti. « Di Bretagna, — rispose quello — là, ove gli abitanti risplendono di simigliante bianchezza ». E ancora domandò: « Almeno sono essi Cristiani? » E il mercante rispose: « Non sono Cristiani, anzi sono involti negli orrori del paganesimo ». Allora S. Gregorio incominciò fortemente a sospirare in mezzo al mercato, e a piangere come un fanciullo, così dicendo: « Ohimè, dolente! che bellissimi giovani e che splendidi facce son venduti schiavi agli uomini pessimi e al demonio maligno ». Usciamo anche noi, e guardiamo con occhi cristiani su questa gran piazza di mercato che è il mondo: guardiamo la sorte della nostra gioventù. Sono fanciulli che a otto a dieci anni perdono di già la santa Messa nei giorni festivi; che di già non pregano più né mattina né sera. Sono giovani che non vengono mai alla dottrina cristiana, che non vogliono frequentare più l’oratorio, per divertirsi tutta la domenica e offendere il Signore. – I campi sportivi, i divertimenti; i balli rigurgitano di giovanetti: alla sera tornano a casa, ma il loro occhio non è limpido, ma la loro fronte non è più serena, ma la loro anima è una fiamma. Una fiamma d’impurità che li divora. Essi hanno visto, hanno udito, hanno imparato il male. E quando il demonio del vizio brutto entra in corpo a un nostro figliuolo lo rende muto. Subito ve ne accorgete, perché non prega più, non si confessa più come una volta, non apre più la sua bocca a ricevere il Pane degli Angeli. Allora è finita. E che cosa si può sperare ancora quando finanche le fanciulle hanno perso il senso del pudore istintivo nel cuor della donna? Voi le vedete in giro ad ogni ora, e sole: di giorno, di sera, di notte. Voi le sentite frivolmente ridere e scherzare per le strade; vestono una moda così immorale che forse non s’è vista mai, neppure al tempo dei pagani. E la gioventù ha l’anima bella. Un’anima splendente, che non vien di Bretagna come quei giovani che vide il beato Gregorio, ma viene da Dio e a Dio deve ritornare. Ma chi piange ora che sì belle anime cadono schiave di uomini pessimi e del demonio maligno? Il Papa più volte ha levato il suo grido d’allarme e contro alla moda e contro alla corruzione che dilaga. Il Papa dal Vaticano, come un giorno S. Gregorio sul mercato di Roma, sospira fortemente e piange sulla rovina della gioventù. – 2. QUALCHE CAUSA. « Oh i ragazzi adesso, non sono più come quelli di una volta! Nascono. già con un istinto più perverso… » così dicono le mamme ed anche i papà. Può darsi: ma è proprio possibile che il Signore tutti i buoni figliuoli li abbia già fatti nascere, e per i nostri tempi, abbia riserbato soltanto i cattivi? « Adesso si respira un’aria diversa. Ai nostri tempi non c’erano tanti luoghi di divertimento, tanti sports: e siamo cresciuti più sani e più onesti ». Sì, questo è vero ma non basta a spiegar tutto. Io credo, — e scusate genitori se ve lo dico, è per vostro bene — io credo che la vera colpa di tanto sfacelo morale ricada sui padri e sulle madri. Sapete perché i ragazzi di adesso non sono più come quelli di una volta? Perché anche ì genitori d’adesso non sono più come quelli d’allora. Il figlio in mano vostra è come una cera e cresce come voi lo volete. Il grande Vescovo di Costantinopoli S. Giovanni Crisostomo, quell’uomo meraviglioso che tanta orma di sé ha impresso sui secoli della storia, nacque nel 344, in una ricca e distinta famiglia. Il padre Secondo morì nel fior dell’età e lasciò vedova a vent’anni Antusa. A questa donna, ben degna dell’augusto nome di madre, si deve in gran parte la gloria del figlio. Per donarsi totalmente all’educazione del suo Giovanni, rifiutò un secondo matrimonio. Fu così fedele per ben due decenni ai suoi doveri di madre da strappare al pagano Libanio queste parole: « Che donne meravigliose ci sono tra i Cristiani! ». Or dove sono queste mamme? Che meraviglia allora che non ci siano più figli come Giovanni Crisostomo? Naturalmente non basta sorvegliare e avvisare i figli, sgridarli, castigarli: bisogna dar loro l’esempio. Perché i giovani non ragionano ancora e vivono di imitazione. Il piccolo Origene era un’anima ardente e pura. In quel tempo infieriva la persecuzione contro i Cristiani: lo sapeva il fanciullo, ma non aveva paura. Anzi agognava il martirio, per testimoniare col suggello della vita e del sangue a Cristo tutto il suo amore. Già in segreto aveva deciso di consegnarsi spontaneamente nelle mani dei carnefici. E sarebbe morto martire se l’astuzia della madre non fosse riuscita ad impedirglielo. La santa donna, che aveva intuito l’eroico disegno del suo figliuolo, prima che si svegliasse, nascose tutti i suoi abiti e l’obbligò a rimane a letto (EUSEBIO, Storia Eccl., VI, 2-5). Com’è possibile in un fanciullo tanto coraggio, tanta fede e questo entusiasmo fino alla morte? Com’è possibile? Suo padre gliene aveva dato l’esempio: il beato Leonida era morto martire. O genitori! i vostri figliuoli cresceranno secondo i vostri esempi. Li volete obbedienti? Cominciate voi ad ubbidire a tutte le leggi di Dio. Li volete devoti, che frequentino i Sacramenti? Cominciate voi ad essere devoti e a frequentare i Sacramenti. Li volete puri, onesti, lavoratori? Cominciate voi ad essere puri, onesti, lavoratori. Infine, vi raccomando: pregate per i vostri figliuoli, offrite qualche sacrificio per loro, fate per loro qualche elemosina. Perché noi ci affanniamo, ma quello che fa tutto è Dio. Una volta ho sentito una mamma che in un momento di stizza, fece questa imprecazione contro un suo bambino: « Che Dio ti faccia morire! ». No: non dite mai, non dite più questa parola. Bisogna pregar Dio per i vostri figliuoli ogni giorno, non perché li faccia morire, ma perché ce li preservi dal male, che è tanto nel mondo, che è orribile. Così pregava Gesù per i suoi Apostoli, che teneramente amava come figliuoli: « O Signore! non perché li tolga da questo mondo, ma perché li preservi dal male, io ti prego ». Non rogo ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo (Giov., XVII, 15). – O Gesù! che un giorno hai sentito fremere il tuo cuore davanti alla desolata donna di Naim piangente sul suo giovanetto figlio, oggi ti prenda compassione anche della santa Madre Chiesa, che piange la rovina di tanti suoi figli giovanetti. Non permettere che pianga più oltre: consola il tuo Vicario. O Gesù! come un giorno alle porte di Naim, avvicinati oggi alle porte delle nostre città, alle porte dei nostri paesi, alle porte del cuore dei nostri figliuoli. Toccali Tu. Liberali dalla morte del peccato. Grida anche loro la tua parola di vita: « Giovanetto, risorgi: son Io che te lo comando ».
Offertorium
Orémus
Ps XXXIX: 2; 3; 4
Exspéctans exspectávi Dóminum, et respéxit me: et exaudívit deprecatiónem meam: et immísit in os meum cánticum novum, hymnum Deo nostro.
[Ebbi ferma fiducia nel Signore, il quale si volse verso di me e ascoltò il mio grido: e pose nella mia bocca un càntico nuovo, un inno al nostro Dio.]
Secreta
Tua nos, Dómine, sacramenta custodiant: et contra diabólicos semper tueántur incúrsus.
[I tuoi sacramenti, o Signore, ci custodiscano e ci difendano sempre dagli assalti del demonio.]
Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Domine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua gloria, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretionis sentímus. Ut in confessione veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia unitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamare quotídie, una voce dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Benedíctus, qui venit in nomine Dómini. Hosánna in excélsis.
Preparatio Communionis
Orémus: Præceptis salutáribus móniti, et divína institutióne formati audemus dícere:
Pater noster,
qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
Communio
Joann VI: 52
Panis, quem ego dédero, caro mea est pro sæculi vita.
[Il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo.]
Postcommunio
Orémus.
Mentes nostras et córpora possídeat, quǽsumus, Dómine, doni cœléstis operátio: ut non noster sensus in nobis, sed júgiter ejus prævéniat efféctus.
[L’azione di questo dono celeste dòmini, Te ne preghiamo, o Signore, le nostre menti e nostri corpi, affinché prevalga sempre in noi il suo effetto e non il nostro sentire.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)