VITA E VIRTÙ CRISTIANE (6)
GIOVANNI G. OLIER
Mediolani 27-11 – 1935, Nihil obstat quominus imprimetur. Can. F. LONGONI
IMPRIMATUR, In Curia Arch. Mediolani die 27 – II – 1935 F. MOZZANICA V. G.
CAPITOLO V.
L’umiltà
IV.
Pratica della vera umiltà.
1° Evitare qualsiasi onore, anzi essere oltremodo dispiacenti se ci vediamo onorati, convinti che per noi essere trattati a questo modo è cosa contraria ad ogni giustizia e ad ogni ragione.
2° Stimare noi stessi così vili e abbietti che tutto ci sorprenda fuorché di vederci disprezzati.
3° Rifuggire dall’essere conosciuti e applauditi, perciò tener nascosto tutto quanto potrebbe attirare la stima, e vivere nel silenzio per quanto lo permette la carità.
4° Ambire l’ultimo posto, non solo nelle cariche e negli uffici, ma pure nella stima degli uomini, desiderando di passare nel loro spirito come il più vile di tutti, giusto queste parole di Nostro Signore: Scegliete l’ultimo posto. Recumbe in novissimo loco (Luc. XIV, 10).
5° Desiderare di essere annientati in noi stessi secondo la carne, o di esserlo pure universalmente nel pensiero di tutti gli uomini, rimanendo dappertutto completamente dimenticati. Dobbiamo desiderare che la nostra memoria perisca completamente sulla terra, essendo noj abbominevoli secondo la carne che è cosa esecrabile e da condannarsi ad un perpetuo oblìo (Ob ulit in anathema oblivionis. Judith., XVI, 283).
6° Vivere in pace nel disprezzo; se siamo lodati, rimanerne confusi nell’intimo del cuore; anzi condannare noi stessi di ipocrisia e dì orgoglio per esserci attirata una lode immeritata.
7° Nelle lodi, umiliarci e confonderci alla vista del nostro niente, e con gioia riferire a Dio tutto l’onore che si vuole rendere a noi, protestando che Lui solo merita di essere onorato. – Vivere in tal modo in queste pratiche, inabissati nel proprio nulla senza uscirne e trovarvi il proprio centro e le proprie delizie; è questo un segno di vera umiltà.
Perché la vera umiltà produce il desiderio di vivere nascosti, ritirati e sconosciuti, in una parola, di non comparire perché Gesù solo comparisca in tutto; essa ci fa distruggere il nostro essere proprio, per essere tutti rivestiti di Gesù Cristo, e comparire unicamente sotto di Lui e in Lui.
V.
Segni della vera umiltà.
Il vero umile non crede mai di essere umiliato, — si guarda bene dall’offendere nessuno, — tutto sopporta, completamente abbandonato a Dio, — nella purezza d’intenzione.
L’anima veramente umile è convinta che non può essere stimata meno di quanto vale, perché vede se stessa al disotto di tutto quanto si potrebbe dire. Coloro che sono grandi possono essere abbassati, ma quelli che sono vili e abbietti non possono venire abbassati al disotto del posto in cui si trovano. – L’anima umile si guarda bene dal recar dispiacere a qualsiasi persona, e preferirebbe soffrire qualsiasi pena piuttosto che mortificare il suo prossimo: se talora vi è costretta quando lo richiede il bene del prossimo, anche allora dimentica se stessa e si abbandona allo Spirito di Dio che si serve della sua parola e della sua lingua, purificata che sia da ogni interesse proprio come di uno strumento per operare gli effetti di quella spada a due tagli, che penetra sino al fondo del cuore, divide lo spirito dall’anima e purifica l’uomo sino al midollo. (Hebr. IV, 12). E allora le Spirito di Dio che risiede in quell’anima annientata in sé medesima, la consuma sino all’intimo, e rendendola partecipe della propria santità, fa che sia capace di vedere i difetti altrui, provarne gran dispiacere e correggerli secondo l’ordine di Dio e nella propria di Lui divina dipendenza; quindi essa di ciò che quel divino Spirito le suggerisce e sempre con grande efficacia e benedizione. – L’anima umile, vedendosi al disotto di tutto e indegna di tutto, è sempre animata da tali sentimenti di disprezzo di sé medesima che non sopporta senza affliggersi le minime cose che si fanno in suo favore e dimostrano che si ha qualche stima per essa. Se, per esempio, le si porge qualche cibo più delicato del solito, ne sarà tutta desolata, nel vedere il caso che si fa della propria persona, mentre ritiene di essere un niente. – L’anima umile deve essere in tal modo morta agli affronti e al disprezzo, da rimanere insensibile a tutto, non pensando che a soffrire per amor di Dio, come una pecora che si lascia sgozzare senza lamentarsi. Deve essere in tal modo morta a tutti i suoi sensi, che consideri il suo corpo come un cadavere, e aspetti incessantemente lo si seppellisca, per volarsene liberamente al cielo, onde amarvi ed adorarvi Dio, con tutto il suo cuore. Essa deve vivere in questo spirito di piccolezza e mantenervisi incessantemente. Ché se talvolta essa si trovi con persone eminenti, per interessi concernenti la gloria di Dio, essa deve subito ritornare nel suo fango e nella sua viltà, ritirandosi in sé medesima, occultandosi nella povertà in cui Dio la vuole, e rimanendo sempre nascosta nella propria bassezza. – L’anima umile deve stare nelle mani di Dio, come una piuma in balìa del vento, la quale dopo essere stata trasportata dovunque sia piaciuto alla divina Maestà, deve ricadere nella polvere. Così l’anima deve fare le opere sue in pieno abbandono allo Spirito Santo; perché allora esse verranno compiute in una purezza ammirabile e tutte in Dio. Essa deve fare come un servitore che se ne va portando i messaggi del suo padrone senza sapere se si tratti di cosa che gli sia di vantaggio e serva alla di lui gloria, operando sempre secondo le intenzioni del padrone e senza nessun altro intento. Così, il servo fedele di Dio deve essere in tal modo disinteressato da non sapere a qual fine lavori e sia impiegato, se sia per la più grande gloria di Dio o mene. Basta faccia ciò che Dio intende: dimentica se stesso e non ha in mente altro che Dio, lavora unicamente per Dio, in Dio, e sotto l’azione di Dio. – L’anima che non ha superbia è di una tale purezza che nulla desidera e nulla vuole, crede di non esser nulla, né mai opera da se stessa. Non deve neppure occuparsi di Dio secondo la propria volontà e di propria iniziativa. Che cosa ci vuole dunque? Bisogna che Dio stesso possegga l’anima secondo il proprio beneplacito, e non già che l’anima voglia possedere Dio per disporne secondo la propria volontà.