LE VIRTÙ CRISTIANE (19)

LE VIRTÙ CRISTIANE (19)

S. E. ALFONSO CAPECELATRO – Card. Arcivescovo di Capua

Tipografia liturgica di S. Giovanni – Desclée e Lefebre e. C., Roma – Tournay ; MDCCCXCVIII

PARTE IIIa

CAPO VIII.

La virtù della pace cristiana

Il Signore Gesù, stando tuttora sul monte delle beatitudini, disse, per nostra salute e consolazione, anche queste altre dolcissime parole: Beati i pacifici. Sono parole che ci suonano all’orecchio come l’eco dell’inno che gli Angeli cantarono intorno alla grotta di Betlem: sia pace agli uomini di buona volontà. Sono parole, che ci ricordano altresì il saluto di Isaia al Redentore aspettato: “Tu Dio, tu forte, tu principe della pace.” Oh quante volte poi, pensando a questa beatitudine della pace, si affaccia alla nostra mente il dolcissimo mistero dell’umana Redenzione, e ci occorre alla memoria: l’Angelo, che venne in terra col decreto / della molt’anni lagrimata pace, / Ch’aperse il Ciel dal suo lungo divieto. (Purg. X.). Sant’Agostino e san Tommaso insegnano la pace cristiana essere tranquillità nell’ordine; e altri dicono anche più esplicitamente che pace è tranquillità sicura dell’animo, non turbato da passione. In questo senso la pace cristiana non è quiete inoperosa e sonnolenta d’un animo pigro, ma è nobile e santa virtù che procede dalla carità di Dio in noi, e riluce nelle anime buone, come un riflesso di Dio infinitamente ordinatissimo, e cagione prima di ogni ordine nelle sue creature. Or questo abito virtuoso dell’animo che ci costituisce cristianamente pacifici, benché il Signore lo chiami e sia vera beatitudine, non si acquista senza difficoltà. E però la nostra pace interiore, consolatrice, come un raggio di sole mattutino dopo le tenebre della notte, è sempre frutto di molte battaglie, combattute nell’intimo del cuore, e di molte vittorie ottenute, per effetto della grazia celeste e degli sforzi incessanti del nostro libero volere. L’ uomo, dopo il peccato d’origine, appena che esce di fanciullezza, incomincia a sentire, grado grado, nell’animo alcuni moti disordinati, ai quali si addice il nome di passioni. Quasi sempre sono moti che nascono dall’amare e dal desiderare o beni apparenti e fugaci, o beni, che in alcuni casi determinati sono per noi veri mali, o infine beni, ai quali debbono prevalere altri di ordine superiore. Or queste passioni, quando non sieno presto soffocate, riducono in servitù la libera nostra volontà, e però la avviliscono e la prostrano. E non basta. Le passioni agitano e turbano siffattamente l’animo nostro, che esso diviene, come un mare in tempesta, il quale, agitato da venti contrarj, infuria, spumeggia e ribolle. Son tutti moti questi, che ciscun uomo ha sperimentati certamente in sé stesso, sempre che si sia lasciato dominare da qualsiasi passione ardente. Or come mai un animo in tempesta, potrebbe sentire in sé pace, se la pace è quiete serena? Come mai il disordine delle passioni potrebbe amichevolmente congiungersi con la pace, se la pace è ordine supremo di pensieri, di desiderj e di affetti? Da ciò segue che gli uomini, signoreggiati da passioni, anche che godano di molti piaceri, pace vera e piena non hanno mai, secondo l’insegnamento dello Spirito Santo: “Gli empj sono come mar procelloso, che non può stare in calma, i flutti del quale ridondano di sordidezza e di fango. Non v’è pace per gli empi, dice il Signore.” (Isai., LVII, 20;.21). – Il buon Cristiano, per lo contrario, sa che la pace egli non la può conseguire se non ordina tutt’i pensieri, i desiderj e gli affetti dell’animo; e quest’ordine ei lo trova solo nel mettere alla cima di tutt’i beni desiderabili il Bene sommo, e nel convincersi, che ogni bene finito, sia pure dilettosissimo, quando ci mette contro al Bene sommo, o anche soltanto da esso ci separi, indubbiamente riesce fonte di turbamento interiore e ci priva della pace desideratissima. Alcuni uomini, che si credono sapienti e non sono, scambiano quell’appagameto momentaneo, che si ha dal piacere, con l’appagamento dolce, sereno e costante della pace. Quel primo si può conseguire anche col peccato, anzi l’uomo d’ordinario pecca per conseguirlo: questo secondo è frutto di Spirito Santo, di grazia e di virtù. Non deriva quindi dal piacere, anzi assai delle volte è compagno del dolore pazientemente sopportato, e nobilitato dai pensieri e dagli affetti di religione. La pace cristiana si tripartisce, o piuttosto ha tre aspetti diversi, secondo che l’uomo lo consideriamo nelle relazioni che ha con Dio, con se stesso o col prossimo. Però il Cristiano, cui fu concessa da Dio la beatitudine di essere pacifico, ha pace con Dio, pace con sé medesimo e pace col prossimo: e non sono tre beni o tre virtù differenti, ma un solo bene e una sola virtù, la quale, come avviene talvolta della luce, si tripartisce in tre raggi concentrici. Il peccato mortale, in quanto è supremo disordine, mette l’uomo in guerra con Dio, ordinatissimo Creatore dell’uomo, e istitutore della legge morale che lo governa. Or bene il primo sintomo di questa guerra della creatura ragionevole contro il suo Creatore, la creatura lo prova in una cesta puntura che sente nell’animo, perché riconosce il proprio fallo, se ne angoscia, se ne turba, e quasi si trova a disagio con sé medesima, onde le pare che gli si sia posto a lato un avversario. Questa puntura chiamiamo rimorso. Ebbene il rimorso ci toglie la pace: però chi ha la coscienza dilacerata da esso, non ha pace con Dio. Per lo contrario chi, seguendo la legge di Dio, vive nell’ordine morale, costui trova nella quiete della coscienza, e in un certo suo appagamento misterioso che gli viene dall’obbedire al suo Creatore e Redentore, la pace con esso. Sente che Iddio gli è amico, e come si fa con amico, gli sta vicino, e si compiace di lui, che lo ama e lo invita ad amarlo. Laonde ha con Lui e in Lui dolce pace; una pace, che è appena un saggio di quella, onde parla Piccarda dei Donati a Dante in Paradiso, dicendo di Dio: In la sua volontade è nostra pace /  Ella è quel mare, al qual tutto si muove.(Par. III, 85 e seg.). L’uomo, per aver pace con sé medesimo, è bene che pieghi un tratto lo sguardo sopra di sé, e si sforzi di ben conoscersi. La persona umana di ciascun di noi è indubbiamente una; ma quante diverse cose compongono cotesta misteriosa e mirabile unità!. La persona mirabilmente una ha l’anima e il corpo; due sustanze non solo differenti, ma per alcuni rispetti opposte. E il corpo si compone di moltissime parti, le quali hanno ciascuna diverse attitudini, e propensioni differentissime. – L’anima poi della stessa persona umana apparisce anche più ammirabile e varia. Ha un intelletto che pensa, deduce, paragona, sillogizza, e dai primi veri, conosciuti per luce dataci da Dio nella creazione, ne trae innumerevoli altri; una volontà libera quanto ai beni particolari e finiti, ma sempre congiunta al bene generalmente considerato. E intanto essa volontà, ora vuole, ora disvuole le medesime cose; e vuole altresì diversi beni insieme, e spesso nel volere si contraddice. Questa medesima persona umana ha una memoria, che ci ricorda il passato, anzi ce lo fa presente e ci fa vivere in esso; ha una fantasia, la quale ci presenta immagini, a volte liete, a volte funeste, ora sante e ora ree, e spesso ci dipinge con colori leggiadri le cose che ci rappresenta, spesso ce le oscura e imbruttisce; e intanto quasi sempre ci commuove e c’infiamma. Questa medesima unica persona è così fatta da natura, che ad ogni atto dell’intelletto, prende parte la volontà; onde l’uomo pensa d’ordinario perché vuole pensare; e a ogni atto della volontà prende parte il pensiero; perciocché ogni atto della volontà è un pensiero. La fantasia poi e la memoria si uniscono quasi sempre all’intelletto e alla volontà, essendo certo che il pensiero e la volontà o derivano dalle cose immaginate e ricordate, o almeno con esse amichevolmente s’ accompagnano. – Ebbene, poiché l’unica persona di ciascun uomo ha tante diverse parti, tante svariate facoltà, tanti inchinamenti o diversi o opposti; è evidente che l’uomo ha bisogno, per vivere in pace con se stesso, di mettere ordine in tutte le cose che lo costituiscono uomo. Tutto ciò che è da meno, dev’essere soggetto a ciò che è da più; il corpo dunque deve servire all’anima: nell’anima le varie facoltà si debbono consociare e armonizzare amichevolmente e tendere tutte al medesimo scopo. Senza di ciò, l’uomo sentirà dentro di sé un’aspra guerra; e la pace, da lui tanto desiderata, non la troverà mai. Né la soggezione, la consociazione e l’armonia, di cui s’ è parlato, noi possiamo conseguirle senza sforzi di volontà e ajuto di grazia celeste; perciocché è indubitato che, per effetto del peccato la ribellione e la disarmonia spuntano nelle persone umane sino dalla fanciullezza, crescono nell’adolescenza, e diventano possenti nel fervore dei più begli anni della vita, che sono gli anni della giovinezza. – Né ciò basta. Un altro ostacolo gravissimo, anzi maggior nemico della pace, che l’uomo brama di avere con sé medesimo, è il dolore fisico e morale. Il dolore, poiché è figlio del peccato, muove continua guerra alla nostra pace, figliuola prediletta della virtù e dell’unione con Dio. Invero essendo stato l’uomo creato da Dio per godere; il dolore gli ripugna, lo turba, lo provoca a sdegno; e dunque gli rende assai malagevole il conservare dentro dell’animo il tesoro della pace. Ma qui appunto riluce il miracolo della grazia divina e degli insegnamenti di Gesù Cristo. Il buon Cristiano, a poco a poco, si avvezza a vincere, e a santificare nella pazienza il dolore. E allora egli o non perde la pace interamente, o se talvolta disgraziatamente la perde al primo impeto del dolore, poi la riacquista presto; e dell’averla perduta sente amarezza. I perfetti però, e solo i perfetti, si rendono così tetragoni al dolore, che non perdono mai la pace, anche che il dolore dovesse loro togliere la vita. Il Signore anzi li trasforma così che la pace loro, ancorché soffrano molto, racchiude una certa spirituale dolcezza, di cui, solo essi hanno esperimento. – Infine il buon Cristiano gode altresì la beatitudine di essere pacifico col prossimo. Certo, anche per questo rispetto il buon Cristiano incontra molti intoppi per via, e, senza ajuto di grazia, s’accascia e vien meno a mezza strada, come chi è stanco del lungo cammino percorso, e dell’erte e dei dirupi e degli scoscendimenti incontrati per via. Ma, s’egli è veramente in pace con Dio, e con sé medesimo, già la via gli è spianata, e gli ostacoli o quasi non li incontra. o, incontrandoli, li supera con minime difficoltà. – Assai spesso avviene che il prossimo, volendolo o no, ci spinga a guerra piuttosto che a pace. Chi potrebbe mai noverare per quanti modi i nostri fratelli possano tentare di rubarci il tesoro della nostra pace? Talvolta l’indole differente, talvolta la villania o rustichezza dell’animo altrui, talvolta le ingiurie e il male fattoci dal prossimo, più spesso l’ingratitudine dei beneficati; insomma le passioni umane dei nostri fratelli, le quali fervono e ribollono così facilmente, ci stimolano a perder la pace. Chi non sa quanto sia difficile il vivere in pace con tutti? Chi non sa che ci ha alcuni, i quali si di dilettano del contraddire, del punzecchiare, dell’inasprire e del guerreggiare? – Chi non sa che in modo particolare l’egoismo, l’orgoglio e l’invidia quasi sempre eccitano gli uomini a mettersi contro dei loro fratelli, e a turbarne la pace? E nonpertanto, se vogliamo vivere da buoni Cattolici, noi dobbiamo esser tetragoni contro tutti gli assalti e le tentazioni nemiche, e non perder la pace mai mai. – Ma per raggiungere questo gran bene, abbiamo bisogno di molto e piamente orare, e di aver piena signoria di noi medesimi; abbiamo bisogno di abituarci al sacrificio: e principalmente ci è necessarissimo l’ajuto possente della divina grazia. – Un ajuto particolare però ci può venire da una considerazione, che mi si affaccia spesso alla mente, e che è questa: un buon Cristiano si ha da avvezzare a conoscere e a tenere in gran conto la propria dignità, una dignità regale e in certo senso anche sacerdotale, come insegnano le Scritture sante. San Pietro in vero nella sua prima lettera, anche dei semplici fedeli dice: “Voi stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo di acquisto” (I Piet. II, 9). Ora appartiene a cotesta dignità del Cristiano che ciascuno possa dir di sé che le creature umane, le quali, quanto alla natura e alla sostanza, sono tutte eguali o inferiori a lui, non han potere né forza di dominarlo in ciò, e di togliergli il dono interiore e prezioso della pace, che Iddio gli ha dato. Se un malvagio un ingrato, un villano, un insolente, un burbero han potere e forza di togliermi la pace dell’animo; essi, dunque, in quel fatto imperano all’animo mio; ed io, se perdo la pace, divento loro servo. Perché dunque concederlo loro? Sono io da meno di essi? Rispondo dunque a tutti coloro, che tentano, con le loro passioni di togliermi la pace: non voglio,; e se ho il coraggio, e la forza di farlo, mi sento grande, e mi si accresce dentro il sentimento dalla propria dignità. In vero quando gli uomini passionati o vili muovono intorno a me la tempesta, e la eccitano per mettere anche me in tempesta; è supremamente bello il vedere, che io resto serenamente tranquillo, in mezzo all’infuriare delle onde nemiche. Il poter restar, come rupe ferma che non crolla, tra i marosi che ci circondano, ci fa veramente grandi – Le medesime cagioni, onde l’uomo perde la pace con Dio, con se stesso e col prossimo, infiammano talvolta siffattamente i reggitor dei popoli, che si fanno promotori ed eccitatori del terribile flagello della guerra. Io non posso tacere che mi riesce supremamente mesto e angoscioso il pensiero, che diciannove secoli di Cristianesimo non siano ancora bastati ad allontanare, almeno dalle nazioni che diconsi civili, le rovine inenarrabili delle guerre. So che alcuni disperano che esse siano mai per finire, e altri per lo contrario sperano che lo spirito cristiano, penetrando, grado grado, nelle umane coscienze, le illumini, le infiammi e le fortifichi in modo, da rendere impossibili le guerre tra i popoli civili. Io mi metto di buona voglia con gli speranzosi, sia perché mi è caro lo sperare sempre, e, come diceva san Paolo, anche contro ogni speranza, sia perché penso che il Cristianesimo, che, tra le altre cose, ha abolito la schiavitù, la poligamia, e il divorzio, contiene in sé forze e virtù oggi, ancora ignote alla natura umana. Solo il progresso dei tempi ci può rivelare quali e quanti germi di progresso anche civile siano nascosi nell’ Evangelo. Se nella natura fisica ci erano tante doti nascoste che la scienza è venuta e verrà traendo fuori; chi può dire quanti beni nascosti la sapienza e la carità cattolica trarranno dall’albero della vita che è il Cristianesimo? – Ma che sia di ciò, le guerre, o che le eccitino i principi o i loro ministri o le repubbliche o le passioni popolari; io le giudico una grandissima aberrazione del genere umano. Possibile che, tra tanta luce di scienza e di civiltà, l’umano intelletto non giunga a conoscere in cose gravi, dove sta la giustizia e dove l’ingiustizia? – Possibile che, tra tanti tribunali per decidere le controversie degli individui, non ne possa sorgere uno che risolva le controversie tra le nazioni? Certo oggidì le guerre son diventate più rare; ed è principalmente per effetto del Cristianesimo, che a poco a poco, e spesso invisibilmente, spesso contro il volere dei sapienti del mondo, e dei reggitori degli Stati, penetra nella coscienza dei popoli cristiani. Ma di questo diminuir delle guerre ci ha forse un’altra cagione, che, posta dagli uomini liberamente, è stata dalla divina Provvidenza ordinata al bene. A poco a poco coloro, che desiderano, vogliono e impongono le guerre negli Stati civili, non son più gli stessi uomini che le fanno. Nei tempi andati i più forti, i più audaci, i più passionati si univano per guerreggiare essi stessi contro altri egualmente forti, passionati e audaci, che avevano, in un caso determinato, desiderj e passioni opposte a quelle dei primi. Oggidì no. Sono alcuni uomini quasi sempre ricchi, e amanti del comodo e dilettoso vivere, che, riuniti in un parlamento e in un consiglio di ministri, eccitati spesso da comprate effemeridi, risolvono di comandare ad altri uomini di farsi ammazzare essi, ed ammazzar altri, per ragioni che i guerreggianti quasi sempre non intendono, e alle quali forse non avevano neanche pensato. Ho conosciuto io stesso alcuni soldati Italiani che sono andati a morire in Africa, non dico solo senza sapere perché mai dovevano esporre la loro vita, ma ignorando, sino a pochi giorni prima, che nell’universo ci fosse un continente nero, che è detto Africa. Or tutto questo è in troppo evidente contraddizione col Cristianesimo, per dovere ancora durare lungamente. Io ho ferma fiducia, che la luce di Cristo e del suo Vangelo, luce che illumina tutto il mondo, finirà per dileguare da esso queste tenebre: ho ferma fiducia che i Cristiani capiranno che è insipiente, è crudele e barbaro, che alcuni uomini tranquillamente decidano che altri si facciano ammazzare, ed essi restino a godere e che a cotale barbarie, mascherata di civiltà, si dia il nome di giustizia. Io ho ferma fiducia che tutto ciò non si possa unire a lungo con la fede nell’insegnamento di Cristo: “Amatevi gli uni gli altri come io vi amai”. – E ora, uscendo di digressione, ritorno alle soavi parole di Gesù: “Beati i pacifici, perciocché saranno chiamati figliuoli di Dio”; vi ritorno dico per commentarne le ultime. Come nelle precedenti beatitudini, così anche in questa, la seconda parte del versetto si riferisce principalmente all’eterna beatitudine, che conseguirà in Paradiso chi si è sforzato di praticare la virtù espressa nella prima parte del versetto. Or qui è chiaramente insegnato che coloro, i quali avranno in terra la virtù di essere pacifici secondo Gesù Cristo, acquisteranno nel Cielo verissimamente e pienamente la figliolanza di Dio. Non saranno più figli di Dio, come sono in questa terrestre peregrinazione, turbati incessantemente dal dolore, dalle tentazioni, dagli errori; non più come oggi figliuoli di Dio, pieni di desiderj insoddisfatti, ondeggianti sempre tra timori e speranze, angosciati da quegli stessi amori, che sono più santi e desiderabili. Ma saranno figliuoli di Dio, che, per mezzo della pace cristiana, son giunti alla beatitudine eterna, e son diventati figliuoli similissimi a Lui, e beati della sua stessa piena e inesauribile beatitudine; figliuoli santi di un Padre infinitamente santissimo, figliuoli sapienti di un Padre infinitamente sapientissimo, e infine figliuoli buoni e figliuoli amanti dell’eterna Bontà e dell’eterno Amore. Se non che, anche nella presente vita, l’uomo cristianamente pacifico si sente in qualche maniera partecipe della beatitudine eterna, a cui aspira, e figliuolo di quell’Iddio, che è Egli stesso eternamente pacifico, e autore della nostra pace. Il Cristiano, che ha pace con Dio, con se stesso e con il prossimo, non è certo ancora beato in questa terra di dolore e di esilio, ma sente in sé un saggio di quella beatitudine; perciocché la pace, mentre non è intera beatitudine, è un principio di essa e un avviamento a conseguirla. La cosa è tanto vera, che se avviene talvolta d’incontrarci in un uomo che conservi la pace tra i dolori e le tempeste della vita, lo diciamo beato, e quasi ei ci riesce cagione di santa invidia. Allora ciascuno di noi sente profondamente in sé stesso ciò che scrisse della pace Sant’Agostino nella Città di Dio: “Tal bene è il bene della pace che, tra le cose create, nessuna è più gioconda di essa, nessuna si desidera con maggior diletto, nessuna si possiede con maggiore utilità. Invero lo spirito umano mai non vivifica i membri del corpo, se essi non sieno uniti. Parimenti lo Spirito Santo non vivifica mai i membri della Chiesa, se essi non sieno uniti in pace.”