LO SCUDO DELLA FEDE (214)

LO SCUDO DELLA FEDE (214)

MEDITAZIONI AI POPOLI (II)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. e libr. Sales. 1883

MEDITAZIONE II.

Il tempo della vita non è che un’ora da prepararci all’eternità

Il tempo!… Signori, che cosa è mai il tempo? Il tempo non è che una successione di movimenti; e come i movimenti vanno a finire nella quiete, così il tempo della nostra vita va a terminare nell’immobile eternità. Tutto che ci vediamo intorno, non ci presenta che movimenti che passano, cui la scienza con umiltà ancora discreta chiama fenomeni, apparizioni di un istante. Le stagioni, che si succedono con rapida vece, i fiori che brillano alla mattina e sono appassiti e morti la sera, il dì che muore, le generazioni agitate come onde, che corrono a morir sulla spiaggia, i regni, che passano via rumoreggiando, i fratelli che di mezzo a noi scompaiono alla quieta, tutto ci avvisa che, coi momenti che e’ incalzano incessanti in questa trepida vita, noi trascorriamo veloci a gettarci indistintamente nell’abisso dell’eternità, in una brev’ora. Dio misericordioso a segnare i minuti di questa ora del viver nostro ci mise un orologio nel petto, il cuore che batte qui dentro. Fratelli, mettiamoci la mano sul petto: sentite come senza posa qui batte? Rapidi, rapidi si succedono i palpiti: contateli in fretta: i palpiti sono tanti passi, che ci precipitano nella terribile eternità, in cui ci troviamo nella morte. Ora, in questa instabile fugacità, che noi chiamiamo la vita, non sta tutto il nostro interesse nel dimandare a noi medesimi: come ci prepariamo alla morte? — Alla morte ?!… Ma avete mai pensato profondamente che cosa sia la morte?… La morte, o Signori, è l’istante tremendo, in cui ci troveremo o beati, o disperati per sempre, ciascuno nell’eternità, che ci abbiam preparato. Oh Dio !… oh Dio! Lasciamo le baie, lasciamo gli scherzi di questo mondo, che dura un’ora, e prepariamoci all’eternità. Abbiamo già meditato come una sola cosa importi poi finalmente, cioè mettere |l’anima nostra in salvo per sempre. Ora meditiamo che, qui essendo noi in viaggio pel paradiso, il tempo della vita ci è dato per arrivarvi; sicché il tempo della vita non è che un’ora da prepararci all’eternità e che tradiremmo noi stessi abusando del tempo per andarci a perdere eternamente …….. Ma ahi che intanto in questo momento stesso noi corriamo velocemente a salvarci o a perderci alla morte! Io correndo via con voi vi abbraccio in fuga affannata, e vi grido col cuore in fremito sul vostro cuore: su, su fratelli, che nessuno di noi si vada a perdere. Eh che mi parrebbe di perder una porzione del mio cuore! – O buon Salvatore Gesù, il quale vi date caro compagno del nostro peregrinaggio nel Sacramento qui in questo mondo nel tempo, per condurci nell’eternità del paradiso, tirateci sul vostro Cuore, e mettete sul mio labbro di terra accenti pieni di eternità, per disingannarci del tempo. E voi, o Madre Santissima, che ci volete portar salvi in cielo, teneteci tra le vostre braccia a meditare il nulla del mondo; sopra di cui corriamo via in questo lampo del tempo e fateci vedere innanzi il tradimento orribile, che ci facciamo col perdere le ore che ci sono date per assicurarci la beatitudine eterna. Poiché la vita è un viaggio, e il tempo della vita non è che un’ora per arrivare alla eternità in paradiso. – Senza la luce della fede quali orride tenebre circonderebbero la nostra esistenza! L’uomo sì troverebbe qui, e senza sapere donde viene, scorrerebbe via sopra la terra, e sparirebbe per sempre, gettandosi in un abisso che tutt’ingoia, la morte. Come un augellino, che in negra notte gelata scosso all’improvviso, vola dentro una sala brillante di luce in tepore di primavera, l’attraversa, rivola fuori nel tenebrore… ed ahi! il gufo l’artiglia; mette uno strido e muore straziato: così noi, gettati dal negro nulla nel mondo, attraverseremmo con rapido volo il piacevole soggiorno della vita per gettarci atterriti in gola alla morte… Ma, viva Dio! La Religione ci accoglie bambini in grembo, ci fa conoscere come siamo creati da Dio, e come il nostro destino è pel paradiso ad essere sempre con Dio beati: ché qui siamo in viaggio per la patria nel regno del Padre nostro che è nei cieli. Ella ci ripete continuo alla mente ed al cuore: al paradiso, al paradiso!… Ci tira innanzi per mano, perché dobbiamo affrettarci, e non perdere quest’ora della vita, per poter giungere a salvamento: poiché il tempo della vita non è che un’ora da prepararci all’eternità. Siamo dunque in cammino qui: Gesù Cristo, che ci vuol salvare, ci avvisa di tenerci appresso a Lui, affinché non cadiamo nell’abisso delle tenebre, che fiancheggiano la nostra via. S. Paolo poi ci grida di correre, a fine di poter arrivare alla meta in buon tempo. Festinantes… sic currite, ut comprehendatis. Intendetelo bene, dice s. Gregorio Nazianzeno, la vita umana è un cammino dall’ingresso nel mondo fino al termine, che è la tomba. La gioventù è un momento di effervescenza, la bellezza un lampo dal color dell’iride, la vecchiaia un tristo tramonto, gli onori una nebbia, la rinomanza nostra una traccia segnata sull’acqua, gli affari un ingombro tra via, la patria qui un paese straniero che attraversiamo. Noi dormiamo, e la nostra vita voga, come nave sull’onda del tempo. Tutto ci sfugge d’intorno. Gettiamo uno sguardo sull’erba, sopra il ruscello; ma li abbiamo già oltrepassati. Se cogli un fiore, ti appassisce fra le dita; se stacchi un frutto si corrompe in mano; le creature che abbracciamo, ci straziano il cuore pel distaccarsi dal nostro amplesso. Tutte le cose non sono che un po’ di vapore, che va in dileguo in passando. Entrate per fermarvi nelle case, che dite vostre: ieri erano d’altri, e dimani saran d’altri ancora. Uscite fuori: alla porta vi trovate scavata la tomba, e la tomba è la porta dell’eternità. Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus. No no, non ci fermiamoqui: siamo in viaggio, bisogna affrettarci, per arrivare a buon termine in paradiso. Ma, oh Dio! allafine della nostra corsa si trova pure spalancato l’inferno. -Ora ditemi: a quale dei due termini voi indirizzateil cammino vostro? fermate il pensiero un istante.Se un uomo avesse la casa sua sulla vetta di unmonte, e cominciasse alla mattina a voltarle le spalle,e tutto il dì camminando scendesse per rapido pendioverso del precipizio, egli finirebbe certo col precipitarvidentro. E se voi camminate sempre più sviatidal sentiero che vi conduce al cielo, e vi slanciateverso all’inferno, pretenderete di trovarvi in paradiso,senza aver fatto un passo verso di esso? Eppurenoi persino sull’orlo della perdizione facciam posata, scherziamo tranquilli nel mondo, quasi qui fossela nostra dimora per sempre, mentre il mondo scorreanch’esso all’eternità. Il mondo è come una diquelle isolette natanti, che sul maggior fiume d’Americasi van formando aderenti alla riva, e nonsono che terriccio scosceso, un po’ di fogliuzze e di spume coperte di erbette, quasi prato, che galleggiasopra quelle acque. Gli animali minuti, agnelli e lepri, e fino le volpi astute si gettano sopra il praticello fluttuante, come fosse sodo terreno.Quando ad un’onda di piena si stacca l’isola dalla sponda,e sui larghi gorghi voga giù verso del mare. Glianimaletti veggono le rive fuggire d’intorno, e inquel variare di vedute protendono il collo ad aspettaresempre rive novelle: corvettano vivaci, e dormontranquilli. Quando l’onda del fiume rompe contro l’ondata del mare, e tuona frangendosi nel furentemaroso. A quel fragore spaventati gli animali alzanla testa: ah! il suolo manca sotto dei piedi; mettonouno strido, e sono ingoiati dal mare! Così noisu questa instabile terra strascinati giù dal torrentedel tempo nell’abisso dell’eternità, folleggiamospensierati, raccogliamo un po’ di polvere che noichiamiamo ricchezze, che da una soffiata di ventosono dissipate: facciamo di edificare qui la nostra fortuna, qui stabilirci in bella posizione sicura in mezzo alla società, ed assicurarci nel mondo uno stato per sempre. -Ma quale inganno è mai questo sempre! Prima di fissare qui la nostra dimora era da provare, se fosse sodo il terreno. Anche il navigante, per fermarsi solo un poco nel mare sopra viaggio, innanzi di gettar l’àncora, scandaglia ed assaggia il fondo delle acque per assicurarsi se l’Ancora arraffi, e tenga fermo. Noi no: sopra questa mobile arena, sopra questa labile terra, in questi giorni, che volano veloci, fin quando già sul pendio. precipita la nostra età, noi vogliamo fermarci qui ostinati: e godiamo che passi rapido il tempo, quasi si facesse per noi guadagno nel perdere miseramente la vita. Per ingannarci più scioccamente noi guardiamo innanzi con impazienza, aspettando sempre cose novelle. È primavera: tutto ci ride d’intorno; ma noi siamo già nell’estate: e raccogliamo i frutti e le biade. Ecco già ci sorprende la fredda stagione: siamo nell’inverno a godere la ricolta; ma noi sospiriamo l’anno novello; e così sperando sempre un avvenire migliore, affrettiamo il tempo senza misura, e corriamo alla morte. Intanto, quando appunto dormiamo assopiti nei godimenti per poco, oh ci desta uno scroscio!… È il tempo che piomba a seppellirci nell’eternità; e noi, mettendo un gemito nell’agonia, siamo sepolti nel tremendo sempre! Dunque non ci fermiamo qui; siamo in viaggio verso alla patria eterna, il paradiso. E qui pensiamo che la vita non è che un’ora di tempo, per poter giungere al paradiso. Affrettiamoci, affrettiamoci: festinemus, a prepararci un po’ di ben di Dio e dell’anima per la casa dell’eternità, in cui ci troveremo giunti a momenti; affinché non ci sorprenda la notte sopra viaggio alla sprovveduta, vogliamo dire, che non c’incolga la morte, senza essere preparati all’eternità. Per vostro grande avviso ascoltate. Un povero uomo un di, lasciato andare fuor di carcere, si slaneia con ardore sopra via, per ritornare alla sua casa; ma ai primi passi si vede in mezzo a lieti prati. Era l’ora quando gli augelletti salutano col canto il dì che nasce con quel bel sole d’oriente: e parevano i fiori gli sorridessero in volto; e sopra essi le farfalle vedevansi agitanti le ali dorate, che parevano augelletti di paradiso; ond’egli giù di via, per andare a sollazzo. Intanto è già alto il di; ed in quello splendore di giornata vede le piante, che gli stendono i rami carichi di porporine frutta, e gli fanno gola: ed egli via pei campi a raccoglierne tutto affannato. Ma il sole già poggia in alto a meriggio, e vibra alla terra i raggi cocenti che abbrucian la vita al viandante. — A quest’ora mettermi in viaggio? (par che si dica, e con gran senno! il buon uomo) è un solleone che cuoce! — Trova più comodo sedersi a meriggiare sott’un albero; e là si consola la vita delle frutte raccolte. Ma il sole aspetta nessuno, e già verge a ponente; e il buon uomo ancor un poco temporeggia ..; e con una rosta in mano da sé caccia via gl’insetti. Il sole intanto cala dietro dei monti, sì stendono lunghe le ombre, si fa oscura la valle, e sopraggiunge la sera. Il buon uomo sorpreso a quell’ora fa di raccogliere in fretta le robe e s’avvia: ma cade giù fitta la notte, e in negra selva egli va barcollando a tentone… Ahi gl’irrompono i ladri alla vita, lo colpiscono nel petto, muore di mala morte miseramente fuori di casa! Ci fa spavento la sua disgrazia?… Signori, deh che non siamo poi noi di quello più disgraziati! Anche a noi nel mattino della gioventù tutto ride d’intorno. In un avvenire fantastico noi ci vediamo prolungarsi il sentiero della vita come tutto infiorato di rose: ci danzano dinanzi creature belle di un po di polvere di vago colore; e tanti di noi giù di via, e vanno lontano a folleggiare con esse. Ma la gioventù è in dileguo, e passa via la vita. Viene tosto l’età virile. Noi ci formiamo la famiglia: allora, crescendo i bisogni, ci assediano molti e svariati interessi, ci allettano sempre maggiori guadagni: e noi, affannarci, macerarci per far conquisti di terra. Ma passa via la vita! Se giunge qualcheduno ad afferrare qualche posto, se mise insieme qualche ricchezza, egli si siede tranquillo, e vi dico io, che sa godere lautamente. Circondarsi di amici, ogni dì un convito, le occupazioni ordinarie i giuochi, il far nulla in buon tempone; poi del resto mai non negarsi una soddisfazione, e farsi lecito tutto che piace. Ma anche in mezzo ai piaceri passa via la vita!… Ben voi vi accorgete a vostro dispetto che appariscono bianchi i capelli fin sotto dei fiori che si fingono freschi, e si fa rugoso il volto sotto una gioventù posticcia. Anche l’uom d’importanza, non ostante la sua alterezza, piega il dorso verso alla terra, la vecchiaia lo spinge al sepolcro. Ma passa via la vita! anzi no: al par di un sogno è già tutta passata via! E noi qui poi quanto cammino abbiamo fatto verso il cielo? tristi a noi! forse non un sol passo… Seppure… Ma oh! rinunziamo dunque al paradiso? Mai no: vi vogliamo tutti giungere, ma alla lontana, mentre ci è appresso la morte. E non vi avvedete che noi le corriamo incontro più veloci, dice Giobbe, d’ogni corriere, che ha l’ora fissata? In questo istante stesso in cui vi parlo, dico con s. Girolamo, io fuggo via da voi, e voi fuggite con me! e noi ci guardiamo solo passando, ripete s. Agostino. Ma deh fermiamoci un momento almeno a guardare l’ora!… No, no, che non possiamo fermarci: vediamo però anche correndo, che l’ora sì fa tarda, che già cala il giorno del vivere nostro, che siamo presto al tramonto, che tutto si ecclissa, tutto sparisce. Ohimé! già ci travolge il tenebroso della tremenda notte…. L’eternità ci si spalanca dinanzi. Poveri noi che sentiamo già l’afa di quell’abisso, già ci vacilla il capo, si oscurano gli occhi… ancora un passo, e veniamo travolti nel vortice interminabile dei secoli eterni, in cui noi restiamo beati o infelici per sempre: e ci siamo a momenti! … Noi intanto sull’orlo dell’eternità stiamo tranquilli e fermi, come se dovessimo restare sempre in vita. Di qui vediamo: a destra e da sinistra caderci morti sui piedi a mille a mille i nostri fratelli: li osserviamo senza paura, sappiamo farne il calcolo: ad ogni battuta di polso muore uno… centododici mila in ciascun giorno..; quarantun milione ogni anno ci cadono morti tutti d’intorno! (È un fatto constatato dalle statistiche, che sopra 1000 persone ne muoiono ogni anno 30 in media, Ora la popolazione attuale del pianeta secondo i più accurati geografi è di 1370 milioni. Dunque nel mondo intiero muoiono in media 41 milioni e 100 mila persone all’anno; quindi 112602 al giorno, 4685 all’ora; e 4 ogni 3 secondi. – Il medesimo risultamento si ottiene partendo dal principio generalmente ammesso, che la vita media dell’uomo è di anni 33; onde può dirsi che l’intiera popolazione del pianeta in questo periodo si rinnova. È poi da pensare su questo che Gesù Salvatore morì appunto compiuto il trentesimoterzo anno di sua vita umana. Oh!….) – Eppure tra questo fitto tempestare di colpi, in mezzo ai gemiti, tra tanto orrore di morte, in mezzo ai cadaveri dei nostri cari, se tarda un istante ancora il colpo di morte per noi, facciamo come il soldato che nell’ebbrezza del combattimento si vede cadere ai fianchi i compagni. Spensierato si getta sul morto vicino, con cui divise ieri i piaceri, e lo fruga per pigliargli d’addosso quel po’ di danaro; e quando alza la faccia con un sogghigno che dice: questo è mio da godere; una palla lo colpisce nel petto, e lo fredda cadavere sul cadavere che ha spogliato. Non altrimenti noi, mentre siamo tutti nei nostri interessi, quando cadono morti i nostri congiunti, senza orrore dell’altrui disgrazia e della nostra, che ci coglierà a momenti, ci gettiamo a fare lo spoglio dell’eredità, pensando. che ce la godremo per sempre…. Ahi ci colpisce la morte …! Guardiamo là: pare che il conoscente testé sepolto lasci fuori dal sepolcro una mano per dirci con un terribile cenno: qui appresso a me è già scavata la tua tomba, e la tomba ci getta nell’eternità forse dannati per sempre!… Dio della misericordia! dateci un po’ di tempo ancora per salvarci! E noi, fratelli, portiamo sempre fitto nel cuore il più utile di tutti gli avvisi che Gesù ci diede di sua bocca: Quid prodest homini si universum mundum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? che giova mai alla fine dei conti perdere il tempo nel guadagnare anche tutto il mondo, se poi andiamo dannati alla morte? Mentreché il tempo non è che un’ora da prepararci alla eternità! Ma il mondo, in cetere, sinfonie, giuochi, dice il Profeta Isaia, e in feste ognor più clamorose e con tanto frastuono, che non lascia sentire le urla degli sciagurati che vanno perduti. Così noi siamo traditi siccome dai loro Druidi quei poveri Galli. Udite. I Druidi in un certo sacrifizio ad un loro iddio d’inferno formavano una grande gabbia di ferro alla foggia di un idolo di enorme grandezza. Vi mettevano in fondo legna da ardere, cui ricoprivano di piote erbose; e queste smaltavano di fiori come un bel praticello. I genitori vi portavano da tutte parti i bambinelli nudi, incoronata la testina di rose e viole. Era una festa universale intorno a quei bimbi, che dalla gabbia battevano a gioia le loro manine. Ma, venuta l’ora del sacrifizio, si accende il fuoco di sotto, e quei tenerelli si gettano tutti in giuoco a soffermar colle mani il fumigio saliente, e disputarsi le fiammelle che spuntano qui, là sotto dei piedi. Ahi sbuffa l’incendio , e i fanciulli fuggire arrampicandosi su per la gabbia, buttarsi fuori con le braccia e le faccioline rosse infuocate. Li perseguita la fiamma alle vite: e i poverini abbrancarsi alle spranghe roventi che cuociono loro le mani. Ricadendo, le fiamme li investono come serpenti infuocati. Colle vampe a’ capelli e’ cercano scamparsi montando gli uni sugli altri: si sprofondano nell’incendio, e sotto le negre ruote di fumo, tra lo stridore dei tormenti e il bollire delle carni e il crepitar dei carboni, restano tutti dal fuoco divorati. Ma e i genitori, crudeli! Perché non si slanciano nel fuoco a salvarli! I miseri genitori, erano traditi. Quando cominciava ad accendersi il fuoco, i sacerdoti gridavano: voltate le spalle, guardate al dio che viene, date fiato alle trombe, fate rombare i timpani, battete i tamburri. Così nell’infernale frastuono non era più dato loro di sentire le urla dei poveri bimbi orribilmente abbruciati. — Signori! quelli erano i sacerdoti dell’ingannatore demonio, noi siamo i Sacerdoti del Dio della verità; e se nel frastuono del mondo voi andate colle perdute genti all’inferno, noi ci getteremo innanzi tra voi e quel fuoco che minaccia di divorarvi, e grideremo forte: guardate innanzi quanti vanno perduti! ahi che il fuoco già ci avvampa sotto dei piedi! …. Salviamoci! abbiamo ancor tempo; e perdere questo po’ di tempo è un tradire orribilmente noi stessi. — Dopo un breve respiro. Se dunque il tempo della vita non è che un’ora per salvare l’anima nostra, mette orrore il pensare come siamo sciaguratamente ingegnosi a consumare male il tempo per tradire noi stessi e mandarci in perdizione. Chi si guarda dattorno, tutto lo avvisa che il tempo fugge con una rapidità che fa spavento. Se ci raccogliamo dentro di noi, la nostra coscienza malcontenta di noi, paurosa dell’avvenire, in cui vede fosco, ci dice con sospiro: e dove andremo a finire? — Ma noi tosto, per soffocare la voce all’importuna, diciamo a noi stessi che abbiam troppi interessi, che non abbiamo tempo a pensarvi: pigliamo una proroga, ci riserbiamo di salvare l’anima nostra ad un tempo indeterminato, cui forse non avremo più mai; e mentre tutto il tempo alla fine dei conti ci è dato da Dio per metterla in salvo, noi le neghiamo un minuzzolo d’ora per provvedere a questo sommo bisogno. Ingiustizia crudele! Per gli amici, quante ore tutti i giorni consacriamo alle convenienze immaginarie ne. consacriamo immancabilmente tant’altre: avremo fino delle ore per le persone, che non ci garbano punto, ma che tolleriamo, perché hanno il merito di farci perdere il tempo. Si può dire che l’ordinaria occupazione degli uomini è una deplorabile premura di disfarsi del tempo; e la maggiore dolcezza, che gustiamo nei frivoli divertimenti, come nelle serie occupazioni, è questa, di accorciare la lunghezza dei nostri giorni. Ed invero, come mai si ha coraggio da durarla tutti i dì inchiodati in quei giuochi, in quel travaglio di mente, per fare vincite da nulla? Eh, si dice, per ingannare il tempo, per non dire: per perdere il tempo e tradirci!… Perché quella vita da schiavo in quel negozio, quando si è provveduto d’ogni ben di Dio? Ma è una occupazione necessaria per passare, per non dire, per perdere il tempo. Anzi saranno pericolose quelle occasioni, n’andrà dell’onore in frequentar quella casa; ma bisogna andarvi. E perché? Perché là si passa, per non dire, si perde orribilmente il tempo per tradirci. Si sente adunque insopportabile il peso del tempo; e si fa come il pazzo furioso, che sente il peso dell’oro, e lo getta via per correre all’impazzata a rompicollo. Per poi gettarlo più pazzamente, non vogliamo neppure fermarci a guardare indietro quanto ne abbiamo già perduto. Mio Dio! risoluti di perderlo alla cieca, facciamo come lo scapato fanciullo, che licenziatosi a divertirsi sopra un navicello, senza rematore che lo guidi, si abbandona alla corrente della torbida fiumana, e vedendo sempre più veloci fuggir via le rive, urta in un sasso, e viene sbattuto contro un altro: in quello spavento sì abbranca alle sponde della barca, e fissando gli occhi sul fondo della nave, che pare fermo sotto dei piedi, calma la sua paura, e va a sprofondarsi colla nave nel mare. Così noi, per non vedere con terrore come precipitiamo nell’abisso della morte, con le mani, colla mente, col cuore negli affari del mondo, abbassiamo gli occhi alla terra …. quasi fosse ferma sotto dei piedi, e voghiamo veloci con essa a perderci nell’eternità. Ora dite voi, se non è questa l’occupazione pessima degli uomini, gettare via sugli occhi stessi di Dio questo gran dono della sua bontà, tempo, senza dare a Lui neppure un istante! Alla mattina ci svegliamo conservati tra le braccia della provvidenza di Dio. Essa ci offre ancora un nuovo giorno di vita, ché speriamo non moriremo quest’oggi. Un giorno di vita, che gran dono della sua misericordia! un giorno da redimere il tempo perduto! da prepararci al giudizio di Dio! da guadagnarci il Paradiso! Noi nella bell’aurora di esso gettiamoci davanti alla Maestà divina ad offrirle la nostra povera servitù. « Eh via! Abbiamo altro che fare! Gl’intralasciati lavori, le persone che ci attendono, forse una passione a cui facciamo calcolo di soddisfare, si meritano tutti i nostri pensieri. » Sentite la campana? È  la Madre Chiesa che ci chiama intorno a Gesù, che col Cuore aperto nella Messa va a trattare col Padre, e vuol mettervi in salvo gl’interessi dell’anime vostre. Suoni, suoni pure per scongiurarvi di correre al convito in seno al Padre di tutti i beni; eh via! Se non avremo altri affari, almeno le ricche persone dovranno spendere due ore all’importante toeletta ad inorpellare d’ingannatrice bellezza un cadavere che si consuma: e Gesù si accontenti di aver all’altare neppur più i fanciulli, ma pochi sciancati, rifiuti del mondo. –  Dio con pazienza infinita, perché è pazienza di Dio, ci corre appresso negli aggiramenti della vita, e noi non mai un minuto gli rivolgiamo una parola di cuore. Ci piglia dinanzi, perché non mandiamo a male tutto il tempo indegnamente, ci mette in serbo un giorno alla settimana, la festa. Egli ci salva questo giorno di festa dall’ingorda avarizia. e dal progresso crudele, che non staccherebbe mai dal giogo questi liberi fatti schiavi. Dio fa come una tenera madre, che piglia sulla mensa la porzione del cibo prezioso per sé: eh! non per sé, ma per darlo al bisogno ai suoi figliuoli. Egli si riserba per noi la festa, affinché in riposo in seno a Gesù respiriamo il profumo di una vita migliore. E noi non abbiam tempo da ciò. Neppur questo poco giorno di festa per Dio è per l’anima nostra!? Anche per questo dì son fissati affari da trattare: è giorno di libertà da licenziarci a baldorie. Grande Iddio! noi ardiamo di sdegno nel vedere col più indegno insulto farsi del giorno santo del Signore il giorno delle crapule più sguaiate: gli ubbriachi in gongolo sulle piazze, più liberi gli amoreggiamenti, sulle vie fin le figliuole senza pudore! E nell’istante santissimo in cui Gesù spande dal Sacramento le sue benedizioni, i peccatori nelle tane dei vizi a provocare le sue vendette!… Così del giorno del Signore si fa il giorno delle più sacrileghe ribalderie. Dopo una vita negata a Dio, rubata all’anima, finalmente il Signore getta a terra il peccatore con un colpo di malattia mortale, e gli dà tempo d’implorare la sua misericordia almeno per forza. Voi ve l’aspettate?… Oh ma no, ch’egli è uom d’affari, e non gli preme tanto di non andare dannato nell’eternità, quanto di maneggiare le cose del mondo nel tempo, se lo potesse, fin dopo la morte…. Quello che più importa è il testamento…. e tutto dispone in ordine pel mondo…. Lascia alla consorte il pegno d’amore, lascia agli amici il legato per la sua memoria, lascia ai figliuoli la bella casa edificata, e il patrimonio per cui consumò proprio tutto il tempo della vita… lascia… lascia tutto agli altri… Ma e per se stesso? non ebbe tempo da pensare; gli restano le mani vuote per l’eternità!.. Egli ormai si avvicina all’agonia: e Dio ne’ suoi aneliti gli fa battere ancora per alcuni dì un cuor che si va spegnendo! Almeno ora si corra per un Sacerdote, che venga a tentare di salvarlo con l’ultimo miracolo della misericordia di Dio, come Gesù salvò il buon ladro già nell’istante in cui moriva!… Ma aspettate, non è ancora tempo!… Ma se ha già lo sguardo annebbiato!… ha il tremor della morte…. i tratti di cadavere in volto… già colle mani convulse intorno intorno cerca aggrapparsi… a che mai? al mondo, da cui viene sbalzato: eppure ancora sulla sponda della bara nega all’anima propria, nega a Dio fin l’ultimo istante del tempo… Ei muore!… Presto, presto un Sacerdote a confessarlo! Ma egli non intende, gemisce, più che non parli, in quel momento. Momento terribile, indefinibile, che è il termine del tempo, il principio dell’eternità, in cui dalle smanie dell’agonia nel tempo…. mette un urlo: d’onde quell’urlo?… Ahi dall’eternità dell’inferno. Sentite, sentite dall’eternità quell’urlo: Oh si daretur hora!… Oh che mi si dia adesso un’ora!»… Sciagurato, ti sei tradito!… L’eternità non ha più ore: era tutto il tempo della vita un’ora a prepararti all’eternità! Questo pensiero, o miei fratelli, dovrebbe bastare a farvi pensare di salvarvi. – Udite un fatto che si raccontò in un giornale di Parigi. Un giovane più spensierato che cattivo, in una brigata di buon temponi innanzi ad un caffè sulla piazza, mentre si vedeva il buon popolo compunto affollarsi in chiesa per confessarsi in una missione, mise pegno cogli amici di gozzoviglie, che egli s’andrebbe a confessare, se gli pagassero un pranzo: e fra le matte risate va alla chiesa. Si presenta ad un buon Sacerdote, che, sì, l’accoglie con tal gentile carità da intenerirlo alle lagrime. In questa commozione il povero giovane gli dimanda perdono della sacrilega audacia; e fa d’andarsene!… Ma il buon Confessore a lui coll’accento di un padre innamorato « Voi però, mio giovane, vi accorgete che vi voglio bene! » Il giovane « Ah sì, padre, e troppo più di quello che non mi merito io! lasciatemi andare!…. » Allora l’uom di Dio « Ebbene amor per amore; e prima di lasciarvi partire dalle mie braccia, dal vostro buon cuore vi domando una carità: deh! che non me la neghiate! » « Ah, buon padre, tutto che mi fate grazia di domandarmi, ve lo prometto sul mio onore! » – « Giacché mel promettete di così buon volere, fate questa carità a me ed all’anima vostra, ché ne abbiamo tanto bisogno! Per un mese tutte le notti nel riporvi a riposo guardate l’ora sull’orologio, e dite: « Batte l’orologio come i battiti del mio cuore: e il tempo della vita va! » Spento il lume, dite « così si muore!… » Nel coprirvi col lenzuolo colla man sul cuore, dite « e dopo la morte vi è Paradiso o inferno, che duran sempre: lo dice Gesù, e Gesù lo sa più di tutti gli increduli del mondo!…» Or bene tra per l’amor del buon padre, tra per l’onor della parola data, come per la grazia di Dio, il giovane nel coricarsi guarda l’orologio colla man sul cuore, e dice: « Come l’orologio battono presto i palpiti: e il tempo della vita va!… » Spento il lume dice « così si muore!… » Si copre col lenzuolo, e dice « e dopo la morte vi è Paradiso o inferno che duran sempre… lo dice Gesù, e Gesù lo sa più che non tutti gl’increduli del mondo! » Lo replica solo tre sere, e corre alla mattina appiè del Confessore, e gli dice « questa volta vengo a confessarmi davvero! » ….. Buon per lui! Poco dopo era già morto: e si sarà salvato, perché pensò che dopo morte vi è Paradiso od inferno, che duran sempre. – Signori, io vi confesso, che non mi son curato gran fatto di esaminare colla severità della critica (come uso sempre), se veramente è questo fatto così avvenuto. Sapete il perché? Perché lascio a voi di provare ben ch’egli è vero col fatto vostro, per quanto vi è cara l’anima. Ditelo tutte le sere colla man sul cuore « Più presto che questi palpiti la vita va. Così si muore, e dopo la morte vi è Paradiso o inferno, che duran sempre, lo dice Gesù, e Gesù lo sa più, che non tutti gl’increduli e buffoni del mondo. » Fatelo, e proverete il fatto col convertirvi certamente

FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DI N. S. G. C.: 6 AGOSTO 2022

6 AGOSTOTRASFIGURAZIONE DI NOSTRO SIGNORE

« O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del tuo Unigenito confermasti con la testimonianza dei patriarchi i misteri della fede, e con la voce uscita dalla nube luminosa proclamasti mirabilmente la perfetta adozione dei figli, concedici, nella tua bontà, di divenire coeredi della gloria e partecipi della medesima » (Colletta del giorno).

Nobile formula, che riassume la preghiera della Chiesa e ci presenta il suo pensiero in questa festa di testimonianza e di speranza.

Senso del mistero.

Ma è bene osservare subito che la memoria della gloriosa Trasfigurazione è già stata fatta due volte nel Calendario liturgico: la seconda Domenica di Quaresima e il Sabato precedente. Che cosa significa ciò, se non che la solennità odierna ha come oggetto, più che il fatto storico già noto, il mistero permanente che vi si ricollega, e più che il favore personale che onorò Simon Pietro e i figli di Zebedeo, il compimento dell’augusto messaggio di cui essi furono allora incaricati per la Chiesa? Non parlate ad alcuno di questa visione, fino a quando il Figlio dell’uomo non sia risuscitato dai morti (Mt. XVII, 9). La Chiesa, nata dal costato squarciato dell’Uomo-Dio sulla croce, non doveva incontrarsi con Lui faccia a faccia quaggiù; e quando, risuscitato dai morti, avrebbe sigillato la sua alleanza con lei nello Spirito Santo, solo della fede doveva alimentarsi il suo amore. Ma, per la testimonianza che supplisce la visione, nulla doveva mancare alle sue legittime aspirazioni di conoscere.

La scena evangelica.

A motivo di ciò, appunto per lei, in un giorno della sua vita mortale, ponendo tregua alla comune legge di sofferenza e di oscurità che si era imposta per salvare il mondo, Egli lasciò risplendere la gloria che colmava la sua anima beata. Il Re dei Giudei e dei Gentili (Inno dei Vespri) si rivelava sul monte dove il suo pacifico splendore ecclissava per sempre i bagliori del Sinai; il Testamento dell’eterna alleanza si manifestava, non più con la promulgazione d’una legge di servitù incisa sulla pietra, ma con la manifestazione del Legislatore stesso, che veniva sotto le sembianze dello Sposo a regnare con la grazia e lo splendore sui cuori (Sal. XLIV, 5). La profezia e la legge, che prepararono le sue vie nei secoli dell’attesa, Elia e Mosè, partiti da punti diversi, si incontravano accanto a Lui come fedeli corrieri al punto di arrivo; facendo omaggio della loro missione al comune Signore, scomparivano dinanzi a Lui alla voce del Padre che diceva: Questi è il mio Figlio diletto! Tre testimoni, autorizzati più di tutti gli altri, assistevano a quella scena solenne: il discepolo della fede, quello dell’amore, e l’altro figlio di Zebedeo che doveva per primo sigillare con il sangue la fede e l’amore apostolico. Conforme all’ordine dato e alla convenienza, essi custodirono gelosamente il segreto, fino al giorno in cui colei che ne era interessata potesse per prima riceverne comunicazione dalle loro bocche predestinate.

Data della festa.

Fu proprio quel giorno eternamente prezioso per la Chiesa? Parecchi lo affermano. Certo, era giusto che il suo ricordo fosse celebrato di preferenza nel mese dell’eterna Sapienza: Splendore della luce increata, specchio immacolato dell’infinita bontà (Verso alleluiatico; cfr. Sap. VII, 26). – Oggi, i sette mesi trascorsi dall’Epifania manifestano pienamente il mistero il cui primo annuncio illuminò di così dolci raggi il Ciclo ai suoi inizi; per la virtù del settenario qui nuovamente rivelata, gli inizi della beata speranza (S. Leone: Il Discorso sull’Epifania) sono cresciuti al pari dell’Uomo-Dio e della Chiesa; e quest’ultima, stabilita nella pace del pieno sviluppo che l’offre allo Sposo (Cant. VIII, 10), chiama tutti i suoi figli a crescere come lei mediante la contemplazione del Figlio di Dio fino alla misura dell’età perfetta di Cristo (Ef. IV, 13). Comprendiamo dunque perché vengano riprese in questo giorno, nella sacra Liturgia, formule e cantici della gloriosa Teofania. Sorgi, o Gerusalemme; sii illuminata; poiché è venuta la tua luce, e la gloria del Signore s’è levata su di te (I Responsorio di Mattutino; cfr. Is. LX, 1). Sul monte, infatti, insieme con il Signore viene glorificata la sua Sposa, che risplende anch’essa della luce di Dio (Capitolo di nona; cfr. Apoc. XXI, 11).

Le vesti di Gesù.

Mentre infatti « il suo volto risplendeva come il sole – dice di Gesù il Vangelo – le sue vesti divennero bianche come la neve » (Mt. XVII, 2). Ora quelle vesti, d’un tale splendore di neve – osserva san Marco – che nessun tintore potrebbe farne di così bianche sulla terra (Mc. IX, 2), che altro sono se non i giusti, inseparabili dall’Uomo-Dio e suo regale ornamento, se non la tunica inconsutile, che è la Chiesa, e che Maria continua a tessere al suo Figliuolo con la più pura lana e con il più prezioso lino? Sicché, per quanto il Signore, attraversato il torrente della sofferenza, sia personalmente già entrato nella sua gloria, il mistero della Trasfigurazione non sarà completo se non allorché l’ultimo degli eletti, passato anch’egli attraverso la laboriosa preparazione della prova e gustata la morte, avrà raggiunto il Capo nella sua resurrezione. O volto del Salvatore, estasi dei cieli, allora risplenderanno in te tutta la gloria, tutta la bellezza e tutto l’amore. Manifestando Dio nella diretta rassomiglianza del suo Figliuolo per natura, tu estenderai le compiacenze del Padre al riflesso del suo Verbo che costituisce i figli di adozione, e che vagheggia nello Spirito Santo fino alle estremità del manto che riempie il tempio (Is. VI, 1).

Il mistero dell’adozione divina.

Secondo la dottrina di san Tommaso, infatti (III, q. 45, art. 4), l’adozione dei figli di Dio, che consiste in una conformità di immagine con il Figlio di Dio per natura (Rom. VIII, 29-30), si opera in duplice modo: innanzitutto per la grazia di questa vita, ed è la conformità imperfetta; quindi per la gloria della patria, ed è la conformità perfetta, secondo le parole di san Giovanni: « Ora noi siamo figli di Dio; ma non si è manifestato ancora quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è » (I Gv. III, 2). Le parole eterne: Tu sei il mio Figliuolo, oggi io ti ho generato (Sal. II, 7) hanno due echi nel tempo, nel Giordano e sul Tabor; e Dio, che non si ripete mai (Giobbe XXXIII, 14) non ha in ciò fatto eccezione alla regola di dire una sola volta quello che dice. Poiché, per quanto i termini usati nelle due circostanze siano identici, non tendono però allo stesso fine – dice sempre san Tommaso – ma a mostrare quel modo diverso in cui l’uomo partecipa alla rassomiglianza con la filiazione eterna. Nel battesimo del Signore, in cui fu dichiarato il mistero della prima rigenerazione, come nella sua Trasfigurazione che ci manifesta la seconda, apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce intesa, il Figlio nella sua umanità, lo Spirito Santo prima sotto forma di colomba e quindi nella nube risplendente; poiché se, nel Battesimo, egli conferisce l’innocenza indicata dalla semplicità della colomba, nella resurrezione concederà agli eletti lo splendore della gloria e il ristoro di ogni male, che sono significati dalla nube luminosa (III, qu. 45, ad 1 et 2).

Insegnamento dei padri.

« Saliamo il monte – esclama sant’Ambrogio; – supplichiamo il Verbo di Dio di mostrarsi a noi nel suo splendore e nella sua magnificenza; che fortifichi se stesso e progredisca felicemente, e regni nelle anime nostre (Sal. XLIV). Alla tua stregua infatti, o mistero profondo, il Verbo diminuisce o cresce in te. Se tu non raggiungi quella vetta più elevata dell’umano pensiero, non ti appare la Sapienza; il Verbo si mostra a te come in un corpo senza splendore e senza gloria » (Comm. su san Luca, 1. VII, 12). Se la vocazione che si rivela per te in questo giorno è così santa e sublime (VII Responsorio di Mattutino; cfr. Tim. 1, 9-10), « adora la chiamata di Dio – riprende a sua volta Andrea da Creta (Discorso sulla Trasfigurazione): – non ignorare te stesso, non disdegnare un dono così sublime, non ti mostrare indegno della grazia, non essere tanto pusillanime nella tua vita da perdere questo celeste tesoro. Lascia la terra alla terra, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt. VIII, 22); disprezzando tutto ciò che passa, tutto ciò che muore con il secolo e con la carne, segui fino al cielo senza mai separartene Cristo che per te compie il suo cammino in questo mondo. Aiutati con il timore e con il desiderio, per sfuggire alla caduta e conservare l’amore. Donati interamente; sii docile al Verbo nello Spirito Santo, per raggiungere quel fine beato e puro che è la tua deificazione, con il gaudio di indescrivibili beni. Con lo zelo delle virtù, con la contemplazione della verità, con la sapienza, arriva alla Sapienza principio di tutto e in cui sussistono tutte le cose» (Col. 1, 16-17).

Storia della festa.

Gli Orientali celebrano questa festa da lunghi secoli. La vediamo fin dagli inizi del secolo iv in Armenia, sotto il nome di « splendore della rosa », rosæ coruscatio, sostituire una festa floreale in onore di Diana, e figura tra le cinque feste principali della Chiesa armena. I Greci la celebrano nella settima Domenica dopo Pentecoste, benché il loro Martirologio ne faccia menzione il 6 di agosto. In Occidente, viene celebrata soprattutto dal 1457, data in cui il Papa Callisto III promulgò un nuovo Ufficio e la rese obbligatoria in ringraziamento della vittoria riportata l’anno precedente dai Cristiani sui Turchi, sotto le mura di Belgrado. Ma questa festa era già celebrata in parecchie chiese particolari. Pietro il Venerabile, abate di Cluny, ne aveva prescritto la celebrazione in tutte le chiese del suo Ordine quando Cluny ebbe preso possesso, nel secolo XII, del monte Thabor.

La benedizione delle uve.

Vige l’usanza, presso i Greci come presso i Latini, di benedire in questo giorno le uve nuove. Questa benedizione si compie durante il santo Sacrificio della Messa, al termine del « Nobis quoque peccatoribus ». I Liturgisti, insieme con Sicardo di Cremona, ci hanno spiegato la ragione di tale benedizione in un simile giorno: « Siccome la Trasfigurazione si riferisce allo stato che dev’essere quello dei fedeli dopo la resurrezione, si consacra il sangue del Signore con vino nuovo, se è possibile averne, onde significare quanto è detto nel Vangelo: Non berrò più di questo frutto della vite, fino a quando non ne beva del nuovo insieme con voi nel regno del Padre mio » (Mt. XXVI, 29). – Terminiamo con la recita dell’Inno di Prudenzio, che la Chiesa canta nei Vespri ed al Mattutino di questo giorno:

INNO

O tu che cerchi Cristo, leva gli occhi in alto; ivi scorgerai il segno della sua eterna gloria. La luce che risplende manifesta Colui che non conosce termine, il Dio sublime, immenso, senza limiti, la cui durata precede quella del cielo e del caos. Egli è il Re delle genti, il Re del popolo giudaico, e fu promesso al patriarca Abramo e alla sua stirpe per tutti i secoli. I Profeti sono i suoi testimoni, e sotto la loro garanzia, testimone egli stesso, il Padre ci ordina di ascoltarlo e di credere in lui. Gesù, sia gloria a te che ti riveli agli umili, a te insieme con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

 (Dom P. Guèranger: L’Anno Liturgico, vol. II, Ed. Paoline, Alba Cuneo, 1957)