SUL CALVARIO

SUL CALVARIO

(OTTO HOPHAN, MARIA; Marietti ed. Torino, 1953)

Ah! adesso dobbiamo riflettere sullo sconfinato dolore, che Maria, l’augusta Signora, soffrì nella raccapricciante tragedia del Calvario. E la Provvidenza ha disposto che proprio in queste settimane, nelle quali scrivevo della abissale passione della Benedetta, giungesse anche per me un Calvario: la morte della mia cara e buona madre. Qual intenso dolore quando muore una buona mamma! in queste lunghe, trepide settimane, quando la speranza che sprofonda lotta con la paura che sale! Poi la sentenza che atterra: finita! nulla da fare! E finalmente il giorno, la notte, quando la poveretta, la cara giacque morente. Quelle mani inoperose, che avevan compiuti miracoli di lavoro, e adesso s’alzavano stanche e pesanti per l’ultima benedizione; quella bocca silenziosa, che durante la vita era prodiga di parole d’amore e di sollecitudine, e adesso non poteva dir nient’altro che « sì, sì! », quando le si parlava della santa volontà di Dio, e « oh, oh » — questo lieto e stupito « oh! » — ai nostri ultimi saluti per l’aldi là, al padre defunto e al gran Signore e alla cara e augusta Signora. E poi quegli occhi, quegli occhi espressivi e caldi, che già vedevano lo splendore dell’eternità, ma, al nostro richiamo, si volgevano a noi ancora una volta sereni, tranquilli, e che poi si spensero come stelle d’oro al loro tramonto. Ah, com’era doloroso e com’era bello! E poi il vuoto, il vuoto stridente! La mamma non è più qua! Potremmo percorrere anche l’intero mondo, ella non è più in nessun luogo, non è proprio più. Siamo abbandonati soli al grande dolore e alla grande e lontana speranza. Sì, quest’è cosa dolorosa, che a un figlio muoia una mamma così buona. Cosa ancor più dura è quando un buon figlio deve precedere nella morte la mamma sua, quando la vita e l’amore d’una mamma, sbocciati al sole come fiore di maggio, avvizziscono anzi tempo, quando la mamma resta solitaria come un albero privato delle sue foglie. La morte d’un figlio colpisce il cuore d’una madre nel suo punto più sensibile, e il suo cuore è tanto delicato e tanto profondo. Il dolore di milioni di mamme accanto alla bara dei loro figli defunti è un dolore straziante, anto straziante che Nostro Signore stesso, scosso dalla compassione, si accostò un giorno a una mamma oppressa da tale dolore con la parola consolante: « Non piangere! » e con il vittorioso miracolo: « Giovanetto, io te lo dico, sorgi! » . Ma fra tutte le povere mamme, che han perduto i loro figli, nessuna ha sofferto così terribilmente come Maria presso la croce del Figlio suo. Non fu solamente l’atrocità dell’esecuzione e dell’odio, dell’odio d’un popolo intero, del proprio popolo, che rese a Maria la morte di Gesù più raccapricciante che la morte dei figli di tutte le altre mamme; ci possono essere state ed esserci ancora delle mamme, anche se non molte, degne d’ogni compassione, che in questo non sono seconde a Maria. Maria però, sola fra tutte le madri del mondo, scorse nella morte del Figlio suo il tetro abisso, gli ultimi motivi che menano alla morte, Ella vide sin giù nel mistero della più nera fra le morti; il mistero più profondo  della morte, « della morte il pungiglione è il peccato ». Gesù, il Figlio suo morente, era l’Agnello di Dio, che doveva togliere i peccati del mondo. La Chiesa applica alla Madre dolorosa la parola delle Lamentazioni: « O voi tutti che passate per la via, vedete e guardate se vi sia un dolore grande come il mio », una parola biblica che l’animo del popolo pio ha volto in versi: « Non v’è figlio sì caro, non v’è dolore sì forte: Gesù in grembo a Maria nel sonno della morte ». Voglia la più misera di tutte le madri, Maria, ritta accanto alla croce del Figlio suo, ottenerci con la sua materna preghiera di scrivere con ardore e profondità del suo stragrande dolore. « O preclara Vergine delle Vergini, non mi respingere: fammi piangere con Te. Fa ch’io senta la morte di Cristo, fammi partecipe della sua passione e memore delle sue piaghe come il tuo materno cuore ». Il pauroso Venerdì Santo non piombò su Maria come un lampo a ciel sereno. Ella era a conoscenza dell’imminente tragedia, che pendeva sopra il Figlio suo e sopra il cuore di Lei; l’aveva visto avanzarsi il Calvario. Già il vecchio Simeone aveva gettata nella sua gioia di giovane madre la terribile parola della spada, che avrebbe trapassata la sua anima. Spesso Ella indagava nelle Sacre Scritture del suo popolo che cosa significasse la sentenza di quel vecchio uomo; sedeva china sui venerandi rotoli della Scrittura e leggeva e trovava nella profezia di Isaia, mista al regale splendore del futuro Messia, la sbalorditiva predizione: Non v’è in lui figura né bellezza. Disprezzato è egli come l’ultimo degli uomini. Un uomo del dolore, avvezzo al patire. Egli ha portato i nostri dolori, le nostre sofferenze si è caricato. Fu colpito per i nostri peccati, per i nostri delitti piagato. Come un agnello, ch’è condotto al macello, come la pecora muta sotto i suoi tosatori, Egli ha chiusa la bocca » . Maria allora sospirava profondamente e il cuore Le si stringeva. Ma forse si aggrappava alla leggera speranza che il Profeta con queste gravi parole non pensasse al Messia, ché anche dopo la morte e la risurrezione di Gesù l’ufficiale etiopico, battezzato dal diacono Filippo, non conosceva chiaramente proprio questo testo, perché interrogò: « Di chi il Profeta dice questo, di se stesso o di un altro? » Allora Maria rifletteva e leggeva di nuovo, ma con suo terrore anche dai cantici del libro dei Salmi Le giungeva lo stesso grave suono e lo stesso lamento: « Mio Dio, perché mi hai abbandonato? Io sono un verme e non un uomo. Si sono disgiunte tutte le mie ossa. Il mio cuore è divenuto come cera, si strugge dentro il mio petto. È asciutto qual terracotta il mio palato, la lingua mi resta attaccata alle fauci. Mi hanno trafitto mani e piedi. Si dividono tra di loro i miei panni e sul mio vestito gettano le sorti ». Allora gli occhi dell’augusta Signora si riempivano di terrore e di lacrime; atterrita e rassegnata, piegava la sua fronte come una spiga tremante dinanzi alla tempesta che infuria. Lo stesso suo Figlio durante la vita pubblica, a cominciare da Cana, già anzi qual Dodicenne nel Tempio, Le aveva dette parole dure. Ella comprese sempre più chiaramente che Egli così voleva educarLa alle difficoltà, come un amante che si presenta duro perché l’amata non si trovi impreparata alla parte più dura. Negli ultimi mesi Egli aveva detto apertamente ai discepoli: « Noi adesso ascendiamo a Gerusalemme, e il Figliuolo dell’uomo sarà dato in mano dei gran sacerdoti e degli scribi, e lo condanneranno a morte, e lo daranno in mano ai gentili, perché lo scherniscano, flagellino e crocefiggano ». Queste parole erano giunte anche all’orecchio e al cuore di Maria. I discepoli allontanarono dal loro pensiero questa insostenibile predizione, certamente supponendo che un’ora di oppressione e di delusione del loro Maestro stesse dietro a quell’espressione; Maria invece era abbastanza credente e d’udito distinto per scoprire la paurosa realtà futura in essa contenuta. Qual madre, sa esattamente che il Figlio suo non inganna e non può Egli stesso essere ingannato; quello che Egli dice, come Egli lo dice, così avverrà, così terribilmente e così crudelmente. Nelle lunghe e fortunose settimane che precedettero il Venerdì Santo Ella fu tanto angustiata, oh quanto angustiata! Tutto, a cominciare da quella lontana e dura parola del vecchio Simeone, attraverso le profezie sulla Passione del Vecchio Testamento sino agli annunzi recentissimi di essa detti dal Figlio suo, tutto si raccoglieva nella sua anima come una grande e chiara sinfonia d’un inaudito patire. E tuttavia Ella andò incontro alle ore raccapriccianti con spirito sveglio, senza nulla rimuovere da sé e senza lusingarsi, seguendo l’esempio del Figlio suo, e si tenne interiormente preparata alla futura catastrofe. L’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e il giubilo fremente dell’intera città non poterono quindi togliere alla sua anima il doloroso peso. I discepoli si immaginavano d’essere in quel giorno festoso al termine lungamente agognato dei loro desideri; Maria invece sentiva, nel suo intuito femminile e materno, che quel giubilante Osanna sarebbe terminato malamente; la selva delle palme non poté occultarLe la croce sempre più vicina. Solo un giorno prima dell’omaggio del popolo nella Domenica delle Palme, in occasione dell’unzione prodiga a Betania, non aveva detto suo Figlio stesso ad alcuni discepoli gretti che la disapprovavano l’oscura parola: « Lasciatela stare questa donna (Maria di Betania); ha dato al mio corpo anticipata unzione per… la sepoltura ». Per la sepoltura! La Madre del Signore aveva accolta in sé anche questa parola di Gesù, che Le annunciava la vicinanza dell’ora grave. Quale angoscia mortale dovette opprimere Maria in quei giorni precedenti il Venerdì Santo! E adesso il Venerdì Santo, questo giorno di tutti il più raccapricciante nella vita del Figlio e nella sua, era ormai giunto. Ella era a conoscenza già prima di questo giorno; di tanti dolori veniamo a conoscenza anche noi prima che giungano; ma quando il Venerdì Santo, qual monte altissimo e oscuro, si elevò dinanzi alla Benedetta, apparve che la sua realtà era più terribile di tutte le profezie e immagini. Poiché quali altezze e quali profondità non comprende l’unica e breve proposizione del racconto evangelico: « Presso la croce di Gesù stava sua Madre ». –

« Presso la croce di Gesù ».

Nella relazione evangelica della Passione noi vediamo Maria soltanto sul Calvario, sulla vetta più spaventosa della Passione di Gesù Cristo. Senza dubbio però la povera Madre aveva sofferto nel suo cuore anche i terribili precedenti di quell’ultima crudelissima atrocità. Una inquietudine sinistra colse la Benedetta già la sera del Giovedì Santo, quando il Figlio suo lottò nell’agonia mortale sul Monte degli Olivi. Noi stessi, di sentimenti e di animo così ottusi, abbiamo spesso sentore e tormento d’una grande tribolazione di gente lontana e cara, come fosse avvenuta una misteriosa trasmissione. Molto di più l’anima delicata della Benedetta, che stava in profonda comunanza d’amore e più ancora di grazia con il Figlio suo, dovette intercettare quel suo gemito straziante emesso quando fu sprofondato nell’affanno, dovette sentirlo, ascoltarlo: « Padre, passi da me questo calice! ». I discepoli sul Monte degli Olivi dormivano il loro sonno sano e profondo; Maria non dormì; le cento volte si levò dal giaciglio; tormentata dall’inquietudine, andava qua e là e tendeva l’orecchio nella tranquilla notte illuminata dalla luna piena. Ella forse aveva trovato alloggio presso le buone sorelle di Betania, Maria e Marta, o forse presso quell’altra Maria, madre di Marco, che aveva concessa la sua sala per l’ultima Cena. Le buone donne dicevan parole di consolazione alla Madre inconsolabile e sconcertata. Maria però sentiva chiaramente il gemere del Figlio suo e il sordo temporale dell’inferno, che s’abbatteva sopra il suo Gesù: non poteva dare aiuto a Lui, non poteva difender sé, Ella doveva soffrirlo in tutta la sua crudele gravità come lo soffrì anche il Figlio suo. Compresse le mani sul suo povero cuore è come una volta all’angelo Gabriele prima dell’incarnazione disse: « Fiat — sia fatto! ». Ed ecco, in quel momento un altro Angelo, l’Angelo della redenzione, raccolse quel “Fiat” e lo portò nel calice della consolazione al di là, sul Monte degli Olivi. Quivi il Figlio aveva già pronunciato il suo “Fiat” onnipotente, che tutta mutava la sua e la nostra situazione: « Non come voglio Io. ma come vuoi Tu! ». E allora rumoreggiarono tutti e due i “ Fiat”, quello infinito del Figlio e quello umano della Madre, in un unico torrente, e le onde della nostra salvezza, zampillanti dal “Fiat” del Figlio e dal “Fiat” della Madre, presero a fluire. Quando, nel primo mattino del Venerdì Santo, Giovanni cercò della Madre di Gesù, Maria sul volto sconcertato del discepolo dell’amore lesse tutto con un unico sguardo: la cattura, lo scherno e l’impossibilità d’ogni liberazione. Nessuna forza al mondo avrebbe potuto trattener oltre Maria perché non si spingesse sino al Figlio suo. Ella Lo vide per la prima volta durante la sua passione nel grande « luogo lastricato, detto in ebraico Gabbatha », dove Pilato soleva tenere il tribunale. Ci rallegriamo con la povera Madre che sino a questo momento non abbia visto il Figlio suo che da lontano; fu spaventoso abbastanza anche vederLo di lontano. « Gesù uscì portando la corona di spine e il manto di porpora », e avvolto, dal momento della flagellazione, nel rosso abito del suo sangue, immagine perfetta del dolore, tanto che Pilato stesso, commosso ed eccitato, lanciò contro ai Giudei: « Ecce homo — ecco l’uomo! ». In quel momento un tremito passò in Maria, le sue labbra tremarono e gemette derelitta. Quando poi Pilato propose la mostruosa opzione fra Gesù e Barabba: « Chi volete ch’io vi rilasci: Barabba, o Gesù, detto Cristo? », Maria e il discepolo fedele gridarono e scongiurarono nell’angoscia e nell’amore: « Gesù, Gesù! ». Ma le loro due voci furono come due uccelli isolati e svolazzanti, inghiottite dalle grida della braccheria: «Lasciaci libero Barabba! Gesù alla croce!». Gesù aveva sentito in quel tempestoso vociare le voci dell’amore; volse il suo capo coronato di spine in quella direzione, si piegò, e una lagrima sgorgò dai suoi occhi. La Madre dovette ascoltare la sentenza di morte a carico del Figlio e anche l’imprecazione del proprio popolo contro se stesso: « Ricada il suo sangue su di noi e sopra i nostri figliuoli! ». Ah, povera Donna! Nella stessa ora perdette il Figlio suo e a motivo del Figlio anche il suo popolo. Un’antica informazione dice di un incontro di Gesù con la Madre sua sulla via della Croce. – Una pianta della città di Gerusalemme dell’anno 1308 indica l’antica chiesa di Giovanni Battista col titolo: « Lo spasimo di Maria ». Nelle « Viæ Crucis », che furono erette dovunque in Europa dai Crociati rimpatriati sul tipo della « Via Crucis » originale di Gerusalemme, si trova sempre sin dal secolo XV anche una Stazione detta «lo spasimo di Maria ». Nelle usuali quattordici Stazioni della « Via Crucis » di oggi la quarta Stazione è consacrata a quel doloroso incontro fra Figlio e Madre sulla via della Croce. Quell’antica notizia non è certamente senza contenuto storico, anche se il Vangelo a proposito serba silenzio; del resto anch’esso riferisce di donne, che sulla via della Croce « piangevano e facevan lamenti » su di Gesù; fra tutte le donne dovevan soprattutto le mamme spingersi sino al figlio sofferente. Non pochi si scandalizzano a questa espressione: «Lo spasimo di Maria », e ci richiamano rigorosi alla parola dell’Evangelista nella sua notizia del Calvario: « Stava accanto alla croce di Gesù la Madre ». Ella stava! Sul Calvario Maria fu, di fronte a tutto il mondo, un soccorso affettuoso, una coofferente col Figlio suo sofferente; ed Ella precisamente in questa azione ufficiale e solenne stava. Questo però non esclude che all’incontro sulla via della Croce l’enormità del dolore non si impossessasse di Lei; Gesù stesso sul Monte degli Olivi « cadde bocconi ». Maria era donna e madre dal cuore e dal sentimento ricchissimi; povertà e rintuzzamento del cuore non sono virtù e tanto meno santità, come talvolta le leggende dei Santi fan capire, quando, per esempio, vien riferito a titolo di lode che un Santo stette accanto alla madre sua morente « siccis oculis — ad occhi asciutti ». Gesù e Maria il Venerdì Santo stettero di fronte l’uno all’altra non « siccis oculis »; « la Madre di Cristo stette presso la Croce addolorata e pianse di cuore quando l’amato suo Figlio pendette da essa ». E può essere ben accaduto che nella quarta Stazione, in quel primo e immediato incontro viso a viso, il cuore materno della Benedetta sospendesse alcuni battiti, sicché Ella vacillasse e cadesse. Lo spasimo di Maria! Fu una scena troppo raccapricciante: il Figlio s’avanzò verso la Madre con il corpo lacerato, l’anima martoriata, carico della croce, avvolto dall’urlo della plebaglia, e poi proseguì oltre, fisso l’occhio all’ultima sua meta, il Calvario, dove Lo chiamava la volontà del Padre; sarà loro concesso di stare insieme solamente sul Calvario. E adesso Figlio e Madre si sono incontrati accanto alla croce sul Calvario; se straziante quanto era preceduto, più straziante la scena imminente. La crocefissione era una pena capitale così raccapricciante che persino i Romani di solito la usavano solamente per gli schiavi rei dei delitti più gravi. Cicerone la chiama « la pena più crudele e più ignominiosa, la punizione estrema degli schiavi ». Il diritto ebraico non conosceva questo genere tanto crudele di esecuzione; e per il fatto che dal romano Pilato pretesero nei riguardi di Gesù non una morte qualsiasi, ma la morte di croce, i Giudei diedero prova dell’odio più nero contro di Lui. Gli Evangelisti sorvolano sulla scena raccapricciante con una notizia rapida e breve: « Lo crocefissero », quasi per non rivangare di nuovo il dolore e l’ignominia della esecuzione di Gesù. La lagrimevole Vittima prima della crocefissione fu spogliata: Maria sul Calvario, ancor più povera d’un giorno a Betlemme, non aveva nessun panno da offrire al Figlio suo. Poi il Condannato fu gettato all’indietro, sulla trave trasversale giacente dietro di Lui, e fu inchiodato alle due mani; ogni colpo di martello colpiva la Madre nell’intimo del cuore. Poi quel sanguinante peso umano mediante funi fu elevato sulla trave conficcata al suolo, la trave longitudinale — di qui le espressioni: « Ascendere sulla croce », « essere alzato in croce» ? —, sulla quale furono inchiodati i due piedi. Avremmo sostenuto noi d’essere spettatori della crocefissione del Signore? Ah, Maria sul Calvario, Lei, la Madre, precisamente la Madre, dovette vedere, vivere e patire con il Figlio questo raccapricciante spettacolo. O povera donna, o povera, povera donna! – Tommaso d’Aquino sostiene, nel suo capolavoro teologico, ove tratta della passione di Cristo, la sentenza che nostro Signore ha sofferto tutto. anche le pene più orribili, di modo che nessun uomo poté mai patir di più ?!. Un’affermazione ardita, se si confronti col mare dell’umano dolore, eppure è una terribile realtà. L’intero corpo di Gesù fu tutto un dolore: il capo regale fu traforato da un intreccio di spine quanto straziante altrettanto ridicolo; le sue mani e i suoi piedi furon traforati dai raccapriccianti chiodi; il volto, nel quale gli Angeli desiderano guardare, era gonfio e sfigurato per i pugni e il lordume sputatogli addosso; e tutto il corpo fu sanguinosamente arato dalla orrenda flagellazione. Ancor più insopportabile e indicibile fu la passione dell’anima del Signore. I condottieri L’avevano ripudiato; il popolo aveva defezionato; gli amici Lo avevan abbandonato; persino Giacomo, che s’era fatto bello di poter bere con Lui il calice amaro, persino Pietro, che ancor ieri Gli aveva giurato fedeltà sino alla morte. Il suo nome e il suo onore furono calpestati dalla denigrazione e dallo scherno; la sua attività appariva un fiasco lagrimevole e ridicolo. Fu derubato di quanto aveva sino alle vesti, sulle quali i soldati ai piedi della croce gettarono le sorti. Avesse dovuto dare solamente le vesti! Sulla croce Egli dovette rinunciare anche al suo amico, anzi anche alla propria Madre e persino al Padre suo celeste, che fu il fatto più doloroso e misterioso insieme. Il numero dei sofferenti come Giobbe ascende a legioni, a milioni; ma quale fra loro può misurarsi con quest’Uomo dei dolori? Gesù stette immerso nel pantano, nel più profondo pantano della tristezza, dell’angoscia e della nausea, di queste tre condizioni che sono alla base dell’umana esistenza dai giorni del peccato. E tutta questa esterna ed interna sofferenza del Figlio Maria la sentì e la patì con Lui sino nelle più delicate fibre del suo spirito. Che cosa non soffrì mai la povera Donna, la povera Madre! Si deve inoltre riflettere che il corpo e l’anima di Gesù erano d’una perfezione unica. L’uomo Gesù, infatti, era stato creato nel seno della Vergine con la propria sublime mano dallo stesso Spirito Santo; per questo il suo corpo e la sua anima sentirono ogni dolore in piena e ininterrotta acerbità, in nessun modo mitigata come per noi, che per le sofferenze che durano da millenni nell’umanità siam divenuti ottusi. Quest’Uomo delicatissimo e sensibilissimo fra tutti si trovò nel tormento più profondo della terra per togliere i peccati del mondo, soddisfacendo per noi tutti! Veramente una goccia del suo Sangue prezioso sarebbe bastata per l’espiazione dei peccati di mille mondi; però la sua espiazione dovette conservare anche una conveniente proporzione sensibile. Quale eccesso di tormenti dovette così il Redentore prender su di Sé, poiché i peccati dell’umanità sono pesanti come i monti e innumerevoli come l’arena del mare! Ora nessuno sa meglio d’una madre quanto un dolore penetri nel figlio, quanto un dolore gli faccia male; che cosa dunque non dovette sentire Maria, ch’era mamma, quando vide il suo caro e delicato Figlio scendere nelle profondità d’una passione talmente raccapricciante, sin giù nel sottosuolo, alle radici di tutto l’umano dolore, sin giù al peccato del mondo? O povera Donna, o povera Madre! Gli Evangelisti hanno notato di quelle tre ore, nelle quali il Signore pendette sulla croce, sette parole, le cosiddette « ultime sette parole di Gesù in croce ». Le ultime parole d’una persona cara restano nel cuore profondamente come un sacramentale, un incancellabile ricordo; quello che ha detto un figlio morente, una madre morente, è testamento indimenticabile, irrevocabile, santo, eterna obbligazione. Già la prima di quelle sette parole del Signore fu amore, un amore addirittura incomprensibile e inaudito. I suoi nemici, i sommi sacerdoti, gli scribi, i seniori circondavano la sua croce come già aveva predetto in una amara profezia il Salmista: « Mi hanno attorniato grossi tori, i gagliardi di Basan mi hanno accerchiato; hanno spalancato contro di me la loro bocca, come leone che sbrana e ruggisce ». Nell’ultima ora tuttavia possiamo attenderci dai nemici del Signore tanto di riguardo e di delicatezza, che il loro odio e il loro scherno adesso almeno facciano silenzio. La solennità della morte è vicina e la Madre del Crocefisso è là presente; sono circostanze che impongono silenzio anche ad animi inselvatichiti. E invece proprio in quell’ora dolorosamente solenne i brutali vuotarono le ultime bestemmie contro la loro povera Vittima: « Oh, tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso scendendo giù dalla croce!… Ha salvato altri; non può salvare se stesso » . Anche Maria sentì tali malvagità, ed è difficile dire se esse colpirono più profondamente il Figlio o la Madre. Nella tragedia « Ecuba » del poeta greco Euripide, Ecuba la madre, umiliata e tormentata, alla quale erano stati uccisi il marito e i figli, si prese una inumana vendetta contro il suo nemico. Questo nemico, Polimnestore, il quale le aveva ucciso il figlio più giovane, l’unico che ancor restava, per vergognosa avidità e con ignominioso disprezzo dell’ospitalità, viene accecato dalla madre divenuta una furia; dopo di che ella uccide tutti e due i ragazzi di Polimnestore, poi schernisce l’accecato, rallegrandosi nel sentimento della vendetta soddisfatta: « Mai più rimetterai la chiara stella dinanzi agli occhi, mai più vedrai, sebben vivente, i tuoi figli. Ti duole! E mio figlio? Credi tu che a me non faccia male? Sì, mi rallegro d’essermi presa vendetta di te ». E Maria? Questi uomini uccidono il suo unico e caro Figlio e per di più Lo dileggiano: ha Ella almeno dato di mano alle maledizioni contenute nei Salmi del suo popolo: « Sfoga su di essi il tuo sdegno, o Dio, e li colga l’accesa tua collera… Siano cancellati dal registro dei vivi, e non siano iscritti insieme con i giusti » (Ps. LXVIII). Gesù, fra il silenzio e il tormento della crocefissione, in risposta a quelle maledizioni, aprì la sua bocca per la prima parola e disse… non una maledizione ma la preghiera: « Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno! ». In quel momento anche Maria congiunse le sue mani tremanti e ripeté balbettando questa preghiera del Figlio, fra tutte la più difficile: « Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno! ». In quell’istante avvenne la consacrazione di Maria a Madre della misericordia; in quell’ora Ella pregò insieme con il Figlio per i peccatori, e veramente non soltanto per i peccatori che cadono per infermità, ma piuttosto per i peccatori dalla cosciente malizia e dalla voluta cecità. Quella prima parola del Signore sulla croce e la sua eco nel cuore della Madre è adesso una consolante promessa anche per il peggior peccatore; essa però è certamente anche un obbligo di cercare il perdono e persino di… accordarlo. La seconda parola del morente Signore fu quella rivolta al ladrone. Dapprima anch’egli aveva schernito il Signore; quanto più però guardava a questo singolare vicino, che non si comportava affatto come un malfattore, tanto più gli scemavano in cuore le proteste e le stizze, finché alla fine prese decisamente partito per Gesù e gridò al compagno dei suoi misfatti, che stava dall’altra parte: « Nemmeno tu temi Dio, che subisci la stessa condanna? Pure noi ci stiamo con ragione, perché riceviamo quel che meritavano le nostre azioni; ma questi nulla ha commesso di scorretto ». Maria allora alzò il suo capo oppresso dal dolore e con uno sguardo d’amore ringraziò il delinquente, che, unico fra tutti sul Calvario, aveva detto, aveva osato dire una parola buona per Gesù. E il ladrone guardò in basso alla buona Donna, e nel suo spirito passò qualche cosa di mai provato: pensò alla propria madre e all’innocenza della sua infanzia. Una significativa leggenda direbbe che Maria un dì, durante la fuga in Egitto, aveva incontrata quella madre e quel figlio e aveva guarito questi dalla cecità. Incoraggiato dalla preghiera del Signore persino a favore dei suoi peggiori nemici e confortato dallo sguardo della buona Signora, il ladrone ebbe l’animo di rivolgersi a Gesù stesso con la preghiera: « Gesù, ricordati di me, quando verrai nell’aureola del tuo regno! ». Una parola tutta eroismo di fede e di confidenza: un peccatore morente implora aiuto per l’al di là da un morente compagno di croce. Allora il Signore aprì la sua bocca per la seconda volta e rispose al ladrone: « Davvero tel dico: oggi sarai con me in Paradiso ». Presto il Signore parlerà anche alla Madre sua, sarà la terza parola; essa è così ricca che noi ne scriveremo più diffusamente in altro luogo; ma già le due prime parole di Gesù, quella per i peccatori cattivi, i farisei, e quella al buon peccatore, il ladrone, nascondono un’istruzione anche per Maria. Quant’è sollecito il Figlio suo per i peccatori! Egli se ne ricorda persino in croce, se ne ricorda ancor prima di sua Madre. E così anche Maria rinchiuse nel profondo del suo cuore i peccatori, così profondamente che d’or’innanzi Ella sarà « il rifugio dei peccatori »; sul Calvario Ella accolse il primo peccatore nella persona del ladrone. Potremmo qui ripensare alla parola di Luca dopo la risurrezione del defunto giovanetto di Naim: « E Gesù lo diede a sua madre ». Dopo la parola del tenero amore filiale verso la Madre: « Donna, ecco tuo figlio! Figlio, ecco tua madre! », il Signore fece sentire, gridò una parola, la quarta, anche al Padre suo: « Eloi, Eloi, lama sabachthani? », che tradotta significa: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? ». A questo grido tanto misterioso dell’unigenito Figlio di Dio persino i cieli si oscurarono. Le tenebre, che « dominarono su tutta la terra dall’ora sesta sino all’ora nona », riflettevano con il loro oscuramento la sinistra oscurità dell’anima di Gesù, ne erano l’immagine e il simbolo. Sino a questo momento l’anima di Gesù, anche in mezzo a ogni tormento, si spingeva in alto, sino a toccare la felicità divina, come le cime d’alto monte svettano nella luce, anche se il monte stesso se ne stia nel grigiore e nell’orrore d’un temporale. L’anima del Signore anche in quell’ora terribile era unita con Dio e con la sua beatitudine, poiché il suo vertice, l’Io del Signore, stava in persona nel cuore della Divinità; tuttavia il Figlio soffrì il tormento dell’abbandono divino, perché il Padre l’abbandonò alla passione e alla morte senza nessun aiuto; le fitte nubi, ch’avevan oscurate le forze inferiori dell’anima di Gesù, si spinsero, si rotolarono in su sino alle cime illuminate dalla luce. Il Redentore volle metter piede nella notte di questo supremo orrore per portare, pastore veramente buono, anche gli abbandonati da Dio, anche i prodighi di Lui dalle terre lontane nella regione della luce. Maria fu scossa da quel grido del Figlio sino nelle ultime fibre del suo essere. Sin dall’Annunciazione era stata ferma nella fede, aveva perseverato, sebbene le vicende del Figlio suo si fossero svolte ben diverse da quelle che le parole dell’angelo Gabriele apparentemente avevano annunziato. I principi, il popolo, persino gli amici avevano abbandonato il suo Gesù; Lei, la madre, perseverava presso di Lui; ma adesso, quasi sprofondando, Egli grida che persino Iddio Lo ha abbandonato; allora anche su Maria dovette crollare l’ultimo cielo. Se pure Iddio Lo abbandona, chi ancora Gli resta se non la sua povera Madre? Lei non Lo abbandonerà; ma che cosa può essere Lei, la Madre, per Lui, senza il Padre? L’anima di Lei era come schiacciata; non poteva dir niente, niente per consolare: non poteva nemmeno più piangere. Come il Figlio suo, anch’Ella se ne stette là e si lasciò inondare da quell’altissimo e selvaggio maroso, ferma nella fede. Quel grido del Signore sulla croce era il primo versetto del Salmo 21. È possibile che Gesù abbia continuato a pregare sommessamente con le parole del Salmo, ch’Egli aveva intonato con un grido così forte. Il Salmo delinea in visione la passione futura del Messia; alcuni passi sono stati già addotti in queste pagine: « Io sono un verme e non un uomo… Mi hanno attorniato grossi tori… si sono disgiunte tutte le mie ossa… la lingua mi resta attaccata alle fauci… sul mio vestito gettano le sorti ». Adducendo però proprio questo Salmo, il Signore alludeva alle profezie che ora si compivano in Lui: proprio ora, durante il suo abbandono da parte di Dio, in questa suprema desolazione, Egli avanza le pretese alla dignità messianica, poiché precisamente adesso si adempie quanto di Lui stava scritto da secoli. Quanto più Maria si inoltrava nel Salmo, che aveva cominciato così pauroso, tanto più si dileguavano dalla sua anima le fitte nubi, e la sua pura fede riceveva nuova forza anche dal grido dell’abbandono divino di suo Figlio. Meno paurosa, e però non meno dolorosa, fu per la Madre di Gesù la quinta parola del Signore sulla croce: « Dopo ciò, sapendo Gesù che tutto già si era compiuto, affinché si adempisse la Scrittura, disse: Ho sete. Soltanto con la quarta e con la quinta parola Nostro Signore sofferente pensò anche a Se stesso, con la quarta alla sua suprema sofferenza spirituale, con la quinta alla più insopportabile sofferenza corporale. E anche queste parole non furon dette soltanto per la realtà che riflettevano, ma anche come richiamo a profezie adempiute, come Giovanni testifica espressamente della quinta: « Questo disse, affinché si adempisse la Scrittura ». La sete! Per molti morenti è la pena più dura. Quale doloroso conforto fu per me poter porgere alla mamma mia morente ora un sorsettino di vino, ora un sorsettino d’acqua. Ah, era così poco, era così un niente, ma era però un tenue lenimento! Presso la croce di Gesù fu negato a Maria persino questo piccolo servizio. Il Figlio suo lamenta la sete: quanto dev’essere terribile questa sete, se Egli se ne lamenta! A Betlemme un dì Ella Gli aveva porto il petto, a Nazaret Gli aveva attinto mille volte dalla fonte, a Cana Lei stessa L’aveva pregato del vino; qui sul Calvario non ha latte né acqua né vaso per attingere. Che cosa può capitare di più duro a una mamma, dinanzi al proprio figlio sofferente, che l’impossibilità d’aiutarlo? Maria dovette guardarsi intorno desolata; un soldato, in cui non s’era spenta ogni sensibilità, capì quello sguardo, « corse, imbevette d’aceto una spugna e postala su una canna gliela appressò alla bocca ». Gesù succhiò dalla spugna questa mistura di acqua e di aceto, che i soldati romani s’eran preparata in mancanza di bevanda migliore, e la Madre, che non poteva soccorrere il Figlio neppure con la punta di un dito, osservò il gesto con dolorosa soddisfazione. – Le ultime due parole di Gesù sulla croce si spingono già oltre i confini della passione e annunciano la fine e la vittoria. « Quando Gesù ebbe assaporato l’aceto disse: “Tutto è compiuto” ed esclamando a gran voce disse: “ Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” ». Anche Matteo e Marco e Paolo pure nella lettera agli Ebrei, rilevano con forza singolare che Gesù spirò con un « grande grido ». È il grido del vincitore dopo la vinta battaglia, è il grido dello scalatore dopo conquistata la cima. Ora ogni difficoltà è passata, ogni ripidezza è ora superata; dinanzi all’umanità di Gesù si stendono infinite le incantevoli regioni dell’eterna felicità. Come tutte le parole di Gesù, anche questo grido ebbe in Maria la sua risonanza. Ora tutto è passato, è passato! Ogni amante si rallegra immensamente quando la persona amata ha superato le ultime e tormentose ore. La morte infatti è amara; lo deve essere anche perché la separazione avvenga più facilmente. In quelle ultime durissime ore si supplica la temuta morte, perché venga e liberi; e finalmente essa viene e mette fine al rantolo, e in quel momento si ha la prima sensazione d’un potente alleggerimento. Passato! Dopo la morte di Gesù anche Maria emise un sospiro di profonda liberazione: ha compiuto tutto! L’opera difficile, che il Padre Gli ha affidata, è compiuta! Adesso l’anima sua va al Padre, cui Egli nell’ultimo grido s’era rivolto giubilante. Ora Egli è liberato. Ma ora Egli è anche… morto. Al sollievo, infatti, segue immediatamente il dolore lancinante: è morto, è morto, è morto! Quegli occhi restano chiusi, non si aprono più a nessuna chiamata; quella bocca saggia resta muta, tutti i baci non la fan più parlare; quelle fredde mani restano inerti, son come esaurite, non operano più nessun miracolo: è morto, è morto, è morto! Maria era così stanca, così paralizzata, che non poteva nemmeno più piangere, tanto meno lamentarsi. Discese su di Lei come una sorda disperazione, come un impietrimento. « La terra tremò, e le rocce si spaccarono » la Madre dolorosa se ne accorse appena. Poi sulla Benedetta passò come uno scuotimento, che manifestava come la morte del Figlio suo aveva colpito Maria alla radice dell’anima: l’enorme dolore non lasciò cadere che alcune prime grosse lagrime, come un temporale talmente aggrovigliato che non si scarica se non con fatica. Vennero dei soldati, e uno di loro trapassò con la lancia il Cuore del Signore, donde fluirono sangue e acqua. Maria osservò la scena quasi attraverso un fitto velo e poi gemette come persona ferita a morte. Non è abbastanza che abbiano ucciso il Figlio suo, perché debba essere trafitto anche il suo Cuore spezzato? « Dopo che il tuo Gesù aveva emesso lo spirito, la lancia crudele che aprì il suo fianco non trapassò in alcun modo la sua anima, ma bensì la tua trapassò; perché la sua anima non era più là, ma ben la tua non poteva in nessun modo essere di là strappata ». – Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo vennero e con tutte le cautele dell’amore liberarono il corpo di Gesù dai chiodi. Maria allora con l’istintivo atteggiamento materno aprì le braccia al Figlio che stava per venire; ma, ahimè, Egli non venne, bensì scivolò verso di Lei giù dalla croce. Adesso Gesù era di nuovo nel suo grembo: lungo tempo era passato da quando aveva potuto profondere le sue cure verso di Lui; Egli se n’era andato da Lei così presto, già dodicenne, e poi fu sempre in cammino sulle difficili vie del Padre suo. Adesso che è morto Egli è ritornato di nuovo in grembo della Madre, dove aveva vissuti i felici giorni della sua infanzia; ma dal grembo della Madre lo portan via, al di là, nel seno della madre terra, che un giorno accoglierà per l’ultimo riposo noi tutti. Poi quegli uomini rotolarono una grossa pietra dinanzi e se andarono. Quella pietra pesava immensamente sul cuore della Madre: ora non aveva più il Figlio. Sulla croce aveva un Figlio morente, nel suo grembo un Figlio morto; adesso Ella è del tutto senza Figlio, del tutto sola. Tutto questo e ancor più immensamente di quanto queste povere pagine han tentato di descrivere — per quanto diffusamente abbiano descritto — ha sofferto Maria sul Calvario: non doveva essere schiacciata da questa montagna di dolori?

« Presso la croce di Gesù stava ».

Possiamo chiederci se a Maria sul Calvario non sia stato domandato troppo. Non fu ivi posto sulle spalle d’una donna delicata, d’una povera Madre una tale enormità, ch’Ella sotto tanto peso doveva crollare, fisicamente e ancor più spiritualmente? Per Maria l’impotenza sarebbe stata benefica, perché avrebbe occultata al suo spirito l’ora della scena più straziante. Ma il suo spirito sul Calvario restò sveglio; era come un lago turchino, sul quale il sole cocente bruciava senza misericordia. Quali insopportabili strazi dovette Maria sostenere sul Calvario! Se persino il Figlio suo gridò nell’abisso del suo strazio le parole: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai tu abbandonato? », che cosa non dovette passare anche nel cuore della Madre sua? Tempeste di chiarezza infuriavano sull’anima di Lei; i flutti del suo cuore non La cacceranno sulle bianche spiagge, sicché spumeggino e s’impennino nella disperazione e nella ribellione? Qual minaccia non costituisce per la fede un grande patire, anzi già il semplice patire! Come si presenta pericolosa vicino al sofferente l’audace domanda: ma v’è Iddio? ma v’è proprio un Dio? Può esserci un Dio, se accade il fatto più raccapricciante, l’uccisione… dell’Uomo-Dio? E se L’hanno ucciso, Iddio dunque è morto! Questo fatto enorme, pazzesco, folle non si oppone anche al minimo d’intelligenza? Le orribili sofferenze e i delitti del nostro tempo hanno bruciata la fede in Dio in esseri innumerevoli precisamente con queste fiaccole infuocate. Ma se tuttavia Iddio è — ed Egli è! —, non è Egli un Dio totalmente diverso da quello che Gesù aveva annunziato, un essere oscuro, indifferente, sublimissimo, che troneggia nelle lontane e gelide altezze? Maria sul Calvario ricordò forse con dolore la predicazione del Figlio suo circa il Padre, il Padre che veste i gigli del campo, che nutre gli uccelli del cielo, e si prende cura d’ogni capello del nostro capo. Ov’è adesso Egli, questo Padre provvido, questo Padre amante? Ma v’è anzi quaggiù anche solamente il governo d’un Dio giusto? il Figlio suo lacerato non è una palpabile confutazione, un sanguinoso sprezzo della consolante predica intorno a un Dio paterno? Quanto dev’esser crudele quest’essere sublimissimo, che procura al più nobile, al più santo di tutti gli uomini e alla Madre sua innocente tanto tormento o anche permette che lo si procuri, mentre noi stessi non lo arrecheremmo al peggiore dei nostri nemici! La bestemmia contro Dio sta vicina al credente più di quello che non si possa sospettare. L’incredulo conclude presto: nega semplicemente Iddio, e con questa misera soluzione si « spiega » gli enigmi della vita; il credente invece sa troppo bene dell’esistenza di un Essere supremo; i problemi della vita e del mondo lo disorientano non quanto all’esistenza, ma quanto al modo d’essere di Dio, quanto alla provvidenza, alla bontà e alla giustizia di Dio. E ora il Vangelo dà netto risalto all’atteggiamento della Vergine: « Stava accanto alla croce di Gesù sua Madre ». Ella stava sommersa nell’uragano che su di Lei muggiva. La terra tremò e le rocce si spaccarono: Maria stava. Il velo del Tempio si stracciò dall’alto al basso, e il Figlio suo rese il suo spirito con un forte grido: Maria stava. Ritta, solitaria stava là, come un albero principesco, attorno al quale un’intera selva giace abbattuta. Nelle Litanie lauretane noi esaltiamo Maria quale « Torre eburnea »: « eburnea » fu accanto alla croce per il pallore; ma Ella fu anche « torre », che resistette agli assalti paurosi del dubbio e della disperazione intrepida e invitta. Maria non è solamente la Madre amabile, quale spesso ci viene mostrata; ancor meno Ella è la figurina graziosa, quasi leziosa d’una merce fuori d’uso; Maria è la donna forte, che, degna del Figlio suo, va innanzi con Lui all’esercito dei martiri di sangue asperso qual Regina, la Regina dei martiri. Maria sul Calvario non disse alcuna parola. Non si lamentò, non dubitò, non maledisse, nemmeno interrogò più. Al Dodicenne chiese in dolorosa sorpresa: « Fanciullo, perché ci hai fatto tu così? »; anche alle nozze di Cana Gli presentò la sommessa preghiera: « Non hanno più vino »; sul Calvario Ella non è altro che silenzio. C’è un silenzio anche per alterigia o per impietrimento, come secondo l’antica leggenda greca fu il silenzio di Niobe, cui la saetta di Apollo aveva ucciso tutti i figli; Maria sopravvanza in grandezza d’animo le povere madri sofferenti degli antichi pagani, Niobe ed Ecuba, per l’infinita perfezione cristiana. Il suo silenzio non è protesta, ma silenziosa adesione. A dir il vero, le sue labbra sono sigillate dal dolore, sicché non può più gridare, come nell’ora felice dell’Annunciazione laggiù a Nazaret, il suo “Fiat”. Anche nella nostra vita giungono momenti, nei quali non possiamo più parlare, non più pregare, nemmeno più gemere; in quei momenti. non resta che il linguaggio dell’atteggiamento. Maria sul Calvario disse il suo Sì nella lingua commovente dell’atteggiamento: « Ella stava presso la Croce ». Questo stare era più che un discorso; con questa resistenza e perseveranza Ella espresse tutto quello che quassù sul Calvario aveva da dire. – L’informazione evangelica dice certamente: « Stavano presso la croce di Gesù la madre sua e la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria Maddalena », e anche il discepolo che Gesù amava stava lì. Maria dunque stava presso la croce di Gesù non da sola; anche le altre stavano, e di questo dovrebbe tener conto anche l’arte, la quale preferisce rappresentare Maria Maddalena svenuta ai piedi della Croce, sopraffatta dal dolore. L’atteggiamento eretto della coraggiosa Madre di Gesù fu però più eroico che quello delle altre: le altre attinsero energia in quell’atteggiamento della Madre per non abbandonarsi senza ritegno al dolore; la fortezza d’animo della Madre tenne ritte presso la croce anche le altre: se accanto alla croce sta ritta persino la Mamma, neppure le altre devono ivi cadere, non devono di là fuggire. Il racconto evangelico sottolinea intelligente questa posizione eretta; non scrive cioè: « Quando Gesù vide sua Madre e il suo discepolo che Egli amava presso la croce », ma: « Quand’Egli vide ch’Ella stava ritta »; non la presenza di Maria sul Calvario fu il grande fatto, ma la sua posizione eretta. E qui sta nascosto qualche cosa di ancor più profondo. Lo stare di Maria accanto alla croce del Figlio manifestava non solamente la sua magnanimità, ma anche il suo consenso, che voleva dire ben di più. Maria non stava soltanto presso la croce, Ella stava per la croce, l’approvava. Ella sul Calvario era di nuovo posta, come un tempo laggiù a Nazaret, dinanzi a una decisione, stavolta dinanzi a una « decisione sanguinante » nel senso più terribile della parola: a Nazaret Ella dovette decidersi se accogliere il Figlio suo, sul Calvario dovette decidere se darLo. Sul Calvario avrebbe potuto richiamarsi a buon diritto alla splendida profezia di Gabriele in occasione dell’Annunciazione, la quale diceva che Iddio « avrebbe dato il trono di suo padre David al Figlio di Lei »; adesso ne eravamo così lontani, che Gesù pendeva dalla croce fra due delinquenti. La raccapricciante realtà del Calvario non era una stridente offesa di quella lontana promessa? non era Maria una povera donna ingannata, cui le promesse fatte non erano state mantenute? Molti sul Calvario si sarebbero querelati e stizziti con simili amarezze, sarebbero stati per il Figlio, non però per la sua croce. Maria invece non stette solamente per il Figlio, ma anche per la croce di suo Figlio. Col Sì di Nazaret Ella aveva data a Dio carta bianca per tutta la sua vita; quanto Iddio scriveva sulle bianche pagine della sua vita, è già in precedenza ratificato e sottoscritto dal “Fiat” di Lei; quando quella sublimissima mano cominciò a scrivere con scrittura di sangue, col sangue del Figlio suo, Maria non disdisse il suo Sì di Nazaret, ma lo completò col Sì del Calvario. Non si lamentò dicendo: « Oh, adesso basta! adesso è troppo! »; neppure come preghiera e supplica raccolse la parola risuonataLe vicina, che i nemici avevan scagliata contro la croce a dileggio di Gesù e quasi a tentazione per Lei: « Figlio mio, discendi dalla croce! hai aiutato gli altri, aiuta anche te stesso! »; Ella Lo lasciò sulla croce. Non mosse un dito, non mosse labbro per liberarLo dall’abbraccio della morte. Ella, come la magnanima madre dei Maccabei il figlio suo più giovane e ancor più eroica di quella, incoraggiava con la sua silenziosa presenza il Figlio morente: «Figlio mio, abbi pietà di me! sostieni la morte! ». Sul Calvario quindi Maria stette sulla cima del sacrificio che tutto comprende. Niente, niente affatto Ella ritenne per sé; donò, per compiere la volontà di Dio e per la nostra salvezza, persino il Figlio suo, persino il suo… Dio. La parola, che del Padre celeste Gesù aveva detta e che scrisse il discepolo allora presente con Maria presso la croce, valeva anche per Lei: « Tanto la Madre ha amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, affinché chiunque in Lui crede non perisca, ma abbia la vita eterna ». Maria sapeva della donazione generosa del Figlio voluta dal Padre per la salvezza del mondo, e, sostenuta dalla solida base di questa parola, scorse il segreto delle paurose vicende del Calvario: quivi si compiva la salvezza dell’umanità; la redenzione, la redenzione per amore; il Figlio suo, con le mani lacerate dai chiodi, portava di nuovo in alto, su, su, alla casa del Padre l’umanità allontanatasi da Dio. Quivi era in questione la misericordia, la misericordia sconfinata, non la crudeltà. E in realtà in nessun’opera la divina misericordia e la divina giustizia si son così strettamente abbracciate come… nell’inchiodamento del Figlio di Dio sulla croce, e in nessun luogo arde l’amore di Dio più caldo che nel suo Sangue, che fu « versato per molti in espiazione dei peccati ». L’umanità sofferente del Signore ricevette senza dubbio forza e conforto dalla coraggiosa presenza della Madre accanto alla croce. Durante la sua ineffabile tristezza sul Monte degli Olivi il Signore aveva cercato conforto nei discepoli; ma questi non stavano, essi dormivano; e allora Iddio benigno per incoraggiare il Figlio suo sofferente Gli inviò un Angelo dal Cielo; sulla vetta del Calvario non volò nessun Angelo, ma ivi stava la Madre; una madre è l’angelo più consolatore di tutti. Ella baciava quei piedi inchiodati, e le sue labbra pallide divennero rosse di sangue; a Lui pendente dalla croce sussurrava tutti i nomi dell’amore, nomi così soavi quali dall’infanzia non aveva più osato dirGli. Ella stava là, vicina alla croce, e intercettava gli sguardi dei suoi occhi, perché non dovessero andar vaganti nella notte e fra le bestemmie, ma trovassero difesa e riposo negli occhi della Madre sua. Il Padre suo L’aveva abbandonato, ma la Madre era là, e nella Madre era vicino anche il Padre, perché una madre è la garanzia più soave e più sensibile dell’invisibile ed eterno amore di Dio. Senza dubbio la presenza della Madre presso la sua croce fu per il Signore anche una indicibile sofferenza. Che cosa non doveva soffrire a causa sua la Poveretta, la buona Donna! Tommaso d’Aquino scrive commosso che anche gli occhi di Gesù, come gli altri suoi sensi, dovettero soffrire sulla croce una pena propria: essi scorsero la Madre e il discepolo dell’amore piangenti ai piedi della croce. A questo penoso dolore però andava unito un grande conforto, quello di possedere una Madre dall’amore talmente invincibile e d’una fortezza insuperabile. Pietro ieri sera Gli aveva giurato: « Anche se tutti pigliassero scandalo di te, io, io non lo piglierò giammai ». Dov’era Pietro? Sua Madre non si scandalizzò di Lui; Ella stava presso di Lui anche nella defezione di tutti, anche in mezzo al più compassionevole fallimento, anche sommersa in un inferno di tormenti. Proprio la Madre, la Madre sua buona e cara, la migliore e la più santa di tutti gli uomini, proprio Lei resse accanto a Lui, l’impalato, il crocefisso. E da questa Madre s’apriva dinanzi allo sguardo del Signore una via luminosa perdentesi nell’infinito. Questa Donna solitaria accanto alla sua croce è la prima redenta, la redenta perfettamente. Sin dal momento della sua concezione rumoreggia in Lei la grazia della redenzione talmente ricca e possente, che sarebbe valsa la pena di soffrire e di morire già solamente per Lei; era pure grazia di redenzione ch’Ella ora se ne stesse nella bufera del Calvario. Maria però non è sola, Ella accanto alla croce è la rappresentante di tutti i redenti; in Lei si inginocchia la Chiesa dell’avvenire; in Lei le schiere, che nessuno può contare, dicono grazie al l’Agnello, perché le loro vesti son divenute bianche nel suo Sangue. In Maria il Padre presenta al Figlio che muore l’umanità redenta; in Maria il Figlio scorge come in un modello e in un simbolo l’infinito valore della sua passione. Era come se dalla Madre accanto alla croce ascendesse verso l’infuriar dei tormenti e verso il fremito del Sangue del Figlio morente un canto lontano e bello: « Degno è l’Agnello, che fu ucciso, di ricevere potenza e regno e sapienza e fortezza e onore e gloria e lode ». In quel momento un sorriso sfiorò il volto sfigurato del Figlio e un raggio penetrò anche negli occhi della Madre. Da tutto questo appare chiaramente che alla Madre del Signore spetta una parte importante anche per la nostra redenzione. Maria sul Calvario non fu semplicemente la mamma amante e sofferente d’un figlio morente: milioni di povere madri hanno assistito i figli morenti; Maria stette sul Calvario quale « Madre del Redentore »: « Pro peccatis suæ gentis vidit Jesum in tormentis — ah! Ella vide Gesù sopportare martiriiper i peccati dei suoi fratelli, flagelli, spine. derisioni e scherni». A questa redenzione dell’umanità per mezzo del Sangue e della mortedel Figlio suo Maria disse il suo Sì stando accanto alla croce; per questo il suo amore e il suo dolore materno si elevavano immensamente più in alto che quelli di qualunque altra povera madre sofferente, si portarono su, nell’altipiano del mistero della redenzione, furono un contributo per la salvezza del mondo. Il Vangelo stesso allude a questo posto ufficiale di Maria accanto allacroce del Figlio: esso ha sempre taciuto di Lei durante tutto il lungoperiodo della vita nascosta di Gesù a Nazaret come della sua attivitàpubblica; accanto alla croce di Gesù invece Ella riappare nuovamentenella relazione evangelica grande, in una luce singolare; qui dunque civien segnalato che la presenza di Maria presso il Figlio morente non fusoltanto l’esigenza d’un commovente affetto materno; quivi si trattò d’unatto solenne e addirittura ufficiale.Questo spettacolo commovente della Madre presso la croce è comeuna solenne ed edificante Liturgia. Questa Donna regale sta ritta, nonassopita dal dolore, non sprofondata nella disperazione, ma, come osaaffermare con parola ardita San Bonaventura, « intenerita per la gioiache il suo Unigenito debba essere offerto in vittima per la salvezza delmondo ».Maria accanto alla croce prega col Sommo Sacerdote dell’umanità,offre con Lui, soffre con Lui. « Ella sul Calvario, quale nuova Eva, Lo offrì all’Eterno Padre per tutti i figli di Adamo con sacrificio totale dei suoi diritti materni e del suo materno amore ». Per questo già dal tempo di Alberto Magno, Maria è chiamata con senso profondo « aiutante » della redenzione, a somiglianza di Eva che era stata « aiutante di Adamo »; Ella è la « inserviente » della redenzione, la « diaconessa » della redenzione *. Il diacono porta all’altare le offerte del pane e del vino per la Messa solenne, egli le prepara; egli assiste il sacerdote offerente, è pure a lui unito con intima comunione e sentimento sacrificale. Maria sul Calvario fece così: Ella preparò l’Offerta santa, il Corpo del Figlio suo, nell’Incarnazione e lo fece grande a Nazaret; Ella presentò questa preziosissima Proprietà per il sacrificio, Ella entrò in perfettissima comunanza d’amore e di dolore col Sacerdote offerente, che era nello Stesso tempo la Vittima offerta.

[* Sarebbe ovvio adoperare qui il termine “ Corredemptrix — Corredentrice ”. Ci sia concesso di farne a meno in questo libro, perché questo titolo, che compare qua e là nella produzione teologica dal secolo XVI, può fornire occasione a fraintendimenti e d’altro canto anche teologicamente non è ancora univoco e ancor meno definitivamente acquisito. A questo proposito il grande mariologo tedesco Scheeben scrive saggiamente: « Questa espressione — Corredentrice —, sebbene ammetta un senso giusto e anzi molto bello, che non è possibile esprimere con eguale brevità e precisione con un altro termine, presa da sé sola, invece di sottolineare la subordinazione ministeriale e la dipendenza di Maria, ha l’apparenza di accentuare così forte una coordinazione con Cristo e rispettivamente un completamento della sua potenza, che non si potrebbe affatto usarla se non con l’esplicita restrizione: In certo senso meno capziosa e in sé più rispondente alla verità e anzi conforme alla Scrittura stessa è l’espressione che ricorre ripetutamente, la prima volta in Alberto Magno: “Adjutrix Redemptoris in redemptione — aiuto del Redentore nella redenzione ”, purché non si intenda qui “aiuto” un sostegno nel senso comune, quasi cioè un rinforzo d’una potenza in sé insufficiente per mezzo d’un’altra, ma nel senso più comune e solo accettabile, quando si tratta di creature di fronte a Dio, d’un servizio giovevole al raggiungimento d’uno scopo e d’una cooperazione che serve efficacemente a modo suo; adiutrice dunque Maria precisamente nel senso d’una compagna che coopera » (Dogmatik, 3, pagg. 594-595). Neppure i Pontefici degli ultimi cento anni han mai fatto uso del termine “Corredemptrix” in scritti dalla forma solenne di un’Enciclica (cfr. le Encicliche mariane dei Papi negli ultimi cento anni). A ragione sorprende che il Papa Pio XII attualmente regnante, anche in altri documenti pontifici ufficiali non approfitta di esso, neppure in quelle occasioni, nelle quali ce lo saremmo aspettato: nell’epilogo dell’Enciclica “Mystici Corporis Christi”, che pure tratta espressamente della Beatissima Vergine, e nella Bolla della definizione dogmatica dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo del 1° novembre 1950. Il fatto stesso che Maria abbia cooperato alla nostra salvezza sta scritto nelle Sacre Scritture ed è patrimonio comune della Tradizione e della Teologia. Ireneo, Origene, Tertulliano, Agostino, Anselmo, Alberto, Tommaso, Bonaventura, tutti questi conoscono e insegnano questa cooperazione di Maria nell’opera della redenzione. Essi non limitano certamente questa collaborazione della Benedetta solamente al sacrificio della Croce, ma l’estendono oltre, dall’Incarnazione sino alla Redenzione (collaborazione oggettiva all’acquisto della nostra salvezza) e dalla Redenzione sino alla mediazione di Maria (applicazione salvifica soggettiva dei frutti della redenzione). San Bonaventura offre un prospetto completo della cooperazione di Maria alla salvezza umana con le geniali espressioni: « Pretium Redemptionis… est ex ea sumptum, per eam solutum et ab ea possessum — il prezzo dell’opera della redenzione fu da Lei formato, per mezzo di Lei pagato e per mezzo di Lei preso in proprietà. Da Lei fu fondato nell’incarnazione del Verbo; per mezzo di Lei fu pagato nella redenzione della stirpe umana (sul Calvario); da Lei fu preso in proprietà all’ingresso della gloria del paradiso (applicando Ella anoi, per mezzo della sua intercessione qual Regina del Cielo, la grazia della redenzione) » (Collationes de Donis Spiritus Sancti, Tom. 5, pag. 484). I Pontefici dell’ultimo secolo con crescente energia richiamano a questa cooperazione di Maria alla salvezza della stirpe umana. Non è ancor teologicamente chiarito il modo di questa cooperazione. Questo problema fu proposto in tempo recente. Stanno anzitutto di fronte due opinioni. L’una ammette soltanto una cooperazione di Maria nell’opera della redenzione impropria e mediata, l’altra invece una cooperazione propria e immediata. I sostenitori di una corredenzione propria di Maria nel senso stretto della parola (Bittremieux, Dillenschneider, Friethoff, Hitz, Seiler, ed altri) affermano « una partecipazione immediata della Madre di Dio all’opera oggettiva della redenzione, alla vera e propria acquisizione della salvezza » (Hitz, Schweizerische Kirchenzeitung, 1946, nr. 12 ss.). « Maria ha coofferto il sacrificio della Croce non solamente in funzione di ministra, come il diacono, ma veramente in funzione sacerdotale… Maria non è (quindi) soltanto la Madre del Sacerdote e la Madre dell’Agnello immolato; il suo sacerdozio rispetto al sacerdozio di Cristo è veramente un qualche cosa di analogo…; in conseguenza è soltanto partecipazione piena e completa al sommo sacerdozio di Cristo; è però un vero e proprio sacerdozio, cui conviene la definizione, d’essere cioè una mediazione stabilita da Dio fra il Signore e gli uomini peccatori con la facoltà di cooffrire col Redentore il sacrificio della riconciliazione. Nell’esercizio quindi il suo sacerdozio non è come strumento subordinato al sacerdozio di Cristo…, ma in un certo senso coordinato (coordinatio imperfecta) » (Seiler, Corredemptrix, Roma 1939, pagg. 34. 135. 136). Secondo quest’opinione Maria avrebbe meritato per conto proprio i frutti della redenzione, di modo che le sue azioni sarebbero state in se stesse salvifiche per gli uomini e Iddio ha voluto e accolto il sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo soltanto in quanto esso era accompagnato dalla cooblazione di Maria. – Questo libro preferirebbe non far proprie conclusioni così spinte. Le espressioni dei Pontefici da Pio X sino a Pio XII mettono certamente in risalto la cooperazione tutta propria di Maria nell’opera della redenzione, però non sono in nessun modo così univocamente determinate, che da esse risulti una sentenza dottrinale chiaramente delimitata circa il modo di questa sua cooperazione. A ragione K. Rahner rileva: « Qui (nell’insegnamento d’una “corredenzione” di Maria in senso proprio) ci troviamo in un campo teologico, dove tutto ancor oggi è fluttuante e dove le opinioni stanno fra di loro in forte contrasto; ci troviamo quindi anche sul terreno di quella cristiana libertà di discussione, della quale noi tutti, compresi i laici, possiamo usare senza intralci, anche se con riverenza e per veri motivi » (“Noch ein neues Dogma? ”, in Orientierung, 1949, nr. 4, pagg. 4l ss.). Il P. Lennerz, professore nella Pontificia Università Gregoriana di Roma, alla lettera apostolica di Benedetto XV « Inter Sodalicia » del 22 marzo 1918, che viene specialmente citata dai difensori di una corredenzione propria di Maria, osserva: « Bisognerebbe dimostrare positivamente che Benedetto voleva che questa espressione (Corredemptrix) fosse intesa proprio nel senso dei difensori… Quanto dice Benedetto in realtà non va oltre a quello che insegnarono comunemente i Dottori della Chiesa; non siamo quindi costretti in alcun modo a farcene un’idea diversa » (De Beata Virgine, 1939, pag. 231). Si ha anzi l’impressione che nelle sfere ecclesiastiche ufficiali piuttosto ci si allontani dall’interpretazione spinta della cooperazione di Maria nell’opera della redenzione. In una conversazione del Maggio 1947 con P. Cordovani, Maestro dei Sacri Palazzi, poi defunto, questi chiamava l’opinione d’una corredenzione di Maria vera e immediata “saltatio verbi”. Del resto conduce a respingere una esposizione troppo spinta anche la proibizione ripetutamente rinnovata del Sant’Ufficio di onorare o rappresentare Maria come “Virgo Sacerdos — Vergine sacerdote ’’ (1913, 1916, 1927). L’aurea via di mezzo nella questione circa il modo della cooperazione di Maria nell’opera della redenzione è indicata dal Papa Pio XII nell’epilogo dell’Enciclica “Mystici Corporis Christi”: « Maria, sopportando con animo forte e fiducioso i suoi ineffabili dolori, più che tutti i fedeli cristiani insieme, da vera Regina dei martiri, compì quello che manca dei patimenti di Cristo… a vantaggio del Corpo di Lui, che è la Chiesa” ». Il Pontefice qui accenna alla profonda parola di Paolo nella lettera ai Colossesi 1,24: « Io (Paolo) godo nei patimenti in pro vostro, e in contraccambio compio le deficienze delle tribolazioni del Cristo nella mia carne in pro del Corpo di Lui, che è la Chiesa ». Nessuno alla pari di Paolo martellò negli animi dei credenti così profondamente che soltanto Cristo è il Redentore: « Un solo mediatore di Dio e di uomini, l’uomo Cristo Gesù » (1 Tim. 2, 5). Paolo tuttavia conosce anche una “corredenzione” degli uniti con Cristo: ogni sofferenza e azione delle singole membra e dei credenti uniti nel misterioso organismo del Corpo di Cristo può e deve, grazie all’unità in Cristo, il Capo, tornare di espiazione e di benedizione anche agli altri. In questa unione dev’esser messa anche la cooperazione di Maria all’opera della redenzione. Essa si distanzia dalla “corredenzione” delle altre membra non secondo il modo, bensì secondo la misura e il grado immensamente superiore, mentre oltrepassa ed eccelle in misura impensabile tutte le oblazioni degli altri credenti in Cristo e diviene quindi anche per tutti benedizione inesauribile.] *.

Questo confronto « sacerdote-diacono » ci richiama però anche alla differenza essenziale fra l’oblazione di Gesù e quella di sua Madre. Il diacono non raggiunge l’indipendenza del Sacerdote offerente; egli non pregiudica la sufficienza del sacrificio sacerdotale; egli piuttosto compie il suo ufficio in piena dipendenza dal Sacerdote, come conviene al suo posto di sott’ordine quale diacono. Maria ebbe parte in questo modo alla nostra redenzione: il sacrificio sulla croce del nostro Eterno e Sommo Sacerdote, che mediante il suo Sangue penetrò i Cieli e aprì a noi peccatori la via al trono della grazia, tanto che adesso ci è concesso di accostarci con fiducia dinanzi alla terribile maestà di Dio e ivi conseguire grazia per l’aiuto opportuno, è d’una sufficienza e d’una sovrabbondanza talmente infinita, che non ha bisogno d’alcun umano completamento e sostegno. La cooperazione di Maria non fu un contributo necessariamente richiesto per la redenzione operata dal nostro unico e solo Signore e mediatore Gesù Cristo; Ella non poté portare nessun completamento a quello che in sé era già perfetto; ora l’azione di Cristo fu sufficiente per la redenzione di mille mondi. Però « l’opera della salvezza doveva in questa cooblazione della nuova Eva ornarsi di bellezza in ogni parte ed essere del tutto completa anche in linea dell’essere e dell’operare semplicemente creato » (Feckes). E così l’augusta Signora sul Calvario, accanto alla croce del Figlio suo, presentò anche il dolore e la riconoscenza del suo cuore materno e la indigenza e la povera buona volontà della stirpe umana, che Ella fu chiamata a rappresentare. Ella ornò il calice traboccante del Sangue di Cristo con le pietre preziose delle sue lagrime e col ramo di mirra della sua pena amara, che sopportò per noi peccatori. E chi potrebbe dubitare che questo materno dolore, unito al sacrificio del Figlio suo, divenisse benedizione per il mondo intero, se già la preghiera e il sacrificio delle nostre povere madri torna a noi di salvezza? Persino Paolo, l’inesorabile predicatore dell’unico e solo redentore Gesù Cristo, scrive e per di più di se stesso le misteriose parole: « Io godo nei patimenti in pro vostro, e in contraccambio compio le deficienze delle tribolazioni del Cristo nella mia carne in pro del Corpo di Lui, che è la Chiesa ». Se così, il tremendo patire della Madre accanto alla Croce potrebbe essere rimasto privo d’una efficacia tutta particolare per la vita della Chiesa? La passione infinita di Cristo non abbisogna affatto in sé d’un « compimento », però a tutte le membra del mistico Corpo di Gesù Cristo spetta anche una determinata misura di sofferenza; se il Capo, Cristo, soffre, con Lui soffriamo noi tutti, suoi membri. In questo misterioso Corpo di Cristo ogni membro, soffrendo e offrendo, deve giovare alla salvezza anche degli altri, ciascuno in proporzione del suo posto e dell’importanza in questo « Corpo », questi solamente per pochi, quell’altro per molti, Maria, la Madre del Redentore, per tutti quanti furono redenti dal Sangue del Figlio suo. Non v’è « dunque affatto nessuno (fra tutti i membri dell’organismo mistico di Cristo) che abbia contribuito o che abbia potuto mai contribuire alla riconciliazione di Dio con gli uomini quanto vi contribuì Maria ».  –  Ti siano rese grazie, o augusta e amata e povera Signora, per le lacrime, che tu, ai piedi della Croce hai pianto e che si mescolarono col Sangue del Figlio tuo in salvezza per noi! E onore e gloria sia al Figlio tuo, unico nostro Salvatore e Redentore, Gesù Cristo!

« Presso la Croce di Gesù stava sua Madre ».

« Gesù, vedendo sua Madre e vicino ad essa il discepolo, che prediligeva, dice alla madre: “Donna, ecco il tuo figliuolo”. E poi dice al discepolo: “Ecco la Madre tua”. E da quel momento il discepolo se la prese con sé in casa sua ». Questa parola del Signore morente alla Madre sua derelitta è così commovente che vorremmo piangere su di essa. Molto tempo è passato dall’ultima parola che Gesù rivolse pubblicamente alla Madre sua; la disse a Cana, e quella parola fu apparentemente dura; anche adesso, sulla croce ancora, Egli dapprima si ricordò dei suoi nemici e poi del ladrone; la Madre, che accanto alla sua croce piangeva, La lasciò in disparte. Ha così poca importanza per Lui la Madre sua, è così un niente, che persino in quest’ultimo momento Egli parli ancora per gli altri, con gli altri, ma alla propria Madre non dica nemmeno una paroletta? oppure quegli altri hanno bisogno delle sue amorose parole più urgentemente dell’abbandonata Madre piena di grazia? Finalmente, a metà, nel cuore delle sette ultime parole di Gesù in croce, rifulse la parola anche per la Madre sua, ancor prima del grido al Padre. Si sente chiaramente che questa parola si sprigionò da un fortissimo ingorgo d’amore del Figlio per la Madre; essa dà sfogo all’amore di Gesù per la Madre rimasto legato durante la vita pubblica, ne svela la profondità e la delicatezza. Quest’unica ed ultima parola del Signore a sua Madre presso la croce lascia intravvedere quanto in realtà Maria stesse vicina al cuore del Figlio suo; Egli non può morire se non sa che sua Madre versa in migliori condizioni di protezione; Egli stesso in quel momento stava quasi per affogare in un mare di tormenti e la grigia notte dell’abbandono di Dio già Gli si avvicinava: per questo, prima d’entrare nella sua suprema tortura e morte; vuole mettere al sicuro sua Madre quasi da una bufera imminente. In quell’ora ogni parola era per il Signore una pena. Ah, i morenti, anche con lo sforzo dell’ultimo amore, possono appena dire « sì, sì » e « oh, oh »… Il Signore in quel momento raccolse le sue forze, strinse più fortemente le teste dei chiodi e dalle labbra del Figlio, come una stella d’oro nell’oscurità della notte, si librò sulla Madre l’ultima sua parola: « Donna, ecco tuo figlio! », e al discepolo: « Ecco tua Madre! ». « Donna », chiama Gesù in croce Maria, non « Madre ». Come già a Cana infatti e ancor più che a Cana, Maria sul Calvario tiene un posto ufficiale quale aiutante della redenzione del mondo. Ella non è soltanto colma di dolore, è anche adorna di sublimità e di solennità, più regale di Ester, più forte di Giuditta, la Donna del mondo, la rappresentante dell’umanità, l’assistente accanto alla Vittima sanguinante sulla croce. Questa parola è piena di rispetto e di onore, forse anche piena d’un intimo singhiozzar d’amore, come se Gesù in quell’ora non osasse più rivolgersi a Maria con il tenero nome di Madre per non provocare lo straripamento degli umani sentimenti di cui era colmo il loro cuore. La parola del Figlio morente mette la Madre sotto la protezione di Giovanni e Giovanni sotto la benedizione di Maria. Il Signore s’era preoccupato già il giorno precedente di tutti i suoi discepoli, poiché il dolore più acuto d’un nobile morente è l’abbandono e la mancanza di sicurezza di coloro che egli ama. Tutti i discepoli la sera del Giovedì Santo erano stati da Lui affidati allo Spirito Santo: « Non vi lascerò orfani: Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro confortatore ». Anche Giovanni stava in questa sicurezza dello Spirito Santo e ancor più Maria, a cominciare dall’Incarnazione, anzi già dal primo momento della sua esistenza; ma Maria era anche donna, la quale abbisognava d’una assistenza visibile; e Giovanni era il discepolo dell’amore; il Signore voleva dargli un pegno anche terreno dell’amore dello Spirito Santo in quella Donna, che di Spirito Santo era stata adombrata. Quest’ultimo legato del Signore fece di Giovanni il figlio di Maria, e di Maria la madre di Giovanni; l’uno ora era dato all’altra in dono e a carico. Maria ricevette dal Figlio morente un altro figlio, l’amico di Lui, Giovanni, la persona più cara che Gesù possedesse sulla terra accanto alla Madre sua, quel discepolo dell’amore, che la sera precedente aveva potuto ascoltare, riposando sul cuore di Gesù, il fluttuare del suo amore. Per Maria Giovanni era l’aureo scrigno, entro il quale l’amore di Gesù s’era nascosto prima della morte come in un Sacramento. Giovanni era per Lei il monumento vivente dell’amore di Gesù verso la Madre. Ancor più di Maria in Giovanni aveva ricevuto da Gesù Giovanni in Maria. Fu un onore senza uguali. Un giorno insieme con suo fratello Giacomo Maggiore egli aveva preteso un primo posto nel regno messianico; adesso gli tocca di più. Ieri ebbe per un’ora il suo posto sul cuore del Signore; da oggi in poi il suo posto è a fianco della Madre del Signore per tutta la vita. Il Signore anche nell’estrema povertà della croce poté arricchire di doni i due esseri a Lui più cari, Maria con Giovanni e Giovanni con Maria. Le sue due più care creature! Accanto alla croce v’eran certo anche altri, la sorella di sua Madre, la moglie di Cleofa, e Maria Maddalena; anch’esse avevan dato prova al Signore di tanta bontà, e il Signore era legato in amore anche a loro; esse ricevettero una preziosa benedizione per la fedeltà sino alla sua morte; ma solo a Maria e a Giovanni fece dono della preziosità d’un’ultima parola tutta propria per loro e della preziosità d’una cara persona. Quella parola fu certamente per i due anche un obbligo. Maria doveva adesso essere la madre di Giovanni. Giovanni aveva già una madre, quella nobile Salome, che secondo l’informazione di Matteo era presente anche sul Calvario e « osservava da lontano »; « da lontano », perché lei e le altre « molte donne di Galilea » non furono ammesse dai soldati presso la Croce; essi, ascoltando un sentimento d’umanità, avevan permesso l’accesso soltanto alla Madre e a un esiguo accompagnamento. La parola del Signore a Giovanni: « Ecco tua madre! » non voleva privare Salome dei suoi diritti materni: Maria deve essere per Giovanni madre spirituale. Ella adesso deve donare a Giovanni il suo amore materno privo di Gesù; Ella deve proteggere in questo discepolo dell’amore l’eredità, che Gesù in lui ha deposto; Ella lo deve formare come aveva formata l’anima umana di Gesù; in una parola Ella dev’esserGli « madre ». Giovanni dev’essere figlio di Maria. Egli deve offrirLe e casa e sostegno e patria; deve essere sollecito del sostentamento della Donna a lui affidata; deve rallegrare alla Solitaria le sere e l’età. Quale esempio non aveva dato a Giovanni, il secondo figlio della Vergine, Gesù stesso nella sollecitudine per la Madre! Sino al trentesimo anno di vita, per un tempo così lungo Egli aveva provveduto alla Mamma con la propria augusta mano; probabilmente, per il periodo della sua attività pubblica, aveva pregato d’interessarsi di Maria quanti Gli erano stretti per amicizia. Ed ora, morente, affida la Madre all’amico suo, indicandogli così insieme il motivo e la misura della sollecitudine per la Madre. Per mezzo di Gesù tutti e due, Giovanni e Maria, sono adesso legati l’uno all’Altra come figlio e madre, e per mezzo di Maria anche Gesù e Giovanni si son fatti ancor più vicini, come fratello rispetto a fratello. Giovanni nel Vangelo può tributarsi questa lode modesta: « Da quel momento il discepolo se La prese con sè ». L’espressione greca « eis tà idia — in proprietà » nell’uso corrente del discorso significa « in casa sua ». Può essere frattanto che Giovanni abbia usato questa espressione, che può avere vari sensi, di proposito; la parola si presta a una spiegazione ancor più profonda: «eis tà idia — in proprietà » significa nel suo senso pieno più che « casa » solamente; con essa può essere indicato tutto l’insieme della vita esterna ed intima d’un uomo; Giovanni non accolse Maria soltanto in casa, ma anche nel suo cuore, nel suo sentimento e sollecitudine, nel suo dolore e amore. – Con quale maternità dal canto suo Maria abbia accolto Giovanni « nella sua proprietà », più che non dalle pie descrizioni, risulta con evidenza dagli scritti di Giovanni. Gli scritti di Giovanni, e anzitutto il suo Vangelo, sono percorsi da un mirabile afflato mariano; esso si diffonde dalla possente affermazione del prologo del Vangelo giovanneo: « Il Verbo si fece carne » attraverso Cana sino al Calvario. Da Giovanni e solamente da lui noi veniamo a sapere che il Signore era stretto alla Madre sua anche durante il tempo della sua attività pubblica — Cana! — e nella passione — Calvario! —. Nei lunghi anni di convivenza Maria dischiuse al discepolo dell’amore visioni e connessioni sempre più profonde nel mistero di Gesù. Non solamente Giovanni accolse Maria, anche Maria accolse Giovanni nella « sua proprietà ». La parola di congedo, che il Signore morente rivolse a sua Madre e al suo amico, ha una profondità che la cristianità ha scoperta e scopre soltanto un po’ alla volta lungo il corso dei secoli; poiché anche oggi il mistero di questa parola non è ancora dischiuso in ogni sua parte, il mistero cioè della maternità di Maria rispetto all’intera cristianità. Il sentimento cristiano cominciò a sospettare e capì sempre più chiaramente che Gesù sulla croce aveva costituita Maria Madre non solamente di Giovanni bensì di tutti noi, e che non solamente Giovanni, ma noi tutti siamo figli e figlie di Maria. Giovanni non è che un nostro rappresentante; Maria è la Madre dell’intera umanità raccolta in Cristo; « Giovanni » è quindi… « ognuno di noi ». La parola evangelica, considerata in sé sola, non permette certamente una conclusione così spinta; ivi non si fa parola che di Giovanni, a lui, a lui solo viene trasmesso presso la croce l’onore e il dovere della cura di Maria; e a lui, a lui solo, non a un altro discepolo Maria viene indirizzata come a un figlio, cui da parte sua dev’esser, può essere madre. I Padri della Chiesa, quindi, intesero questo testo sempre e ovunque del rapporto di madre e figlio solamente, che sussistette fra Maria e Giovanni, mentre non hanno una parola per la maternità spirituale della Vergine rispetto a noi tutti. Soltanto presso Origene (f 254) si trova un testo, che estende quella parola del Signore anche ai credenti in Cristo, a quanti Cristo amano. Nondimeno passarono ancora secoli prima che in Occidente, per la prima volta l’abbate Ruperto di Deutz, all’inizio del secolo x, e poi con tutta chiarezza e direttamente Dionisio Cartusiano nel secolo xv mettessero quella parola del Signore in relazione con una maternità spirituale universale di Maria. Ma questa maternità spirituale della Vergine è una realtà; è dottrina sicura, cattolica; essa però non si erige su questa parola, bensì sui fatti che si svolsero sul suo medesimo suolo insanguinato, nelle sue immediate vicinanze, sul Calvario. – Due fatti han creata la maternità spirituale di Maria. L’uno fu il suo assenso all’Incarnazione. Sin d’allora, a quel primo Sì, Ella è divenuta anche Madre spirituale di noi tutti: « Mentre Maria portava in grembo suo il Redentore, portava anche tutti coloro la vita dei quali era rinchiusa nella vita del Redentore. Noi, che siamo incorporati a Cristo, siamo nati dal seno di Maria come Corpo Mistico legato col capo ». Nell’incarnazione Gesù è divenuto nostro fratello, Maria, la Madre di Gesù, è divenuta così anche la Madre di tutti i suoi fratelli. Presso la Croce Maria portò al suo compimento amaro e sanguinoso quel Sì del principio. Ella accanto alla croce patì col Figlio suo, e quanto dolore trova posto nel cuore d’una madre, specialmente nel cuore della Madre di Dio! Ella cooffrì con il Figlio suo, fu internamente d’accordo per la morte di Gesù a nostra salvezza, e quella morte ha dato a noi la vita. Poiché Ella ebbe parte nella morte, ebbe parte anche nella vita; Ella col suo dolore materno ha reso a noi possibile questa nuova vita, che si eleva al di sopra della natura. Quale aiutante di Cristo nell’opera della salvezza, Ella divenne la madre della cristianità. Per questo Pio XII, nella sua Enciclica sul « Corpo Mistico di Cristo », richiama con insistenza a questo vincolo di causalità fra la compassione e la cooblazione di Maria presso la Croce e la sua spirituale maternità: « Ella, che sul Golgota col sacrificio totale dei suoi diritti materni e del suo materno amore, ha offerto all’Eterno Padre il Figlio suo, a motivo di questo nuovo titolo di dolore, già Madre del nostro Capo quanto al Corpo, divenne anche la Madre di tutti i suoi membri quanto allo spirito ». La maternità spirituale di Maria quindi è più che una figura solamente, più che una bella espressione poetica soltanto, essa è una realtà misteriosa che si erige sui due misteri fondamentali della nostra fede, l’Incarnazione e il Sacrificio della croce. – Quest’invisibile realtà diventa visibile, come in un simbolo, in Maria e Giovanni presso la Croce; quivi Maria fu costituita Madre di Giovanni e Giovanni figlio di Maria. Proprio in quell’ora, nella quale essi si unirono dinanzi alla croce del Signore per contrarre un legame dolorosamente bello, proprio nell’ora della redenzione Maria divenne anche la Madre dei redenti, e i redenti divennero tutti figli di Maria. A motivo nostro Ella perdette Gesù, il Figlio suo, a motivo di Gesù noi fummo generati figli suoi. Quanto si svolse dinanzi alla Croce, quasi sul proscenio, ci sospinge a guardare in fondo, al di là di Giovanni: in Giovanni siamo presi in considerazione noi tutti, in Maria è data a tutti noi una Madre. – O Donna, ecco qui dunque il figlio tuo! È vero, noi siamo meno, molto meno degni di Te che non il gentile e nobile Giovanni, il quale Ti fu affidato in figlio dal Figlio sulla croce. Colpito da quello scambio con Giovanni, già S. Bernardo esclama: « Quale scambio! Giovanni Ti vien dato al posto di Gesù, il servo invece del Signore, il discepolo invece del Maestro. il figlio di Zebedeo invece del Figlio di Dio, un puro uomo invece del vero Dio ». E ora Tu devi accogliere addirittura noi invece del Figlio! Le nostre meschinità devono farTi nausea, o regale Signora! Di fronte al tuo nobil animo noi siamo d’una condizione tanto inferiore. o Santissima, o Purissima! Noi siamo piccini, poco buoni, impuri, cenciosi, talvolta anche diavoli camuffati, ripieni di reale malizia. E costoro devon essere i tuoi figli! A costoro Tu devi essere madre! Tu, che sei passata sulla terra come un giglio e in Cielo troneggi sopra gli Angeli. Tu però stesti anche sul Calvario, accanto alla croce del Figlio, sulla quale Egli morì per noi peccatori. Tu udisti com’Egli fece grazia al ladrone, e pregò persino per la malignità ostinata. Il Figlio tuo Ti impegna per noi peccatori. Ma perché scongiuriamo noi con parole retoriche il tuo cuore e spesso in tal modo che si potrebbe pensare che valga a persuaderTi, a costringerTi ad esser buona? Non sei Tu il vertice più tenero dell’eterno amore di Dio verso di noi? Egli ha scelto il tuo cuore materno a simbolo della sua propria bontà sconfinata e della sua immensa misericordia. Iddio cioè non è solamente Padre; in Te e per Te, o Maria, Egli vuol manifestare anche la sua infinita maternità. Se anche una madre qualunque consacra le cure più premurose al più povero dei suoi figli, quanto amore non vi sarà per il peccatore nel tuo cuore, ch’è il riflesso più soave dell’amore di Dio! Madre! Madre della misericordia! « Peccatores non abhorres, sine quibus numquam fores mater tanti Filii — Tu non aborri i peccatori, senza dei quali mai saresti Madre d’un tanto Figlio ». E così, o Signora, guarda a noi tuoi figli! Accogli anche noi « eis tà idia — in tua proprietà ». E questa proprietà tutta a Te propria è Gesù: riempici dei sentimenti di Gesù, che da Te si irradiano luminosissimi! E dopo questa miseria mostraci Gesù, il Frutto benedetto del tuo ventre.

Poi, « o Vergine, Madre di Dio, mentre stai dinanzi al Signore, ricordaTi di dire una buona parola per noi, perché Egli storni da noi il suo sdegno ».

Figlio, ecco pure tua Madre! È una grandissima gioia per un uomo possedere una madre, alla quale egli possa guardare, alla quale possa elevarsi. La sua figura resta viva anche al di là della morte; essa l’accompagna come un angelo. Lungo tutta la vita sino al giorno del lieto arrivederci sui portali dell’eternità. Le nostre ottime madri si son formate in Maria, ed esse, quasi preoccupate per il tempo nel quale non avrebbero più potuto precederci col loro esempio, richiamarono la nostra attenzione a Maria, la Madre eterna. Nessuna madre può come Maria elevare i nostri pensieri e i nostri desideri; Ella è il segno grande nel cielo, ammantata di sole e irradiata di dodici stelle; Ella tiene sveglia la nostra eterna nostalgia. E Maria è il grande segno anche sulla terra, aspersa del sangue del Figlio suo ed elevantesi presso la Croce sul Calvario. Figlio, dalla notte della tua tribolazione, guarda alla Madre tua sul Calvario! Neppure accanto alla croce del Figlio suo Ella si querelò, dubitò, vacillò; Ella stette, forte e ferma. E così « io attacco ogni tedio e il dolore di tutte le notti e ogni nostalgia dell’ultima meta al tuo abito d’argento, o Madre » (Hauser). Maria non ritornò dal Calvario col cuore spezzato; insieme con la tristezza era in Lei una grande ed intima gioia: il mondo adesso era redento; tanto aveva fatto il Figlio suo. E dopo tre giorni Egli risorgerà. Ella sapeva della prossima risurrezione come era stata al corrente della prossima passione. Se ne andò dal sepolcro del Figlio, mentre calava la notte, con la fiaccola della speranza. Questa eterna speranza è l’atteggiamento cristiano più profondo; essa oltrepassa e sopravvanza le tre disposizioni che sono alla radice della esistenza umana puramente naturale, la tristezza, l’angoscia e la nausea. Noi come Maria, al di sopra di tutte le notti, guardiamo a Cristo; Egli non è solamente morto, Egli è anche risorto dai morti, è asceso al Cielo e un giorno Egli ritornerà per giudicare i vivi e i morti. Vi son Calvari, tanti e tetri; ma io credo anche nella risurrezione dei morti e nella vita eterna.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.