LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (16)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (16)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO SETTIMO

Suor Elisabetta della Trinità e le anime sacerdotali

« Il sacerdote è un altro Cristo che lavora per la gloria del Padre ».

1) Amicizie sacerdotali — 2) Il sacerdote della Messa — 3) Associata all’apostolato del sacerdote — 4) Il sacerdotE e la direzione delle anime.

Un’anima di contemplativa non si rinchiude negli stretti orizzonti delle mura del suo convento. La sua vita spirituale, slanciata nell’ampia corrente del pensiero della Chiesa, si muove seguendo le direttive e le mire stesse della redenzione. La sua preghiera corredentrice, ad ogni istante, copre l’universo. Così faceva la Vergine del Cenacolo. Mentre i primi Apostoli andavano all’azione ed al martirio, Maria li accompagnava, silenziosa orante, in tutti i loro combattimenti per Cristo. È chi oserebbe pensare che l’onnipotente intercessione della Madre di Dio non riuscisse più efficace, per l’estensione del regno di Cristo, delle stesse fatiche eroiche d’un san Pietro o di un san Paolo? La Chiesa di Gesù, in tutto il fluir dei secoli della sua storia militante non dimenticherà mai di essere uscita dalla preghiera contemplativa del Cenacolo; e la sua ina sulle anime serberà, come base costante, la preghiera dei suoi santi. – La maggior parte delle grandi famiglie religiose hanno fatto proprio, ed hanno attuato questo modo di concepire le cose, e gli Ordini più apostolici sostengono il ministero esteriore dei fratelli con la continua preghiera delle sorelle. San Domenico, prima ancora di fondare il suo Ordine, cominciò con lo stabilire le suore, contemplative ed apostoliche insieme, di Nostra Signora di Prouille, alle quali affidò la missione di sostenere, con la loro vita di preghiera e di sacrificio, le fatiche dei Predicatori. Riguardo a questo punto, suor Elisabetta della Trinità, si trovò, al Carmelo, dinanzi ad una delle tradizioni più care al suo Ordine, e più feconde per il bene spirituale della Chiesa: infatti, l’immolazione silenziosa delle figlie di santa Teresa è, prima di tutto, per i sacerdoti. Ed Elisabetta ebbe sempre una grande venerazione per il sacerdozio. Offrì per essi la sua vita? Non lo sappiamo con certezza; il suo parroco, che fu per molto tempo suo confessore, ne aveva la persuasione (ho avuto questo particolare da Lui direttamente.). Ad ogni modo, se nessun indizio positivo ci permette di affermarlo, abbiamo però numerosi documenti ad attestarci quale e quanta parte dedicò ad essi, nelle sue preghiere di Carmelitana. – Quando un sacerdote le aveva raccomandato il proprio ministero, prendeva molto sul serio la sua promessa di preghiera. « Dopo il nostro ultimo colloquio, sono unita a voi in modo particolare e un’intensa corrente di preghiera porta l’anima mia verso la vostra anima, specialmente durante la recita dell’Ufficio. Vi prometto che ogni giorno l’ora di Terza sarà per voi, per questa grande intenzione: che lo Spirito d’Amore, Colui che suggella e consuma l’Unità della Trinità, vi doni una supereffusione di Se stesso; e, alla luce della fede, vi porti in alto, su quelle vette dove, già irradiati dal sole divino, non si vive che di pace, di amore e di unione » (Lettera al sacerdote Don J… – 11 febbraio 1902) Suor Elisabetta della Trinità non si accosta ad un’anima sacerdotale — anche se della sua famiglia — se non con infinito rispetto: l’uomo scompare dinanzi a Cristo. In parlatorio, mai la minima ombra di sensibilità femminile. « Era un’anima, e basta », ci diceva il giovane sacerdote entrato a far parte della sua famiglia, al quale ella indirizzò il maggior numero di lettere di questo genere: non più di dodici in tutto. « Fin dall’inizio del colloquio, « Dio solo », e non si discendeva più da questa atmosfera tutta divina ». Suor Elisabetta aveva un’idea alta e pura del sacerdozio! Si possono seguire i minimi moti dell’anima sua nella corrispondenza con questo seminarista che essa accompagnava al sacerdozio e che seguirà poi nel suo apostolato. Il primo incontro fu tutto soprannaturale. Lo scriveva a sua sorella: «… Ho avuto un colloquio tutto divino col reverendo Don Ch… Credo che l’anima del sacerdote e quella della Carmelitana si sono fuse ». Un’intimità di anime si iniziava, che continuerà sino alla morte. – «… Prima di entrare nel silenzio rigoroso della Quaresima, voglio rispondere alla vostra buona lettera; la mia anima ha bisogno di dirvi che è in comunione con la vostra, per lasciarvi prendere, rapire, invadere da Colui che ci avvolge nella Sua carità e vuole consumarci nell’Uno, con Lui. Pensavo a voi leggendo queste parole del Padre Vallée sulla contemplazione: « Il contemplativo è un essere che vive sotto l’irradiamento del volto di Cristo; che penetra nel mistero di Dio, seguendo non il raggio luminoso che sale dal pensiero umano, ma la luce che emana dalla parola del Verbo Incarnato ». Non la sentite in voi la passione di ascoltarla, questa divina parola? Talvolta, il bisogno di tacere è così forte, che si vorrebbe non saper più fare altro che rimanere, come Maddalena, ai piedi del Maestro, avidi di ascoltare, di penetrare sempre più addentro in quel mistero di amore che Egli è venuto a rivelarci. Non pare anche a voi che, se l’anima non si discosta mai da questa sorgente, può come Maddalena, nella sua contemplazione, anche allora che, in apparenza, compie l’ufficio l’ufficio di Marta? In questo modo io intendo l’apostolato. sia per la carmelitana che per il sacerdote: l’uno e l’altra possono irradiare Dio, possono darlo alle anime, se non si allontanano dalla sorgente divina. Mi sembra che dovremmo avvicinarci molto al Maestro, metterci in comunione con l’anima Sua, fare nostri tutti i suoi affetti; poi andare, come Lui, nella volontà del Padre » (Lettera al sac. Don Ch. 24 feb. 1903). – Tutte le sue lettere sono animate dallo stesso accento soprannaturale. Nessuna formula di banali complimenti; dalla prima frase, le anime si stabiliscono in Dio, e non ne ridiscendono più: « Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Egli li amò sino alla fine » S. Giov. XIII, 1). Mi pare che nulla, meglio della Eucaristia,  ci possa dire l’amore di Dio. L’Eucaristia è l’unione, la consumazione, è Lui in noi e noi in Lui; è dunque il cielo sulla terra? Il cielo nella fede, in attesa della visione, del « faccia a faccia », tanto sospirato.  « Saremo saziati quando ci apparirà la Sua gloria, quando Lo vedremo nella Sua luce » (Ps. XVI, 15). Che dolce riposo per l’anima, non è vero? Il pensiero di questo incontro con Colui che unicamente amiamo! Tutto il resto scompare, e ci sembra di entrare già nel mistero di Dio… È talmente « nostro » tutto questo mistero, come voi mi dite nella vostra lettera. – Pregate perché io viva pienamente la mia prerogativa di sposa. Pregate, perché sia sempre pronta a tutto, con la lampada della fede sempre viva, affinché il Maestro possa disporre di me come vorrà. Io bramo di restarmene continuamente vicina a Colui che sa tutto il mistero, per imparare tutto da Lui. «Il linguaggio del Verbo è infusione del dono ». È proprio vero; Egli parla all’anima nel silenzio. Oh, questo. caro silenzio!… per me, è la beatitudine. Dall’Ascensione alla Pentecoste, siamo state in ritiro nel Cenacolo, nell’attesa dello Spirito Santo; ed era così bello! Durante tutta questa ottava, abbiamo la esposizione del santissimo Sacramento, nella nostra cappella, e passiamo ore divine in questo piccolo angolo di paradiso, dove possediamo la visione sostanziale sotto le umili specie dell’Ostia. Si, Colui che i beati contemplano nella chiara visione, è il medesimo che noi adoriamo nella fede. Vi trascrivo un pensiero tanto bello che mi è stato inviato: «La fede è il « facie ad faciem » (1 Cor. XIII, 12) nelle tenebre. Perché non sarebbe così anche per noi, dal momento che portiamo in noi Iddio, e che Egli altro non chiede che di possederci, come ha posseduto i santi? Ma i santi erano vigilanti sempre; « Essi tacciono — come dice il Padre Vallée — vivono raccolti, e non hanno altra attività che di rendersi sempre più capaci di ricevere ». Uniamoci, per essere la gioia di « Colui che ci ha troppo amati » (Ephes. II, 4), come dice san Paolo; facciamogli nell’anima nostra una dimora in cui tutto sia in pace, in cui risuoni sempre il cantico dell’amore, del ringraziamento. E poi, silenzio!… il grande silenzio, eco di quello che è in Dio… Avviciniamoci, come mi dite, alla Vergine tutta pura, tutta luminosa, affinché ci introduca in Colui nel quale Ella penetrò così profondamente. Sia, la nostra vita, una comunione continua, un movimento semplicissimo verso il Signore. Pregate per me la Regina del Carmelo, ché io pure prego molto per voi, e vi assicuro che rimango a voi unita, nell’adorazione e nell’amore » (a Don. Ch. – 14 giu.1903). Nessuna traccia di sentimentalità o di esagerazione queste righe di una purezza che non ha più nulla della terra. – L’ora del diaconato si avvicina per il seminarista; in nome del Carmelo di Digione, suor Elisabetta gli assicura che non sarà dimenticato: « Misericordias Domini in æternum cantabo (Ps, LXXXIII, 2). La nostra reverenda Madre, non potendo scrivere lei stessa questa sera, mi incarica di venire a voi, affinché possiate ricevere una parola dal Carmelo, che vi dica quanto vi siamo unite in questo grande giorno. Quanto a me, io mi raccolgo e mi ritiro fino in fondo all’anima mia, dove abita lo Spirito Santo; e chiedo a questo Spirito d’Amore « che scruta, anche le profondità di Dio » (1 Cor. II, 10) di donarsi sovrabbondantemente e di irradiare l’anima vostra sotto la Sua grande luce, riceva « l’Unzione del Santo » di cui parla il discepolo dell’amore. Con voi, io canto l’inno del ringraziamento; ma con voi pure io taccio per adorare il mistero che vi avvolge. Il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, la Trinità tutta si china su di Voi, per far risplendere la « gloria della sua grazia » (A Don Ch… in occasione del suo diaconato – Aprile 1905). – San Paolo, nella sua epistola ai Romani, dice che « quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo » (Rom. VIII, 29). Mi sembra che parli proprio di voi. Non siete voi, infatti, questo predestinato che Dio ha eletto perché sia suo sacerdote? Penso che, nella sua attività di amore, il Padre si china sull’anima vostra e la lavora con il suo tocco delicato, perché la somiglianza con l’ideale divino sia sempre più perfetta, fino al giorno in cui la Chiesa vi dirà: «Tu es sacerdos in æternum » (Ps. CIX, 4). Allora, tutto in voi sarà per così dire una copia di Gesù Cristo, il Pontefice supremo; e voi potrete incessantemente riprodurlo dinanzi al Padre suo e dinanzi alle anime. Quale grandezza! La virtù « sovraeminente » di Dio fluisce nel vostro essere per trasformarlo e divinizzarlo. È opera sublime che richiede grande raccoglimento, grande amorosa applicazione & Dio » (Lettera a Don Ch… – Primavera del 1905. Prima della Sacra Ordinazione). – Giunta alfine l’ora dell’Ordinazione sacerdotale, l’anima di suor Elisabetta, impotente ad esprimere ì suoi sentimenti per l’imminenza del grande mistero, non trova rifugio che in una più intensa preghiera: « Avevo chiesto alla nostra reverenda Madre il permesso di scrivervi, per dirvi che l’anima mia è tutta con la vostra anima in questi ultimi giorni che precedono la sacra ordinazione; ma ecco che, avvicinandomi a voi, dinanzi al grande mistero che si prepara, non so più fare altro che tacere… e adorare l’eccesso d’amore del nostro Dio. Insieme alla Vergine, voi potete cantare il vostro « Magnificat », e trasalire in Dio, nostro Salvatore, perché l’Onnipotente ha compiuto in voi grandi cose e la Sua misericordia è eterna. Poi. come Maria, conservate tutto ciò nel vostro cuore, mettetelo vicino al Suo, perché questa vergine sacerdotale è anche « Madre della divina grazia » e, nel suo grande amore, vuole prepararvi a divenire « quel sacerdote fedele, secondo il Cuore di Dio », di cui parla la sacra Scrittura. Come questo « sacerdote del Dio altissimo, che non ha né padre, né madre, né genealogia, né principio di giorni, né termine di vita » (Heb. VII, 3), immagine del Figlio di Dio, così voi pure, mediante la sacra unzione, divenite quell’essere che non appartiene più alla terra, quel mediatore fra Dio e le anime, chiamato a far risplendere « la gloria della Sua Grazia », con la partecipazione alla sovraeminente sua virtù ». Gesù, il Sacerdote eterno, diceva al Padre, entrando nel mondo: « Eccomi per fare la tua volontà » (Hebr. X,9). Mi pare che questa debba essere anche la preghiera vostra, nell’ora solenne in cui vi inoltrate nel sacerdozio; e mi è caro ripeterla con voi. Venerdì, all’altare, quando fra le vostre mani consacrate verrà ad incarnarsi nell’umile ostia, per la prima volta, Gesù, il Santo di Dio, non dimenticate colei che Egli ha condotta sul Carmelo perché sia la lode della Sua gloria. Chiedetegli di seppellirla nella profondità del Suo mistero e di consumarla nelle fiamme del Suo amore. Poi, offritela al Padre insieme al divino Agnello. A Dio! se sapeste quanto prego per voi! La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con voi » (2 Cor. XIII, 3). – Suor Elisabetta amava il sacerdote soprattutto all’altare, nel momento in cui il Verbo Incarnato si immola fra le sue mani, per la Chiesa. Sentiva, per il profondo intuito del mistero di Cristo scolpito nella sua anima dal Battesimo, che in quell’ora specialmente il sacerdote compie nel mondo il suo grande ufficio di mediatore. Essa non baciava, come santa Caterina da Siena, le orme dei passi del sacerdote che le aveva dato il Cristo nella santa Comunione; ma supplicava, con un’insistenza che commuove, di essere ricordata durante il santo Sacrificio dai sacerdoti che la conoscevano; supplicava che immergessero l’anima sua « nel sangue dell’Agnello ». « Lo so che ogni giorno, durante la santa Messa, voi pregate per me. Mettetemi nel calice, affinché l’anima mia sia tutta impregnata del sangue del mio Cristo; ho sete di questo sangue, che mi renda tutta pura, tutta trasparente, in modo che la Trinità possa riflettersi in me come in un cristallo » (Lett. al Can. … – Agos. 1902). Ancora la medesima preghiera, quando entrava nei suoi ritiri particolari: « Parto, questa sera, per un grande viaggio. Per dieci giorni, solitudine assoluta, molte ore di orazione supplementare, velo abbassato quando devo circolare nel monastero. La mia vita sarà più che mai quella di un eremita nel deserto. Ma, prima di internarmi nella mia Tebaide, ho proprio bisogno di venire ad implorare il soccorso delle vostre preghiere, soprattutto una larga intenzione durante il santo Sacrificio. Nel momento in cui Gesù, il solo Santo, sì incarna nell’ostia che voi consacrate, vogliate, vi prego, consacrarmi con Lui come ostia di lode alla sua gloria, affinché tutti i movimenti, tutti gli atti miei siano un omaggio reso alla sua santità. « Siate santi, perché io sono santo » (Lev. XI, 44). Sotto questa parola mi raccolgo; camminerò, durante il mio viaggio divino, ai raggi di questa luce. San Paolo me la commenta, quando dice: « Dio ci ha eletti in Lui prima della creazione, affinché siamo immacolati e santi al suo cospetto, nell’amore » (Ephes. I, 4). Ecco, dunque, il segreto di una tale purezza verginale: rimanere nell’amore, cioè in Dio. « Dio è amore » (1 S. Giov. IV, 16). Durante questi dieci giorni, pregate dunque molto per me; ci faccio grande assegnamento. Anzi, vi dirò che mi pare una cosa semplicissima e naturale; il Signore non ha unito infatti le nostre anime affinché si aiutino a vicenda? e non ha Egli detto: « Il fratello aiutato dal fratello è come una città unita »? (Prov. XVIII, 19). Ecco, dunque, la missione che vi confido. E vi chiedo di voler ripetere per me la preghiera che saliva a Dio dal grande cuore di Paolo per i suoi cari figli di Efeso: « Vi conceda, il Padre, secondo la ricchezza della Sua gloria, di essere corroborati in virtù, mediante il suo Spirito, nell’anima vostra, così che Cristo prenda dimora nei vostri cuori per mezzo della fede; e voi, radicati e fondati in amore, possiate comprendere l’altezza e la profondità di questo mistero, e possiate conoscere l’amore di Cristo, che sorpassa ogni scienza, così che siate riempiti secondo la pienezza di Dio (Ephes. III, 14-19). Santifichiamo Cristo nei nostri cuori, affine di realizzare ciò che cantava Davide, sotto la mozione dello Spirito Santo: « Su di lui fiorirà, splendida, la mia santità » (Ps. CXXXI, 18 – A Don Ch…8 ott. 1905). E quando, nell’ultima fase della sua vita, suor Elisabetta ha trovato nella sacra Scrittura il suo nome nuovo, si rivolge ancora al sacerdote della Messa: « Aiutatemi, vi prego, ne ho tanto bisogno! quanto più cresce la luce, tanto più sento la mia impotenza. L’8 dicembre, durante la Messa solenne, fatemi il dono di offrirmi all’Amore onnipotente, perché io sia veramente « Laudem gloriæ ». L’ho trovato in san Paolo, ed ho compreso che questa è la mia vocazione fin dall’esilio, in attesa del Sanctus eterno » (A Don Ch… Dic. 1905).

3) C’è, nello svolgersi del mistero della Messa, un duplice gesto del celebrante, gesto che rivela molto bene la missione del sacerdozio e contiene tutto il senso della sua mediazione ascendente e discendente: l’elevazione dell’Ostia santa verso la Trinità alla Consacrazione, e la distribuzione del Pane di vita ai fedeli, al momento della Comunione. Offrire Cristo alla Trinità, donare Cristo al mondo: ecco la duplice missione del sacerdote sulla terra. Missione divina; per compierla degnamente, ci vorrebbe l’anima di Cristo, ed ecco perché la Chiesa tutta quanta, ma particolarmente le vergini contemplative sono impegnate alla conquista di tali anime; ed innumerevoli sono le vite che si immolano silenziosamente a questo scopo; sono le vite più pure, le più crocifisse che passano nei chiostri. Suor Elisabetta della Trinità. intuiva profondamente i bisogni spirituali del sacerdozio, e sentiva quanto è necessario pregare, perché i ministri di Dio siano santi. È chiaro che non bisogna chiedere ad una Carmelitana tutta una teologia del sacerdozio; suor Elisabetta non si addentra in una analisi particolareggiata delle virtù sacerdotali: pietà, castità, distacco dalle ricchezze, scienza, obbedienza, zelo per la salvezza delle anime e per la gloria di Dio; non è questo il suo compito, né sarebbe consono al suo temperamento spirituale. Fedele al suo metodo prende le virtù alla sorgente da cui scaturiscono: l’unione con Dio. Secondo un processo psicologico normale, per trasposizione, il suo sogno tutto personale di vita interiore viene proiettato nell’anima del sacerdote, ed una formula di sublime concisione ne definisce l’ideale santo: il sacerdote è « un altro Cristo che lavora per la gloria del Padre ». Quanto avrebbe compreso ed amato la parola così bella di Pio XI che nella sua Enciclica magistrale sul sacerdozio, dice: « il sacerdote viva come un altro Cristo. Vivat ut alter Christus » (Ad catholici sacerdotii – 20 dicembre 1935). Inoltre, secondo la sua grazia particolare, con atto delicatissimo e totale nascondimento di sé, senza neppure sfiorare il tono cattedratico, ma lasciando che con tutta semplicità l’anima sua di Carmelitana si effonda in una anima di sacerdote, suor Elisabetta sa ammonire che la vita interiore è il segreto di ogni apostolato, e che, senza vita interiore, anche il sacerdote, pur sollevando forse molto rumore, fa poco, pochissimo bene; quando non faccia invece del male, e un male irreparabile. Conosceva bene il testo del suo Padre spirituale, san Giovanni della Croce, nel Cantico: « Il minimo atto di amore puro ha più valore agli occhi di Dio ed è più benefico per la Chiesa e per l’anima stessa, che non tutte le altre opere unite insieme » (Cantico spirituale, str. XXIX). Tanto è vero che la più piccola scintilla di puro amore ha, per la Chiesa, la massima importanza. Essere apostolo significa comunicare Gesù Cristo al mondo; ma non si può donarlo che nella misura in cui lo si possiede. E lui stesso, il Maestro, ci ha insegnato le vere leggi dell’apostolato, nell’ultimo discorso ai discepoli, vigilia della sua morte. « Io sono la vite e voi i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porterà abbondanti frutti. Come il tralcio non può portare frutto da se medesimo, se non rimane unito alla vite, così neppure voi, se non rimanete in me. Senza di me, non potete far nulla. Ma se rimarrete in me (e nella misura in cui mi resterete uniti), porterete frutto, molto frutto. Tutto ciò che vorrete, chiedetelo e lo otterrete. Il Padre mio sarà glorificato, se produrrete frutti copiosi. Come il Padre ha amato me, così ho amati. Perseverate nel mio amore » (S. Giov. XV, 1). Questo discorso di Gesù dopo l’ultima cena è il codice dell’apostolato cristiano. – Seguendo il suo Maestro, suor Elisabetta della Trinità, cultrice squisita della vita interiore, non avrebbe potuto tacere questa particolare e assoluta necessità di intima unione con Gesù, per il sacerdote che vuole a sua volta comunicare Cristo alle anime. Nel pensiero di suor Elisabetta, l’apostolo è innanzi tutto un essere di preghiera e di immolazione silenziosa, ad imitazione del Crocifisso che ha salvato il mondo non con l’azione smagliante o con il fascino dei bei discorsi, ma col dolore e la morte. Ed essa, associando il suo apostolato all’azione del sacerdote, vuole restare nella linea di questa immolazione redentrice e nella imitazione di questa morte. Eccola, quindi, tutta intenta a « dare compimento nella sua carne a ciò che manca alle sofferenze di Gesù per il suo Corpo che è la Chiesa » ed a colmare così quelle misteriose lacune della passione di Cristo, lasciate da Dio perché possiamo apportare noi stessi la nostra goccia di sangue all’opera grandiosa della redenzione del mondo. « Chiediamogli di renderci coerenti nel nostro amore, cioè di fare di noi degli esseri di sacrificio; mi sembra che il sacrificio non sia che l’attuazione dell’amore:.« Mi ha amato e si è dato per me ». Mi piace tanto questo pensiero: «La vita del sacerdote — e della Carmelitana — è un Avvento che prepara l’Incarnazione delle anime ». Davide canta in un salmo: « Il fuoco dinanzi a Lui precede » (Ps. XCVI, 3). Il fuoco non è forse l’amore? E la nostra missione non è quella di preparare le vie del Signore mediante l’unione nostra a Colui che l’Apostolo chiama « un fuoco consumante »? (Hebr. XII, 29). Al suo contatto, l’anima nostra diventerà fiamma di amore diffusa per tutte le membra del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; e consoleremo allora il Cuore del nostro Maestro che potrà dire, mostrandoci al Padre: « In essi, io sono già glorificato » (S. Giov. XVII, 10). L’anima apostolica di suor Elisabetta ha penetrato il senso profondo del dogma della Comunione dei santi, che associa ogni membro al bene spirituale della Chiesa tutta quanta. Cosciente di questa verità, essa, nel giudicare la parte sua personale di contemplativa nell’insieme del corpo mistico, sapeva elevarsi senza falsa umiltà a quell’altissima luce dell’unità che unisce tutti i membri della Chiesa militante e trionfante al « Cristo totale » in cammino verso la Trinità. La sua grande anima di contemplativa, lontana da vedute meschine e da piccole sensibilità, si muoveva a suo agio nei più ampi orizzonti del piano divino. « Non lo sentite anche voi che per le anime non esistono distanze, né separazioni, ma la realizzazione della preghiera del Cristo: « Padre, che essi siano consumati nella unità »? Mi pare che le anime pellegrine sulla terra e i beati nella luce della visione siano così vicini gli uni agli altri! poiché sono tutti in comunione con uno stesso Dio, con un medesimo Padre che si dona agli uni nella fede e nel mistero, e che sazia gli altri nella sua luce divina. Ma è il medesimo, sempre; e lo portiamo dentro di noi. Egli sta chino sulle anime nostre con tutto il suo amore, sempre, giorno e notte, bramando di comunicarci, di infonderci la sua vita divina per trasformarci in esseri deificati che lo irradino ovunque. Quale potenza esercita sulle anime l’apostolo che non si distacca mai dalla sorgente delle acque vive! Lasci pure che l’onda trabocchi e si sparga all’intorno; non c’è pericolo che la sua anima venga a trovarsi vuota, perché è in comunicazione con l’infinito. Io prego tanto per voi! prego che Dio invada tutte le potenze dell’anima vostra, che vi faccia partecipare a tutto il mistero, che tutto in voi sia divino e porti il suo suggello affinché siate un altro Cristo che lavora per la Sua gloria. – Voi, pure, nevvero, pregate me? Anch’io voglio lavorare tanto per la gloria di Dio; ma bisogna che sia tutta piena di Lui; sarò onnipotente allora, perché anche un solo sguardo, un desiderio, diverranno una preghiera irresistibile, che può tutto ottenere dato che, per così dire,  si offre Dio a Dio. Le nostre anime non siano che una sola, in Lui. Mentre voi lo porterete alle anime, io resterò come Maddalena, silenziosa e adorante, vicino al Maestro , chiedendogli di render fecondi nei cuori la vostra parola. Apostolo, Carmelitana, è tutt’uno. Doniamoci interamente a Lui, lasciamoci pervadere dalla Sua linfa divina; sia la vita della nostra vita, l’anima della nostra anima, e rimaniamo, vigili sempre, coscienti sempre, sotto la sua azione divina » (Lett. a Don B… 22 giugno senza data dell’anno). Tutto è equilibrato in questa dottrina dell’apostolato del sacerdote nella Chiesa, associato a quello della Carmelitana.  Mentre il sacerdote porta il Cristo nelle anime con la parola, coi Sacramenti e con le altre svariate forme del suo ministero, la Carmelitana se ne sta silenziosa come Maddalena ai piedi di Cristo, o meglio come la Vergine corredentrice ai piedi della Croce, immedesimata nell’intimo con tutte le vibrazioni dell’anima del Crocifisso e morendo con Lui per gli stessi fini di redenzione.

4) Il posto che occupa il Sacerdote nella vita cristiana è veramente della massima autorità ed importanza. Associato a Dio nella cura delle anime, egli è costituito, secondo la parola di san Paolo « collaboratore di Dio » (1Cor. III, 9). E suor Elisabetta della Trinità scriveva: «Voi siete il dispensatore dei doni di Dio; e l’Onnipotente, la cui immensità compenetra l’universo, sembra aver bisogno di voi per donarsi alle anime » (al Sac. Don B….). Verità, questa, a cui si riflette troppo poco. Il mondo riceve il Cristo dalle mani del Sacerdote. Al bimbo appena nato alla vita, egli dà, col Battesimo, un’altra vita: quella di Cristo; e in essa lo fa crescere, lo fortifica col sacramento della confermazione; lo nutre di Dio ogni mattina con le sue stesse mani; caduto, lo risolleva e lo risuscita alla vita divina; quando giunge poi l’ora in cui, divenuto uomo, sceglie e fissa la propria vita, è ancora il Sacerdote che viene a portare Cristo nel nuovo focolare; e finalmente, giunta la sera della vita, quando tutto è ormai compiuto, un gesto supremo di benedizione discende sul vegliardo che muore: « Parti, anima cristiana, ritorna a Cristo del tuo Battesimo », e il Sacerdote gli apre le porte del cielo. Dalla culla alla tomba, il sacerdote gli è vicino, sempre. Ma questa influenza del Sacerdote che accompagna l’uomo lungo tutta la sua esistenza, non si limita agli individui; si estende anche alle nazioni. Soltanto il Sacerdote ha ricevuto da Cristo la missione di « istruire tutti i popoli fino alle estremità della terra» (S. Matt. XXVIIIU, 19); ed egli, con la dottrina e col ministero della parola, rende docili le intelligenze al « giogo soave di Cristo ». Se si considerano le verità insegnate dal Sacerdote — osserva il Sommo Pontefice Pio XI nella sua enciclica Ad catholici sacerdotii » (20 dic. 1935) — se si vuol misurarne l’intima forza, si comprende facilmente a qual punto la di lui influenza sia benefica per l’elevazione morale e la tranquillità dei popoli. È il Sacerdote — e spesso soltanto lui — che ammonisce i grandi e i piccoli, ricordando loro la brevità fulminea di questa vita, la fugacità dei beni terreni, i veri valori spirituali ed eterni, la tremenda verità dei giudizi di Dio, l’incorruttibile santità di quello sguardo divino che scruta i cuori e dà a ciascuno secondo le opere sue. Veramente, il Sacerdote è il mediatore posto fra Dio e gli uomini per far discendere sopra di essi i beni che da Lui derivano, ed a Lui fare ascendere la preghiera che placa il Signore adirato ». Che dire poi dell’influenza esercitata dal Sacerdote sulle anime che, nella Chiesa, vivono una vita più intensamente spirituale? Queste soprattutto hanno bisogno di una guida sapiente per non smarrirsi nel « sentiero stretto » e fiancheggiato da precipizi, che conduce all’unione divina. San Giovanni della Croce ha pagine severe e avvertimenti gravi per i direttori spirituali insufficienti che mancano di scienza e di virtù. È dono sì raro e di così immenso valore, un saggio direttore! e san Francesco di Sales ammoniva di « cercarlo fra mille ». Santa Teresa, che ebbe un poco da soffrire a questo riguardo, serbò sempre un ricordo pieno di riconoscenza per quei Sacerdoti pii e dotti nei quali il Signore le aveva misericordiosamente fatto trovare un appoggio di cui non avrebbe potuto fare a meno, nelle ore difficili dell’anima sua e delle sue fondazioni; anzi, poiché, in tali circostanze, aveva ricevuto benefizi singolari dai grandi teologi dell’Ordine di san Domenico, la santa amava chiamarsi « domenicana di cuore ». Questo gusto della sana dottrina e della sapiente direzione è rimasto tradizionale, al Carmelo; e su questo punto, come su tutti gli altri, suor Elisabetta si mostrò vera figlia di santa Teresa. Bambina e giovinetta, andava regolarmente a confessarsi dal suo parroco che era insieme il suo direttore; ma lo trovava fin « troppo buono », e pensò di chiedere a un padre Gesuita una direzione più ferma. Scriveva nel suo diario, il 6 febbraio 1899: « Venerdì, sabato, domenica, avremo l’esposizione del santissimo Sacramento nella nostra parrocchia; e il mio antico confessore verrà a predicare l’adorazione perpetua. Sarò felice di rivederlo, di parlargli della mia vocazione; quante volte ho rimpianto la sua direzione ferma e severa! Il signor curato è tanto buono, anzi troppo buono; mi guida troppo dolcemente, non sa essere severo, mai. L’altro giorno ho parlato alla mamma del mio desiderio di lasciarlo e di andare invece dal Padre Chesnay, il predicatore degli esercizi spirituali, che sarei tanto contenta di poter avere come direttore; ma la mamma non ne è stata soddisfatta e d’ora innanzi non ne parlerò più. – Venerdì 10 febbraio: Sono andata a confessarmi, oggi, e sono rimasta veramente contenta; ho parlato al mio direttore del ritiro, gli ho confidato le mie risoluzioni e tutte le grazie di cui Dio mi ha colmato in questi giorni; ed egli mi ha consigliato di accusarmi, in ogni confessione, delle mancanze a questi miei propositi, assicurandomi che, in tal modo, farò un grande progresso ». A Digione, seguiva volentieri le conferenze spirituali i ritiri tenuti dai Padri Gesuiti e talvolta li consultava per il bene dell’anima sua, fedele poi a metterne in pratica i consigli. E quanto ammirava ed apprezzava la dottrina del Padre Vallée « così profondo, così luminoso! » (alla Signora A… – 29 settembre 1902.). La influenza di questo religioso eminente è manifesta in qualcuno dei caratteri più essenziali della fisonomia spirituale di suor Elisabetta: per esempio: tacere, credere all’amore, vivere nel profondo dell’anima in società con Colui che è presente e vuole, ad ogni istante, purificarci e salvarci. Tre mesi prima di morire, essa chiedeva ancora al Padre di darle i suoi consigli, e lo pregava a volerle tracciare un programma pratico di conformità al Crocifisso, idea gominante degli ultimi suoi giorni: «… Credo che l’anno venturo vi festeggerò con san Domenico nell’eredità dei santi, nella luce; ma, per quest’anno, mi raccolgo ancora nel cielo dell’anima mia per prepararvi una festa tutta intima; ed ho bisogno di dirvelo; ho bisogno anche, Padre mio, di chiedervi la vostra preghiera perché mi aiuti ad essere molto fedele, molto vigilante, e a salire il mio Calvario da vera sposa del Crocifisso: « Quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi alla immagine del suo Figlio divino ». Questa parola del grande san Paolo riposa l’anima, ed io l’amo tanto. Penso che « nel suo eccessivo amore », Egli mi ha conosciuta, chiamata, giustificata; ed ora, nell’attesa di essere da Lui glorificata, voglio essere la lode incessante della sua gloria. Padre, chiedeteglielo per la vostra figliolina. Ricordate? proprio come oggi, cinque anni or sono, bussavo alla porta del Carmelo, e voi eravate lì presente, per benedire i miei primi passi nella santa solitudine. Ora, busso alle porte dell’eternità, e vi chiedo di volervi chinare ancora una volta sull’anima mia per benedirla sulla soglia della « casa del Padre ». Quando sarò inabissata nel fuoco immenso dell’Amore, in seno ai « Tre » verso i quali avete orientata l’anima mia, oh! non dimenticherò tutto quello che siete stato per me; e a mia volta, vorrei poter dare tanto al Padre da cui tanto ho ricevuto. Posso esprimervi un desiderio? Sarei felice di ricevere da ,voi due righe che mi indicassero come realizzare il piano divino: essere conforme all’immagine del Crocifisso. A Dio, mio reverendo Padre! Vi prego di benedirmi in nome dei « Tre » e di consacrarmi ad Essi come una piccola ostia di lode ». Non si vedeva suor Elisabetta, come tante anime inquiete, correre da un direttore all’altro; con semplicità e docilità, si accontentava dei confessori che la Provvidenza le inviava al Carmelo; tuttavia, in una necessità, non esitava a ricorrere ad un ministero straordinario. Così la vigilia della professione, l’anima sua smarrita e sgomenta non poté ritrovare la pienezza della pace che con la parola autorevole di un religioso prudente e sapiente, venuto apposta per lei. Per tutta la vita, serbò un affetto filiale e riconoscente al buon Canonico, amico di famiglia, che aveva ricevuto le sue prime confidenze. « Se la santa Regola del Carmelo — gli scriveva — impone silenzio alla mia penna, però la mia anima e il mio cuore non rinunciano, ve l’assicuro, a venire da voi; e valicano spesso la clausura; ma sono certa che il Signore me le perdona queste fughe, perché sono compiute con Lui e in Lui. Pregate tanto per la vostra piccola Carmelitana, perché sia più fedele, più amante, in questo nuovo anno; vorrei consolare davvero il mio Maestro, restando unita a Lui, sempre. Voglio farvi una confidenza tutta intima, dirvi che sogno di essere « la lode della Sua gloria ». L’ho letto in san Paolo; e il mio Sposo divino mi ha fatto sentire che questa è la mia vocazione fin dall’esilio, nell’attesa di cantare il Sanctus eterno nella città dei beati; ma questa vocazione di « lode di gloria » suppone una grande fedeltà: bisogna morire a tutto ciò che non è Lui, per non vibrare più che al suo tocco divino. E invece la povera Elisabetta fa ancora dei torti al suo Signore; ma, come un tenero Padre, Egli la perdona sempre, la purifica sempre col suo divino sguardo; ed essa, come san Paolo, cerca di dimenticare ciò che lascia indietro. Per slanciarsi sempre innanzi. Come si sente bisogno di santificarsi, di dimenticarsi, per essere interamente dedicata agl’interessi della Chiesa! Povera Francia! Io invoco per lei misericordia e la copro col sangue del Giusto, di Colui che è vivo sempre per intercedere in nostro favore (Hebr. VII, 25). E sento che la missione della Carmelitana è sublime: la Carmelitana deve essere mediatrice insieme a Gesù Cristo, deve essere per Lui quasi un prolungamento di umanità in cui Egli possa continuare la sua vita di riparazione, di sacrificio, di lode e di adorazione. Chiedetegli che io possa essere all’altezza della mia vocazione, e non abusi mai delle grazie innumerevoli che Egli mi prodiga; perché se sapeste come un tale pensiero mi fa paura qualche volta! Ma allora mi rifugio in Colui che san Giovanni chiama «il Fedele, il Verace » e lo supplico di essere Lui stesso la mia fedeltà… – La domenica dell’Epifania si compie il terzo anniversario delle mie nozze con l’Agnello; durante il santo Sacrificio, consacrando l’Ostia in cui Gesù si incarna, vi prego, consacrate anche la vostra figliolina all’Amore onnipotente perché Egli la trasformi in Lode di gloria» (Al Can… – Genn. 1906). Ecco come la Carmelitana, fedele alla volontà del Maestro e alla sapienza della Chiesa, si rivolgeva al Sacerdote per chiedergli di aiutarla nelle diverse fasi della sua vita spirituale, e di condurla fino all’unione divina. È tutto il senso del Sacerdozio: con la parola, con la preghiera e con i Sacramenti, con la Messa soprattutto, « formare Cristo » nel mondo delle anime e « per Lui, con Lui, in Lui », consumarle « nell’unità » con Dio. Ma poi — cosa che suor Elisabetta della Trinità non supponeva neppure — essa traeva seco in un’atmosfera divina le anime sacerdotali che ebbero la fortuna di avvicinarla e che, tutte indistintamente, serbarono di lei il ricordo di una ben alta santità (Testimonianza ricevuta. Il suo confessore ha per lei un vero culto.). Caso non raro, nell’esercizio del sacro ministero: per un ammirabile compenso della Sapienza divina, il Sacerdote che si china sulle anime è santificato da esse. Chi ha molta esperienza, lo sa: se il Sacerdote è messo da Dio presso le anime per dirigerle e salvarle, vi sono pure, nel piano della Provvidenza, delle anime poste vicine al Sacerdote per rivelargli o per ricordargli il cammino delle eccelse vette. Il Padre Maestro Bafiez, celebre professore dell’università di Salamanca e fido appoggio di santa Teresa, era debitore alla grande riformatrice di alcuni fra i lumi più sublimi che fecero di lui un sì alto teologo contemplativo. E san Gioanni della Croce aggiungeva al suo « Cantico » una strofa stupenda sulla divina bellezza, dopo aver ricevuto le confidenze spirituali di una Carmelitana di Beas. Ma chi potrebbe dire le innumerevoli iniziative soprannaturali, nella vita della Chiesa attraverso i secoli, e le ere di apostolato che trovarono in questo stesso modo la loro ispirazione? Quante anime sacerdotali hanno attinto dagli scritti di suor Elisabetta della Trinità quello sguardo definitivo verso le alte cime, che tutto trasforma e rinnova! Per la umile Carmelitana di Digione è una sua maniera delicata e riconoscente di rendere al sacerdozio un po’ di tutto quello che ne ha ricevuto. Lassù, dal cielo, essa continua la sua missione di Carmelitana associata all’apostolato del Sacerdote per affrettare «il giorno di Cristo » (Eph. I, 10) in cui « Dio tutto in tutti » (1 Cor. XV, 28), per la « lode della sua gloria » (Eph.,, I, 12).