IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (20)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (20)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

CONCLUSIONE.

A chi, dopo d’aver contemplato nel suo spirito animatore l’etica nostra e d’averne sentito l’intimo palpito, ripensa ai vari sistemi filosofici che hanno voluto tracciare all’umanità una norma di vita, ricorre alla memoria l’osservazione di Alessandro Manzoni nella sua Morale Cattolica: «Che, anche dopo il Cristianesimo, alcuni filosofi si siano affaticati per sostituirgliene un’altra, è un fatto pur troppo vero. Simili a chi, trovandosi con una moltitudine assetata e sapendo d’esser vicino a un gran fiume, si fermasse a fare con de’ processi chimici qualche gocciola di quell’acqua che non disseta, hanno consumato le loro cure nel cercare una ragione suprema e una teoria completa della morale, assolutamente distinta dalla teologia: quando si siano abbattuti in qualche importante verità morale, non si sono ricordati ch’era stata loro insegnata, ch’era un frammento o una conseguenza del catechismo; non si sono avvisti che avevano soltanto allungato la strada per arrivare ad essa, e che, invece di avere scoperto una legge nuova, spogliavano della sanzione una legge già promulgata ». – V’è bensì in ogni sistema morale un punto luminoso, un raggio di verità: ed è ciò che attrae, affascina, seduce le menti frettolose. Così ad esempio, quando gli scettici negheranno la serietà della vita, risponderà loro il vanitas vanitatum di Salomone, l’affermazione, cioè, che le cose di quaggiù, separate dall’Assoluto, sono un nulla e ci tuffano nelle onde del relativismo, del dilettantismo, del pessimismo. Persino quando il concetto di utile cercherà di ingoiare e di distruggere il concetto di bene, avremo un lato di verità, che l’utilitarismo illustrerà con tutti gli sforzi: la virtù, infatti, porta la felicità agli individui ed ai popoli. Kant, che si soffermerà con rigoroso esclusivismo sul dovere ed escluderà ogni idea di utilità, non farà altro se non proclamare che il valore morale dell’atto non dev’essere giudicato dall’esterno, ma nell’intimità del suo spirito. Nietzsche, che canterà il Superuomo, esprimerà a modo suo il bisogno profondo che sentiamo di elevarci sopra la nostra miseria e le nostre deficenze, e di aspirare alla divinizzazione. Hegel e gli idealisti, per i quali l’individuo non è se non un momento del Tutto, sottolineeranno il grande errore di una visione atomistica dell’universo e, di conseguenza, dell’orientamento egoistico dell’individuo. Sono tutti « frammenti di vero per dirla col poeta lombardo, misti ad esagerazioni ed a spropositi. Nè bisogna dimenticare il vantaggio che lo studioso può ottenere dalla loro meditazione: giova, infatti, far attraversare un prisma di cristallo da un raggio di sole, per infrangerlo in tanti colori distinti, che dapprima l’occhio nostro non poteva cogliere. Anzi, la futura storia della morale dovrà appunto esser condotta, non già dal semplice punto di vista critico-negativo della confutazione, ma con le preoccupazioni serene di una critica costruttiva, che tutti i raggi di luce raccoglie pazientemente, che tutte le anime di vero organizza sistematicamente, che alla fine mostra come tutti i risultati delle umane ideologie si sintetizzano e vengono infinitamente superati dalla morale divina dell’Amore. Ma la storia della morale, che l’avvenire ci darà, non potrà essere soltanto una disamina filosofica di sistemi: essa sarà necessariamente la storia dell’Amore nei secoli cristiani. Siccome, a differenza dei vari pensatori, Gesù Cristo non si è limitato ad enunciare una dottrina, ammirata da molti, ma praticata da pochi, bensì ha istituito una società, che ormai da due millenni si ispira alla sua morale, è evidente che, per capire la morale dell’Amore bisogna guardarla non tanto nelle formule astratte, quanto nella concretezza della vita vissuta. – Questo piccolo libro non potrebbe avere altra conclusione, se non una traccia, un sommario, un indice di un futuro Sillabario della storia della Chiesa, che indichi come la vita del Cristianesimo è la storia dell’amore e che chiunque non comprende questo, è destinato a non penetrare mai nell’essenza della religione nostra. Il dogma ci ha cantato l’Amore: tutti i precetti della morale li abbiamo visti vivificati dall’Amore; anche il corpo mistico di Cristo, la Chiesa, non è altro, e non può essere altro, se non il trionfo dell’Amore nel tempo, che prepara le vittorie di esso negli anni eterni.

1. – I due metodi storici.

Diciamo subito che due metodi si possono seguire nello studio della storia del Cristianesimo. In genere si considera quest’ultimo nelle sue manifestazioni esteriori ed allora i secoli cristiani li dividiamo in epoche ed ogni epoca in fatti ed in vicende. Abbiamo così il Cristianesimo sotto l’Impero Romano, il Cristianesimo all’epoca dei barbari, il Cristianesimo nell’età di ferro, il Cristianesimo nel Medio Evo, durante l’Umanesimo ed il Rinascimento, nel periodo della Riforma, dell’Illuminismo, dell’Enciclopedia, della Rivoluzione francese, del Romanticismo, nel secolo ventesimo. Questa però non è ancora la vera storia, come io non conoscerei ancora la storia d’una persona, se mi accontentassi di raccogliere un mondo di fotografie, fatte al bimbo in culla, al bambino in fasce, al fanciullo, al giovane e via dicendo, od anche se radunassi in una cronaca scrupolosa tutta la narrazione delle gesta e delle vicende di quell’individuo. Avrei, in questo modo, un materiale ottimo, prezioso, necessario; ma fin quando da esso non riuscissi ad entrare nell’animo e nel cuore di quella persona e mi restasse ignota la fonte unica interiore, da cui sono zampillati tutti gli atteggiamenti esterni nelle varie situazioni di fatto, non avrei dinanzi a me una persona conosciuta, ma un enigma misterioso da decifrare. – La vera storia del Cristianesimo non la si può cogliere se non ponendoci nella sua vita profonda. Gesù è unito ai suoi seguaci e questo mistico organismo, animato dallo Spirito Santo, si sviluppa nei tempi. Più che baloccarsi coi fenomeni esterni, giova scendere nella sorgente soprannaturale vivificatrice, che unisce tutte le anime in Cristo, le fa vivere d’una vita divina, fa giungere ad ognuna di esse la linfa vitale. Noi, insomma, vogliamo la storia del Cristianesimo nella sua intima unità, non solo nella molteplicità delle manifestazioni esteriori. Partendo da quella, si chiariscono anche queste; non si confonde la vita di Cristo nelle Chiesa con le colpe e gli errori di chi, pur essendo battezzato o magari sacerdote o Vescovo o Papa, non vive la vita cristiana; non si spezzetta in mille parti staccate l’unità organica della vite coi suoi numerosi tralci, che, attraverso i secoli, prosegue in una ininterrotta continuità a produrre con incessante ricchezza pampini e frutti.

2. – L’amore di Dio e la storia del Cristianesimo.

Se, non al di fuori, ma nel Cristianesimo stesso noi ci poniamo, consapevoli dell’unione di Cristo con tutti i fedeli, dell’umanità con Dio; se, cioè, vogliamo tratteggiare lo svolgimento di questa pianta maestosa, le cui radici si sprofondano nell’antichità, la storia si può descrivere nel modo seguente.

1. In principio era l’Amore. E solo per amore Dio ha creato l’universo ed ha innalzato l’uomo alla dignità della divinizzazione. Ma l’uomo non ha risposto all’Amore con l’amore; ma col peccato originale ha iniziato la serie delle sue ribellioni all’Amore di Dio. Le civiltà pagane rappresentano lo sforzo dell’uomo a vivere, non secondo la legge dell’amore divino, ma secondo la legge dei diversi egoismi. L’idolatria stessa altro non è se non un mettere al centro del mondo creature, che venivano proclamate divinità, al posto di Dio. Solo il popolo prediletto conservava la visione chiara del male commesso, della riparazione necessaria, del Messia invocato, in una parola dell’Amore di Dio, che ancora avrebbe unito a sè i cuori degli uomini.

2. Nella pienezza dei tempi, apparve in mezzo a noi il Dio salvatore nostro, nella sua benignità e nell’umanità, e, siccome Dio è carità, visse una vita d’amore. La scena della Incarnazione, la mangiatoia di Betlemme, le preghiere della vita privata, i prodigi della vita pubblica, il Cenacolo eucaristico, l’orto degli Olivi, la colonna della flagellazione, la corona di spine, la croce del Calvario, le parole dell’agonia furono un canto divino d’amore. La sua dottrina fu da Lui compendiata in una parola: « Amatevi! ». Amare Dio sopra ogni cosa; amare il prossimo per amore di Dio; pregare Dio chiamandolo col dolce nome dell’amore, ossia « Padre nostro »; essere e vivere tutti nell’amore, l’Amore del figlio incarnato che a sé ci unisce, l’Amore dello Spirito Santo che ci santifica, l’Amore del Padre che col Figlio e con lo Spirito è unito a noi; vivere d’Amore quaggiù per prepararci un’eternità di Amore ineffabile; ecco la dottrina di Cristo.

3. Risorse da morte, perché l’Amore non teme pietre sepolcrali; inviò lo Spirito Paraclito sopra il gruppo dei suoi eletti, ossia sugli Apostoli dell’amore. Fiamme di fuoco, simbolo di questo Amore soprannaturale, trasformarono la piccola Chiesa nascente; e dal Cenacolo uscirono tutti per far echeggiare sino agli estremi confini della terra l’annuncio dell’amore di Dio per noi e l’appello agli uomini perchè tutti amassero Dio. « L’amore di Dio — esclamava nella lettera ai Romani Paolo di Tarso, difensore del principio universalistico dell’Amore, contro i rimasugli egoistici dell’ebraismo — è diffuso nei cuori nostri, per lo Spirito Santo, che è stato dato a noi… ». E parlando prima ai Cristiani di Corinto, aveva detto: « Quand’io parlassi la lingua degli uomini e degli Angeli, se non ho l’Amore, non sono che bronzo che risuona o un cembalo squillante. E se avessi profezia e conoscessi i misteri tutti e tutto lo scibile, ed avessi tutta la fede così da trasportare le montagne, se non ho l’Amore, sono un niente. E quand’anche distribuissi tutto il mio per nutrire i poveri, ed abbandonassi il mio corpo ad essere arso, se non ho l’Amore, non mi vai nulla… Tutto fra voi si faccia nell’Amore… E se alcuno non ama il Signore, sia anatema!… L’amor mio con tutti voi, in Cristo Gesù! ». Ed ai Romani ancora insegnava: « Dio fa risplendere per noi il suo Amore, dacché, mentre ancora eravamo peccatori, Cristo morì per noi… Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, o la angoscia, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?… No: in tutto questo noi più che mai sopravvinciamo, con l’aiuto di Colui che ci ha amato. Io sono certo che nè morte, né vita, né Angeli, né Principati, né presente, né futuro, nè possanza, nè altezza, né profondità, né altra creatura alcuna potrà separarci dall’Amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore ». Ogni parola dell’Apostolo delle genti fu parola d’amore, sia che egli spiegasse il mistero della nostra incorporazione a Cristo, sia che inviasse a Filemone lo schiavo Onesimo, fuggito da quella casa. E San Giovanni incalzò nelle sue Lettere: « Diletti, l’Amore viene da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha imparato a conoscere Iddio, perchè Dio è Amore. L’amor di Dio per noi è stato manifestato a questo modo: Iddio ha mandato nel mondo il suo Figliolo unigenito, perchè per mezzo di Lui noi avessimo la vita. E l’Amor suo si vede da questo: non siamo noi che abbiamo amato Iddio, ma è Dio che ha amato noi, ed ha mandato il Figlio suo, quale vittima di propiziazione per i nostri peccati… ». – « Diletti, se Iddio ha così amato noi, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri… Se ci amiamo gli uni gli altri, Iddio dimora in noi ». « Questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri, e non facciamo come Caino… Noi, perchè amiamo i fratelli, sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita. Chi non ama, ri-mane nella morte… Noi abbiamo imparato a conoscere che cosa sia l’amore da questo: che Gesù ha dato la sua vita per noi; e noi pure dobbiamo quindi dar la vita per i fratelli… Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da Lui; chi ama Dio, deve amare anche il fratello ».

4. Era la prima volta, che simili accenti si diffondevano dovunque. Quando le labbra degli Apostoli pronunciavano il nome soave di « fratello », i cuori intuivano che qualcosa di nuovo v’era nel mondo, dinanzi alla quale non reggevano al paragone né l’arte od il pensiero di Atene, nè le aquile di Roma. E cominciò la battaglia: da un lato, il piccolo drappello dell’Amore; dall’altro, tutte le forze umane, ribellate a Dio e sacre all’egoismo. Lo scontro era inevitabile: e vi furono tre secoli di persecuzioni; vi furono i martiri. – « Ecco — esclamava il padre Monsabré — i rosai tagliati, prima che mettano il fiore. — Salvete, cari innocenti, primizia dell’umanità perseguitata! Salvete, piccoli cari, che in questo mondo non conoscete che Cristo e le vostre madri, e fra le braccia loro moriste per Cristo! «Ecco i gigli immacolati. — Salvete, o vergini, amanti fedeli del migliore e del più santo fra gli sposi! Salvete, figli ammirabili, che alla veste della castità aggiungeste il manto regale imporporato del vostro sangue! « Ecco gli olivi fecondi. — Salvete, donne incomparabili, il cui amore materno fu vinto dal sommo degli amori! « Ecco gli uomini della plebe. — Salvete uomini che usciste dal nulla, dall’oscurità e dall’abbiezione e ascendeste fino alla confessione sublime della fede! « Ecco le palme superbe. — Salvete, nobili! Salvete, patrizi! Salvete, o principi di questo mondo, liberamente discesi dalla gloria nell’obbrobio e dalle delizie nei dolori! « Ecco i cedri del Libano. — I cedri, anch’essi son caduti. Salvete, o Sacerdoti! Salvete, o Pontefici! Salvete, o apostoli della buona novella, i più alti nella luce ed i primi nella morte! ». Questa schiera di martiri ha vinto. La parola d’ordine d’ognuno di questi eroi è quella partita dalle labbra della vergine Agnese: « Amo Christum! ». I figli dell’Amore, morendo, vincevano. Invano le Catacombe moltiplicavano i sepolcri. Come a Gerusalemme, dopo tre giorni, risonava lo squillo della resurrezione, così a Roma, dopo tre secoli, l’Amore usciva vittorioso dai corridoi sotterranei; in cielo, l’emblema dell’Amore, la croce, appariva a Costantino e sopra di essa era scritto: In hoc signo vinces. Nell’Amore la vittoria è sicura.

5. Divenne allora più furente una seconda battaglia e gli Eretici presero il posto dei persecutori. La storia delle eresie mostra a luce meridiana la seguente verità: siccome il dogma è la sintesi dell’Amore di Dio per noi, ogni eresia è una negazione di amore. Dai gnostici che volevano sostituire una filosofia inutile ed ingannatrice alla rivelazione dell’Amore eterno, ai Montanisti che opposero il loro dissennato rigore alla bontà di Cristo; dagli Ariani che, colpendo al cuore la divinità del Verbo, venivano a negare il mistero d’amore dell’Incarnazione di Dio, ai Pelagiani che rifiutavano o falsificavano l’amore infinito di Dio manifestantesi nell’elevazione nostra all’ordine soprannaturale; dai Monofisiti e dai Monoteliti ai Giansenisti di questi ultimi secoli, abbiamo sempre questo fenomeno: l’eretico non crede all’Amore.

6. I Padri della Chiesa ci presentano lo spettacolo opposto. Il vero modo di esaminarli e di comprenderli è la chiave dell’Amore. Per capire sant’Agostino, bisognerà definirlo il Padre della Grazia, ossia dell’amore di Dio che ci eleva alla dignità di figli suoi. Per capire l’eloquenza di san Giovanni Crisostomo, occorrerà prendere una sua frase: « Il cuore di Paolo è il Cuore di Cristo » ed applicarla anche a lui. E quando sant’Ambrogio, dopo che i Goti, sbaragliato Valente, fecero un numero enorme di prigionieri, volle provvedere agli infelici divenuti schiavi, e non solo dispose a loro favore dei suoi beni, ma mutò in verghe d’oro i tesori dei templi, inviò una deputazione di cittadini ai barbari ed ottenne il riscatto di molti; quando, al rimprovero del mícrocefalismo, rispose: « E’ meglio che gli altari siano adorni di anime viventi, che non di vasi preziosi », il grande Vescovo di Milano non faceva altro se non ripetere con un gesto il suo insegnamento d’amore.

7. Calarono i barbari, flagello sulle terre cristiane, seminando dovunque rovina e morte. Le spaventose invasioni di quelle orde selvagge, le città distrutte, gli abitanti massacrati o ridotti in schiavitù, gli incendi e le stragi fecero sviluppare sempre più l’antica fiamma della Chiesa. L’Amore di Cristo affrontò i feroci conquistatori, li convertì, li trasformò. San Leone Magno di fronte ad Attila e tutta la serie di Vescovi, da sant’Eusperio a san Lupo, da san Germano a sant’Aurelio, da sant’Egnano a san Geminiano, che sfidarono i barbari, non sono altro se non i simboli dell’Amore cristiano che vince la violenza brutale. In san Remigio, che nella cattedrale di Reims conferisce il battesimo a Clodoveo; in donne nobili ed egregie, come Clotilde e Teodolinda, che tanto fecero per la conversione di re e di popoli; in tutti i generosi che contribuirono alla rigenerazione del mondo barbarico invasore, noi salutiamo l’Amore! E furono ispirazioni dell’Amore cristiano la tregua di Dio, il diritto di asilo, la Cavalleria e cento altre istituzioni sorte nei secoli di odio e di prepotenza, quando bisognava educare le belve umane alla carità di Cristo.

8. Tutta la storia delle Missioni, dai primi tempi della Chiesa ai giorni nostri, si riassume con una parola: l’Amore. San Gregorio Magno, che spediva quaranta monaci in Inghilterra a convertire quelle popolazioni, non mandava solo quaranta uomini, ma con essi inviava l’Amore. Ed anche oggi, ogni volta che un Missionario giunge nel centro dell’Africa od in un villaggio dell’Asia, portando una croce, noi non riusciamo a trovare la spiegazione del suo eroismo oscuro se non in questo segreto, sempre antico e sempre nuovo. Nelle nostre chiese, di notte, brilla sempre una lampada dinanzi al Tabernacolo; nel mondo fra le tenebre della barbarie, abbiamo questi cuori d’apostoli, simili a lampade vive, accese dallo Spirito Santo, che diffondono raggi di luce e di salvezza.

9. Nulla si può scoprire nei secoli dopo Cristo che sia veramente cristiano e non si riduca all’amore di Dio e dei fratelli. La verginità fu ed è un grido d’amore. Gli anacoreti ed i monaci, nei deserti e nei chiostri, fra macerazioni e preghiere, alimentano la fiamma dell’Amore. E se, ad esempio, i figli di san Benedetto seppero compiere prodigi; se i monasteri di Montecassino in Italia, di Fulda in Germania, di san Gallo nella Svizzera, di Cluny in Francia furono oasi di fede e di civiltà, lo si deve all’Amore, che divampava nelle loro anime e faceva loro apprezzare, conservare e svolgere gli stessi valori umani.

10. Si spiega, allora, tutta l’opera di carità individuale e sociale, che sempre ha caratterizzato il Cristianesimo. Si comprende, anche, il vero ed unico metodo cristiano – Per la redenzione degli schiavi, ad esempio, la Chiesa non ha ricorso all’arma della ribellione e dell’odio di classe, ma al principio della carità. Col dogma dell’eguaglianza di tutti gli uomini nei doveri morali e religiosi dinanzi a Dio, trasformò virtualmente la schiavitù: il padrone non ebbe più davanti a sè una cosa, ma una persona, un’anima redenta dal sangue di Cristo; la sua autorità sullo schiavo era quindi limitata; l’uccisione proibita; la santità, la monogamia, l’indissolubilità del matrimonio degli schiavi riconosciuta; il trattamento di essi mitigato. Un rivolgimento interiore fu il lievito della rigenerazione civile, che ne doveva essere la naturale conseguenza; fu la causa delle numerose iniziative private e pubbliche per la cristiana redenzione degli schiavi, dagli atti di spontanea affrancazione in massa da parte dei padroni, al riscatto della beneficenza ed all’obbligo ai chierici di liberarli; dalla vendita dei beni e degli arredi delle Chiese, alla fondazione di Ordini religiosi per redimerli; dalle dignità ecclesiastiche e civili conferite agli schiavi, sino all’opera emancipatrice universale di Papa Gregorio Magno, preparata e seguita da oltre 200 decisioni autorevoli di Concili, di Pontefici e del Diritto Canonico. E quando le oblazioni dei fedeli e le donazioni di terre e case formarono un grande patrimonio ecclesiastico, la Chiesa, ponendo in pratica la sua dottrina della funzione sociale della proprietà, iniziò un nuovo periodo di redenzione delle classi umili. Fu l’enfiteusi, ossia il dominio utile di case, campi, poderi, boscaglie, concesso dalla Chiesa ai privati o per un tempo determinato o generalmente in perpetuo, dietro compenso di esiguo canone annuo. E così tanti lavoratori divennero possidenti ed iniziarono la loro fortuna. Furono i censi, per cui la Chiesa cedeva ai privati case, campi, poderi, dietro un esiguo sborso del prezzo di stima, lasciando loro in mano il rimanente prezzo, con l’obbligo di pagarvi il frutto. Con questo mezzo un individuo poteva diventare possidente, acquistare vari appezzamenti, lavorarli, renderli fertili, ricavarne ottimi prodotti. Furono inoltre gli usi civici, che davano al povero il diritto di raccogliere frutti, far legna e carbone, falciare erba per fieno, cavar pietre, ed inoltre il diritto di pascolo, di seminar terreni non coltivati, di coltivare piccoli appezzamenti e così via. Siccome poi la Chiesa non poteva imporre a tutti i proprietari queste nuove riforme sociali, che essa andava attuando, ricorse ad un altro mezzo di redenzione economica con l’associazione del capitale al lavoro, facendo sorgere le colonie e le mezzadrie, in cui il proprietario poneva fondi, case, bestiame, capitale, macchine, anticipi di spese, mentre il lavoratore poneva la fatica, dividendo poi il frutto a metà. – E non dimenticò neppure gli artigiani, facendo trionfare con essi il principio dell’organizzazione e suscitando quelle Corporazioni d’arti e mestieri, che erano animate dal soffio del Cristianesimo. Non è possibile qui accennare, neppure in succinto, ciò che hanno prodotto i principi cristiani dell’Amore nell’ordine sociale in venti secoli di storia. Tutte le istituzioni di carità, che sorsero in ogni tempo, ispirate e create dalla religione e che sostituirono gli antichi circhi, i Colossei, gli anfiteatri; gli ospedali, i brefotrofi, gli orfanotrofi, gli istituti per la vecchiaia, per i ciechi, per i sordomuti, per i deficienti, per i derelitti, per ogni genere di dolore e di sventura; coloro che, come Vincenzo de’ Paoli, Camillo De Lellis, il Cottolengo, don Orione, don Calabria, hanno promosso mille opere a sollievo degli infelici; le istituzioni stesse economiche e sociali, dai Monti Frumentari e dai Monti di Pietà alle odierne opere di assistenza ed alle diverse organizzazioni per la tutela degli umili, sorte nei vari paesi, tutto questo canta la fecondità dell’Amore cristiano e ci fa comprendere quale importanza essenziale esso conservi per l’avvenire.

11. Come appare chiaramente, il Cristianesimo è l’epopea dell’Amore. E santi sono proclamati coloro che più hanno amato Dio, che più si sono sacrificati per il prossimo, che tutto hanno fatto per amore, che hanno trasformato la loro esistenza in un inno d’amore. Ogni santo ha la sua speciale fisionomia, né vi sono due figure identiche nel cielo della santità; ma l’anima è unica ed è data da questo divino elemento a tutti comune. Uno, anzi, dei modi efficaci per tracciare la storia della Chiesa, potrebbe essere questo: seguire durante i secoli la storia dei Santi, i quali pure hanno vissuto nella loro epoca e del loro tempo, ma che sino in grado eroico hanno esplicato la morale dell’Amore.

12. Se, del resto, altri preferisse un diverso metodo, potrebbe gettare il suo sguardo ai singoli secoli. Ecco, il secolo XIII, aperto da san Francesco, il Santo che, forse, più di tutti, ha amato Gesù Cristo, e da un altro serafico d’amore, Domenico di Guzman. Tommaso d’Aquino giungerà all’amore sulle ali del pensiero, robuste come ali di aquila: e non solo la sua vita, la sua morte, il suo commento sul letto dell’agonia del Cantico dei Cantici resteranno un mistero per chi se lo raffigurerà come un freddo intellettualista, ma anche il suo sistema immortale non sarà intuito nella sua anima da chi prescinderà dall’Amore che gli illuminava la mente sovrana. Bonaventura da Bagnorea, il Dottore serafico, indicherà nell’Amore stesso l’itinerario della mente a Dio. Dai monasteri della Germania risponderà il saluto al Cuore di Cristo di santa Gertrude e delle due Matilde; e saranno canti meravigliosi, vibranti di amore, come sempre lo furono gli accenti dei mistici, belli come le basiliche che con le loro guglie venivano allora lanciate verso l’azzurro a proclamare a Dio l’amore degli uomini. Dante chiude quel secolo col poema dell’Amore. Là « dove l’amor sempre soggiorna » sale con progressiva ascensione il poeta di nostra gente. Lo guida San Bernardo, il grande cantore del divino Amore, che lo aveva estasiato col carme delicato e soave, col commento della Cantica, e che gli suggerì il coronamento della Divina Commedia. « Drizzeremo gli occhi al primo Amore », all’« Amor che muove il sole e l’altre stelle ».

13. Quando nei secoli cristiani l’Amore si afferma e divampa, vi sono periodi di sviluppo, glorie di spirituali conquiste, orizzonti sereni di paradiso. Quando l’Amore impallidisce e s’offusca, abbiamo tramonti foschi e inverni desolati. – I Papi e i Vescovi che s’avviavano al martirio perdonando, benedicendo, amando, facevano fiorire sui loro passi rose primaverilmente fresche e candidi gigli. Ma il giorno in cui, mentre la sinistra impugnava un Pastorale, la destra brandiva una spada, abbiamo avuto la nefandità della simonia e del concubinato, e la lotta per le investiture. – Se l’Umanesimo ed il Rinascimento prepararono la culla della Riforma, fu perchè l’amore delle cose umane e dell’umana grandezza fece troppo dimenticare Dio e l’Amore soprannaturale. Non si creda però che quello sia unicamente il tempo di Alessandro VI: no; fu l’epoca delle Compagnie del divino Amore e dei Santi più accesi d’amore per Cristo e per i fratelli.

Contro Lutero, Dio suscitò Ignazio di Loyola, che alla stolta teoria della giustificazione mediante la sola fede, oppose la solenne affermazione del dovere di tendere a Dio con tutta la nostra attività; e fu questa nota attivistica che non solo ispirò i suoi Esercizi Spirituali, ma animò la Compagnia dei suoi figli valorosi. – Contro Calvino, il negatore dell’amore di Dio, che si foggiava con le solite fantasticherie della predestinazione un Dio feroce, s’alzò Francesco di Sales, col suo Traité de l’amour de Dieu, ad illustrare dolcemente la misericordia, la bontà e la facilità dell’amore divino. Ed intorno a loro vi fu una pleiade di anime grandi. Era il Borromeo, il quale mostrava l’amore del buon Pastore alle sue pecorelle, che egli risanava dall’ignoranza religiosa e dalla morale rilassata, sollevava nei bisogni della carestia, assisteva fra le miserie della peste. Era Filippo Neri, con l’amore alla gioventù; Camillo de Lellis, con l’amore agli infermi; erano i Somaschi, i Teatini, gli Scolopi, i Barnabiti, che si consacravano al popolo, agli orfani, al culto divino, alla gioventù studiosa, alle scuole popolari e via dicendo; questi erano i veri riformatori, che basavano la loro costruzione sull’Amore. Frattanto Giovanni della Croce e Teresa d’Avila intonavano un inno d’Amore, che certo non morrà. – E sorse un altro eretico, ossia un altro nemico dell’Amore: sorsero Giansenio ed i tristi seguaci, che vollero dipingere Iddio come perennemente irritato contro gli uomini, severo nello scrutarne le minime colpe, rigidissimo nella punizione, implacabile nel rifiuto delle grazie; e si raffigurarono un Gesù dalle mani serrate in pugni e minacciose. Non importa. La nazione dove il giansenismo fece le sue avanzate più rapide divenne anche la terra di Maria Margherita e del beato de La Colombière; fu la terra dove Gesù mostrò il suo Cuore, dicendo: « Ecco il cuore che tanto ha amato » e dove implorò amore: dove Alessandro Manzoni doveva ritrovare la fede perduta, per divenire in seguito il cantore della Morale Cattolica. – L’Illuminismo e l’Enciclopedia prepararono la Rivoluzione francese e, mentre funzionava la ghigliottina, le scimmie dell’amore cristiano urlarono: liberté, égalité, fraternité. L’umanitarismo voleva prendere il posto del Cristianesimo; l’Aufkldrung, il Progresso, la Civiltà, la Cultura moderna, la Ragione pretendevano offuscare coi loro splendori l’incendio d’Amore di Cristo. Il secolo XIX, con tutte le armi — dalla storia alla scienza, dalle lettere e dalle arti alla filosofia, dalla democrazia anticlericale alle prepotenze dei governanti, — tentò di continuare l’opera spegnitrice dell’Amore cristiano. Ahimè! Il risultato è stato ben descritto da Giovanni Papini, nel capitolo mirabile che chiude la sua Storia di Cristo. « In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo — egli constata — l’abbiettezza è stata così abbietta e l’arsura così ardente. La terra è un inferno illuminato dalla condiscendenza del sole ». Son scoppiati i conflitti mondiali: e dalla melma in cui s’erano tuffati, gli uomini si levarono « frenetici e sfigurati, per buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi ». Invano. « L’amor bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per se medesima, di ogni popolo per sé solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l’odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d’ossami la terra. L’amore di sé, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l’odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servi padroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori… – Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona dal fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale. Anche gli uomini ch’eran rimasti intatti nella pace dell’ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire. Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l’aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e più della propria scontentezza. Gli uomini, nell’ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e, pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l’alcool, i giuochi, le armi prelevano ogni giorno a migliaia i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie… ». « In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d’una salvazione spirituale ». Abbiamo bisogno d’Amore! E tutto ciò che ne preannunzia la risurrezione è oggi salutato da coscienze angosciate, trepide ed ansiose. Nessuno più vorrebbe prostrarsi dinanzi alla Dea Ragione; al contrario le folle si recano all’Immacolata di Lourdes ed a Fatima. Basta una piccola anima, come Teresa di Lisieux, che vive d’amore e muore d’amore, perché il mondo intero venga scosso da un fremito soprannaturale. Nelle varie Confessioni protestanti si vanno moltiplicando le voci augurali d’un ritorno all’unità della Chiesa, nell’amplesso dell’Amore. Il movimento missionario si intensifica sempre più. A Roma dall’alto del Vaticano Pio XI fra il plauso del mondo ha inneggiato alla Regalità di Cristo. Ed alla Regina dell’amore Pio XII ha consacrato i cuori dell’umanità. Al Vicario del Dio della Carità si recano in pio pellegrinaggio i popoli della terra, come all’unico che abbia parole di vita eterna. A lui, dopo le disillusioni subite ed i disinganni provati, molti, ancora una volta, rivolgono gli sguardi anelanti. Quando, ogni anno, nella festa dell’Amore Eucaristico, si spalancano le porte di S. Pietro ed esce il Pontefice bianco con l’Ostia della pace, individui e nazioni dimenticano un passato di orgoglio, di miserie e di ribellioni, e si protendono verso un avvenire, che segnerà le glorie di Cristo Re. – Tale è la morale cristiana vissuta; tale è il Cristianesimo, che nei suoi dogmi, nella sua etica, nella sua storia, ci appare sempre come Amore. E non senza un profondo significato, nell’Italia nostra, un’Università cattolica, inaugurando la sua vita e la sua attività, proponendosi di sintetizzare tutto il sapere e di ispirarlo con un’anima cristiana, ha creduto doveroso scrivere a caratteri d’oro sul suo frontone il nome del Sacro Cuore, ossia dell’Amore. Quel nome è un ideale, una speranza, un programma.

3. – Conclusione.

Forse qualcuno, dopo una simile visione, potrà chiederci come mai venti secoli di morale cristiana hanno lasciato nelle coscienze e nei popoli tanti odi e tante bassezze. Ma l’abbiezione è superficiale. Non solo nelle istituzioni sociali e nella vita civile il Cristianesimo ha suggerito in ogni campo, incoraggiato e promosso numerose conquiste; ma è da osservarsi altresì che la morale dell’Amore non è una battaglia che si possa vincere una volta per sempre. Ogni uomo che viene a questo mondo, ogni popolo che si sviluppa, ha il suo problema da porre, da affrontare, da risolvere. Ogni persona ed ogni nazione ha le sue lotte quotidiane, che si rinnovano sempre sotto forme nuove e che in questo Sillabario abbiamo cercato di ritrarre nella loro realtà. In morale, non si è Cristiani una volta per sempre; ma, finché viviamo quaggiù, bisogna conservarsi e divenire ogni giorno più Cristiani. L’educazione degli individui e dei popoli tende appunto a fortificare le anime per questo quotidiano combattimento, svolto con la grazia divina, che, se costituisce il nostro assillo da un lato, forma per noi anche, dall’altro, il merito e la gloria.

Non basta, quindi, essere nati in terra santificata dal sangue dei martiri ed irrorata dalle virtù dei Santi. Non basta aver ricevuto il Battesimo ed essere stati incorporati a Cristo ed alla Chiesa. Ciò sarebbe per noi un titolo di ignominia e di condanna, se non vivessimo cristianamente. È necessario seguire nella vita la morale di Cristo e della sua Chiesa: « Quella morale — chiuderò anch’io col Manzoni — che sola potè farci conoscere quali noi siamo; che sola, dalla cognizione di mali umanamente irrimediabili, potè far pascere la speranza; quella morale che tutti vorrebbero praticata dagli altri, che praticata da tutti condurrebbe l’umana società al più alto grado di perfezione e di felicità che si possa conseguire su questa terra; quella morale a cui il mondo stesso non potè negare una perpetua testimonianza di ammirazione e di applauso.

Riepilogo.

La morale cristiana:

a) sintetizza tutte le anime di verità che si trovano sparse nei vari sistemi filosofici e le completa;

b) non è, come le altre teorie morali, una dottrina puramente speculativa, ma ha avuto un influsso immenso su due millenni di storia, che possono essere definiti la storia dell’amore. Nulla come la storia della Chiesa conferma la divina verità e la soprannaturale efficacia dell’etica insegnata.