LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (9)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (9)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO TERZO

L’INABITAZIONE DELLA TRINITÀ

(III)

6) L’esercizio della carità è ancora più necessario di quello della fede. Queste due grandi virtù teologali sono le due ali che ci elevano fino a Dio: credere non basta, bisogna amare… soprattutto’ amare!… Suor Elisabetta della Trinità, come tutti i santi, ha sottolineato fortemente questo primato dell’amore, su cui lo stesso divino Maestro insisteva tanto, facendo risalire la legge, i Profeti e tutti i comandamenti di Dio, a questo primo precetto: «Israele, ascolta… tu amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze» (S. Marco, XII, 29-30 – Deuteronomio, VI-4).Ci troviamo, qui, al punto culminante della dottrina cristiana; è bene fermarci un istante. Niente ci commuove tanto come il constatare con quale fedeltà gli Apostoli, i Padri della Chiesa, i Dottori tutti hanno insistito, senza stancarsi mai, su questo precetto del Signore, il precetto che la Chiesa tramanda a tutti i secoli, senza ripetersi mai. San Giovanni, posando sul petto del Maestro, ne aveva compreso la divina profondità; e quivi si riassumeva, per lui, tutto l’insegnamento di Gesù. Divenuto un vegliardo venerando, il precetto dell’amore era sempre sulle sue labbra, e ai circostanti che, talvolta, se ne stupivano, egli dette una risposta degna del discepolo prediletto: « È il comandamento del Signore; e questo solo basta » (San Gerol.: Galati. Libro III, cap. VI, P. L. XXVI-433). San Paolo insegnava la stessa dottrina quando scriveva: « Camminate nell’amore » (Ephes. V,, 2). «La carità è la pienezza della legge» (Romani, XIII-10.). È noto il celebre motto di sant’Agostino: « Ama et fac quod vis. Ama, e poi fa’ ciò che vuoi »; e dopo di lui, san Bernardo, nel suo trattato: « De diligendo Deo » ripeteva che « la misura di amare Dio è di amarlo senza misura ». San Domenico, patriarca di una grande famiglia intellettuale, confessava: « Ho studiato nel libro della carità più che in ogni altro libro: l’amore insegna tutto » (Vitæ fratrum, lib. II, cap 5). E san Tommaso, brevemente: « L’amore è la vita dell’anima » (San Tommaso II-II, q. 23, a. 2 ad 2.). C’è bisogno di altre citazioni? Tutto il linguaggio dei santi non è che una parafrasi del comandamento dell’amore. Santa Teresa affermava che, per le anime giunte alla vetta della perfezione, «l’unico ufficio è quello di amare » (« Castello interiore», VI e VII dimora. E san Giovanni della Croce: «Cantico », strofa XXVIII.). San Giovanni della Croce, il dottore dell’Amore più ancora che delle « Notti oscure », scriveva: « Al tramonto della vita, saremo giudicati sull’amore » (Silverio: Obras t. 3 p. 238). E dopo venti secoli, facendo eco alla grande parola del suo » Maestro: « Diliges (Matth. XXII, 37), vivi di amore », santa Teresa di Gesù Bambino ha lasciato al mondo moderno il suo bel cantico: « Vivere d’amore ». Equivale a dire che esso è la quintessenza del Cristianesimo; e san Francesco di Sales, nella prefazione al « Trattato dell’amore di Dio », suo capolavoro, dichiara: « Nella santa Chiesa, tutto è dell’amore, nell’amore, per l’amore e dall’amore ». La ragione è semplice: la carità ci stabilisce nello stato di amicizia con Dio. Tutte le ricchezze della Trinità divengono nostre per mezzo della grazia, e noi entriamo veramente in « società » col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo; ci è dato, così, il potere di « gioire » (San Tommaso I, q. 43, art. 3, ad 1) delle Persone divine. Questo commercio fra Dio e l’anima si svolge secondo le leggi più pure dell’amicizia: Dio si dona e ci comunica la sua propria beatitudine; l’uomo, in ricambio, ama Dio come un Amico, infinitamente più di se stesso, e pone la sua suprema felicità in quella del suo Dio. – Suor Elisabetta aveva fatto «sua» la dottrina del Maestro; e ritornava di preferenza alla frase di san Giovanni: « Noi siamo di quelli che hanno creduto all’amore ». Si può anzi affermare, senza timore di esagerazione, che essa aveva posto tutta la sua vita spirituale sotto la luce dell’« eccessivo amore » di cui parla san Paolo. « Sento tanto peso di amore sull’anima mia! È come un oceano nel quale mi inabisso, mi perdo; è la mia visione della terra, in attesa del «faccia a faccia» nella luce. Egli è in me; io sono in Lui; non ho che amarlo, lasciarmi amare; e questo sempre, in tutto e nonostante tutto: svegliarmi nell’amore, muovermi nell’amore, addormentarmi nell’amore, l’anima nell’anima sua, il mio cuore nel suo cuore, affinché il suo contatto mi purifichi, mi liberi dalla mia miseria… (Lettera al Canonico A… – Agosto 1903). « Notte e giorno, nel cielo dell’anima sua, ella vuol cantare l’amore del suo Dio » (Lettera al Canonico A… – Giugno 1906.). « Non ho più che un desiderio: amarlo, amarlo senza interruzione, zelare l’onore suo come una vera sposa, formare le sue delizie, renderlo contento, dandogli una dimora e un rifugio nell’anima mia, dove voglio fargli dimenticare, a, forza d’amore, tutte le abominazioni dei cattivi » (Lettera alla signora A… – 15 febbraio 1903). « Egli mi ha amato, si è dato per me» (Galati II, 20.). Questo, dunque, è il culmine dell’amore: donarsi, passare interamente in Colui che si ama; l’amore fa uscire di sé l’amante per trasportarlo, in un’estasi ineffabile, nel seno dell’amato. Oh, non è immensamente bello questo pensiero? Sia esso come un motto luminoso per le anime nostre; che esse si lascino in balìa dello Spirito d’amore e alla luce della fede, intonino già coi beati l’inno d’amore che eternamente si canta dinanzi al trono dell’Agnello. Sì, cominciamo il nostro cielo nell’amore. Quest’amore è Lui; ce lo dice san Giovanni: « Deus charitas est ». Rimaniamo nel Suo amore e che il Suo amore sia in noi » (Lettera alla signora A… – 15 febbraio 1904.). – Come Teresa di Gesù Bambino e forse sotto l’influenza ricevuta dalla lettura della « Storia di un’anima », anche ella ha trovato la sua vocazione nell’amore: «…Voglio essere santa, santa per farlo contento; chiedigli che io non viva più che di amore; è la mia vocazione » (Lettera a G. de G… – 20 agosto 1903.). « Credo sia proprio l’amore che non ci consente di rimanere a lungo quaggiù; e, del resto, san Giovanni della Croce lo dice chiaramente; ha un capitolo meraviglioso in cui descrive la morte delle anime vittime di amore, gli ultimi assalti che esso vibra loro, poi le onde fluenti dell’anima che va a perdersi nell’oceano del divino amore: onde che sembrano già dei mari, tanto sono immense. San Paolo dice che « il nostro Dio è un fuoco consumante » (Ebrei, XII-29). Se noi ci teniamo sempre unite a Lui con uno sguardo di fede semplice e piena d’amore se, come il nostro adorato Maestro, possiamo dire alla sera di ogni giornata: « Poiché amo il Padre, faccio sempre ciò che a Lui piace » (San Giovanni, VIII-29). Egli veramente ci consumerà, e noi andremo a perderci in quella immensa « fornace ardente » d’amore ove potremo bruciare a nostro agio per tutta quanta l’eternità » (97(A C. B. – 1906). – Nel momento in cui tutto muore in lei, si manifesta più fulgido che mai questo primato dell’amore. Riceve il sacerdote che le reca l’Estrema Unzione, esclamando: « 0 Amore!… Amore!… Amore!… ». Prima di volarsene al suo Dio, scrive ad una amica: « L’ora si avvicina, in cui sto per passare da questo mondo al Padre; e, prima di partire, voglio mandarvi una parola del cuore, un testamento dell’anima mia. Il cuore del divino Maestro non fu mai così traboccante d’amore come nell’ora suprema in cui stava per lasciare i suoi; e qualche cosa di analogo mi pare avvenga nella sua piccola sposa in questa sera della sua vita; sento quasi un fiume di tenerezza salire dal mio cuore per effondersi nel vostro cuore… Alla luce dell’eternità, l’anima vede le cose dal vero punto di vista; vede come tutto ciò che non è stato fatto per Dio e con Dio è nulla. Ponete su tutto, vi prego, il sigillo dell’amore: questo solo rimane » (Lettera alla signora De B… – 1906.). E lo stesso consiglio rivolge alle sue consorelle che, riunite attorno a lei morente, recitano le preghiere degli agonizzanti: « Al tramonto della vita, tutto passa; l’amore solo resta. Bisogna fare tutto per amore ». Per suor Elisabetta della Trinità, dunque, tutta la dottrina pratica dell’inabitazione divina si riassume in un continuo scambio di amore: « C’è un Essere che si chiama l’Amore e che vuole farci vivere in società con Lui » (Lettera alla mamma – 20 ottobre 1906.).

7) L’esercizio della presenza di Dio non è riserbato alle sole anime contemplative; la grazia del Battesimo mette la Trinità santa in ciascuna delle nostre anime. « Questa « parte migliore » che sembra essere un privilegio mio nella mia diletta solitudine del Carmelo, è offerta da Dio a ciascuna anima battezzata » (Lettera alla signora De S… – 25 luglio 1902.). Basta aderire a Lui con la fede, la carità, la pratica delle virtù cristiane. Alcuni credono che, per vivere alla presenza di Dio, si debbano tenere gli occhi chiusi e prendere un fare compassato. Niente di più ridicolo. Se è vero che la vita spirituale e, per conseguenza «il regno di Dio che è tutto interiore, non consiste nel cibo e nella bevanda » (Romani, XIV-17), come ci fa notare l’Apostolo san Paolo, tuttavia Egli stesso ci avverte che anche in questo noi possiamo lodare magnificamente il Signore. San Giovanni Bosco faceva le capriole insieme ai suoi ragazzi, e suor Elisabetta della Trinità sapeva, nelle ore di ricreazione, assumere con grazia atteggiamenti vari e scherzosi; eppure, né l’uno né l’altra perdevano, per questo, la presenza di Dio. L’essenziale sta nell’intenzione che bisogna custodire rivolta sempre a Lui, quanto più attualmente è possibile. E proprio qui incomincia la differenza fra i santi e noi. I santi, in tutte le loro azioni, cercano la gloria di Dio « sia che mangino, sia che bevano » (I Corinti, X-31), mentre molte anime cristiane non sanno più trovare Dio neppure nell’orazione, perché complicano tutto, e si immaginano che la vita spirituale sia qualche cosa di inaccessibile, riservata a un piccolissimo numero di anime previlegiate, dette « anime mistiche ». La vera mistica è quella del santo Battesimo, con lo sguardo alla Trinità e col sigillo del Crocifisso, cioè nella via ordinaria della croce quotidiana. Suor Elisabetta sapeva insistere su questo punto con le anime che le erano spiritualmente unite, ma che il Signore tratteneva nel mondo: «Voi vorreste essere tutta sua, quantunque nel mondo; la cosa è semplicissima: Egli è sempre con voi; siate voi pure sempre con Lui. In tutte le vostre azioni, in tutte le vostre pene, quando il corpo è affranto, rimanete sotto la luce del Suo sguardo, Scorgetelo vivente nell’anima vostra » (Lettera alla signora A… – 29 settembre 1902). Nulla può impedirci di aderire a Lui con l’amore, né le gioie né le tristezze della terra, né la salute né la malattia, né le lusinghe o la malizia degli uomini…, nulla; e «nemmeno i nostri peccati » (Ultimo ritiro – 7° giorno), aggiunge suor Elisabetta della Trinità, facendo eco all’espressione ardita di sant’Agostino, nel suo commento all’epistola di san Paolo ai Romani: « Tutto concorre al bene di coloro che vogliono amare Dio »; sì, tutto, « etiam peccata », anche il peccato; perché il perdono che lo assolve glorifica la divina misericordia, e perché la coscienza della propria debolezza che essa dà all’anima, la pone e la mantiene nell’umiltà. Suor Elisabetta non complica le cose. Per vivere di questo grande mistero dell’inabitazione divina essa non dà che un consiglio pratico: « Fare atti di raccoglimento alla Sua presenza ». « Mammina mia, approfitta della tua solitudine per raccoglierti col buon Dio. Mentre il tuo corpo riposa, pensa che è Lui il riposo dell’anima tua; e, come il bimbo è felice tra le braccia della mamma, così tu trova il tuo sollievo nelle braccia di quel Dio che da ogni parte ti avvolge. Noi non possiamo uscire da Lui, ma ahimè, quante volte dimentichiamo la sua santa presenza e lo lasciamo solo, per occuparci di ciò che non è Lui! Ed è invece così semplice questa intimità con Dio; non stanca, anzi riposa, come soave è il riposo del bimbo sotto lo sguardo della mamma. Offrigli tutte le tue pene; e sarà, questa, una maniera tanto bella di unirti a Lui, e una preghiera a Lui tanto cara » (Alla mamma – 30 luglio 1906). « Sai? c’è un’espressione, in san Paolo, che è come il riassunto della mia vita e che potrebbe applicarsi a ciascuno dei miei istanti: « Propter nimiam charitatem » (Efesini, II-4). Sì; tutti questi torrenti di grazia hanno un solo perché: « Perché Egli mi ha troppo amata ». « Oh, mamma, amiamolo, viviamo con Lui come con l’Essere amato da cui non è possibile separarsi! Mi dirai, nevvero?, se fai dei progressi nella via del raccoglimento alla presenza di Dio; perché tu sai ch’io sono la « mammina » dell’anima tua, quindi piena di sollecitudine per essa. Ricorda le parole del Vangelo: « Il regno di Dio è in voi » (San Luca, XVII, 21), ed entra in questo piccolo regno per adorarvi il Sovrano che vi risiede come nella propria reggia » (Lettera alla mamma – Giugno 1906). Per segnare questi atti di raccoglimento, suor Elisabetta le aveva preparato un coroncino e, in una lettera, si informava se la mamma era fedele nell’usarlo: « Dimmi se i piccoli grani degli atti di presenza di Dio scorrono fedelmente ».

8) Due lettere sono particolarmente rivelatrici dei metodi che usava lei stessa e della sua psicologia dinanzi a questo mistero dell’inabitazione divina che fu il tutto della sua vita. La prima è indirizzata ad una giovane amica, natura straordinariamente ricca, ma indole ancora capricciosa ed irrequieta che faceva soffrire chi le viveva accanto. Con tenerezza tutta materna, suor Elisabetta interviene: « Sì, Prego per te e ti porto nell’anima mia, vicina vicina al buon Dio, in questo piccolo santuario così intimo in cui Lo trovo ad ogni ora del giorno e della notte; vedi: io non sono mai sola; il mio Cristo è sempre qui che prega in me, ed io prego con Lui. Mi fai pena, mia piccola cara, perché sento che sei infelice; e lo sei per colpa tua, credimi. Mettiti calma: io non ti credo affatto « nevrastenica », ma snervata e sovreccitata; e quando sei così, fai soffrire anche gli altri. Oh, se potessi insegnarti il segreto della felicità come il Signore l’ha insegnato a me! Tu dici che io non ho né preoccupazioni, né dolori; ed è vero, che sono proprio felice; ma se tu sapessi come si può essere altrettanto felici, anche quando si è contrariati! Bisogna guardare sempre a Dio. Da principio costa molto sforzo, quando si sente ribollire tutto, di dentro; ma poi piano piano, a forza di pazienza e con l’aiuto della grazia, vi si giunge. Provati a edificare, come ho fatto io, una celletta nell’anima tua; e, pensando che lì c’è Dio, éntravi di tanto in tanto; quando ti senti nervosa, triste, rifugiati subito là e confida tutto a Gesù. Se tu lo conoscessi un poco, la preghiera non ti annoierebbe più; essa è un riposo, un sollievo, è un andare con tutta semplicità da Colui che amiamo, è uno starsene vicino a Lui come un bimbo nelle braccia della mamma, e lasciare effondere il proprio cuore. Ricordi?… Ti piaceva tanto sederti vicina a me e confidarmi il tuo cuore. Così devi fare con Lui; se tu sapessi come Egli ti comprende! Oh, se tu lo sapessi, non soffriresti più. Questo, vedi, è il segreto della vita Carmelitana, che è una incessante comunione con Dio. Se Egli non riempisse le nostre celle e i nostri chiostri, come tutto sarebbe vuoto! Ma noi Lo vediamo in ogni cosa, perché Lo portiamo in noi, e la nostra vita è un paradiso anticipato » ((7°) Lettera a F. de S… – 1904). – La seconda lettera è indirizzata alla mamma. Suor Elisabetta non soleva precipitare gli avvenimenti, né forzare le persone; ma sapeva attendere, pur senza negligenza l’ora di Dio. Ci volle il dolore prodotto dalla crisi che aveva fatto temere di perderla, per consentirle di entrare profondamente nell’anima della mamma sua e prenderne possesso. In una conversazione che credevano l’ultima, il cuore della mamma e quello della figlia, a lungo si erano incontrati e compresi fino a quel grado di intimità in cui coloro che si amano sentono che tutto sta per finire. Suor Elisabetta ne approfittò per iniziare la mamma sua che amava tanto al segreto della sua vita interiore; e fu per le loro anime il punto « di partenza di una forma di amicizia nuova, tutta divina, sotto lo sguardo di Dio. Il giorno dopo questo colloquio, le scrisse una lettera che si può considerare un vero, piccolo catechismo della presenza di Dio: « Se alcuno mi ama, custodirà la mia parola, e il Padre mio l’amerà, e noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora » (San Giovanni, XIV-23). « Mammina mia tanto cara, oggi comincio la mia lettera con una dichiarazione. Sai! ti amavo già tanto, ma dopo il nostro ultimo colloquio, il mio affetto per te è cresciuto ancora, immensamente. Era così dolce espandere la propria anima in quella della mamma, e sentirle vibrare all’unisono! Mi pare che il mio amore per te sia, non soltanto quello di una figliola per la più buona e la più cara delle madri, ma anche quello di una mamma per la sua bimba. Io sono la mammina dell’anima tua; e tu me lo concedi, non è vero? Noi siamo in ritiro per prepararci alla festa di Pentecoste; ed io lo sono ancor più delle mie consorelle, qui, nel mio caro piccolo cenacolo, separata da tutte. Chiedo allo Spirito Santo di rivelarti quella presenza di Dio in te, della quale ti ho parlato. Ho esaminato per te dei libri che trattano questo argomento, ma preferisco rivederti, prima di darteli. « Presta pur fede alla mia dottrina, perché essa non è mia ». – « Se leggerai il Vangelo di san Giovanni, vedrai come spesso Gesù insiste su questo comando: « Rimanete in me. ed io in voi » (San Giovanni, XV-4.), e sul pensiero tanto bello che ho scritto al principio di questa mia lettera, nel quale Egli ci promette di « fare in noi la sua dimora ». Nelle sue epistole, san Giovanni ci esorta a vivere « in società con la Trinità Santa » (San Giovanni, I-3). Questa parola è così semplice, e così soave! Basta credere, ci dice san Paolo. « Dio è spirito »  (San Giovanni, IV-24) e noi ci avviciniamo a Lui mediante la fede. Pensa che l’anima tua è « il tempio di Dio » (Corinti, VI-16): è ancora san Paolo che te lo dice. Ad ogni istante del giorno e della notte, le tre Persone divine abitano in te; e, se non possiedi di continuo l’Umanità santissima come allorché ti comunichi, porti sempre però nell’anima tua la Divinità, quell’Essenza ineffabile che i beati adorano in cielo. Quando si sa tutto questo, si stabilisce fra Dio e noi una intimità adorabile; non si è più soli, mai. Se preferisci pensare che Dio è vicinissimo a te, piuttosto che in te, segui pure la tua attrattiva, purché tu viva con Lui. Non dimenticarti di usare il coroncino che ho fatto apposta per te, con tanto amore; e poi, spero che farai quelle tre orazioni di cinque minuti, nel mio piccolo santuario. – Pensa che tu sei con Lui; e comportati come con una persona che ti è molto cara; la cosa è tanto semplice: non c’è bisogno di bei pensieri, basta l’effusione del cuore » (Lettera alla mamma – Giugno 1906.).

9) Ma non si pensa poi, come si dovrebbe, che questa divina presenza recata all’anima cristiana dalla grazia del santo Battesimo è in continuo progresso. Ogni nuovo grado di grazia santificante porta una nuova presenza della Trinità (San Tommaso I, q. 43, a. 6, ad 2). Non già che Dio cambi: ma l’anima, facendosi sempre più divina, entra in comunicazioni sempre più intime con ciascuna Persona della Trinità Santa. Il Padre è più intimamente presente, a misura che la grazia di adozione comunica all’anima una somiglianza maggiore con la natura divina. Il Verbo diviene più presente all’anima, a misura che questa, illuminata dai Suoi doni, non sa più vedere le cose divine ed umane se non in Colui che è la Sapienza increata, la Luce sostanziale, l’eterno Pensiero in cui Dio esprime tutto ciò che Egli vede: la Trinità e l’universo. L’Amore è sempre più presente a misura che l’anima spogliandosi di se stessa e di ogni affetto terreno, non si lascia più guidare che dagli impulsi di questo Spirito il Quale compie in Dio il ciclo della vita trinitaria. La teologia non ha titubanze su questo punto nel suo insegnamento; ed afferma che la presenza della Trinità in un’anima, cresce nella misura delle grazie ricevute, specialmente in certi periodi in cui Dio viene a visitarla con grazie straordinarie: grazie della professione religiosa o del sacerdozio, grazie di purificazioni passive, grazie mistiche che elevano l’anima di grado in grado, fino all’unione trasformante. – Suor Elisabetta della Trinità non insiste su questa dottrina capitale e che regola tutto il progresso della nostra vita spirituale sulla terra; ma alla sua maniera, per un altro sentiero, la ritrova e le dà particolare rilievo. Scrive infatti: « Egli vuole che là dove è Lui, siamo anche noi, non solo durante l’eternità ma fin d’ora, nel tempo, che è l’eternità incominciata e in continuo progresso » (« Il paradiso sulla terra », I-1.).

DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (10)