DOMENICA SECONDA DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA NELL’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI II DOPO PENTECOSTE (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Chiesa ha scelto, per celebrare la festa del Corpus Domini, il giovedì che è fra la domenica nella quale il Vangelo parla della misericordia di Dio verso gli uomini e del dovere che ne deriva per i Cristiani di un amore reciproco (l^ dopo Pentecoste) e quella (II dopo Pentecoste) nella quale si ripetono le stesse idee (Epist.) e si presenta il regno dei cieli sotto il simbolo della parabola del convito di nozze (Vang.). [Questa Messa esisteva coi suoi elementi attuali molto prima che fosse istituita la festa del Corpus Domini. Niente infatti poteva essere più adatta all’Eucaristia, che è il banchetto ove tutte le anime sono unite nell’amore a Gesù, loro sposo, e a tutte le membra mistiche. Niente poi di più dolce che il tratto nel quale si legge nell’Ufficio la storia di Samuele che fu consacrato a Dio fin dalla sua più tenera infanzia per abitare presso l’Arca del Signore e diventare il sacerdote dell’Altissimo nel suo santuario. La liturgia ci mostra come questo fanciullo offerto da sua madre a Dio, serviva con cuore purissimo il Signore nutrendosi della verità divina. In quel tempo, dice il Breviario, « la parola del Signore risuonava raramente e non avvenivano visioni manifeste », poiché Eli era orgoglioso e debole, e i suoi due figli Ofni e Finees infedeli a Dio e incuranti del loro dovere. Allora il Signore si manifestò al piccolo Samuele poiché « Egli si rivela ai piccoli, dice Gesù, e si nasconde ai superbi », e S. Gregorio osserva che « agli umili sono rivelati i misteri del pensiero divino ed è per questo che Samuele è chiamato un fanciullo ». E Dio rivelò a Samuele il castigo che avrebbe colpito Eli e la sua casa. Ben presto, infatti l’Arca fu presa dai Filistei, i due figli di Eli furono uccisi ed Eli stesso morì. Dio aveva così rifiutato le sue rivelazioni al Gran Sacerdote perché tanto questi come i suoi figli, non apprezzavano abbastanza le gioie divine figurate nel « gran convito » di cui parla in questo giorno il Vangelo, e si attaccavano più alle delizie del corpo che a quelle dell’anima. Così, applicando loro il testo di S. Gregorio nell’Omelia di questo giorno, possiamo dire che « essi erano arrivati a perdere ogni appetito per queste delizie interiori, perché se n’erano tenuti lontani e da parecchio tempo avevano perduta l’abitudine di gustarne. E perché non volevano gustare la dolcezza interiore che loro era offerta, amavano la fame che fuori li consumava». I figli d’Eli, infatti prendevano le vivande che erano offerte a Dio e le mangiavano; ed Eli, loro padre, li lasciava fare. Samuele invece, che era vissuto sempre insieme con Eli, aveva fatto sue delizie le consolazioni divine. Il cibo che mangiava era quello che Dio stesso gli elargiva, quando, nella contemplazione e nella preghiera gli manifestava i suoi segreti. « Il fanciullo dormiva » il che vuol dire, spiega S. Gregorio, «che la sua anima riposava senza preoccupazione delle cose terrestri ». « Le gioie corporali, che accendono in noi un ardente desiderio del loro possesso, spiega questo santo nel suo commento al Vangelo di questo giorno, conducono ben presto al disgusto colui che le assapora per la sazietà medesima; mentre le gioie spirituali provocano il disprezzo prima del loro possesso, ma eccitano il desiderio quando si posseggono; e colui che le possiede è tanto più affamato quanto più si nutre ». Ed è quello che spiega come le anime che mettono tutta la loro compiacenza nei piaceri di questo mondo, rifiutano di prender parte al banchetto della fede cristiana ove la Chiesa le nutre della dottrina evangelica per mezzo dei suoi predicatori. « Gustate e vedete, continua S. Gregorio, come il Signore è dolce ». Con queste parole il Salmista ci dice formalmente: «Voi non conoscerete la sua dolcezza se voi non lo gusterete, ma toccate col palato del vostro cuore l’alimento di vita e sarete capaci di amarlo avendo fatto esperienza della sua dolcezza. L’uomo ha perduto queste delizie quando peccò nel paradiso: ma le ha riavute quando posò la sua bocca sull’alimento d’eterna dolcezza. Da ciò viene pure che essendo nati nelle pene di questo esilio noi arriviamo quaggiù ad un tale disgusto che non sappiamo più che cosa dobbiamo desiderare. » (Mattutino). « Ma per la grazia dello Spirito Santo siamo passati dalla morte alla vita » (Ep.) e allora è necessario come il piccolo e umile Samuele che noi, che siamo i deboli, i poveri, gli storpi del Vangelo, non ricerchiamo le nostre delizie se non presso il Tabernacolo del Signore e nelle sue intime unioni. Evitiamo l’orgoglio e l’amore delle cose terrestri affinché « stabiliti saldamente nell’amore del santo Nome di Dio » (Or.), continuamente « diretti da Lui ci eleviamo di giorno in giorno alla pratica di una vita tutta celeste » (Secr.) e « che grazie alla partecipazione al banchetto divino, i frutti di salute crescano continuamente in noi » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XVII: 19-20.

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.

[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene] Ps XVII: 2-3

Díligam te. Dómine, virtus mea: Dóminus firmaméntum meum et refúgium meum et liberátor meus.

[Amerò Te, o Signore, mia forza: o Signore, mio sostegno, mio rifugio e mio liberatore.]

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.

[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.]

Oratio

Orémus. Sancti nóminis tui, Dómine, timórem páriter et amórem fac nos habére perpétuum: quia numquam tua gubernatióne destítuis, quos in soliditáte tuæ dilectiónis instítuis.

[Del tuo santo Nome, o Signore, fa che nutriamo un perpetuo timore e un pari amore: poiché non privi giammai del tuo aiuto quelli che stabilisci nella saldezza della tua dilezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli 1 Giov. III: 13-18

“Caríssimi: Nolíte mirári, si odit vos mundus. Nos scimus, quóniam transláti sumus de morte ad vitam, quóniam dilígimus fratres. Qui non díligit, manet in morte: omnis, qui odit fratrem suum, homícida est. Et scitis, quóniam omnis homícida non habet vitam ætérnam in semetípso manéntem. In hoc cognóvimus caritátem Dei, quóniam ille ánimam suam pro nobis pósuit: et nos debémus pro frátribus ánimas pónere. Qui habúerit substántiam hujus mundi, et víderit fratrem suum necessitátem habére, et cláuserit víscera sua ab eo: quómodo cáritas Dei manet in eo? Filíoli mei, non diligámus verbo neque lingua, sed ópere et veritáte.”

[“Carissimi: Non vi meravigliate se il mondo vi odia. Noi sappiamo d’essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida; e sapete che nessun omicida ha la vita eterna abitante in sé. Abbiam conosciuto l’amor di Dio da questo: che egli ha dato la sua vita per noi; e anche noi dobbiam dare la vita per i fratelli. Se uno possiede dei beni di questo mondo e, vedendo il proprio fratello nel bisogno, gli chiude le sue viscere, come mai l’amor di Dio dimora in lui? Figliuoli miei, non amiamo a parole e con la lingua, ma con fatti e con sincerità”].

VERA E FALSA CARITÀ.

Noi andiamo o fratelli, coll’Apostolo della carità e con il suo veramente divino apostolato, di meraviglia in meraviglia. Domenica scorsa l’Apostolo San Giovanni ha messo la carità in cielo. Dio è Carità — ha pronunziato una parola di sublimità incomparabile. Questa domenica, dal cielo più alto discende sul terreno più umile; scrive parole di una incomparabile praticità: « Miei figliuoli, non amiamo a chiacchiere… o più letteralmente ancora, non amiamo colla bocca, colle parole, amiamo coll’opera, se vogliamo amare per davvero ». Dove è chiaro che si tratta di quell’amore che merita nome di carità e della carità che corre le vie della terra, tra uomo e uomo. L’Apostolo ha l’orrore della carità falsa, apparente — che sembra carità e non è carità, come un banchiere (i banchieri sono i devoti, gli apostoli, i mistici della moneta, della vera, s’intende) detesta, abborre, abbomina la moneta falsa — che pare e non è, che par oro ed è orpello. E qual è questa carità falsa? È proprio la carità che non fa e parla. Il non fare ne costituisce il non essere, e il parlare le dà l’apparenza. La parola buona, caritatevole, vuota di opere; non è più abito, è maschera, è commedia. Come frequente allora e adesso la commedia della carità! Come facile e frequente (appunto perché tanto facile) l’impietosirsi gemebondo sulla miseria del prossimo. Poverino qua! Poverino là! E come frequente la esaltazione verbale della carità: facile e frequente il panegirico della filantropia! E quanti, sfogato così il loro istinto retorico e sentimentale, si credono, si sentono in pace con la loro coscienza! Credono di aver fatto tutto, perché hanno parlato molto! L’Apostolo della carità è terribilmente e semplicemente realista. Che cosa serve tutta questa logorrea? A che cosa serve per chi soffre la fame, il freddo, lo sconforto della vita? Nulla. Le parole lasciano il tempo che trovano. E che sincerità in queste parole infeconde, sistematicamente, regolarmente infeconde di opere! Che razza di cuore, di carità ha colui che vede il suo prossimo in bisogno, e non fa nulla per sollevarlo? Vede aver fame e non gli dà da mangiare? aver sete e non gli amministra da bere? – Fare bisogna, se si vuole che la carità sfugga all’accusa, al sospetto di simulazione, di ipocrisia. L’opera è la figlia dell’amore, ne è la prova sicura e perentoria. Fare, notate, dice l’Apostolo, anziché semplicemente dare, perché il dare è una forma particolare del fare. Fare quello che si può con le persone che si amano fraternamente davvero. – Fare per gli altri quello che, a parità di condizione, faremmo e vorremmo che gli altri facessero per noi. Fare e molto, e bene, e sempre. Fare non per farsi vedere, ma per renderci benefici. Fare del bene, non fare del rumore. C’è più carità in una goccia di operosità, che in un mare di chiacchiere. E allora il grande quesito che noi dobbiamo proporci se vogliamo esaminarci bene sul capitolo della carità, la virtù che ci assomiglia a Dio, il grande quesito è questo: che cosa, che cosa abbiamo fatto, che cosa facciamo? cosa, cosa, non parole!

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch. Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps CXIX: 1-2 Ad Dóminum, cum tribulárer, clamávi, et exaudívit me.

[Al Signore mi rivolsi: poiché ero in tribolazione, ed Egli mi ha esaudito.]

Alleluja

Dómine, libera ánimam meam a lábiis iníquis, et a lingua dolósa. Allelúja, allelúja

[O Signore, libera l’ànima mia dalle labbra dell’iniquo, e dalla lingua menzognera. Allelúia, allelúia]

Ps VII:2

Dómine, Deus meus, in te sperávi: salvum me fac ex ómnibus persequéntibus me et líbera me. Allelúja.

[Signore, Dio mio, in Te ho sperato: salvami da tutti quelli che mi perseguitano, e liberami. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc. XIV: 16-24

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis parábolam hanc: Homo quidam fecit coenam magnam, et vocávit multos. Et misit servum suum hora coenæ dícere invitátis, ut venírent, quia jam paráta sunt ómnia. Et coepérunt simul omnes excusáre. Primus dixit ei: Villam emi, et necésse hábeo exíre et vidére illam: rogo te, habe me excusátum. Et alter dixit: Juga boum emi quinque et eo probáre illa: rogo te, habe me excusátum. Et álius dixit: Uxórem duxi, et ídeo non possum veníre. Et revérsus servus nuntiávit hæc dómino suo. Tunc irátus paterfamílias, dixit servo suo: Exi cito in pláteas et vicos civitátis: et páuperes ac débiles et coecos et claudos íntroduc huc. Et ait servus: Dómine, factum est, ut imperásti, et adhuc locus est. Et ait dóminus servo: Exi in vias et sepes: et compélle intrare, ut impleátur domus mea. Dico autem vobis, quod nemo virórum illórum, qui vocáti sunt, gustábit cœnam meam”.

(“In quel tempo disse Gesù ad uno di quelli che sederono con lui a mensa in casa di uno dei principali Farisei: Un uomo fece una gran cena, e invitò molta gente. E all’ora della cena mandò un suo servo a dire ai convitati, che andassero, perché tutto era pronto. E principiarono tutti d’accordo a scusarsi. Il primo dissegli: Ho comprato un podere, e bisogna che vada a vederlo; di grazia compatiscimi. E un altro disse: Ho comprato cinque gioghi di buoi, o vo a provarli; di grazia compatiscimi. E l’altro disse: Ho preso moglie, e perciò non posso venire. E tornato il servo, riferì queste cose al suo padrone. Allora sdegnato il padre di famiglia, disse al servo: Va tosto per le piazze, e per le contrade della città, e mena qua dentro i mendici, gli stroppiati, i ciechi, e gli zoppi. E disse il servo: Signore, si è fatto come hai comandato, ed evvi ancora luogo. E disse il padrone al servo: Va per le strade e lungo le siepi, e sforzali a venire, affinché si riempia la mia casa. Imperocché vi dico, che nessuno di coloro che erano stati invitati assaggerà la mia cena”

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

LA CENA EUCARISTICA

Un uomo fece una grande cena e invitò molti. All’ora della cena mandò un suo servo a dire ai convitati: « Venite che è pronta ». Ma presero tutti a scusarsi. Il primo disse: « Ho comprato un podere, e bisogna che vada a vederlo: ti prego di scusarmi ». Un altro disse: « Ho comprato cinque paia di buoi e vo’ a provarli: ti prego di scusarmi ». Un altro ancora sgarbatamente rispose: « Ho preso moglie, e non posso venire ». Quando il servo ritornato riferì questi rifiuti, il padrone esclamò: «Va’ per le strade e lungo le siepi, e chiunque trovi forzalo a venire qua, che si riempia la mia casa; perché io ti assicuro che nessuno di coloro invitati prima assaggerà la mia cena ». Sotto il velo di questa parabola, Gesù Cristo ha nascosto tutto il suo amore, e tutta la nostra ingratitudine. L’uomo che fece una grande cena, è Lui che istituì la Santa Comunione, in cui non un pane qualsiasi si mangia, ma il pane di vita disceso dal cielo, il pane che toglie la fame per sempre. Gli invitati che cercarono dei pretesti per non venire, siamo noi che preferiamo vivere tra le nostre basse faccende e tra i peccati piuttosto che accorrere al sacro banchetto dell’Eucaristia, ove la Carne di un Dio è fatta cibo, e il sangue di un Dio è fatto bevanda. In questo momento, mentre Gesù Cristo ci guarda dall’altare, meditiamo la grandezza della sua Cena Eucaristica, e l’ingratitudine dei nostri rifiuti. – 1. LA GRAN CENA. Una notte, nel convento di Chiovia, risuonò un urlo di orrore: «I tartari! I tartari! ». Questo popolo feroce, nemico degli uomini e di Dio, con carri, con armi e con fiaccole, era alle porte della città, pronto a metterla a ferro e a fuoco. Nelle vie s’udiva lo strepito degli uomini, i pianti delle donne e dei fanciulli che fuggivano portando con sé le cose più care. Anche i monaci erano già fuggiti dal convento; ed anche S. Giacinto, che ne era il priore, stava per fuggire. Quando udì, o gli parve d’udire, una chiara voce chiamarlo per nome: « Giacinto! ». Si accorse che quel richiamo veniva dalla chiesa, usciva dal santo Tabernacolo. Giacinto, tu fuggi e mi lasci qui solo? Che cosa mangerai domani e dopo domani, se dimentichi il Cibo della tua vita? Come potrai resistere alle orde dei barbari, e ai pericoli della fuga, se non avrai da mangiare?». Giacinto allora entrò in chiesa, prese il SS. Sacramento e fuggì. Anche la nostra vita è agitata e piena d’affanni come una fuga. Non fuggiamo noi, attraverso a pene e a fatiche, davanti alla morte che c’incalza inesorabilmente? E tutt’intorno ci assediano i nostri nemici, il mondo, la carne, i demoni. Chi potrà sostenere le nostre deboli forze in queste lotte continue? Quale cibo potrà nutrire la nostra anima debole e paurosa? La santa Eucaristia. Ecco la gran Cena che Gesù imbandisce ogni giorno per noi. a) S. Agostino, profondamente commosso davanti al sacramento dell’Eucaristia, diceva: « Dio è sapientissimo: eppure negli abissi immensi della sua sapienza, non poteva inventare un dono più grandioso di questo. Dio è onnipotente: eppure nella sua onnipotenza non poteva fare prodigio più meraviglioso di questo. Dio è ricchissimo: eppure nella sua inesauribile generosità non poteva farci un dono più prezioso di questo ». Che cosa v’è di più grande, di più meraviglioso, di più prezioso di Dio? Certamente nulla. Ebbene, nella santa Comunione, noi riceviamo Dio. Quante volte abbiamo invidiato la fortuna di quei pastori che nella notte di Natale poterono vedere e abbracciare il celeste Bambino! Quante volte abbiamo con invidia pensato ai Re Magi, che depositarono i loro doni nelle manine stesse di Gesù! Quante volte abbiamo agognato la bella sorte del vecchio Simeone, che nel tempio di Gerusalemme ha stretto sul suo cuore il Figlio di Dio, e l’ha coperto di baci e di pie lacrime!… Ebbene, nella santa Comunione non solo possiamo vedere, adorare, abbracciare Gesù, ma possiamo riceverlo nel più intimo dell’anima nostra, possiamo unirci a Lui e incorporarci a Lui in una maniera ineffabilmente divina. O sacrum convivium in quo Christus sumitur! O santo banchetto in cui ci nutriamo di Cristo! b) E chi saranno i pochi fortunati che vengono ammessi a questa Cena? Forse soltanto quelle anime che non caddero nemmeno una volta nel peccato, o che fuggirono dal mondo e vivono nei chiostri con penitenza e preghiera? Ah no: non vi sono privilegi. Tutti i Cristiani vi sono invitati: poveri e ricchi, deboli e forti, ignoranti e dotti, pur che non siano in peccato mortale. E ciascuno più riceve e più gusta, quanto più vi porta di fede, di umiltà, di purezza, di dolore dei peccati. O sacrum convivium in quo Christum sumitur! O santo banchetto in cui ci nutriamo di Cristo! c) Ma e quando si potrà andare a questo Convito? Forse una volta in vita o forse soltanto in specialissime circostanze? Forse converrà fare un lungo e faticosi viaggio, o almeno pellegrinare scalzi a Roma o a Gerusalemme? No: non vi è tempo, non vi è circostanza speciale, non occorrono penosi viaggi, ma Gesù Cristo sempre c’invita, nelle sue Chiese sempre ci attende a questo banchetto divino. O sacrum convivium in quo Christus sumitur! O gran cena in cui si mangia Cristo! – 2. L’INGRATO RIFIUTO. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi girava sotto i portici e tra le celle silenziose del suo convento, stupita, esclamando: « L’Amore non è amato, l’Amore non è amato! ». E aveva ragione. Chi non stupisce che un Dio dopo tante prodigiose invenzioni per farsi amare sia lasciato tutto solo nei Tabernacoli, ed a stento gli uomini trovino il tempo e la voglia di riceverlo una volta all’anno? Perché non vediamo le anime ogni giorno affollarsi intorno alla Mensa del Signore come rametti d’ulivo? Sicut novellæ olivarum in circuitu mensæ tuæ (Salm., CXXVII, 3). a) « Ho comprato un podere e bisogna che vada a vederlo; ti prego di scusarmi ». Quest’uomo che rifiuta l’invito perché ormai anche lui è diventato un padrone di terre, e non ha bisogno d’andare a cena da nessuno, raffigura bene quelli che ricusano d’accostarsi frequentemente alla Comunione per superbia. « Lasciamo che facciano di spesso la Comunione le donnicciole, i bigotti, gli ignoranti; alla gente come noi basta accostarsi a Pasqua ». Poveri infelici! che si credono ricchi e doviziosi, che si vantano di non aver bisogno di nessuna cosa e di nessuna persona, e invece non sanno d’essere meschini, e miserabili, e poveri, e ciechi, e nudi (Apoc., III, 17). b) « Ho comperato cinque paia di buoi e vo’ a provarli: ti prego di scusarmi ». Quest’uomo che rifiuta l’invito per gettarsi anima e corpo a lavorare con i suoi cinque paia di buoi, raffigura quelli che stanno lontani dai Santi Sacramenti perché sono affogati con tutti e cinque i loro sensi nella farragine degli interessi materiali. « Non ho tempo d’accostarmi alla sacra Mensa — dicono costoro — non ho tempo; ho la bottega, ho un magazzino, devo andare al mercato, alla fiera, devo attendere alla famiglia ». — Avete la famiglia, ve lo concedo; avete la bottega, il mercato, gli affari, ve lo concedo; ma non avete anche l’anima? E perché allora date tutto al corpo e niente all’anima? Possibile che non troviate un’ora di tempo alla settimana, un’ora al mese per la vostra anima quando sciupate delle sere e delle giornate nei teatri, nel gioco, nelle compagnie? – Il peggio è poi che alcuni, non solo non frequentano la santa Comunione, ma distolgono anche gli altri di casa dal frequentarla. Onde se la moglie, se la madre, se la sorella per comunicarsi indugiano alquanto più del consueto in chiesa, ecco sossopra ogni cosa, e una tempesta di villanie le travolge al loro ritorno. c) « Ho preso moglie, perciò non posso venire ». Avete notato com’è villana la risposta di questo invitato? Non chiede scusa, ma dice soltanto: non posso venire. Non può, perché non vuole. Raffigura costui quelli che hanno nausea della santa Comunione, perché vivono nella disonestà. Non possum venire: il loro cuore è pieno di desideri cattivi, hanno affogato la loro anima nei piaceri più immondi: sono coniugati che per mesi ed anni conculcano le leggi sante del matrimonio. Costoro vanno alla mensa dei demoni, perciò non possono venire alla mensa del Signore (I Cor., X, 21). Costoro non possono venire ai casti amplessi di Gesù, perché si tengono strettamente abbracciati al fango. Amplerati sunt stercora (Th., IV, 5). — Un mattino seduto sotto le querce verdi del capo Montenero, Lamartine assisteva al levar del sole. Ogni creatura pareva protesa verso oriente. Ad un tratto, grande regale ardente, l’astro apparve ad incendiar co’ suoi raggi il Mediterraneo. Allora il poeta scoppiò in un grido d’immensa ammirazione: « È lui! È la vita! ». Ah, il grido del poeta come dovrebbe essere il nostro! Conosco un altro sole, il sole divino di cui Michelangelo diceva il nostro esser solo l’ombra: Gesù. Quando ogni mattina si leva tra le mani del sacerdote sull’altare, quando irraggia così bianco dal sacro ostensorio, dovremmo sentire una irrefrenabile fame di Lui, dovremmo accorrere alla sacra Mensa, cantando: « È lui! È la vita! ».

IL BANCHETTO DEI POVERI E DEI MALATI. Uno perché doveva contrattare una casa, un altro perché voleva provare al giogo alcuni buoi di recente acquisto, un terzo perché si sposava; e tutti mancarono all’invito. Nella gran sala del banchetto, intanto, già le vivande fumavano, e il buon vino spargeva inutilmente il suo vellicante aroma. Oh, i ricchi avevano preferito starsene lontani a far grossi guadagni sulle cose e sui campi; oh, i sani e i giovani avevano preferito trascorrere quelle ore nei piaceri e nell’allegria della vita! Il magnifico padrone aveva dunque sciupato la gran cena? Doveva dunque rimaner solo e triste nel suo palazzo come un recluso in una bella e ariosa prigione? Crucciato e adirato chiamò il servo e gli comandò: « Corri! Corri su tutte le piazze, per tutte le contrade della città: e quanti poveri incontrerai e quanti stroppiati e ciechi e zoppi e malati d’ogni male troverai, introducili tutti qui ». Ubbidisce il servo e poi torna: « Signore, come hai comandato, così si è fatto: ma vi è posto ancora ». « Ebbene, — ricomandò il padrone, — corri! Corri nelle campagne, lungo le siepi: ogni uomo che vedi, sforzalo a venire finché si riempia la mia casa ». Poi traendo un lungo respiro dal cuore, esclamò con voce terribile: «Io vi assicuro che nessuno di coloro che hanno rifiutato l’invito, assaggerà la mia cena in eterno ». – La parabola che Gesù raccontò un sabato, sedendo a mensa in casa d’un importante Fariseo, dalla Santa Chiesa vien proposta da meditare in questi giorni consacrati al culto dell’Eucaristia. È l’Eucaristia la gran cena che il Figlio di Dio ha preparato per gli uomini in questo mondo. Non è il pane della terra che ci dà da mangiare, non è il vino dai nostri vigneti che ci dà da bere: è il suo Corpo divino, è il suo Sangue versato per noi e per molti nella remissione dei peccati. Eppure quanti, ancora oggi, rinnovano l’ingratitudine di quegli invitati che addussero delle vane scuse per non mangiare la cena! Se voi domandaste a molti Cristiani perché si comunicano raramente, perché tralasciano persino la Pasqua, sentireste rinnovarsi quegli antichi pretesti: « Non ho tempo, sono costretto a lavorare anche alla domenica; ho comprato una casa, ho dei buoi da provare; ho le passioni da accontentare ». Gesù nel suo Tabernacolo, come il padrone della parabola, è offeso dall’abbandono in cui lo lasciano gli uomini, e ripete ai sacerdoti suoi umili servi il comando « Correte! Correte per le piazze e le vie della città, per le strade e lungo le siepi delle campagne e persuadete tutti i poveri e tutti gli ammalati a venire da me ». Et pauperes ac debiles et cæcos et claudos introduc huc. Non è della miseria materiale, non è delle malattie del corpo che Gesù intende direttamente parlare, ma della miseria dell’anima e delle malattie spirituali. In questo senso, chi di noi può dire di essere ricco, di essere sano? Allora veniamo a ristorarci più frequentemente al banchetto Eucaristico che fu appunto imbandito per noi che siamo poveri di virtù, per noi che siamo ammalati nell’anima. – 1. IL BANCHETTO DEI POVERI. Quando Giacobbe entrò nella casa di Labano, tutte le cose cominciarono a prosperare: aumentò l’estensione dei poderi, aumentò il numero dei servi e del bestiame, aumentarono le masserizie e le ricchezze. « Guarda, disse un giorno Giacobbe a Labano — ben poco tu possedevi prima che io arrivassi, ora sei molto ricco (Genesi, XXX, 30). Queste parole, con più verità, a noi le ripete Gesù quando lo riceviamo nella santa Comunione: « Guarda com’eri povero prima che io entrassi nell’anima tua, ora per tutti i doni che Io ti ho portato sei diventato ricchissimo ». E in verità, che cosa abbiamo noi senza Gesù? Ci illudiamo di essere ricchi e di non aver bisogno di niente, ed invece, privi di Lui siamo miseri e miserabili e poveri e ciechi e nudi. Orbene, chi si accosta al banchetto eucaristico avrà tutto ciò di cui abbisogna e più ancora. Anzitutto avrà Gesù nel suo cuore. Sì, il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, Colui per il quale sono troppo piccoli i cieli, scende ad abitare nell’anima del Cristiano che si comunica. « Che cosa ci può ancora negare l’Eterno Padre — esclamava San Paolo — dopo averci dato perfino il suo Unigenito? » Nulla. Con Gesù, avrà la vita vera. « Io sono il pane di vita — diceva il Signore a Cafarnao. — Chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete, chi mangia me vive in eterno ». E questo è vero non solo per l’anima nostra, ma anche per il corpo: la Comunione deposita nella nostra carne un germe d’immortalità. « Come morrà colui che si ciba della Vita? » pensava S. Ambrogio; dopo che i nostri corpi saranno stati purificati dalla prova del sepolcro, quel lievito di vita che l’Eucaristia, ha deposto in noi si ridesterà, e gloriosi risorgeremo all’ultimo giorno. Con Gesù, avrà la forza. Bande di Saraceni, ebbri di sangue e di strage, una notte assaltarono il convento delle clarisse in Assisi. In mezzo ai pianti e alle preghiere delle sante vergini, sorella Chiara corre alla cappella, prende la pisside, e per divina ispirazione, la protende dall’alto verso i barbari che davano la scalata al monastero. Subito i primi sono accecati da una luce improvvisa, e da una forza prodigiosa rovesciati gli uni sugli altri: tutti, travolti da un misterioso timore, fuggono. Il demonio, il mondo, le passioni e le tentazioni sono come bande di feroci Saraceni che di quando in quando tentano la scalata dell’anima nostra. Noi siamo deboli e paurosi come timide suore, inermi contro un esercito di barbari armati: ma se noi corriamo, come Santa Chiara, a Gesù, se noi porteremo l’Eucaristia in cuore, diverremo terribili e invincibili. Dove gli Apostoli trovarono il coraggio di portare il seme di Gesù fino all’ultime terre? dove i Martiri trovarono la forza di lasciarsi straziare a brano a brano? dove le anime vergini, ancor oggi, trovano la costanza di non lasciarsi contaminare dal male? Nella Comunione. Con Gesù, avrà la ricchezza e la bellezza dell’anima. Santa Rosa da Lima nel vedere il Sacramento dell’amore, sentiva la sua anima rifulgere come se tutta fosse rivestita di gemme e il sole le raggiasse dal cuore. Questo, che noi poveri peccatori non sentiamo, deve pure avvenire, in una certa misura, anche nel nostro cuore quando riceviamo Gesù. Le imperfezioni sono bruciate dal fuoco dell’amore, e l’anima nostra rivestita d’una splendida veste fa invidia perfino agli Angeli. Oggi, queste cose non sappiamo comprenderle, ma un giorno le conosceremo chiaramente: chi sa quale rincrescimento proveremo allora di non esserci comunicati più spesso. – 2. IL BANCHETTO DEI MALATI. Una antica tradizione racconta che la Sacra Famiglia, fuggendo in Egitto, fu sorpresa dalla notte presso una spelonca. Era la spelonca dei ladroni del deserto. Tuttavia, vi fu accolta con ospitalità, rozza ma benevola, dalla moglie del capobanda: era forse l’afflizione che rendeva umana quella donna. Ella aveva un fanciullo, la sola gioia innocente ch’ella possedeva in mezzo alla colpa e alla selvatichezza che la circondava, ma quel fanciullo aveva orridamente chiazzato di bianco la testa, le sopracciglia, la pelle; ahimè, era la bianchezza della lebbra. Nel covo dei delitti entrò dunque l’innocenza: Maria e Gesù, la moglie del ladro e il fanciullo lebbroso passarono insieme la notte. Ma appena. l’alba apparve nel cielo d’oriente, la Sacra Famiglia s’accinse a riprendere la fuga: Maria intanto chiese dell’acqua per astergere il Bambino dalla polvere del deserto e dall’ombre del sonno. Poscia partirono: ma la moglie del ladro sentì che un alito misterioso circondava quei profughi e rimase sulla porta della spelonca, con stretto sul cuore il suo piccolo lebbroso, per vederli allontanare verso l’Egitto. E come sparvero dietro le dune, ella, sospinta da un presagio divino, prese l’acqua che aveva servito a lavare Gesù e con essa lavò pure il suo Dismas, lebbroso. Ed ecco quelle carni già consunte da male implacabile, farsi subitamente rosee profumate quanto l’occhio d’una madre poteva desiderarle. Passarono molti anni. Dismas crebbe e divenne capo dei ladroni, e sulle sabbie del deserto fece delitti di sangue e di furto, tanto che la gente rabbrividiva udendo il suo nome. Ma, infine, la giustizia lo ghermì e con altri fu messo in croce sopra un colle vicino a Gerusalemme. Attaccato al legno dell’infamia, travagliato dall’agonia cocente, udiva di tratto in tratto le parole dolorose e misteriose pronunciate dal Crocifisso che gli stava vicino. Lo guardò: era coronato di spine e il cartello della sua condanna lo diceva RE dei Giudei. In quel momento la sua anima vide, e con fede esclamò: « Signore ricordati di me all’entrar nel tuo regno ». « Oggi stesso — gli rispose il Nazareno — sarai meco in Cielo ». Alla sera di quel Venerdì, Gesù il Figlio di Maria e Dismas il figlio della moglie del ladro si trovarono insieme in Paradiso. Quanti Cristiani sono tormentati nell’anima da un’implacabile lebbra! Forse è la lebbra dell’impurità: da anni questa passione li domina, da anni hanno cercato di liberarsene invano, da anni fatalmente si abbandonano sulla china dei peccati e della perdizione ultima ed eterna. Forse è la lebbra dell’avarizia; una sete febbrile di far danaro e di accumulare roba li sospinge ad essere crudeli coi poveri, ingiusti col prossimo, tiranni con la famiglia, fraudolenti nella società. Forse è la lebbra dell’incredulità: si è tralasciata la preghiera, si sono dimenticati i Sacramenti, si è abbandonata la dottrina cristiana e l’anima è in preda a mille dubbi sull’esistenza di Dio, sulla vita futura, sull’inferno… si vorrebbe non credere a più niente per vivere in balìa delle passioni. Forse è la lebbra della superbia: non si accettano osservazioni, si vuol sempre comandare senza ubbidire mai, si nutrono i rancori e le invidie, non ci si umilia e chiedere perdono. Ebbene: per queste malattie Gesù a noi ha lasciato non già un’acqua che ha toccato il suo volto, come quella che lasciò a Dismas, ma un banchetto in cui ci nutriamo della sua Carne divina e del suo Sangue preziosissimo: la santa Comunione È solo la santa Comunione che ci può guarire da tutti i mali della vita spirituale, e dall’ultimo e più terribile che è la morte. Quando sul letto dell’agonia vedremo entrare il Viatico noi pure con la fede del buon ladrone diremo a Gesù: « Signore, ricordati di me ora che sei nel tuo regno ». Ed Egli, se nella vita l’avesse ricevuto spesso e bene, ci ripeterà in cuore la consolante parola: « Oggi stesso sarai con me in paradiso ». — Assuero, il re di cento ventisette province distese dall’India fino all’Etiopia, nel terzo anno del suo regno imbandì un gran convito. Esso fu apparecchiato nell’arboreto ch’era piantato e coltivato di mano del re. Difendevano i convitati dal sole tende di lino sottile di color turchino sostenute da corde a colonne di marmo. Il vino era, senza misura, distribuito in tazze d’oro e le vivande in vasellame prezioso. A metà del convito Assuero ordinò che partecipasse anche la regina Vasthi; ma questa ricusò e spregiò il comando del re. Allora Assuero emanò un decreto per cui la regina Vasthi veniva scacciata dalla reggia per sempre, e per sempre non avrebbe assaggiato la cena del re (Ester, I). Qui, Assuero è immagine di Gesù Cristo, che nell’arboreto della Chiesa, di sua mano piantato, e coltivato, imbandisce un banchetto prelibatissimo: l’Eucaristia. Guai all’anima nostra, se imitando la regina Vasthi ricuserà d’intervenire frequentemente e con devozione a questa cena divina! Essa pure verrà scacciata dal Cielo per sempre, e per sempre non assaggerà il cibo della beatitudine eterna. Nemo vivorum illorum, qui vocati sunt, gustabit cœnam meam.

– IL CONVITO DOMENICALE. « Di quelli che han rifiutato, nessuno gusterà la mia cena; mai più! ». La parabola, nel suo significato più vero, è contro i Giudei, è contro i ricchi Farisei che, inorgogliti perché Gesù aveva mangiato in casa d’uno di loro, s’illudevano che essi soltanto avrebbero un giorno potuto entrare in paradiso. Il paradiso è appunto la cena sontuosa a cui molti sono stati invitati, e tra i primi i Giudei. Essi però hanno rifiutato l’invito, uccidendo il Messia e disprezzando il suo Vangelo: ecco, quindi, che resteranno esclusi dal cielo, ed in loro vece tutti entreranno quelli che risponderanno alla divina chiamata. Ma io voglio spiegare la parabola del Signore ad un altro significato, assai utile per noi, e dico che la cena grande a cui il buon Dio c’invita è la santificazione della domenica. E non è la domenica un’immagine della eterna cena del paradiso? E non  è la domenica cristiana un nutriente e soave convito delle anime nostre? – 1. LA DOMENICA È LA CENA DELLE ANIME. Osservate come è buono il Signore. Egli è il padrone di ogni cosa, e avrebbe pieno diritto di tenersi tutto per sé: tutte le piante, tutti gli animali, tutti i luoghi, tutti i tempi. Invece come nel Paradiso terrestre, lasciato ogni albero all’uomo, una pianta sola si riservò ad esperimento di ubbidienza; come al tempo dei Patriarchi, lasciato ad essi ogni frutto ed ogni bestia, solo poca primizia del gregge e del campo ritenne; come di tutta la terra, si riserva appena qualche spazio ove edificare le sue chiese; così di sette giorni, uno soltanto ha voluto per sé: la domenica. Poteva esserci più largo di così? e di meno che cosa mai ci avrebbe potuto richiedere? « Figliuoli! — ci dice per bocca di Mosè — Sei giorni ho lavorato per darvi il sole e le stelle, la terra e i mari, le piante e gli animali e per plasmare i vostri corpi e ravvivarli di un’anima immortale: al settimo però cessai. Ebbene, come ho fatto Io, fate anche voi così. Lavorate sei giorni, il settimo lo darete a me ». Poteva esserci più padre? « Lo darete a me!… » Forse per farci lavorare il doppio, il triplo… per Lui? Forse per gravarci — da padrone qual è — di penitenze e di asprezze? No. « Lo darete a me, perché Io voglio farvi riposare, Io voglio che veniate in casa mia ad una cena gaudiosa ». Dite: sulla terra c’è un altro padrone, buono come questo? Per sei giorni gli uomini sono nei campi, nelle fabbriche, negli uffici; le donne pure sono costrette alla fatica di un laboratorio o di una casa, mentre i figli sono alla scuola o trascurati per le vie. È tutto uno stridere di macchine, un incomposto vociar di operai affannati, un fischiar di sirene: c’è appena tempo di trangugiare un po’ di cibo senza assaporarlo e alla sera si ritorna pallidi e stanchi alla casa povera di luce, povera di parole. Poche ore di sonno, e poi ecco bisogna balzare a nuova fatica e riprendere quegli abiti trascurati e improntati del duro lavoro. Ben venga la domenica, gaudiosa cena delle anime! Un lieto scampanio s’intende nella prim’alba, che arriva a tutti come una voce di fratelli e d’amico: « Nella chiesa! — ci dice — tutto è pronto ». E dai portoni dei ricchi, dagli usci dei poveri, i padri escono coi loro bambini e le mamme vengono con le loro bambine: tutti sono puliti e ben vestiti, tutti si sorridono e sono lieti, tutti davanti all’altare di Dio si siedono vicino: il ricco e il povero, il servo e il padrone, tutti eguali. Per sei giorni abbiamo stentato, oggi si riposa in letizia. Per sei giorni vestimmo male. oggi ci adorniamo con religiosa modestia. Per sei giorni siamo stati nelle case delle creature, servi delle creature, oggi si va nella casa del Creatore, si serve Lui, si parla con Lui, si mangia con Lui il pane della parola di Dio. Per sei giorni si è vissuto per le cose terrene, oggi si vive per quelle celesti. Com’è bella la domenica cristiana, giorno di Dio, giorno dell’uomo, mistica cena delle anime! – 2. SCORTESIA D’INVITATI. Purtroppo, questo giorno santo, benefico all’anima e al corpo, alla famiglia e alla società quanto è profanato! Oh se Gesù, una qualche festa, ripassasse attraverso alle nostre campagne e alle nostre città, forse ancora prenderebbe lo staffile per flagellare i profanatori del suo giorno! E forse dalla sua bocca divina gli sgorgherebbe il lamento che confidò ad un’anima privilegiata: « I Giudei mi hanno crocifisso in Venerdì, ma i Cristiani mi crocifiggono in Domenica ».

a) Villam emi! Ho comprato una villa e perciò non posso venire. Ancora questa è una delle scuse che molti Cristiani usano per rifiutare il banchetto festivo. Andare a Messa, andare a Dottrina… io che sono ricco, che ho un palazzo, che sono rivestito di autorità, che ho molte e difficili incombenze?! Alla Messa sono obbligati i poveri, gli ignoranti: ma che cosa deve dire la gente se s’accorge che sento anch’io il bisogno di santificare la festa?!… Ci sono di quelli poi che, senza giungere a questo eccesso, credono che per santificare le feste basti assistere alla santa Messa; e, ascoltatala in qualche modo, pensano a tutt’altro che ad opere di pietà. Costoro trattano Dio come un esoso tiranno a cui si deve concedere meno che si può, e considerano la pietà come una medicina velenosa da prendersi con estrema parsimonia. E tra costoro si trovano quelli che cercano la Messa più spiccia, quelli che giungono sempre in ritardo, o assistono svogliati e disattenti, chiacchierando con disturbo e scandalo degli altri; e spesso ancora con tale abbigliamento e positura da offrire pascolo alla leggerezza, all’ambizione, alla lussuria. Ma basterà una mezz’oretta di Messa per tutta la festa? Ricordate che chi non assiste mai alla Dottrina Cristiana, se anche non si può dire che viola il precetto festivo, certo è difficile che schivi il peccato grave per trascuranza d’istruzione religiosa.

b) Juga boum emi! Ho comprato dieci buoi e devo provarli sotto l’aratro, perciò non posso venire. Questa è un’altra delle scuse con cui i Cristiani violano il banchetto festivo: « Ho un affare da concludere, ho un raccolto maturo da fare, ho un urgente lavoro da finire… ». È l’avarizia, e la bramosia del guadagno maledetto li spinge a diventare come macchine e come bestie, e negarsi il santo riposo. Come fa pena, in domenica, vedere le ciminiere fumare; udire la romba dei martelli e dei motori;

c) Uxorem duri! Ho preso moglie e perciò non voglio venire. È questa la più terribile scusa per profanare il banchetto festivo: « Ho voglia di godermela e non di santificare la festa ». Il giorno della preghiera è diventato il giorno del piacere, giorno della purezza è diventato il giorno della carne trionfante; il giorno della gioia è diventato il giorno dell’orgia. Guardate: l’osteria sì, ma non la Messa; la passeggiata, ma non il catechismo, l’ozio, ma non la preghiera; la disonestà, ma non i sacramenti; il demonio, ma non il Signore. – Nei pomeriggi festivi, le nostre chiese e gli oratori vanno disertandosi: dov’è la gioventù? Le vie sono rigurgitanti, le sale da ballo sono un vortice infernale, gli spettacoli mondani e procaci sono le false sirene. — La persecuzione di Diocleziano infieriva contro i Cristiani, nel 304, con tale violenza, che s’era perfino illuso l’imperatore di poter sradicare dalla terra il nome di Cristo. Tra i più aspri rigori di leggi e di spionaggi Anisia, una giovane di Tessalonica, uscì di casa per recarsi dove i Cristiani celebravano i sacri riti, giacché era giorno di domenica. Uscendo da una porta della città, un soldato la fermò, dicendole: « Dove vai a quest’ora? ». La fanciulla si trovò scoperta, e confessò: « Sono cristiana, e vado a santificare il giorno del Signore ». Soggiunse il soldato: « Vieni con me ad adorare il Sole ». La giovane sì rifiutò e fece per proseguire il suo cammino. Quegli allora le strappò il velo con cui si copriva per modestia il suo volto. Anisia grido: « Il mio Dio ti punirà ». A queste parole il soldato s’accese di furore, e con la sua spada trafisse la giovane santa che cadde mentre la sua anima bianca entrava nell’eterna domenica in cielo (XXX Dicembre, Martirologio). L’intercessione e l’esempio di sant’Anisia faccia ravvedere molti profanatori della festa, prima che il Signore nella sua ira abbia a dir contro di loro quelle tremende parole della Santa Scrittura: « Io vi getterò in faccia lo sterco delle vostre solennità » (Malach., II; 3).

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps VI: 5 Dómine, convértere, et éripe ánimam meam: salvum me fac propter misericórdiam tuam.

[O Signore, volgiti verso di me e salva la mia vita: salvami per la tua misericordia.]9

Secreta

Oblátio nos, Dómine, tuo nómini dicánda puríficet: et de die in diem ad coeléstis vitæ tránsferat actiónem.

[Ci purifichi, O Signore, l’offerta da consacrarsi al Tuo nome: e di giorno in giorno ci conduca alla pratica di una vita perfetta.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XII: 6 Cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Inneggerò al Signore, per il bene fatto a me: e salmeggerò al nome di Dio Altissimo.]

Postcommunio

Orémus. Sumptis munéribus sacris, qæesumus, Dómine: ut cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Ricevuti, o Signore, i sacri doni, Ti preghiamo: affinché, frequentando questi divini misteri, cresca l’effetto della nostra salvezza].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (207)

LO SCUDO DELLA FEDE (207)

LA VERITÀ CATTOLICA (V)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. E libr. Sales. 1878

ISTRUZIONE IV

Gli Angeli e gli Angeli Custodi

Noi nella Santa Messa, per spiegare le parole del Simbolo Apostolico: Creaator del cielo e della terra, cantiamo che Dio Padre onnipotente creò le cose visibili ed invisibili; le creature materiali cioè, e le spirituali, che sono gli spiriti. In tutte le religioni, anche le più zeppe d’errori, tutti i popoli del mondo hanno sempre creduto che vi fossero gli spiriti, cioè creature, le quali vivono senza corpo, ma che sono intelligenti e che possono far qualche cosa in mezzo agli uomini. Ma i poveri pagani senza il lume della fede, lasciandosi andare dietro alla sbrigliata immaginazione, nel torbido delle passioni in cui soffiava dentro il demonio, fantasticavano degli spiriti le più strane favole, e cosi bizzarre e spaventose, che non son neppur da dire. Sola la Chiesa Cattolica, come nelle altre credenze universali, corregge qui gli errori, dissipa le false idee, e toglie via della storia degli spiriti, che noi chiamiamo Angioli, tutto ciò che d’irragionevole v’introdussero le superstizioni e le passioni umane; e degli Angeli c’insegna le più care cose. – La Chiesa pertanto nella dottrina cristiana insegna essere di fede che Dio creò gli Angeli, spiriti intelligenti invisibili, che non hanno corpo, che pensano, che conoscono, che ragionano meglio che non si possa fare da noi. Di questa verità di fede sono di fatto così persuasi tutti i Cristiani, che essi in parlando di una gran bella mente d’uomo, di un cuor eccellente e di grande merito sono soliti dire che egli ha un fare da Angelo. – Nella odierna dottrina io v’ho da parlare di questi santi spiriti che noi chiamiamo Angeli. Vi dimostrerò primieramente che Dio creò gli Angeli; poi vi dirò quel che possiamo sapere del loro numero, dei loro diversi ordini, e delle loro occupazioni ( ). Da ultimo poi vi parlerò specialmente degli Angeli Custodi. Voi mi farete grazia, se vorrete dire con (si fan ripetere), che ora vi ho da mostrare che sono gli Angeli creati da Dio, e che poi v’ho dire quello che si può sapere del loro numero, dei loro diversi ordini, delle loro occupazioni specialmente degli Angeli Custodi. – Angioli benedetti, che adorate Gesù in mezzo di noi, pregatelo che Egli metta sul mio labbro di carne una parola degna di Voi, che siete spiriti così santi; sicché possa intendere come voi meritate di essere da noi venerati ed amati colla più tenera devozione. E Voi, Maria Santissima, gran Regina degli Angeli e Madre nostra, mandatemeli di cielo per suggerirmi le più care parole, che siano quali le volete Voi, e quali si meritano gli Angeli, che son tanto buoni. – Che vi siano degli spiriti invisibili, senza corpo, creati da Dio, intelligenti e beati in Dio, e amici di noi uomini, di cui si serva Iddio per farli ministri delle sue misericordie lo attestano, dice il Pontefice S. Gregorio, quasi tutte le pagine della Santa Scrittura; e lo Spirito Santo nel Concilio Laterano terzo dichiarò essere un articolo della nostra Santa Fede il credere che vi siano gli Angeli. Nell’antico e nuovo testamento, in cui si fa la storia della bontà di Dio, si racconta come Dio le tante volte si servì degli Angeli per far conoscere agli uomini le sue volontà, e per comunicare agli uomini le grazie sue divine. Sono difatti gli Angeli che annunziarono ad Abramo che sarebbe nato dalla sua stirpe il Messia Salvator del mondo: gli Angeli furono mandati a Lot; ed uno di loro lo prese perfino a mano per tirarlo via dal fuoco mandato da Dio ad abbruciar Sodoma e Gomorra e le altre città sorelle: un Angelo accompagnò Mosè per liberare il popolo fedele dalla schiavitù d’Egitto, e lo precedette nel deserto per guidar il popolo alla terra promessa; un Angelo a Gedeone ordinò di togliere il popolo d’Israele dalla schiavitù de’ Madianiti, e predisse la nascita di Sansone. Fece un Angelo celeste rispettare la legge di Dio nel tempo della schiavitù di Babilonia: parimenti un Angelo salvò i santi giovanetti gittati in mezzo al fuoco della fornace e difese Daniele nella fossa in mezzo dei leoni. Un Angelo combatté coi Maccabei, e gittò a terra a furia di calci di cavallo, come ben sel meritava, quel sacrilego d’allora Eliodoro, ladrone che voleva rapire i tesori del tempio. – Nel Vangelo poi (in cui si fa il racconto di ciò che fece il Signore per salvare gli uomini col Sangue del suo Figlio). Leggiamo come tra più grandi misteri e più teneri, intervengono sempre gli Angeli mandati dalla bontà di Dio. E un Angelo difatti che apparve a Zaccaria mentre offriva nel tempio l’incenso della santa adorazione, e gli promise che gli nascerebbe da santa Elisabetta un figliuolo, a cui porrebbe nome Giovanni, e che preparerebbe il popolo a ricevere il Salvatore. Fu poi l’istesso grande Angelo Gabriele spedito a salutare Maria Santissima ed annunciarle che diventerebbe Madre del Figliuol di Dio Gesù. Nato poi il Bambino Salvatore, gli Angeli cantavano nel presepio « Gloria a Dio e pace agli uomini,» e avvisarono i pastorelli perché si recassero subito a visitarlo. Un Angelo avvertì poi Giuseppe di fuggir subito in Egitto col Bambino, cercato a morte da Erode, e colla santa sua Madre Maria, a di ritornar quindi, morto il tiranno Erode, ancor nella terra sua d’Israele. Gli Angeli serviron in appresso il benedetto Gesù, intorno a Lui aggirandosi e sempre adorandolo. Un Angelo lo confortò nell’orto, nell’agonia: due Angioli annunciarono la sua risurrezione; e gli Angeli lo accompagnarono nella gloria della sua assunzione. Vegliarono quindi gli Angeli a protegger la Chiesa nascente; e uno scuote s. Pietro che dorme in prigione e lo conduce via dalle porte di ferro che si aprono a lui dinnanzi: un altro comanda al centurione di chiamar S. Pietro che lo battezzi; e un Angelo porta in aria Filippo diacono, sulla via di Gerusalemme fino a Gaza per far cristiano l’eunuco inviato dalla regina di Etiopia. Sono gli Angioli poi che invigilano alla custodia delle Chiese, alla guardia dei regni degli uomini, a cui fanno da amici, da compagni, da guide nostre al Paradiso. Così voi vedete che noi dobbiam credere di fede che Dio creò gli Angeli e che di loro si serve per comunicare agli uomini tante sue grazie. – Ora vi ho da dire quel che possiamo sapere degli Angeli. Io vi ho già fatto intendere che gli Angeli sono spiriti, e che mentre noi Cattolici crediam di quegli spiriti benedetti le più belle cose, non dobbiamo pero pensare che gli Angeli siano le più belle e care persone in anima ed in corpo, come ne piace immaginarli e dipingerli. Ben è vero che apparvero tante volte sotto sembianze di persone belle ed amabili, ed anche talvolta in tanta maestà da metter terrore; ma se Dio allora concesse loro di apparire in quelle forme e sembianze umane, gli Angioli però, che sono spiriti puri, non erano uniti a verun corpo, cosi da formare in corpo ed anima una persona umana come siamo noi. – Pure, via là … lasciamo alla divozione dei fedeli, lasciamo, ben anco alle immaginazioni consolate dalla cara credenza degli Angeli, lasciamo alla poesia delle anime rapite in estasi di così care verità, che si figurino gli Angioli cosi belli ed amabili quasi per rallegrarsi di averli, come giovani tanto buoni e santi, a compagni in terra come li avrem poi concittadini in Paradiso. La Chiesa sa che l’uomo cerca sempre di dar figura e al corpo alle cose anche più spirituali: e perciò, come permette dipingano con colori materiali le tre Persone della Santissima Trinità, e che per rappresentare il Padre si pitturi come un venerando vecchio in grande maestà, e che si faccia giovane il Figliuol di Dio fatto Uomo col cuore in mano per darlo a noi, e che si colori lo Spirito Santo sotto forma di candida colomba, benché non sia vecchio, né giovane il Padre e il Figliuolo, né colomba lo Spirito Santo, ma tutte tre le Persone Divine siano eguali eterne, un Dio solo purissimo Spirito: cosi la Chiesa è contenta di lasciar dipingere gli Angeli che son puri spiriti sotto la forma di amabilissime persone. E perche?., perché veramente gli Angeli sono belli della bellezza di Dio, e tanto amabili per la bontà che Dio comunica loro. Adunque è bella cosa dipingere gli Angioli colle ali; ma sapete perché ista tanto bene dipingere gli Angeli colle ali cosi in atto di volar sempre? È perché essi sono in qua, sono in là per tutto l’universo, sempre pronti a volar rapidi come il pensiero ad eseguire i comandi di Dio; ed anche perché i profeti in visione li videro, che stavano prostrati a’ piedi del trono dell’Altissimo Iddio velandosi dell’ali gli occhi, tra i fulgori dell’eterna luce cui nessuna creatura, sia pur santissima, può reggere e contemplare, in se stessa. Anche vediamo volentieri che si dipingono gli Angeli adorni di splendide vesti ed a color  cangianti, cosi leggiere, che paion tessuti  d’aria, rilucenti nelle più graziose movenze. E sapete il perché? E perché Dio nella ricchezza della sua gloria li fa splendidi in modi varii e tutti bellissimi. Si che sta pur bene anche dipingerli con quegli occhi, con quelle facce di cosi pudica bellezza, che al guardarli in volto paiono tanti ritratti della adorata nostra Madonna, giacché così si espone in qualche modo in vista quella purità che noi non possiamo esprimere con parola pit bella che con dirla angelica; perché appunto gli Angeli sono così puri ché si specchiano continuamente in Dio, e la purità si specchia in Dio. Oh quanto ci paiono cari gli Angeli, quando li vediamo dipinti come bambinelli ridenti di grazie celesti! Allora voliamo coll’anima al paradiso, e ci par di contemplare quegli Angioli bambini coi nostri innocentini, chiamati la dalla terra nella prima ora del di, scherzare sotto l’altare del cielo colle corone e le palme deposte dai santi appié del trono dell’Altissimo Iddio. Lo canta pure la Chiesa nella festa degli Innocenti. Ma vi è poi un’altra maniera assai cara e graziosa di dipingere gli Angioletti, cioé di rappresentarli come colle sole testine di bamboli piccin piccini, e vispi vispi, intelligenti e carini. A noi piace tanto guardare in quelle faccette posate sopra due aline, e vederle volar leggiere come i nostri pensieri, anzi come i puri sogni della nostra beata innocenza tra quelle nugolette color d’argento infiorato di rosa. E sapete la cagione per cui ci piacciono tanto gli Angioletti dipinti in pure testine senza altro resto di corpo? Gli è perché noi nel contemplare quelle testine senza ingombro di corpo saliamo colle anime nostre, come già quasi puri spiriti anche noi, a conversare con quegli spiriti, rapiti in estasi di paradiso. Se adunque non hanno gli Angeli corpi così belli come noi li dipingiamo, sono però realmente belli tanto essi in fatto, e sublimemente belli sono i nostri pensieri che c’ispira la fede. Con essi ci sentiamo sollevare a quel felice mondo degli spiriti a cui mandiamo senza accorgerci i nostri sospiri. Di che fanno proprio schifo e son ributtanti gli scherni di quell’immondo Voltaire, il quale marcio di vizi fino al midollo, faceva le oscene risa della beffa villana, sopra quelle faccette paffutelle! Ah bisogna proprio dire che non vi è fiore così bello, fin nelle aiuole del paradiso cui quel tristo vecchio buffone, perdutamente guasto, come verme schifoso non abbia tentato d’insucidiare di bava. Non ci curiamo di Lui; e senza neppur guardarlo, passiamo oltre lasciando quell’empio tuffato nel fango che è la sua beva. – Ora che vi ho detto, come ho saputo meglio, chi sono gli Angioli, vorrei dirvi del tempo in cui Dio li creò, del loro numero, dei vari ordini, e delle loro occupazioni. Per meditare con voi come Dio creò gli Angeli, mi servirò delle espressioni usate da s. Bernardo nel contemplare Dio che crea: poiché esse convengono tanto per parlar della creazione degli Angeli. Dio, dice egli, è Lume eterno, è Intelligenza infinita, che solo conosce Se Stesso. Ebbene Egli creò gli Angeli intelligenti anch’essi, dando loro la potenza di conoscer da vicino Se Medesimo, quasi dicesse creandoli: « così voi potrete godere di contemplarmi eternamente »; e gli Angeli d’allora in poi sono in celestiale bellezza, belle immagini, vive della Sua Mente divina. Dio Fonte di bontà senza fine, e Volontà benevolentissima sente una tendenza, vorrei dire un bisogno di amar senza fine; quindi creò gli Angeli e versò in loro tanti doni della ricchezza della sua Bontà, facendoli capaci anch’essi di amarlo. Così Egli ama la Sua Bontà in quei santissimi innamorati di Lui Sommo Bene. Dio, Virtù onnipotente, creò quei beati spiriti forti e potenti da eseguire il Suo volere, e perciò sono detti Angeli, perché li fa ministri suoi per diffondere le sue misericordie le; poiché il voler di Dio è comunicar del bene a tutte le creature. Dio è Sommo Bene eternamente beato in Se Medesimo; perciò creò gli Angeli, e li foce santi e degni di vivere eternamente in seno a Lui per alimentarli di Sua Beatitudine eterna in paradiso. – Qui lasciatemi far una osservazione per voi che avete studiato. Quanto sono più belli gli Angeli della religion nostra santa, che non quelle sguajate ninfe e quei maliziosi genii, di che i poeti pagani sognarono di popolare e fonti e ruscelli e boschetti; e di far quelli svolazzare tra quella gente così guasta… e pigliar parte con loro a quei brutti intrighi … Ah certamente. se non fossero favole, e se essi fossero stati in realtà quei loro genii, quelle loro ninfe, v’assicuro io che al comparir degli Angeli dei Cristiani, sarebbero scomparse via le svergognate e i cattivelli, come le civette e i pipistrelli, si vanno ad appiattar nelle tenebre al comparir dell’aurora. Ma è adunque tempo di finirla; e dovrebbero aver vergogna gli scribacchiatori di poetiche cantilene di sognare che compariscano le procaci a tuffarsi nell’onde e di nominar ancora (fanno schifo) quei diavoletti d’amorini così tristi da vibrar saette nel petto fin della madre impudica. Non basta forse la fantasia umana a creare brutte immaginazioni, e suscitar cattivi pensieri da far bollire il sangue a peccato? Oh ma noi nelle tentazioni brutte, voleremo col Bambino Gesù in braccio a Maria coi nostri Angeli intorno. Intanto noi ritorniamo tutti allegri a parlar degli Angeli nostri. – Adunque se voi qui mi domandaste, per una santa curiosità che vien dall’amore, quando mai furono creati gli Angeli, io vi rispondo che pare ben che sia da credere averli Dio creati in principio, quando creò il cielo e la terra. Perocché lo Spirito Santo dice « che il Creatore che vive in eterno creò tutte le cose insieme » (Eccl. XLVIII. 1.) La Chiesa nostra madre nel Concilio Lateranense (l’anno 1215) presieduto dal Sommo Pontefice Innocenzo III insegnò che « Dio dal principio trasse dal nulla le create cose tanto corporee quanto spirituali, così angeliche come terrestri; e che poi formò l’uomo composto di spirito e di corpo. » E già anche noi possiamo pensare che Dio avrà fatto come un gran principe il quale nomina, e come diciamo noi, crea i suoi servi, e li distribuisce in diversi ordini prima, perché eseguiscano dopo i suoi comandi. Così Dio creò quegli Spiriti che fece poi Angeli suoi. – Poi il nome Angeli significa gli Spiriti creati da Dio per farli ministri delle sue misericordie, e per mandarli specialmente e in aiuto a quelli che vuol salvare, siccome insegna S. Paolo. –  Dopo di avervi detto del tempo, in cui furon creati gli Angeli, vi dirò del loro numero, delle varie loro occupazioni, e degli ordini o classi diverse, che si domandano gerarchie. Cominciando dal numero, sappiate che gli Angeli debbono essere tanti tanti, e troppo più che noi possiamo immaginare. Poiché la parola di Dio ben sovente chiama gli Angeli col nome di eserciti, di legioni; e li nomina a mille a mille, a milioni e a migliaja di milioni, e ciò non perché si debba intendere che siano di quel numero preciso: ma per significare un numero tale, che più grande non Si possa pensare. — Non quot tanta solum esset multitudo, sed quia majorem dicere non poterat.— (Cirill. Hiero. Catech. 5) Si direbbe che la divina parola eccita la nostra immaginazione a sollevarci in mezzo a quel mondo di beatissimi spiriti, e che ce li fa intravedere tra i raggi dell’eterna luce a schiere, quasi le une si vadano a perdere dopo le altre davanti al nostro pensiero, e tra le aureole di quel mar di luce inaccessibile si sprofondino negli altissimi cieli a formare il trono dell’eternità alla Maestà di Dio. (Io poi vorrei qui darvi un’altra ragione per farvi intendere che debbono essere tanti e tanti gli Angeli, e troppo più che per noi sipossa pensare, e la ragione è questa. Siccome le materiali cose create in questo mondo della terra sono come un velo ed altrettante figure che ci lasciano traveder al disotto, quali e quante debbano essere le creature del mondo degli spiriti; così si può ben credere che gli spiriti che sono dalle materiali cose figurate, in realtà saranno in eguale o maggior numero delle creature materiali che li figurano. Ora vi ricorderò che Dio creò la terra, e poi venne creando le piantea cui dava il bene di esistere e vivere nel loro modo; poi creò anchegli animali, ai quali diede la potenza anche di sentire, e di muoversi. Così formò di tutte queste creature come una gran catena;e sulla cima di essa, per ultimo anello, mise noi uomini; in creando ci composti di corpo animato, e di anima ragionevole, spirito anch’essa, in tal modo rannodò e fece continuar la catena delle creature del mondo terrestre col mondo spirituale, L’uomo adunque è tra mezzo: è, si direbbe, coi piedi del corpo in terra tra le creature del mondo terrestre, mentre coll’anima si lancia fin cogli Angeli del paradiso. Così noi, se discendiamo in giù per ordini diversi dei corpi, arriviamo col pensiero fino al più piccolo corpicciuolo della terra: parimenti, se saliamo verso del cielo per diversi ordini di creature spirituali, dalla piccola e poverina anima nostra, arriviamo su colla potenza e col lume della fede fino ai più grandi Angeli, ai Serafini, che s’imparadisano direttamente nel Sommo Bene. Siccome poi, lo dice chiaramente il Concilio Vaticano, Dio fece le creature dell’universo per mostrar la gloria della sua bontà; e per mostrare la gloria della sua bontà solo su questa povera terra, creò tal numero di creature terrestri, per la nostra mente, infinito: così pare bene che possiam credere convenientemente abbia creato di spiriti un numero maggiore del numero delle creature corporee. Poiché gli Angeli essendo più belli, più puri e più santi, sono più adattati a rendere immagine della bontà di Dio purissimo Spirito e santissimo, Avrà Egli adunque creato un numero smisurato di Angeli, gli uni più grandi degli altri, insomma più degni e più adattati al possibile di rappresentare la più compiuta, la più perfetta immagine di Dio, per quanto da creature si possa rendere immagine del Creatore Santissimo. Oh che grande spettacolo ci si presenta all’anima nostra in questa catena immensa, che dalle creaturine più basse su su con quegli spiriti eccelsi arriva fino ai piedi del trono di Dio! Santa fede come fai conoscere la gloria di Dio!). –  Qui o miei cari figliuoli, non posso a meno di esclamare: su su! noi, giacché tanto ci è concesso, saliamo a contemplare l’Altissimo, e lo troveremo circondato in Paradiso da milioni di eserciti di spiriti beati, tutti occupati a dar gloria al Santissimo in tre ordini diversi che si chiamano Gerarchie. – Ora mi resta a parlarvi delle occupazioni degli Angeli, e poi dei diversi ordini che formano le Gerarchie. Desidera adunque la vostra pietà di sapere checosa fanno tutti gli Angeli? Posso subito accontentarvi col dirvi che gli Angioli stanno davanti a Dio.« Adsunt ante thronum Dei; » cioè lo contemplano, lo amano, gli danno gloria; il che vuol dire che adorano eternamente Iddio. Diremo adunque, la prima cosa, che gli Angeli contemplano Iddio. Essi sono purissimi spiriti, e non hanno l’ingombro e il velo del corpo nostro; senza le nebbie degli errori che oscurano la nostra mente hanno la coscienza che li consola d’esser sempre stati fedeli a Dio. Quindi si affisano direttamente in Dio; e nello splendor dell’eterna. gloria, trovano sempre bellezze infinite da contemplare: s’immergono nel mare immenso dell’Essenza divina, e quindi si pascolano d’eterno Amore. Perciò diremo in secondo luogo che gli Angeli amano Dio. Ascoltate: Voi ben sapete, che se una candeletta si trova vicina vicina ad un gran fuoco, la candela si scalda, s’accende, arde tutta tutta nella sua lunghezza e colla sua fiammella lambe il fuoco che la fa abbruciare; e infine il fuoco l’assorbe nel suo incendio. Così in qualche povero modo noi possiamo immaginarci come gli Angeli a quello splendor di luce di Dio s’accendano quasi fiamme ardenti sui candelabri, come fu concesso all’Apostolo dell’amore S. Giovanni di comtemplarli in estasi di paradiso. I loro cuori ardenti sono turiboli degni di mandare alla Maestà di Dio Santissimo i profumi delle più amorose adorazioni. – Miei cari, l’amore è quello che fa palpitare i cuori, perché l’amore è movimento e vita dei cuori. Quindi l’amor infinito di Dio fa che gli Angeli vivano in palpiti di vita eterna. Onde come i palpiti sono gli slanci delle anime, così le lodi a Dio sono l’espressione e l’espansione dei sentimenti degli Angeli. Diciamo perciò in terzo luogo che l’occupazione degli Angeli è dar lode a Dio. Il Profeta Isaia (VI. 6.) e S. Giovanni (Apoc. VI, 8) in contemplazione videro gli Angeli intorno all’eccelso trono di Dio, che cantavano gli eterni osanna acclamando « onore e gloria a Dio tre volte Santo » e che ripetevano a coro: « onore e gloria a Lui Solo ». E questo il cantico dell’immortalità; sicché contemplare, amare, lodare Dio in continua adorazione, è l’eterna occupazione degli Angeli, i quali come insegnano i Santi Padri, sono distinti in tre ordini o classi che si chiamano Gerarchie. – Ora vi ho da spiegare come gli Angeli vanno distinti in tre gerarchie. Ma per farmi meglio intendere vi noterò, che, quando si dice gerarchia, s’intende un’adunata di persone raccolta insieme in bell’ordine, in cui le inferiori stanno soggette alle superiori; sicché nella lor dipendenza operano d’accordo unite col loro capo pel fine a cui sono destinate. – Adunque la prima gerarchia, insegna S. Tommaso, è di quei santissimi spiriti, che sono ordinati solo a dar gloria direttamente a Dio, perché Dio è ultimo fine di tutti i fini. Questa è composta di tre cori: dei Troni, dei Cherubini e dei Serafini.

La seconda gerarchia é di quei grandi e santi spiriti, che si credono destinati al fine di conservare l’ordine universale con quelle leggi del Creatore che mantengono in armonia tutto l’universo. E questa seconda gerarchia è composta parimenti di tre cori: delle Dominazioni, delle Virtù e delle Potestà. La terza gerarchia è di quei santi spiriti, che debbono essere in modo singolare ben cari a noi, perché ci comunicano i doni di Dio, le grazie particolari e le particolari volontà di Dio quando si degna voler qualche cosa da noi. Anche questa terza gerarchia è composta di tre cori che sono i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli. – A noi è dato adunque di sapere che le gerarchie degli Angeli sono tre, e che formano nove cori distinti. Questo insegnano chiaramente S. Gregorio il Grande, S. Dionigi l’Areopagita, S. Giovanni Damasceno, e finalmente con molta chiarezza San Tommaso d’Acquino. (Qui, per spiegarvi alcunché di questi altissimi ordinamenti del Paradiso, andare appresso a quella luce che ci lasciò in terra negli scritti l’angelica mente di S. Tommaso. Diamo qui il paragrafo di S. Tommaso su cui fondiamo la nostra spiegazione. Prima hierarchia, scilicet Seraphim, Cherubim et Throni inspicit rationes rerum in ipso Deo: Secunda vero, idest Dominationes, Virtutes et Potestates in causis universalibus; tertia vero, scilicet Principatus, Angeli et Arcangeli secundum determinationem ad speciales effectus. Et quia Deus est finis non solum Angelicorum ministeriorum sed etiam totius creaturæ, ad primam hierarchiam pertinet consideratio fivis; ad mediam vero dispositio universalis de agendis; ad ultimam autem applicatio dispositionis ad effectum, quæ est operis executio. (Thom., Parte 1° q: 108 art. 6.). Secondo quel che abbiam detto, la prima gerarchia è composta di tre cori; e nel primo coro sono i Troni. Di loro si può dire che, come Dio nell’inaccessibile luce della sua Divinità diffonde intorno a Se Stesso a fiumi a fiumi innumerabili splendori; ed è Egli stesso la fonte di tutta vita, in quegli splendori sì crei mille Intelligenze, in cui riflette Egli e fa splendere il lume della sua Intelligenza Divina. Queste Intelligenze, spiriti estatici nella contemplazione di Dio, gli splendono d’intorno. Così Dio in quell’oceano di luce che vien da Lui, e che da quelle Vite d’Intelligenze si riflettei Lui, Iddio, come si posa, e diremo con misera parola umana, riposa in beatitudine: appunto appunto come una persona umana, tutta pura di pensieri, di cuore, di corpo riposa tranquilla e volentieri in mezzo tutte cose mondissime che si è preparato d’intorno. Ci si perdoni; ma noi crediamo che per questo siano con tanta convenienza chiamati troni, ché Dio risiede in essi tra gli splendori della celestial sua luce. Il secondo coro abbiam detto che è dei Cherubini, e’ par che si possa dire che Dio fa splendere sopra di essi l’immagine di Se Medesimo così compiuta, che è solamente minore dell’Immagine Sostanziale del Verbo Figliuol suo. Essi in rapimenti d’intelligenza vedono Dio, lo contemplano con quello sguardo così vivace, così potente che l’abbraccia quanto è possibile a creature, e lo possiede. Onde s’imparadisano con Dio a somiglianza del Figliuol suo Divino, il quale però è unito al Padre sostanzialmente per via d’Intelligenza divina. Il terzo coro della prima gerarchia è dei Serafini. Dio, Sommo Bene, ed Eterno Amore comunica tanto della sua Bontà in loro, che li compenetra tutti. Così vivono essi; ma non sono essi che vivono, ma vive in loro Dio, il quale li immerge in Se Stesso con un’atto del suo Amore ad immagine dello Eterno Amore Sostanziale, lo Spirito Santo, che unisce il Padre col Figlio divinamente.). – Ora mi resta a dire finalmente come gli Angeli fanno tanto bene a noi, e specialmente gli Angeli custodi; e così intenderete quanto si meritino da noi rispetto ed amore. La seconda gerarchia è formata parimenti di tre cori. Il primo coro sono le Dominazioni. Bisogna sempre ricordare che le creature sussistono perché le fa sussistere Iddio; e che tutte le creature hanno quel tanto di bene in sé che Dio mantiene in loro. Esse poi vanno ordinate in loro carriera in quanto stanno nell’ordine, e procedono regolate secondo il disegno della volontà di Dio. Questo disegno della volontà di Dio è la legge eterna, che comanda l’ordine naturale, e proibisce di perturbarlo. Ora le Dominazioni saran compenetrate da questa legge eterna, che ne forma come la loro esistenza, e quindi sono tutte tutte a dominare l’universo per tenerlo nell’ordine e conservare il bene che viene da Dio nell’universo. Il secondo coro della gerarchia è quello della Virtù. Tutte le creature dell’universo sono divise in varie classi, e riunite come intorno ad un loro centro particolare. Le stelle, che sono grandi mondi del firmamento, hanno il lor centro. Centro della terra e degli altri pianeti è il sole (questa affermazione è antibiblica ed eretica, come già detto in una precedente istruzione – ndr.), e nella terra è il centro delle materiali cose create per essa. Le Virtù tengono nell’ordine universale le forze le quali producono i fenomeni entro al loro cerchio intorno ai loro centri. Suscitano essi talvolta i nembi e le tempeste, mettono la calma avventano le folgori, dominano nelle stagioni secondo il volere di Dio. E quando Dio vuol che succeda un miracolo, e sospende le leggi naturali, le Virtù colla lor forza provvederanno, perché non sia sconcertato l’ordine universale. –

Il terzo coro della seconda gerarchia sono le Potestà, e sono quelle che tengono in freno i demonii, e metton loro paura. I domoni, nemici di Dio, odiano il ben di Dio, mirano a suscitare disordini, e nel disordine guastandosi il bene, è prodotto il male. Sicché il male è fatto dal diavolo, il quale si serve delle cose create in mezzo alle quali ha introdotto il disordine per lo peccato: e il peccato stesso è un disordine, è un guasto, è una privazione del bene che vuole Dio. Deh! che le Potestà ci difendano dal demonio guastator del bene di Dio: e quindi dal satana l’avversario del Sommo Bene Iddio! – Ben vi ho da dire della terza Gerarchia, in cui vi dissi già sono tre ordini o cori di spiriti angelici, e si chiamano più particolarmente col nome d’Angeli, che vuol dire ministri della bontà e della misericordia di Dio verso di noi; poiché essi sono destinati a comunicare a noi i doni e le grazie che Dio ci distribuisce secondo l’economia della Provvidenza Sua Divina. Essi adunque stanno propriamente in mezzo tra Dio e noi. Ve ne darò una bella immagine. Voi avrete, ben veduto nella sua bellezza il sol d’Oriente che spande la luce in mezzo all’orizzonte. E avrete veduto certe nuvolette color d’argento che s’innalzano leggiere leggiere dalla terra e stanno intorno al sole, e par che lo contemplino innamorate. Il sole par che risponda d’amor con loro, e manda dentro di loro della propria luce; di luce le compenetra tutte, sicché risplendano anch’esse di luce, versandola sulla terra, quasi desiderose di accarezzare e render ridenti col loro color di rosa e colli e prati, e fini laghetti in fondo alle più umili valli. Così quei cari nostri Spiriti della terza Gerarchia, specchiansi in Dio, e compenetrati di sua luce eterna, partecipi della Sua immensa bontà, si abbassano fino in terra contenti di diffondere ì benefici di Dio sopra di noi poveri mortali. – Il primo coro di questi benefici spiriti sono i Principati, i quali diffondono i doni di Dio sulle nazioni intiere di cui hanno cura. Ce lo dice la parola di Dio pel profeta Daniele: che uno Spirito vegliava e si pigliava cura pel regno dei Persiani: poi un altro Spirito pel regno dei Greci. Un dì apparve un ignoto Macedone a S. Paolo, e si crede che sia l’Angelo della Macedonia che invitò 1’Apostolo delle genti a passare in quel regno a predicare Gesù Cristo. I santi Padri Basilio, Epifanio, Gregorio Nazianzeno credono che ogni diocesi abbia un Angelo che assista il Vescovo. E se questo conforta i fedeli, ispira molto rispetto verso del Vescovo dagli angioli accompagnato. Gli altri due cori sono degli Angioli e degli Arcangeli. Degli Arcangeli si serve Dio per fare i più grandi miracoli della Sua misericordia, e affida a loro i più profondi misteri del Suo amore. Di questi Arcangeli dei quali ci fece conoscere il nome; il solo loro nome fa intendere, quanto si meritano venerazione: Arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele. Il nome di Michele vuol dire « Chi è simile a Dio? ». Questo del Principe Arcangelo sul grido d’allarmi che chiamò gli Angeli fedeli a combattere per la gloria dell’Altissimo: quando lucifero coi suoi compagni d’orgoglio si ribellò contro di Dio. Allora fu gran battaglia in cielo; e Michele con tutti gli Angeli fedeli batté terribilmente i nemici di Dio: e gli angeli cattivi cacciati dal Paradiso restarono demoni dannati per sempre. E come una grande vittoria dà il nome al capitano che la guadagnò: così il nome di Michele restò scolpito sulla fronte del gran Principe del Cielo che trionfò dei diavoli: e questo nome Michele « chi è simile a Dio? » rende terribile la maestà di questo Arcangelo Principe: e par che dica continuo « con la forza di Dio, nessuno mi vince ». Come poi vinse il demonio e fece trionfar la gloria di Dio in Cielo: così resta Michele il difensore della Chiesa cattolica sempre in battaglia in terra contro i demoni d’inferno: e i sommi Pontefici misero il Vaticano e la Chiesa di S. Pietro dove risiede il Papa, sotto la sua protezione. Rizzarono la statua dell’Arcangelo Michele (colla spada da sguainata in una mano): è là con nell’altra mano che mostra il diavolo battuto ai piedi: par che mandi dagli occhi un lampo, e gridi: « guai a chi fa la guerra al Papa, alla Chiesa, col demonio: resteranno con esso sempre battuti ». – Altro Arcangelo di cui conosciamo il nome è Raffaele: questo nome vuol dire: « medicina di Dio. » Egli fu mandato a guidar il giovane Tobiolo, lo salvò dai pericoli, liberò Sara sua sposa dai demoni; consolò il Vecchio Tobia padre col guarirlo dalla cecità: disse egli stesso a quella buona famiglia, che egli offriva le opere di carità fatte da Tobia coi vivi e coi morti, e che veniva dal cielo appunto per darne così bella ricompensa. Il terzo Arcangelo conosciuto di nome è Gabriele: e questo suo nome vuol dire « fortezza di Dio » perché viene ad annunciare il Messia liberatore, il Salvatore del mondo, Gesù: quando voleva nascere in terra, come vi racconterò parlandovi della santissima Annunciazione. – Il re di Siria un dî mandò le sue truppe a circondar la città di Dothain per pigliare all’improvvisa il profeta Eliseo. Svegliato al mattino Giesi suo servo li vide! … e « o padre mio, esclama. come ci salverem noi? ed Eliseo a lui: non temere, figliuolo e poi disse al Signore: deh, fategli vedere ben Voi!………, e Giesi allora vide un esercito di cavalli e di carri di fuoco. Del caro Arcangelo Raffaele sapete ben voi come accompagnasse da buono il giovinetto Tobia, e quanto bene facesse alla sua famiglia. Saprete anche bene che un dì quel feroce Nabucodonosor fece gettare nella fornace ardente i tre giovanetti che non volevano piegar il ginocchio ad adorar lui, perché adoravano ìl solo Dio. Nella fornace l’Angelo fu là a tener alla larga le fiamme sicché i tre giovinetti passeggiavano benedicendo il Signore in mezzo a quel furente incendio, godendo d’un venticello come di mattino. Anche poi, quando Daniele Profeta fu gettato nel lago dei leoni, un Angelo serrò la gola ai leoni per tutta la notte, e Daniele lodava il Signore a sicurtà. Allora quando Giuda Maccabeo combatteva le battaglie del Signore, nel furor della mischia apparvero cinque guerrieri di Cielo che lo coprirono coll’armi proprie, e sfolgorarono i nemici che caddero accecati e rotti confusamente. Ricorderete poi ben voi (e basterà; chè io non posso dirvi tutto) come accennai che quando Erode teneva in prigione S. Pietro, un Angelo gli apparve in carcere, lo scosse dal sonno; « e levati su, gli disse, va subito a predicar Gesù Cristo. » Se lo pigliò per mano; e S. Pietro esterrefatto vide aprirsi da sé la porta, è come fuori di sé esclamò, sparito l’Angelo: « veramente fu un Angelo mandato da Dio che mi liberò dalle mani d’Erode e dalle mani de’ Giudei.» – Ma specialmente ora vi parlerò degli Angeli Custodi; e di loro vorrei parlarvi proprio con tutto il cuor sulle labbra, perché sel meritano gli Angeli Custodi, verso i quali mostriam così poco cuore. Eppure sono gli Angeli Custodi destinati da Dio per esser le nostre guide, i nostri difensori: Sono cari amici, compagni del nostro peregrinaggio in questa povera vita per condurci in paradiso; e si pigliano tanta cura per noi. Ed in vero Dio ha fatto vedere a Giacobbe in visione che gli Angeli discendevano sopra una scala di Cielo, e risalivano per far intendere che gli Angeli discendono a portarci le grazie di Dio, e salgono a portar in Cielo le offerte delle opere buone, e gli incensi delle nostre orazioni. Anche S. Giovanni li vide che si affrettavano a deporre le nostre preghiere come santi profumi davanti a Dio sull’altar d’oro in Cielo. Dirovvi poi che in modo particolare fanno questi tre offici di carità i nostri Angeli Custodi con noi.

1° Ci guardano da tutti i pericoli, pigliandosi cura dei corpi e delle anime nostre. 2° Ci difendono dai nostri nemici, e massime dal demonio. 3° Ci comunicano buone ispirazioni, e pregano continuamente per noi in vita e massime nella nostra morte.

1° Ho detto, che ci guardano da tanti pericoli, pigliando cura del corpo e dell’anima nostra. Girano essi con cura amorosa intorno ai bambini, e li portano via, chi sa? da quanti pericoli; perché coltivano nei fanciulletti tante speranze di paradiso, per questo stendono le ali, come uno scudo, sopra di essi per conservarli innocenti. Tristo colui che fa perdere l’innocenza ad un fanciullo! ei provoca lo sdegno e la vendetta dell’Angelo Custode, il quale dovrà gridare davanti a Dio « questo cattivo tenta di mandarmi all’inferno la cara anima che mi avete, o Signore, affidata da custodirvi pel paradiso!… » Quindi da quanti pericoli salvano essi le nostre persone! Sentite bei fatti. S. Francesco Regis, dopo d’aver passato più notti senza dormire per ascoltare le confessioni in certo sito, fu obbligato ad andare subito in altro villaggio per cominciare un’altra missione. Egli camminava mezzo addormentato, e senza accorgersi, si trova sopra un precipizio: un sol passo ancora che avesse fatto, era morto. Senti una mano che lo fermò…; e si vide sotto i piedi spalancato l’abisso! .. Ringraziò l’Angelo suo Custode. S. Filippo Neri veniva una notte dall’aver portato soccorso ad una povera famiglia: cadde in una fossa profonda; ma l’Angelo lo trasse fuori sano e salvo. L’istesso avvenne a S. Domenico, il quale fu accompagnato dagli Angeli in una notte burrascosa; e vide altra volta gli Angeli portare il cibo per la sua famiglia di religiosi che si trovavano in necessità. Racconta anche di tempi anteriori il dotto Rufino come S. Teodoro gli disse, che in mezzo alla tortura che gli avevano fatto soffrire per la fede, in sul principio egli non ne poteva più dai dolori; ma che subito gli apparve al fianco un Angelo a rinfrescargli le membra, che gli bruciavano in quei tormenti; sicché, diceva egli, « quando cessarono di tormentarmi, ne restai subito mortificato pel dispiacere di non avere sentito più quella dolcezza di refrigerio. »

2° Gli Angeli Custodi ci difendono dai nostri nemici. È bello ricordare come l’Angelo difese la purità della Vergine S. Cecilia Martire; e come per avere veduto quell’Angelo lo sposo suo, il suo cognato e tutti quanti i suoi di casa divennero una famiglia di santi tutti martiri. Si legge poi nella storia ecclesiastica di S. Vencenslao re di Boemia che, presentandosi esso in persona a battersi col principe Ladislao, ribellatosi contro di lui, a fine di terminare la battaglia e risparmiare il sangue del suo popolo, quando Ladislao era lì per trafiggerlo con un colpo, egli vide un Angelo al fianco che lo fece rispettare. Santa Francesca Romana poi trattava famigliarmente coll’Angelo suo, e fu l’Angelo che la fece trionfar del demonio. Dunque, figliuoli miei, ricordatevi che, se molti siamo qui ancora adesso, dobbiamo ringraziarne i buoni Angeli nostri Custodi. Qualche volta un passo che avessimo mosso ancora innanzi ci avrebbe fatto cadere in un precipizio: un colpo che ci passò rasente alla vita; un sasso che ci si fosse caduto sul capo, mentre ci è caduto ai piedi; uno sbadiglio, un singulto, un boccone che ci avesse attraversato il respiro ci avrebbe troncato improvvisamente la vita. L’Angelo Custode ci salvò. Ah se fossimo morti all’improvviso in quell’ora … Eh se fossimo stati in peccato mortale! Il diavolo, che ci fa sempre la ronda, credeva già di strascinarci all’inferno… Ah, e se l’Angelo non ci salvava, da quanto tempo saremmo dannati in inferno!…. Perché l’anima nostra, poverina, non era ancora preparata alla morte, l’Angelo ci difese, ci conservò in vita colla speranza di portarci in paradiso… Sia ringraziato il Signore che mando i suoi Angeli intorno a noi, affinché ci custodissero, e ci portassero finanche in mano per salvarci. — Angelis suis Deus mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis…. In manibus portabant te. – Voglio ancora osservarvi essere vero quel che dice S. Basilio (in Psal. 33.) cioè che il peccato ributta gli Angeli lontani da noi, come il fumo fafuggire le api; ma dice pure S. Tommaso che non ci abbandonano del tutto mai; (1. p., 9. q. 108, art.6.) ma, girano intorno intorno a noi, anche quando siamo in peccato, come cari amici disprezzati; cheanzi fanno come una buona madre, la quale quando il figliol cattivo non la vuol più vedere, ed anche,se la vede vicina, l’offende; almen da lungi concerte occhiate gli dice il cuor suo; e se appena il cattivo le lascia dire una parola d’appresso, subitocon un sospiro gli dice: « figliuol mio, t’hai da salvare»……. Insomma ci portano in braccio, emassime nelle tentazioni ci stanno al fianco, cercanodi tenerci stretti con loro; e finché noi stiamocogli Angeli Custodi uniti, metteremo senza paura ilpié sulla testa al serpente infernale. — conculcabis leonem et draconem.

3° Finalmente voglio dirvi come gli Angeli pregano per noi. Sentite l’amabil parola di Gesù Cristo. Quando si tirava in seno i pargoletti che gli stavano d’intorno, Egli disse: « gli Angeli di questi figliuoli vedono sempre la faccia del Padre in Cielo. » (Matth. XVIII) Ora se questo ci deve inspirar grande rispetto verso dei figliuoli, e deve farci aver gran riguardo di non offendere la loro innocenza, ci mostra però eziandio che gli Angeli Custodi ci presentano tra le lor braccia continuamente a Dio: e con quegli sguardi che giungono al Cuor di Gesù di concerto col Cuor di Gesù, van ripetendo per noi: « questi poverini che teniam sulle braccia, noi li vorremmo con noi in paradiso. Deh! tra le braccia degli Angeli cadiamo sovente, almeno col cuore, alle ginocchia di Gesù nel Sacramento, massime quando preghiamo! Pigliamo questa beata usanza, perché così ci troveremo accompagnati dagli Angeli nel Cuor di Gesù alla nostra agonia. Due buoni santi padri gesuiti in agonia dissero: « é un bel morire nello spirar l’anima tra le braccia degli Angeli nel Cuor di Gesu! » Si, miei figliuoli, nell’agonia, quando il mondo ci cade in niente dietro di noi….; quando stiamo sopra l’abisso dell’eternità….; allora, negra oscurità,… cupo silenzio,… tremendo abbandono, …! Sarà dunque l’anima sola nel cimento, nell’atto di presentarsi al giudizio di Dio? No no per noi che spireremo l’anima tra le braccia degli Angeli nel Cuor di Gesù: ché l’agonia nel Cuor di Gesù è bacio di paradiso. – Udite adunque ciò che dice il Signore a grande vostro avviso: «rispettate il mio Angelo che vi ho mandato; ascoltate la sua voce; e pigliatevi ben guardia dal disprezzarlo col peccar davanti a Lui; perché in Lui è il mio Nome: ed Io allora, se lo rispetterete, così sarò il nemico dei vostri nemici, e affliggerò chi cercherà di affliggervi. » Noi vogliam conchiudere con quella bell’anima di S. Bernardo, che 1° dobbiamo rispettare gli Angeli Custodi, perché sono sempre presenti; 2° perché ci custodiscono e ci difendono, e dobbiamo in loro confidare, 3° perché ci vogliono bene tanto, dobbiamo amarli devotamente. Facciamo adunque un po’ di

Esame.

1° Pensiamo: abbiamo considerato che vi son tanti Angeli, grandi Principi, cosi vicini al Trono di Dio; che Maria Ss. é la Regina di tutti, e che stanno essi ai cenni di Lei. Onoriamoli adunque specialmente nelle loro feste. Finora forse li abbiamo ben poco onorati.

2° Dunque gli Angeli Custodi ci girano sempre d’intorno, e pigliansi tanta cura per noi. Ma e noi, o miei fratelli, come trattiamo con loro?……….

Mettiamoci la mano sugli occhi per troppa nostra vergogna! Noi colle persone del-mondo tutti i riguardi, tanto rispetto, e le gentilezze più delicate; e solo cogli Angeli, lasciatemelo dire, trattiamo da villani, senza mai dire loro neppur un grazie, senza neppur dar loro un pensiero, vorrei dire un’occhiata di cuore. Poveri noi! facciam proprio come i figliuoli cattivi i quali trattan bene con tutti, ma si pigliano la libertà di trattar male solamente colle loro buone mamme: non mai una parola amorosa con esse.

Pratica.

1° Dunque risolviamo di onorare gli Angeli, e pecialmente nelle loro feste. La festa di S. Michele Arcangelo, Principe degli Angeli, la Chiesa‘ce la fa celebrare agli 8 di maggio giorno in cui apparve sul monte Gargano; ed alli 29 settembre, giorno in cui gli fu dedicata la Chiesa; e in questi due giorni si fa festa anche degli altri Angeli. Dell’Arcangelo Gabriele ricorre la festa alli 24 Marzo: dell’Arcangelo Raffaele si fa la festa alli 24 di Ottobre. La cara festa poi degli Angeli Custodi si rinnova ogni anno alli 2 di Ottobre.

2° Pigliamo questa bell’usanza, quando al mattino, a mezzodi ed alla sera salutiamo Maria, e La pigliamo, per dir cosi, per mano, perché ci unisca a Gesù che abita con noi nel Sacramento, noi chiamiamo eziandio coll’Angele Dei, Angelo Custode, in compagnia di noi. Quando poi preghiamo facciamolo in compagnia degli Angeli, massime quando adoriamo Gesù Cristo in Sacramento.

3° Nelle tentazioni gridiamo come fece il Tobiolo all’Angelo Raffaele, nel punto che quel mostro di pesce era li per divorarlo: « Angiol di Dio, salvatemi voi ».

4° Ma non tralasciamo di confessarci e comunicarci nella festa degli Angeli Custodi. Ché dev’essere questo un far loro fare una cara festa, per vederci uniti a Gest Cristo, che é quello che tanto sospirano.

Catechismo.

D. Dite un pò perché nel credo che cantiam nella Messa, diciamo che Dio è Creatore delle cose visibili ed invisibili?

R. Perché, oltre le creature corporali e le persone visibili, Dio creò gli spiriti i quali sono gli Angeli.

D. Quando Dio creò gli Angeli? e ne creò tanti Egli? e sono tutti dell’istesso ordine?

R. Dio creò gli Angeli in principio del tempo: ne creò tanti e tanti; e sono divisi in tre ordini denominati Gerarchie, le quali gerarchie formano nove cori.

D. Quali sono le occupazioni degli Angeli?

R. Gli Angeli sono stati creati per contemplare, amare, e insomma adorar sempre Iddio in Cielo e in ogni luogo, e per adorare Gesù Cristo nel Sacramento, ahi! troppo da noi abbandonato; e sono poi mandati da Dio per eseguire i suoi comandi cogli uomini. Gli Angeli Custodi poi in modo particolare sono destinati a pigliarsi tutta cura di noi per salvarci.

D. Dunque abbiam tutti un Angelo Custode, destinato a pigliarsi cura di noi?

R. Si; abbiamo tutti il nostro caro Angelo Custode, cui dobbiam sempre rispettare, perché è sempre presente; cui dobbiamo amar tanto, perché Egli ci fa tanto di bene: cui dobbiamo chiamare in ajuto con confidenza, perché egli sempre ci custodisce e ci difende.

Tenete a mente questa bella parola di Dio: Dio mandò i suoi Angeli intorno a noi, affinché ci custodiscano in tutti i nostri andamenti, e fino ci portino in braccio. « Angelis suis Deus mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis………: In manibus portabunt te. » Sia ringraziato Iddio.