M. M. PHILIPPON
LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (6)
Prefazione del P. Garrigou-Lagrange
SESTA RISTAMPA
Morcelliana ed.Brescia, 1957.
CAPITOLO SECONDO
L’ASCESI DEL SILENZIO
« Qual è il punto della Regola che preferite? ».
«Il silenzio »
1) La santa del silenzio — 2) Il silenzio esteriore – 3) II silenzio interiore — 4) Divinum silentium.
Due sono gli elementi fondamentali che costituiscono la essenza di ogni santità: lo spogliamento di sé e l’unione con Dio; e sempre, sotto le sfumature più varie, li troviamo nella vita dei santi. In una carmelitana, l’aspetto negativo riveste la forma di una separazione assoluta. Il Carmelo è il deserto. Dio solo. Ma, tra le anime carmelitane stesse, ciascuna vive in maniera tutta propria questa dottrina del « nulla » della creatura e del « Tutto » di Dio, tanto cara a san Giovanni della Croce, il dottore mistico del Carmelo. Ogni stella differisce dall’altra, non solo per grandezza, ma per una sua luce tutta propria, per un suo particolare splendore. Dio è multiforme nei suoi santi. E vano sarebbe voler fare entrare in un identico stampo due santi di una medesima famiglia religiosa: sotto i caratteri comuni, essi nascondono differenze irriducibili. Ora, il compito del teologo che scruta le profondità di un’anima, soggetto del suo studio, è appunto quello di ben discernere tali differenze. Discernere equivale a vedere più chiaramente. Sono state spesso accostate, oppure contrapposte, santa Teresa di Gesù Bambino e suor Elisabetta della Trinità. Le loro vie sono essenzialmente diverse. La carmelitana di Lisieux effonde su tutto l’universo cattolico con gesto luminosamente stupendo i suoi petali di rose sfogliate per amore; ha insegnato al mondo moderno a ritornare fanciullo per avvicinarsi a Dio. La carmelitana di Digione compie la missione sua presso le anime interiori; suor Elisabetta della Trinità fu la santa del silenzio e del raccoglimento.
1) A 15 anni, nelle sue poesie, Elisabetta Catez sognava la solitudine col suo Cristo: «Vivere con Te, solitaria!… » (Poesie – Agosto 1896). E nel suo diario di fanciulla, a 19 anni, scrive: « Presto sarò tutta tua; vivrò nella solitudine, sola con Te, non occupandomi che di Te, non vivendo che con Te, non conversando che con Te » (Diario – 27 marzo 1899.). E d’estate, in campagna, la sua più grande gioia era ritirarsi nei boschi solitari (Lettera alla signora A… – 29 settembre 1902). Entrata in convento, la solitudine carmelitana la rapisce: « Sola col Solo » è, infatti, tutta la vita del Carmelo. – La carmelitana è essenzialmente una eremita contemplativa, che ha per patria il deserto di Carith e per rifugio la cavità della roccia. – Non già che essa dimentichi le anime che si perdono; — anzi, santa Teresa stabilì la sua riforma alla vista dei disastri causati dall’eresia di Lutero — ma la testimonianza che la carmelitana deve dare a Dio è quella del solitario, il cui sguardo permane fisso su di Lui solo, in un ardente oblìo di tutto il resto: attestazione silenziosa, ma quanto commovente, che la divina Bellezza, ed essa sola, merita tutta l’attenzione di un’anima elevata dalla grazia fino al consortium della vita trinitaria. Dio solo basta. L’opera sua di apostolato è quella della preghiera che tutto ottiene. Un’anima sola che si eleva fino all’unione trasformante è più utile alla Chiesa ed al mondo, di una moltitudine di altre anime che si agitano nell’azione. Suor Elisabetta della Trinità fu il tipo della contemplativa silenziosa la cui azione apostolica si espande, per sovrabbondanza, su tutto l’universo. Fin dal primo giorno, la si vide penetrare a fondo in quello spirito di silenzio e di morte che, al Carmelo, è condizione essenziale di ogni vita divina. Nutriva un culto particolare per il patriarca Elia, il primo fra gli uomini che condusse vita eremitica e a cui Dio aveva comandato di fuggire dai luoghi abitati e di nascondersi, lungi dalla folla, nel deserto: « Parti di qui, e sta ritirato in Carith » (III Re, XVII:3); Elia che aveva insegnato ai monaci eremiti della santa montagna del Carmelo a liberarsi da tutto ciò che non è Dio, per starsene alla sola presenza del Dio vivo, eliminandone ogni altra. Vivere da eremita come Elia, l’uomo solitario e santo, abitare in povere celle, come i monaci del monte Carmelo vivevano nelle cavità della roccia presso la fontana del Profeta, fu il desiderio più caro al cuore di Teresa. « Il genere di vita che noi bramiamo di condurre », scrive la santa nel Capo XIII del « Cammino di perfezione », non è soltanto quello dei religiosi, ma anche quello degli eremiti ». —. « Ricordiamo i nostri santi Padri, gli eremiti di altri tempi, dei quali noi cerchiamo di imitare la vita. Quali sofferenze non hanno dovuto sopportare, e in quale isolamento! ». – Seguendo la valorosa Riformatrice, le sue prime figlie si internavano nel deserto del Carmelo. « La solitudine era tutta la loro gioia », ci dice santa Teresa. « Mi assicuravano che mai erano annoiate e stanche di rimanere sole. Una visita, fosse pure dei loro fratelli e sorelle, costituiva per esse un tormento. Quella poi che aveva maggiore possibilità e agio di rimanere a lungo in eremitaggio, si riteneva la più felice ». Silenzio e solitudine: ecco il più puro spirito del Carmelo. « Potrete avere dimore e case in luoghi solitari… Ciascuna avrà la sua cella separata… Rimanga, ognuna, nella propria cella o vicino ad essa, meditando giorno e notte la divina legge e vegliando in orazione » (La santa Regola). « Nel tempo in cui le suore non saranno in comunità, od occupate negli uffici della comunità, ciascuna rimanga da sola nella sua cella o nel romitaggio che la Madre Priora le avrà permesso… Se ne stiano nei luoghi del loro ritiro, formandosi a quello spirito di solitudine per ottenere il quale la regola ordina che ciascuna stia appartata. Vi sia un terreno in cui si possano costruire degli eremitaggi, affinché esse vi si ritirino per fare orazione, come solevano i nostri santi Padri. Non vi sia nessun luogo in cui si riuniscano per lavorare insieme, per timore che ciò dia occasione a rompere il silenzio » (Costituzioni). – Suor Elisabetta della Trinità possedeva in un grado straordinario questa attrattiva del silenzio che fugge da tutto il creato per stare sempre alla presenza del Dio vivo, in fide. Tutta la sua ascetica si accentra nel silenzio inteso nel senso universale e che costituisce, per lei, la condizione più fondamentale e necessaria ad un’anima che vuole elevarsi fino all’unione divina. Senza volere imporre al suo pensiero degli schemi troppo rigidi, incompatibili con le libere ispirazioni alle quali suor Elisabetta si abbandonava sotto la mozione dello Spirito, si possono ritrovare, nella linea del suo pensiero, tre silenzi: silenzio esteriore, silenzio interiore, e infine un silenzio tutto divino, che è uno degli effetti più sublimi dei doni dello Spirito Santo, e in cui l’anima è puramente passiva. Mancandogli un nome tutto proprio che lo definisca, potremmo chiamarlo, ispirandoci ad uno dei suoi scritti: «silenzio sacro », « silenzio di Dio » analogo al « divinum silentium » delle opere di san Giovanni della Croce.
2) Il silenzio esteriore non è il più necessario, anzi, in alcune circostanze, non è nemmeno possibile. Ma alla anima rimane, anche allora, una grande risorsa: rifugiarsi nell’intimo di se stessa, in quella interiore solitudine senza della quale è impossibile possedere l’unione con Dio. E tuttavia il silenzio esteriore deve essere custodito il più possibile, perché favorisce quello interiore e, in linea normale, a quello conduce. L’amore del silenzio conduce al silenzio dell’amore. – Suor Elisabetta amava la clausura: i colloqui inutili, in parlatorio, erano un tormento, per lei. In molte circostanze, ricorderà ai suoi, con dolcezza ma insieme con fermezza, questo punto della Regola, e con fedele osservanza, si asterrà dalla corrispondenza nel periodo dell’Avvento e della Quaresima, a meno che lo scrivere non le diventi un dovere, perché comandatole dall’obbedienza. Dobbiamo quindi, quanto più da vicino analizziamo le circostanze, riconoscere come una disposizione veramente provvidenziale l’averci ella potuto lasciare tante lettere. Malgrado il suo desiderio di restarsene silenziosa dietro le grate del suo Carmelo. Silenzio col di fuori; e silenzio pure dentro il monastero, nei rapporti con le sue consorelle. Più volte, si impegnò in gare di silenzio; e le due o tre mancanze di cui doveva a si derivavano sempre da un motivo di carità. – A questo spirito di silenzio restò fedele sino all’ultimo giorno. « Una volta — racconta una suora — avevo ottenuto il permesso di portarle qualche cosa in infermeria e di restare con lei fino al termine della ricreazione. Fui accolta con grande effusione di gioia. Ma, appena suonata la campana, essa con dolcezza e con un bel sorriso rientrò nel silenzio; e capii che quella conversazione non doveva prolungarsi. Nulla di rigido vi era in lei; ma la fedeltà prevaleva su tutto ». Le sue preferenze erano sempre per il silenzio. Le suore giovani sapevano così bene che era quello il suo programma unico; …e, in occasione di qualche novena o alla vigilia dei ritiri spirituali, le insinuavano con malizia birichina: « Silenzio, nevvero? Silenzio!… ». Ed ella annuiva sorridendo. Quando, sapendola malata, la Madre Priora le raccomandava di restare il più possibile all’aria aperta, suor Elisabetta sceglieva l’angolo più solitario. « Invece di lavorare nella celletta, me ne sto, come un eremita, nell’angolo più deserto del nostro grande giardino; e vi trascorro ore deliziose. Sento la natura così piena di Dio! Il vento che scuote i grandi alberi, gli uccellini che cantano, il bel cielo azzurro, tutto mi parla di Lui» (Lettera alla mamma – Agosto 1906.). Ma il silenzio più caro era per lei quello della sua celletta: che chiamava « il suo piccolo paradiso » e dove le era delizioso rifugiarsi. « Un pagliericcio, una povera sedia, un leggìo sopra un’asse: ecco tutto il mobilio. Ma è pieno di Dio; e vi passo ore tanto belle, sola con lo Sposo divino! Taccio e Lo ascolto. Fa tanto bene imparare tutto da Lui! E poi… Lo amo » (Lettera alla signora A… – 29 giugno 1903.). – Apprezzava, fra tutte, le ore del silenzio rigoroso della notte. Oh, come amava il suo Carmelo immerso in questo alto silenzio! « Il Carmelo è un angolo di paradiso: si vive nel silenzio e nella solitudine, sole con Dio solo » (Lettera a M. L. M… – 26 ottobre 1902). Due o tre volte all’anno, dove più e dove meno, secondo l’abitudine dei vari monasteri, vengono concesse alle Religiose le così dette « licenze », cioè il permesso di scambiarsi delle visite nelle celle, come facevano un tempo gli eremiti del deserto. Suor Elisabetta aderiva con garbo a questa usanza voluta da santa Teresa, perché le suore si infiammassero a vicenda nell’amore dello Sposo; anzi, proprio in tale circostanza, ricevette una delle grazie più grandi della sua vita: il suo nome di « lode di gloria ». Ma chi non vede come, per l’umana debolezza, questi incontri che dovrebbero essere colloqui di fiamma, possono degenerare in chiacchiere dissipanti? Pura perdita per l’unione divina, scopo unico del Carmelo. Quindi, suor Elisabetta ritornava con gioia al suo caro silenzio, amato sopra tutte le cose. E scriveva alla sorella: « In occasione delle elezioni, abbiamo avuto licenza, cioè potevamo, durante la giornata, farci scambievolmente delle brevi visite. Ma, sai, la vita della Carmelitana è il silenzio » (Lettera alla sorella – Ottobre 1901).
3) Ma il vero silenzio della Carmelitana è il silenzio dell’anima, silenzio in cui essa trova il suo Dio. Discepola fedele di santa, Teresa e di san Giovanni della Croce, suor Elisabetta si esercita a far tacere le sue potenze, e ad isolarsi da tutto il creato. Con ardore inesorabile, immola tutto: lo sguardo, il pensiero, il cuore. « Il Carmelo è come il cielo: bisogna separarsi da tutto, per possedere Colui che è tutto » (Lettera alla mamma – Agosto 1903). – Questa separazione totale dalle creature attirava già appassionatamente il suo cuore di fanciulla: « Facciamo il vuoto, distacchiamoci da tutto; non vi sia più che Lui, Lui solo » (Lettera a M. G… – 1901). « Separiamoci dalla terra, solleviamoci da tutto il creato, da tutto il sensibile »(Lettera a M. G… – 1901). – Costretta a frequentare riunioni e feste mondane, l’anima sua, sottraendosi al tumulto, si elevava fino a Dio. « Mi sembra che nulla ci può distrarre da Lui, quando per Lui solo si agisce, stando sempre alla sua santa presenza, sempre sotto quel divino sguardo che penetra nelle intime profondità dell’anima. Anche in mezzo al tumulto del mondo, si può ascoltarlo, nel silenzio di un cuore che vuole essere unicamente suo » (Lettera al Canonico A… – 1 dicembre 1900). – Suor Elisabetta aveva una devozione particolare per santa Caterina da Siena, non solo per la prodigiosa azione apostolica svolta dalla santa al servizio della politica pontificia, ma anche per la dottrina della. grande mistica domenicana sulla « celletta interiore », costante rifugio della vergine senese in mezzo alle agitazioni umane. Questo silenzio interiore, tanto caro a suor Elisabetta doveva assumere rapidamente in lei la forma di una ascesi universale, e prendere un posto eminente nella sua vita mistica. È puro Vangelo: chi vuole elevarsi a Dio con la orazione deve far tacere in sé le agitazioni vane del di fuori e il tumulto del di dentro, deve ritirarsi nel più profondo di se stesso e là, nel segreto, raccogliersi « a porte chiuse » (S. Matteo, VI-6) dinanzi al Volto del Padre. Così pregava Cristo nelle lunghe notti silenziose della Palestina, quando se ne andava solitario, a sera, sulla montagna, per rimanervi fino al mattino « in orazione con Dio » (S. Luca, VI, 12). Anacoreti e Padri del deserto dei primi secoli della Chiesa dimostrano efficacemente, con la loro vita sottratta ad ogni inutile contatto, l’azione purificatrice del silenzio nella concezione primitiva dell’ascetica cristiana. Il deserto li conduceva al silenzio dell’anima in cui abita Dio. Suor Elisabetta ha compreso questa verità evangelica in un senso tutto carmelitano, secondo la sua grazia personale: silenzio di tutte le potenze dell’anima vigilate e custodite per Dio solo. Nessun tumulto nei sensi esterni, nell’immaginazione, nella volontà. Non vedere nulla. Non ascoltare nulla. Non gustare nulla. In nulla arrestarsi, che possa distrarre il cuore o ritardare l’anima nella sua ascesa verso Dio. E, prima di tutto, sorvegliare gli sguardi. Non diceva il divino Maestro: « Se il vostro occhio vi è ragione di scandalo, strappatelo; perché, se l’occhio è semplice, tutto il corpo è puro e vive nella luce »? (S. Matth. VI, 22). L’impurità e una folla di imperfezioni derivano da questo difetto di vigilanza sugli sguardi. Davide, che ne aveva fatto la dolorosa esperienza, supplicava Iddio di « ritrarre i suoi occhi dalle vanità della terra » (Ps. CXVIII, 37) dove l’anima sua era venuta meno. – L’anima vergine non si permette un solo sguardo che non sia rivolto al Cristo. Il silenzio dell’immaginazione e delle altre potenze dell’anima non è meno necessario; è tutto un mondo interiore di sensazioni e di impressioni che portiamo dovunque con noi, e che ad ogni istante minaccia di sopraffarci. Anche in questo campo deve esercitarsi l’ascesi del silenzio. L’anima che si trastulla ancora coi suoi ricordi. « che va dietro a un desiderio qualsiasi » (Ultimo ritiro – 2° giorno) estraneo a Dio, non è un’anima di silenzio, quale la voleva suor Elisabetta della Trinità. Rimangono in lei delle « dissonanze » (Ibid.), delle sensibilità che fanno troppo rumore, e non lasciano salire a Dio il concerto armonioso che dalle potenze dell’anima dovrebbe elevarsi a Lui senza interruzione. L’intelletto, a sua volta, deve far tacere in sé ogni umano rumore. « Il minimo pensiero inutile » (Ibid.) sarebbe una nota falsa che bisogna eliminare ad ogni costo. Un intellettualismo raffinato che lasci troppo libero giuoco all’intelligenza è un ostacolo sottile al vero silenzio della anima, in cui essa trova Dio nella fede pura. E suor Elisabetta della Trinità, come il suo maestro san Giovanni della Croce, si mostra intransigente su questo punto. « Bisogna estinguere ogni altra luce » (Ultimo ritiro – 4° giorno.) e giungere a Dio, non per mezzo di un sapiente edificio di bei pensieri, ma nella nudità dello spirito. – Silenzio, soprattutto, nella volontà. È la facoltà dell’amore: in essa è in giuoco la nostra santità. E con ragione san Giovanni della Croce riferisce alla volontà le ultime purificazioni che preparano all’unione trasformante. Niente, niente, niente, niente, niente, lungo la salita; e, sulla Montagna, niente (Opere di san Giovanni della Croce.). Suor Elisabetta ha voluto seguire il suo maestro spirituale fino a questo punto estremo del Carmelo. Invita l’anima che vuol giungere all’unione divina, e fortemente la sollecita ad elevarsi al di sopra dei propri gusti, anche i più spirituali, fino a spogliarsi di ogni volontà personale: « Non sapere più nulla… non fare più differenza alcuna fra sentire e non sentire, godere e non godere » (Il paradiso sulla terra -2.2), mantenersi risoluta a tutto superare, per unirsi a Dio solo nell’oblìo e nello mento totale di se stessa. – Suor Elisabetta della Trinità aveva spinto fino a questo punto il suo ideale di silenzio e di solitudine assoluta, lungi da tutto il creato; e noi sappiamo che le ultime ore della sua vita ne furono la realizzazione vivente. Bisogna dunque intenderla come lei, questa ascesi del silenzio, e intenderla nel suo senso profondo. « Non è una separazione materiale dalle cose esteriori, ma una solitudine dello spirito, un distacco assoluto da tutto ciò che non è Dio» (Il paradiso sulla terra – 4a orazione.). « L’anima silenziosa, di fronte a tutte le vicende della vita esteriore come nella sua vita intima, rimane ugualmente indifferente; le supera, le oltrepassa, per riposarsi, al di sopra di tutto, nel seno stesso del suo Dio ». È la notte descritta da san Giovanni della Croce; è la morte ad ogni attività naturale. « L’anima che aspira a vivere in contatto con Dio, nella fortezza inespugnabile del santo raccoglimento, deve essere spogliata, distaccata, separata da tutte le cose, almeno in ispirito » (Il paradiso sulla terra – 5a orazione.). È il silenzio assoluto. alla presenza di Dio solo. Suor Elisabetta della Trinità ha consacrata tutta una elevazione dell’ultimo suo ritiro a cantare questa condizione beata dell’anima che il silenzio interiore ha reso perfettamente libera. – « Vi è un altro canto di Cristo, che io vorrei ripetere incessantemente: « Per te custodirò la mia fortezza » (Salmo LVIII-10 – Isaia, XXX-15). E la mia regola mi dice: « La tua forza sarà nel silenzio ». Dunque, serbare la propria forza per il Signore mi pare che significhi fare l’unità nel nostro essere per mezzo del silenzio interiore; raccogliere tutte le proprie potenze per applicarle al solo esercizio dell’amore; avere quell’occhio semplice che permette alla luce di irradiarci » (Ultimo ritiro – 2° giorno). Un tale silenzio assorbe tutto. « Un’anima che scende a patti col proprio io, che si occupa delle sue sensibilità, che va dietro a un pensiero inutile, a un desiderio qualsiasi, quest’anima disperde le proprie forze: non è concentrata in Dio. La sua lira non vibra all’unisono; e quando il divino Maestro la tocca, non può trarne armonie divine. Vi è ancora troppo di umano, e si produce una dissonanza. L’anima che si riserba ancora qualche cosa del suo regno interiore e le cui potenze non sono tutte « raccolte » in Dio, non può essere una perfetta lode di gloria; essa non è in grado di cantare senza interruzione il « canticum magnum » di cui parla san Paolo, perché in lei non regna l’unità. E invece di proseguire la sua lode attraverso tutte le cose, in semplicità, bisogna che si affanni continuamente a radunare le corde del suo strumento disperse un po’ da per tutto » (Ultimo ritiro – 2° giorno.) Vi è un altro silenzio che l’anima non ha il potere di produrre con la propria attività, ma che Dio stesso opera in lei se rimane sempre fedele, e che costituisce uno dei frutti più elevati dello Spirito Santo: il divinum silentium degli scritti di san Giovanni della Croce. Le potenze non errano più, disperse in cerca delle cose. L’anima non sa più che Dio. È l’unità. – « Come è indispensabile questa bella unità interiore all’anima che vuol vivere quaggiù la vita dei beati, cioè degli esseri semplici, degli spiriti! Mi sembra che proprio a questa unità mirava il Maestro quando parlava alla Maddalena dell’« unum necessarium » (S. Luca, X-42). E come l’aveva compreso bene la grande santa! L’occhio dell’anima sua illuminato dalla fede aveva riconosciuto il suo Dio sotto il velo dell’umanità; e, nel silenzio, nell’unità delle potenze, ascoltava la parola ch’Egli le diceva. Poteva veramente cantare: « L’anima mia è sempre nelle mie mani» (Salmo CXVIII-109,) e soggiungere la breve parola: « Nescivi!» (Cantica VI). Sì, ella non sapeva più niente altro che Lui. Potevano far rumore, potevano agitarsi intorno a lei: «Nescivi! ». accusarla: « Nescivi! ». Nemmeno le ferite recate al suo onore erano capaci, più delle cose esteriori, di farla uscire dal suo sacro silenzio. Così è dell’anima entrata nelle fortezze del santo raccoglimento. – Con l’occhio aperto alle chiarezze della fede, scopre il suo Dio presente, vivente in lei; ed ella, a sua volta, si tiene così fedelmente presente a Lui nella sua bella semplicità, che egli la custodisce con cura gelosa. Possono sopraggiungere le agitazioni esterne, le interne tempeste; può venire intaccato il suo onore: « Nescivi! ». Dio può celarsi, può sottrarle la sua grazia sensibile: « Nescivi! ». E, con san Paolo, esclama: « Per suo amore, ho tutto perduto » (Filippesi, III-8). Allora, il Signore è libero, libero di effondersi, di donarsi a suo beneplacito; e l’anima, così semplificata e unificata, diviene il trono dell’Immutabile, perché l’unità è il trono della Trinità santa » (Ultimo ritiro – 2° giorno.). – San Giovanni della Croce, in un passo celebre, fa allusione al silenzio della Trinità. « Dio Padre non ha che una Parola: il suo Verbo; e la pronuncia in un eterno silenzio… ». In questo silenzio della Trinità, suor Elisabetta ha trovato l’esemplare del suo: «Si faccia, nell’anima, un profondo silenzio, eco di quello che è un canto nella Trinità» (Alla sorella). – L’unione trasformante fa entrare in questo silenzio di Dio. Nell’anima tutto si acquieta: più nulla della terra, più nessun’altra luce che la Luce del Verbo, nessun altro amore che l’eterno Amore. Ed essa, l’anima, riveste i « costumi divini ». La sua vita, superando e dominando da tanta altezza tutte le terrene agitazioni, partecipa alla vita immutabile, « … immobile e tranquilla — secondo la espressione di suor Elisabetta — come se già fosse nella eternità ». Per un tocco speciale dello Spirito Santo, uno dei tocchi più segreti, la sua vita è trasportata nell’immutabile e silenziosa Trinità. Mediante la fede, quaggiù, ma per uno degli effetti più sublimi del dono della sapienza, l’anima vive di Dio, alla maniera di Dio, tutta trasfusa in Lui. Essa più non ascolta che l’eterna Parola: la generazione del Verbo e la spirazione dell’Amore. L’universo tutto quanto è per lei come se non fosse. Giunto a questo grado, il silenzio è il rifugio supremo dell’anima di fronte al mistero di Dio. « Di questo silenzio « pieno, profondo », parlava Davide quando esclamava: « Il silenzio è la tua lode » (Ps. LXV, 2). Sì; è la lode più bella, perché è quella che cantasi eternamente in seno alla tranquilla Trinità » (Ultimo ritiro – 2° giorno). I « divini costumi » sono l’esemplare delle virtù dell’anima giunta a tali vette. E fino ad esse suor Elisabetta della Trinità si era elevata negli ultimi giorni della sua vita, dimentica di sé, spoglia di tutto, per cercare il suo ideale di silenzio e di solitudine in seno a Dio. « Siate perfetti come il vostro Padre Celeste è perfetto » (S. Matth. V, 48). E san Dionigi ci dice che « Dio è “il grande solitario”. Il mio Maestro mi chiede di imitare questa perfezione, di rendergli omaggio con l’essere io pure solitaria ». L’Essere divino vive in un’eterna, in un’immensa solitudine; e, pur interessandosi ai bisogni delle sue creature, non ne esce mai, perché non esce mai da se stesso. E questa solitudine altro non è che la sua Divinità. Perché nulla possa farmi uscire da questo bel silenzio interiore, sono necessarie le stesse condizioni, sempre: lo stesso isolamento, la stessa separazione, lo stesso spogliamento. Se i miei desideri, i miei timori, le mie gioie, i miei dolori, se tutti i movimenti provenienti da queste quattro passioni non saranno perfettamente regolati e orientati a Dio, io non sarò solitaria; vi sarà del tumulto in me. È dunque necessaria la calma, il sonno delle potenze, l’unità dell’essere. « Ascolta, figlia mia, porgi l’orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; e il Re amerà la tua bellezza» (Salmo XLIV-11). Questa chiamata mi sembra che sia un invito al silenzio: « Ascolta, porgi l’orecchio… ». Ma, per udire, bisogna dimenticare la casa paterna, cioè tutto quello che ha relazione con la vita naturale, quella vita della quale vuol parlare l’Apostolo quando dice: « Se vivrete secondo la carne, morrete » (Rom. VIII, 13). « Dimentica il tuo popolo »; è cosa più difficile, mi sembra, perché questo popolo è tutto quel mondo che fa parte di noi stessi: è la sensibilità, sono i ricordi. le impressioni, ecc…, l’îo, in una parola. Bisogna dimenticarlo, abbandonarlo. E quando l’anima ha fatto questo strappo, quando è libera da tutto ciò, allora il Re s’innamora della sua bellezza, perché la bellezza, soprattutto quella di Dio, è unità » (Ultimo ritiro – 10° giorno). – « Il Creatore, vedendo il silenzio bellissimo che regna nella sua creatura, considerandola tutta raccolta nella sua solitudine interiore, si innamora della sua bellezza; e se la porta in quella solitudine immensa, infinita, in quel luogo spazioso cantato dal Profeta, che altro non è se non Lui stesso » (Ultimo ritiro – 11° giorno). Questa solitudine suprema stabilisce l’anima nel silenzio stesso della Trinità. E proprio qui si rifugia suor Elisabetta, nel volo sublime con cui termina la sua preghiera, per perdersi, fin da questa vita, nella tranquilla e immutabile Trinità. «O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente, per fissarmi in Te, immobile e quieta, come se la mia anima già fosse nell’eternità. Che nulla come possa turbar la mia pace né farmi uscire da Te, o mio Immutabile, ma che, ad ogni istante, io penetri sempre più nelle profondità del Tuo Mistero… O miei «tre», mio Tutto, Beatitudine mia, Solitudine infinita, immensità nella quale mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda; seppellitevi in me perché io mi seppellisca in voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra Luce l’abisso abisso delle Vostre grandezze ».