M. M. PHILIPPON
LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (4)
Prefazione del P. Garrigou-Lagrange
SESTA RISTAMPA
Morcelliana ed.Brescia, 1957.
CAPITOLO PRIMO
ITINERARIO SPIRITUALE
II.
CARMELITANA
1) Il suo ideale di Carmelitana — 2) Grazie sensibili del postulandato — 39 ) Le purificazioni del noviziato — 4) Vita profonda.
Quando Elisabetta Catez fu accompagnata nella sua celletta di Carmelitana, la si udì mormorare: « La Trinità è qui ». Fino dal primo atto comune, in refettorio, tutte poterono notare la pia fanciulla, appena terminato il suo pasto frugale, congiungere modestamente le mani sotto la mantellina e, chinati gli occhi, entrare in profonda orazione. La suora incaricata del servizio, osservandola, disse fra sé: « È cosa troppo bella perché duri ». Ma s’ingannava. Il Carmelo di Digione possedeva una santa – (Notizie intorno al Carmelo di Digione. È noto come la venerabile Madre Anna di Gesù, compagna e collaboratrice di S. Teresa nell’opera di riforma del Carmelo in Spagna, venne in Francia ove poté fondare il primo monastero, a Parigi, nel sobborgo S. Giacomo, il 18 ottobre 1604. Subito nell’anno seguente, 1605, la stessa Madre Anna di Gesù fondava il Carmelo di Digione, che ebbe la gloria di ricevere i primi voti offerti a Dio secondo la riforma Carmelitana stabilita anche in Francia. Fu animato sempre dallo spirito più integro di S. Teresa, fino all’ora in cui le Carmelitane furono espulse lontane dai loro monasteri, durante la grande rivoluzione. Restaurato nel 1854 dalla Rev.ma Madre Maria della Trinità, il Carmelo di Digione riprese con lei lo spirito e le tradizioni dell’Ordine carmelitano in Francia, le quali furono fedelmente mantenute dalle due Madri che seguirono: la Rev.da Madre Maria del Cuore di Gesù, e la Rev.da Madre Maria di Gesù, la futura fondatrice del Carmelo di Paray-leMonial. La Madre Germana di Gesù che le succedette, restò priora dal 1901 al 1906, cioè durante tutto il soggiorno di Elisabetta della Trinità; quindi, per vent’anni, a intervalli regolari, il Carmelo di Digione ebbe la grazia di averla ancora come Superiora. La Madre Germana di Gesù fu una grande figura di Carmelitana. Anima di pace e di orazione, di un iene zelo per l’esatta osservanza, ella fu veramente la priora provvidenziale che doveva offrire a suor Elisabetta della Trinità il piano di vita regolare in cui l’anima sua di contemplativa avrebbe potuto liberamente fiorire, in un’atmosfera di silenzio e di raccoglimento. E, con tutta verità, la serva di Dio, ben consapevole e piena di riconoscenza per quella influenza materna, poteva scrivere in un biglietto intimo trovato dopo la sua morte (e che portava sulla busta questa significativa parola: « Segreto per la nostra Rev.da Madre »): « Io porto la Vostra impronta ». – Fino alla sua prima allocuzione in capitolo, presente tutta la Comunità — e anche suor Elisabetta — la nuova Madre priora così tracciava il programma spirituale del suo governo: « Custodire con ogni perfezione possibile, nello spirito tutto apostolico della nostra santa Madre, questa regola e queste Costituzioni che ella ci ha trasmesse dopo averle osservate con sì grande perfezione ». Tale fu la cornice di perfetta vita religiosa in cui suor Elisabetta poté realizzare tanto rapidamente il suo ideale di Carmelitana.).
1) Il formulario che suor Elisabetta della Trinità riempì, in forma ricreativa, otto giorni dopo la sua entrata al Carmelo, ci rivela il suo stato d’animo alle soglie della vita religiosa. I tratti più caratteristici della sua fisonomia spirituale vi appaiono già nettamente segnati: il suo ideale di santità: vivere d’amore per morire di amore — il suo culto appassionato per la divina volontà — la sua predilezione per il silenzio — la sua devozione all’anima di Cristo — la parola d’ordine della sua vita interiore: seppellirsi nel più profondo dell’anima per trovarvi Dio. Nulla è dimenticato, neppure il suo difetto dominante: la sensibilità. Vi manca soltanto quel lavoro di spogliamento che sarà opera delle purificazioni passive del noviziato, e la grazia suprema che trasformerà la sua vita, dandole il senso della sua vocazione definitiva: essere una lode di gloria alla Trinità.
— Qual è, a vostro parere, l’ideale della santità?
— Vivere d’amore.
— Qual è il mezzo più rapido per giungervi?
— Farsi piccolissima e darsi totalmente, per sempre.
Qual è il santo a voi più caro?
— ll discepolo prediletto che riposò sul cuore del divino Maestro.
— Quale il punto della Regola che preferite?
— Il silenzio.
— Qual è la nota dominante del vostro carattere?
— La sensibilità.
— E la vostra virtù prediletta?
— La purità. «Beati i cuori puri, perché vedranno Dio ».
— ll difetto che vi ispira più orrore?
— L’egoismo.
— Date una definizione dell’orazione.
— L’unione di chi non è con Colui che è.
— Qual è il vostro libro preferito?
— L’anima di Cristo: Essa mi svela tutti i segreti del Padre che è nei Cieli.
— Avete grandi desideri del Cielo?
— Ne ho talvolta la nostalgia; ma, tranne la visione di Dio, già lo possiedo nell’intimo dell’anima mia.
— Quali disposizioni vorreste avere nel momento della morte?
— Vorrei morire amando, e cadere così nelle braccia
di Colui che amo.
— C’è un genere di martirio che preferireste?
— Mi piacciono tutti, ma specialmente il martirio di amore.
— Quale nome vorreste avere in Cielo?
— Volontà di Dio.
— Qual è il vostro motto?
– Dio in me e io in Lui.
Secondo la sua grazia personale, ella vive in profondità il suo ideale di Carmelitana. Va dritta all’essenziale: la solitudine, la vita di continua orazione, la consumazione nell’amore. – « La Carmelitana è un’anima che ha guardato il Crocifisso, che l’ha veduto offrirsi come vittima al Padre per le anime, e, raccogliendosi sotto la grande visione della carità di Cristo, ha compreso la passione d’amore dell’anima di Lui e, come Lui, vuole donare se stessa. Sulla montagna del Carmelo, nel silenzio, nella solitudine, in un’orazione non interrotta mai, perché continuata attraverso tutte le occupazioni, la Carmelitana vive già come vivrà in Cielo, « di Dio solo ». Colui che formerà un giorno la sua beatitudine e la sazierà nella gloria, già si dona a lei; non si allontana mai, dimora nell’anima sua; anzi, ancora di più: tutti e due non sono che Uno. Perciò, essa è famelica di silenzio, per ascoltarlo sempre, per penetrare sempre di più nell’Essere Suo, infinito. È immedesimata in Colui che ama e da per tutto Lo trova, in tutto Lo vede risplendere » (Lettera a G. de G… – 7 agosto 1902.). « Questa è la vita al Carmelo: vivere in Lui. Allora, le rinunce, le immolazioni diventano, in certo modo divine. L’anima vede in tutto Colui che ama e tutto la porta a Lui. È un cuore a cuore continuo. L’orazione è l’essenza della vita al Carmelo » (Lettera a G. de G… – 14 settembre 1902.). – Il punto della Regola che preferisce è il silenzio; e, fino dai primi giorni, è entusiasta della massima familiare alle antiche Madri Carmelitane: Sola col Solo.
2) Come per lo più accade, le prime fasi della vita religiosa di suor Elisabetta della Trinità furono caratterizzate da un’onda di consolazioni sensibili. Il Signore avvia lentamente le anime verso le cime. Le conduce al Calvario attraverso il Tabor. Suor Elisabetta, spesso, se ne andava alla sua superiora a dirle: « Madre, non posso reggere a questo peso immenso di grazie ». Appena giunta in coro e inginocchiatasi, sì sentiva compenetrata da un raccoglimento profondo, irresistibile. L’anima sua pareva come immobilizzata in Dio. – Passava nei chiostri, silenziosa e raccolta, senza che nulla potesse distrarla dal suo Cristo. Lo trovava dovunque. Un giorno, mentre attendeva a riordinare la casa, una suora la vide talmente compresa della presenza di Dio, che non osò avvicinarsele. Fuorché nelle ore di ricreazione — in cui suor Elisabetta si mostrava gaia e spontanea, d’una grazia incantevole, parlando con ciascuna delle consorelle di ciò che sapeva far loro piacere — tutto il suo esteriore rivelava un’anima posseduta da Dio. Questo raccoglimento di tutte le sue potenze quasi assorbite in Dio le faceva commettere, anche nella recita dell’Ufficio, delle dimenticanze involontarie di cui si accusava con sincera umiltà. La grazia la portava. – Così trascorsero i mesi del postulandato. L’8 dicembre ebbe luogo la cerimonia della vestizione, presenziata dal Padre Vallée. Tutta presa dalla gioia del dono totale al suo Signore, suor Elisabetta, quel giorno, non si accorse nemmeno di quanto accadeva intorno a lei, interamente, posseduta da Colui che l’aveva rapita. La sera, quando si ritrovò nella sua celletta sola col suo Cristo, era esultante, e dal cuore le saliva a Dio il cantico della riconoscenza. Per tutta una vita d’amore, essa era finalmente « Sola col Solo ».
3) Fino a quell’ora, la grazia divina l’aveva portata. Ma le mancava di assaporare a lungo il suo nulla, di sentirsi miserabile e capace di ogni male, e divenire così, attraverso tale esperienza, più comprensiva della fragilità delle sue consorelle. E il Signore, per un lungo anno, l’abbandonerà a se impotenze, ai suoi scoramenti, ai dubbi sull’avvenire, persino sulla sua vocazione. Sarà necessario che, la vigilia della sua professione, un Sacerdote venga a rassicurarla, e a manifestare la volontà di Dio alla sua anima smarrita. Disparve la soave facilità dell’orazione. Non più colpi d’ala; l’anima si trascinava penosamente; ed essa lo sentiva. La sua natura d’artista rimaneva inerte, la sua sensibilità moriva. Quante volte la povera novizia se ne ritornava dalla sua Madre maestra esponendole candidamente le impotenze, le lotte, le tentazioni, il martirio della sua sensibilità che stava attraversando le notti tremende descritte da san Giovanni della Croce! Per coadiuvare il lavoro di Dio, la Madre Germana di Gesù, che si era resa conto dell’eccessiva sensibilità di Elisabetta fin dalla sua entrata al Carmelo, la conduceva con bontà, ma con fermezza. La giovane postulante godeva di passeggiare sulla terrazza, a tarda sera, durante il silenzio rigoroso; la vista del firmamento dava all’anima sua l’impressione del contatto con Dio. Una sera, mentre il monastero era immerso nel più profondo silenzio, passò di là Madre Germana. E la novizia, l’indomani, si sentì rivolgere queste parole: « Non si viene al Carmelo per sognare contemplando le stelle. Andate a Lui con la pura fede ». – In seguito, per provarla, non lasciava passare alcuna occasione di riprenderla anche delle imperfezioni minime, delle più lievi dimenticanze. Suor Elisabetta baciava umilmente la terra, e se ne andava. Sapientemente, la Madre Germana di Gesù disciplinava una tenerezza che avrebbe potuto facilmente divenire pericolosa; e la coraggiosa figliola lasciava fare, perché comprendeva più di ogni altro e per esperienza quanto aveva bisogno di vegliare continuamente sul suo cuore. Quando era ancora giovinetta, si era attaccata, in modo un po’ esagerato, ad un’amica che incontrava quasi tutti i giorni al Carmelo, e con la quale i colloqui intimi si prolungavano. Aveva bisogno di scriverle spesso, di leggere e rileggere le sue lettere, soprattutto le frasi in cui l’amica sua la assicurava che era lei la più cara. – Questo sguardo retrospettivo, a questo punto, sul suo passato di fanciulla, diffonde una luce singolare sulla sua psicologia religiosa. « Sorellina mia – le scriveva – non siamo che una, non ci separiamo mai. Se credi il sabato faremo la santa Comunione l’una per l’altra; sarà il nostro contratto, sarà l’« Uno » per sempre. D’ora innanzi, quando Egli guarderà Margherita, guarderà anche Elisabetta; quando darà all’una, darà anche all’altra, perché non vi sarà più che una sola vittima, una sola anima in due corpi. Forse sono troppo sensibile, Margherita, ma sono stata così felice quando mi hai detto che sono io la tua sorella più cara! Mi fa tanto bene rileggere quelle righe. Quanto a te, lo sai che sei tu la mia sorella diletta fra tutte; c’è bisogno che te lo dica? Quando eri malata, sentivo che nulla, neppure la morte, avrebbe potuto separarci. Oh, io non so quale di noi due il Signore, chiamerà a sé per la prima; ma neppure allora avrà termine la nostra unione, nevvero? anzi, raggiungerà allora la sua consumazione. Come farà bene parlare a Colui che amiamo della sorella che ci avrà preceduto in cielo, vicino a Lui! Chi sa? Forse ci chiederà di versare per Lui il nostro sangue. Che gioia, subire insieme il martirio! Non posso pensarci; sarebbe troppo bello… Intanto, diamogli il sangue del nostro cuore, & goccia a goccia » (Lettera a M. G… – 1901). – Si sente, attraverso a queste righe, un po’ di esaltazione sentimentale; e la testimonianza raccolta dalle labbra stesse di quest’amica ci obbliga a riconoscere in Elisabetta eccessiva tenerezza di cuore. Ma chi potrebbe meravigliarsi di queste debolezze dei santi? Santa Margherita Maria non si lasciò arrestare anch’essa, un istante, da un affetto troppo umano per una delle sue consorelle, affetto che dal cuore purissimo di Gesù le veniva rimproverato? San Tommaso, che fu un grande dottore e un grande santo, insegna che nessuno sulla terra, può interamente sottrarsi alle colpe della fragilità; ne sfuggono persino ai più perfetti. Ci sarebbe da scrivere un bel libro – e quanto consolante per noi – sui difetti dei santi e sul lavoro compiuto da loro, e dalla grazia in loro, per correggersi. Appena Elisabetta Cadez si accorse che il suo cuore era schiavo, gli ridonò tutta la sua libertà, senza violenza, con delizia squisita, ma con fermezza eroica. « Margherita cara, ho qualche cosa da confidarti; ma non vorrei farti soffrire. Sai, questa mattina. mentre ero vicina a te in Cappella, sentivo che ciò era bello, ancor più bello delle nostre care conversazioni; e, se tu acconsenti, trascorreremo così, accanto a Lui, l’una vicina all’altra, il tempo che passavamo in giardino. Ti dò dispiacere con queste mie parole? Dimmi, sorellina mia, non l’hai sentito tu pure come me? Credo di sì. Oh, dimmelo semplicemente! Sai che alla tua Elisabetta puoi dire tutto » (Lettera a M. G.). – «Dopo questo atto di generoso distacco — ci diceva quest’amica intima — l’ho sentita allontanarsi ». Nella fase delle purificazioni passive subìte da suor Elisabetta durante il noviziato, avvenne qualche cosa di analogo, ma di molto più profondo. Tutti i suoi sensi dovettero passare attraverso questo assoluto distacco, il solo che rende liberi. Ma intorno a lei, nessuno mai, fuorché la sua superiora, suppose questa fase di angoscia purificatrice. Tutto quello che sembrava dovesse consolarla, la lasciava indifferente o la turbava. Un ritiro predicato dal Padre Vallée, del quale ella seppe apprezzare come sempre la bella e profonda dottrina, riuscì a liberarla da quest’agonia intima. Il Padre stesso non la capiva più e ripeteva con tristezza: « Che avete fatto della mia Elisabetta? Me la avete cambiata…. ». Ma le creature non c’entravano. Quel mutamento, per lui incomprensibile, dipendeva da Dio. In quel rude anno di prova, suor Elisabetta acquistò una fede più forte e un’esperienza del dolore che la renderà capace di comprendere e di consolare altre anime provate da Dio; divenne più virile; definitivamente stabilita in una vita spirituale tutta basata sulla pura fede, vita che, d’ora innanzi, scorrerà calma sotto lo sguardo di Dio, al sicuro da ogni ridestarsi della sensibilità; questo, il risultato essenziale di tale periodo di purificazione. Insieme al pieno equilibrio morale, anche le forze fisiche ritornarono. Il Capitolo del monastero l’ammise alla professione; e la bella notizia le fu comunicata il giorno di Natale. Come in tutte le circostanze più importanti della sua vita, suor Elisabetta si rifugia nella preghiera onnipotente di Cristo che s’immola sull’Altare; ma questa volta, con una particolare intensità; e tutta una novena di sante Messe implora dal Sacerdote, amico venerato, che era stato il primo confidente delle sue aspirazioni alla vita religiosa quando, piccina ancora, gli saltava sulle ginocchia. Quindi, sotto il suo velo abbassato, suor Elisabetta disparve. La comunità la vedeva passare per i chiostri come un’ombra, col volto sempre velato, e l’avvolgeva nella sua fraterna preghiera. – Ma quel ritiro in preparazione alla professione, cominciato con una prospettiva tanto lieta, divenne ben presto penosissimo, ridestando il problema dell’avvenire e della vocazione. Bisognò ricorrere a un religioso di profonda esperienza, che la rassicurò; e suor Elisabetta credette alla parola del sacerdote come alla voce di Cristo. Al Carmelo, si usa trascorrere la notte che precede la professione in una veglia santa di preparazione. Suor Elisabetta era in coro, tutta raccolta nel suo Dio, tutta protesa nell’offerta a Lui della propria vita, scongiurandolo di prenderla per la Sua gloria. E il Maestro divino le si fece sentire. « La notte che precedette il gran giorno, mentre ero in coro in attesa dello Sposo, compresi che il mio cielo cominciava sulla terra, il cielo nella fede, con la sofferenza e l’immolazione per Colui che amo » (Lettera al Canonico A… – 15 luglio 1903). – Si iniziava una nuova fase di vita spirituale. Sofferenze di una sensibilità non ancor del tutto purificata, scrupoli e angosce per dei nonnulla, tutto questo è ormai passato; d’ora innanzi, ella procederà sulla via del suo Calvario con la confidenza serena e incrollabile di una sposa che si sa tanto amata; avanzerà, tra le sofferenze più eroiche, con la maestà di una regina.
4) L’indomani della sua professione, suor Elisabetta della Trinità si impegnò decisamente nella conquista della perfezione religiosa, senza esaltazione della sensibilità, ma con slancio nuovo, e con la forza calma ed eroica che la condurrà, di sacrificio in sacrificio, fino alla immolazione del Calvario. Tutto il suo programma di vita interiore fu la realizlazione del suo nome: suor Elisabetta, cioè « Casa di Dio. abitata dalla Trinità ». E veramente, questa presenza di Dio a cui l’anima tende attraverso a tutto, è proprio l’essenza della vita carmelitana vissuta nella più costante tradizione dell’Ordine. Nel suo Castello dell’anima santa Teresa vi ritorna continuamente: « L’intimità con le Tre Persone divine » costituisce la verità centrica della sua dottrina mistica. Suor Elisabetta della Trinità, per una grazia speciale, trovò l’attrattiva più spiccata della sua vita interiore. Le sue lettere, le conversazioni in parlatorio, le sue poesie, le risoluzioni dei suoi ritiri, tutto converge in questa divina abitazione nell’intimo; che fu, lo dice ella stessa, « il bel sole irradiante tutta la sua vita… Dal giorno in cui compresi questa verità, tutto fu luminoso per me » (Lettera alla sienora B…1906). «Il mio continuo esercizio è rientrare in me stessa e perdermi in Coloro che vi abitano » (Lettera a G. de G… – Fine del settembre 1903). Man mano che gli anni della sua vita religiosa scorrevano, l’anima sua si seppelliva sempre più nella Trinità pacifica e pacificatrice che, ad ogni istante, le comunicava qualche cosa della sua eterna vita. C’erano ancora talvolta, è vero; in fondo al suo essere, dei leggeri turbamenti; ma tutto in lei si andava acquetando, e taceva. « Come si è felici quando si vive nell’intimità col Signore, quando la vita si trasforma in un cuore a cuore con Lui. in uno scambio di amore, quando si sa trovare il Maestro divino nel profondo dell’anima! Allora non si è mai soli. e si ha bisogno di solitudine per godere della presenza di questo Ospite adorato. Tutto s’illumina e la vita è tanto bella ». ( Lettera a F. de S… – 28 aprile 1903). « Mi chiedete quali sono le mie occupazioni al Carmelo; potrei rispondervi che, per la carmelitana, non ce n’è che una: Amare, pregare » (Lettera alla signora A… – 29 giugno 1903.). « La vita della carmelitana è una comunione con Dio dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Se Egli non riempisse le nostre celle e i nostri chiostri, come sarebbero vuoti! Ma noi Lo vediamo in tutto perché Lo portiamo in noi; e la nostra vita è un paradiso anticipato » (Lettera a F. de S… – 1904). – Il ritmo soave di questa vita spirituale è semplicissimo e si svolge intorno ad alcuni motivi essenziali, sempre gli stessi; custodire il silenzio e credere all’Amore che è lì, nel profondo dell’anima, per salvarla. Vi sono ancora molte notti oscure e molte impotenze; ma che cosa importano le fluttuazioni involontarie di una anima che vive alla presenza dell’Immutabile? A poco a poco, tutto si calma e si divinizza. – Così trascorreva la vita di suor Elisabetta della Trinità. In quel Carmelo fervoroso in cui tante altre anime grandi vivevano di Dio, per la Sua gloria, non immaginiamocela quasi un essere straordinario, segnata a dito come santa. Nei monasteri, per lo più, non si canonizzano le anime se non quando si sono perdute. A Digione, suor Elisabetta della Trinità era semplicemente la novizia sempre fedele che, come tante altre, da vera carmelitana, passava « tutta nascosta, con Cristo, in Dio » (I Coloss. III, 3).