LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (13)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (13)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO QUINTO

LA CONFORMITA’ A CRISTO (I)

Che io gli sia quasi un prolungamento di umanità

.1) La nostra predestinazione in Cristo — 2) La presenza intima di Gesù. – Devozione all’anima di Cristo — 4) Identificare i movimenti dell’anima propria a quelli dell’anima di Cristo — 5) Esprimere Cristo allo sguardo del Padre — 6) Essere per Lui quasi un prolungamento di umanità — 7) La conformità alla Sua morte

Una nota comune a tutti, ricongiunge i santi delle più varie scuole: la loro conformità a Cristo: « I predestinati — ci dice san Paolo — devono essere conformi all’immagine del Figlio » (Romani, VIII-29). Secondo l’assioma tradizionale, il Cristiano è un altro Cristo: Christianus alter Christus. Ma questa grazia della conformità a Cristo è essenzialmente multiforme; alcuni riproducono con particolare evidenza qualche aspetto della vita di Gesù: il suo silenzio di Nazareth, il fascino potente della sua parola sulle folle e il suo ascendente sulle anime; oppure, i lineamenti del Messia sofferente, come Geremia, le ignominie della passione e l’abbandono dei « suoi », come Giobbe; la sua umiltà, la sua pazienza, il suo disprezzo delle ricchezze, la sua vita adorante e riparatrice, il suo amore per il Padre; oppure, i suoi lumi sapienti di Dottore, la sua prudenza di capo supremo della Chiesa, la forza del suo martirio sulla Croce. I prediletti imitano il Maestro nel distacco assoluto: « Sono i vergini, e seguono l’Agnello ovunque Egli vada » (Apocalisse, XIV-4.). La santità di Cristo è, in qualche modo, infinita; Gesù offre in se stesso un modello di tutte le virtù, e Dio potrebbe moltiplicare senza limite i santi, sulla terra, senza esaurire le ricchezze incomprensibili della grazia capitale di Cristo, esemplare della nostra. Non deve quindi farci meraviglia il ritrovare in suor Elisabetta questa viva rassomiglianza col suo Maestro. « Vivo enim, jam non ego; vivit vero in me Christus »  (Lettera al sacerdote Don Ch. – 23 novembre 1904.): eccol’ideale della mia anima di Carmelitana ».Questa trasformazione in Cristo, iniziatasi al Battesimo,continua senza interruzione attraverso tutte le fasi dellasua vita. Scriveva nel suo diario di fanciulla: « Vorreifarlo amare da tutta la terra… ». « L’amo, fino a morirne» (Diario: 30 gennaio – 1° marzo 1899). E le feste, anche le più mondane, non potevano strapparla all’invisibile presenza del suo Cristo. Divenuta Carmelitana, con quale appassionato ardore premeva sul cuore il bel Cristo della sua professione che recava il motto: « Jam non ego, vivit vero in me Christus! ». Cristo è al centro della sua preghiera sublime alla Trinità, nella quale esprime in uno slancio d’amore tutto respiro della sua vita interiore: « O mio Cristo adorato, vorrei essere una sposa per il tuo cuore… Vorrei amarti, fino a morirne ». Nel suo letto di dolore, non sogna che « morire trasformata in Gesù Crocifisso ». La devozione al Cristo occupa un posto centrico nella sua dottrina come nella sua vita. A quale sorgente l’ha attinta? Durante il ritiro conventuale predicato nell’ottobre 1902, il Padre Vallée aveva esposto energicamente e in un’altissima luce contemplativa i grandi principî della cristologia tomista; aveva particolarmente insistito sulla natura del Verbo Incarnato e sul suo carattere essenziale di Salvatore, sulla grazia capitale, la scienza, l’amore, la preghiera di Cristo… ecc… Questo ritiro, privo di consolazioni interiori, aprì a suor Elisabetta orizzonti sconfinati sul mistero di Cristo e queste luci nuove entrarono immediatamente nella sua vita. « Abbiamo avuto un ritiro così bello, così profondo, così divino! Il Padre Vallée ci ha spiegato sempre Gesù Cristo, e vi avrei voluta vicina a me, perché l’anima vostra esultasse insieme alla mia. Noi siamo in comunione continua col Verbo Incarnato, con Gesù che dimora in noi e vuole dirci tutto il suo mistero. La vigilia della sua Passione, parlando dei « suoi », diceva al Padre: « Io ho fatto conoscere ad essi le parole che mi hai comunicato; ho dato loro la luce che ho avuto in Te, prima che il mondo fosse» (San Giovanni, XVII, 8-22.). Egli è sempre vivo, sempre operante nell’anima nostra: lasciamoci formare da Lui, e che Egli sia l’anima della nostra anima, la vita della nostra vita, affinché possiamo dire con san Paolo: « Per me, vivere è Cristo ». Egli non vuole che ci rattristiamo, considerando ciò che non abbiamo fatto interamente per Lui. È il Salvatore; la sua missione è perdonare. E il reverendo Padre, durante il ritiro, ci diceva: « Non vi è che un desiderio nel cuore di Cristo: cancellare il peccato e portare l’anima a Dio» (Lettera alla signora A… – 9 novembre 1902). Soprattutto le Epistole di san Paolo furono sorgente di luce per l’anima sua: in esse, suor Elisabetta se ne andava a « bere Cristo », secondo l’espressione di sant’Ambrogio. E non avrebbe potuto porsi ad una scuola migliore. Il Dottore delle genti aveva ricevuto da Dio la missione di manifestare al mondo le ricchezze di grazia, i tesori di scienza e di sapienza divina nascosti in Cristo. « Cor Pauli, cor Christi »: Paolo aveva il cuore di Cristo. Le formule di fede che egli scriveva ai primi Cristiani contengono in compendio tutto l’insegnamento della Chiesa sul mistero di Cristo. – Suor Elisabetta della Trinità, temperamento d’artista, così libera nell’ispirazione, così nemica di ogni metodo troppo rigido, pure aveva organizzato tutto uno schedario per lo studio del suo caro san Paolo. Queste note, bene analizzate, con riferimenti precisi, rimandano, per la massima parte, ad uno degli aspetti del mistero di Cristo. Ricorreva sovente ai testi dell’Apostolo per appoggiarvi i movimenti della sua anima contemplativa; e più di una volta, nelle sue lettere o nei suoi due ritiri, le capita di citarne dei lunghi passi per intiero, a tale punto il suo pensiero si era identificato con quello del santo. La nostra predestinazione in Cristo, e la restaurazione di tutte le cose in Lui, la nostra incorporazione al Figlio di Dio, capo del Corpo mistico costituito da tutti i redenti, la necessità che abbiamo di immedesimarci con tutti i sentimenti della sua anima divina, di esprimerlo agli sguardi del Padre, di essere per Lui, in certo modo, un prolungamento di umanità in cui Egli possa rinnovare tutto il suo mistero di Cristo adoratore e Salvatore… — tutti questi grandi orizzonti della teologia della redenzione divengono familiari, nel contatto con san Paolo, al pensiero contemplativo di suor Elisabetta della Trinità e le danno quelle ampiezze dottrinali che sono la ricchezza e la forza dei suoi scritti spirituali. Enumerare quasi tutti i testi da lei utilizzati, imporrebbe  delle citazioni innumerevoli. Noi rileveremo soltanto le grandi linee della dottrina mistica che quei testi le hanno ispirata.

1) Il contatto con san Paolo conferisce alla dottrina di suor Elisabetta un carattere cristocentrico molto accentuato. Essa studia con speciale cura il testo fondamentale dell’Epistola ai Romani, in cui san Paolo sviluppa tutto il senso della nostra predestinazione in Cristo: « Quelli che Dio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo; e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; quelli che ha chiamati li ha giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati » (Romani, VIII, 29-30.). Tale si presenta, allo sguardo dell’Apostolo, il mistero della predestinazione della elezione divina. « Quelli che Egli ha conosciuti ». Non siamo noi pure di questo numero? Non può forse, Iddio, dire a ciascuna delle anime nostre ciò che disse un giorno con la voce del Profeta? : « Ti son passato accanto, e ti ho guardata; e sopra di te ho spiegato il mio manto; ti ho giurato fede, ho stretto con te un patto, e tu sei divenuta mia » (Ezechiele, XVI-8.). Sì, noi siamo divenute sue col Battesimo; questo appunto vuol dire san Paolo con le parole: « Li ha chiamati », chiamati a ricevere il sigillo della Trinità santa; mentre ci dice san Pietro che « siamo stati fatti partecipi della natura divina » (II san Pietro, I-4.), che abbiamo ricevuto quasi un « inizio del suo Essere ». – Poi, ci ha giustificati coi suoi Sacramenti, coi suoi tocchi. diretti nelle intime profondità dell’anima raccolta; ci ha giustificati anche « mediante la fede » e secondo la misura della nostra fede nella redenzione acquistataci da Gesù Cristo. Finalmente, vuole glorificarci; e perciò, dice san Paolo. « ci ha resi degni di aver parte alla eredità dei santi, nella luce » (Colossesi, I-12.); ma noi saremo glorificati nella misura in cui saremo trovati « conformi alla immagine del suo divin Figlio ». Contempliamo dunque questa immagine adorata; restiamo sempre nella luce che da essa irradia, e facciamo che si imprima in noi; poi accostiamoci alle persone, alle cose, con le stesse disposizioni d’animo con cui vi si recava il nostro Maestro santo; allora realizzeremo la grande « volontà per la quale Dio ha in sé prestabilito di instaurare tutte le cose in Cristo » (Efesini, I, 9-10 — « Il paradiso sulla terra » – 9a orazione.). Invece di soffermarsi, come farebbe un teologo speculativo, sull’economia provvidenziale della nostra redenzione in Cristo, suor Elisabetta della Trinità, tralasciando ogni esposizione puramente teorica, ne fa immediatamente l’applicazione all’anima sua, cercandovi una « regola di vita ». « Instaurare omnia in Christo ». È ancora san Paolo che mi istruisce; san Paolo che si è or ora inabissato nel grande consiglio di Dio, e mi dice che « Egli ha stabilito di instaurare tutte le cose in Cristo ». E l’Apostolo viene ancora in mio aiuto; perché io possa realizzare personalmente questo piano divino, mi traccia egli stesso un regolamento di vita: « Camminate in Gesù Cristo, radicati in Lui, corroborati nella fede… e crescendo sempre più in Lui con rendimento di grazie » (Colossesi, II, 6-7 – Ultimo ritiro, XIII). Ogni punto di questo programma le suggerirà una parafrasi mistica di ordine pratico. Non chiedetele un’esegesi obiettiva secondo le rigorose leggi del metodo storico; suor Elisabetta lesse san Paolo da contemplativa, cercando nella  sacra Scrittura « la luce di vita » per l’anima sua. È intanto, in questo apparente commento delle formule paoline, essa ci svela il suo pensiero spirituale più intimo. Da vera Carmelitana, insiste prima di tutto — e con molta forza — sul totale spogliamento, condizione preliminare dell’unione divina. « Camminare in Gesù Cristo » è uscire da se stessi, è perdersi di vista, abbandonarsi, per entrare più profondamente in Lui, ad ogni istante; tanto profondamente, da radicarvisi e da poter lanciare ad ogni avvenimento, ad ogni creatura, questa bellissima sfida: «Chi mi separerà dalla carità di Cristo? » (Romani, VIII, 35.). Quando l’anima è stabilita in Lui a tale profondità che le sue radici vi affondano, la linfa divina fluisce, si riversa in lei abbondante; e tutto ciò che è imperfetto, banale, naturale, viene distrutto. « Ciò che è mortale viene assorbito dalla vita » (Ai Corinti, XV, 54). Allora, così spogliata di se stessa e rivestita di Gesù Cristo, l’anima non ha più da temere né i contatti esterni, né le interne difficoltà, perché queste cose, anziché esserle di ostacolo, non fanno che radicarla più profondamente nell’amore del suo Maestro. Qualunque cosa avvenga, favorevole o contraria, anzi servendosi di tutto ciò « sempre lo adora per Lui stesso », perché è libera, affrancata da sé e da ogni cosa, e può cantare col Salmista: « Mi assedi un esercito, non teme il mio cuore; insorga contro di me la battaglia, io spero ugualmente, perché Jahveh mi nasconde nel segreto della sua tenda » (Salmo XXVI, 3, 5), e questa tenda è Lui. Tutto questo mi sembra che voglia dire san Paolo quando ci esorta ad essere « radicati » in Gesù Cristo. E che cosa significa essere « edificati in Lui? ». Il Profeta canta: « Mi ha innalzato sopra una rupe, ed ora la mia testa sovrasta i nemici che mi circondano » (Salmo XXVI, 6.). Non è forse questa la figura dell’anima « edificata da Gesù Cristo? ». È Lui la rupe sulla quale ella è stata elevata al di sopra di se stessa, dei sensi, della natura, al di sopra delle consolazioni e dei dolori, al di sopra di tutto ciò che non è unicamente Lui. E lì, nel pieno possesso di sé, è dominatrice del suo « io »; e, superando se stessa supera anche tutte le cose. – Ma san Paolo mi raccomanda ancora di essere « corroborata nella fede », in quella fede che non permette mai all’anima di sonnecchiare, ma che la tiene tutta vigilante sotto lo sguardo del Maestro, tutta raccolta sotto la sua parola creatrice; in quella fede « nell’eccessivo amore » (Ephes. II, 4), che permette a Dio, mi dice san Paolo, di colmare l’anima « secondo la sua pienezza » (Ephes. III, 19). Infine, vuole che io « cresca in Gesù Cristo con l’azione di grazie », perché tutto deve compiersi nel ringraziamento. « Padre, io ti rendo grazie » (San Giovanni, XI, 41.), cantava l’anima del mio Maestro; ed Egli vuol sentirne l’eco nell’anima mia » (Ultimo ritiro, XII).

2) Mentre, per la maggior parte dei Cristiani, Cristo è un personaggio storico scomparso da ormai venti secoli dalla scena del mondo, oppure è un’entità astratta involatasi nelle profondità del cielo in un’eternità inaccessibile, per suor Elisabetta della Trinità, come per tutti i santi, Gesù è una realtà concreta, quotidiana, unita ai minimi particolari alla loro esistenza; in una parola è la realtà suprema. La sua presenza, invisibile, ma così prossima, li segue ovunque; ad ogni istante, essi sentono lì, accanto a loro, Gesù, questo Figlio di Dio e della Vergine, che li arricchisce con la sua grazia, li illumina, li sostiene, li rimprovera se è necessario, li salva, comunica loro l’eterna vita. Per comprendere questa dottrina della presenza intima di Gesù nella vita dei santi, bisogna ricordare che Cristo, come Verbo, è presente dovunque, insieme al Padre ed allo Spirito Santo. La Trinità rimane indivisibile. Col Padre e con lo Spirito Santo, il Verbo riempie il tempo e lo spazio; né vi è un atomo solo, nell’universo, che non sia compenetrato della sua divina presenza; se Egli si ritraesse, tutta la creazione ricadrebbe nel nulla. Come Verbo Incarnato, Egli è presente in cielo dove, splendente di gloria, sazia i beati e li inebria con la bellezza del suo volto; ed è presente nell’Ostia santa, con la sua Umanità velata. « Ma è sempre il medesimo che gli eletti contemplano nella visione e che le anime della terra possiedono nella fede » (Lettera alla zia R…  1903). Degli uni e degli altri, Egli è la vita, comunicando alle schiere dei predestinati la luce di gloria che li fa beati, e donandosi alla Chiesa militante per mezzo della fede e dei sacramenti. Da Lui, giorno e notte, « emana una virtù segreta » (San Luca, VI-19) che li santifica; e il suo contatto, ad ogni istante, divinizza l’anima dei santi. Tutto ci viene dall’Umanità di Cristo, « organo del Verbo » e strumento universale di tutte le grazie che discendono dalla Trinità sulle anime; da Cristo, grazia, luce, forza e carismi di ogni genere di cui la Chiesa ha bisogno per compiere la sua missione sulla terra; in Cristo, noi abbiamo l’essere, il movimento, la vita nell’ordine soprannaturale e, senza di Lui, non possiamo nulla: « Sine Me, nihil » (San Giovanni, XV, 5). La teologia cattolica ha dato un forte rilievo a questo punto di vista, in una dottrina di massima importanza nell’economia della nostra vita spirituale: la grazia capitale di Cristo. La vita trinitaria del nostro Battesimo non si sviluppa in noi che « in Cristo Gesù: in Cristo Jesu » (Efesini, I, 3 e spessissimo in san Paolo.). Questa dottrina era il punto centrico, il fulcro di tutti i moti dell’anima di suor Elisabetta della Trinità. Le era tanto caro rifugiarsi ad ogni istante sotto la grazia di questo dolce Cristo vivente in lei, nell’intimo dell’anima sua! « Sento che Egli mi comunica la vita eterna » (Alla Madre priora). Aveva preso l’abitudine di andare a Lui per ogni cosa. supplicandolo di rivestirla della sua divina purezza, di custodirla vergine, di elevare l’anima sua al di sopra delle terrene agitazioni, di mantenerla calma e serena, come se già fosse nell’eternità. « Stiamocene raccolte vicino a « Colui che È », vicino all’Immutabile il cui amore ci avvolge sempre. Noi, ciascuna di noi, siamo colei che non è; andiamo a Lui che ci vuole tutte sue e talmente ci possiede, che non viviamo più, noi, ma Egli vive in noi» (Lettera a M. G… 1901). « È così ineffabile e soave la divina presenza del Maestro, e dà all’anima tanta forza! Credere che Dio ci ama al punto di abitare in noi, di farsi il compagno del nostro esilio, il confidente, l’amico di tutti gli istanti, è l’intimità dolcissima del bimbo con la mamma, della sposa con lo sposo. Ecco la vita della Carmelitana: l’unione è il suo splendido sole, ed orizzonti sconfinati si spiegano dinanzi al suo sguardo» (Lettera a G. de G… 1903). Questa intima unione con Cristo presente nell’anima sua era divenuta il punto di convergenza della sua fede, della sua carità, della sua vita di preghiera e di adorazione. « Rimanete in me» (San Giovanni, XV-4). È il Verbo di Dio che ci dà questo comando, che esprime questa volontà. « Rimanete con me », non per qualche minuto, per qualche ora che passa, ma rimanete in modo permanente, abituale. Rimanete in me, pregate in me, adorate in me, amate in me, soffrite in me, lavorate, agite in me. Rimanete in me quando vi incontrate in qualsiasi persona o cosa » («Il paradiso sulla terra » – Orazione 2°). Uno dei suoi atteggiamenti preferiti consisteva nel raccogliersi in contemplazione dell’« eccessivo amore » di Cristo, e lasciarsi tutta invadere e possedere da Lui. « San Paolo dice che « non siamo più pellegrini o stranieri, ma concittadini dei santi e della famiglia di Dio » (Efesini, II, 19). Là, in quel mondo soprannaturale e divino, già noi abitiamo mediante la fede. La mia visione, qui sulla terra, è il Suo amore, « il suo eccessivo amore », come si esprime il grande Apostolo. Mi pare che sia proprio questa la scienza dei santi. San Paolo, nelle sue magnifiche epistole, non predica che questo mistero della carità di Cristo. « Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere fortemente corroborati nell’uomo interiore per mezzo del suo Spirito e faccia sì che Cristo abiti nei vostri cuori con la fede e voi, radicati e fortificati in amore, siate resi capaci di comprendere, con tutti i santi, quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità, e di intendere l’amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio» (Efesini, III, 14-19). Poiché Cristo abita nelle anime nostre, la sua preghiera ci appartiene, ed io vorrei esserne partecipe sempre, stando presso la fontana della vita come un piccolo vaso alla sorgente delle acque, e poterla quindi comunicare alle anime, lasciandone straripare le onde di carità infinita » (Lettera al sacerdote Don Ch… – 25 dicembre 1904). Le espressioni di suor Elisabetta sulla presenza di Gesù in noi sono di una tale vivezza che, prese troppo alla lettera, potrebbero indurre alla conclusione di una vera e propria abitazione di Gesù in noi. Ma lei stessa mette in guardia la mamma contro una simile esagerazione: « Non puoi possedere di continuo l’Umanità santa di Gesù, come allorché ricevi la santa Comunione; ma la Divinità, quell’Essenza che i beati adorano in cielo, è nell’anima tua » (Lettera alla mamma – Giugno 1906). Fatta questa riserva, si abbandona liberamente agli slanci dell’anima sua che la riconducono sempre nell’intimo, per vivervi nell’unione più stretta col Maestro divino e lasciarsi salvare e santificare da Lui. « Egli è in noi per santificarci; chiediamogli dunque che sia Lui stesso la nostra santità. Quando Gesù era sulla terra, « una virtù segreta, dice il Vangelo, emanava da Lui » (San Luca, -VI-19); e al suo contatto, i malati guarivano, i morti risuscitavano alla vita. Egli è vivo sempre; vivo nel suo Sacramento adorabile, vivo nelle anime nostre; l’ha detto Lui stesso: « Se alcuno mi ama, custodirà la mia parola, e il Padre mio l’amerà; e noi verremo a lui, porremo in lui la nostra dimora » (San Giovanni, XIV-23). Poiché Egli è qui, teniamogli compagnia, come l’amico all’amico diletto. Questa unione divina e tutta intima è, si può dire, l’essenza della vita al Carmelo. « L’anima possiede, nel suo intimo centro, un Salvatore che la purifica ad ogni istante » (Lettera alla signora A… – 24 novembre 1904 e novembre 1905). « Il divino Adorante è in noi, quindi la sua preghiera ci appartiene. Offriamola; partecipiamovi; preghiamo con la sua stessa anima » (Lettera a G. de G… – Fine settembre 1903.).

3) La nota veramente caratteristica di suor Elisabetta è la sua devozione così personale all’anima di Cristo. Altre anime si sentono portate ad onorarlo in questo o quell’altro dei suoi misteri, a venerare una od un’altra parte del suo Corpo santissimo; la devozione di suor Elisabetta va diritta all’anima di Cristo, capolavoro della Trinità. Per ragione della sua personale unione al Verbo di Dio, tutto quanto il Cristo è adorabile: in se stesso e in ciascuno dei suoi misteri; ma l’anima di Gesù è quanto vi è di più nobile nel Verbo Incarnato, dopo la sua unione ipostatica. Tutta la sublime attività degli spiriti e dei santi non vale il minimo atto di virtù dell’anima di Cristo, rivestita di una pienezza di grazia in qualche modo infinita, che la rende degna della Persona increata del Verbo Incarnato; l’anima di Cristo, nella quale la Trinità santa trova infinite compiacenze, nella quale vi sono abissi di luce, di amore, di divine bellezze, la cui contemplazione intuitiva sarà, dopo la visione di Dio, la gioia più grande dell’eternità. Gesù non diceva infatti al Padre suo, presenti i discepoli: « Contemplare svelatamente Te e il tuo Cristo: ecco la vita eterna? » (San Giovanni, XVII-3).

4) Suor Elisabetta della Trinità seppe comprendere fino a che punto il Cristo è nostro: « Sento che tutti i tesori dell’anima di Cristo mi appartengono » (Lettera al Canonico A… – 11 settembre 1901.). E nel formulario riempito otto giorni dopo la sua entrata al Carmelo, scriveva che « l’anima di Cristo era il suo libro preferito ». Fin dalla prima sera, la Madre Germana la trovò tutta silenziosa e raccolta presso il grande Cristo che domina il giardino. — Che cosa fai costì figliola, — le chiese. — Sono passata nell’anima del mio Cristo (Questo particolare mi è stato comunicato direttamente dalla Madre Germana) — fu la risposta di suor Elisabetta. E prende come parola d’ordine della sua vita religiosa: « Rendere i movimenti della propria anima sempre più uguali a quelli dell’anima di Cristo »; risoluzione che diviene una commovente realtà, a mano a mano che la sua vita spirituale si svolge e progredisce; tutto lo studio della sua vita interiore tende a « penetrare nel movimento dell’anima divina di Gesù» (Lettera alla signora A… – 29 settembre 1902) ed a lasciarsi portare con Lui nel seno del Padre. – Nella sua preghiera, alla quale bisogna ritornare sempre per sorprendere il ritmo più segreto della sua vita spirituale, le note più essenziali di questa divozione alla anima di Cristo si manifestano con evidenza, e tutta riassumono la sua dottrina su questo punto: « O mio Cristo adorato, crocifisso per amore… ti chiedo di rivestirmi di Te, di identificare i movimenti della mia anima a quelli della Tua anima, di sommergermi, di pervadermi, di sostituirti a me, così che la mia vita sia una riflesso della Tua vita ».

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.