LO SCUDO DELLA FEDE (267)

LO SCUDO DELLA FEDE (267)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (10)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO X.

RELIGIONE

I. La religione è buona pel popolo; II. per le donne che abbisognano di emozioni religiose.

Sulla religione in genere non sono finiti ancora gli assiomi che vanno attorno; perocché l’odio che le si porta, ne ha messo in credito un numero sterminato. Vedendo di non poter al tutto atterrare la religione, i libertini si sforzano di liberarne almeno sé stessi, confinandola ai tuguri ed alle gonne. La religione, dicono essi, è buona pel popolo, che ha bisogno d’ essere trattenuto perché non prorompa ad eccessi, e conservi una certa moralità; È buona eziandio, se volete, per, le donne, le quali abbisognano di emozioni religiose; ma per li uomini nel secolo decimonono….è un disconoscere tutte le conquiste del tempo e della civiltà. È egli vero tutto ciò? Vediamolo.

I. La religione è buona pel popolo, vogliamo dire con questa proposizione che è buona solo pel popolo; e che però per quelli che all’ingegno, alla coltura, alla condizione, alla filosofia son tutt’altro che popolo, non è punto fatta. Or, di grazia, la religione è cosa vera, oppure una finzione? Qui non vi è mezzo: o esiste il debito di riconoscere la divinità, di ossequiarla, riverirla, onorarla con atti di culto e di sommissione; oppure non esiste questo debito, sia perché non vi è un Dio, oppure perché, essendovi, non si cura dei nostri ossequi e delle nostre dimostrazioni. L’una delle due è innegabile. Ma se è vero il primo, perché non avrà, anche chi non è popolo, il debito di prestare a Dio il culto di religione? Molto più anzi il dovrà, perché avendo da Dio ricevuta maggior capacità di riconoscerlo, miglior educazione, una condizione più avvantaggiata, e tutti quei doni che dal popolo lo distinguono, sarà reo di maggiore ingratitudine se non riconosce la fonte da cui provengono quei beni; di maggiore empietà, se conoscendo più intimamente la malizia dell’atto che commette, pur vi si abbandona, mentre non potrà in iscusa allegare l’ignoranza, come farebbero le persone più rozze del popolo. Che se stimano la religione una finzione, che Dio non curi, o non accetti, perché allora sarà buona pel popolo? Dunque, il popolo non avrà più, diritto alla verità? Si potrà dargli a credere finzioni, chimere, falsità, perché torna utile? E questo è poi l’amore che portano costoro al povero popolo, che il vogliono aggirare come un bufalo, perché così torna loro a conto? Gli è un pezzo che si conosce la stima che fanno del popolo e l’amore che gli portano certuni, che pur si fingono così teneri e appassionati di lui e così solleciti a spezzargli le catene, onde i tiranni, i despoti, i barbari l’hanno aggravato, i quali poi non hanno una difficoltà al mondo ad incatenarlo colla superstizione, colla idolatria, coll’errore quando fa loro comodo. Ah ipocriti! E fino a quando il vero popolo non aprirà gli occhi sul conto vostro? –  Del resto, il debito universale di religione non è cosa che possa venire in controversia con costoro. Prima del nostro secolo ne passarono un presso a sessanta. Il mondo ha avuto in tutti quegli anni anche degli uomini, i quali avevano un capo sul collo ed un cuore dentro il petto. Sia pure il secolo nostro beatissimo fra tutti i secoli, la perla, la gemma più fulgida, anzi il sole che tutti li vince ed oscura; tuttavia dai monumenti, che rimangono d’ogni genere nel mondo, si comprende che non si possono rilegare al novero delle oche tutte le generazioni passate. Ora in tutti i tempi, e perfino fra le nazioni più barbare, fu sempre in pregio il culto della divinità; poniamo pure che errassero talora quanto alle proprietà che in essa riconoscevano, o quanto agli atti con cui pensavano doverla onorare. Le prove poi che in suo favore adduce il Cristianesimo son tante e tali e solenni e sì confermate che, come osservano i dotti, bisogna prima rinunziare alla ragione, per poter poi dopo rinunziare al Cristianesimo. Ciò presupposto, che significato ha quella espressione: la religione è buona solo pel popolo? Ella potrebbe tradursi in altre parole così: Che solamente il popolo ha debito di non mostrarsi empio con Dio, e che gli altri; che non son popolo, possono insultare quanto vogliono la divinità. Che creature possono rinnegare il Creatore, che figliuoli possono disonorare il Padre, che redenti possono disconoscere il Redentore, poiché non son popolo. – Che solamente il popolo ha debito di non avvilirsi sotto la condizione delle bestie, le quali per alta loro sventura, non conoscendo Dio, non possono onorarlo; mentre quelli che non son popolo, possono per elezione farsi quello che le bestie son per natura, ed inchiodando per sempre gli occhi alla terra come animali nel truogolo, mai non levarli al cielo da cui lor provengono tutti i beni. – Che solamente il popolo ha bisogno di giungere al suo ultimo fine, che è la suprema beatitudine; laddove chi non è popolo, può operare da insensato, senza darsi pensiero né dell’oggetto, per cui fu collocato sulla terra, né del fine, a cui gli fu proposto di tendere. – Che solamente il popolo ha bisogno di evitare i mali eterni, che la stessa ragione e prove infinite di ogni genere dimostrano inevitabili a chi non onora la divinità; mentre chi non è popolo può gettarsi alla ventura in un mar di pene per tutta un’eternità, come non farebbe un forsennato. – Che solamente il popolo ha bisogno di dimostrare riconoscenza al Signore, d’impetrar grazie, di rimuover pericoli, di essere aiutato dalla divinità; laddove chi non è popolo può mostrarsi indifferente a qualunque favore Iddio gli faccia, e può burlarsi degli aiuti e della protezione dell’onnipotente divina Maestà. – Che solamente il popolo ha la sventura di commettere peccati, e quindi il debito di umiliarsi davanti a Dio e chiedergli perdono ed impetrarne mercè; ma che chi non è popolo, facendo una vita perpetuamente immacolata, non sa neppure quel che sia il bisogno d’inchinarsi davanti al trono divino, e supplicare ed impetrare misericordia. – Queste e molte altre cose simili a queste vuol significare la bella espressione che la religione è buona solo pel popolo. Epperò chi ha cuore di ripeterla, faccia almeno di comprenderne prima il senso, e poi, se gli basta l’ animo, ne accetti tutta la significazione. Che se per ventura anche a lui sembrasse un po’ troppo ardita, allora ascolti pienamente la verità. –  È vero che è buona pel popolo la religione, ed oh quanto buona, quanto, quanto è buona pel popolo, poiché il popolo è composto di uomini che sono creature di Dio, destinate da Lui alla patria del cielo e bisognevoli di essa, perché essa è l’unico mezzo per arrivarvi. È buona pel popolo, poiché il popolo ha passioni da vincere, le quali non cedono se non in faccia ai motivi passenti della religione. È buona pel popolo, poiché esso ha da tollerare le pene inseparabili dal suo stato, perché spesso gli manca il pane, spesso l’abito, spesso il tetto, spesso è stanco e travagliato, ed ha bisogno colla speranza del futuro, consolare il presente, colla vista del cielo dimenticare la terra. – È buona pel popolo, poiché esso ha da sopportare pazientemente gli strapazzi, i soprusi, le concussioni dei suoi amici e protettori, che ne mettono tutta la sofferenza alla prova. È buona per tutto ciò, ed oh quanto buona! Così non facessero ogni sforzo per rapirgliela certi scellerati, i quali, mentre si fingono suoi amici, ne sono verissimi traditori! Così comprendessero che è anche loro interesse, se già non li muove la giustizia e la verità; ma poi dopo tutto ciò è bene a sapere che non è meno necessaria per quelli che non sono popolo, anzi per questi è necessaria anche più. Perocché, lasciando stare che questi hanno lo stesso fine e da conseguirsi per gli stessi mezzi che il popolo, hanno poi cento altre ragioni di speciali necessità. Hanno da moderare la vanità che va quasi sempre congiunta colla scienza, hanno da infrenare la superbia che facilmente s’insinua nei palazzi che nei tuguri, hanno da reprimere l’avarizia che più spazia dove trova maggior materia, hanno soprattutto da frenare la concupiscenza, che molto maggiore eccitamento ritrova dove è maggiore l’ozio, più squisita la mensa, più copiosi i liquori, più gaie le compagnie, più sfoggiati i balli, i teatri, le allegrie, le mondanità. Tutti costoro hanno maggior bisogno di religione, perché d’ordinario hanno tentazioni più gagliarde, cadute più frequenti, colpe più gravi che non ha il popolo. Il perché se credono che al popolo sia necessaria la religione, sia in buon’ ora; ma si persuadano poi che anche a loro non istà male un po’ di religione, e non disdegnino di fare col popolo almeno almeno a metà. . .

II. La religione è buona per le donne. Qui quadra il ragionamento fatto di sopra: se la religione è vera, essa è fatta per tutti; se è doverosa, niun se ne può esimere; e se non è vera e non è doverosa, non è punto più buona per le donne che per gli uomini: poiché la finzione e l’inganno non è buono per nessuno. – Ma io farò qui una domanda a quei che confinano alle donne la religione. E perché mai è buona solo per le donne la religione? Esse abbisognano di emozioni religiose, rispondono, poiché avendo il cuore più tenero, non possono fare senza sfogarlo in qualche modo. E dunque voi perché siete uomo, avete il bel dono di essere senza cuore verso il Signore? Non saprei veramente farvene congratulazioni molto sentite. – Del resto eccovi la verità su questo proposito. Se le donne hanno bisogno di religione, è non solo per la ragione comune, che quanti hanno essere, vita, intelligenza, tutti debbono rivolgersi al Signore, ma anche per ragioni speciali al loro stato. La debolezza e fiacchezza naturale fa sentire alla donna più al vivo la necessità del divino sostegno, e più a Dio la stringe. L’abbondare in essa l’affetto a preferenza del discorso, fa che la religione le sia richiesta anche sensibilmente dal cuore, il quale, se non è in lei al tutto guasto e corrotto, non può farne a meno; ma soprattutto ne abbisogna specialmente per un consiglio amorosissimo della divina provvidenza. Iddio ha destinato per man di natura a due nobilissimi uffici la donna: all’arduo e lungo ministero di allevare la prole in quei primi anni, in cui le sollecitudini possono immaginarsi ma non descriversi, e poi ad essere la naturale maestra della medesima per gittare i primi semi della virtù e della religione in quei cuori innocenti. Ad agevolarle quest’alto incarico, la divina provvidenza la rifornì di un cuore più tenero, più affettuoso, perché più facilmente vi si piegasse e vi durasse costantemente. Di che trasportando la donna quel medesimo cuore agli esercizi di pietà verso Dio, ne avviene che senta più affettuosamente di Lui, e più sensibilmente lo ami, e quindi con più foga sia trasportata verso tutto quello che onora la divinità. Laonde è verissimo che essa ha un bisogno tutto speciale della religione. – Che anzi di qua si trae quella specie d’orrore che cagiona il vedere una donna mettersi in greggia coi libertini e burlare le cose di Dio e della pietà. Deve essa, per giungere a questa infamia, non solo perdere ogni timore della divinità, ogni riverenza, ogni amore, il che pure le ha da costare un’estrema violenza; ma anche gittare ogni verecondia che pure è l’onore del sesso, e trasformare, dirò così, la sua indole, il suo cuore, e dopo di aver disprezzati tutti i rimorsi della coscienza, calpestare anche gli affetti più puri che le suggerisca la stessa natura. Che un serpente fischi ed avveleni fa orrore ma non maraviglia, poiché è nella natura del serpente; ma chi vedesse fare altrettanto una colomba, all’orrore aggiungerebbe una meraviglia non più intesa, poiché vedrebbe una violazione in lei della natura della colomba. E ciò è sì vero che il bestemmiatore più solenne che a memoria dei secoli si sia veduto, il Proudhon stesso, avendo scorto certe donne cadute fino in quell’abisso di vantarsi d’irreligione, in un suo empio giornale pubblicamente le avvertì a trattenersene, poiché anche gli uomini più perduti se ne sdegnavano e ne sentivano stomaco. Gli è dunque verissima che la religione è buona, anzi ottima per le donne. – Che però? Avranno gli uomini ragione di esentarsene? Tutto l’opposto. Come nella donna prevale l’affetto, così nell’uomo dovrebbe  prevalere il discorso. Epperò se la donna è portata alla religione più soavemente dall’affetto, l’uomo dovrebbe esservi portato più fortemente dalla convinzione; se già non si tratti d’uomini i quali mentre cedono alla donna nel cuore, le cedano anche nel capo. –  Inoltre 1’uomo ne ha anche maggior necessità. La religione ritrae il nome da ciò che essa lega l’uomo salutarmente: ora chi ha maggior bisogno di vincolo che chi naturalmente è più sfrenato? Se è vero che l’uomo sia meno rattenuto della donna da motivi umani, quali sono la debolezza naturale, la verecondia, il pudore, il timore, qual dubbio vi ha che abbia maggior bisogno dei motivi religiosi? Inoltre, l’uomo ha il primato d’autorità nella famiglia, ha il maneggio degli affari sociali, ha il governo, dirò così, del mondo, epperò abbisogna di maggiori aiuti dal Signore, di maggior lume, e poi di chiedere più spesso al Signore perdono delle sue prevaricazioni. –  Tutto ciò dovrebbe aver luogo almeno presso quegli uomini, che non credono le cose procedere a caso, e che non si reputano senza destino ulteriore al terreno. Che se tutto è finzione quel che s’insegna di Dio, dell’anima, della vita avvenire, dell’eternità, allora hanno ragione gli uomini di non curare la religione. Resta solo alla donna che non invidi all’uomo di essere giunto al vanto di reputarsi in dignità pari agli armenti del campo ed alle fiere della foresta.