LA GRAZIA E LA GLORIA (7)

LA GRAZIA E LA GLORIA (7)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

I.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

TOMO PRIMO

LIBRO II

LA NATURA DELLA NOSTRA FILIAZIONE ADOTTIVA. – IL PRINCIPIO COSTITUTIVO CREATO, VALE A DIRE LA GRAZIA SANTIFICANTE CON LE VIRTÙ ED I DONI.

CAPITOLO PRIMO

L’esistenza e la necessità di una grazia creata per costituire l’adozione. – Dottrina della Sacra Scrittura e dei Padri.

.1 – S. Dionigi l’Areopagita, nella sua opera immortale La Gerarchia Ecclesiastica, insegna che la deificazione degli uomini e degli Angeli consiste essenzialmente « nell’unione e nella somiglianza dell’uomo con Dio » (S. Dionigi Aerop., De Eccl. Hier. c. 1, § 3). In poche parole, si tratta di assegnare i principi costitutivi dell’adozione che ci rende figli di Dio per grazia. Nei libri seguenti dovremo occuparci di questa ineffabile unione che ci lega così intimamente a tutta la Trinità. La somiglianza impressa nelle nostre anime, come Principio interiore dell’essere divino, che ci è data dalla rigenerazione spirituale, sarà l’argomento del presente libro. Io la chiamo grazia creata, secondo la formula universalmente accettata nelle nostre scuole. La grazia: sia perché è un dono di pura liberalità divina, sia perché ci rende gradevoli a Dio, come figli diletti del suo cuore. Grazia creata: perché è una perfezione finita, distinta non solo dall’anima ma anche da Dio che la produce. – Cominciamo a dimostrare la sua esistenza, poi vedremo qual sia la sua intima natura e di quali altri doni sia la fonte. – La questione, quindi, non è il sapere se dobbiamo ammettere delle grazie attuali, tocchi passeggeri di Dio sull’anima, lampi improvvisi che la illuminano, eccitazioni che la sollevano o la inclinano verso le cose di Dio; perché non è questo che ci rende figli. La fede ci mostra queste grazie come aiuti transitori dati all’anima, o perché essa tenda allo stato di giustizia che non ha ancora, o perché operi in modo conforme con quello stato e si conservi in esso. Ci chiediamo in questo momento se Dio mette nelle anime di coloro che Egli accetta come suoi figli, una realtà fisica, positiva e permanente; ciò che abbiamo convenuto di chiamare grazia abituale, grazia santificante, gratia gratum faciens, grazia per eccellenza, grazia (tra i teologi medievali, il termine gratia è comunemente inteso come grazia abituale e santificante, gratia gratum faciens, come si dice. Per designare le grazie attuali si usano le parole adjutorium divinum, adjutorium Dei moventis, illuminantis et inspirantis, auxilium speciale, o altri equivalenti. Questo è ciò che si deve notare, se non si vuole andare fuori strada nell’interpretazione dei loro testi. Non devo ricordare qui tutti i sistemi più o meno erronei o sconsiderati che sono sorti nel corso dei secoli cristiani su questa questione, tanto meno confutarli nel dettaglio, come si farebbe in un trattato di teologia scolastica. Il cardinale Bellarmino nelle sue dotte Controversie (Bell., De Justif., l. II, c. 1), dopo aver enumerato i molteplici e spesso contraddittori errori del protestantesimo sul dogma della Giustificazione, o, il che equivale alla stessa cosa, della nostra adozione divina, ha fatto questa osservazione molto giudiziosa: « Tutto lo stato della controversia può essere ridotto a questa domanda molto semplice: c’è veramente in noi una causa formale della giustificazione che sia come un principio intrinseco dell’anima, e la renda pura e santa davanti a Dio? (Nel seguito avremo occasione di spiegare più pienamente il significato di queste parole « forma e causa formale ». Notiamo solo che significano ciò che in un essere è il principio intrinseco della sua perfezione; ciò che determina l’elemento materiale: ciò che consente a questo essere di essere ciò che è. – Per esempio, è attraverso l’anima e non attraverso il corpo che siamo esseri viventi, intelligenti e liberi; è l’anima che determina la materia, che potrebbe entrare in mille altri composti, nel diventare un corpo umano; è infine l’anima che, come principale parte costituente dell’uomo, causa la sua specifica perfezione. Essa è dunque una causa formale e forma, ma forma sostanziale, perché ciò che costituisce è una sostanza. Per esempio, è attraverso la figura dovuta allo scalpello dell’artista che un blocco di marmo, che potrebbe rimanere senza forma nella cava o essere, per usare un’espressione del nostro grande fabulista, « dio, tavola o ciotola », la statua di questo o di quell’eroe. La figura è la forma della statua, poiché essa determina il marmo, e lo rende la rappresentazione voluta dallo scultore). Se la risposta è affermativa, come effettivamente deve essere, allora tutta l’impalcatura incoerente dei sistemi ideati dagli eretici si sgretola e cade. Perché se il caso formale della nostra giustificazione è una giustizia inerente all’anima, non è dunque la stessa giustizia di Dio che abita in noi (come ha sostenuto Osiandro); non è la giustizia di Dio che ci sarebbe imputata (secondo Illirico e molti altri); non è solo la remissione dei peccati senza alcun rinnovamento interiore (come piaceva a Calvino, per esempio). E se la giustizia intrinseca è la causa formale della giustificazione, allora non è necessario ricorrere all’imputazione della giustizia di Cristo per completare una giustificazione altrimenti imperfetta, né tanto meno alla fede, che sarebbe come la mano con cui faremmo nostra la giustizia di Dio. Infatti, tutti questi errori e altri più o meno simili, concordano nel negare la giustizia intrinseca, nel rifiutare un rinnovamento interiore che ha per principio e causa un dono creato che ha per soggetto l’anima, e la trasforma ad immagine di Dio  (Bellar. De Justif., l II, c. 2). – Questo, dunque, è il nostro compito al momento presente: mostrare contro gli eretici che questa grazia che ci rende figli adottivi e giusti e santi davanti a Dio, sia una realtà creata, una forma intrinseca e non esterna di rinnovamento spirituale. Per dimostrare anche, contro certe idee particolari di alcuni autori cattolici, che questa stessa forma di rinnovamento spirituale è realmente distinta dall’anima e dalle sue operazioni; che è permanente nella sua natura; che non è altro in sé che un titolo della presenza dello Spirito Santo, un diritto morale alla sua assistenza, e non so quale tendenza che, senza aggiungere nulla di fisico alla natura, la spingerebbe tuttavia a produrre teorie più o meno fondate sulla filosofia nominalista o cartesiana, la cui colpa era non solo di allontanarsi dalla dottrina comune e tradizionale, ma anche di aprire la strada ad opinioni assolutamente contrarie alla verità cattolica.

2. – Una volta stabilite queste nozioni preliminari, entriamo ulteriormente nel nostro argomento. Ora, se vogliamo riferirci alle autorità della Sacra Scrittura e dei Padri, che abbiamo citato nello svolgersi del primo libro, sarà sorprendente che l’esistenza della grazia creata, come l’abbiamo appena descritta, possa essere ancora un argomento di discussione. Se siamo figli adottivi di Dio, graditi a Lui non in qualunque modo, ma nati, generati da Lui, come può questa adozione non mettere nulla di positivo e di stabile in noi? C’è generazione senza una certa comunione di natura tra il padre e il figlio che genera? E quale sarà questa comunione di natura, se non c’è alcuna trasfusione finita della sostanza infinita di Dio nella sostanza dei suoi nuovi figli? – Se siamo immagini di Dio, non deve Egli riversare in noi una forma, una proprietà che, applicandosi in qualche modo alla nostra essenza umana, la modelli e la trasfiguri nella rappresentazione dell’archetipo divino? – L’immagine naturale avrebbe come fondamento la natura con tutte le sue facoltà, e l’immagine della grazia poggerebbe su un vuoto, o almeno su un fondamento senza fermezza o consistenza? C’è da credere a questo? – È anche credibile che ci sia un rinnovamento interiore così profondo che il suo termine sia una nuova creatura, e il suo principio una specie di creazione, senza che l’uomo, così rinnovato, così ricreato, acquisisca nella sua sostanza una realtà positiva che con la sua permanenza e la sua perfezione risponda alla grandezza del nuovo essere? Perché parlarci di trasformazione divina, di trasfigurazione, di metamorfosi e rifacimento, di un seme di Dio depositato nelle anime, in una parola, di deificazione, se né l’occhio degli Angeli, né l’occhio di Dio stesso, vedono nel giustificato altre perfezioni immanenti e durature che non siano quelle della natura?  – Come possiamo infine concepire questa vita dei figli di Dio, così magnificamente superiore a tutta la vita naturale, se non siamo disposti a riconoscere il principio vitale da cui scaturiscono connaturalmente le operazioni che si addicono ai figli adottivi di Dio?  Ci avrebbe Dio ingannato con le sue promesse, essendo come noi, poveri uomini, magnifico nelle parole e parsimonioso negli effetti. Lungi da noi sminuirlo a nostra misura! Quello che dice, Egli lo fa; o meglio, fa più e meglio di quello che dice, perché il nostro linguaggio in cui ci parla è impotente a trasmettere la grandezza, la magnificenza e la realtà dei suoi doni.

3. – Queste considerazioni sono decisive, e non vedo cosa potrebbe essere addotto per attenuarne la forza. Tuttavia, poiché si è tentato più di una volta di sostenere sull’autorità dei Padri certe opinioni che le combattono, non sarà inutile rimettere in discussione questi testimoni della tradizione divina e questi interpreti dei nostri Libri sacri. Tra tutte le formule impiegate nelle loro opere per caratterizzare l’elemento formale e creato della nostra filiazione, sceglierò prima di tutto le immagini e i paragoni con cui ci rappresentano l’azione di Dio sulle anime giustificate. –  È l’azione del pittore sulla tela. « Dio – dice S. Ambrogio (Hexæm. L. VI, c. 7 e 8, n. 42, 47) – parla dell’anima fatta a sua immagine quando dice: Io, Gerusalemme, ho dipinto le tue mura (Is. XLIX). L’anima dipinta da Dio è l’anima adornata con la grazia della virtù e lo splendore della pietà. Oh, come è meravigliosamente dipinta quest’anima in cui brilla lo splendore della gloria e l’immagine della sostanza del Padre! Perché è per questa pittura che l’anima è così preziosa… O uomo, tu sei stato dipinto; dipinto, ti dico, dal Signore tuo Dio. Che artista eccellente e che pittore ammirevole è il tuo! Attenzione a non distruggere un dipinto così divino, fatto non di menzogne, ma di verità, non di colori deperibili, ma da una grazia immortale » (Il santo, dopo alcuni ottimi consigli che trae da questa idea per i Cristiani in generale e per i poveri ed i ricchi in particolare, si rivolge alle donne del mondo: « O donna, tu distruggi questo quadro quando, per farti più rosa o più bianca, ti metti sul viso dei colori che alterano. Questa pittura è la pittura del vizio e non della bellezza; la pittura della frode e non della semplicità… Vi prego, non andate a sostituire la pittura di Dio con quella di una creatura contaminata… Che disgrazia e che crimine, se si costringe Dio a dire un giorno: non riconosco la mia immagine, né i miei colori, non trovo il volto che ho formato. Lungi da me ciò che non è mio! Vai, cerca colui che ti ha dipinto; goditi la sua società, le sue grazie… ». – Ibid. n. 47). È, dopo l’azione del pittore, quella dello scultore sul marmo, o dello statuario sul bronzo. « Né la creatura è così miserabile, né Dio così debole, da non poter dare alle creature una santa parte della sua infinita bellezza. Perciò, fin dall’inizio, si è degnato di fare l’uomo a sua immagine e somiglianza. Ora, come sappiamo, l’immagine partecipa dei tratti distintivi della copia da cui l’artista la esprime, una volta che il pensiero e la mano dell’artista l’hanno riprodotta sulla tela o nel marmo. Vedete un pittore, o uno scultore, un uomo che vuole fare una statua d’oro o di bronzo, come guarda il modello per formarsene interiormente l’immagine di cui rivestirà la materia. Se gli uomini non possono modellare la materia a somiglianza dei loro modelli senza renderla partecipe della loro idea, come potrebbe la creatura ricevere in sé la somiglianza divina senza partecipare essa stessa al carattere divino? (S. Basilio, c. Eunom, L. V. P. Gr., vol. 29, p. 724) Così parla S. Basilio; e S. Cirillo di Alessandria dice a sua volta: « Lo Spirito di Dio, trasformante in un certo modo le anime umane in se stesso, le impregna di una somiglianza divina, e scolpisce in esse l’effigie della sostanza, regina e vertice di ogni sostanza » (S. Cirillo Alex, L. XI in Joan, XVII, 20, P. Gr.; t. 94, p. 553). – Questa è l’azione del sigillo sulla cera. Ascoltiamo ancora San Cirillo: « Se per questo stesso fatto che siamo marchiati dallo Spirito Santo come con un sigillo misterioso, siamo riformati a somiglianza di Dio, come può essere una creatura colui la cui impronta riproduce in noi l’immagine dell’essenza divina e i tratti della natura increata? …. Il vero Dio, procedendo da Dio, si imprime invisibilmente sulle anime che lo ricevono, come un sigillo sulla cera; e così comunicando la sua somiglianza alla nostra natura, ripercorre in essa la bellezza dell’archetipo divino, e restaura nell’uomo l’immagine di Dio. Come può allora, ancora una volta, essere una creatura, colui del quale la natura umana è rifatta a immagine del suo Creatore e diventa partecipe di Dio? (S. Cyrillus Alex, Thesaur Ass. 34, p. 79, 609). Ecco ancora l’azione del coniatore sulla moneta. « La moneta d’oro per entrare nella tesoreria reale deve portare l’effigie del re. Così l’anima che non mostra incisa nella sua sostanza l’immagine dello Spirito celeste, cioè Cristo stesso, quest’anima non è degna di essere ammessa nei tesori eterni » (S. Macar., Agypt. Bibliot. M. PP. hom. 30, p. 145). – Infine, ecco l’azione del sole sui corpi che esso illumina: « Lo Spirito del Signore ha riempito tutto l’universo… Con la sua luce inonda interiormente colui che ne è degno. Se il sole brilla su una nuvola leggera, brilla d’oro e di luminosità. Così lo Spirito di Dio, quando entra in un’anima, diffonde in essa vita, immortalità e santità » (S. Basilio, adv. Eunom., L. V. P. Gr. T. 29, p.767). – Non so se sia possibile esprimere più chiaramente la realtà creata che dobbiamo dimostrare in questo capitolo. Per coloro che hanno ancora qualche dubbio, ecco alcune dichiarazioni che sono ancora, se possibile, più esplicite. Le prendo in prestito da tre dei nostri Dottori più famosi. Il primo è di San Cirillo di Alessandria: « Come è necessario che ciò che è nato dalla carne sia carne, così è necessario che ciò che è nato dallo Spirito sia spirito (Gv. III, 6): perché dove l’essenza è diversa, il modo di generazione non può essere identico. Ma, sia chiaro, se chiamiamo lo spirito dell’uomo un frutto dello Spirito, non intendiamo con questo che esso abbia ricevuto la propria natura, il che sarebbe il massimo dell’assurdo. Egli è frutto dello Spirito, perché è lo Spirito che lo ha chiamato dal nulla all’essere; lo è anche e soprattutto perché è lo Spirito che lo rifà a immagine di Dio, quando imprime i suoi tratti nelle nostre anime e le trasforma, per così dire, nella sua stessa qualità » (S. Cyrill. Alex, L. II in Joan, III, P. Gr., vol. 73, p. 245). E ancora: « Cristo è formato in noi in virtù di una forma divina che lo Spirito Santo infonde in noi attraverso la santificazione e la giustizia » (S. Cyrill. Alex, L IV, orat. 2, in. Is., c. XLIV, 21-22, P. Gr., t. 70, p. 936). – Sant’Agostino ci darà la seconda affermazione: io la trovo nell’opposizione che egli mette tra la nostra giustizia e quella di Dio che ci giustifica, quando parla della sapienza che, secondo l’Ecclesiastico, « è stata creata per prima, prima di tutte le cose » (Eccl. I, 4): « Non – egli dice – quella sapienza di cui voi siete il Padre, o Dio, uguale e coeterno a Voi medesimo, da cui tutte le cose sono state create, principio in cui avete fatto il cielo e la terra; ma quell’altra sapienza, una creatura, una sostanza intelligente, leggera per la contemplazione della tua luce: infatti, per quanto sia una creatura, essa porta anche il nome di sapienza. Ma c’è una grande differenza tra la luce illuminante e la luce illuminata; tra la sapienza creatrice e la sapienza creata; tra la giustizia giustificante e la giustizia portata dalla giustificazione » (S. Ago., Confess., L. XII, c.15). Il Santo Dottore ritorna allo stesso pensiero nelle sue controversie con i pelagiani. « O uomo! Considera queste parole dell’Apostolo: La giustizia di Dio è stata manifestata dalla testimonianza della legge e dei profeti (Rom. III, 21). È questo sufficiente per i sordi? La giustizia di Dio, dice, è stata manifestata. Non dice la giustizia dell’uomo, la giustizia della propria volontà, ma la giustizia di Dio; non la giustizia per cui Dio è giusto, ma quella di cui riveste l’uomo peccatore quando lo giustifica. – L’Apostolo aggiunge: La giustizia di Dio attraverso la fede di Gesù Cristo, cioè attraverso la fede che ci fa credere in Cristo. Questa fede di Cristo di cui l’Apostolo parla qui non è una fede per cui Cristo stesso crede; così questa giustizia di Dio non è la giustizia per cui Dio è giusto, ma è chiamata la giustizia di Dio, la giustizia di Cristo, perché è dalla sua liberalità che noi l’abbiamo » (S. August., de Spirit. et litt., c. 9, n. 15; col. cont. ep. 2 Pelag.). – E come ha distinto la giustizia, così distingue l’amore basato sulla giustizia: « La carità che, secondo l’Apostolo (Rom. V, 5), è riversata nei nostri cuori, non è la carità con cui ci ama, ma la carità con cui ci rende amanti (dilectores) della sua bontà; come la giustizia di Dio è la giustizia che, per mezzo della sua grazia, ci rende giusti in noi stessi,… e la fede di Cristo, la fede che ci rende fedeli » (S. Agostino, de Trinit., L. V, c. 17). Questa è una dottrina bella e chiara, a cui fa eco San Bernardo quando scrive: « La carità è detta e di Dio e del dono di Dio: perché la carità dà la carità; la carità sostanziale, la carità accidentale. Quando è detto del donatore, è un nome di sostanza; quando è detto del dono stesso, è un nome di qualità. Dicitur charitas et Deus et Dei donum: caritas enim dat caritatem substantiva accidentalem. Ubi danten significat, nomen est substantiæ; ubi donum, qualitatis » (S. Bernard., ep. 11, ad Guidon., priorem Maj. Cartusiæ n. 4. Nota anche questo testo di S. Agost. « Ille in quo omnes vivificabuntur, præterquam quod se ad Justitiam exemplum omnibus præbet, dat etiam sui spiritus occultissimam fidelibus gratiam, quam latenter infundit et parvulis. » L. I, de Peccat. merit. et remiss., c. 9), – Come terzo testimone, dovrei citare Dionigi l’Areopagita, ma poiché l’ho già citato nelle pagine precedenti, diamo la parola a San Gregorio di Nissa. Ecco come fa parlare la sposa, cioè la figura dell’anima giusta, nelle sue omelie sul Cantico: « La sposa, esortando le adolescenti a vestirsi di vera bellezza, offre loro la propria bellezza come modello. Così, il grande Paolo dirà più tardi: “Siate imitatori di me come io lo sono di Gesù Cristo” (Fil. III, 7). Non vuole che le anime che sono alla sua scuola, spaventate dalla loro antica vita, disperino di diventare belle a loro volta. Imparate, dice loro, imparate dal mio esempio che il presente può coprire il passato, se non porta nulla che sia degno di biasimo. Per quanto possa brillare la bellezza che l’amore della giustizia ha diffuso su di me come una forma divina, so che in origine non avevo eleganza né fascino, informe e nero com’ero. Ed ora vedete quello che io sono. Questo esterno di tenebra ha lasciato il posto alla forma di una bellezza senza macchia » (S. Greg. Nyssen. hom. 2 in Cant. P. Gr., vol. 44, p. 790). Non avevo, quindi, il diritto di affermare, all’inizio di questo capitolo, che non ci sia niente di più certo per le Scritture e per i Padri che l’esistenza di una grazia creata, principio e base di ogni adozione divina?

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