DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2022).

Semidoppio.- Paramenti verdi.

Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli» (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La tua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con Lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Queste è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Cosi l’Offertorio ci mostra come Mosè dovette Intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova Legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossima delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali dicui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) . « Gesù, dice S. Beda il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.). – La gloria dei ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica. – « Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, è lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo su la Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Introitus

Ps 33:12
Veníte, fílii, audíte me: timorem Dómini docébo vos.
Ps 33:2
Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Veníte, fílii, audíte me: timorem Dómini docébo
vos.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].

TUTTO E NIENTE.

Alessandro Manzoni ha colto ancora una volta perfettamente nel segno quando parlando di Dio, come ce Lo ha rivelato N. S. Gesù Cristo, come noi Lo conosciamo alla sua scuola, ha detto che Egli atterra e suscita; due gesti contradditori, all’apparenza, ed entrambi radicali. Quando fa le cose sue, Dio non le fa a mezzo: se butta giù, atterra, inabissa; e se tira su, suscita, sublima: a questo radicalismo, e a questa completezza d’azione divina corrisponde anche quello che s. Paolo dice nella lettera d’oggi, messo a riscontro di ciò che afferma altrove. Ecco qua: oggi San Paolo dice ciò che è verissimo che, cioè, noi da soli siam buoni a nulla: neanche a formare un piccolo pensiero. Nel concetto di San Paolo e di tutti, è la cosa a noi più facile, assai più facile volere che fare. Il pensiero è il primo gradino della scala, il più ovvio, il più semplice. Non importa: neanche quello scalino l’uomo può fare da sé, proprio da sé, ci vuole l’aiuto di Dio. Il quale dunque, è tutto Lui e noi di fronte a Lui siamo un bel niente, uno zero. È un fiero e giusto colpo assestato al nostro orgoglio che ci fa credere di essere un gran che e di potere fare noi, proprio noi, chi sa che cosa. L’uomo ha degli istinti orgogliosamente, dinamicamente, mefistofelici. Noi vorremmo essere tutto: noi ci illudiamo di poter fare tutto. E invece ogni nostra capacità viene da Dio: « sufficientia nostra ex Deo est. » Il che non vuol dire che questa capacità (sufficientia) non ci sia. C’è ricollegata con Dio. E allora San Paolo appoggiato a Dio, immerso nell’umile fiducia in Lui, tiene un tutt’altro linguaggio, che par una negazione ed è invece un’integrazione del precedente. « Omnia possum in Eo qui me confortat » io posso tuto in Colui che mi conforta; dal niente siamo passati al tutto. Lo stesso radicalismo. Prima, nessuna possibilità e adesso nessuna impossibilità. Prima l’uomo buttato a terra, proprio umiliato (humus, vuol dire terra), adesso esaltato fino alle stelle, proclamato in qualche modo onnipotente. La contradizione non c’è perché chi dice così non è lo stesso uomo che viene considerato, non è lo stesso uomo di cui si parla. L’uomo che non può tutto, che è la stessa impotenza, è l’uomo solo o piuttosto l’uomo isolato da Dio, lontano effettivamente ed affettivamente da Lui: ramo reciso dal tronco, tralcio separato dalla vite, ruscello a cui è stata tolta la comunicazione colla sorgente e che perciò non ha più acqua. L’uomo isolato così è sterile, infecondo nel bene, può scendere, non può salire. Ma riattaccatelo a Dio, mettetelo in comunicazione viva, piena, conscia, voluta, e la situazione si modifica dalla notte al giorno. L’anima che sente questo contatto nuovo, sente un rifluire in se stessa di nuove, sante, inesauste energie. Non poteva nulla senza il suo Dio, adesso può tutto unita a Lui. « Omnia possum in Eo quì me confortat. » E’ il grido magnanimo e non ribelle dei Santi, appunto perché la loro onnipotenza la ripetono da Dio, tutta e solo da Lui. Solo realizzando spiritualmente quel niente e quel tutto, solo vivendo tutta quella umiltà e tutta questa fede, si raggiunge l’equilibrio tra la sfiducia e la presunzione.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.

[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]

V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.

[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.

[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétiæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, e con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

AMA IL PROSSIMO COME HANNO FATTO GESÙ E I SANTI

Per salvarsi è necessario amare il Signore con tutto il cuore e sopra tutti gli interessi del mondo. Ma nessuno s’illuda di amare il Signore con tutto il cuore, se nel medesimo tempo non ama il suo prossimo come se stesso. Un dottore della legge si levò allora a domandare a Gesù: « Chi è il mio prossimo? ». Il Maestro divino, che vede nel cuore di tutti, vide in quello del dottore che l’interrogava la malizia di metterlo in imbarazzo, perciò gli rispose facendogli una domanda, in un modo che equivale a questo: « Se ti trovassi abbattuto sopra una strada deserta, ferito e lì lì per morire dissanguato, da chi vorresti essere soccorso? » « Da tutti: dal primo che passa ». – «Anche se fosse uno sconosciuto? ». « Si ». « Anche da uno straniero, da un nemico politico, da un nemico personale? ». « Da chiunque ». « Ebbene — concluse Gesù — va: e tu pure fa così. Chiunque ha bisogno di te, parente o conoscente, connazionale o straniero, amico e nemico, quegli è il tuo prossimo ». E perché il dottore della legge non dimenticasse mai più il precetto dell’amore del prossimo, narrò di un uomo aggredito dai ladri, sulla strada che da Gerusalemme discende a Gerico. Eccolo dunque, il povero uomo, bastonato e tramortito sul margine brullo e arrossato dal suo sangue. Passò un sacerdote e poi un levita: ma né l’uno né l’altro gli volsero la testa. Passò finalmente uno straniero, un Samaritano che n’ebbe misericordia; gli fasciò le piaghe dopo averle lavate con olio e vino; lo sollevò sulla sua cavalcatura; lo trasportò all’albergo più vicino dove lo assisté per tutta la notte. Il domani, diede all’oste un anticipo, dicendogli: « Non lesinare: se ci sarà da aggiungere, al mio ritorno sarai soddisfatto ». Ma la morale della parabola tocca anche ciascuno di noi, non appena quel dottore della legge: Et tu fac similiter: « anche tu devi fare lo stesso ». Tra quanti ci diciamo Cristiani, chi si sente il coraggio di praticare ogni giorno il Vangelo così? Intorno a noi, sulla nostra strada, ci sono persone che hanno bisogno, che soffrono: come il sacerdote e come il levita della parabola, noi passiamo oltre, tranquillando la coscienza con interessati e comodi pretesti. Così dietro a noi, per causa nostra, molti maledicono la Religione, perché la vedono deformata nella nostra condotta egoistica. Ci siamo fabbricati un Cristianesimo, come un vestito su misura: e la misura sono i nostri comodi e i nostri interessi. Non è questo il Cristianesimo che salva, ma quello di Gesù Cristo e dei Santi. Bisogna, (per quanto concerne il Vangelo di oggi), amare il prossimo come hanno fatto e insegnato i Santi. – 1. COME GESÙ. La grazia più bella che possiamo chiedere è quella che S. Paolo augurava ai Cristiani di Efeso: « Che voi possiate comprendere quale sia la larghezza e altezza e profondità dell’amore di Cristo! Possiate conoscere come esso sorpassi ogni idea che ce ne possiamo formare! » (Ef., III, 18). – Nessun atteggiamento ci fa comprendere meglio i sentimenti di Cristo verso il prossimo di quello che prese nell’ultima cena in ginocchio per lavare i piedi agli Apostoli: l’amore del prossimo è una così bella e così buona cosa che bisognerebbe pregare il prossimo di lasciarsi servire, di lasciarsi lavare i piedi. a) Ricordiamo alcuni detti del Signore. « Il mio precetto è questo: che vi amiate tra di voi » ( Giov., XV, 12). Un solo comandamento ha dunque chiamato suo, ed è quello dell’amor del prossimo. Ed ha aggiunto che riconoscerà per suoi discepoli soltanto quelli che l’eseguiranno fedelmente. Non appena ci diede il precetto, ma ne ha pure accennato l’applicazione e l’estensione. « Chi ha due vesti, ne doni una a chi non ne ha; similmente faccia per il cibo ». « Fate del bene anche a quelli che vi odiano, si perseguitano, vi calunniano ». Ci ha pure spiegato il motivo profondo del nostro amore per il prossimo: « Qualunque cosa avrete fatto per il più oscuro degli uomini, sarà come se l’aveste fatta a me ». Bisogna vedere Dio nel bisognoso: soccorrerlo per amor di Dio, nonostante i suoi possibili torti o indegnità. Ci ha fatto anche balenare la grande ricompensa riserbata agli esecutori del suo ordine d’amore: «Venite, o benedetti dal Padre mio, voi mi avete amato nel prossimo: venite nel Regno che vi è stato preparato » (Mt., XXV, 34). b) Ricordiamo ora alcuni fatti del Signore. Ama i bambini, rimprovera chi glieli allontana; maledice chi li scandalizza; li propone a modello per il loro ingenuo e umile candore. Ama i poveri, di essi si circonda, e non si rifiuta mai alle loro richieste; non avanza tempo neanche per prendersi un boccone, neanche per pregare come vorrebbe. Ama gli ammalati: si commuove davanti alle loro piaghe: trema in cuore ascoltando i loro gemiti; per loro compie quasi tutti i miracoli. Ama gli stranieri: guarisce il servo del Centurione di Cafarnao: la figlia della Cananea; il Samaritano lebbroso. Ama i peccatori e si paragona al buon pastore in cerca della pecorella smarrita, al vecchio padre che aspetta il ritorno del figlio prodigo. Entra in casa di Zaccheo e lo converte: siede sull’orlo del pozzo attendendo la Samaritana: non lascia lapidare la disgraziata adultera. Ama il suo traditore: a tavola gli dà il boccone della preferenza; sì lascia baciare da lui, sapendo già tutto; lo chiama amico mentre è fatto da lui imprigionare. Ama i suoi crocifissori, li scusa per la loro ignoranza, prega per loro, muore per loro. Ha dato la vita per ciascuno di noi che tante volte l’abbiamo crocifisso coi nostri peccati; è morto in vece nostra che gli eravamo nemici; e per questo amore ci ha colmati di ogni benedizione. – 2. COME I SANTI. Quando vogliamo intendere bene il Vangelo, guardiamo alla vita dei Santi.  Guardiamo dunque ai Santi per capire il precetto dell’amore al prossimo. Cominciamo dalla Madonna. Che fece quando seppe di sua cugina la quale si trovava in condizioni speciali? corse a servirla per tre mesi. Che fece quando si accorse della figura che avrebbero fatto nel banchetto di nozze due sposi di Cana, venendo a mancare il vino? tanto pregò che ottenne un miracolo. Un poco almeno di squisita carità ella doveva averla imparata dai suoi genitori, i santi Gioachino ed Anna, i quali dividevano i loro beni in tre parti: la prima era per i poveri; la seconda era destinata ai bisogni del tempio ; la terza se la tenevano per il sostentamento della famiglia. S. Paolo: « Fede, speranza, carità, tre cose: ma la carità è più grande ». Per ciò egli si faceva tutto a tutti. S. Francesco d’Assisi baciò un lebbroso sulla piaga, dopo averlo beneficato; regalò il vestito che aveva indosso a un povero; vendette per i poveri in una chiesa il libro del Vangelo, perché val più metterlo in pratica che saperlo a memoria. S. Vincenzo de’ Paoli, vinto dalla tenerezza del suo cuore alla vista di un giovane forzato, si pose al suo posto e lasciò che quello andasse in libertà. Per alcune settimane stette al banco dei galeotti, legato ai polsi e alle caviglie con catene che gli lasciarono il segno finché campò. Potrei ricordare infiniti altri esempi e del Cottolengo e di Don Bosco, ma preferisco lasciare la parola al S. Curato d’Ars che aveva venduto perfino le lenzuola per i poveri che, se un povero picchiava alla porta, non s’accontentava di mandargli un tozzo di pane, ma usciva per vederlo, confortarlo, accarezzarlo. Il Santo Curato disapprovava l’orgoglio di certi benefattori i quali fanno elemosina per amor del mondo e non per amor di Dio. Diceva: « Molti non fanno elemosina che per essere veduti, lodati, ammirati. Altri si lamentano di non essere mai ringraziati abbastanza. Non istà bene: se fate carità per amor di Dio, vi sì dice grazie o no, poco importa ». Il Santo Curato insegnava a vedere nel prossimo bisognoso il Signore. Diceva: « Molte volte crediamo recare sollievo a un povero, e si trova che quegli è il Signore Nostro. Vedete S. Giovanni di Dio: soleva egli lavare i piedi ai poveri prima di porli a mangiare. Un dì chinandosi sui piedi di un povero, li vide trafitti. Levò il capo commosso a quella vista e gridò: — Siete Voi dunque, o Signore! — E Nostro Signore gli rispose: — Giovanni, io mi compiaccio vedendo come tu hai cura dei miei poverelli. — E disparve ». – Il Santo Curato non voleva sentire che si sparlasse dei poveri. Diceva: « Non si devono mai disprezzare i poveri, perché questo disprezzo ricade su Dio. V’ha chi dice: — Oh questo povero non merita soccorso, perché usa male dell’elemosina che riceve. — Ne faccia pure quell’uso che vuole: il povero sarà giudicato sull’uso che avrà fatto della vostra elemosina; ma voi sarete giudicati sull’elemosina che avreste potuto fare e non avete fatto ». – Pietro I, re di Portogallo, disse: « In quel giorno in cui il re non dona nulla, egli non merita d’essere chiamato re ». E noi diciamo: « Nel giorno in cui il Cristiano non presta alcun aiuto, non compie alcun bene, per il suo prossimo non merita d’essere chiamato Cristiano ». Infatti, quando aveva bisogno d’esser nutrito, Cristo gli ha dato la sua Carne; quando aveva bisogno d’essere dissetato, Cristo gli ha offerto il suo Sangue; quando indebitato fino al collo aveva bisogno di condono, Cristo l’ha assolto. Come qualcuno può credersi Cristiano, se in cambio di questi beni celesti non sa distaccarsi per amor di Dio dai piccoli e passeggeri beni terrestri? « È più felice chi dà, che chi riceve » ha detto il Signore. — IL VERO AMORE DEL PROSSIMO. Gesù istruiva. Lontano sullo sfondo verde biancheggiava al sole la strada che da Gerico ascende a Gerusalemme. Magister, quid faciendo vitam æternam possidebo? Per aver vita eterna, chi non lo sa, bisogna amar Dio. Ma volete sapere se amate veramente Dio? guardate se amate il prossimo. Gesù Cristo ha fuso i due precetti e ne ha fatto uno solo, uno nuovo, che è tutta l’essenza del Cristianesimo: la carità cristiana. Perciò dice S. Paolo: Si charitatem non habuero nihil sum (I Cor. XIII, 2).1. NON OGNI AMORE È CARITÀ. S. Francesco, in uno dei capitoli generali in cui si raccoglievano i frati del terz’ordine per formare la regola, propose che i suoi frati dovessero farsi obbligo di raccogliere da terra e custodire sul cuore tutti i pezzi di carta, o qualsiasi oggetto su cui erano scritte le parole della Consacrazione, o anche i nomi di Dio e del Signore. I nuovi dell’Ordine però non vollero trasmettere ai frati questa espressione, così delicata, di una pietà che non poteva rassegnarsi a vedere le parole sante profanate, e rispose a Francesco che l’adempimento di una tale regola sarebbe troppo incomodo per i frati. Allora fu visto il giullare di Dio, il fratello di Madonna Letizia, farsi triste in volto ed ingoiare un amaro singhiozzo. E da quel momento, come disse l’amico al suo fedele Leone, non fu più che un uomo malato e ferito a morte. Vi sono degli altri oggetti, ben più preziosi dei pezzi di carta, su cui sta scritto non solo il Nome di Dio, ma tutta l’immagine di Dio: il nostro prossimo che soffre. I poveri, gli ammalati, i tribulati, non sono i brandelli di umanità, attraverso alle cui carni martoriate traluce l’immagine di Dio? Ecco perché noi dobbiamo amare il prossimo: e questa intenzione di amare in lui l’immagine di Dio trasforma il nostro amore in carità. Se alcuno amasse una persona perché gli è simpatica, il suo amore non è carità, ma è istinto che guida anche le bestie. Se alcuno amasse una persona solo perché ha ricevuto dei benefici, il suo amore non è carità, ma è riconoscenza. Anche il leone feroce sentì questo affetto, dice la favola, verso la scimmia che gli aveva levato la spina. Se alcuno amasse una persona perché ricca e potente, e comunque perché capace di soccorrerla e proteggerla, il suo amore non è carità, ma è interesse: Charitas non quærit quæ sua sunt (I Cor., XIII, 5). Amor di carità era quello di santa Giovanna di Chantal che curava gli ammalati, li portava nella sua casa, e baciava le loro piaghe.« Ma che cosa fate?! »  le osservarono un giorno.« Io bacio le piaghe di Cristo ».Tutte queste parole non sono altro che una amplificazione di una riga di catechismoche forse avevamo dimenticata: carità è… amare il prossimo come se stessi per amor di Dio.2. NON OGNI CARITÀ È CARITÀ CRISTIANA. Gesù Cristo, imponendoci il precetto dell’amore, disse: Mandatum novum do vobis. Eppure anche in antico si amava il prossimo: ma era un amore secondo la carne o secondo il mondo, e non era l’amore secondo Cristo. « Voglio che vi amiate, dice Gesù, come io ho amato voi ». Sicut dilexi vos. Amar il prossimo, come siamo stati amati da Cristo: ecco la carità cristiana. Ma il divin Maestro ci ha amati fino a sacrificare per noi tutti i suoi interessi, fino al sacrificio completo di sé. Egli, per nostro amore, da ricco si è fatto povero sulla terra brulla: ecco il sacrificiodei suoi beni. Egli da padrone si è fatto schiavo: ecco il sacrificio della sua libertà. Egli dallo splendore del cielo è sceso nello squallore di una stalla, e rimane annichilito in un piccolo tabernacolo: ecco sacrificato l’interesse della sua gloria. E sulla croce, sanguinante e spasimante, non ha sacrificato per noi tutta la sua vita? Ut diligatis invicem sicut dilexi vos (Giov., XIII, 34). Se vogliamo essere Cristiani, così dobbiamo amare il nostro prossimo. Non già come il sacerdote e il levita che passarono accanto al trafitto e gli diedero soltanto una sterile occhiata di compassione, ma come il samaritano che non guardò alla premura dei suoi affari, alla fatica, ai danari; non guardò nemmeno ch’era un suo nemico, un cane di Giudeo. Carità cristiana è carità pronta, ad ogni disinteresse e sacrificio; sacrificio di danaro: quod superest date; sacrificio di onori; e perfino sacrificio della propria vita: et nos debemus pro fratribus animas ponere (I Giov., III, 16). Così il missionario, così la suora che, per amor di Cristo, assistono gli ammalati contagiosi.C’era un buon uomo che ogni mattina alzandosi guardava il crocifisso appeso al suo letto con una sguardo ineffabile, e si faceva questa domanda: « A chi posso essere utile oggi, o Signore? ». Fatevi tutti questa domanda! Fanciulli che vivete ancora nella vostra casa, con la vostra mamma, con vostro padre, coi vostri fratelli; uomini che passate la giornata nelle botteghe o negli uffici; buone donne che conoscete tante sventure, fatevi questa domanda, ogni mattina, mentre vi alzate guardando il crocifisso: « A chi posso essere utile oggi, o Signore? ». Non capite che la vita non ha ragione d’essere se non si fa del bene? Non sentite voi la sera che la nostra giornata è perduta, e perduta per sempre se in essa, nemmeno un poco, siamo stati utili al nostro prossimo? Non sentite voi un’amarezza dopo una giornata d’egoismo, in cui non abbiamo pensato che a noi, non abbiamo vissuto che per noi? Ogni giorno fissiamoci un bene da compiere, secondo il nostro stato e le nostre forze, designiamo la persona che ha bisogno di noi; cerchiamo la maniera più delicata per farle quel po’ di bene di cui ha tanta necessità. Oh, come il buon Dio, così buono, ci sorriderà!LA CORREZIONE Fraterna. Non appena al dottore della legge, il Maestro ha imposto il suo comandamento d’amore: vade et tu fac similiter, ma anche a ciascuno di noi. Non appena per colui che incappa nei ladri di danaro, per colui che ha le piaghe nella carne dobbiamo usare misericordia, ma anche e specialmente per colui che incappa nei ladri di anime, per colui che ha piaghe nello spirito. È sopra queste piaghe che io vorrei insegnarvi a versare olio e vino. Purtroppo, l’egoismo e l’indifferenza ha reso gretto il cuore nostro. E non è raro di udire dalla bocca dei Cristiani la disumana parola di Caino: « Num custos fratris mei ego sum? « Sono io forse il custode del mio prossimo? ». Anima sua, borsa sua; s’arrangi. Chi vuol traviare travii; chi si vuol perdere, si perda: che importa a me? Non m’interessano gli altri, è già fin troppo se bado a me. « Che importa a voi? a voi non interessa? — grida S. Giovanni Crisostomo. — Egli è il fratello vostro, figlio come voi di quel Padre che avete in cielo; rigenerato ancor egli di quel sangue che fu il vostro riscatto; rinato ancor egli da quel fonte, da cui traeste vita di grazia; educato da quella Chiesa che riconoscete per Madre; pasciuto da quella mensa che Cristo vi ha imbandito con la sua carne; destinato egli pure a quell’eredità che sopra le stelle v’aspetta… E avete cuore di dire che a voi non importa, che a voi non interessa? Oh indolenza degna di mille fulmini! » Mille fulminibus vindicanda. Dopo queste parole, non occorre più ch’io vi dimostri la necessità di aiutare il prossimo a salvare l’anima, a risorgere dai peccati, a correggersi dai difetti. Solo resta che della correzione fraterna si esponga chi la deve fare, e come la si deve fare e come la si deve ricevere.1. CHI DEVE FARE LE CORREZIONE. Il profeta Geremia un giorno esclamò: « Io vedo nell’orto un segno misterioso una verga ritta con su la cima come un occhio che vigila » Virgam Vigilantem video (Ger., I, 11). Se nell’orto della parrocchia, della famiglia, dell’officina, dell’anima ci fosse sempre una verga vigilante, pronta a curvarsi e a fermare chi sbaglia! Poiché se tutti sono dall’amore vicendevole obbligati a correggere, alcune persone hanno un obbligo speciale che deriva dall’ufficio e dal posto che tengono. Tra questi, i primi sono i pastori d’anime, i quali devono con ogni sforzo impedire ai fedeli affidati alla loro cura spirituale di cadere nell’abisso del peccato e dell’inferno. Guai al sacerdote che per timore, per vergogna, per compiacenza, non alza la voce. Guai a me, se starò muto davanti alla vostra rovina! Insta opportune, importune, argue, obsecra increpa în omni patientia et doctrina (II Tim., IV, 2). Poi vengono i genitori, che devono considerare uno dei loro più sacri doverì, ed una delle loro più temibili responsabilità, quella di formare la mente e il cuore dei loro figliuoli. Se per troppa debolezza li lasceranno crescere capricciosamente, un giorno la loro memoria sarà maledetta. Non raramente s’incontrano persone che dicono, singhiozzando: « Oh se mio padre fosse stato più severo! Oh se mia madre si fosse curata più attentamente di me… ora è troppo tardi ». Perciò San Paolo inculca: « Educate illos in disciplina et in correptione Domini » (Ef., VI, 4). Ci sono inoltre i padroni, i quali devono dare ai loro domestici ed operai non solo la ricompensa materiale, ma pure l’esempio delle virtù cristiane, ed impegnarsi coi loro buoni consigli e rimproveri a farli camminare per la strada del retto, del giusto, dell’onesto. Infine, dirò che anche gli amici hanno uno speciale obbligo nella correzione. Altrimenti, a che gioverebbe l’amicizia? altrimenti cosa significherebbe il detto santo: chi trova un amico, trova un tesoro? — Sovente la parola di una persona che si ama ci fa più impressione, e s’insinua meglio nel cuore nostro. – 2. COME SI DEVE CORREGGERE. Ma come costoro debbono correggere, per riuscire a far del bene? 1) Con la preghiera. — Salvare un’anima, distogliere dal male, sollevare dal peccato, non sono cose a cui bastano le nostre forze. Io so di alcune mamme che non comandano mai nulla di importante ai loro figli, e non fanno a loro nessun rimprovero vero senza aver prima pregato il loro Angelo custode. 2) Con la prudenza. — E la prima cosa che prudenza vuole è che il correttore sia scevro di quel difetto che riprende negli altri. Con le mani unte non si tolgono le macchie. Se un padre è un bestemmiatore non avrà certo efficacia quando corregge suo figlio a non bestemmiare. Un avaro è ridicolo quando raccomanda la generosità. Hypocrita! Ejice primum trabem de oculo tuo (Mt., VII, 5). La prudenza vuole ancora che si studi il modo più adatto alla persona che sbaglia. È passato in proverbio un medico che si metteva in tasca varie ricette, già scritte per molte sorta di malattie. Al momento opportuno cacciava la mano in tasca, e tirando fuori la prima che ne veniva, la porgeva al malato dicendo: « Dio te la mandi buona ». Non si medicano, né si correggono tutti a una maniera. Per alcuni è necessario una correzione aspra, altri non sopportano che quelle lievi. Talvolta bisognerà versare vino che bruci e disinfetti, talvolta olio che lenisca. Infine, la prudenza vuole ancora che la correzione non sia fatta in pubblico, per son umiliare, ma in segreto; ma con amore. 3) Con fortezza. — Guai al chirurgo che si lascia impietosire dai gemiti del paziente! Ma guai anche a quelli che, costretti dal loro ufficio, hanno timore a correggere! Ricordate S. Ambrogio che non tremò davanti all’Imperatore Teodosio, ma fermandolo sulla soglia del duomo di Milano gli disse: « Così non potete entrare nel tempio di Dio! fate prima penitenza ». Ricordate il profeta Natan, che non temé di entrare nella reggia di Davide a dirgli: Tu es ille vir! Ricordate Giovanni il Battista che ci rimise la testa, ma non balbettò a dire all’adultero monarca: Non licet! – 3. COME RICEVERE LE CORREZIONI. Taide, donna famosa nell’antichità per le sue scorrettezze, invecchiata già e sparuta, si presentò allo specchio, e vedutasi qual non voleva vedersi rugosa e sfiorita, infranse tutti gli specchi della casa e non volle più vederne uno. La correzione veritiera è come uno specchio piano che mostra noi a noi, che mette davanti alle nostre pupille le nostre deformità. Chi odia lo specchio è perché vuole rimanere sporco, chi non ama la correzione è perché vuole rimanere nel vizio. La correzione invece si deve accogliere: 1) Con umiltà: non scusare il proprio fallo, ma sinceramente ammetterlo, poiché Salomone dice che il giusto è il primo ad accusar se stesso. Justus prior est accustor sui (Prov., XVIII, 17). 2) Con docilità. — Non basta accogliere gli avvisi, bisogna poi studiarsi di metterli in pratica. Un giorno Dio ci domanderà conto di tutte le correzioni che ci furono date. 3) Con riconoscenza. — Serbiamo riconoscenza al medico che guarisce il corpo se pure con operazioni dolorose, serbiamo riconoscenza al maestro che ci corregge i compiti e le parole nostre, serbiamo riconoscenza anche al bambino che ci indica la vera strada quando ci troviamo sulla falsa: perché riconoscenza non serberemo anche per chi ci cura i mali dell’anima, per chi corregge gli errori del cuore, per chi c’insegna la dritta via del cielo? Se voi aveste sul volto una macchia che vi rendesse ridicoli, non sareste contenti che qualcuno vi avvisasse? Ma quanto è raro trovare uomini che amino d’essere ripresi! Argue sapientem et diligit te (Prov., IX, 8). –  Ritorniamo alla parabola. « Abbi cura di lui: — disse il samaritano all’oste, porgendogli due danari. — E quanto spenderai di più te lo pagherò al mio ritorno ». Pagare per guarire un altro. Questa carità squisita è fatta da molte anime nell’ordine spirituale. Quando ogni correzione sembra infruttuosa, si fanno avanti queste generose e promettono a Dio, divino albergatore, di pagare a costo di sacrifici tutte le grazie che Egli si degnerà di elargire all’anima traviata. Buone mamme che offrono i loro mali e la loro vita per la conversione dei loro figli; buone spose e sante sorelle che liete sopportano lunghe giornate di patimento per la salvezza dello sposo o del fratello. Candide suore dei conventi di clausura che soffrono e scontano i peccati di gente che non conoscono nemmeno!… Costoro sono i più somiglianti al samaritano. Vade et tu fac similiter.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo.

[Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Communis
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessione dicéntes:

(È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le Potenze ti venerano con tremore. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode:)


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.

[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.