LE VIRTÙ CRISTIANE (18)

LE VIRTÙ CRISTIANE (18)

S. E. ALFONSO CAPECELATRO – Card. Arcivescovo di Capua, Tipografia liturgica di S. Giovanni – Desclée e Lefebre e. C., Roma – Tournay – MDCCCXCVIII

PARTE IIIa

CAPO VII

LA SESTA BEATITUDINE

La Virtù della Purità.

Dall’amore buono che vive nel cuore umano, come da nobilissima fonte, rampolla la virtù cristiana della purità; una virtù celestiale che accosta gli uomini agli Angeli. E di questa virtù appunto parlò il divin Maestro allorché disse: Beati coloro che hanno il cuore puro. Soavissima parola anche questa, e che ha consolato tante anime, e ha nobilmente purificati e santificati tanti amori! La virtù della purità si può considerare in due modi; e all’uno e all’altro modo mirò indubbiamente Gesù Cristo, nell’annunziarci la beatitudine dei puri di cuore. Il primo modo è generico; e allora la purità, intanto che risiede nel cuore, accompagna tutti gli amori buoni di qualunque natura essi siano. Come diciamo puro il cielo, che non sia offuscato da nubi, e puro il fonte, che non sia intorbidato da fango e da altre materie estranee; così è puro l’uomo, il quale, in ciascuno dei suoi amori, non ha né nubi che ne offuschino il candore, né fango che ne intorbidi la chiarezza. Questa purità, al pari di tutte le altre virtù, non entra nel nostro cuore, se prima la mente non s’illumini della idea di essa, e non diffonda la sua luce illuminatrice  nel cuore. La mente ci fa dapprima conoscere dove è il sommo Bene, nel quale posseduto, si acquieta interamente il nostro cuore, e quali sono i varj beni particolari e parziali, e quale l’ordine e il valore di ciascuno. Allora, quando il cuore ama il Bene sommo sommamente e come ultimo suo fine, e ama i beni particolari, secondo il pregio e l’ordine di ciascuno, e senza separarli dal primo Bene, esso cuore è puro. E anche allora il cuore così amante manda fuori un delicato profumo, che arriva a coloro, che o sono egualmente puri anche essi, o almeno hanno nell’anima vivo il desiderio della purità. Infine, per la grande unità che Iddio pose nell’uomo, sempre che in lui il cuore è puro, sono egualmente pure. la mente, l’immaginazione, la memoria e la parola: anzi la purità del cuore si riflette e trasparisce negli atti esteriori e in tutta la vita del Cristiano puro. Di cotesta purità parlano spesso i Libri ispirati e i Padri della Chiesa. E ciò con ottima ragione; perciocché, tra le virtù cristiane, la purità è ottima e nobile disposizione a salire alle stelle, e più chiaramente alla visione di Dio, secondo le parole stesse di Cristo: perciocché essi vedranno Iddio. Onde mi riesce assai bello e opportuno l’elogio, che della purità del cuore si legge in quel libriccino tutt’oro che è la Imitazione di Cristo: “Se tu fossi dentro buono e puro, ogni cosa vedresti senza alcun impedimento, e in bene la riceveresti. Il cuore puro e mondo trapassa col pensiero il cielo e l’inferno… Se gaudio si trova nel mondo, certamente si trova nell’uomo puro di cuore… Siccome il ferro messo nel fuoco, perde la ruggine e tutto diventa rosso; così l’uomo, che si converte a Dio interamente, è spogliato d’ogni pigrizia, ed è trasmutato in un nuovo ordine”.(Imit. Cr. II, 4, 2). Però sant’Agostino, dopo di avere insegnato che Iddio si vede soltanto con l’occhio del cuore, aggiunge. “In quella guisa che la luce terrena non si vede, se non dall’occhio sano e puro; così Dio non lo si vede, se non quando è mondo quel cuore, con cui solo si può vedere ”, (Lib. I, De Serm. Domini). – Ma la virtù della purità ha il più delle volte un significato più particolare; ed allora, come insegna S. Tommaso, prende anche il nome di castità, che è quanto dire di virtù castigatrice della concupiscenza. Iddio, nel creare l’uomo, pose in lui l’appetito concupiscibile, cioè la tendenza dell’animo verso ciò che apprende come dilettoso. Se l’uomo fosse rimasto nella primitiva innocenza e giustizia, il concupiscibile, anche in quella forma d’amore, nella quale entra il senso, sarebbe rimasto soggetto alla ragione e al libero volere di ciascuno, e altresì pieno di temperanza, d’ordine e di serenità. Ma il peccato d’origine che ferì malamente tutto l’uomo, lo ferì in modo particolare in quell’amore in cui entra il senso. L’appetito del concupiscibile per questo rispetto diventò concupiscenza; quella concupiscenza, dico, che, secondo l’insegnamento cattolico, non è di per sé peccato, ma trae origine dal peccato e al peccato inclina l’uomo. (Concil. Trid. Sess. V, com. 5).Ora la virtù che castiga il disordine della concupiscenza, e la infrena, la governa, la tempera, la tiene ordinata e soggetta alla ragione e a Dio, essa è la purità. – Dalle cose dette si vede a prima giunta che la purità, dovendo castigare e infrenare una possente e ribelle inclinazione umana, riesce di per sé una virtù particolarmente battagliera. È quindi la virtù dei forti e degli animosi. I moralmente fiacchi e vili, il più delle volte, non arrivano neanche ad intenderla; talora anzi (oh miseria e accecamento grande dell’umana natura!) arrivano a crederla impossibile. Ben è vero che le battaglie della santa purità cristiana quasi sempre sono ignote a tutti, meno che a colui che le combatte: di esse non si vede nulla o pochissimo esteriormente, ché la lotta della purità si sostiene e si vince soprattutto nella mente e nel cuore, per effetto di preghiere, di mortificazioni, di digiuni, di penitenze quasi sempre ignorate. Ma ciò non toglie che siano lotte dure e incessanti, mercè le quali però l’uomo, come l’oro nel crogiuolo, si purifica e si perfeziona. – Il Cristiano, che voglia essere puro, rassomiglia a chi, volendo salire un alto monte, incontra molti ostacoli per via, e sa di doverli con l’ajuto della divina grazia combattere e vincere. Questi ostacoli sono di vario genere; ma, secondo san Tommaso, si possono ridurre a tre. Il primo è il corpo stesso di chi vuol’esser puro: il secondo sorge dall’animo suo: l’ultimo dalle persone che gli sono intorno. Sono dunque tre i nemici che ci stanno di fronte, e tre le battaglie, che dobbiamo combattere animosamente, e che vinte ci fanno puri, e ci dànno dritto a giungere in quel regno, nel quale non entra niente che sia contaminato. Ma in prima, come mai il nostro corpo ci è diventato nemico e perché? Scrivendo io, più avanti della virtù della temperanza, mi accadde di citare un testo di San Paolo, che qui mi è forza di ripetere. Esso è della lettera ai Romani al Capo VII ed è di questo tenore: “Io trovo nel voler fare il bene esservi anche questa legge che il male mi sta dappresso. Imperocché mi diletto della legge di Dio, secondo l’uomo interiore. Ma veggo un’altra legge nelle mie membra, che si oppone alla legge della mia mente, e mi fa schiavo della legge del peccato. Infelice me! chi mi libererà da questo corpo di morte?” Or la liberazione da questa legge dei bassi appetiti del corpo mortale, san Paolo non la cerca, come altri potrebbe credere, nel lasciare il corpo alla terra, uscendo dalla vita presente, e addormentandosi placidamente nel Signore; ma la cerca e la spera da Gesù Cristo in questa vita terrena, dicendo: Mi libererà la grazia di Dio per Gesù Cristo Signor nostro. Ora lo stesso san Paolo c’insegna che questa grazia liberatrice si ottiene, rendendo di nuovo servo dello spirito e di Dio quel corpo che pel peccato si è costituito signore e tiranno di tutta l’anima. Però egli stesso dice di sè: “Io castigo il mio corpo, e lo riduco in servitù, affinché mentre che predico agli altri, non diventi reprobo io stesso” (I Cor, IX, 37). – Poiché dunque v’ha in noi una legge del corpo, che combatte contro la legge dello spirito, è per vincere in questa battaglia che il Cristiano, come fu detto avanti, digiuna, veglia le notti orando, fa penitenza, si flagella, si astiene da molte cose, e si castiga nel corpo per varj modi. Tutte queste varie mortificazioni sono le armi nostre per attutire l’insolenza degli appetiti sensuali del corpo, e fare che lo spirito ritorni suo re: sono le armi particolarmente necessarie per vincere nella battaglia della santa purità, la quale, senza dubbio, è la più difficile e pericolosa, tra quante l’uomo ne ha da combattere in questa vita terrena. – Ma, intanto che il Cristiano, per essere puro, soggioga e mortifica il proprio corpo, non ha da dimenticare che anche l’animo suo, guasto ed eccitato, com’è, spesso dal corpo, gli muove guerra. Dal fondo dell’uomo inferiore, dove gli appetiti sensuali sono possenti, sorgono alcune vampe fosche di pensieri e di desiderj impuri, che arrivano alla parte superiore dell’anima, e stranamente la turbano. Assai delle volte la mente, la memoria; la fantasia, dimentiche di Dio e del retto ordine della ragione, accolgono amichevolmente quelle vampe impure, e ne prendono diletto ahi! senza pensare che sono apportatrici di morte. Le cose impure pensate, le ripensano, e nuovamente le desiderano, le ricordano, le immaginano. Così l’amichevole accoglienza e il diletto voluto rendono più roventi e pericolose le impure e fosche fiamme dell’impurità, che dal corpo salgono all’anima, e nell’anima divampano più accesamente. D’altra parte l’uomo che vuol essere cristianamente puro, in questa battaglia contro il demone dell’impurità, si eleva con tutta l’anima a Dio, eterna Verità, Bontà e Bellezza. La mente pensa a Dio infinitamente buono e misericordioso; il cuore ama Iddio, come primo ed eterno Amore; la memoria ricorda gl’innumerevoli benefizj da Lui ricevuti; la fantasia lo vede, che infinitamente bello e splendido le si affaccia innanzi. – Insomma Iddio, umilmente e pietosamente pregato dal credente che vuole essere puro, diffonde con la sua presenza, e con la sua grazia un soffio possente di casti pensieri e affetti nell’anima, e il soffio divino smorza e annienta le fosche fiamme dell’impurità. Per vincere dunque questo vizio; bello e santo è soprattutto il pregare e il meditare. – Ma, come insegnano i Padri della Chiesa, le nostre orazioni e meditazioni riescono assai più efficaci, quando ad esse si unisca la lettura dei santi libri della Bibbia divinamente ispirati, onde san Girolamo scrisse: “Ama i libri delle Scritture, e non amerai i vizj della carne”. Però è una vera onta per i Cattolici, il pensare che la Bibbia sia più letta dai protestanti che non da noi. Il credere che questa lettura ci sia proibita, è un volgare pregiudizio, mille volte sfatato. La Chiesa ha giustamente voluto che si leggesse dai suoi figli la Bibbia, con quei commenti che c’impediscono d’interpetrarla malamente e a capriccio; ha voluto impedire presso i suoi figliuoli ciò che è accaduto ai protestanti; tra i quali le interpretazioni, anche dommatiche, dei sacri libri variano all’infinito: ciò ha voluto e niente altro. Del resto, uscendo di digressione, è certo che in nessun libro del mondo tutta la natura creata parla sempre e in modo mirabile di Dio, come nella Bibbia; in nessun libro del mondo il pensiero, le perfezioni e la provvidenza di Dio entrano in ogni cosa come nella Bibbia. Però la Bibbia, e particolarmente il nuovo Testamento, e i Libri sapienziali dell’antico, riescono all’anima, come il soffio di un’aria celestiale e balsamica che vince tutti i foschi pensieri e desiderj della impurità. – A questo supremo pensiero di Dio, nutrito dall’orazione e dalla Bibbia, vengono anche in ajuto nel Cristiano, per viver casto, molti altri pensieri o affetti umani di per sé buoni; i quali anch’essi ci distolgono da’ pensieri impuri, e ci ajutano a vincerli. Quante ricordanze soavi e innocenti, quanti dolci e casti affetti, quante immagini dei piaceri che provammo, per esempio, tra i campi, tra i monti, tra i fiori, in una bella notte stellata, all’ora del sorger del sole o di un bel tramonto, si possono cercare o richiamare alla mente contro il demone dell’impurità! Però San Paolo c’insegna così: “Pensate, o fratelli, tutto quello che è vero, tutto quello che è puro, tutto quello che è giusto, tutto quello che è santo, tutto quello che ci rende amabili, tutto quello che ci fa buon nome, tutte le virtù …; e il Dio della pace sarà con voi”. (Ad, Phil. IV, 8, 9). – La virtù della purità che, come fu detto, è supremamente battagliera, incontra un altro nemico fuori di noi, il quale si aggiunge agli altri due e li punge, li stimola e li rende possenti. Questo nemico (oh quanto è doloroso il pensarlo!) lo si trova in quegli stessi uomini, che dobbiamo amare, come fratelli, e in quelle stesse donne, alle quali dobbiamo voler bene, come a sorelle. Tanto è profondamente guasta, per questo rispetto, la natura umana, che quell’attraimento scambievole, il quale dovrebbe servire alla carità e agli affetti onesti, ahi spesso riesce occasione e incentivo di peccato! L’uomo, se non sia pudico, cauto, prudente e pio, riesce un pericolo per la donna: e la donna egualmente per l’uomo. Però chi voglia vivere nella santa purità, oltre alle cose dette, ha da essere amante del pudore; ha da avere lo sguardo, l’atto, l’andare modesto; dev’essere cauto nel conversare, se uomo con donna, se donna con uomo. Ancora, fugga le occasioni prossime dell’impurità, e soprattutto viva, per questo rispetto, in continuo timore; perciocché il timore in questa lotta è vera sapienza, essendo certo che in nessuna materia la natura umana è tanto fragile, quanto in questa. Ma di ciò basti; ché il dirne più a lungo e con maggior particolarità appartiene piuttosto all’ascetica o a chi regge le coscienze particolari. – Parlando io delle altre beatitudini, mi venne fatto di notare che ciascuna di esse prende una forma nuova e assai più bella in coloro che si sforzano di essere perfetti. Ora il medesimo s’ha a dire della purità; la quale nei perfetti è purità verginale, purità dico che non solo rifugge da ogni peccato grave contrario, ma si tiene anche lontana dai casti amori coniugali; purità, che arriva a tant’altezza, non per fini umani, ma per consacrare tutto l’uomo alla carità di Dio e del prossimo. I Pagani, benché avessero un concetto assai imperfetto della castità verginale, nondimeno la venerarono e la tennero in pregio. Presso i Greci si voleva che la sacerdotessa di Apollo fosse vergine, e vergini erano stimate le Sibille. I Romani credevano venerande le loro Vestali vergini. Quanto ai Giudei, molti credono che all’avvicinarsi dei tempi cristiani nascesse presso di loro anche la venerazione per la verginità perpetua. Ma essi, certo, tennero in grande onore la castità delle vedove; come si scorge sull’esempio memorabile di Giuditta, a cui il gran sacerdote Joachim disse: “Perché tu hai amata la castità, e, dopo il tuo marito, non hai conosciuto altro uomo, per questo la mano del Signore ti ha fatta forte, e per questo sarai benedetta in eterno.!” (Judith. VIII, 6 e segg.). Ma l’onore e il pregio del bel fiore della verginità crebbero infinitamente nel Cristianesimo, il quale ne fece una virtù celestiale e angelica; e vi contribuirono potentemente due motivi. Il primo è insegnare e il professare che la più gran donna, che sia stata o che sarà mai nel mondo, la donna che meritò di esser Madre di Dio, fu un miracolo singolare di verginità. L’altro, che il concetto della verginità fu sposato all’idea d’un nobilissimo sacrificio, che l’uomo o la donna fanno dell’amore sensuale anche onesto, per incelarsi interamente nell’amore di Dio e del prossimo. In ciò sta tutta la bellezza e tutto lo splendore della verginità cristiana; onde risulta che chi non la intende così, non è atto a comprenderla. E poiché a questo sacrificio si richiede, che l’uomo o la donna siano così padroni del proprio corpo, da poterlo, per questo rispetto, avere come se non lo avessero; ne segue che la verginità equipara l’uomo o la donna all’Angelo; e però è giustamente detta virtù angelica. Per questa medesima ragione è virtù soltanto di pochi, benché la luce della sua bellezza si rifletta anche nella vita cristiana dei coniugati, e contribuisca a renderli casti. Ancora, poiché la verginità non si appaga dell’onesto, ma lo sorpassa, essa non è secondo la natura, ma la sorvola ed è più alta di essa. Da ciò segue che la castità verginale abbia bisogno di una luce e di una forza di grazia sovrabbondante. – Insomma il candore verginale, dalla Bibbia paragonato a un giglio tra le spine, è un tesoro che noi portiamo in vasi fragili, un tesoro che c’è dato da Dio, e che si custodisce con l’avere sempre la mente, la memoria, la fantasia e il cuore in Dio. – Gesù benedetto fece grandi elogi di questa virtù nel Vangelo; e san Paolo la lodò pur molto, dichiarando però apertamente, che essa era, per i figliuoli della Città di Dio, un consiglio evangelico, non punto un precetto. I Padri della Chiesa non si stancarono mai di encomiarla; e di sant’Ambrogio si legge che predicava con tanto ardore ed efficacia di questa virtù, che le matrone cristiane, le quali desideravano di maritare le loro figliuole, per non vederle distolte dal matrimonio, non le conducevano più ad ascoltare le prediche del santo Vescovo. – Ed ora per conchiudere il tema della castità verginale, v’invito, carissimi lettori, a trasferirvi un tratto con la mente in Paradiso. Ascoltate come sant’Agostino parla al coro dei vergini e delle vergini, il quale, secondo che è detto nell’Apocalisse, canta al cospetto di Dio un cantico nuovo, un cantico che nessuno altro può imparare a cantare. “In cielo, senza dubbio, ei dice, voi, o eletti ed elette vergini, ben sarete veduti dai numerosi fedeli, che in questa virtù non poterono seguire con voi l’Agnello immacolato. Vi vedranno, o vergini, ma di voi non sentiranno alcuna invidia. Si rallegreranno con voi, pensando che ciò che non hanno essi, lo avete voi. Certo, quel vostro cantico è tutto proprio di voi. Gli altri fedeli, anche santi, nol potranno cantare; ma ben lo potranno ascoltare, e dilettarsi e godere di questo vostro bene tanto eccellente. Ma voi, che lo canterete e lo ascolterete insieme, (perché il canto vostro voi certo lo udite) più felicemente esulterete, e più giocondamente regnerete.’” (De S. Verginitate, cap. XXIX).

7 MARZO (2022): S. TOMMASO D’AQUINO

7 marzo: S. Tommaso d’Aquino, Confessore e Dottore

(B. Baur O.S.B: I Santi dell’anno liturgico – Herder, Roma, 1958)

1. – Tommaso, figlio del Conte Landolfo d’Aquino, nacque nel 1226 o 1227 nel castello di Roccasecca presso Aquino. A cinque anni venne come Oblato al vicino monastero di Montecassino dove ricevette la prima formazione spirituale. Fece i suoi studi universitari a Napoli e, a 17 anni, entrò, con rammarico della sua famiglia, nell’ordine domenicano. Per sottrarlo all’opposizione e alle macchinazioni della famiglia, i suoi superiori lo mandarono a Parigi. Ma durante il viaggio, in Toscana, dietro istigazione dei suoi fratelli Landolfo e Rinaldo, fu acciuffato e tenuto in prigionia nel castello avito di San Giovanni. Lì, in continua lotta con la madre e con le sorelle, passò quasi due anni fra studi eruditi. Alla fine le sue orelle, che a poco a poco egli aveva guadagnato ai suoi piani, lo aiutarono a fuggire, facendolo calare in un cesto dalla torre del castello. A_Napoli pronunciò senza indugio i voti religiosi (1245). Ricevette la sua formazione teologica a Parigi e a Colonia sotto Alberto Magno (1248-1252). Da allora in poi svolse la propria feconda attività d’insegnamento a Parigi, Roma e Napoli. Da qui fu dal Papa Gregorio X. chiamato al Concilio di Lione, ma morì durante il tragitto nell’abbazia cistercense di Fossanova nelle Paludi Pontine il 7 marzo 1274. Nel 1323 fu canonizzato, nel 1567 fu dichiarato Dottore della Chiesa dal Papa domenicano Pio V, e nel 1880 fu nominato da Leone XIII celeste patrono di tutte le università cattoliche.

2. – « Implorai e mi fu data la prudenza, invocai e venne a me lo spirito di sapienza. È l’anteposi a scettri e a troni, e ritenni un nulla la ricchezza in confronto a lei. L’amai più della salute e della bellezza, e preferii il suo possesso a quello della luce » (Epistola). « Ditemi, che è Dio ?» è la domanda che il piccolo Tommaso rivolse al suo insegnante a Montecassino. « Chi è Dio?» « Spiegami dunque, che è Dio ?» Tommaso riconosce ben presto che insegnanti e libri non bastano per arrivare a conoscere Dio; per questo è necessario che l’anima si rivolga a Dio stesso, e non soltanio col desiderio dello spirito, ma insieme con la semplicità, l’umiltà, la purità e l’innocenza del cuore e con insistente preghiera. Egli s’immerge nella meditazione del Vangelo, interroga in uno studio indefesso e con una sconfinata ansia di verità, la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa. Arde dal desiderio di difendere la fede della Chiesa contro gli errori del suo tempo con argomenti strettamente scientifici e per questo rivolge tutto il suo interesse anche alle conoscenze della ragione umana, alla filosofia tutta, anche a quella pagana, e, come nessuno prima di lui, pone la sana filosofia al servizio della teologia e della fede. Gli è ora possibile non soltanto di trattare in forma scientifica le verità della fede, come nei secoli che lo precedettero non fu possibile a nessuno, neanche a un S. Agostino, ma di togliere a prestito anche dalla ragione le armi con le quali vincere quelli che combattono la fede in base alla ragione. Il suo sapere assomma in sé tutto il lavoro di ricerca dell’antichità e dei suoi contemporanei. Perciò il Dottore Angelico ha ugualmente familiare e conosce ugualmente a fondo tanto il mondo del sapere naturale quanto quello del sapere soprannaturale ed è in ambedue un’autorità senza pari. Come nessuno prima di lui, egli sa subordinare tutto il sapere profano alla Rivelazione, e indirizzare tutto il tesoro d’idee della terra all’ultimo e supremo fine: all’eterna verità e amore, a Dio. « Implorai e mi fu data la prudenza, invocai e venne a me lo spirito di sapienza » — tanto che oggi tutti i teologi cattolici e i sacerdoti della santa Chiesa vengono esortati a prendere Tommaso come loro guida e maestro: « I professori devono trattare lo studio della filosofia e della teologia e l’istruzione degli studenti in queste materie a norma della dottrina e dei principi del Dottore Angelico e attenersi fedelmente ad essi » (Codice di diritto Canonico, can. 1366). Perciò Dio ha dotato S. Tommaso di una pienezza di sapienza naturale e soprannaturale, affinché di fronte ai grandi errori che continuamente cercano di intaccare il patrimonio di fede della Chiesa egli sia la guida sicura e indichi la giusta via a tutte le generazioni e le epoche venture, quindi anche a noi. – Noi lo ammiriamo e ringraziamo il Signore che « con la meravigliosa scienza » di S. Tommaso « illumina la Chiesa e la rende feconda con la sua santa attività » (Colletta). « Voi siete il sale della terra », « la luce del mondo », che, come il sole, illumina tutti e rischiara loro il cammino verso Dio (Vangelo). – « Chi avrà operato e insegnato (la legge di Dio) sarà chiamato grande nel regno dei cieli » (Vangelo). Questo è ciò che rende tanto grande e fecondo l’incomparabile filosofo e teologo S. Tommaso d’Aquino: egli è nello stesso tempo un Santo che mette in pratica ciò che conosce ed insegna. Con quali mezzi si è cercato di distoglierlo dalla sua decisione di consacrarsi a Dio in religione! Perfino una miserabile prostituta gli è condotta in carcere, affinché con la sua seduzione lo faccia vacillare dal suo proposito. Tommaso prende un tizzone ardente e spinge fuori la bella peccatrice. Per lui la devozione e la santità passano avanti a tutto nella vita, anche avanti a qualsiasi ricerca, al sapere e al comprendere. – Nell’Ordine egli vuol essere un perfetto religioso che non pospone allo studio neanche il minimo dei suoi doveri di preghiera. No, egli diventa sempre più un uomo di preghiera ed in essa si procura la luce e la forza per la ricerca della verità. Egli stesso confessa di aver appreso di più ai piedi della croce che dallo studio sui libri. Egli vive una vita di ritiratezza, di silenzio, di santa austerità penitenziale, di profonda umiltà, di perfetta purità di cuore e di amor di Dio. Diventa così capace di comprendere sempre più a fondo l’eterna Sapienza. Il sigillo visibile di quest’intimo sposalizio del suo spirito con la sapienza divina è la sua immutabile serenità, la sua incantevole modestia, la sua prontezza ad aiutare gli altri, la sua pazienza e calma in mezzo a tutte le ostilità verso la sua persona, la sua dottrina e il suo Ordine. Con la mente, col cuore, con tutta l’anima sua egli vive in Cristo. Gesù in croce e Gesù nel Santissimo Sacramento dell’altare sono il mondo nel quale egli vive. « O sacro convivio, in cui si riceve Cristo, si celebra la memoria della sua passione, si riempie l’anima di grazia e ci vien dato un pegno della gloria futura » esclama in un santo rapimento. Da Tommaso la Chiesa ha ricevuto l’Ufficio e la Messa della festa del Corpus Domini. In quest’opera si esprime la fede, l’amore, l’entusiasmo, la dedizione di tutti i tempi dinanzi al miracolo del Tabernacolo. Nel 1273, a Napoli, mentre Tommaso lavorava all’ultima parte della sua «Summa theologica» il Signore gli apparve e gli disse: « Bene hai scritto di me, Tommaso. Che cosa vuoi averne in premio? » Tommaso rispose: « Non desidero altra ricompensa che Te, mio Signore ». Tanto profondamente nei suoi ultimi anni è penetrato negli abissi della grandezza e dello splendore di Dio e delle cose divine, che le magnifiche cose che egli ha scritto di Lui non gli appaiono che come misere scorie: egli non può scrivere oltre e deve lasciare incompiuta la sua opera principale, la « Summa theologica ». Sul letto di morte a Fossanova egli commenta ad alcuni monaci vari passi del Cantico dei Cantici. Alle parole: « Ho trovato Colui che l’anima mia ama, l’ho afferrato e non lo lascio più » (Cant. d. Cant. III, 4) esala il suo spirito. Si, egli lo ha trovato e ora lo contempla faccia a faccia nel cielo. « Che è Dio? ». A questa domanda che tanto lo tormenta gli è data ora la beatificante risposta : « Ho trovato Colui che l’anima mia ama, l’ho afferrato e non lo lascio più ».

3. – Quanto altamente dobbiamo onorare e apprezzare colui che la santa Chiesa considera come il provato maestro e l’espositore ufficiale della sua teologia! È espresso desiderio della Chiesa che gl’insegnanti dei seminari ecclesiastici e degl’istituti di studio « tengano per santi » la dottrina e i principi di S. Tommaso (Codice di Diritto Canonico, can. 1366). « In mezzo alla Chiesa aprì la sua bocca, e il Signore lo riempì con lo spirito di sapienza e d’intelligenza ». « Inesauribile tesoro è essa (la sapienza) per gli uomini, e quelli che ne fanno uso hanno parte all’amicizia di Dio. L’anteposi a scettri e a troni, e ritenni un nulla la ricchezza in confronto a lei. L’amai più della salute e della bellezza, e preferii il suo possesso a quello della luce, perchè inestinguibile è il suo splendore. E vennero a me insieme con lei tutti i beni, e infinita ricchezza per mano di lei» (Epistola). – Pieno di sapienza celeste Tommaso, trattando della grazia, abborda il problema : « È la creazione e la conservazione dell’universo un’opera più grande della grazia santificante che Dio concede ad un’anima? » Egli risponde: La partecipazione della grazia santificante ad un singolo uomo è qualcosa di più grande e di più prezioso che non tutta la grandezza e la bellezza dell’intero universo preso insieme! Ogni altra « grandezza » nell’ordine di natura, qualunque essa sia, è un nulla insignificante in confronto alla grazia. Così pensa e vive S. Tommaso. E questa è sapienza che viene da Dio.

Preghiera

O Dio, che con la meravigliosa scienza del tuo beato confessore Tommaso illumini la tua Chiesa e la rendi feconda con la sua santa attività, concedici, te ne preghiamo, la grazia di comprendere quello che insegnò e d’imitare la sua condotta. Per Cristo nostro Signore. Amen.