IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (19)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (19)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo ottavo

MORALE E SANZIONE

Il pensiero della morte può proiettare un’ombra scura e sinistra su tutta l’esistenza terrena, se si prescinde dall’amore di Dio. Per questo il vecchio proverbio indiano, dopo d’aver osservato che di una vita umana, metà degli anni passa nel sonno, metà dell’altra nella incoscienza della fanciullezza e della vecchiaia, ed il resto nel lavoro, nelle malattie, nelle separazioni e nei dolori, si domandava: « Come possono gli uomini trovar pace in una vita, che somiglia al suono di un maroso? ». E Lenau, il poeta pessimista, esclamava: “Umano cor, cos’è il piacer quaggiù?/Un momento che, nato a mo’ d’enimma, salutato s’invola e non vien più.”

L’anima di verità del pessimismo sta appunto nel cogliere con precisione e con intensità il nulla di tutti i valori umani, quando il relativo è considerato avulso dall’Assoluto, quando il tempo è riguardato senza il nesso che ha con l’eternità, quando l’uomo è visto sotto un’altra luce che non sia la luce di Dio.

La scena si trasforma se la vita e la morte — come dicemmo — vengono illuminate dall’Amore divino e se tutto viene contemplato e vissuto come un raggio di quest’unico Sole. Allora la realtà umana non è più un’ombra lieve che dilegua, ma tutto ha un valore eterno. Il vero problema della sanzione nella morale cristiana non può essere impostato, nè tanto meno risolto, se non da chi afferra la connessione tra l’Amore di Dio e l’atto umano, tra l’azione nella sua apparenza esteriore e l’azione nella sua anima vivificatrice, tra il tempo che scorre e l’eternità che resta. Ancora una volta: bisogna ripensare ogni questione dell’etica in funzione del concetto di Amore.

1. – La triplice sanzione.

Innanzi tutto è uno sbaglio madornale credere che la sanzione della virtù o del vizio, dell’atto buono o dell’atto malvagio, sia — secondo la morale cristiana — da relegarsi solo nell’al di là, o che l’al di là sia senza collegamento organico con la vita di quaggiù. Per null’affatto.

I. Siccome l’uomo è ordinato a Dio e deve vivere secondo la legge dell’Amore di Dio, ogni volta che egli tradisce il suo dovere e resta affascinato dalle inezie, ha una prima sanzione in se stesso. « Omnis animus inordinatus pœna sui ipsius », notava sant’Agostino nelle Confessioni e le pagine intorno al rimorso abbondano in tutta la letteratura patristica ed ascetica. Ciò che di vero c’è nell’etica stoica è stato sempre dal Cristianesimo riconosciuto e proclamato. Quando la stoicismo antico e moderno insegna che « virtus pretium sui » e che « vitium pœna sui », quando ricorda che ad ogni azione umana è immanente una sanzione, non fa altro se non ripetere ciò che il Vecchio ed il Nuovo Testamento hanno proclamato e che l’esperienza di ognuno può confermare. La propria dignità, elevata, depressa o distrutta, ossia in altri termini, il vero ed illimitato amore a noi stessi, è connesso col nostro agire libero. Chi ama le cose grandi, si sente grande; chi ama Dio, è da Dio trasformato e divinizzato; chi, al contrario, pecca, si abbassa e il verme roditore della coscienza lo avverte e lo angustia. Questo premio e questo castigo immanente, però, non sono da interpretarsi come un semplice « sentimento », che potrebbe essere trascurato o impunemente disprezzato; ma sono da ridursi all’amore di Dio per noi. La gioia della coscienza e il suo intimo tormento sono un frutto della volontà nostra, che accetta o rifiuta l’Amore di Dio e ci cantano questo Amore stesso. Persino le conseguenze tristi, che talvolta ci provengono da una colpa, e soprattutto la coscienza lacerata dai rimorsi hanno un simile significato. Giustamente all’Innominato che esclamava: « Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio? », il buon cardinale Federico rispondeva: « Voi me lo domandate? Voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate? ». Giustamente l’autore dell’Imitazione di Cristo sussurra al nostro orecchio: « Essere con Gesù è un dolce paradiso »: il paradiso o l’inferno non cominciano col momento della morte, ma con l’azione nostra quaggiù. « Ho l’inferno nel cuore », diceva ancora l’Innominato; « ho il paradiso nell’animo », asserisce il giusto. E non si tratta di metafore. Poiché, cos’è la vera essenza dell’inferno, se non la separazione da Dio e dal suo Amore? Cosa sarà il cielo, se non l’unione nostra con Dio nella visione beatifica e nell’Amore eterno? Certo il fiore pienamente sbocciato non è uguale al germe dal quale proviene; tuttavia è col germe stesso organicamente congiunto: la felicità o l’infelicità eterna non sono se non il completo svolgimento della realtà attuale.

2. Siccome noi non siamo atomi dispersi, ma costituiamo un unico organismo mistico in Cristo, è evidente che ogni colpa ha una ripercussione ed ogni atto virtuoso ha un benefico influsso su tutti i fratelli. C’è una sanzione anche su questa terra, non solo individuale, ma altresì sociale. E con questa espressione non voglio alludere tanto agli onori che la società può tributare al buon cittadino o alle pene che usa contro il disonesto; ma piuttosto, ai risultati delle nostre azioni. Come è innegabile, per dirla con Elisabetta Leseur, che « chi eleva sè innalza tutto il mondo », così non è meno inevitabile che ogni colpa divenga la prima scintilla provocatrice di un incendio distruttore. Ed anche qui, quando coi positivisti e con gli utilitaristi si illustra la sanzione sociale che accompagna il bene ed il male, si afferma una grande verità che il Cristianesimo ha sempre rammentato, inculcando il senso della responsabilità che deve illuminarci nella quotidiana battaglia. Ma, ancora una volta, è in forza dell’Amore che dobbiamo tener vigile in noi tale consapevolezza. È l’amore al prossimo nostro che rischiara questo punto essenziale dell’etica e questa sua speciale sanzione. Al Caino che dovesse dirci: « Sono forse io il custode di mio fratello? E che importa a me del benessere o del danno altrui? », il Cristianesimo ricorda che noi siamo responsabili non solo di quanto facciamo, ma anche delle conseguenze dell’azione nostra, la quale, anzi, per essere seriamente valutata, deve venir esaminata non soltanto in sè e nella sua intrinseca malizia o bontà, ma altresì in rapporto agli altri. Accendere un fiammifero per fumare una sigaretta può essere un delitto, se ci troviamo vicino ad un po’ di dinamite…

3. C’è una terza sanzione, collegata non già all’amore che dobbiamo avere e coltivare per noi stessi e per il prossimo, ma all’amore di Dio, la quale si manifesta bensì inizialmente in questa vita con le due sanzioni imperfette che abbiamo descritto, ma si sviluppa poi in quella sanzione completa dell’eternità, che si chiama paradiso, inferno, purgatorio e che dobbiamo ora studiare, sempre in rapporto all’Amore.

2. – Il paradiso e l’amore.

Notiamo subito come sarebbe pretesa assurda il volersi avviare pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, senza esser sorretti dall’Amore. Iddio per amore ci ha creati; per amore ci ha elevati all’ordine soprannaturale e ci ha uniti a Lui con la grazia e con la carità; per amore vuole che non siamo da Lui separati, nè in questa né nell’altra vita. Il paradiso, dunque, da parte di Dio, non è altro se non l’Amore suo per noi e il premio dell’amore nostro per Lui. Da parte nostra, in questo periodo di prova che Iddio ha voluto concederci, perché ci ama, ossia perchè con un gesto squisitamente bello d’amore, ha voluto che noi cooperassimo all’acquisto della felicità, conquistiamo il paradiso con l’amore che portiamo a Dio, osservando per amore la legge morale, amandolo sopra ogni cosa ed amando il prossimo nostro per amor suo; e secondo il grado del nostro amore sarà il grado del premio. In se stesso, cos’è il Paradiso? Esso consiste nella visione di Dio non più per speculum et in ænigmate, ma a faccia a faccia e nell’amore che ci unirà a Lui in eterno. Il paradiso sarà la immersione nostra nel mare della Trinità, per esprimerci con la Santa da Siena. Gesù Cristo ci unisce a Lui in questa vita e noi costituiamo un unico corpo mistico col Figlio, divenendo così per tale nostra incorporazione, figli adottivi di Dio. Insieme con Cristo, noi conosceremo il Padre e lo ameremo, non già con una conoscenza ed amore puramente umani, ma con la conoscenza del Verbo e con l’amore dello Spirito Santo. Pregava santa Caterina nel pio fervore dell’animo in festa: « O potente ed eterna Trinità! o dolcissima ed ineffabile Carità, chi non s’infiammerebbe a tanto amore? Qual cuore potrebbe difendersi dal consumarsi per te? O abisso di Carità! Tu sei dunque così perdutamente attaccato alle tue creature, che sembra che tu non possa vivere senza di loro! Eppure tu sei il nostro Dio! Tu non hai bisogno di noi. Il nostro bene non aggiunge nulla alla tua grandezza, poichè tu sei immutabile. Il nostro male non potrebbe cagionare alcun danno verso di te, che sei la sovrana ed eterna Bontà!… Chi porta te, Dio infinito, verso di me, piccola creatura? Nessun altro che tu stesso, o fuoco d’amore! L’amore, sempre, solo ti spinge e ti spinge ancora a far misericordia alle tue creature, colmandole di grazie infinite e di doni senza misura. O bontà superiore ad ogni bontà, tu solo sei sommamente buono! ». – La felicità eterna consiste in questo possesso sicuro e perenne dell’essere che è tutto l’Essere e che perciò sazia ogni desiderio, nella visione intuitiva che ci rivelerà i segreti della Carità infinita, nell’infinito amore di Dio. Desiderare il paradiso significa, quindi, aspirare all’Amore che incorona la vita cristiana e che, essendo eterno ed immortale in sè, sarà premio eterno ed immortale anche per noi. Il cupio dissolvi di san Paolo; il grido di Caterina da Siena: « Come il cervo sospira l’acqua della fonte, così l’anima mia deve uscire dal carcere tenebroso del corpo, per vederti in verità »; il gesto di san Filippo Neri, che prende il cappello cardinalizio, inviatogli dal Papa, e gioca lanciandolo in alto e ripetendo « paradiso! paradiso! », sono voci di amore, che non rinnegano i valori umani, che anzi li utilizzano e li svolgono, ma non in essi ripongono il cuore, quasi che avessimo quaggiù la città che rimane, bensì guardando il Cielo e di cielo riempiono la terra. Vi sarà il Cristiano imperfetto, che all’Amore eterno del paradiso penserà come ad una felicità; vi sarà il Cristiano perfetto, che volgerà di preferenza l’occhio al Dio dell’Amore; ma nell’uno e nell’altro caso il paradiso non è se non il trionfo dell’Amore.

3. – Il purgatorio e l’amore.

Evidentemente, allora, cosa implica il Paradiso? Che si ami Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze. Non può entrare in paradiso chi non ha la purezza dell’amore, ossia chi muore avendo ancora una soddisfazione da dare od anche un solo filo d’amore per le creature o per la colpa. Bisognerebbe poter riassumere le opere di san Francesco di Sales o la Salita del Carmelo di san Giovanni della Croce, per comprendere meglio la purificazione totale dell’essere umano, che ci rende degni — per usare una frase di san Paolo ai Colossesi — d’entrare a far parte della compagnia dei santi nella luce e ci trasferisce nel regno del Figlio dell’Amore. Fin quando, pur non avendo un peccato grave, non s’è passati per la notte oscura della mortificazione degli appetiti umani, dell’abnegazione dei piaceri umani, delle affezioni alle creature; fin quando o il peccato veniale o le pene delle colpe — gravi o leggere — perdonate non hanno compiuto l’annientamento delle macchie di ciò che è terreno, non ci è possibile entrare in cielo. Il paradiso è amore di Dio; se si amano, in modo non ordinato, le creature, ossia se in noi esiste anche un minuscolo idoletto, se ci resta ancora qualcosa da pagare alla divina giustizia, Dio non ci unisce a Lui nella gloria. Ecco la ragione del purgatorio. L’Amore di Dio l’ha creato per purificare le anime da ogni e qualsiasi altro amare e da qualsiasi macchia, per renderle capaci della visione e del possesso dell’Amore infinito. E noi, che da quelle anime non siamo divisi, ma ad esse siamo uniti in Cristo, possiamo affrettare loro la purificazione interiore assoluta, coi suffragi della carità. La preghiera per le anime purganti non è altro se non una forma di amore per il prossimo, per le glorie dell’amore di Dio.

4. – L’inferno e l’amore.

Qualcuno si stupirà ora di sentir parlare dell’inferno in funzione del concetto di Amore. Ma non si meravigliò il poeta teologo, Dante nostro, nelle sue terzine:

“Per me si va nella città dolente,/ per me si va nell’eterno dolore,/ per me si va tra la perduta gente./ Giustizia mosse il mio alto Fattore:/ fecemi la divina Potestate,/ la somma Sapienza e il primo Amore./ Dinanzi a me non fur cose create/ se non eterne, ed io eterno duro./ Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate.”

Per capire il pensiero di Dante, giova fare una riflessione. Analizziamo lo stato d’animo di coloro che non vogliono concepire un inferno eterno, ossia che lo vogliono sostituire col purgatorio. Se ben si osserva, tale pretesa ricopre l’egoismo più brutale e più sfacciato. Essa, press’a poco, si potrebbe enunciare così: Io, peccatore, adesso, in questo periodo di prova in cui dovrei dimostrare con la vita morale di amare Dio, non lo voglio amare; preferisco a Lui la carne, l’oro, il mio io e via dicendo. Fino alla morte, proprio fino all’ultimo istante, voglio conservarmi in questo mio orientamento spirituale. Poi, quando, col termine della mia esistenza terrena, più non potrò godere questi beni, allora… allora Dio sarebbe ingiusto, se non mi ammettesse al suo amore! Perché dovrebbe farmi soffrire per sempre? In quel tempo, io cambierò parere. Quando non avrò null’altro da desiderare, mi rivolgerò a Dio. Ma, intendiamoci: se anche allora io potessi godermela come oggi, non saprei che farmene di Dio… ». – Tale, dunque, si prospetta il contrasto tra Dio e il dannato. Da una parte, abbiamo l’Amore infinito; abbiamo Gesù Cristo che tanto ci ha amato da incarnarsi e da morire per noi; abbiamo una profusione di amore e di grazie, che dà diritto a Dio di chiedersi: « Che cosa avrei potuto far di più per la mia vigna, che non abbia fatto? »; abbiamo una continua insistenza di Dio verso il peccatore sino all’ultimo respiro; dall’altra parte, abbiamo il rifiuto, voluto, colpevole, ostinato dell’Amore di Dio. Con la morte, il tempo della prova finisce. Fino alla separazione dell’anima dal corpo, Dio chiama il figlio ribelle e lo avverte che da lui dipende un’eternità. Ed il Figlio re spinge l’appello del Primo Amore. Non esige forse la giustizia un castigo proporzionato alla colpa? E come si può negare che la colpa, in questo caso, sia d’una gravità infinita, essendo infinito l’Amore insultato dalla stolta ribellione? Di qui la pena del danno, in cui consiste essenzialmente l’inferno, ossia la separazione perenne dell’Amore e l’odio contro Dio; di qui anche la pena del senso, in quanto il dannato brucerà tra le fiamme, vere e proprie, che gli rammenteranno il fuoco rifiutato dell’Amore divino; di qui la definizione esattissima, che santa Caterina da Genova dava di satana: « Colui che non ama e non può amare».

5. – Conclusione

In tal modo la legge morale avrà la sua perfetta sanzione con l’Amore conquistato o perduto per sempre. E all’ultimo dei giorni, nel giudizio universale, la sanzione sarà proclamata non più solo individualmente, ma per tutta l’umanità. Sarà distrutto il mondo. I beni di quaggiù, che furono preferiti all’Amore di Dio, appariranno nel loro nulla. L’empio — descrive la Sapienza — dirà: « Che ci ha giovato l’arroganza? e la ricchezza con la boria che bene ci ha apportato? Tutto ciò è passato come ombra e come fugace notizia. Come nave che traversa l’acqua ondeggiante, che una volta passata non se ne trova più traccia, né il solco della sua carena tra le onde; e come un uccello, che vola per l’aria, non lascia segno del suo cammino… Così anche noi, messi al mondo, siam venuti meno, V’è e non avemmo nemmeno un segno di virtù da mostrare, quaggiù anzi nella nostra malvagità ci siamo spenti. I giusti invece vivono in eterno e il loro premio sta nel Signore ».

Due eserciti saranno allora di fronte: l’esercito dell’Amore e l’esercito dell’odio. Comparirà in cielo il simbolo eterno dell’amore, la Croce. Verrà Gesù Cristo e dirà il venite benedicti, ai figli dell’amore, a coloro che hanno amato Dio re di ogni cosa e che nel prossimo hanno veduto e riconosciuto Lui stesso: « Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere… Ogni volta che avete fatto questo anche all’ultimo di costoro, l’avete fatto a me ». – Le offese all’Amore saranno in quel giorno riparate. L’ite, maledicti, in ignem aeternum sarà la vittoria dell’Amore, che si volle disconoscere, calpestare e distruggere. Così termineranno le vicende di un mondo, dove l’Amore di Dio è lasciato alla libera scelta dell’uomo e si inizieranno i secoli futuri. – Basta la semplice esposizione della morale cristiana per disperdere come una nube al soffio del vento le trite e ritrite obbiezioni intorno all’ingiustizia di Dio, all’utilitarismo ed all’egoismo dell’etica nostra, od alla degradazione della dignità umana a proposito di paradiso e di inferno. Sono accuse che morrebbero sulle labbra, se si approfondisse l’insegnamento del Cristianesimo. Ciò che mai morrà è il grido col quale santa Caterina da Siena chiudeva una sua lettera alla regina Giovanna di Napoli: « O Gesù dolce! O Gesù amore! ». Così deve terminare la nostra vita. Così anche terminerà la storia.

Riepilogo.

V’è una sanzione immanente ad ogni atto buono o cattivo, anche quaggiù, e consiste nell’intima gioia del bene compiuto o nel rimorso del male fatto; inoltre, v’è anche su questa terra una sanzione, non solo individuale, ma altresì sociale. Questa duplice sanzione risponde all’amore che dobbiamo avere a noi ed al prossimo nostro; ed è più o meno imperfetta. V’è una sanzione perfetta, che è collegata all’amore che dobbiamo a Dio e si ha nell’altra vita col paradiso, il purgatorio e l’inferno. Il paradiso è il trionfo dell’amore. Il purgatorio è la purificazione da tutto ciò che contrasta all’amore di Dio, ed i suffragi per le anime purganti sono una forma nobilissima di amore per il prossimo. L’inferno, per la pena del danno, consiste nella separazione definitiva dall’Amore di Dio; per la pena del senso, è un fuoco vero, che punisce le fiamme delle passioni appagate. Nel giorno del giudizio, la sanzione della legge morale sarà proclamata, non solo individualmente, ma per tutta l’umanità. Staranno di fronte l’esercito dell’Amore e l’esercito dell’odio. Trionferà il segno dell’Amore, la Croce.

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