UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. CLEMENTE XIII – QUAM GRAVITER

Questa breve lettera enciclica è una protesta che il Sommo Pontefice Clemente XIII elevava nei confronti del Re definito Cristianissimo francese contro le leggi e le misure emesse contro i legittimi interessi della Chiesa in quel Paese. La Francia, prima figlia della Chiesa Cattolica, mostrava le prime crepe prodotte nella popolazione e nell’ordine statale dalle sette eretiche e dalle logge dei liberi muratori operanti con alacrità contro il nemico di sempre: la Chiesa Cattolica.  È un odio feroce che ha sempre spinto gli aderenti alla bestia satanica ad accanirsi contro il Corpo mistico di Cristo onde ferirlo, lacerarlo e – se possibile – distruggerlo. Questa lotta, iniziata all’indomani della Resurrezione e dell’Ascensione del divin Redentore, si concluderà alla fine dei tempi con il ritorno glorioso del Cristo, che annienterà i suoi nemici riducendoli a sgabello dei suoi piedi e sprofondandoli nello stagno di fuoco per l’eterna punizione. Ma il castigo, per i popoli si compie anche qua sulla terra, e la Francia ne è un lampante esempio con rivoluzione, guerre che hanno cancellato intere generazioni, destabilizzazione dell’ordine sociale, fino alla perdita attuale dell’identità culturale per cui l’islam ha soppiantato il Cristianesimo glorioso ed antico, ed una profondissima crisi economica sta già riducendo allo stremo una terra beneficata in ogni modo da Dio e dalla Mamma celeste. L’Apostasia poi dalla fede cattolica è evidente ed irreversibile per i costumi pagani ed epicurei inculcati in tutti gli strati sociali. Ma il conto sta già arrivando e sarà ancor più salato alla fine dei tempi, quando gran parte della popolazione, salvo un miracolo strepitoso dell’Altissimo, finirà con i suoi falsi profeti e le membra della “bestia” nello stagno di fuoco.

ENCICLICA
QUAM GRAVITER
DEL SOMMO PONTEFICE
CLEMENTE XIII

Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi riuniti a Parigi in Assemblea generale.

Il Papa Clemente XIII.
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

1. Quanto gravemente siamo stati colpiti, allorché abbiamo letto i tre Decreti (Arrêts, come li chiamano) dello scorso 24 maggio, pubblicati dal Regio Consiglio del Re Cristianissimo, vi sarà facile comprendere; come li ricevemmo, fummo al contempo colpiti e sconcertati. Infatti, che sarà in seguito del divino potere della Chiesa se, quando le occorrerà praticare e valersi del suo diritto, e vorrà richiamare i fedeli all’obbedienza, dovrà soggiacere totalmente al cenno della laica potestà e non potrà esigere dai fedeli obbedienza maggiore di quella che torna a vantaggio del potere secolare? Quale linea di demarcazione stabiliremo, al fine di riconoscere i limiti di entrambi i poteri, se è nelle mani e nell’arbitrio del potere laico la facoltà di annullare qualunque decreto della Chiesa circa la Fede o la disciplina o le norme di comportamento? Voi vedete, Venerabili Fratelli, quanto la Chiesa sia oppressa in questa sorta di servaggio, e da quale grave iattura finirà per essere funestata la vigna del Signore. Inoltre non sfuggirà alla vostra perspicacia quale flagello si debba paventare, posto che il potere secolare rivendica a sé il diritto di riesaminare le Costituzioni degli Ordini Regolari e di affrontarne la riforma, senza consultare questa Santa Sede del beato Pietro, alla quale nessuno nega che occorra rivolgersi, trattandosi di siffatte questioni, come testimoniano gli esempi, non così rari, in codesto Regno.

2. Peraltro siamo convintissimi che al Re Cristianissimo non è stato prospettato quanti gravi abusi possono aver origine da quegli editti contro la Chiesa; e non dubitiamo che la sua grande rettitudine e il suo singolare rispetto verso la Chiesa provano ripugnanza per tali abusi. Pertanto a voi compete il dovere di sottoporre alla vista di quella Maestà Regia la prova evidente di quegli abusi, descritta a vivaci colori, e voi dovete compiere tale atto con particolare sollecitudine in quanto lo stesso Re Cristianissimo ha espressamente dichiarato di voler porgere benevolo e indulgente ascolto alle vostre eventuali recriminazioni, se vorrete rivolgervi a lui. Affinché Voi possiate più agevolmente essere ammessi al suo cospetto, Venerabili Fratelli, Noi scriviamo a quella Maestà Reale rivelandogli il profondo dolore che Ci provenne da quegli editti e Lo richiamiamo al suo sentimento religioso perché Vi ascolti con animo sereno, quando solleciterete il suo reale soccorso in modo che si rivelino alla Chiesa la sua forza operante e il potere che egli ebbe da Cristo Signore. E a Voi, Venerabili Fratelli, di cui non loderemo mai abbastanza l’ardentissimo zelo e l’amore verso Dio e la Sposa di Gesù Cristo, impartiamo l’Apostolica Benedizione con tutto l’affetto del Nostro animo.

Dato a Roma, il 25 giugno 1766, ottavo anno nel Nostro Pontificato.

DOMENICA DI QUINQUAGESIMA (2021)

DOMENICA DI QUINQUAGESIMA (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione: a S. Pietro.

Semidoppio Dom. privil; di II cl. – Paramenti violacei.

Come le tre prime profezie del Sabato Santo con le loro preghiere sono consacrate ad Adamo, a Noè, ad Abramo, così il Breviario e il Messale, durante le tre settimane del Tempo della Settuagesima, trattano di questi Patriarchi che la Chiesa chiama rispettivamente il«padre del genere umano », il « padre della posterità » e il « padre dei credenti ». Adamo, Noè e Abramo sono le figure del Cristo nel mistero pasquale; lo abbiamo già dimostrato per i due primi, nelle due Domeniche della Settuagesima e della Sessagesima, ora lo mostreremo di Abramo. Nella liturgia ambrosiana la Domenica di Passione era chiamata « Domenica di Abramo » e si leggevano, nell’ufficiatura, i “responsori di Abramo”. Anche nella liturgia romana il Vangelo della Domenica di Passione è consacrato a questo Patriarca. «Abramo vostro Padre, – disse Gesù, – trasalì di gioia nel desiderio di vedere il mio giorno: Io vide e ne ha goduto. In verità, in verità vi dico io sono già prima che Abramo fosse ». – Dio aveva promesso ad Abramo che il Messia sarebbe nato da lui e questo Patriarca fu pervaso da una grande gioia, contemplando in anticipo, con la sua fede, l’avvento del Salvatore e allorché ne vide la realizzazione, contemplò con novella gioia l’avvenuto mistero dal limbo ove attendeva con i giusti dell’antico Testamento, che Gesù venisse a liberarli dopo la sua Passione. Quando al Tempo di Quaresima si aggiunsero le tre settimane del Tempo di Settuagesima, la Domenica consacrata ad Abramo divenne quella di Quinquagesima, infatti le lezioni e i responsori dell’Ufficio di questo giorno descrivono l’intera storia di questa Patriarca. Volendo formarsi un popolo suo, nel mezzo delle nazioni idolatre (Grad. e Tratto), Dio scelse Abramo come capo di questo popolo e lo chiamò Abramo, nome che significa padre di una moltitudine di nazioni. « E lo prese da Ur nella Caldea e lo protesse durante tutte le sue peregrinazioni » (Intr., Or.). « Per la fede, – dice S. Paolo – colui che è chiamato Abramo, ubbidì per andare al paese che doveva ricevere in retaggio e partì senza saper dove andasse. Egli con la fede conseguì la terra di Canaan nella quale visse più di 25 anni come straniero. È in virtù della sua fede che divenne, già vecchio, padre di Isacco e non esitò a sacrificarlo, in seguito ad ordine di Dio, sebbene fosse suo figlio unico, nel quale riponeva ogni speranza di vedere effettuate le promesse divine d’una posterità numerosa. (Agli Ebrei, XI. 8,17) – Isacco infatti rappresenta Cristo allorché fu scelto «per essere la gloriosa vittima del Padre » (VI Orazione del Sabato Santo.); allorché portò il fastello sul quale stava per essere immolato, come Gesù portò la Croce sulla quale meritò la gloria colla sua Passione; allorché fu rimpiazzato da un montone trattenuto per le corna dalle spine di un cespuglio, come Gesù, l’Agnello di Dio ebbe, dicono i Padri, la testa contornata dalle spine della sua corona; e specialmente allorché liberato miracolosamente dalla morte, fu reso alla vita per annunziare che Gesù dopo essere stato messo a morte, sarebbe risuscitato. Così con la sua fede, Abramo, che credeva senza esitare ciò che stava per avvenire, contemplò da lungi il trionfo di Gesù sulla Croce e ne gioì. Fu allora che Dio gli confermò le sue promesse: «Poiché tu non mi hai rifiutato il tuo unico figlio, io ti benedirò, ti darò una posterità numerosa come le stelle del cielo e l’arena del mare (VI orat. Del Sabato santo). Queste promesse Gesù le realizzò con la sua Passione. « Il Cristo, dice S. Paolo, ci ha redenti pendendo dalla croce perché la benedizione, data ad Abramo fosse comunicata ai Gentili dal Cristo, e così noi ricevessimo mediante la fede la promessa dello Spirito »,.cioè lo Spirito di adozione che ci era stato promesso. « Fa, o Dio, prega la Chiesa nel Sabato Santo, che tutti i popoli della terra divengano figli di Abramo, e, mediante l’adozione, moltiplica i figli della promessa» (3a settimana dopo l’Epifania, feria 2a – martedì) . Si comprende ora perché la Stazione oggi si fa a S. Pietro, essendo il Principe degli Apostoli che fu scelto da Gesù Cristo per essere il capo della sua Chiesa e, in una maniera assai più eccellente che Abramo stesso, « il padre di tutti i credenti ». – La fede in Gesù, morto e risuscitato, che meritò ad Abramo di essere il padre di tutte le nazioni e che permette a tutti noi di divenire suoi figli, è l’oggetto del Vangelo. Gesù Cristo vi annunzia la sua Passione ed il suo trionfo e rende la vista ad un cieco dicendogli: La tua fede ti ha salvato. Questo cieco, commenta S. Gregorio, recuperò la vista sotto gli occhi degli Apostoli, onde quelli che non potevano comprendere l’annunzio di un mistero celeste fossero confermati nella fede dai miracoli divini. Infatti bisognava che vedendolo di poi morire nel modo come lo aveva predetto, non dubitassero che doveva anche risuscitare ». (4° e 5° Orazione). L’Epistola, a sua volta mette in pieno valore la fede di Abramo e ci insegna come deve essere la nostra. « La fede senza le opere, scrive S. Giacomo, è morta. La fede si mostra con le opere. Vuoi sapere che la fede senza le opere è morta? Abramo, nostro padre, non fu giustificato dalle opere, quando offri il suo figlio Isacco su l’altare? Vedi come la fede cooperò alle sue opere e come per mezzo delle opere fu resa perfetta la fede. Così si compi la Scrittura che dice: Abramo credette a Dio e gli fu imputato a giustizia e fu chiamato amico di Dio. Voi vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla fede solamente » (3° Notturno). L’uomo è salvato non per essere figlio di Abramo secondo la carne, ma per esserlo secondo una fede simile a quella di Abramo. « In Cristo Gesù, scrive S. Paolo, non ha valore l’essere circonciso (Giudei), o incirconciso (Gentili), ma vale la fede operante per mezzo dell’amore ». « Progredite nell’amore, dice ancora l’Apostolo, come Cristo ci ha amati e ha offerto se stesso per noi in oblazione a Dio e in ostia di odore soave » (Ad Gal. 5, 6). – In questa domenica e nei due giorni seguenti, ha luogo in moltissime chiese, una solenne adorazione del SS.mo Sacramento, in espiazione di tutte le colpe che si commettono in questi tre giorni. Questa preghiera di espiazione, conosciuta sotto il nome di « quarant’ore », fu istituita da S.Antonio Maria Zaccaria (5 luglio) nella Congregazione dei Barnabiti, e si generalizzò, venendo riferita particolarmente a questa circostanza, sotto il pontificato di Clemente XIII, il quale nel 1765, l’arricchì di numerose indulgenze.

Incipit 

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXX: 3-4

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me.

[Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guidami e assistimi.]

Ps XXX:2

In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me. –

[In Te, o Signore, ho sperato, ch’io non resti confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e sàlvami.]

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me.

[Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Orémus.

Preces nostras, quaesumus, Dómine, cleménter exáudi: atque, a peccatórum vínculis absolútos, ab omni nos adversitáte custódi.

[O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le nostre preghiere: e liberati dai ceppi del peccato, preservaci da ogni avversità.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.

1 Cor XIII: 1-13

“Fratres: Si linguis hóminum loquar et Angelórum, caritátem autem non hábeam, factus sum velut æs sonans aut cýmbalum tínniens. Et si habúero prophétiam, et nóverim mystéria ómnia et omnem sciéntiam: et si habúero omnem fidem, ita ut montes tránsferam, caritátem autem non habúero, nihil sum. Et si distribúero in cibos páuperum omnes facultátes meas, et si tradídero corpus meum, ita ut árdeam, caritátem autem non habuero, nihil mihi prodest. Cáritas patiens est, benígna est: cáritas non æmulátur, non agit pérperam, non inflátur, non est ambitiósa, non quærit quæ sua sunt, non irritátur, non cógitat malum, non gaudet super iniquitáte, congáudet autem veritáti: ómnia suffert, ómnia credit, ómnia sperat, ómnia sústinet. Cáritas numquam éxcidit: sive prophétiæ evacuabúntur, sive linguæ cessábunt, sive sciéntia destruétur. Ex parte enim cognóscimus, et ex parte prophetámus. Cum autem vénerit quod perféctum est, evacuábitur quod ex parte est. Cum essem párvulus, loquébar ut párvulus, sapiébam ut párvulus, cogitábam ut párvulus. Quando autem factus sum vir, evacuávi quæ erant párvuli. Vidémus nunc per spéculum in ænígmate: tunc autem fácie ad fáciem. Nunc cognósco ex parte: tunc autem cognóscam, sicut et cógnitus sum. Nunc autem manent fides, spes, cáritas, tria hæc: major autem horum est cáritas.”

[“Fratelli: Se parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, e non ho carità, sono come un bronzo sonante o un cembalo squillante. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutto lo scibile, e se avessi tutta la fede così da trasportare i monti, e non ho la carità, non sono nulla. E se distribuissi tutte le mie sostanze in nutrimento ai poveri ed offrissi il mio corpo a esser arso, e non ho la carità, nulla mi  giova. La carità è paziente, è benigna. La carità non è invidiosa, non è avventata, non si gonfia, non è burbanzosa, non cerca il proprio interesse, non s’irrita, non pensa al male; non si compiace dell’ingiustizia, ma gode della verità: tutto crede, tutto spera, tutta sopporta. La carità non verrà mai meno. Saranno, invece, abolite le profezie, anche le lingue cesseranno, e la scienza pure avrà fine. Perché la nostra conoscenza è imperfetta, e imperfettamente profetiamo; quando, poi, sarà venuto ciò che è perfetto, finirà ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, giudicavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma diventato uomo, ho smesso ciò che era da bambino. Adesso noi vediamo attraverso uno specchio, in modo oscuro; ma allora, a faccia a faccia. Ora conosco in parte; allora, invece, conoscerò così, come anch’io sono conosciuto. Adesso queste tre cose rimangono: la fede, la speranza, la carità; ma la più grande di esse è la carità”..]

Omelia I

ECCELLENZA DELLA CARITÀ

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

I diversi doni spirituali, di cui erano stati abbondantemente arricchiti i fedeli di Corinto, dovevano essere tenuti tutti nel medesimo pregio. Se alcuni avevano doni più appariscenti degli altri, li avevano avuti da Dio, che distribuisce le grazie come a lui piace. Questi doni poi, come le membra di un sol corpo, dovevano concorrere a vicenda nel promuovere il bene comune, della Chiesa. Nessuno, dunque, deve invidiare i doni degli altri. Del resto c’è un bene molto più desiderabile di tutti questi doni: la carità. Di questa l’Apostolo dimostra l’eccellenza nell’epistola di quest’oggi. Essa, infatti.

1. È necessaria più di tutti i doni,

2. È l’anima di tutte le virtù,

3. Dura nella vita eterna.

1.

Se parlassi le lingue degli. uomini e degli Angeli e non ho carità, sono come un bronzo sonante o un cembalo squillante.

I doni che qui enumera S. Paolo sono di grande importanza. Parlar lingue sconosciute; parlar come parlano tra loro gli Angeli in cielo; predire il futuro; intendere i misteri, spiegarli e persuaderli agli altri; avere il dono d’una fede, che all’occorrenza operi prodigi strepitosi, come il trasporto delle montagne; aver l’eroismo di distribuire tutte le proprie sostanze, di gettarsi nel fuoco o di sacrificare, comunque, la propria vita per salvare quella degli altri, non è certamente da tutti. Il possedere uno solo di questi doni, il compiere una sola di queste azioni, basterebbe a formare la grandezza di un uomo. S. Paolo, che doveva conoscer bene tutti questi doni, da quello di parlar lingue straniere a quello di voler sacrificarsi per il prossimo, afferma che. son superati da un altro bene: la carità. È tanto grande la carità, che senza di essa tutti gli altri doni mancano di pregio. È vero che questi doni non sono inutili per coloro, in cui il favore di Dio li concede; ma sono inutili, senza la carità, per il bene spirituale di chi li possiede. Sono come il danaro che uno distribuisce agli altri, non serbando nulla per sé. Arricchisce gli altri, ed egli si trova in miseria. Che giova a Balaam predire, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, la grandezza d’Israele, quando egli si fa ispiratore di prevaricazioni abominevoli, perché sopra Israele cadano i tremendi castighi di Dio? (Num. XXIV, 2 ss.) Che giova a Giuda aver avuto il mandato di predicare il regno di Dio e di risanare gli infermi? Anche coi doni più eccellenti, anche con le azioni più eroiche non cessiamo di essere iniqui agli occhi di Dio, se ci manca la carità. Gesù Cristo ci fa sapere che molti nel giorno del giudizio diranno: «Signore, non abbiamo noi profetato nel nome tuo, e non abbiamo nel tuo nome cacciato i demoni, e nel nome tuo non abbiam fatto molti prodigi?» Ma Gesù dirà loro: «Non v’ho mai conosciuti: ritiratevi da me, operatori d’iniquità» (Matt. VII, 22-23). Come possono essere operatori d’iniquità, coloro che compiono tali prodigi nel nome di Dio? Intanto uno è iniquo, in quanto non possiede la carità. «Chi non possiede la carità è senza Dio» (S. Pier Grisol. Serm. 53). E lontani da Dio non si può esser che suoi nemici, meritevoli della sua maledizione. Anche senza doni straordinari, anche senza l’opportunità di compiere atti eroici, a tutto basta, a tutto supplisce la carità. «Io credo — dice S. Agostino — che questa sia quella margherita preziosa, della quale sta scritto nel Santo Vangelo che, un mercante, trovatola dopo una lunga ricerca, vendette tutte le cose che aveva per poterla comperare. Questa preziosa margherita è la carità, senza la quale nulla ti giova di quanto possiedi: questa sola, se l’hai, ti può bastare. (In Ep. Ioa. Tract. 5, n. 7).

2.

 La carità è paziente, è benigna. La carità non è invidiosa, non è avventata, ecc.  – L’Apostolo, dopo aver detto che la carità è più eccellente di qualsiasi dono, passa a mostrarne i caratteri. S. Gerolamo, riportata questa descrizione, conchiude : «La carità è la madre di tutte le virtù » (Ep. 82, 11 ad Theoph.). Per la carità noi amiamo Dio per se stesso e il prossimo per amor di Dio. Questo amore dev’essere necessariamente l’anima di tutte le nostre azioni, sia che riguardino Dio, sia che riguardino il prossimo. Così, la città spinse gli Apostoli alla conquista del mondo, e li rese forti e costanti a traverso tutte le difficoltà. La carità sostenne fino all’ultimo i martiri, rendendoli trionfatori dei più raffinati tormenti. La carità rese prudenti i confessori contro tutte le insidie, e li fece perseverare nella via retta dei comandamenti. La carità fa vivere sulla terra angeli in carne, e adorna questa misera valle di lagrime dei fiori d’ogni virtù. Essa stacca da questa terra il cuor dell’uomo e lo accende del desiderio di unirsi a Dio così da poter dire con l’Apostolo: «Bramo di sciogliermi dal corpo per essere con Cristo» (Filipp. 1, 23). Nelle relazioni col prossimo la carità ci fa esercitare la mansuetudine, la pazienza, la mortificazione dell’amor proprio, l’umiltà, il disinteresse. Essa ci spinge a toglier disordini, ad allontanare scandali, a sopprimere abusi, a evitar liti, a estinguere odi. Se tutti gli uomini nelle loro relazioni fossero guidati nella carità, non ci sarebbero più tribunali. La carità, insomma, indirizza, perfeziona, innalza, avvalora, santifica tutte le nostre azioni. Ecco perché i Santi cercavano di progredire sempre più nella carità, anteponendola, nella stima, a tutte le grande azioni. Un giorno si vollero fare congratulazioni al Beato Bellarmino per tutto quello che aveva fatto in servizio della Chiesa. Ma il Beato respinge prontamente la lode con queste belle parole: «Una piccola dramma di carità val più di quanto io possa aver fatto» (Raitz. von Frentz. Der ehrw. Kardinal Rob. Bellarm. Freiburg, 1923, p. 141).

3.

L’eccellenza della carità risalta ancor più dal fatto che durerà eternamente. La carità non verrà mai meno. In cielo non ci saranno più profezie, non ci sarà più il dono delle lingue, non essendovi alcuno che abbia bisogno di essere istruito. Ci sarà ancora, invece, la carità. Su questa terra abbiam bisogno della fede, della speranza e della carità, che sono come i tre organi essenziali della vita cristiana, e sono, quindi, indispensabili per la nostra santificazione. Ma la fede e la speranza cesseranno nell’altra vita, L’Angelo sveglia S. Pietro nell’oscurità del carcere, lo guida a traverso le tenebre e le guardie, e scompare. L’Angelo Raffaele fa da guida a Tobia nel viaggio a Rages, lo libera nei pericoli, lo sostiene nella sua opera, ma un giorno dice: « Ora è tempo che io torni a Colui che mi ha mandato » (Tob. XII, 20). – La fede ci fa da guida in questa vita, mostrandoci la via che conduce al cielo. La speranza ci preserva dallo scoraggiamento, e, mostrandoci i beni della patria celeste, accende la nostra carità, la quale, a traverso a qualunque ostacolo, ci fa pervenire alla meta sperata. Qui, il compito della fede e della speranza è finito. Quando vediamo ciò che la fede insegna, essa cessa di sussistere: quando possediamo ciò che si sperava cessa la speranza. Solamente la carità non si ferma alla soglia della seconda vita. Essa vi entra con noi, ed entra nel regno suo proprio. Alla fede sottentrerà la visione di Dio; alla speranza sottentrerà la beatitudine: ma nulla sottentrerà alla carità, la quale, anzi, vi avvamperà maggiormente. Se quaggiù, non conoscendo Dio che per la fede, lo amiamo; quanto più deve crescere il nostro amore quando lo vedremo svelatamente? Quando contempleremo la sua bellezza che supera la bellezza delle anime più giuste e più sante; che supera la bellezza di tutti gli spiriti celesti più eccelsi; che supera tutto ciò che di bello e di buono si può immaginare, la nostra carità non avrà più limiti. Tutti gli ostacoli che quaggiù si oppongono alla carità, lassù saranno tolti. Tutto, invece, servirà ad accenderla. Se Dio non ci ha dato doni straordinari; se non abbiamo un forte ingegno, un’istruzione profonda: se non possediamo beni di fortuna: se la salute non è di ferro; se il nostro aspetto non è gradevole: non siamo inferiori, davanti a Dio, a tutti quelli che posseggono questi doni, qualora abbiamo la carità. Anzi siamo a essi immensamente superiori, se tutti questi loro doni non sono accompagnati dalla carità. Noi dobbiam curare di essere accetti agli occhi di Dio. In fondo, è un niente tutto quel che non è Dio. « Dio è Carità » (1 Giov. IV, 8). In questa fornace ardente accendiamo i nostri cuori qui in terra, se vogliamo andare un giorno a inebriarci in Dio su nel Cielo.

 Graduale:

Ps LXXVI: 15; LXXVI: 16

Tu es Deus qui facis mirabília solus: notam fecísti in géntibus virtútem tuam.

[Tu sei Dio, il solo che operi meraviglie: hai fatto conoscere tra le genti la tua potenza.]

Liberásti in bráchio tuo pópulum tuum, fílios Israel et Joseph

[Liberasti con la tua forza il tuo popolo, i figli di Israele e di Giuseppe.]

Tratto:

Ps XCIX: 1-2

Jubiláte Deo, omnis terra: servíte Dómino in lætítia, V. Intráte in conspéctu ejus in exsultatióne: scitóte, quod Dóminus ipse est Deus. V. Ipse fecit nos, et non ipsi nos: nos autem pópulus ejus, et oves páscuæ ejus.

[Acclama a Dio, o terra tutta: servite il Signore in letizia. V. Entrate alla sua presenza con esultanza: sappiate che il Signore è Dio. V. Egli stesso ci ha fatti, e non noi stessi: noi siamo il suo popolo e il suo gregge.]

Evangelium

Luc XVIII: 31-43

“In illo témpore: Assúmpsit Jesus duódecim, et ait illis: Ecce, ascéndimus Jerosólymam, et consummabúntur ómnia, quæ scripta sunt per Prophétas de Fílio hominis. Tradátur enim Géntibus, et illudétur, et flagellábitur, et conspuétur: et postquam flagelláverint, occídent eum, et tértia die resúrget. Et ipsi nihil horum intellexérunt, et erat verbum istud abscónditum ab eis, et non intellegébant quæ dicebántur. Factum est autem, cum appropinquáret Jéricho, cæcus quidam sedébat secus viam, mendícans. Et cum audíret turbam prætereúntem, interrogábat, quid hoc esset. Dixérunt autem ei, quod Jesus Nazarénus transíret. Et clamávit, dicens: Jesu, fili David, miserére mei. Et qui præíbant, increpábant eum, ut tacéret. Ipse vero multo magis clamábat: Fili David, miserére mei. Stans autem Jesus, jussit illum addúci ad se. Et cum appropinquásset, interrogávit illum, dicens: Quid tibi vis fáciam? At ille dixit: Dómine, ut vídeam. Et Jesus dixit illi: Réspice, fides tua te salvum fecit. Et conféstim vidit, et sequebátur illum, magníficans Deum. Et omnis plebs ut vidit, dedit laudem Deo.” –

[In quel tempo prese seco Gesù i dodici Apostoli, e disse loro: Ecco che noi andiamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quello che è stato scritto da1 profeti intorno al Figliuolo dell’uomo. Imperocché sarà dato nelle mani de’ Gentili, e sarà schernito e flagellato, e gli sarà sputato in faccia, e dopo che l’avran flagellato, lo uccideranno, ed ei risorgerà il terzo giorno. Ed essi nulla compresero di tutto questo, e un tal parlare era oscuro per essi, e non intendevano quel che loro si diceva. Ed avvicinandosi Egli a Gerico, un cieco se ne stava presso della strada, accattando. E udendo la turba che passava, domandava quel che si fosse. E gli dissero che passava Gesù Nazareno. E sclamò, e disse: Gesù figliuolo di David, abbi pietà di me. E quelli che andavano innanzi lo sgridavano perché si chetasse. Ma egli sempre più esclamava: Figliuolo di David, abbi pietà di me. E Gesù soffermatosi, comandò che gliel menassero dinnanzi: E quando gli fu vicino lo interrogò, dicendo: “Che vuoi tu ch’Io ti faccia? E quegli disse: Signore, ch’io vegga. E Gesù dissegli: Vedi; la tua fede ti ha fatto salvo. E subito quegli vide, e gli andava dietro glorificando Dio. E tutto il popolo, veduto ciò, diede lode a Dio.]

Omelia II.

[Discorsi di san G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars

Vol. I, Quarta Ed.; Torino – Roma, Marietti Edit. 1933 –

Nihil obstat Torino, 25 Nov. 1931 – Teol. Tommaso Castagno, Rev. Deleg.;

Imprimatur C. Franciscus Paleari, Prov. Gen.]

Sulla Penitenza

Pœnitemini igitur, et convertimini, ut deleantur peccata vestra.

(Pentitevi e convertitevi e saranno cancellati i vostri peccati)

(Act. III, 19).

Ecco, M. F.,  il solo spediente che S. Pietro annuncia ai Giudei colpevoli della morte di Gesù Cristo. Sì, loro dice questo grande Apostolo, il vostro delitto è orribile, perché avete rigettato la predicazione del Vangelo e gli esempi di Gesù Cristo, perché avete disprezzato i suoi benefizi e i suoi prodigi, e perché non contenti di tutto ciò, voi l’avete rinnegato e condannato alla morte più crudele e più infame. Dopo un tal delitto, quale spediente può restarvi, se non quello della conversione e della penitenza? A queste parole, tutti coloro che erano presenti ruppero in pianto ed esclamarono: « Ah! che faremo noi, grande Apostolo, per ottenere misericordia? » S. Pietro per consolarli disse loro: « Non gettatevi alla disperazione, il medesimo Gesù Cristo che voi avete crocifisso è risuscitato, e ciò che maggiormente importa è diventato il salvamento di tutti coloro che sperano in Lui; Egli è morto per la remissione di tutti i peccati del mondo. Fate penitenza e convertitevi, e i vostri peccati saranno cancellati. » Ecco lo stesso linguaggio che la Chiesa tiene a tutti i peccatori che sono commossi della gravezza dei loro peccati e che desiderano di ritornare sinceramente a Dio. Ah! M. F., quanti di noi sono assai più colpevoli dei Giudei, perché costoro hanno fatto morire Gesù Cristo per ignoranza! Quanti che hanno rinnegato e condannato Gesù Cristo alla morte col disprezzo della sua santa parola, con la profanazione che abbiamo fatto dei suoi misteri, con l’omissione dei nostri doveri, con l’abbandono dei Sacramenti e con una profonda dimenticanza di Dio e del salvamento della povera anima nostra! Ora, M. F., qual rimedio può restarci in questo abisso di corruzione e di peccato, in questo diluvio che contamina la terra e provoca la vendetta del cielo? Non altro che quello della penitenza e della conversione. Ditemi, non sono troppi gli anni passati nel peccato? Non basta l’essere vissuto per il mondo e per il demonio? Non è giunto il tempo per vivere per il buon Dio e per assicurarci una eternità felice? Che ciascuno di noi si rimetta la propria vita davanti agli occhi, e noi vedremo che tutti abbiamo bisogno di far penitenza. Ma per determinarvi a far ciò, io voglio dimostrarvi quanto le lagrime che noi spargiamo sopra i nostri peccati, il dolore che noi ne proviamo e le penitenze che ne facciamo, ci consolano e ci rassicurano all’ora della morte; in secondo luogo, noi vedremo che dopo di aver peccato, noi dobbiamo farne penitenza in questo mondo o nell’altro; in terzo luogo esamineremo in qual modo un Cristiano può mortificarsi per fare penitenza.

I . — Noi diciamo che nulla vi è che ci procuri consolazione in questa vita e ci rassicuri all’ora della morte quanto le lagrime che noi spargiamo sopra i nostri peccati, quanto il dolore che ne proviamo e la penitenza che ne facciamo; ciò che è facile da comprendere, perché è con ciò che noi abbiamo la sorte di espiare i nostri peccati, con altre parole, di soddisfare alla giustizia di Dio. Sì, M. F., è con ciò che noi meriteremo nuove grazie per avere la sorte di perseverare. S. Agostino scrive, che assolutamente è necessario che il peccato sia punito o da colui che lo ha commesso o da colui contro il quale è stato commesso. Se voi non volete che il buon Dio vi punisca, punitevi voi medesimi. Noi vediamo che Gesù Cristo medesimo, per dimostrarci quanto la penitenza ci è necessaria dopo il peccato, Egli medesimo si mette nel ceto dei peccatori (S. Marc. II, 16). Egli ci dice che, senza il Battesimo, nessuno entrerà nel regno dei cieli (S. Giov. III, 5); e, in altro luogo, che se non facciamo penitenza, noi tutti periremo (S. Luc. XIII, 3, 5). Ciò è facilissimo da comprendere. Dopo che l’uomo ha peccato, tutti i suoi sensi si sono ribellati contro la ragione; e quindi, se noi vogliamo che la carne sia sottomessa allo spirito ed alla ragione, è necessario mortificarla; se noi vogliamo che il nostro corpo non muova guerra all’anima nostra, è necessario mortificarlo con tutti i suoi sensi; se noi vogliamo andare a Dio, è necessario mortificare l’anima nostra con tutte le sue potenze. E se voi bramate di essere convinti della necessità della penitenza, non avete che da aprire la santa Scrittura, e voi vedrete che tutti coloro che hanno peccato ed hanno voluto ritornare al buon Dio, hanno versato lagrime, si sono pentiti dei loro peccati ed hanno fatto penitenza. – Vedete Adamo: dacché ebbe peccato egli si consacrò alla penitenza onde poter placare la giustizia di Dio. La sua penitenza durò più di novecento anni (Gen. III, 17; V, 5); ed una penitenza che fa fremere, tanto sembra superiore alle forze della natura. Vedete Davide dopo il suo peccato: egli faceva risuonare il suo palazzo delle sue grida e dei suoi singhiozzi; e spinse i suoi digiuni ad un tale eccesso, che i suoi piedi non potevano più sostenerlo (Genua mea infirmata sunt a jejunio. Ps. CXVIII, 24). Quando si voleva consolarlo dicendogli che, poiché il Signore l’aveva assicurato che il suo peccato gli era perdonato, egli doveva moderare il suo dolore, egli esclamava: Ah! infelice, che cosa ho fatto? Io ho perduto il mio Dio, ho venduto l’anima mia al demonio; ah! no, no, il mio dolore durerà quanto la mia vita, discenderà con me nella tomba. Le sue lagrime piovvero dagli occhi suoi in tanta copia che era temprato il suo pane e ne era bagnato il suo letto (Ps. CI, 10; VI, 7). – Perché sentiamo tanta ripugnanza per la penitenza, e che proviamo sì poco dolore dei nostri peccati? Ah! perché non conosciamo né gli oltraggi che il peccato reca a Gesù Cristo, né i mali che ci prepara per la eternità. Noi siamo appieno convinti che dopo il peccato è necessario fare penitenza. Ma ecco quello che facciamo: noi rimandiamo tutto ciò ad un tempo lontano, quasi noi fossimo padroni del tempo e delle grazie del buon Dio. Ah! M. F., chi di noi non tremerà, poiché non abbiamo un momento di sicuro? Ah! chi di noi non fremerà, pensando che vi ha una misura di grazie, oltre la quale il buon Dio altre non ne concede? Chi non fremerà pensando che vi ha una misura di misericordia dopo di che tutto è finito? Ah! chi di noi non fremerà, pensando che occorre un certo numero di peccati, dopo il quale il buon Dio abbandona il peccatore in balia di se medesimo? Ah! M. F., quando la misura è colma, è necessario che trabocchi. Sì, dopo che il peccatore ha ripiena la misura, è necessario che sia punito e che cada nell’inferno non ostante le sue lagrime e il suo dolore… Vi avvisate voi, che dopo di essere vissuti un numero d’anni nel peccato non ostante tutti i rimorsi che la vostra coscienza ha eccitati per muovervi a ritornare a Dio; avvisate voi, che dopo di essere vissuti da empi e da libertini, disprezzando tutto ciò che la Religione ha di più santo e di più sacro, vomitando contro di essa tutto ciò che la corruzione del vostro cuore ha potuto produrre; avvisate voi, che quando vorrete dire: Mio Dio, perdonatemi, voi avrete fatto ogni cosa, che voi non avrete più che da entrare in cielo? No, no, non siamo così temerari, né così ciechi per sperar ciò. Ah! M. F., è precisamente in questo momento che si compie questa terribile sentenza di Gesù Cristo il quale ci dice: « Voi mi avete disprezzato nel corso della vostra vita, voi vi siete riso delle mie leggi, ma ora che voi avete ricorso a me, che mi cercate, Io vi volgerò le spalle per non vedere le vostre sciagure (Ger. XVIII, 17); Io mi chiuderò le orecchie per non udire le vostre grida; io fuggirò lontano da voi per non lasciarmi commuovere dalle vostre lagrime. » Ah! per essere convinti di tutto ciò, non abbiamo che da aprire la santa Scrittura e la storia dove sono consegnatele azioni di questi famosi empi; noi vedremo che tutti questi castighi sono più terribili che non potete pensare. – Ascoltate l’empio Antioco tra gli altri famoso. Vedendosi colpito in modo visibile dalla mano dell’Onnipotente, si umilia, piange, dicendo: « È giusto, o Signore, che la creatura riconosca il suo Creatore » (II Macc. IX, 12)  Egli promette a Dio di far penitenza, di riparare tutti i mali che ha fatti nel corso della sua vita, tutti i mali che ha cagionati a Gerusalemme, e che elargirà dei grandi beni per conservare il culto del Signore, che si farà giudeo; finalmente che tutta la sua vita non sarà che una vita rispettosa della legge di Dio. Se voi l’aveste udito, voi avreste detto con gioia: Ecco un peccatore che è un santo penitente. Tuttavolta noi udiamo lo Spirito Santo dirci: « Questo empio domanda un perdono che non gli sarà concesso; egli piange, ma piangendo discende nell’inferno. » Ma perché essere più particolari per trovare degli esempi spaventevoli della giustizia di Dio verso il peccatore che ha disprezzato la grazia di Dio? Vedete lo spettacolo che ci hanno presentato gli empi, quegli increduli e quei libertini dell’ultimo secolo: vedete la loro vita empia, incredula e libertina. Non sono sempre vissuti da empi, con la speranza che il buon Dio loro perdonerebbe quando piacesse loro di domandar perdono? Vedete Voltaire. Tutte le volte che cadeva ammalato, non diceva: Misericordia? Non domandava perdono a quel medesimo Dio che insultava quando godeva buona salute, contro il quale non cessava di vomitare tutto ciò che la corruzione del suo cuore poteva produrre? D’Alembert, Diderot e Rousseau, come tutti i suoi compagni di libertinaggio, credevano che quando sarebbe di lor gusto domandare perdono a Dio, sarebbero perdonati; ma noi possiamo dir loro quello che lo Spirito Santo disse ad Antioco: « Questi empi domandano un perdono che non sarà loro concesso. » E perché questi empi non hanno ottenuto il perdono nonostante le loro lagrime? Perché il loro dolore proveniva non dal rammarico dei loro peccati, né dall’amore di Dio, ma solamente dal timore del castigo. Ah! per quanto terribili e spaventose siano queste minacce, esse non fanno aprire gli occhi a coloro che battono la stessa via. Ah! M. F., che colui che, essendo peccatore ed empio nutra la speranza che un giorno egli cesserà di esserlo, quanto è infelice e cieco! Ah! quanti il demonio ne conduce all’inferno in questo modo! la giustizia di Dio li colpisce nel momento che essi punto non vi pensano. Vedete Saulo, egli non sapeva che ridendosi degli ordini che gli dava il profeta, egli metteva il suggello alla sua riprovazione e ad essere abbandonato da Dio (I Reg. XV, 23). Vedete Amano, se egli pensava che preparando il patibolo a Mardocheo, egli medesimo vi sarebbe appeso per perdervi la vita (Esth.VII, 9). Vedete il re Baldassare, se egli pensava che il delitto che commetteva bevendo nei vasi sacri che il padre suo aveva involati a Gerusalemme, era l’ultimo delitto che Dio doveva lasciargli commettere (Dan. V, 23). Vedete ancora i due infami vecchiardi, se essi menomamente dubitavano che tentando la casta Susanna sarebbero lapidati e cadrebbero nell’inferno! (Dan. XIII, 61). No, certamente. Tuttavia questi empi e questi libertini benché nulla sappiano di tutto questo, essi non lasciano di arrivare al punto nel quale i loro delitti essendo giunti al colmo devono essere necessariamente puniti. Ora, che cosa pensate voi di tutto ciò, voi segnatamente che forse avete concepito il disegno spaventevole di rimanere nel peccato ancora alcuni anni, forse fino alla morte? Tuttavolta, sono questi esempi terribili che hanno mossi tanti peccatori ad abbandonare il peccato, per far penitenza, che hanno popolato i deserti di solitari, riempito i chiostri di santi religiosi e che hanno fatto salire tanti martiri sui patiboli, con gioia più grande che non i re sui loro troni, per il timore di provare gli stessi castighi. Se voi ne dubitate, ascoltatemi un istante, e se voi non siete indurati a questo punto nel quale il buon Dio abbandona il peccatore in balia di se stesso, voi sentirete i vostri rimorsi di coscienza risvegliarsi e straziarvi l’anima. S. Griov. Climaco ci racconta (La Scala Santa, quinto grado) che si recò un giorno in un monastero; i religiosi che lo abitavano avevano talmente la grandezza della giustizia divina impressa nel loro cuore, essi avevano un timore tale di essere arrivati a quello stato nel quale i nostri peccati hanno stancato la misericordia di Dio, che la loro vita sarebbe stata per voi uno spettacolo capace di farvi morire di spavento; essi conducevano una vita così umile, così mortificata e così crocifissa; essi sentivano talmente il peso delle loro colpe; le loro lagrime erano così copiose e le loro grida così strazianti, che quando si avesse avuto il cuore più duro delle pietre, non si sarebbe potuto trattenere di versar lagrime. Quando ebbi aperta la porta del monastero – così il medesimo Santo – io vidi delle azioni veramente eroiche; io udii delle grida capaci di fare violenza al cielo; vi erano dei penitenti che si condannavano di restare tutta la notte sulla punta dei loro piedi; e quando il loro povero corpo cadeva per debolezza, essi si rimproveravano la loro viltà: « Infelice, dicevano a se stessi, se hai così poco coraggio per soddisfare alla giustizia di Dio, in qual modo potrai soffrire le fiamme vendicatrici dell’altra vita? » Altri, avendo sempre gli occhi e le mani innalzate al cielo, mandavano grida capaci di farvi rompere in pianto, siffattamente erano penetrati della gravezza dei loro peccati; altri si facevano legare le mani al dorso come colpevoli; essi si consideravano come indegni di guardare il cielo e si gettavano col volto contro terra: « Ah! mio Dio, esclamavano, ricevete, se così a voi piace, le nostre lagrime, i dolori nostri. » Ve ne erano che erano siffattamente coperti di ulceri, il loro povero corpo era così consunto ed esalava un odore così ributtante che era impossibile rimanere vicino a loro senza morire. Ve ne erano che non bevevano dell’acqua che per non morire; essi avevano sempre l’immagine della morte davanti agli occhi, e si dicevano gli uni gli altri: « Ah! che cosa diventeremo noi? Credete voi che noi progrediamo qualche poco nella virtù? Corriamo, miei amici, nella via della penitenza, uccidiamo questi sciagurati corpi come essi hanno ucciso le nostre povere anime. » Ma quello che era più spaventoso, è, quando uno di essi era vicino ad uscire da questo mondo; tutti i religiosi erano vicini al morente con un volto abbattuto, cogli occhi bagnati di lagrime, si volgevano a lui, dicendogli: « Che pensate di voi stesso ora che siete sul punto di morire? Sperate, credete che le lagrime vostre, il dolor vostro e le vostre penitenze vi abbiano meritato il perdono? Non temete di udire queste terribili parole cadere dalla bocca di Gesù Cristo medesimo: « Ritiratevi da me, maledetto, andate al fuoco eterno? »Ah! rispondevano questi poveri morenti, chi sa se le nostre lagrime hanno placato la giusta collera di Dio? Chi sa se i nostri peccati sono scomparsi dagli occhi di Dio? Che possiamo fare? Abbandonarci alla giustizia di Dio. Essi pregavano il loro superiore di non dar loro sepoltura, ma di gettarli nel mondezzaio, per servire di cibo alle bestie selvagge. – S. Giov. Climaco ci dice che questo spettacolo lo aveva siffattamente spaventato che non poté restare che un mese nel monastero; egli non poteva più vivere. « Quando fui di ritorno – così egli – il mio superiore vide che io ero così cangiato che appena poteva riconoscermi. Or bene! mio fratello, voi avete veduto le fatiche ed i combattimenti dei nostri generosi soldati. Io non potei rispondergli che con le lagrime, tanto questo genere di vita mi aveva spaventato e aveva reso il mio corpo debole e macilento. » – Ora, M. F., ecco Cristiani come noi e meno peccatori di noi; ecco penitenti che non aspettavano che il medesimo cielo di noi, che non avevano che un’anima da salvare come noi. Perché dunque tante lagrime, tanti dolori e tante penitenze? Perché sentivano la gravezza del peso dei loro peccati, e come l’oltraggio che il peccato reca a Dio sia orribile; ecco quello che hanno fatto coloro che hanno compreso la grandezza della sventura di perdere il cielo. O mio Dio! essere insensibili a tante e tante sciagure, non è la più grande di tutte le disgrazie? O mio Dio! Cristiani che mi ascoltano e che hanno la coscienza carica di peccati e che non hanno altra sorte da aspettare che quella dei riprovati! Mio Dio! Possono essi vivere tranquilli? Ah! quanto è sventurato colui che ha smarrita la fede!

II. — Noi diciamo che necessariamente dopo il peccato bisogna far penitenza in questo mondo o nell’altro. Se la Chiesa ha stabilito i giorni di digiuno e di astinenza, è per richiamarci alla mente che essendo peccatori, noi dobbiamo fare penitenza, se vogliamo che il buon Dio ci perdoni; e molto più noi possiamo dire che il digiuno, la penitenza, hanno cominciato col mondo. Vedete Adamo; vediamo Mosè che digiunò quaranta giorni. Noi vediamo pure Gesù Cristo il quale era la stessa santità, restare quaranta giorni in un deserto senza bere né mangiare, per addimostrarci che la nostra vita deve essere una vita di lagrime, di penitenza e di mortificazione. Ah! M. F., dacché un Cristiano abbandona le lagrime, il dolore dei suoi peccati e la mortificazione, è cosa fatta per la religione. Sì, per conservare in noi la fede, è necessario che noi siamo sempre occupati a combattere le nostre tendenze ed a gemere sopra le nostre miserie. – Ecco un esempio che assoda come dobbiamo stare sull’avviso per non concedere alle nostre inclinazioni tutto quello che domandano. Noi leggiamo nella storia che eravi uno sposo unito in matrimonio con una moglie molto virtuosa ed un figlio che camminava sopra le sue tracce. Essi facevano consistere tutta la loro felicità nella preghiera e nella frequenza dei Sacramenti. I santi giorni di domenica, dopo gli uffici, non avevano altra occupazione ed altro piacere che di fare del bene; essi si recavano a visitare gli ammalati e fornivano loro tutti i soccorsi che era nel loro potere. Essendo in casa, passavano il loro tempo a fare delle letture di pietà capaci di animarli nel servizio di Dio. Essi in tal modo nutrivano la loro anima nella grazia di Dio, ciò che formava tutta la loro felicità. Ma come il padre era un empio e un libertino, non cessava di biasimarli e di ridersi di loro, dicendo che il loro genere di vita gli recava grande dispiacere e che un tal modo di vivere non poteva convenire che a persone ignoranti; egli procurava di mettere sotto i loro occhi i libri i più infami e meglio capaci di allontanarli dalla strada della virtù che essi battevano. La povera madre piangeva udendo questo linguaggio e il figlio dalla parte sua ne gemeva. Ma, a forza di vedersi perseguitati, trovando continuamente questi libri davanti a sé, sventuratamente, vollero vedere quello che contenevano; e, ah! senza avvedersene, presero gusto per queste letture che traboccavano di lordure contro la Religione e i buoni costumi. Ah! i loro poveri cuori, altra volta affezionati al buon Dio, si volsero ben presto al male; il loro modo di vivere cangiò interamente; cominciarono ad abbandonare tutte le loro pratiche; non fu più questione né di digiuno, né di penitenza, né di confessione, né di Comunione, di guisa che essi abbandonarono affatto i doveri di Cristiani. Il marito che si avvide, fu contento di vederli voltarsi da questa parte. Come la madre era ancora giovane, tutta la sua occupazione fu di adornarsi, di frequentare i balli e le commedie e prender parte ai piaceri che poteva trovare. Il figlio, dalla parte sua, seguiva le tracce della madre; diventò quindi un grande libertino che scandalizzò il paese che prima aveva edificato. Si abbandonò interamente ai piaceri ed allo stravizzo, di guisa che la madre e il figlio facevano spese enormi e le loro sostanze furono ben presto assottigliate. Il padre, vedendosi indebitato, volle sapere se i suoi beni potrebbero bastare a lasciar loro continuare questo genere di vita di cui egli medesimo era l’autore; ma fu ben sorpreso quando vide che i suoi beni non potevano nemmeno far fronte ai suoi debiti. Allora una specie di disperazione si impadronì di lui; un bel mattino si alza, a mente fredda, ed anzi con riflessione, carica tre pistole, entra nella camera della moglie, e le brucia le cervella; passa nella camera del figlio, gli scarica contro il secondo colpo, l’ultimo fu riserbato per sé. Ah! padre sventurato, avesti almeno lasciato questa povera moglie e questo povero figlio nella preghiera, nelle lagrime e nella penitenza, sarebbero esistiti per il cielo, mentre li hai gettati nell’inferno cadendovi tu stesso. Ora, M. F., quale fu la causa di questa grande sciagura, se non perché avevano cessato di praticare la nostra santa Religione? Ah! M. F., qual castigo può essere paragonato a quello di un’anima, alla quale il buon Dio toglie la fede in punizione dei suoi peccati? Sì, M. F., se noi vogliamo salvare le anime nostre, la penitenza ci è necessaria per perseverare nella grazia di Dio come il respiro per vivere, per conservare la vita del corpo. Sì, siamo ben persuasi che, se noi vogliamo che la nostra carne sia sottomessa al nostro spirito ed alla ragione, è necessario assolutamente mortificarla con tutti i suoi sensi: se noi vogliamo che l’anima nostra sia sottomessa a Dio, è necessario mortificarla con tutte le sue potenze. – Noi leggiamo nella S. Scrittura che quando il Signore comandò a Gedeone di combattere contro i Madianiti, gli ordinò di comandare a tutti i suoi soldati timidi e paurosi di ritirarsi. Parecchie migliaia si ritirarono. Ne rimanevano ancora dieci mila. Il Signore disse a Gedeone: « Tu hai ancora troppi soldati; fa una piccola rivista, ed osserva tutti coloro che bevono attingendo l’acqua nel cavo della mano, ma senza fermarsi; sono questi che tu condurrai al combattimento. » Di diecimila non ne rimasero che trecento (Giud. VII, 6). Lo Spirito Santo presenta questo esempio per farci vedere come esiguo è il numero delle persone che praticano la mortificazione e che saranno salve. E vero, M. F., che la mortificazione non consiste tutta nella privazione del bere e del mangiare, benché sia necessario di non conceder tutto ciò che il nostro corpo domanda, dicendoci S. Paolo: « Io tratto duramente il mio corpo per tema che dopo di aver predicato agli altri, io non sia riprovato. »  – Ma è parimente certo, che una persona che ama i suoi piaceri, che cerca i suoi comodi, che fugge l’occasione di patire, che si inquieta, che mormora e che s’impazienta per la menoma cosa che non riesce secondo i desideri suoi e la sua volontà, non ha che il nome di cristiana; essa non è atta che a disonorare la sua Religione, perché Gesù Cristo ci dice: « Che colui che vuol essere mio discepolo prenda la sua croce e mi segua; che rinunci a se stesso; che prenda la sua croce tutti i giorni della sua vita e mi segua. » (S. Luc. IX, 23). Non occorre dire, M. F., che una persona sensuale non avrà mai quelle virtù che ci rendono accettevoli a Dio e ci assicurano il cielo. Se noi vogliamo avere la più bella di tutte le virtù, che è la castità, sappiamo che è una rosa che non si coglie che fra le spine; e quindi che non si incontrerà, come tutte le altre virtù, che in una persona mortificata. Noi leggiamo nella santa Scrittura (Dan. IX, 3, 22) che l’Angelo Gabriele, essendo apparso al profeta Daniele, gli disse: « Il Signore ha ascoltata la tua preghiera, perché è stata fatta nel digiuno e nella cenere: »; la cenere indica l’umiltà. Noi leggiamo nella storia che due missionari gesuiti (Questi due missionari sono S. Francesco Borgia ed il Padre Bustamante.), essendo a dormire insieme, ve ne ebbe uno che, essendo colto da infreddatura, sputò tutta la notte sopra il suo compagno senza saperlo. Il mattino, vedendo l’altro che si lavava, ne fu sommamente addolorato, e gli domandò perdono. L’altro gli disse: « Mio amico, voi non potevate sputare in un luogo più vile che sputando sopra di me. » Ecco, M. F., un esempio che dimostra fino a qual grado questo buon Padre spingeva la mortificazione.

III. — Ma, mi direte voi, quante sorta di mortificazioni vi sono? — Ecco, ve ne sono due: l’una è interna, l’ultra è esterna, ma vanno sempre associate. Per la mortificazione esterna, essa consiste nel mortificare il nostro corpo in tutti i suoi sensi:

1° Noi dobbiamo mortificare i nostri occhi; non guardar nulla per curiosità, né diversi oggetti che potrebbero risvegliare in noi cattivi pensieri; né leggere libri che non siano capaci che farci praticare la virtù, e che all’opposto possano allontanarci ed estinguere il resto di fede che abbiamo.

2° Noi dobbiamo mortificare le nostre orecchie; non ascoltare con piacere tutte quelle canzoni, quei discorsi che possono adularci e che a nulla approdano: è sempre un tempo mal speso e rapito alle cure che dobbiamo consacrare alla nostra anima; mai prender piacere ad ascoltare le maldicenze e le calunnie. Sì, M. F., noi dobbiamo mortificarci in tutto questo e non essere nel numero di quelle persone curiose le quali vogliono saper tutto quello che si è detto, quello che si è fatto.

3° Noi diciamo che dobbiamo mortificarci nel nostro odorato: mai provar piacere nel sentire ciò che può soddisfare il nostro gusto. – Noi leggiamo nella vita di S. Francesco Borgia che egli non ha mai sentito i fiori, ma che all’opposto si metteva spesso in bocca delle pillole e le masticava (Catapotia dentibus eadem de caussa mandere solitus: « Egli aveva il costume di masticare delle pillole con i denti, per mortificarsi. » Vita di S. Franc. Borgia, cap. xv, Act. SS. t. V oct.., 286) onde punire se medesimo del piacere che poteva aver provato sentendo qualche buon odore o mangiando cibi delicati.

4° In quarto luogo, dico che noi dobbiamo mortificare la nostra bocca; non devesi mangiare per golosità, né più del necessario; non bisogna concedere al corpo nulla che possa eccitare le passioni, non mangiare fuori di pasto senza una necessità. Un buon Cristiano non prende mai il suo cibo senza mortificarsi in qualche cosa.

5° Un buon Cristiano deve mortificare la sua lingua non parlando che in quanto sia necessario per adempiere il proprio dovere e per la gloria di Dio e il bene del prossimo. Vedete Gesù Cristo: per dimostrarci quanto il silenzio sia una virtù che gli è aggradevole e per muoverci ad imitarlo, Egli ha conservato il silenzio per il volgere di trent’anni. Vedete la Ss. Vergine: il Vangelo ci fa vedere che non ha parlato che quattro volte solamente, quando la gloria di Dio e il salvamento del prossimo lo domandavano. Ella parlò quando l’Angelo le annunziò che sarebbe Madre di Dio (S. Luc. I, 34-38) parlò quando si recò a visitare la sua cugina Elisabetta, per metterla a parte della sua felicità (ibid.., 46); parlò al suo Figlio, quando lo ritrovò nel tempio (ibid. II, 48); parlò quando intervenne alle nozze di Cana, rappresentando al suoi Figlio il bisogno di quella gente (S. Giov. II, 3). Noi vediamo pure che, in tutte le comunità religiose, un gran punto delle loro regole è il silenzio; per la qual cosa S. Agostino scrive che colui che non pecca colla lingua è perfetto. (Questa parola è altresì dell’apostolo S. Giacomo: Si quis in verbo non offendit, hic perfectus est vir. S. Giac. III, 2). Noi dobbiamo segnatamente mortificare la nostra lingua quando il demonio ci inspira di dire cattive ragioni, di cantare cattive canzoni, di lasciarci cadere di bocca delle maldicenze e delle calunnie contro il prossimo, di non pronunciare giuramenti e parole triviali.

6° Io dico che dobbiamo mortificare il nostro corpo non concedendogli tutto il riposo che esige, è una virtù di tutti i santi.

Mortificazione interna. In secondo luogo, abbiamo detto che dobbiamo praticare la mortificazione interna. E dapprima, mortifichiamo la nostra immaginazione. Non bisogna lasciarla vagare qua e là, né lasciare che si riempia di cose inutili, segnatamente non lasciarla aggirarsi sopra cose che possano condurre al male, come pensare a certe persone che hanno commesso qualche turpe peccato contro la santa virtù della purità, come pure pensare ai giovani che si maritano; tutto ciò non è che un’insidia che il demonio ci tende per trascinarci al male. Quanti di questi pensieri si presentano è necessario discacciarli. Neppure bisogna lasciarci occupare l’immaginazione, che cosa diventerei, che cosa farei, se fossi… se avessi questo, se mi si concedesse quello, se potessi guadagnare quest’altro. Tutte queste cose a nulla giovano se non a farci gettare via un tempo nel quale potremmo pensare a Dio ed al salvamento dell’anima nostra. È necessario, all’opposto, occupare la nostra immaginazione nel pensare ai nostri peccati per gemerne e per correggerci; spesso pensare all’inferno, per studiare di evitarlo; spesso pensare al cielo, per vivere in modo da meritarlo; spesso pensare alla morte e alla passione di nostro Signore Gesù Cristo, per aiutarci a sopportare i mali della vita in ispirito di penitenza. – Noi dobbiamo di giunta mortificare il nostro spirito: mai voler esaminare se la nostra Religione non è buona, né voler cercare di comprendere i misteri, ma solamente ragionare nel modo più sicuro col quale condurci per piacere a Dio e salvare l’anima nostra. Poscia noi dobbiamo mortificare la nostra volontà, cedendo sempre alla volontà degli altri quando la nostra coscienza non corra pericolo. E farlo senza mostrare che ciò reca pena; all’opposto essere contenti di trovare un’occasione di mortificarci per potere espiare i peccati della nostra volontà. Eccole, M. F., in generale, le piccole mortificazioni che possiamo praticare ad ogni istante, come pure di sopportare i difetti e le sconvenienze di coloro coi quali viviamo. Egli è certo che le persone che non cercano che di accontentarsi nel bere e nel mangiare e nei piaceri che il loro corpo e il loro spirito possono desiderare non piaceranno a Dio, perché la nostra vita deve essere una imitazione di Gesù Cristo. Io vi domando quale rassomiglianza si potrà trovare tra la vita di un ubbriacone e quella di Gesù Cristo, il quale ha passato la sua vita nel digiuno e nelle lagrime; tra quella d’un impudico e la purità di Gesù Cristo; tra un vendicativo e la carità di Gesù Cristo e via dicendo. Ah! che sarà di noi quando Gesù Cristo confronterà la nostra vita con la sua? Facciamo almeno qualche cosa che possa essere capace di piacergli. Abbiamo detto, cominciando, che la penitenza, le lacrime ed il dolore de’ nostri peccati ci consolano grandemente al punto della morte, e di ciò non è a dubitare. Qual felicità per un Cristiano, in quell’estremo momento, in cui egli si esamina per bene  a coscienza, di ricordarsi d’aver non solo osservato i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma d’aver trascorsa la sua vita nelle lacrime e nella penitenza, nel dolore de’ suoi peccati e in una continua mortificazione di tutto quanto poteva contentare i suoi gusti. Se noi abbiamo qualche timore, non potremmo dire, come S. Ilarione: « Di che temi, anima mia? sono molti anni che lavori a fare la volontà di Dio e non la tua! abbi fiducia, il Signore avrà pietà di te! » (Vita dei  Padri del deserto, t. V, pag. 208) Per meglio farvelo comprendere vi citerò un bell’esempio: Narra S. Giovanni Climaco (La scala santa), ch’eravi un giovane il quale aveva concepito un gran desiderio di passare la sua vita nella penitenza e di prepararsi in tal modo alla morte; egli non pose alcun limite alle sue penitenze. Allorché la morte giunse, fece chiamare il suo superiore, e gli disse: « Ah! padre mio, qual felicità per me! Oh! quanto sono lieto d’aver vissuto nelle lacrime, nel dolore dei miei peccati e nella penitenza! Il buon Dio, che è sì buono, mi ha promesso il cielo. Addio, padre, io vado a riunirmi al mio Dio del quale ho procurato d’imitare la vita per quanto mi fu possibile: addio, padre mio, io vi ringrazio d’avermi incoraggiato a camminare per questa fortunata strada. » Qual contento per noi, M. F., in quell’istante d’aver vissuto per il buon Dio; d’aver fuggito e temuto il peccato, di esserci privati non solo dei cattivi e vietati piaceri, ma altresì dei piaceri leciti ed innocenti; d’aver frequentato sovente e degnamente i Sacramenti dove abbiamo trovato tante grazie e virtù per combattere il demonio, il mondo e le nostre inclinazioni. Ma ditemi, M. F., che si può sperare in quello spaventoso momento in cui il peccatore vede davanti ai suoi occhi una vita che non fu che una sequela di delitti? Che si può sperare per un peccatore che ha vissuto come se non avesse avuto un’anima da salvare e che credeva che quando fosse morto tutto sarebbe finito; che non ha quasi mai frequentato i Sacramenti, e che, ogni volta che li ha frequentati, non ha fatto che profanarli con cattive disposizioni; un peccatore che, non contento di aver deriso e disprezzato la sua Religione e coloro che avevano il bene di praticarla, fece ogni sforzo per indurre gli altri a battere la sua via d’infamia e di libertinaggio? Ah! qual fremito di disperazione per questo povero disgraziato di riconoscere allora ch’egli non è vissuto che per far soffrire Gesù Cristo, perdere l’anima sua e piombare nell’inferno! Dio mio, quale sventura! tanto più che egli sapeva benissimo che poteva ottenere il perdono de’ propri peccati purché lo avesse voluto. Dio mio, che disperazione per tutta l’eternità! Ecco un ammirabile esempio che ci fa vedere che, se noi siamo dannati, si è perché non abbiamo voluto salvarci. Narrasi nella Storia  (Vita dei Padri, t. I , cap. xv, S. Pafnuzio.) che S. Taide era stata nella sua giovinezza una delle più famose cortigiane che avesse sopportato la terra: nullameno essa era cristiana. Sprofondossi in tutto ciò che il suo cuore, che altro non era che un braciere di fuoco impuro, potesse desiderare; profanò nella crapula tutto ciò che il cielo l’aveva favorita di spirito e di bellezza; la stessa sua madre fu lo strumento di cui l’inferno si servì per gettarla con spaventevole furore in ogni sorta di laidezze, di modo che la sua povera giovinezza trascorse nelle sregolatezze più infami e disonorevoli per una donna. Gli uni si rovinarono per farle dei regali, molti si pugnalarono per non averla potuto possedere. Insomma le sregolatezze di questa commediante formavano lo scandalo di tutta la provincia e motivo di lamento per tutti i buoni. Potete immaginarvi il male che essa faceva, le anime che perdeva, gli oltraggi che infliggeva a Gesù Cristo per le anime che induceva al peccato. Nella sua infanzia era stata bene istruita, ma i suoi disordini e la violenza delle sue passioni avevano estinto in essa tutte le verità della Religione. Nonostante ciò, il buon Dio volle manifestare la grandezza delle sue misericordie, ben sapendo che la sua conversione ne produrrebbe altre; e, gettando su di essa uno sguardo di compassione, andolla a cercare Lui stesso in mezzo alle lordure più infami. Per compiere questo gran miracolo della sua grazia si servì d’un santo solitario al quale fece conoscere questa famosa peccatrice con tutti i suoi disordini. Il Signore gli comandò di andare a trovare questa cortigiana. Questo solitario era S. Pafnuzio. Egli assunse l’abito di cavaliere, si fornì di denaro, e partì alla volta della città ove essa abitava. Siccome egli era guidato da Dio stesso, giunse direttamente ove ella stava, e chiese di parlarle. Taide che nulla sapeva di tutto ciò, lo condusse in una camera remota e magnificamente arredata. Allora il santo le domandò se essa non ne aveva altra più remota ove potesse sottrarsi agli occhi di Dio medesimo. « Eh! state sicuro, gli disse la cortigiana, che nessuno verrà: ma se voi temete la presenza di Dio, non è ch’Egli è da per tutto? »  Il santo fu grandemente meravigliato a sentirla parlare del buon Dio: « Come! le disse, conoscete voi il buon Dio? » — « Sì, rispose ella; ed oltre a ciò, io so che vi è un paradiso per coloro che lo servono fedelmente, ed un inferno per coloro che lo disprezzano. » — « Ma come va – soggiunse il santo – che con tutte queste conoscenze potete vivere nel modo che vivete, e da molti anni, preparandovi a voi stessa un inferno? » Queste sole parole del santo, avvalorate dalla grazia del buon Dio, furono come un colpo di fulmine che abbatterono la nostra cortigiana come S. Paolo sulla via di Damasco. Ella si gettò ai suoi piedi profondendosi in lacrime e pregandolo in grazia di aver pietà di lei, di impetrare misericordia per essa dal Signore. Si protestò pronta a compiere tutto quanto ordinasse, per provare se il buon Dio volesse ancora perdonarla. Non domandò che una dilazione di tre ore per metter ordine alle sue faccende: dopo si recherebbe nel luogo da lui assegnato per non pensare più ad altro che a piangere i propri peccati. Avendole il santo concesso tal dilazione, radunò ella quanti poté dei libertini che si erano profondati con essa nel peccato, li condusse sulla pubblica piazza, e là, in loro presenza, si spogliò di tutti i suoi vezzi: fece portare i mobili acquistati con l’oro delle sue infamie, ne fece una catasta e vi appiccò il fuoco, senza nulla dire perché così operasse. Dopo ciò lasciò la piazza per recarsi presso il santo che l’aspettava, il quale la condusse in un monastero di donzelle. Egli la chiuse in una cella di cui suggellò la porta, e pregò una religiosa di portarle qualche pezzo di pane e un po’ d’acqua. Taide domandò al santo qual preghiera dovesse fare nel suo ritiro per muovere il cuore di Dio. Il santo le rispose: « Tu non sei degna di pronunziare il nome di Dio, né di innalzare le tue mani impure al cielo. Ti basti di volgerti verso l’oriente e dire con tutto il dolore del tuo cuore e nell’amarezza dell’anima tua: « O voi che mi avete creata, abbiate pietà di me. » Ecco tutta la preghiera ch’ella fece pel corso di tre anni che rimase in quel bugigattolo, durante i quali non perdette mai di memoria i suoi peccati. Ella pianse sì tanto, maltrattò sì crudelmente il suo corpo, che quando S. Pafnuzio andò a consultare S. Antonio per sapere da lui se il buon Dio le avesse usato misericordia, S. Antonio, dopo aver passata la notte in orazione co’ suoi religiosi per tal fine, gli disse, che il buon Dio aveva rivelato a uno dei suoi religiosi, il quale era S. Paolo il Semplice, che uno splendido trono stava preparato in cielo per la penitente Taide. Allora il santo pien di gioia e d’ammirazione che in così poco tempo avesse ella soddisfatto alla giustizia di Dio, andolla a trovare per dirle che i suoi peccati le erano perdonati, e che doveva lasciare la sua cella. Il santo le domandò ciò ch’essa avesse fatto in questi tre anni. Ella rispose: « Padre mio, io misi i miei peccati al mio cospetto come un mucchio, e non ho cessato di piangerli e d’invocar misericordia. » — « Ed è appunto per questo – ripigliò S. Pafnuzio – che tu hai conquistato il cuore di Dio, e non per altre tue penitenze. » Avendo abbandonata la sua cella per recarsi in un monastero, ella non sopravvisse che quindici giorni, dopo i quali andò a cantare in cielo la grandezza della divina misericordia. – Da quest’esempio, M. F., noi vediamo quanto presto possiamo guadagnare il cuore di Dio, purché il vogliamo, senza ricorrere a grandi penitenze. Qual rimpianto pel volgere dell’eternità per non aver voluto farci alquanta violenza per abbandonar il peccato! Sì, M. F., noi lo vedremo un giorno che noi avremo potuto soddisfare alla giustizia di Dio con null’altro che con le piccole miserie della vita, che siamo costretti a sopportare nella condizione a cui il buon Dio ci ha posti, se noi vorremo nello stesso tempo aggiungere qualche lacrima ed un sincero dolore de’ nostri peccati. Qual rammarico d’esser vissuti e d’esser morti nel peccato, allorché vedremo che Gesù Cristo ha tanto patito per noi e che tanto desiderava di perdonarci, se gli avessimo domandato perdono! Dio mio, quanto è cieco e sventurato il peccatore! Noi abbiamo timore della penitenza. Ma osservate, M. F., come si comportavano coi peccatori ne’ primordi della Chiesa. Coloro che volevano riconciliarsi col buon Dio si recavano nel mercoledì delle Ceneri alla porta della chiesa cogli abiti sucidi e laceri. Entrati in chiesa si spargeva loro la testa di cenere, si dava loro un cilizio cui dovevano portare tutto il tempo della loro penitenza. Dopo ciò si imponeva loro di prostrarsi contro terra, mentre si cantavano i sette salmi penitenziali per implorare sur essi la misericordia di Dio; poscia si faceva loro un’esortazione per indurli a praticar la penitenza con tutto lo zelo possibile, sperando che forse il buon Dio si lascerebbe placare. Dopo tutto ciò erano avvisati che sarebbero scacciati dalla chiesa con ignominia, come Dio scacciò Adamo dal paradiso terrestre dopo il suo peccato. Non appena usciti si chiudeva sopra di loro la porta della chiesa. Ma se desiderate sapere in qual modo passavano questo tempo, quanto durava questa penitenza, eccolo: primieramente erano obbligati a vivere ritirati, oppure ad occuparsi in lavori penosi; avevano alcuni giorni nella settimana in cui dovevano digiunare a pane ed acqua, secondo la gravità de’ loro peccati; lunghe preghiere durante la notte prosternati con la faccia contro terra; si coricavano sopra tavole; si alzavano più volte la notte per piangere i loro peccati. Si facevano passare per vari gradi di penitenza; le domeniche comparivano alla porta della chiesa vestiti di cilicio, col capo cosparso di cenere, rimanendo fuori esposti all’intemperie; si prosternavano dinanzi ai fedeli che entravano in chiesa, scongiurandoli con le lacrime agli occhi di pregare per loro. A capo di un certo tempo, era loro concesso di ascoltare la parola di Dio, ma appena fatta l’istruzione erano cacciati di chiesa; molti non erano ammessi alla grazia dell’assoluzione se non in punto di morte; e ciò era ancora tenuto per un gran favore che faceva loro la Chiesa, dopo aver passati dieci o vent’anni o più ancora nelle lacrime e nella penitenza. Ecco, M. F., come la Chiesa si comportava altra volta verso i peccatori che volevano davvero convertirsi. Se ora desiderate sapere chi erano coloro che si sottomettevano a queste aspre penitenze, vi dirò che erano tutti, dal mandriano all’imperatore. Se ne volete un esempio, eccone uno che abbiamo nella persona dell’imperatore Teodosio. Costui avendo peccato più per sorpresa che per malizia, S. Ambrogio gli scrisse, dicendogli: « Questa notte ho avuto una visione in cui il buon Dio m’ha fatto conoscere che voi venivate alla chiesa, e mi comandò di non lasciarvi entrare. » Leggendo questa lettera, l’imperatore pianse amaramente; tuttavia egli andò a prostrarsi, come al solito, alla porta della chiesa con la speranza che le sue lacrime e il suo pentimento commuoverebbero il santo vescovo. Quando S. Ambrogio lo vide avanzarsi, gli disse: « Fermatevi, o imperatore, voi non siete degno di entrare nella casa del Signore. » L’imperatore a lui: « È vero, ma anche Davide peccò, ed il Signore lo ha perdonato. » — « Ebbene, replicò gli S. Ambrogio, poiché voi lo avete imitato nel peccato, seguitelo nella penitenza. » A tali parole l’imperatore si ritira, senza nulla dire, nel suo palazzo, si toglie le insegne imperiali, si prosterna con la faccia contro terra e si abbandona a tutto il dolore di cui era capace il suo cuore. Per ben sette mesi non mise più piede nella chiesa. Allorché vedeva andarvi i suoi famigliari, mentre a lui era proibito, lo si udiva gridare in modo tale da commuovere i cuori più induriti. Quando poi gli si permetteva di assistere alle pubbliche preghiere, egli stava, non come gli altri, in piedi o in ginocchio, ma col volto prosternato a terra, nella maniera la più commovente, battendosi il petto, strappandosi i capelli ed amaramente piangendo. Per tutta la vita non dimenticò il suo peccato; non poteva pensarvi senza spargere lacrime. E così, M. F., voi vedete ciò che fece un imperatore che non volle perdere l’anima sua. – Che dobbiamo conchiudere, M. F.? Ecco: Giacché è assolutamente necessario piangere i nostri peccati, farne penitenza o in questo mondo o nell’altro, scegliamo la meno rigorosa e la meno lunga. Qual rammarico, F. M., giungere al punto di morte senza nulla aver fatto per soddisfare alla giustizia di Dio! Quale sventura l’aver non curato tanti mezzi che abbiamo di patir qualche miseria, che se noi le avessimo sopportate in pace per amor del buon Dio, ci avrebbero meritato il perdono! Quale sventura l’aver vissuto nei peccato, sperando sempre che lo avremmo lasciato, e morire senza averlo fatto! Prendiamo, F. M., un’altra strada che vantaggiosamente ci consolerà in quel momento; lasciano il male, cominciamo dal piangere i nostri peccati e tolleriamo tutto ciò che il buon Dio a  lui piacerà d’inviarci. Che la nostra vita non sia che una vita di rimordimenti, di pentimento de’ nostri peccati e d’amor di Dio, finché noi abbiamo la felicità d’unirci a Lui per tutta l’eternità. È quanto vi auguro…

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps CXVIII: 12-13

Benedíctus es, Dómine, doce me justificatiónes tuas: in lábiis meis pronuntiávi ómnia judícia oris tui.

[Benedetto sei Tu, o Signore, insegnami i tuoi comandamenti: le mie labbra pronunciarono tutti i decreti della tua bocca.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet.

[O Signore, Te ne preghiamo, quest’ostia ci purifichi dai nostri peccati: e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXVII: 29-30

Manducavérunt, et saturári sunt nimis, et desidérium eórum áttulit eis Dóminus: non sunt fraudáti a desidério suo.

[Mangiarono e si saziarono, e il Signore appagò i loro desiderii: non furono delusi nelle loro speranze.]

Postcommunio

Orémus. Quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui coeléstia aliménta percépimus, per hæc contra ómnia adversa muniámur. Per eundem …

[Ti preghiamo, o Dio onnipotente, affinché, ricevuti i celesti alimenti, siamo muniti da questi contro ogni avversità.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (6)

I sette Angeli con le trombe (Ap. VIII, 1-5)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (6)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO SECONDO

COMINCIA LA STORIA DELLA CHIESA QUINTA

(Ap. III, 1-6)

Et angelo ecclesiæ Sardis scribe: Hæc dicit qui habet septem spiritus Dei, et septem stellas: Scio opera tua, quia nomen habes quod vivas, et mortuus es. Esto vigilans, et confirma cetera, quæ moritura erant. Non enim invenio opera tua plena coram Deo meo. In mente ergo habe qualiter acceperis, et audieris, et serva, et poenitentiam age. Si ergo non vigilaveris, veniam ad te tamquam fur et nescies qua hora veniam ad te. Sed habes pauca nomina in Sardis qui non inquinaverunt vestimenta sua: et ambulabunt mecum in albis, quia digni sunt. Qui vicerit, sic vestietur vestimentis albis, et non delebo nomen ejus de libro vitae, et confitebor nomen ejus coram Patre meo, et coram angelis ejus.  Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Queste cose dice colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: Mi sono note le tue opere, e come hai il nome di vivo, e sei morto. Sii vigilante, e rafferma il resto che sta per morire. Poiché non ho trovato le tue opere perfette dinanzi al mio Dio. Abbi adunque in memoria quel che ricevesti e udisti, e osservalo, e fa penitenza. Che se non veglierai verrò a te come un ladro, né saprai in qual ora verrò a te. Hai però in Sardi alcune poche persone, le quali non hanno macchiate le loro vesti: e cammineranno con me vestiti di bianco, perché ne sono degni. Chi sarà vincitore, sarà così rivestito di bianche vesti, né cancellerò il suo nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome dinanzi al Padre mio e dinanzi ai suoi Angeli. – Chi ha orecchio, oda quello che dica lo Spirito alle Chiese.]

[5] All’angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle: Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti. Si riprendono così i sacerdoti pigri – che abbiamo citato sopra – che non guardano né incoraggiano il popolo, non si fidano di Dio con tutta l’anima, né conservano la retta fede nella verità. Si chiamano Cristiani solo di nome, pensano di essere giunti alla vita cristiana, ma sono morti, e così sono rimproverati affinché vigilino e rivedano le varie cose in cui possono aver peccato; perciò avverte: ricordati di come hai ricevuto ed ascoltato la mia parola: conservala e pentiti. Vuole riportare alla memoria la dottrina apostolica, ed ordina di adempiere ciò che si era promesso nel battesimo della fede: di pentirsi dei mali del passato. Tu hai, – dice – un nome come di uno che vive, ma sei morto. Muore soltanto chi ha commesso un crimine mortale. Rianima ciò che sta per morire; questo lo dice solo a coloro che sono nel Sacerdozio, che sono costituiti nel ministero, e che peccano nell’adempiere al loro dovere, e per il peccato vanno alla morte (Rm. V, 12). Infatti chi ha perso il ministero della dottrina non può essere rianimato. Molti leggono, eppure sono digiuni della stessa dottrina.  Molti sentono la voce della predicazione, e dopo averla sentita si ritirano ancor più vuoti. Anche se il loro ventre mangia, la loro anima e le loro viscere non sono piene, perché anche se recepiscono con la loro mente la conoscenza della parola sacra, dimenticandola e non adempiendo ciò che hanno sentito, non trattengono queste cose nelle viscere del loro cuore. Perciò il Signore ne rimprovera alcuni attraverso il profeta, dicendo: « Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non tanto da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino ad inebriarvi » (Ag. I, 5). Semina molto nel cuore ma miete poco, chi conosce molti dei comandi divini perché li ha letti o ascoltati ma, lavorando con negligenza, miete poco. Mangia e non si sazia chi ascolta la parola divina, ma desidera i beni e la gloria del mondo. Si dice giustamente che chi mangia una cosa e ne desidera un’altra non è soddisfatto. Chi beve e non si disseta è colui che inclina l’orecchio alla parola della predicazione, ma non cambia la sua mente. Il senso dei bevitori che si ubriacano è spesso alterato. Chi è devoto nella conoscenza della parola di Dio, ma desidera raggiungere i beni di questo mondo, beve ma non si disseta; perché se si ubriacasse, certamente cambierebbe la sua mente. Ecco perché dice: non ho trovato le vostre opere perfette agli occhi del mio Dio. Perché se fossero perfette, essi cercherebbero le cose celesti e non desidererebbero le cose terrene. Non amerebbero più le vanità e le cose passeggere che amano. Il salmista dice degli eletti: « si saziano del grasso della tua casa » (Psal. XXXV, 9); infatti questi sono così pieni dell’amore di Dio onnipotente, che con il cambiamento della mente, sembrano alieni a se stessi, ed adempiono ciò che è scritto: chi vuole venire dietro di me rinneghi se stesso (Mt. XVI, 24). Si nega se stesso quando si cambia in meglio e si comincia ad essere ciò che non si era, cessando di essere ciò che si era. A volte vediamo alcuni che si commuovono dalla parola della predicazione come se si convertissero: costoro hanno cambiato i vestiti, non l’anima; assumono sì un abito religioso, ma non prima di essersi liberati dei vizi del passato; si agitano barbaramente per gli stimoli della rabbia; sono spinti alla sfida del loro prossimo da un sentimento di malvagità; sono orgogliosi per alcuni beni che mostrano agli occhi dell’uomo; cercano inutilmente i beni del mondo attuale e confidano solo nella santità del solo abito esterno che hanno assunto. Perciò, si dice giustamente: non ho trovato le vostre opere perfette agli occhi del mio Dio. Colui che è morto è già stato giudicato da Dio. Non solo non possiede opere perfette agli occhi del mio Dio, ma non ha assolutamente nulla. Certamente così è morto; perciò è chiaro che il cattivo Vescovo o Sacerdote è stato reindirizzato a compiere tutto il suo dovere, e gli è stato detto: resta sveglio e rianima ciò che ti è rimasto e che sta per morire. Perché non ho trovato le tue opere perfette agli occhi del mio Dio. Ricordati dunque di come hai ricevuto ed ascoltato la mia parola: conservala e pentiti. È questo ciò che dice a tutto il lignaggio della Chiesa, alla quale presiede, e alla quale come richiamo dichiara: perché se non state attenti, io verrò come un ladro e voi non saprete a che ora verrò sopra di voi. Si ritorna alla figura del servo malvagio « … se dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, arriverà il padrone quando il servo non se l’aspetta e nell’ora che non sa, lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano » (Mt. XXIV, 48). Abbiamo già detto più volte che in questo unico servo è rappresentato il corpo di tutti i Vescovi. E con questi Vescovi, sono considerati un unico corpo tutti i membri della Chiesa, che sono i popoli, e la Chiesa è rappresentata – come detto – da un solo uomo, e l’occhio del suo capo è il Vescovo, la mano del suo corpo è il Presbitero, e il piede ne è il Diacono. E cosa fa quest’uomo se non ricondurre tutti i sensi nella sua testa, affinché veda con i suoi occhi, cioè ricordi il passato, ordini il presente e preveda sempre il futuro, indagando appassionatamente l’occulto dei Testamenti di Dio: la Legge ed il Vangelo; che ascolti con le orecchie, affinché ciò che ode, possa attuarlo con le mani; odori con il naso, affinché discerna ciò che di odoroso sia da ritenere, o ciò che per il fetore sia da scartate; dica con la bocca ciò che ha riconosciuto essere attraverso questi tre sensi in questi tre testimoni: credere con il cuore ciò di cui ha parlato, operare con le mani ciò che ha creduto, rincorrere con i piedi ciò che ha deciso di fare con le mani. E quando ha fatto questo, anche se tutto l’uomo sembra fatto di molte membra, la cosa essenziale è, tuttavia, che se tutte le membra hanno una testa sana, può fare quel che vuole; ed infatti, se la testa è malata, l’occhio senza pupilla, le orecchie senza udito, il naso senza olfatto, la lingua senza loquela, il cuore senza intendimento, le mani senza operazioni e i piedi senza cammino, cosa fa quest’uomo, se non è di alcuna utilità né per se stesso né per gli altri? Se c’è un Vescovo negligente, l’occhio di quella testa è senza pupilla. Se egli ha un clero pigro, cioè i ministri della sua diocesi, è un orecchio senza udito; se questi non correggono la negligenza delle persone loro affidate, è come un naso senza olfatto. Se non proclama la Legge ed il Vangelo, o non la fa proclamare, è una lingua muta. Se ciò che deve essere compreso nelle Scritture viene inteso in modo diverso da come è da intendere, è un cuore senza comprensione. Se ordina sacerdoti ignoranti, o male istruiti, o neofiti, è una mano senza opere. Se ordina dei diaconi pigri, è un piede che non cammina. Comprenda da questi membri citati cosa potrebbe essere utile per gli altri membri. E se per caso un Vescovo dicesse: sono un santo, sono religioso, non ho commesso alcun peccato mortale, penso di potermi salvare, e quindi cosa mi importa degli altri? … gli risponderei: « vuoi festeggiare con il Re? Sei stati invitato al pranzo di nozze dell’Agnello? Ma se hai le mani sporche, non puoi mangiare con il Re alla stessa tavola: vale a dire: se hai preti sudici, non puoi banchettare con il Re alla stessa festa ». Forse dirà ancora il Vescovo: io conduco una vita religiosa, e non spetta a me giudicare come sono i diaconi … Ma risponderei a questo: « siete stati – come detto – invitati alla cena? Ma non potete sdraiarvi con il Re sullo stesso letto se i vostri piedi sono sporchi, cioè se i diaconi della vostra diocesi, o i presbiteri, sono pigri e sudici, ed anche se sembrate santi nella vostra condotta, subirete un castigo, non solo per voi stessi, ma pure per il gregge che vi è stato affidato ». – Facciamo un altro esempio: cosa fa quest’uomo di cui parliamo, se in inverno nel suo cammino è oppresso dal freddo gelido e da una forte nevicata? L’arguzia del contadino utilizza di solito un martello, che la gente comune chiama “anello”; egli ha pure una pietra che colpisce con quello stesso ferro; ha un acciarino, con cui viene acceso il fuoco con le scintille che ne saltellano. Taglia poi la legna, ne fa un mucchio e gli dà fuoco dal di sotto, e quando comincia a bruciare, quelli che vogliono scaldarsi vengono a frotte da diverse parti, uno dopo l’altro. E tutti ricevono fuoco da quel medesimo fuoco, potendo così accendere un proprio fuoco, anche se il loro numero dovesse essere molto grande. E sopravvivono così pur nella neve, con il fuoco acceso, tutti quelli che senza fuoco potevano morire: questo simboleggia la Scrittura divina. Nella Legge si nasconde il fuoco dello Spirito Santo, come in una pietra di silice. E perché non dica forse qualche calunniatore: … come osi paragonare la pietra di silice alla Legge…, ascolta il Signore che rimprovera la Giudea attraverso il profeta Ezechiele: « figlio dell’uomo, ti mando ad un popolo che si è ribellato contro di me » (Ez. II,3), Come diamante, più dura della selce ho reso la tua fronte (Ez. III, 9). Cosa si intende per fronte se non la conoscenza? Che cos’è un volto duro se non la Legge, dove si nascondeva lo Spirito Santo, in cui potevano riconoscersi? Come possiamo interpretare il ferro del collegamento (l’“anello”) se non con il Vangelo? Il Signore dice del ferro a coloro che lo seguono ed ai vincitori, attraverso lo stesso Giovanni: a colui che custodisce le mie opere, fino alla fine; io gli darò potere sopra le nazioni: le governerà con uno scettro di ferro, come si frantumano i vasi di argilla come anch’io le ho ricevute dal Padre mio (Ap. II, 26-28). Cosa fa la pietra focaia senza l’anello di collegamento? Cosa fa la Legge senza il Vangelo? Non è essa fredda e glaciale? Il Signore dice di questo gelo: « … per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. » (Mt. XXIV, 12). L’esca, con cui è acceso lo stesso fuoco dello Spirito Santo in mezzo a questi due elementi, e che si diffonde da questa esca, è l’uomo che possiede il fuoco, che è lo Spirito Santo che, attraverso le mani della Chiesa, abbiamo già detto essere i Sacerdoti, i quali mediante la Legge ed il Vangelo fanno bruciare questo fuoco, di cui il Signore dice: « Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e vorrei che fosse acceso » (Lc. XII, 49). Vedete che il Signore vuole che esso bruci; ma l’occhio senza la pupilla non aiuterà, per mezzo della pietra della Legge, del ferro del Vangelo e dell’esca del corpo, a portarli all’unità; e la mano tumida non può agire su entrambi, né può con i suoi colpi liberare il fuoco latente nella lettera con le scintille della predicazione, né accendere il fuoco dello Spirito Santo, né con la falce della predicazione tagliare o bruciare i boschi o le spine dei peccati; e nell’inverno di questo mondo tutti coloro che avrebbero potuto vivere per sempre con questo fuoco, muoiono invece senza questo fuoco. Questo è l’uomo al quale questo libro parla, risponde, insegna e spinge al pentimento. Questo è il servo infedele che, conoscendo la volontà del suo Signore, non la compie. Questo è colui che nasconde il talento ricevuto – cioè la parola della predicazione – sotto terra, cioè nei beni terreni. Questo è il servo che dice nel suo cuore: il mio Signore tarda a venire (Mt. XXIV, 51); ma il Signore verrà inaspettatamente, in un momento inatteso. Poi lo separerà e lo metterà a parte tra gli ipocriti: non che lo divida in parti, ma lo distinguerà completamente dai Santi. Ascoltate e temete ciò che dice di nuovo di lui e temete ciò che dice ai servi. Dice infatti: legategli la mani e i piedi, cioè legatelo insieme ai suoi presbiteri e diaconi e con le persone che lo hanno imitato, e gettatelo nelle tenebre esteriori: e là sarà pianto e stridor di denti » (Mt. XXII, 13). Si dice di queste tenebre attraverso il santo Giobbe: « terra di miserie e di tenebre, dov’è ombra di morte e disordine » (Giob. X: 22). La miseria significa il dolore, e le tenebre la cecità. Ciò che li tiene lontani dallo sguardo del Giudice severo è definito come una terra di miseria e di tenebre, perché all’esterno il dolore affligge chi è lontano dalla vera luce, all’interno è oscurato con la cecità. La terra di miserie e di tenebre può essere intesa pure in modo diverso. Infatti questa terra, dove siamo nati, è certamente anche terra di miseria, ma non è terra di tenebre, perché subiamo qui molti mali a causa della nostra corruzione; però, senza dubbio torniamo alla luce con il desiderio della conversione, secondo quanto consiglia la “Verità” che dice: « … Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre » (Giov. XII, 35). Quella terra è nello stesso tempo di miseria e di tenebre perché chiunque si abbassi a tollerare i suoi mali, non torna nuovamente alla luce, e per la cui descrizione si aggiunge « terra di oscurità e di disordine » (Giob. X, 22). Come la morte esteriore separa il corpo dall’anima, così la morte interiore separa l’anima da Dio. L’ombra della morte è l’oscurità della separazione, perché il dannato, mentre viene bruciato dal fuoco eterno, è accecato dalla mancanza di luce interiore. La natura del fuoco è quella di mostrare che la luce ed il calore provengono da esso, mentre la fiamma vendicativa dei peccati commessi ha solo il fuoco, anche se non ha luce. Questo è ciò che la Verità dice al reprobo: « allontanati da me, maledetto, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli » (Mt. XXV, 41). E ancora ad uno solo, il che significa come in una sola persona si indichi il corpo di tutti, si dice: legatelo con i piedi e con le mani, e gettatelo nelle tenebre esteriori. Se il fuoco che brucia il reprobo avesse luce, non avrebbe detto a colui che viene riprovato che è stato mandato nelle tenebre, perché coloro che sono divorati dal fuoco della gehenna, sono accecati nella visione della vera luce, per cui così esternamente sono tormentati dal dolore del bruciore, mentre internamente li lacera il dolore della cecità. Coloro che hanno trasgredito al loro Creatore con il corpo ed il cuore, infatti, vengono puniti sia nel corpo che nel cuore, e subiscono il castigo in entrambi, poiché di essi – qui vivendo – hanno abusato per le loro malvagie passioni; perciò Paolo dice giustamente: « … non offrite le vostre membra come armi di iniquità al servizio del peccato » (Rm. VI, 13). Scendere all’inferno “con le armi” significa soffrire i tormenti del giudizio eterno nelle stesse membra con le quali è stato appagato il desiderio del piacere; così come il dolore consumerà in ogni parte coloro che, sottomessi ai loro piaceri, combattono ovunque la giustizia di Colui che giudica rettamente. – Si rivolge poi a colui che ora rimprovera ripetutamente e dice: Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te. – Il giudizio di Dio è improvviso e segreto, nessuno conosce l’ora del giudizio che verrà; ma la misericordia non punisce quei miserandi nella loro totalità, ma al contrario li consola dicendo: Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni. Così tutti coloro che non si sono macchiati col sudiciume del peccato, camminano con il Signore vestito di bianco, diventano degni di seguire le orme dell’Agnello, ed il loro nome non sarà cancellato dal libro della vita, dal momento che Egli li riconoscerà davanti al Padre suo che è nei cieli e davanti ai suoi Angeli. Grandi sono le lodi a favore di chi combatte, cioè i pochi tra tante persone sudicie. Perché non è molto lodevole l’essere buoni tra i buoni, ma lo è invece l’essere buoni stando tra i cattivi. Come infatti è maggior demerito l’essere cattivi tra i buoni, così è un grande merito essere buoni tra i cattivi. Per questo il Beato Giobbe ha detto: « Sono divenuto fratello dei draghi e compagno degli struzzi. » (Giob. XXX, 29). E ad Ezechiele è aggiunto: « Increduli e ribelli sono con te e ti troverai in mezzo agli scorpioni » (Ez. II, 6). Viene offerto qui un rimedio consolante a coloro che spesso trovano la vita tediosa perché non vogliono abitare con i malvagi. Ci chiediamo: perché, allora, non sono buoni tutti quelli che vivono con noi? Noi non vogliamo sopportare i mali degli altri e giudichiamo che dovremmo essere tutti santi ora, anche se non vogliamo essere pazienti nel sopportare il prossimo. Ma questo è più chiaro della luce: se non abbiamo ancora imparato a sopportare i cattivi, è perché noi stessi abbiamo ancora poca bontà. Nessuno è buono, finché non abbia imparato a sopportare i malvagi. Perché – come abbiamo detto sopra – diceva Giobbe, io ero il fratello di draghi e il compagno degli struzzi. Cosa si intende con il nome di draghi se non la vita degli uomini cattivi, di cui il profeta dice:  e aspirano l’aria come draghi » ? (Ger. XIV, 6). Poiché i malvagi, che respirano l’aria come draghi, si gonfiano di malefico orgoglio. Cosa suole intendersi poi con il nome di struzzi se non coloro che sono dei falsi? Infatti lo struzzo ha le ali, ma non vola. Così questi falsi hanno una sorta di santità, ma non hanno la virtù vera della santità; li decora l’apparenza del buon atto, ma le ali della virtù non li sollevano in alcun modo da terra. Per questo l’Apostolo Paolo dice ai suoi discepoli: « … immacolati in mezzo ad una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo » (Fil. II, 15). Perciò Pietro esalta il Beato Lot, dicendo: « … Liberò invece il giusto Lot, angustiato dal comportamento immorale di quegli scellerati » (2 Pt. II, 7). Egli era un giusto nell’aspetto e nell’udito, viveva tra coloro che ogni giorno tormentavano l’anima dei giusti con opere inique. Per questo l’Angelo della Chiesa di Pergamo viene avvisato, per mezzo di Giovanni col dire: « So dove vivete, dove si trova il trono di satana. Siete fedeli al mio nome e non avete rinnegato la mia fede. » Spesso, quando ci lamentiamo e siamo disgustati dalla vita dei nostri vicini, vogliamo cambiare luogo, e cerchiamo di ottenere una dimora più appartata, ignorando però che se ivi non c’è lo Spirito Santo, il luogo da sé non aiuta. Lo stesso Lot, di cui parliamo, è rimasto santo a Sodoma, ed ha peccato sulla montagna. Chi cerca luoghi nuovi, non curandosi della propria anima, finisce come lo stesso primo padre del genere umano e ha per testimone quello stesso che è caduto in Paradiso. Infatti. se il luogo avesse potuto salvare, satana non sarebbe caduto dall’alto del cielo. Perciò il Salmista, vedendo le tentazioni che sono ovunque in questo mondo, cercò un luogo dove fuggire, ma senza Dio non poté trovare un rifugio sicuro. Per questo chiedendo un posto per sé, cercandolo, diceva: « Sii per me la rupe che mi accoglie, la cinta di riparo che mi salva » (Sal. XXX, 3). Bisogna quindi saper sopportare il prossimo ovunque, perché non si può diventare Abele, senza che chi è tormentato dalla malizia di Caino non lo possa imitare un po’. C’è però un motivo per cui bisogna evitare la compagnia dei malvagi, se non si ha la forza di correggerli, in modo che non si venga attirati nella loro imitazione; infatti siccome non si convertono dalla loro malizia, pervertono coloro che vivono insieme ad essi. Per questo Paolo dice: « Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi » (1 Cor. XV, 33). E – come si dice attraverso Salomone – : « Non ti associare a un collerico e non praticare un uomo iracondo, per non imparare i suoi costumi e procurarti una trappola per la tua anima. » (Prov. XXII, 24). Allo stesso modo gli uomini perfetti non devono evitare i loro vicini malvagi, perché così spesso si trascinano i vicini sulla retta via, senza essere trascinati da essi sulla cattiva strada; i deboli invece devono abbandonare la compagnia dei malvagi, perché non si compiacciano nell’imitare i mali che spesso vedono senza poterli correggere. Infatti ascoltando ogni giorno le parole dei nostri prossimi, le accogliamo nella nostra mente, allo stesso modo in cui sospirando e respirando introduciamo aria nel corpo, cosicché l’aria nociva, ripetutamente introdotta col respiro, si diffonde nel corpo; anche le cattive conversazioni ascoltate frequentemente danneggiano le anime dei deboli, che così si perdono per amore delle cattive opere indotte dall’iniquità delle ripetute conversazioni. È necessario notare ciò che dice il Signore: « … molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti » (Mt. XX, 16); e « piccolo è il gregge » (Lc. XII, 32), al quale Egli ha promesso di dare l’eredità. Per questo pure dice: Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni. Chiama così questi altri ad indossare i suoi abiti, dicendo: “… Il vincitore sarà vestito da bianche vesti“. Non riconoscono i pochi Santi che il vivere in mezzo ad una moltitudine di macchiati sia stato dato loro, perché fossero in grado di mantenersi incontaminati? Infatti non possono essere Santi se non coloro che gemono e piangono a causa delle iniquità che si compiono in mezzo a loro: per la nequizia degli spiriti dell’aria, quanto più grande è il male che vedono, tanto più grande è l’afflizione che ne traggono come penitenza; e quelli che non ce l’hanno, non sono Santi! – I cattivi fratelli possono anche non vedere i giusti sia a motivo della similitudine della professione che unanimemente svolgono, sia per le loro virtù simili, ma essi non traggono merito dall’afflizione della penitenza; e, vedendosi nello stesso tipo di religione, pensano di essere loro simili anche se non brillano di segni esteriori di vera santità e, senza testimonianza, pensano che nessuno sia giusto; ma da dove viene quello che essi stessi dicono: « … la loro stessa presenza ci è insopportabile » ? (Sap. II 15). – E non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi Angeli. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

TERMINA LA CHIESA QUINTA NEL LIBRO SECONDO

COMINCIA LA CHIESA SESTA NEL LIBRO SECONDO

(Ap. III, 7-13)

Et angelo Philadelphiæ ecclesiæ scribe: Hæc dicit Sanctus et Verus, qui habet clavem David: qui aperit, et nemo claudit: claudit, et nemo aperit: Scio opera tua. Ecce dedi coram te ostium apertum, quod nemo potest claudere: quia modicam habes virtutem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum.  Ecce dabo de synagoga Satanæ, qui dicunt se Judæos esse, et non sunt, sed mentiuntur: ecce faciam illos ut veniant, et adorent ante pedes tuos: et scient quia ego dilexi te, quoniam servasti verbum patientiæ meæ, et ego servabo te ab hora tentationis, quae ventura est in orbem universum tentare habitantes in terra.  Ecce venio cito: tene quod habes, ut nemo accipiat coronam tuam. Qui vicerit, faciam illum columnam in templo Dei mei, et foras non egredietur amplius: et scribam super eum nomen Dei mei, et nomen civitatis Dei mei novae Jerusalem, quae descendit de cœlo a Deo meo, et nomen meum novum. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

(E all’Angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così dice il Santo e il Verace, che ha la chiave di David: che apre, e nessuno chiude: che chiude, e nessuno apre: Mi sono note le tue opere. Ecco io ti ho messo davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere: perché hai poco di forza, ed hai osservata la mia parola e non hai negato il mio nome. Ecco io (ti) darò di quelli della sinagoga di satana, che dicono d’essere Giudei, e non lo sono, ma dicono il falso: ecco io farò sì che vengano e s’incurvino dinanzi ai tuoi piedi: e sapranno che io ti ho amato. Poiché hai osservato la parola della mia pazienza, io ancora ti salverò dall’ora della tentazione, che sta per sopravvenire a tutto il mondo per provare gli abitatori della terra. Ecco che io vengo tosto: conserva quello che hai, affinché niuno prenda la tua corona. Chi sarà vincitore, lo farò una colonna nel tempio del mio Dio, e non ne uscirà più fuori: e scriverò sopra di lui il nome del mio Dio, e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme, la quale discende dal cielo dal mio Dio, e il mio nuovo nome. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dica alle Chiese.)

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA CHIESA SOPRA DESCRITTA

[6] Scrivi all’angelo della chiesa di Filadelfia: Così dice il Santo, il Verace che ha la chiave di Davide: se apre, nessuno può chiudere; se chiude, nessuno può aprire. David in latino significa “fortes manu = forte di mano”. Perché era davvero forte in battaglia. Egli era il desiderato, nel loro lignaggio, dalla sua stirpe. Di lui il Profeta aveva annunciato: Verrà, l’atteso da tutti i popoli (Ag. II, 8), e cioè Gesù Cristo incarnato, che ha la chiave di Davide, e che ha aperto tutti i misteri della Legge e dei Profeti che erano stati sigillati e chiusi sotto la lettera che uccide, mentre li ha fatti conoscere alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito che dà la vita; infatti se Cristo non fosse venuto, non ci sarebbe stato nessuno ad aprire ciò che era chiuso. Egli ha la chiave di Davide, cioè il potere regale che possiede sulla sua Chiesa. È chiaro che ai suoi che bussano, Egli apre, mentre chiude la porta della vita agli ipocriti – cioè ai falsi – quando bussano dicendo: Signore, Signore, aprici …  (Lc. XIII, 25); a questi Egli dice: « Non vi conosco. Partitevi da me, voi operatori di iniquità. » Ma ai suoi Santi dice: « Chiedete e riceverete, cercate e troverete, bussate e la porta vi sarà aperta » (Mt. VII, 7). Che cosa è il “chiedere” se non amare Dio con mente vigile, con tutto il cuore, con tutta l’anima, e con tutte le forze, con diligente devozione e con ininterrotta preghiera? Questo è il chiedere a Dio! E che cosa è “cercare” se non il pensare in ogni momento al bene e sradicare dal proprio cuore ogni pensiero nocivo? Questo vuol dire il cercare Dio! E che cosa è “chiamare” se non operare sempre il bene con le proprie mani, amare il prossimo come se stesso, amare il proprio nemico per amore di Dio, e sopportare pazientemente tutte le ingiurie? E se qualcuno ti prende qualcosa per appropriarsene, oltre alla tunica che ti ha preso, non esitare a dargli anche il mantello. Per questo il Signore dice nel Vangelo: « Se ami chi ti ama, che ricompensa ne avrai? » (Mt. V, 46) Ma quando si ama chi ci odia, è allora che c’è la vera ricompensa davanti a Dio, come dice il Profeta: « con chi odia la pace, ero pacifico » (Psal. CXIX, 6): questo è dare la propria anima per il fratello. Per questo Salomone dice: « … L’amore è più forte della morte » (Cant. VIII, 9). E non solo amiamo, ma offriamo loro qualcosa del nostro profitto e dei nostri risparmi, in modo da poter dare loro una parola di esortazione per poterli congiungere in un’amichevole alleanza in qualità di membri del Signore, cioè nella Chiesa. Per questo Giacomo dice: « Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati. » (Gc. V, 19). Oltre a queste cose, secondo il costume apostolico, “bussare” è lavorare con le proprie mani e non essere di aggravio a nessuno, distribuire i propri beni ai bisognosi e non desiderare i beni altrui. Infatti, anche se distribuiamo tutti i nostri beni ai poveri, nulla sarà più prezioso per Dio, né più caro, che lavorare con le nostre mani; e quando avremo fatto questo, ci prepareremo e ci siederemo a mangiare, come dice l’Apostolo: « Se qualcuno non vuole lavorare, neppure mangi » (2 Tess. III, 10). Questo è proprio del “bussare” al quale Dio promette di aprire. Perché a chi lavora, Dio promette il cibo che certamente darà non in questo secolo, bensì nel futuro. Egli dice: « Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed Io vi ristorerò » (Mt. XI, 28). Ma all’ozioso e al pigro dirà: « Hai già ricevuto la tua ricompensa » (Mt. VI, 5), « perché avevo fame e non mi avete dato da mangiare  » (Mt. XXIII, 35), e così via… « Allontanatevi dunque da me, voi operatori di iniquità », voi che lavorate per l’iniquità (Lc. XIII, 27). Ma ai suoi Santi dice: Ti ho aperto una porta. Ma prima dice: se apro, nessuno può chiudere; come a dire: la porta che io apro alla Chiesa, nessuno pensi che la chiuda ad uno qualsiasi o anche all’ultimo dei Santi di tutto il mondo o di qualsiasi parte di esso, o che la porta che ho aperto una volta, un eretico qualsiasi possa richiuderla. Ma se si chiede, si cerca e si bussa, farò così come ho promesso. E poiché senza Dio non possiamo esistere, né vivere, né lavorare, il Signore ordinò al servo lavoratore di tagliare le spine delle ricchezze, di sradicare i vizi, di spargere il letame dei peccati nel campo fuori casa, di seminare il seme del buon lavoro nel campo coltivato, e di chiudere la porta della fede. Una volta che il seminatore ha fatto questo, di solito dorme, e quel seme germoglia, e mette radici e foglie, e cresce giorno e notte con la pioggia ed il sole che non manca; anche vari semi di altre erbe tendono a crescere, cioè la zizzania, che l’uomo cattivo semina quando il seminatore dorme. Ma quando il seminatore ha detto: « alzati, Signore, perché dormi? » (Psal. XLIII, 24), entrando nel campo del corpo, raccoglie ciò che è grande, ma ciò che è insignificante non lo tocca, perché non lo considera un ostacolo alla raccolta. Questa è la Chiesa: lavora, e il Signore manda la pioggia dei suoi precetti, respinge le cavallette dei demoni e spaventa le malvagie potenze dell’aria, calma le tempeste degli uomini malefici e fa fuggire il “cinghiale” – che è il principe malvagio della terra -, protegge e difende ogni giorno il suo raccolto, il raccolto che dice di avere in comune con il contadino. È questa Chiesa che accoglie i contadini ed i Santi che sono gli umili nel mondo che, pur ignorando le Scritture, hanno una fede incrollabile, né terrorizzati si allontanano dalla fede per alcuna circostanza. Perciò si dice loro: ho aperto una porta davanti a voi, aggiungendo, perché, anche se di poca potenza, avete conservato il verbo della mia pazienza, e vi conserverò nell’ora della tentazione. Riconoscano in tal modo la loro gloria nella Chiesa. E poiché sono semplici ed umili, e non irritano nessuno tentandolo malignamente, il Signore non permette loro di essere tentati seppure in piccola misura. Questa è la Chiesa che sceglie per sé il Signore per la sua liberale compassione, senza l’aiuto di filosofia alcuna o di alcuna dottrina. E mentre Egli rimprovera ciascuna delle suddette chiese nei suoi sacerdoti, questa Chiesa è invece governata dallo stesso Pastore celeste. – I. Nella prima Chiesa di Efeso accusa i falsi apostoli e l’amore che hanno perduto. – II. Nell’angelo della Chiesa di Smirne, rimprovera i falsi fratelli, che dicono di essere religiosi e non lo sono, ma che si sono già fisicamente collocati tra i membri dell’Anticristo. – III. Nell’angelo della chiesa di Pergamo, rimprovera i falsi religiosi per aver mangiato carne sacrificata agli idoli e seguito la dottrina dei Nicolaiti. – IV. Ancora una volta, all’angelo di Tiatira viene rimproverato di tollerare Jezebel la profetessa, che è un simulacro, cioè un’apparenza di Chiesa. V. Nell’angelo della Chiesa di Sardi, denuncia i Vescovi, che ne hanno solo il nome, ma di fatto sono morti. Citandoli come un unico corpo, Egli dice: Ricordate come avete sentito e ricevuto la mia parola. – VI. Nell’angelo di Filadelfia, che in latino si traduce con “colei che salva”, è descritto colui che crede nel Signore, e che con rustica semplicità e retta fede si mantiene nell’inviolabile osservanza della devozione. E poiché senza Dio non possiamo sostenere le nostre forze, è Lui stesso che combatte e vince per noi. E anche se fa questo da sé, attribuisce comunque i successi alla sua Chiesa, e contemplandone la debolezza dice: so che, pur avendo poca di forza, hai mantenuto la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Aveva detto prima: vi ho aperto una porta – e cioè la fede evangelica, la predicazione apostolica – che nessuno può chiudere. … Anche se hai poca di forza. Conoscendo la fragilità umana, il Signore compassionevole dice: Ho aperto per te la porta della sapienza ed i segreti della fede in modo tale che, a causa della tua esigua virilità, nessuno abbia il potere di chiudere le cose che ti sono state aperte. … Avete mantenuto la mia parola e non avete rinnegato il mio nome. E giacché aveva già affermato più sopra la potenza del suo dono, il Signore le attribuisce anche la grazia che ha concesso alla sua condotta; poiché con il dono che il Signore ha concesso, il servo ha conservato la fede e non ha rinnegato il suo Nome eterno. Gli dice: hai poco di forza. È la lode del Dio protettore, ed anche della devozione della Chiesa, che fa sì che Dio con un po’ di forza apra la porta al vincente, e con un po’ di forza irrobustisca la fede. Perché non è il potere che va cercato, ma la fede. Infatti una donna sola, Giuditta, non ha ucciso Oloferne con la sua forza, ma per la sua fede. Né si poteva credere che il sesso debole avesse potuto strappare via la spada con la mano, ucciso il persecutore della Chiesa, sottomesso i plotoni dei nemici: non era opera dell’audacia temeraria, ma della fiducia nella virile fermezza. Così pure i figli d’Israele, testimoni di tanti ammirevoli atti di potenza, perché dubitavano nella loro fede in Dio, patirono varie disgrazie, e perirono nel deserto. Pur mangiando la manna, furono uccisi dai serpenti, altri anche dal fuoco e dalla spada. Per il loro mormorio e la diffidenza, non solo non entrarono nella Terra Promessa, ma persero per sempre i regni celesti. Così molti, escono pure dall’Egitto di quest’epoca, entrano nello stretto sentiero del deserto e conoscono la manna della grazia celeste, cioè i segreti delle Scritture; ma non trovano la via della promessa celeste se non solo i semplici, gli ignoranti ed i puri di cuore. Anche se sono stati istruiti, non possono trovare la strada se non hanno imitato i rozzi Apostoli. Dio non ha chiamato all’apostolato prima i letterati, o i filosofi, o gli oratori, ma i semplici, i poveri ed i pescatori. Mai uno dei filosofi avrebbe potuto dire: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » (Mt. XVI, 16). Demostene, Cicerone o il filosofo Catone non avrebbero mai potuto dire: « In principio era il Verbo, il Verbo era con Dio »(Gv. I, 1). E sappiamo che gli Apostoli Pietro e Giovanni, non erano filosofi, ma ignoranti ed illetterati. Pietro, con la sua mano callosa, predicando semplicemente il Figlio di Dio, venne a Roma per annunciarlo allo stesso imperatore e padre del popolo romano, quale dato alla luce da una Vergine, non come Romolo, che fu allattato da una lupa. Si vede quindi che non è stata la parola del filosofo a riempire il mondo, ma quella dell’ignorante Pietro, che riconosce l’uomo-Figlio di Dio. Il suo corpo gloriosissimo riposa in una tomba nella città di Roma, ma la sua parola brilla in tutto il mondo. Anche se una tomba può custodire il suo corpo, eppure la sua benefica influenza è evidente ovunque. Con devozione l’imperatore viene a venerare la sua tomba, a baciare i piedi di quell’ignorante, e si toglie la corona dalla testa. Di chi è questo potere se non di colui che credeva con fede perfetta e predicava con dedizione totale? Vediamo chiaramente che « … Dio ha scelto i deboli del mondo per confondere i forti. E ha scelto la stoltezza del mondo per confondere i saggi del mondo » (1 Cor. 1, 27); ha scelto la povertà e la semplicità del mondo per confondere i ricchi orgogliosi. Il Signore infatti non rimprovera i saggi, né i forti, né i ricchi del mondo, perché Egli è il saggio, il forte ed il potente; ma solo rimprovera – come abbiamo detto – i superbi, coloro cioè che non conoscono Dio e ripongono la loro speranza nelle loro ricchezze. Ecco così che molti uomini giusti hanno compiaciuto Dio con le proprie ricchezze, Abramo lo testimonia dicendo: Parlerò al mio Signore, io che sono polvere e cenere? (Gen. XVIII: 27). La ricchezza non è un impedimento, né lo è la saggezza, là dove abbonda l’umiltà. Il giusto pecca in un modo, in altro invece il peccatore o il malvagio. In un modo cade il giusto, e in un altro il malvagio. Infatti è proprio vero che: … i giusti cadono sette volte, ma si rialzano (Prov. XXIV, 16); questi non commettono un peccato tale da non essere più rialzati, quando si ride di taluno, o si lancia una contumelia, o sovviene un indegno pensiero. Si dice che quest’uomo pecca, eppure lo si chiama a ragione “giusto”. Egli infatti non cade in modo tale da non essere più giusto, perché sta scritto: « Se cade, non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano. » (Psal. XXXVI, 24). Così il Signore rimane anche quando il giusto cade, perché non pecca in modo tanto grave al punto che il Signore gli si allontani. Ha concupiscenza per la debolezza della carne, ma non acconsente al desiderio, fermato dalla virtù della grazia spirituale. La stessa concupiscenza è per la legge del peccato, stabilita anche nelle membra dei Santi. Eppure la Grazia di Dio libera i suoi giusti per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo. Per questo motivo « … Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; » (1 Pt. II, 24). Quando l’uomo giusto cade, contrae un debito. Ma i debiti dell’uomo giusto sono diversi, e ne chiede perdono quando, nel Padre Nostro, dice con verità: « Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. » Infatti i peccati dei Santi sono debiti dovuti alle necessità  dell’infermità. I peccati dei malvagi sono dovuti all’intenzione di una cattiva volontà. Nei primi si trova solo il principio del peccato, tale che non viene realizzato, perché il vizio, pur nascendo dalla debolezza, è vinto dalla grazia di Dio. Questi altri, però, privati dell’aiuto della grazia, sono rigettati dalla cattiva volontà alla li conduce il perverso desiderio. È per questo che i peccati dei Santi sono chiamati peccati, ma non crimini. È per questo che vengono corretti dal Padre, perché non siano puniti dal Giudice. Questa correzione, però, appartiene sì ad un giudizio, ma paterno, con il quale Dio punisce e flagella i suoi figli con misericordia, onde liberarli dal tormento della dannazione eterna. Per questo il beato Apostolo dice: « Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati, quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non esser condannati insieme con questo mondo » (1 Cor XI, 31-32). I peccati dei malvagi si compiono in tre modi: o mediante sacrilegio, o per incontinenza o mediante cattive opere. Una persona commette sacrilegio se non pensa rettamente di Dio, e per mera cecità, per perversità del suo cuore si separa dalla vera fede per paura di perdere i suoi beni temporali. Il peccato di incontinenza è commesso da chi vive senza freni e vergognosamente. Pecca con opere malvagie chi ferisce crudelmente un altro, o con danno, o con qualsiasi altro tipo di oppressione. Quando i Santi peccano, cadono in tanti peccati per debolezza umana, ma mai in maniera da rinnegare ostinatamente la vera fede, né da contaminarsi, né dal danneggiare il prossimo; essi seguono l’Apostolo, che dice di: « … vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo » (Tt. II, 12). E in un altro luogo dice: « non gustare più di quanto ti convenga gustare, ma assaggia con sobrietà » (Rm. XII, 3). Certo, secondo questa triplice divisione: viviamo rettamente, sobriamente e con pietà: vive sobriamente chi non segue i piaceri della lussuria; vive giustamente colui che non fa mai del male al prossimo, ma gli fa del bene nella misura delle sue possibilità; vive con pietà chi per nessun motivo si separa dall’assemblea dell’unità della Chiesa e, posto all’interno della Chiesa, osserva senza esitare ciò che chiaramente sa appartenere alla scienza della vera fede. E quelle cose che non sa o di cui dubita, o che non può capire dalle Scritture, le scopre meditando e leggendo con umiltà e pazienza, finché, anche se sa qualcosa con altri mezzi, lo sa perché è Dio che glielo rivela. La sobrietà, la giustizia e la pietà, che tutti i fedeli devono avere, sono legate tra loro in modo tale che, se manca una di esse, anche le altre che sembra avere, non gli sono di alcuna utilità. La sobrietà, con cui ognuno si astiene dai desideri, cioè dai peccati, non salva se non è accompagnata dalla giustizia e dalla pietà, cioè se non si creda rettamente in Dio, e se non si dia al prossimo con piacere ciò che la carità richiede. Né produce frutto la giustizia, per mezzo della quale ognuno dà al prossimo ciò che desidera sia dato o fatto a se stesso, se nello stesso tempo non è sobrio e pio. Ugualmente è morta la pietà, che rettamente crede in Dio e nell’unità della Chiesa, se la castità o l’amore per il prossimo non l’accompagnano. La vera salute dell’anima si acquista, quindi, se si osserva la pietà nella fede, la giustizia nell’amore, la sobrietà nella castità e nell’affabilità. E per insegnarvi brevemente ciò che accade all’interno della Chiesa, osservando quel che accade nella conduzione dei rapporti umani, dai quali possiamo più facilmente prendere esempio e capire chiaramente, consideriamo le anime di tutti i battezzati, come spose unite in matrimonio. Infatti l’Apostolo ha parlato del grande mistero del matrimonio stesso in Cristo e nella Chiesa (Eph V, 32). Così è per ogni anima fedelmente unita a Cristo come una sposa che vive fedelmente con il suo sposo, e che mantenendo la castità del matrimonio a volte rattrista l’anima del suo uomo, ma conserva la fedeltà del suo talamo con una castità limpida, e con prudenza e moderazione amministra i beni del marito; così se da un lato offende il marito, dall’altro vive castamente e fedelmente con lui. E quando la debolezza umana fa talvolta che ella manchi verso il marito, la castità coniugale la rende dolcemente unita ad esso. Ma quella donna che, dopo aver lasciato la casa del marito, o restando nella stessa casa del marito, venga coinvolta in un adulterio e sperperi i beni del marito, non è considerata degna di perdono, ed è ritenuta colpevole di delitto mortale. Tale è l’anima che, acconsentendo al diavolo, si abbandona all’infedeltà, non credendo rettamente in Dio, o è coinvolta in crimini secondo i piaceri della lussuria, o commette ingiustizie a danno del prossimo, oppure è avida e non fa del bene ai bisognosi, vive in  modo empio, si allontana dall’unità della Chiesa, o commette un atto di superbia contro qualcuno. Di tutti questi l’Apostolo dice: « Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. » (1 Cor. VI, 9). Tutte queste cose sono considerate crimini e peccati. Ma le colpe dei giusti sono considerate peccati, non crimini. Un peccato si commette quando diciamo o una leggera bugia, o una contumelia senza danneggiare, o nella disciplina della cura della famiglia, per cui l’uomo non riesce a vivere o stare senza peccato per un solo giorno, come dice l’Apostolo Giovanni: se diciamo “non abbiamo peccato”, inganniamo noi stessi (1 Gv. I, 8). La colpa è nel pensiero malvagio che non si realizza esteriormente, né con le parole, né con i fatti. Per questo l’Apostolo dice: « E se il giusto a stento si salverà, che ne sarà dell’empio e del peccatore? » (1 Pt. IV: 18). – Poi continua a parlare dei nemici della Chiesa che si sottometteranno, e dice: Vi consegnerò alcuni della sinagoga di Satana, quelli che si dichiarano Giudei ma non lo sono, e che in realtà mentono. Li farò venire e li farò inchinare davanti ai tuoi piedi, affinché sappiano che Io ti ho amato. Dice che tutti i nemici e gli avversari della Chiesa saranno giudicati dalla Chiesa Cattolica, così come già l’Apostolo: « quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele » (Mt. XIX, 28). Sicuramente allora verranno coloro che si considerano Giudei, cioè uomini religiosi, e non lo sono: e si inchineranno ai piedi della Chiesa, e sapranno che il Signore l’ha amata. Questo è promesso a tutta la Chiesa per il futuro quando Egli l’avrà raccolta da ogni nazione: perché non solo la Chiesa di Filadelfia ha creduto, ma anche le altre Chiese. Al secondo Angelo della Chiesa di Smirne dice: sarete calunniati da coloro che si definiscono Giudei ma non lo sono: ma non promette, però, che verranno e si inchineranno davanti ai piedi della Chiesa, cioè davanti ai piedi del Corpo di Cristo. Noi crediamo che questo si realizzerà in futuro, e anche se tutti in questo mondo venissero a supplicare la penitenza davanti ai piedi della Chiesa, tuttavia questo deve essere inteso che avverrà del mondo futuro. Perciò al sesto Angelo, che precede il settimo, promette ciò che ha concesso senza promessa agli altri Angeli di cui sopra, cioè alle Chiese: perché il Signore non si aspetta che solo una sola Chiesa faccia penitenza, ma tutte e sette, perché in tutto il mondo c’è una sola Chiesa. Se dovesse succedere qualcosa ad un membro, tutto il corpo ne risentirebbe. Ed aggiunge: Poiché avete tenuto fede alla mia raccomandazione di essere pazienti nella sofferenza, vi terrò anche fuori dall’ora di prova che verrà su tutto il mondo, per mettere alla prova gli abitanti della terra. Ecco, così ha rivelato molto chiaramente che si riferiva non solo al mondo presente, ma anche a quello futuro. Ed ha promesso di mantenere la promessa alla sua Chiesa negli ultimi giorni, quando l’Anticristo, il nemico del genere umano, verrà a mettere alla prova gli abitanti della terra: così che chi vivrà allora non sarà turbato nell’ora della prova. Come allora non era Filadelfia l’unica ad essere indicata, anche se questo era stata promesso solo a lei, così è pure ora. Infatti, se solo Filadelfia, o allora l’Africa, avesse ricevuto la raccomandazione di Dio di avere pazienza, perché avrebbe poi avvertito che in seguito le prove si abbatteranno sul mondo intero? Diciamo chiaramente che non c’è nessuno al mondo che sia tentato, se non la Chiesa. E quello che dice a Filadelfia, lo dice a tutta la Chiesa. E siccome è la sua Chiesa, Egli promette ogni giorno la tutela della protezione, dicendo: vi terrò lontani dall’ora della prova che sta arrivando su tutto il mondo. Come è accaduto in Africa, così è giusto che avvenga in tutto il mondo, che cioè l’Anticristo si manifesti, come si è manifestato anche a noi in parte; e che questo sia il genere dell’ultima persecuzione nel tempo in cui l’Anticristo verrà; e che non succeda se non un’afflizione come non c’è mai stata fin dall’inizio dell’umanità; e che la Chiesa debba superare l’Anticristo ovunque, come lo ha superato già in parte, serve a mostrarci come sarà l’ultima battaglia. Perché l’Anticristo è sempre sconfitto dalla Chiesa. Ma non avverrà, come alcuni pensano, che l’Anticristo perseguiterà la Chiesa in una sola regione, perché dice infatti che ci sono anticristi ovunque. L’Anticristo sarà l’ultimo re che regnerà su tutto il mondo e che si proclamerà egli stesso Dio, cioè il Cristo. Ma ora l’Anticristo è nascosto nella Chiesa, perché non gli è ancora stato apertamente concesso il potere. Ma quando arriverà, assoggetterà il mondo intero al suo potere. Come si dice di lui attraverso Giobbe: « … trae dietro di sé tutti gli uomini e innanzi a sé una folla senza numero. » (Giob. XXI, 33). Qui ci si riferisce a coloro che godono dei beni terreni. Ma poiché il mondo intero è più che “senza numero”, dobbiamo capire perché dice che davanti a sé c’è una folla innumerevole e dietro di lui tutti gli uomini. Questo se non perché l’antico nemico, padrone dell’uomo reprobo, e cioè dell’Anticristo, strapperà via tutti quelli che trova nella carne, e li assoggetterà sotto il giogo del suo potere: colui che ora, ancor prima di apparire, ne trascina via certamente di innumerevoli, ma indubbiamente non tutti i carnali. Infatti per la misericordia di Dio molti sono restituiti ogni giorno dall’opera carnale alla vita ed allo stato di giustizia: alcuni ritornano con una breve, altri con una lunga penitenza. E quindi non li trascina via tutti, ma innumerevoli, perché non mostra ancora tutti i segni mirabili dei miracoli della sua falsità. Ma quando a suo tempo, davanti agli occhi della carne, farà, come i maghi, segni ammirevoli ai suoi stessi occhi, allora ne trascinerà dietro di sé innumerevoli e tutti. Perché chi in questo mondo si delizia per le piacevoli ricchezze presenti, si sottomette al suo potere senza alcuna resistenza. Ma, come abbiamo detto prima, attrarre tutti gli uomini è più che attrarne innumerevoli, perché dice sopra che trascina tutti gli uomini e poi che ne attira innumerevoli? L’ordine era che egli dicesse prima ciò che è meno, cioè gli “innumerevoli”, e poi, in numero crescente, dicesse ciò che è di più, cioè “tutti”. Ma si deve capire che qui gli “innumerevoli” citati sono più che “tutti”; e che trascina ogni uomo dietro di lui, perché in tre anni e mezzo, “tutti” quelli che troverà impegnati nella vita carnale, saranno sottomessi al giogo del suo dominio. E ne trascina dietro innumerevoli, perché per cinquemila e più anni, anche se non ha potuto trascinare tutti i carnali, eppure sono stati molti di più, in così tanto tempo, di quelli che trova da trascinare poi alla fine. Si dice, allora, correttamente: dietro di lui trascina tutto il mondo e davanti a lui una folla innumerevole: perché allora trascina meno, quando finalmente trascina tutto, e ora ne trascina di più pur non invadendo il cuore di tutti, perché il vero Cristo non ha ancora lasciato il centro della Chiesa, ed infatti dice: Verrò presto, tenete stretto ciò che avete, perché nessuno vi porti via la corona. Predice la Sua imminente venuta, e che la distruzione di satana avverrà molto rapidamente. E come annuncia che non ci sarà un lunga prova, così avverte che il nemico non prenderà la sua corona. Come dice Salomone: « … per non mettere in balìa di altri il tuo vigore e i tuoi anni in balìa di un uomo crudele » (Prov. V: 9). Poiché ci è stata data grande fiducia nell’affermare la perseveranza della Chiesa dovunque nella prova, dobbiamo rispondere alle calunnie di quelli che dicono che la Chiesa sta diminuendo, e che sarà ridotta al numero della casa di Noè perdendo molte delle sue corone, in quanto il Signore ha detto: conservate con fermezza ciò che avete, perché nessuno vi tolga la vostra corona, non considerandone l’aumento o la crescita; infatti se la corona viene data ad un altro, non è perduta; il posto vacante è di chi ha perso ciò che aveva. Che cosa è ciò che dice: perché nessuno ti tolga la corona, se non che non si trattiene ciò che si ha, affinché non lo prenda un altro, e noi non lo perdiamo, se non perché Dio ha voluto mostrare che si dovesse mantenere la fermezza nelle sue promesse, senza lasciare spazio a vane speranze? Questo perché alcuno si vanti vanamente della promessa di Dio e rimanga pigro e tiepido; e, vivendo in qualsiasi modo sotto la Religione, si consideri figlio di Abramo, avendo Dio promesso ad Abramo con giuramento che nella sua discendenza avrebbe ereditato tutti i popoli (Gen. XVI, 3). Per questo Egli avverte di conservare con fermezza, e ordina di tener duro, affinché nessuno la porti via, dal momento che la corona può essere tolta a chi non persevera, e che solo chi è visto non cadere e perseverare fino alla fine, avrà per sempre la sua corona. Questa è la potenza, questa è la fermezza delle promesse di Dio, che, avendo ripudiato alcuni figli di Abramo, ne suscita ancor più numerosi dalle pietre (Mt. III, 9), affinché il malvagio non si glori di essere figlio di Abramo, né Abramo perderà i suoi figli essendogli Dio debitore [della promessa] e Colui che li nutre. Così è impossibile che il numero dei Santi sia ridotto dalla malizia delle zizzanie che crescono; è impossibile, come abbiamo detto, che il raccolto sia strappato da mezzo della zizzania. Se viene strappato, non è raccolto con la zizzania, perché Dio giudice ha permesso ad entrambi di crescere fino alla maturazione. A coloro che persevereranno dice: Farò del vincitore una colonna nel santuario del mio Dio e non ne uscirà più. Chiamò “colonna” il membro prezioso e utile a molti, che avrebbe unito al suo corpo, per servire di ornamento e forza, come dice l’Apostolo Paolo: « Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la loro destra in segno di comunione » (Gal. II, 9). Nel tempio del mio Dio, cioè nella moltitudine dei Santi. E non ne uscirà, disse, mai più. Cioè dalla compagnia dei Santi; certamente non lascerà mai il merito e la gloria degli eletti. I gentili erano venuti da Dio, come sta scritto in Davide: « Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli » (Psal. XXI, 28). Si riferisce a coloro che Egli annuncia venire dalla sinagoga di satana. Questi infatti erano usciti, con uno scisma, fuori dalla casa di Dio. E si riferisce in modo particolare a questi, quando dice che non usciranno più, manifestando ciò che avverrà nell’ultima lotta finale. Perché ci sarà, dopo l’unità, un’altra separazione nella lotta finale, dalla quale se qualcuno sarà coinvolto, non ne uscirà più. Per questo motivo, il Signore ha permesso ad alcuni di uscire perché dovessero essere liberati più tardi, in modo che avessero il tempo di tornare: a questi, negli ultimi giorni, non permetterà però più di uscire, perché chi poi esce, non avrà più il tempo di tornare. E scriverò su di lui il nome del mio Dio, e il nome della città nuova, Gerusalemme, che scende dal cielo inviata dal mio Dio: affinché sia suggellato con il nome divino, e sia adornato con la gloria dell’immortalità, e riceva il nome della città divina, la nuova Gerusalemme, che è “la visione di pace”, così da godere del riposo eterno e della tranquillità della sicurezza. Essa è la città che scende dal cielo inviata da Dio, perché i Santi vivano in essa e si riposino …  e il mio Nome nuovo. Nulla è antico in Dio, che non invecchi con l’età, ma il Nome di Dio è sempre nuovo, sempre retto. E coloro che sono segnati con questo nome e trasferiti nel regno eterno, ottengono la vita eterna. In questo mondo il nome della Chiesa discende ogni giorno dal cielo mandato da Dio, cioè sempre la Chiesa nasce dalla Chiesa per mezzo di Dio. La chiamò nuova per la novità del Figlio dell’uomo, Gesù Cristo, ed è la Gerusalemme, e il mio “nuovo Nome”, che è il nome dei Cristiani, come prima della sua venuta venivano chiamati cristi, sacerdoti e dei, i governanti dell’uomo; ma non era questo il loro un nome nuovo, perché ce n’erano molti e nessuno di essi poteva salvare il mondo, ma solo lo poteva il Signore Gesù Cristo, cioè il Re Salvatore. Solo questo Re è Salvatore: questo è il nuovo Nome che sta al di sopra di ogni altro nome (Fil. II,9). Questo è il Re dei re, che è al di sopra di tutti i re. E non perché questo sia nuovo per il Figlio di Dio, come se fosse iniziato allora; infatti, non essendo veramente così, diciamo nuovo – ma solo nella carne – Colui che fin dal principio, prima della creazione del mondo, ha la stessa gloria del Padre. Eppure questo è nuovo per il Figlio di Dio, che è morto volontariamente ed è risorto, perché ne aveva il potere, ed è seduto alla destra di Dio; è “Figlio dell’uomo” quel che dice essere il “mio Nome nuovo”. È Lui che, all’inizio di questo libro, abbiamo visto tra i sette candelabri d’oro. Questi è il Figlio dell’uomo, Gesù, nel cui nome ogni ginocchio si piega in cielo, in terra e nelle profondità (Fil. II,10). Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Ogni volta che lo Spirito dice cose che dovrebbero essere comprese in modo diverso da come risuonano all’orecchio, conclude dicendo questo: Chi ha orecchie per ascoltare, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.

TERMINA LA SPIEGAZIONE DELLA CHIESA SESTA

INIZIA LA CHIESA SETTIMA NEL SECONDO LIBRO

(Ap. III, 14-22)

Et angelo Laodiciaæ ecclesiæ scribe: Hæc dicit: Amen, testis fidelis et verus, qui est principium creaturæ Dei. Scio opera tua: quia neque frigidus es, neque calidus: utinam frigidus esses, aut calidus: sed quia tepidus es, et nec frigidus, nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo: quia dicis: Quod dives sum, et locupletatus, et nullius egeo: et nescis quia tu es miser, et miserabilis, et pauper, et cæcus, et nudus.  Suadeo tibi emere a me aurum ignitum probatum, ut locuples fias, et vestimentis albis induaris, et non appareat confusio nuditatis tuae, et collyrio inunge oculos tuos ut videas. Ego quos amo, arguo, et castigo. Æmulare ergo, et poenitentiam age. Ecce sto ad ostium, et pulso: si quis audierit vocem meam, et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum, et coenabo cum illo, et ipse mecum. Qui vicerit, dabo ei sedere mecum in throno meo: sicut et ego vici, et sedi cum Patre meo in throno ejus. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[ “E all’Angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’amen, il testimone fedele e verace, il principio delle cose create da Dio. Mi sono note le tue opere, come non sei né freddo, né caldo: oh fossi tu freddo, o caldo: ma perché sei tiepido, e né freddo, né caldo, comincerò a vomitarti dalla mia bocca. Perciocché vai dicendo: Sono ricco, e dovizioso, e non mi manca niente: e non sai che tu sei un meschino, e miserabile, e povero e cieco, e nudo. Ti consiglio a comperare da me dell’oro passato e provato nel fuoco, onde tu arricchisca, e sia vestito delle vesti bianche, affinché non comparisca la vergogna della tua nudità, e ungi con un collirio i tuoi occhi acciò tu vegga. Io, quelli che amo, li riprendo e li castigo. Abbi adunque zelo, e fa penitenza. Ecco che io sto alla porta, e picchio: se alcuno udirà la mia voce, e mi aprirà la porta, entrerò a lui, e cenerò con lui, ed egli con me. Chi sarà vincitore, gli darò di sedere con me sul mio trono: come io ancora fui vincitore, e sedei col Padre mio sul trono. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dica alle Chiese.”]

TERMINA LA STORIA DELLA SETTIMA CHIESA

INIZIA IL COMMENTO ALLA STORIA DELLA SETTIMA CHIESA PRECEDENTEMENTE DESCRITTA NEL SECONDO LIBRO

[7] Scrivi all’angelo della Chiesa di Laodicea: Così parla il fedele e vero testimone  del principio delle creature di Dio: Conosco la tua condotta: tu non sei né caldo né freddo. Magari tu fossi freddo o caldo; ma siccome sei tiepido, e non sei né caldo né freddo, ti sto per vomitare dalla mia bocca. Dice qui che parla alla Chiesa lo stesso “verace” e “fedele” Signore Gesù Cristo, che è il principio delle creature di Dio, non ché Egli abbia avuto un principio, ma che lo ha dato, e annuncia che riprende la pigrizia di alcuni rimproverandone la tiepidezza, con il dire: sto per vomitarti dalla mia bocca. Egli rimprovera coloro che si sono abbandonati ad alcune fatuità, perché non li trova né gravati dal grande gelo dell’iniquità, né sostenuti dalle opere buone, ma persistono tiepidi in entrambe; perciò non presentano il cibo delle opere buone a Cristo, che si sazia delle buone azioni, ma, persistendo nelle loro delizie, si considerano pur fedeli; eppure Egli minaccia di vomitarli dal suo cuore e di scacciarli quanto prima, dicendo: tu non sei né freddo né caldo; poiché sei tiepido, ti vomiterò fuori dalla mia bocca, cioè non sarai nelle mie viscere, perché sei tiepido. Egli chiama tiepidi gli uomini ricchi credenti, posti nell’alta dignità, che, essendo credenti e ricchi, trattano delle Scritture nelle loro case e si discute fuori se siano della Chiesa, e senza dubbio si considerano anime fedeli. Essi cioè si glorificano, e dicono di conoscere tutti gli insegnamenti delle Scritture e di credere in Dio. E si ritengono con certezza essere attivi nella Chiesa, pur mancando le loro opere. È per questo che si dice loro: non siete né freddi né ferventi, cioè non siete né pagani né fedeli. Ed aggiunge per questo: magari fossi caldo, cioè religioso, fedele e santo; o vorrei piuttosto che tu fossi freddo, cioè infedele, incredulo, e fuori della Chiesa; in qualunque modo tu fossi, o nel bene o nel male, saresti perfetto e chiaro. Ma poiché non sei né freddo né caldo, ma tiepido, non sarai mangiato come mio cibo, né unito alle mie viscere. E poiché questi non è né caldo né freddo, si fa tutto a tutti, si adatta ad entrambi, agli increduli ed ai fedeli. Ti vomito – dice – dalla bocca, perché mi dai nausea. Nessuno ignora quanto sia odiosa la nausea, così come lo saranno questi uomini vomitati da Cristo e dalla Chiesa, quando saranno scacciati nel giorno del giudizio: ed infatti sono ricchi e tiepidi, finanche avidi per cupidigia; eppure – come detto – si ritengono fedeli e Cristiani. Però non può essere povero chi possiede ricchezze, né è ricco chi non faccia uso delle ricchezze; e lo stesso ricco istruito e fedele, parlando dice: “Sono ricco, mi sono arricchito, nulla mi manca “. Ma lo Spirito dice: “Non ti rendi conto di essere un disgraziato, degno di compassione, povero, cieco e nudo“. Ti consiglio di comprare da me dell’oro purificato dal fuoco. Siano confusi coloro che si gloriano delle loro azioni ed esultano dei propri affari. Se per caso danno una moneta ad un povero o fanno del bene, si vantano della loro scienza o della fede tiepidamente professata e, proclamandola, affermano di non aver bisogno di nulla. Eppure, al contrario, sono rimproverati, perché non meritevoli di compassione, in quanto poveri e mendicanti e sprofondati nella povertà delle opere buone; non vedono la loro nudità, né pensano di essere nudi e mancanti di buone opere. Li inclina pertanto alla salvezza con la solita bontà:  ti consiglio di comprare da me l’oro che è stato purificato dal fuoco, cioè di prendere esempio dalla mia passione, di passare nella fornace della tribolazione, affinché appaia provato da tutto, come Io sono stato provato da voi, e di seguire me, che sono morto per te, onde versare il tuo sangue per me, come Io l’ho versato per te …. affinché tu diventi ricco e vestito di bianco per coprire e nascondere la vergognosa tua nudità: così con le elemosine e con le opere buone diventi tu stesso l’oro provato dal fuoco, l’oro bruciato dalle fiamme dell’afflizione, purgato dalle elemosine e dalle opere rette; questo vuol dire: che tu sia ricco in ciò che fai, e ti ricopra delle mie vesti bianche, cosicché non appaia la confusione della tua nudità. Pensava questi infatti di essere ricco, bianco nel suo abbigliamento, e che non apparisse turpitudine alcuna delle sue opere. Mettete collirio negli occhi, cosicché possiate vedere. Questo è l’oro che Egli promette alla Chiesa attraverso il Profeta: « Farò venire oro anziché bronzo, farò venire argento anziché ferro, bronzo anziché legno, ferro anziché pietre. » (Is. LX, 17). Annuncia in tal modo che oro è la parola del Signore, il Vangelo, la dottrina apostolica. Chiunque ne rimanga arricchito, meriterà certamente delle ricchezze spirituali e si adornerà con bianche vesti, cioè con la luminosità delle opere buone, affionché con le opere buone, non apparirà la sua vergognosa nudità. Il collirio con cui ordina poi di ungere gli occhi è la contrizione del cuore, le lacrime del penitente, il dolore che guarisce chi si converte; e non si manifesta nel parlare né con la rabbia né con l’odio, ma piuttosto con la proclamazione del suo amore, quando dice: ungete i vostri occhi con il collirio, affinché possiate vedere. È come se dicesse chiaramente: O uomo ricco, tu che leggi, intendi ciò che dico. E così se leggi e non intendi, ungiti gli occhi con il collirio. A volte, nella Sacra Scrittura, per “occhi” si intendono i due Testamenti, cioè la Legge ed il Vangelo, che infondono ai credenti la luce della verità, come sta scritto: « … i precetti del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi. » (Psal. XVIII, 9). E ancora: « Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. » (Psal. CXVIII, 105). Se gli occhi sono illuminati dalla parola del Signore, siano illuminati anche quelli del ricco cieco. Si sa che Cristo, nel dare la vista ad un cieco, ha versato saliva sulla terra, ne ha fatto un collirio con il dito e lo ha spalmato sugli occhi dell’uomo nato cieco, dicendogli: « Vai a lavarti nella piscina di Sìloe » (Gv. IX, 6). Prima che la saliva giungesse a terra, c’era già la terra, ma essa non dava luce al cieco. Egli versò la saliva sulla terra e la rimescolò con il dito, e così unse gli occhi dell’uomo cieco nato. Questi andò a lavarsi e recuperò la vista. La saliva è il Vangelo, la terra è la Legge. Ma cosa fa la Legge senza il Vangelo, la Legge che non dà luce al cieco, ma lo lascia fermo lungo il sentiero, non permettendogli appunto di camminare lungo di esso. Discenda dunque la saliva di Cristo in terra, si unisca alla terra e la si mescoli con il dito dello Spirito Santo, ed unga gli occhi del ricco cieco e si vada alla vasca di Siloè, che significa “Colui che è stato mandato”, cioè a Colui che ha detto: Sono stato mandato solo alle pecorelle smarrite della casa d’Israele (Mt. XV, 24). O uomo ricco, se leggi e credi che Gesù sia stato mandato per te, indaga sulla profezia perché è venuto proprio da te. Leggi il Vangelo e comprendi quanto ha sofferto per te. Ti ha comprato a caro prezzo, poiché ti ha riscattato con il caro prezzo del suo sangue. Cosa restituisci a Colui che ti ha reso figlio, da servo che eri? Ascolta ciò che ti chiede: oro purificato dal fuoco! Questo è il vero scambio, perché il sangue viene ripagato con il sangue. Con questo collirio per gli occhi, possa tu vedere, possa tu sforzarti di fare ciò che liberamente già conosci dalle Scritture. E siccome questi uomini che da un grande peccato, tornano ad una grande penitenza, non sono solo utili a se stessi, ma possono essere di aiuto a molti, promette loro non una piccola, ma una grande ricompensa: sedere sul trono del suo giudizio. – Coloro che amo, Io li rimprovero e li correggo: siate perciò zelanti e pentitevi. Chiama alla penitenza coloro che sono immersi nella gravissima opera del peccato, e li invita ad imitare i Santi: insegna che nella Chiesa c’è chi debba essere imitato e seguito; ed è come se dicesse chiaramente: imitate coloro che vedete essere tormentati per il mio Nome. Tutta la moltitudine dei ricchi è racchiusa in un solo uomo, così come tutto il corpo dei Vescovi lo è in un solo Angelo delle Chiese. « Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me » Qua sta la nostra salvezza: il Signore Gesù Cristo, che bussa alla porta del nostro cuore! Colui che, pentendosi dei suoi peccati, getta via i fulmini della malizia e l’aridità del suo cuore, sicuramente entrerà e mangerà con Lui e assaggerà le delizie della giustizia; è come se Egli stesso dicesse  chiaramente: « chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e Io lo amerò e mi manifesterò a lui. Ed Io e il Padre mio verremo a lui e faremo la nostra dimora con lui » (Gv. XIV, 21). – Dopo questa correzione, dice ciò che promette alle buone azioni: Al vincitore gli concederò di sedere con me sul mio trono, come anch’Io siedo con il Padre mio sul suo trono. A chi dice che si siederà con Lui, promette di condividerne il potere. Però nel dire che siederà con lui sul trono del Padre, come siederà con il vincitore, dal momento che lo stesso Figlio unigenito siede con potenza sul trono del Padre, e come dice Egli stesso: « Non riempio io il cielo e la terra? » (Ger. XXIII: 24). Che cos’è dunque questo sedersi sul trono di Dio, se non riposare e gioire con Dio, stare davanti ai suoi tribunali beati e godere dell’infinita felicità della sua presenza? Chi ha orecchie, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.

TERMINA LA STORIA DELLA CHIESA SETTIMA

COMINCIA L’ESPOSIZIONE DELLE SETTE CHIESE SPIEGANDO IN SENSO SPIRITUALE, CON L’ARCA DI NOÈ, PERCHÉ NE SIANO SETTE.

[8] Il Signore disse a Noè: « Ho deciso di distruggere tutta la carne, perché tutta la terra è piena di violenza a causa loro. Perciò, ecco, io li sterminerò dalla terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori » (Gen. VI, 13).  Se vogliamo mirare diligentemente e con attenta osservazione alla fabbrica di quest’arca, attraverso la quale l’uomo giusto Noè meritava di essere salvato dal naufragio del mondo, troveremo senza dubbio che ci è stato offerto un grande mistero di grazia spirituale fin nelle sue stesse misure e nelle giunture. Infatti dice così: « Farai un’arca lunga trecento cubiti, larga cinquanta cubiti e alta trenta cubiti. E tu farai una copertura all’arca, e la finirai in cima per un cubito. Metterai la porta dell’arca nel suo fianco, e farai un primo piano, e un secondo piano, ed un terzo piano, e così via. » Questa fabbrica dell’arca indicherà chiaramente la figura della nostra Chiesa. Non c’è dubbio che Noè rappresentasse la figura di Cristo; Noè che, tradotto dall’ebraico in latino, significa “requies = riposo”, come il suo stesso padre Lamech profetizzò quando gli impose il nome: « Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto » (Gen. V, 29). Come soltanto Noè fu trovato giusto su tutta la terra e solo fu salvato con quelli della sua casa fra tutti coloro che perirono nel diluvio dell’acqua, in quanto egli soltanto, vivendo rettamente, aveva compiaciuto Dio, irritato dal mondo per la sua condotta perversa, così anche quando il Signore verrà a giudicare il mondo tra le fiamme del fuoco, porrà fine a tutti i mali, agli angeli ribelli e a tutti i crimini del mondo; ma solo ai Santi concederà riposo nel regno del mondo a venire. Poiché quest’arca, che fu costruita con un legno incorruttibile, indicava, come detto, la fabbrica della venerabile Chiesa, che rimarrà sempre con Cristo. Le sette anime concesse al santo e giusto Noè, è riconosciuto che rappresentino la figura delle sette Chiese che saranno liberate da Cristo dal diluvio del fuoco del giudizio e che regneranno con Cristo nella nuova terra. Ma forse alcuni sono disturbati dal fatto che si parli di sette chiese, dal momento che la Chiesa è una sola, diffusa in tutto l’universo. Esse sono chiamate “sette chiese” al plurale, pur essendo una, per lo Spirito settiforme che le anima. Perché come il corpo è uno e le sue membra sono sette, o meglio, sette sono le funzioni delle membra, e cioè testa, mani, piedi, vista, udito, gusto e olfatto, così uno è il corpo della Chiesa, ma è settiforme per la grazia dei carismi. Sette sono gli occhi del Signore, sette sono le stelle della mano destra di colui che siede sul trono, sette sono i candelabri d’oro, sette sono le lampade del tabernacolo del Signore, sette sono gli Angeli, sette sono le trombe, sette sono le coppe d’oro, sette sono le donne che si impadroniscono di un solo uomo – cioè le virtù delle Chiese che possiedono Cristo – e sette sono le colonne della casa di Salomone, su cui sorge ed è costruito l’edificio della Chiesa; ma anche il beato Giovanni Apostolo scrisse alle sette chiese, e anche Paolo, il venerabile Apostolo, scrisse lettere a sette chiese, mentre ne scrisse le restanti ad uomini, in modo da non superare il numero di sette; così anche sette sono i pani del Vangelo; e le ceste ripiene dei pezzi avanzati indicavano la figura della Chiesa settiforme. Per questo la Scrittura divina dice: « Noè è entrato nell’arca e sette anime con lui. » Queste sette anime indicavano le sette chiese, come detto; in ognuna di esse dimostrerò brevemente come siano incluse le sette chiese. Sette sono i doni dei carismi, come il Signore si è degnato di manifestare per mezzo di Isaia, vate inclito: « Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. » (Is. XI, 2). Non tutti possiamo possedere totalmente questi doni, ma ognuno di noi ne possiede uno. Solo Cristo Signore li possiede tutti, Lui che è tutto il corpo. In noi, che siamo annoverati tra le sue membra, ce n’è uno soltanto. Tutti coloro del numero dei fratelli che rimangono nell’unica e medesima Chiesa, che possiedono lo Spirito di Sapienza, tutti quelli che possiedono il primo carisma, formano la prima Chiesa. Infatti Chiesa significa congregazione dei Santi. Allora il beato Apostolo Paolo, scrivendo alla Chiesa, specificò ciò che fosse la Chiesa, dicendo: ai santi e ai fedeli (Ef. I,1); e così tutti i Santi ed i fedeli fratelli che possiedono lo Spirito di Intelletto formano la seconda Chiesa, come un secondo gruppo. Per la stessa ragione, tutti coloro che possiedono lo Spirito di Consiglio formano il terzo gruppo, e quindi la terza Chiesa. E quelli che Egli ha riempito con lo Spirito di Fortezza sono elencati nella quarta Chiesa. Allo stesso modo, coloro che Egli ha riempito con lo Spirito di Scienza sono considerati nella quinta Chiesa. A coloro che erano pieni dello Spirito di Pietà viene indicato il numero della sesta Chiesa. E coloro che Egli ha raccolto nello Spirito del Timore di Dio sono contati nella settima Chiesa. Chiunque di noi sia separato, possiede solo uno dei carismi, ma quando siamo riuniti insieme, formiamo un’unica integra e perfetta Chiesa settiforme, vale a dire: il Corpo di Cristo. Queste sono le sette anime che a Noè, rappresentante dell’immagine di Cristo, sono state affidate nel diluvio delle acque. Con l’acqua, quindi, i giusti sono salvati mentre i peccatori e gli empi sono puniti. Ugualmente queste sette chiese, alla fine del mondo, mentre tutte le nazioni staranno per morire, saranno liberate da Cristo dalla catastrofe del fuoco e riceveranno la gloria del regno dei cieli. Infatti come nessun uomo riuscì a sfuggire al diluvio delle acque, se non colui che si fosse rifugiato nell’arca, così anche nel giorno del giudizio di Dio nessun uomo potrà sfuggire, se non colui che è custodito nell’arca della Chiesa Cattolica. E quando si dice che l’arca possedesse un secondo ed un terzo piano, si dimostrano chiaramente le dimore e le qualità delle abitazioni preparate per i Santi nel regno di Dio. Il primo piano è figura del Paradiso; il secondo è figura della Terra nuova, dove scenderà la Gerusalemme celeste, affinché in essa, come sentito, si realizzi la dimora di Dio con gli uomini. Il beato Giovanni dice: Ho visto un nuovo cielo e una nuova terra, la città celeste di Gerusalemme, scendere dal cielo verso una nuova terra (Ap. XXI, 1); e Isaia: « Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io farò, dureranno per sempre davanti a me – oracolo del Signore – » (Is. LXVI, 22). Al terzo piano, ecco il Regno dei cieli. Per questo il nostro Salvatore e Signore ha detto nel Vangelo: « Nella casa del Padre mio che è nei cieli ci sono molte dimore » (Gv. XIV, 2). Per questo è stato scritto anche del regno dei cieli: « Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli » (Mt. V, 10). A proposito dell’abitazione del Paradiso, il Signore stesso ne dimostra l’esistenza, quando afferma: Al vincitore – dice – darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel Paradiso del mio Dio (Ap. II, 7). Allo stesso modo Egli annuncia la dimora della Terra nuova quando dice: « Beati i miti, perché essi possederanno la terra » (Mt. V, 4). E lo stesso Salomone dice: « perché gli uomini retti abiteranno nel paese e gli integri vi resteranno, ma i malvagi saranno sterminati dalla terra, gli infedeli ne saranno strappati » (Prov. II, 21). Ugualmente il beato Isaia menziona questi tre livelli quando dice: « ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza avere fame. » (Is. XL, 31). Voleranno in cielo come aquile che volano con le ali; correranno in Paradiso e non si stancheranno; cammineranno nella terra nuova e non avranno fame, perché lì riceveranno una pietanza preparata da Dio. È questa triplice classe delle dimore dei santi che il Signore si degnò anche di manifestare ai suoi Apostoli nel Vangelo per mezzo di una parabola, dicendo: « Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. » (Mt XIII, 8). Il frutto di cento per uno, sarà prodotto da coloro che riceveranno una casa in cielo, quelli che produrranno il sessanta per uno, meriteranno una casa in Paradiso, e quelli del trenta per uno, vivranno sulla Terra nuova. Pertanto, dovrebbe già esserci chiaro che quest’arca a tre piani, come detto più volte, indica chiaramente la figura della Chiesa Cattolica. Le sue abitazioni a tre piani, cioè il Cielo, il Paradiso e la Terra nuova, sono state rese note dal Signore nei tempi passati. Per quanto riguarda quel che concerne la costruzione dell’arca, dice come la stessa sia stata concepita in modo da essere più ampia nel primo piano, dove si è iniziata, nel mezzo più stretta, e nel terzo coperto ai quattro angoli, fin dove non fosse stato sopraelevato, per la breve misura di un cubito, avendo una finestra nel lato: questo significava che nella prima parte della costruzione, cioè al primo piano, fosse stata concessa maggiore libertà di azione ai Santi, una disciplina più permissiva per tutti i Padri ed i Patriarchi a causa della necessità di generare la discendenza dei figli, e per questo doveva essere loro permesso di realizzare molte più cose lecitamente e fare più liberamente ciò che volevano. Per questo motivo al primo piano dell’Arca viene assegnato uno spazio maggiore e più ampio. Il piano intermedio è ridotto ad una misura più stretta, perché nel mezzo dei tempi, il popolo doveva essere costretto dalla Legge di Mosè e dei Profeti in uno spazio sempre più stretto ed angusto dai precetti che lo vincolavano. Che il terzo piano fosse coperto negli angoli e finito all’altezza di un cubito, significava che i quattro angoli, cioè i quattro Vangeli, dovevano delimitare l’intero edificio della Chiesa. Perché stretta e angusta  è –  dice – la via che conduce alla vita (Mt. VII, 14). E all’altezza di un cubito, cioè la misura dell’uomo in piedi, umanità di cui il Signore si è rivestito, dovevano essere finiti tutti i lavori della Chiesa. Insomma, nessuno può raggiungere il culmine della virtù e della gloria perfetta se non attraverso l’angoscia delle tribolazioni e l’afflizione delle persecuzioni che il Signore ha sopportato nella sua passione, come sta scritto: « … bisogna attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio » (Act. XIV, 22). E un cubito più sopra la terminerai (Gen. VI, 16); questo cubito è figura, come detto, del Corpo di Cristo; e questo cubito sembra riguardare piuttosto l’unità dell’uomo perfetto di cui siamo membri, che non la misura della statura dell’uomo. Infatti essendo tutti uno in Cristo Gesù, la costruzione dell’arca si finisce in un solo cubito, poiché nel solo Corpo di Cristo e nella grazia delle sue sofferenze doveva essere riunita tutta la pienezza della Chiesa. – E il corvo che si dice essere stato mandato dall’arca e non è tornato, ha dimostrato questo: che i desideri impuri degli uomini devono essere cacciati via dalla Chiesa, e non devono più tornarvi. – Il corvo significa, quindi, i piaceri dell’anima ingannevole ed impura, e la cattiva fama del colore nero rappresentava i vizi iniqui dei peccatori. – La colomba che fu mandata poi, non trovando alcun posto dove posarsi nel mondo, ritornò all’arca. Era essa figura dello Spirito Santo che, diffuso in tutto il mondo, non riusciva a trovare riposo negli uomini tutti, a causa dell’iniquità del mondo, e così è tornata all’arca della Chiesa, come lo stesso Signore – istruendo i suoi Apostoli nel Vangelo – dice: « In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi » (Mt. X, 11). Per questo, lo Spirito Santo, non avendo trovato accoglienza tra i popoli che non avevano ancora creduto in Cristo, ritornò all’arca della Chiesa degli Apostoli fino a quando, eliminate le iniquità del peccato, la dottrina della fede non fosse stata creduta in tutte le Nazioni, così da meritare di ricevere lo Spirito Santo. Aggiunge quindi la Scrittura: « … Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo » (Gen. VIII, 10). Il ramo d’ulivo portato da questa colomba indicava chiaramente una testimonianza di pace e di resurrezione, e che, annunciando e portando nel suo becco il legno della passione, doveva fornire la pura grazia del carisma. E venne di sera, perché doveva arrivare alla fine del mondo. La misura dell’arca, lunga trecento cubiti, indica evidentemente la figura della croce del Signore, perché i greci designano il numero trecento con la lettera “tau“; questa lettera forma come il tratto di un ramo d’albero piantato, mentre un altro si presenta come una traversa allungata in cima, così da indicare certamente la forma della croce, dal cui mistero ai credenti viene data la lunghezza della vita, fornita la larghezza della terra nuova e la si prepara per l’altezza del regno dei cieli. Cinquanta cubiti era la larghezza dell’arca: questo significava che a Pentecoste, cioè cinquanta giorni dopo la passione della croce del Signore, sarebbe sceso lo Spirito Santo, attraverso il Quale si può ottenere la speranza della salvezza e la gloria del regno dei cieli. I trenta cubiti dell’altezza dell’arca indicano i trent’anni di età del Signore, età in cui, per il ministero di Giovanni, fu battezzato nel Giordano l’Uomo di cui si era rivestito; aveva infatti trent’anni, secondo il Vangelo, quando con l’acqua del Battesimo illustrò coi doni celesti l’uomo – come detto – presunto, di cui si rivestì. È dunque l’altezza la misura dell’età del corpo di Cristo, secondo quanto afferma l’Apostolo Paolo: « … finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo » (Ef. IV, 13). La lunghezza è nella passione della croce del Signore, con la quale i credenti sono suggellati nella fede. La larghezza è nel giorno di Pentecoste, in cui lo Spirito Santo scende sui credenti. Vedete, dunque, cari fratelli, che tutto l’edificio di quest’arca doveva essere premessa del mistero della venerabile Chiesa e che gli uomini non potevano essere salvati dalla rovina del mondo intero se non nella Chiesa, così come non si salvarono dal diluvio del mondo se non coloro che erano ospitati nell’arca. E così dobbiamo sforzarci di chiedere a Dio nostro Signore con tutto il cuore di meritare di rimanere, nella Chiesa Cattolica di Dio, fedeli al Signore. Seguiranno allora i premi se con i legami di pace e di concordia avremo conservato le norme dell’istituzione evangelica, in modo da poter essere felici al cospetto di Dio Padre Onnipotente.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (7)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (5)

I quattro cavalli e i quattro cavalieri (Apoc. VI, 1-8)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (5)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO SECONDO

INIZIA LA SECONDA CHIESA

(Ap. II, 8-11)

Et angelo Smyrnæ ecclesiæ scribe: Hæc dicit primus, et novissimus, qui fuit mortuus, et vivit: Scio tribulationem tuam, et paupertatem tuam, sed dives es : et blasphemaris ab his, qui se dicunt Judaeos esse, et non sunt, sed sunt synagoga Satanæ. Nihil horum timeas quae passurus es. Ecce missurus est diabolus aliquos ex vobis in carcerem ut tentemini : et habebitis tribulationem diebus decem. Esto fidelis usque ad mortem, et dabo tibi coronam vitæ. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis: Qui vicerit, non laedetur a morte secunda.

[E all’Angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, il quale fu morto, e vive: So la tua tribolazione e la tua povertà, ma sei ricco: e sei bestemmiato da quelli che si dicono Giudei, e non lo sono, ma sono una sinagoga dì satana. Non temere nulla di ciò che sei per patire. Ecco che il diavolo caccerà in prigione alcuni di voi, perché siate provati: e sarete tribolati per dieci giorni. Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio, ascolti quel che lo Spirito dica alle Chiese: Chi sarà vincitore, non sarà offeso dalla seconda morte.]

INIZIO DELLA SPIEGAZIONE DELLA CHIESA INNANZI DESCRITTA NEL LIBRO SECONDO

[2] Scrivi all’Angelo della chiesa di Smirne. Smirne, è « il canto di quelli che hanno proclamato la verità cattolica; » a questi lo Spirito Santo parla dicendo: Questo dice il primo e l’ultimo, che era morto e che è tornato in vita. Conosco la tua tribolazione e la tua povertà, anche se sei ricco. Egli loda le opere della sua Chiesa, perché sta andando nel regno attraverso molte tribolazioni. Preferisce la condizione della povertà, perché rigetta energicamente i beni presenti per meritare quelli futuri … Anche se sei ricco. Essa è ricca nella fede e nell’abbondanza totale della grazia, cioè nell’umiltà, compiendo la parola divina che dice: « beati i poveri in spirito » (Matt. V, 1). Chi è povero di spirito è ricco dello Spirito di Dio. Colui che è ricco di spirito, si gonfia con arie di grandezza, è come un otre. Si deve sapere, quindi, che le colpe più gravi sono quelle di specie poco indicate, che sembrano addirittura essere virtù, perché le colpe chiaramente note prostrano lo spirito con la tristezza e lo trascinano alla penitenza. Queste invece, non solo non umiliano lo spirito portandolo alla penitenza, ma elevano la mente di chi opera, essendo ritenute come delle virtù. Dice di questi di tal parte della Chiesa: e sei bestemmiato da parte di coloro che si definiscono Giudei ma non lo sono, e sono in realtà una sinagoga di satana. La Chiesa sopporta spesso numerose contumelie da parte di chi confessa di conoscere Dio ma non lo riconosce affatto, e la cui assemblea è congregata al loro padre, il diavolo. Anche qui si dimostra come non si parli solo ad una Chiesa particolare, perché non solo quelli di Smirne erano o sono Giudei bestemmiatori. Si mostra anche che questi Giudei siano all’esterno, che siano cioè dei cattivi Cristiani, così come ha detto sopra a proposito dei falsi apostoli. Avrebbe anche potuto chiamare i Cristiani Giudei, perché “giudeo” è una parola religiosa. In ebraico, Giuda si intende “confessio” in latino. Quelli che si definiscono Giudei, cioè “i confessori”. Perché se non li chiamasse Giudei, non direbbe che si chiamano così e non lo sono. « Siamo noi i circoncisi » (Fil. III,3); siamo noi i Giudei, che hanno Cristo, il Leone della tribù di Giuda. « Infatti, Giudeo non è chi appare tale all’esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito e non nella lettera; la sua gloria non viene dagli uomini ma da Dio. » (Rm. II, 28), è cioè colui che piace solo a Cristo e non agli uomini, come sta scritto: « Tutta splendida è la figlia del re, “ab intus”: in dentro » (Psal XLIV, 14). Se avesse detto solo che si definiscono Giudei, e non avesse aggiunto la sinagoga di satana, non avremmo potuto dire che fossero fuori, anche se avesse detto che stavano bestemmiando. Con ciò dimostra anche che questi Giudei sono fuori, perché non dice che … avete messo alla prova coloro che si definiscono Giudei; così come sopra ha detto degli apostoli che dicono di essere apostoli senza esserlo, così anche qui avrebbe potuto chiamare Giudei i Cristiani che sono della sinagoga di satana. Se volete sapere cos’è questa sinagoga e cos’è la Chiesa, lo saprete chiaramente nel prologo delle sette chiese. Non ho tempo di occuparmene ora, perché non accada che mentre replichiamo cose già discusse, ci attardiamo per le cose non ancora trattate. Infatti, nostro Signore, dando come esempio il suo corpo, in mezzo alla sinagoga del santo Israele, in mezzo quindi a Gerusalemme, proclamava che Gerusalemme uccideva i profeti. La si chiamava anche la sinagoga di satana, che è Sodoma e l’Egitto; che è una congregazione ed una sinagoga; e noi costituiamo insieme un’unica assemblea, poiché la sinagoga è di molti, ma la Chiesa è di pochi. Ma se è così, perché lottiamo tra di noi? Perché ci chiamiamo l’un l’altro anticristi? Proprio per questo Giovanni ha chiarito nella sua lettera, chi sono quelli che si debbano considerare come anticristi quando dice: chi nega che Gesù è Cristo, questi è l’Anticristo » (1 Gv. II, 22). Chiediamoci allora chi è che lo neghi; e non guardiamo alle parole, ma ai fatti. Perché se si chiede a questi, tutti confessano con la bocca che Gesù è il Cristo. Ma riposi un po’ la lingua ed interroghiamoci se veramente ciò verifichiamo. Se la stessa Scrittura ci ha detto che la negazione non si fa solo con la lingua, ma con le opere, troviamo certamente molti Cristiani che sono “anticristi”, che lo confessano cioè solo con la bocca, mentre che le loro abitudini non sono in sintonia con Cristo. Dove lo troviamo nella Scrittura? Ascoltiamo Paolo. Egli dice, parlando di costoro: « … Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, (Tt. I, 16). Abbiamo trovato allora questi anticristi. Chiunque rinneghi Cristo con la sua condotta è l’Anticristo. Non si ascolti ciò che si proclama, ma ciò che si vive. Parlano le opere e noi cerchiamo ancor le parole? Chi è malvagio dirà forse cose buone? Ecco cosa dice il Signore di costoro: « … come potete dire cose buone, voi che siete cattivi?» (Mt. XII, 34). Voi portate le vostre voci alle mie orecchie, io esamino i vostri pensieri e vedo che c’è una volontà malvagia e che voi date cattivi frutti. So cosa raccogliere da lì: … non si raccolgono fichi dai rovi, non si raccoglie uva dalle spine. Ogni albero è conosciuto per i suoi frutti. L’anticristo è più che altro un bugiardo, che confessa con la sua bocca che Gesù è il Cristo e lo nega con la sua condotta. Per questo è bugiardo, perché dice una cosa e ne fa un’altra. Infatti il Signore disse al suo corpo, cioè alla Chiesa, dandone un esempio in mezzo alla sinagoga del santo Israele, cioè di colui che vede Dio, in mezzo alla santa Gerusalemme: « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati » (Matt. XXIII, 37). Dovete capire che questo lo ha detto della sinagoga di satana, che è Sodoma e l’Egitto, dove i suoi testimoni, cioè coloro che servono Dio, vengono crocifissi ogni giorno. Sodoma, dopo i suoi eccessi, diventa cenere, una volta liberato Lot con le sue figlie. Ma cosa significa che se il Signore avesse trovato cinquanta o anche fino a dieci persone giuste, avrebbe salvato la città? (Gen. XVIII: 26). Mise il numero cinquanta come segno di penitenza, nel caso in cui si fossero convertiti e quindi salvati. Il numero cinquanta si riferisce sempre alla penitenza. Ecco perché Davide ha composto il Salmo della Penitenza con quel numero. Ecco perché quando Dio vede la vita dei peccatori che non vogliono pentirsi, il che si indica col numero cinquanta, trattiene all’istante l’ardore della sfrenata lussuria con il fuoco della geenna. Ha detto poi che Sodoma non perirebbe se vi si trovassero anche solo dieci giusti, perché se il nome di Cristo si trova in un uomo per l’osservanza dei Dieci Comandamenti, questi non perirà. La cifra del numero dieci è un numero perfetto e rappresenta la croce di Cristo. Ma cosa sono le cinque città che sono state consumate dalla pioggia di fuoco, se non tutti coloro che hanno usato in modo lascivo i cinque sensi del loro corpo, e che sono consumati da quel fuoco divino? Lot stesso, parente di Abramo, uomo giusto ed abitante di Sodoma, che meritava di uscire indenne da quel fuoco – similitudine del giudizio divino – era figura del corpo di Cristo che, come tutti i Santi, geme ora tra gli iniqui e gli empi, di cui non approva le azioni, e dalla cui compagnia sarà liberato alla fine del mondo, quando essi saranno condannati con il fuoco al tormento eterno. La moglie di Lot era figura di quei religiosi che, chiamati dalla grazia di Dio, guardano indietro e desiderano tornare a quelle cose che avevano abbandonato. Di questi il Signore dice: « nessuno che mette la mano all’aratro e guarda indietro è adatto al regno dei cieli » (Lc. IX, 62). Per questo a quella donna è proibito guardarsi indietro, per insegnarci che non dobbiamo tornare alla vita precedente, noi che, rigenerati dalla grazia, desideriamo sfuggire alla eterna dannazione. E il fatto che sia rimasta girata a guardare indietro e sia diventata una statua di sale, serve da esempio alla condotta dei fedeli, affinché altri possano essere salvati. Infatti neanche lo stesso Cristo tacque, dicendo: « … ricordatevi della moglie di Lot » (Lc. XVII: 32), cioè possiamo condirci col sale per non dimenticare il fatto, ed essere saggiamente prudenti. Ammonì così quella quando fu trasformata in una statua di sale. – Commentiamo ora ciò che riguarda lo stesso Lot, che, fuggito da Sodoma in fiamme, giunse a Segor ma senza scalare la montagna. Fuggire da Sodoma in fiamme è non accettare i fuochi illeciti della carne o i desideri del mondo; l’altezza delle montagne è la contemplazione del perfetto; e seppur molti giusti fuggono dalle lusinghe del mondo, eppure, dediti essi all’azione, non possono raggiungere la vetta della contemplazione. Per questo Lot è uscito da Sodoma, ma non ha raggiunto la montagna; la vita riprovevole è stata sì abbandonata, ma non è stata ancora raggiunta la grandezza della sublime contemplazione. Per questo Lot stesso dice all’Angelo: « È qui vicino quella città, nella quale posso fuggire, ella è piccola, ed ivi troverò salute, non è ella piccolina, e ivi non sarà sicura la ma vita? ». (Gen. XIX: 20). Si dice che cerca questa che senza dubbio si mostra sicura per la salvezza, perché la vita attuale non è né totalmente distaccata dalla cura del mondo, né estranea alle gioie della salvezza. E Lot stesso, quando le sue figlie gli si unirono, sembrava rappresentare il ruolo della futura Legge. Infatti taluni che sono stati generati da quella Legge e che quindi sono soggetti alla Legge, non comprendendola bene, in un certo senso ne sono come ubriacati, non osservandola che legalmente, e facendo così opere di infelicità. Infatti « così la legge è santa, e santo e giusto e buono è il comandamento. » (Rm. VII, 12) – come dice l’Apostolo – se qualcuno la osserva legalmente. – L’Egitto è flagellato da dieci piaghe e non viene corretto. Queste piaghe avvenute in Egitto in modo materiale, ora si verificano in modo spirituale nella Chiesa. Infatti l’Egitto è figura del mondo, come Sodoma, la quale è stata consumata dal fuoco, ed è stata abbandonata. Da Sodoma solo in tre sono stati liberati dal fuoco; dall’Egitto solo in due sono entrati nella terra promessa (Num. XIV, 30). Anche se molti sono usciti, si dice che solo due vi siano entrati. E questo è ciò che la Verità manifesta nel Vangelo: « … molti sono chiamati, ma pochi sono gli eletti » (Mt. XX, 16). Due sono entrati nella terra della promessa, e solo in due riceveranno i regni celesti della promessa, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Tre sono stati liberati dal fuoco a Sodoma, e in tre saranno liberati quando Cristo verrà nella sua gloria per giudicare la terra, cioè la fede, la speranza e la carità. In Egitto, innanzitutto, le acque diventarono sangue. Le acque dell’Egitto sono state trasformate in sangue, cioè le dottrine erronee e fallaci dei filosofi, che giustamente diventano sangue, poiché circa le cose sentono in modo carnale. Ma quando la croce di Cristo insegna la luce della verità a questo mondo, lo rimprovera con punizioni simili, così che per la qualità delle piaghe, la Chiesa possa conoscere, per mezzo di esse, i propri errori. Nella seconda piaga c’è l’invasione delle rane, che crediamo essere i versi dei poeti che, con modulazione vuota e tronfia, com’è il gracchiare delle rane, hanno introdotto in questo mondo favole ingannatrici. Per mezzo della rana si indica la vanità del chiacchierio. Questo animale non serve a nient’altro se non ad emettere un suono goffo ed inopportuno. Dopo le rane arrivano le zanzare. Questo animale che vola con le sue ali scivola nell’aria, ma è così sottile e minuscolo, che si nasconde all’occhio, a meno che non si abbia una vista molto acuta. Ma quando plana sul corpo, punge con il suo pungiglione acuminato, così che, quando ci chiediamo chi volasse, si comprende subito chi era. Questo tipo di animale è paragonato alla sottigliezza eretica, che trafigge sottilmente le anime con il pungiglione della verbosità, e ci circuisce con un’astuzia tale che la persona ingannata non vede né comprende come ed in cosa sia stata ingannata. I maghi che si arresero al terzo segno, dicendo: questo è il dito di Dio (Es. VIII,15), rappresentavano l’audacia e la caparbietà degli eretici. L’Apostolo lo manifesta dicendo: « … Sull’esempio di Iannes e di Iambres che si opposero a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità: uomini dalla mente corrotta e riprovati in materia di fede. Costoro però non progrediranno oltre, perché la loro stoltezza sarà manifestata a tutti, come avvenne per quelli. » (2 Tm. III, 8). Infatti anche costoro, che erano molto inquieti per la stessa corruzione delle loro menti, fallirono nella terza piaga, confessando che il loro avversario fosse lo Spirito Santo, che era in Mosè, perché al terzo luogo infatti si pone lo Spirito Santo, che è il dito di Dio. Ecco perché chi ha fallito nella terza piaga ha detto: ecco il dito di Dio. Così, riconciliato e placato, lo Spirito Santo dà riposo ai miti ed agli umili di cuore, ed invece contrariati e disistimati, agita con l’inquietudine i non mansueti ed i superbi. Quei piccoli insetti hanno generato questa loro inquietudine col dire: ecco il dito di Dio. In un quarto momento, l’Egitto fu afflitto dalle mosche. La mosca è un animale molto inopportuno ed inquieto. In essa, cos’altro si intende se non il desiderio della carne? L’Egitto è turbato così dalle mosche, come lo sono i cuori di coloro che amano questo mondo e sono feriti dall’inquietudine dei loro desideri. Per di più, i “settanta interpreti” hanno usato il termine di “cinomia“, che sono le mosche canine, con le quali si indicano appunto modi canini, vale a dire la verbosità della mente, i desideri pressanti e la libido della carne. Questo termine può certamente significare anche, con la mosca canina, l’eloquenza forense degli uomini, con cui i cani si feriscono l’un l’altro. In quinto luogo, l’Egitto è flagellato dalla morte degli animali e del bestiame. In questa piaga si rimprovera l’ignoranza e la stupidità dei mortali, che come animali irrazionali hanno istituito un culto e dato il nome di “dei” a figure scolpite e ad animali irrazionali, non solo nelle immagini raffiguranti uomini ed animali, ma pure nelle sculture scolpite nel legno e nella pietra. Amon e Giove sono venerati in un ariete; Anubi, in un cane; Apis è venerata in un toro. In queste ed in altre cose, in cui l’Egitto ammirava le meraviglie degli dei, ed in cui credeva consistesse il culto divino, essi hanno subito torture degne del loro peccato. Dopo questo, come sesta piaga, ci sono le ulcere, le eruzioni cutanee con febbre. Nelle ulcere, si condanna la malizia dolosa e corrotta di questo mondo; nelle eruzioni tumescenti, l’orgoglio che gonfia; nelle febbri, l’ira e la malvagità del furore. Finora queste piaghe, figura dei relativi errori, provengono dal mondo. Da questo momento in avanti, giungono segni dall’alto, vale a dire: tuoni, grandine e fuoco che si diffonde. Nel tuono si fanno sentire i rimproveri e le correzioni divine; infatti Egli non punisce in silenzio, ma dà voce e manda dal cielo la dottrina, con la quale il mondo, nella sua punizione, può riconoscere il suo peccato. Egli manda la grandine per distruggere la mollezza dei vizi appena nati; manda il fuoco, perché sa che ci sono spine e cardi che quel fuoco deve bruciare. Di esso il Signore dice: « … Sono venuto a portare il fuoco sulla terra » (Lc. XII, 49). Attraverso di esso, quindi, si accendono gli stimoli del piacere e della libido. Quando si racconta, nell’ottava piaga, delle cavallette, alcuni pensano che con questo tipo di piaga sia punita l’incostanza del genere umano in dissidio. Ma le cavallette devono essere comprese anche in un altro senso, per la leggerezza della loro mobilità, similmente a quelle anime che si spostano da un luogo all’altro e saltano tra i piaceri del mondo. Alla nona piaga giunsero le tenebre, per rimproverare la cecità della loro mente, o per far loro capire che le ragioni della ricompensa divina e della provvidenza sono molto oscurate: « Si avvolgeva di tenebre come di velo, acque oscure e dense nubi lo coprivano » (Psal. XVII, 12); Dio infatti, quando lo si volle scrutare con audacia e temerità, sostenendo con diverse ragioni cose eterodosse, li gettò nelle tenebre più grossolane e spesse dell’ignoranza. Infine vennero eliminati i primogeniti degli Egiziani: questi sono da intendere essere i principi, i potenti ed i governanti del mondo delle tenebre, o anche gli autori ed inventori delle false religioni di questo mondo, inventori che la verità di Cristo ha distrutto ed estinto: « … così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. » (Es. XII: 12). – Gli Ebrei credono che questo si riferisca alla distruzione di tutti i templi dell’Egitto nella notte in cui il popolo uscì dal suo territorio. Noi lo intendiamo nel modo spirituale: quando siamo usciti dall’Egitto di questo mondo, gli idoli dell’errore saranno caduti, e tutto l’insegnamento di dottrine perverse sarà crollato. Questi sono in realtà Sodoma e l’Egitto, che ora stanno combattendo la Chiesa. La prima viene bruciata perché non vi si sono trovati nemmeno dieci uomini giusti; il secondo è flagellato dalle dieci piaghe, senza che faccia ammenda. Quando si trova Sodoma e l’Egitto in questo libro, si consideri questa interpretazione; e quando si nomina la “sinagoga”, si sappia che essa è proprio Sodoma e l’Egitto. Infatti della sua bocca e del suo corpo, ne parlava il Signore attraverso il Profeta: « … innumerevoli cani mi circondano; una sinagoga dei malvagi viene su di me » (Psal. XXI, 17). E ancora: « … Allora si aprì la terra e inghiottì Datan, e seppellì la sinagoga di Abiron. » (Psal CV, 17), perché hanno irritato Mosè ed Aronne, il santo Sacerdote del Signore, e hanno pagato il fio per aver osato sacrificare secondo le loro voglie. Questo rappresentano anche coloro che ora cercano di creare eresie e scismi nella Chiesa, ed ingannano molti attirandoli così, disprezzando i “veri” Sacerdoti di Cristo e separandosi dal clero e dalla società dei molti. Essi osano fondare chiese e costruire un altro altare ed un’altra preghiera con parole illecite, profanando la verità del Sacrificio del Signore con sacrileghi sacrifici. Coloro che si ostinano contro il comando del Signore, con temeraria audacia, infrante le compagini della terra, si immergono, viventi, in un profondo abisso. E non solo coloro che ne sono la guida, ma anche coloro che, dando il loro consenso, ne sono diventati complici e, pronti per la vendetta, periscono nel fuoco dell’eterno tormento. Questa stessa sinagoga che si era opposta a Mosè, è ora avversa alla Chiesa. Prima di manifestarsi, essa si trovava da lato, e veniva chiamata con il nome di un’unica sinagoga. Geremia ci ricorda che questa sinagoga è dentro la Chiesa quando dice: « O Signore onnipotente, non mi sono seduto nelle brigate di buontemponi, ma spinto dalla tua mano sedevo solitario …. » (Ger. XV, 17) … certamente con lo spirito, perché mai mi sono allontanato da loro.  Non c’è nessun’altro tempio in cui sedersi solitario, né un altro popolo da cui restare separato. Anche Nicodemo era estraneo al gruppo dei malvagi nell’interpretazione della Legge. Questa è la sinagoga nella Chiesa, alla quale il Figlio di Dio dice: « … voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro » (Gv. VIII, 44). C’è la via stretta e la via larga; quella è la destra e l’altra la sinistra. Ma le due vie si uniscono nella via del Signore o si mescolano tra loro? È scritto in Osea: « poiché rette sono le vie del Signore, i giusti camminano in esse, mentre i malvagi v’inciampano. » (Osea XIV: 10). – Per questo si esorta la sua Chiesa a non temere chi uccide il corpo e poi non può fare null’altro, dicendo: … non temete ciò che soffrirete. Egli indica così le tribolazioni ed i mali futuri inflitti dai malvagi e conforta i suoi fedeli perché non abbiano paura delle molestie nelle persecuzioni; ma lo racconta come ad uno solo, perché i Santi, pur vivendo tutti in questo mondo, sono “uno” formando un’unica anima ed un unico cuore nell’amore di Cristo, e la Chiesa è una sola. Perché così come sono Cristo e la Chiesa, cioè il Capo con le membra, che sono una cosa sola, così lo sono pure i malvagi con il diavolo, loro capo, formando: “un solo corpo”. E nel dire “non temete per ciò che soffrirete”, indica certamente anche ciò che si soffrirà da tutto il corpo del diavolo che, in tutto il mondo, dall’interno e dall’esterno, assedia la Chiesa, o ciò che il nemico potrà causare. Il diavolo sta per mettere alcuni di voi in prigione, per cui sarete tentati e soffrirete una tribolazione di dieci giorni. Non credo che si debba dire o credere incautamente ciò che alcuni hanno detto o pensato, e cioè che la Chiesa non subirà persecuzioni fino al tempo dell’Anticristo; infatti la Chiesa ha già subito dieci persecuzioni, e l’undicesima ed ultima sarà sotto l’Anticristo. Si computa così essere la prima quella realizzata da Nerone. La seconda, quella da Domiziano. La terza è quella di Traiano. La quarta, quella di Antonino. La quinta, di Severo. La sesta, quella di Massimino. La Settima, di Decio. L’Ottava, di Aureliano. La Nona, di Valeriano. La decima, di Diocleziano e Massimiano. A causa di questi dieci re, la Chiesa ha sofferto dall’Ascensione di Cristo fino al Concilio di Nicea, per duecento cinquant’anni. Essi hanno realizzato una strage di martiri, come dice il Signore in questa Apocalisse di San Giovanni: soffrirete una tribolazione di dieci giorni, per mano di dieci re. Il diavolo che si era trasformato in una figura umana, diceva contro i Cristiani: perché venerate Gesù crocifisso, un uomo giudeo, un uomo senza importanza? Incitava i principi del mondo a mettere a morte coloro che avevano creduto in Cristo. Dopo che il Vangelo fu predicato in tutto il mondo, gli stessi re, le cui leggi avevano devastato la Chiesa, si sottomisero in modo salutevole a tutti martiri, e dopo essere stati così solleciti nell’eliminarli crudelmente dalla terra, cominciarono a perseguitare i falsi dei, a distruggerne i templi, e a costruire basiliche dedicate ai martiri; ciò vedendo, il diavolo si è adornato con l’abito della religione, assumendo il nome di Cristianesimo, ed ha combattuto “da cristo” contro Cristo; egli ha infiltrato gli eretici nella Chiesa; ed ora muove l’undicesima persecuzione, quella dell’Anticristo. Fin da quando il Vangelo di Cristo è stato diffuso in tutto il mondo, nella Chiesa c’è la persecuzione di una spiritualità falsa e ingannevole, che è nota ai dotti, ma non è conosciuta da tutti gli empi; infatti con tale sottigliezza il diavolo ha mutato il culto della Religione, e, per ingannare più facilmente, sotto il nome di “Cristianesimo”, mescola il vero con il falso, in modo da suscitare i suoi predicatori a diffondere delle opinioni, piuttosto che delle credenze. E così, fin dai primordi della Chiesa Cattolica, e quasi poco dopo l’ascesa al cielo di Cristo, la subirono gli Apostoli ai quali furono annunciate queste cose mentre erano con Lui prima che ascendesse: la Chiesa ne iniziò a soffrire, e dopo la sua scomparsa crebbe ancor più la passione e molte tribolazioni furono causate, al punto che essi versarono pubblicamente il proprio sangue per il nome di Cristo, che i Giudei vietavano loro finanche di nominare: così sappiamo che avverrà pure alla venuta dell’Anticristo, anche se pure oggi si soffre molto in vari luoghi e regioni, da parte degli eretici e dai gentili. – Egli ha detto: soffrirete una tribolazione di dieci giorni. In questi dieci giorni citati, si indica tutto il tempo di questo mondo, perché si dice dieci per così dire, come lo stesso è di cento o mille, cioè il numero perfetto completo di questo mondo; è come se dicesse: soffrirete una tribolazione, ma solo di dieci giorni, perché avranno fine. Se si considerano infatti i mali presenti a cui si è sottoposti, confrontati all’eternità della futura beatitudine, certamente appaiono brevi, come passati di fretta, tali come se si trattasse di dieci giorni. Per questo l’Apostolo dice: « Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano degne di essere paragonate alla gloria che si manifesterà in noi » (Rm. VIII, 18). Egli poi incoraggia i suoi e dice loro: Siate fedeli fino alla morte e vi darò la corona della vita. E nel Vangelo il Signore dice: « Chi persiste fino alla fine sarà salvato » (Mt. XXIV, 13). Può accadere così che chi abbia vissuto male, ma alla fine della sua vita sia tornato alla vera penitenza ed abbia creduto rettamente in Dio ed incontri la madre Chiesa, anche se solo nel momento in cui sta per morire, sia sciolto dal peccato. Può anche accadere che chi abbia vissuto rettamente, e alla fine della sua vita si sia allontanato dalla giustizia, non si salverà se muore in tale stato, non avendo perseverato fino alla fine. Alla fine ognuno sarà salvato o condannato: il Signore giudica ognuno alla fine, condanna o incorona! Secondo quanto è scritto: « … giudicherà il mondo fino all’estremità della terra » (Psal. IX, 9). E: « … Chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna » (Gv. XII, 25) e fino alla morte, o riceve la morte a causa della fede, o persevera fino alla morte nella fede di Cristo: questi sarà salvato, e riceverà senza dubbio la corona della vita. E ripetutamente avverte che chi ascolta fedelmente l’uomo interiore dovrebbe aprire le orecchie per ascoltarne i richiami, per comprendere ciò che lo Spirito annunzia alle Chiese, col dire: il vincitore non soffrirà la seconda morte. Chi ha sopportato pazientemente la sofferenza, o ha mantenuto una fede incrollabile fino alla fine, sarà liberato dalla rovina della seconda morte. Dopo di ciò parla e indica lo stesso Signore che afferma che dalla sua bocca è uscita una spada affilata a doppio taglio, che si insegna essere la parola di Dio; e annuncia che la Chiesa vive in questo mondo là dove si trova la sede di satana.

COMINCIA LA TERZA CHIESA NEL LIBRO SECONDO

(Ap. II, 12-17)

Et angelo Pergami ecclesiæ scribe: Hæc dicit qui habet rhomphæam utraque parte acutam: Scio ubi habitas, ubi sedes est Satanæ: et tenes nomen meum, et non negasti fidem meam. Et in diebus illis Antipas testis meus fidelis, qui occisus est apud vos ubi Satanas habitat. Sed habeo aversus te pauca: quia habes illic tenentes doctrinam Balaam, qui docebat Balac mittere scandalum coram filiis Israel, edere, et fornicari: ita habes et tu tenentes doctrinam Nicolaitarum. Similiter poenitentiam age: si quominus veniam tibi cito, et pugnabo cum illis in gladio oris mei. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis: Vincenti dabo manna absconditum, et dabo illi calculum candidum: et in calculo nomen novum scriptum, quod nemo scit, nisi qui accipit.

[“E all’Angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice colui che tiene la spada a due tagli: “So in qual luogo tu abiti, dove satana ha .il trono: e ritieni il mio nome, e non hai negata la mia fede anche in quei giorni, quando Antipa, martire mio fedele, fu ucciso presso di voi, dove abita satana. “Ma ho contro di te alcune poche cose: attesoché hai costì di quelli che tengono la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac a mettere scandalo davanti ai figliuoli d’Israele, perché mangiassero e fornicassero: “Così anche tu hai di quelli che tengono la dottrina dei Nicolaiti. Fa parimenti penitenza: altrimenti verrò tosto a te, e combatterò con essi colla spada della mia bocca. “Chi ha orecchio, oda quel che dica lo Spirito alle Chiese: A chi sarà vincitore, darò la manna nascosta, e gli darò una pietra bianca: e sulla pietra scritto un nome nuovo non saputo da nessuno, fuorché da chi lo riceve”.]

TERMINA LA STORIA DELLA TERZA CHIESA NEL LIBRO SECONDO

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA CHIESA SUDDETTA

[3] Scrivi all’Angelo della Chiesa di Pergamo: questo dice colui che tiene la spada aguzza a due tagli. So che abiti dove satana ha il suo trono; questo lo dice a tutta la Chiesa, perché satana abita ovunque. Il trono di satana sono gli uomini malvagi. Ma qui si rivolge ad una Chiesa sola in particolare, ed anche se è una sola dice: dove è il trono di satana; eppure in essa vi sono rappresentate tutte e sette [le chiese], cioè la condotta di tutta la Chiesa settiforme, che rimprovera o loda in particolare, dicendo: tuttavia tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede, nemmeno ai tempi di Antipa, mio fedele testimone, che è stato ucciso tra di voi, dove è il trono di satana. Però ho da rimproverati alcune cose: certamente questo è detto nei confronti di altri membri, non a coloro ai quali dice: Non avete rinnegato la mia fede; … ma a quei membri che ha detto essere il trono di satana, a quelli che professano la dottrina di Balaam, che ammonisce dicendo: tu conservi lì alcuni che sostengono la dottrina di Balaam, che ha insegnato a Balaq a gettare una pietra d’inciampo davanti ai figli d’Israele, a mangiare carne sacrificata agli idoli, ed a commettere fornicazione. Dopo aver detto: … vivi, dove c’è il trono di satana – cioè dove non manca la tentazione, dove la perdizione fa sua molte vittime colpevoli – loda la Chiesa perché mantiene la fede nel Nome di Cristo e non la rinnega, è onorata dalla fede dei martiri, e soffre questo dagli stessi dai quali Cristo ha patito; uno di questi martiri si chiama Antipa, un testimone fedele, che è stato ucciso in questo mondo, là dove si dice che dimori satana, che in latino si chiama “Adversarius” [=avversario]. Tuttavia, il Signore ha qualcosa contro questa Chiesa: che alcuni cioè difendono la dottrina di Balaam. Balaam in latino significa « popolo vano », o senza popolo, perché essendo vano, ha generato un popolo vano o senza sostanza. Balaam è il tipo dell’avversario che non ha radunato il popolo a sua salvezza, né si rallegra della moltitudine del popolo da salvare, ma esulta quando la perde tutta e la lascia “senza popolo” e senza sostanza. È lui che ha insegnato a Balaq a mettere una pietra d’inciampo ai figli di Israele. Balaq in latino significa “colui che incita” o che divora. Esso incitò Israele (Num. XXV, 18) a consacrarsi all’idolo Phogor e lo divorò con i morsi del piacere e della lussuria. A sua similitudine Egli dice che la Chiesa include coloro che professano la dottrina di Balaam: questi sono gli ipocriti nella Chiesa, ed hanno come scopo principale: mangiare e fornicare, cioè divorare le Scritture e fornicare spiritualmente, onde apparire esteriormente giusti mentre si è interiormente malvagi … come dice il Signore: « Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, … pieni di rapina e d’intemperanza » (Mt. XXIII, 25), e compiono ogni opera malvagia. L’idolatria è la fornicazione spirituale. Coloro che pensano di vivere rettamente, ma seguendo l’esempio degli ipocriti, non si congregano nella Chiesa, ma fornicano con le opere della Sinagoga. Anche Balaam era stato elevato, infatti, allo spirito di profezia ma non vi era assurto, perché egli poteva davvero scrutare il futuro, ma non volle staccare la sua anima dai desideri terreni. Però in questa materia è necessario che – con un esame attento – l’anima investighi su se stessa, onde evitare di ottenere la gloria della lode, presumendo in sé di cercare il bene delle anime. Spesso l’anima si nutre delle lodi della sua fama, e si compiace come se avesse ottenuto dei beni spirituali, quando vede che si dicono cose buone su di lui. Spesso è preso da ira nel difendere la sua gloria contro i detrattori, e si illude che ciò lo faccia per zelo verso coloro il cui cuore svia dal buon cammino il discorso del detrattore. I Santi, invece, raramente parlano delle proprie virtù, e solo perché con il loro esempio possano trascinare altri alla vita; così Paolo, che tanto ha sofferto per la verità, dice ai Corinzi che è stato ripetutamente lapidato, che ha subito il naufragio, che è stato condotto in Paradiso (2 Cor. XI, 25), per distogliere la loro attenzione dai falsi predicatori. Infatti i perfetti, quando parlano delle proprie virtù, sono anche in questo senso imitatori di Dio onnipotente, che parla delle sue virtù agli uomini, perché gli uomini lo conoscano; però comanda con la sua Scrittura « Ti lodi un altro e non la tua bocca, un estraneo e non le tue labbra » (Prov. XXVII, 2). E come mai allora fa ciò che proibisce? Perché se Dio Onnipotente nascondesse le sue virtù, in modo che nessuno possa conoscerlo, nessuno lo amerebbe. E se nessuno lo ama, nessuno può venire alla vita. Per questo è detto dal Salmista: « … mostrò al suo popolo la potenza delle sue opere » (Psal. CX, 6). I giusti ed i perfetti non sono da rimproverare per le parole con cui recriminano quando trascinano altri alla vita con il loro esempio, e neanche sono degni di rimprovero quando manifestano ai deboli le virtù che possiedono, perché, narrando la loro vita, intendono far rivivere le loro anime, e non manifestano mai le loro buone opere se non quando costretti – come detto – e senza profitto per il prossimo, e comunque mai quando non ce ne sia bisogno. Ecco perché ad Ezechiele viene detto: « … perché increduli e sovvertitori sono con te ed abiterai con gli scorpioni » (Ez. II, 6), … increduli nei confronti di Dio, sovvertitori del prossimo che è debole: scorpioni nei confronti anche dei forti e dei robusti, di quelli cioè che non possono contraddire apertamente; tuttavia, infliggono la ferita della condanna. Perché a volte uno parla col rigonfiarsi d’orgoglio e pensa di parlare con l’autorità della libertà; a volte un altro parla con una paura folle e pensa di parlare con umiltà. Il primo, considerando l’altezza della sua posizione, non si accorge del suo sentimento di orgoglio; il secondo, considerando la posizione di subordinazione, ha paura di dire le cose buone che pensa, e tacendo ignora quanto sia colpevole nella carità. Pertanto, sotto l’autorità, si nasconde l’orgoglio e sotto l’umiltà il rispetto umano, così che spesso né il primo considera ciò che deve a Dio, né il secondo ciò che deve al prossimo e guardando a coloro che gli sono soggetti, non presta attenzione a Colui al quale tutti sono soggetti. Si eleva con orgoglio e glorifica il suo orgoglio, considerandolo un’autorità. A volte teme di perdere il favore del suo superiore, e così sopporta anche un danno temporale, occulta le cose rette che conosce, e considera in silenzio dentro di sé come fosse umiltà il timore che lo opprime, ma in silenzio giudica nei suoi pensieri colui al quale non vuole dire nulla. E succede che laddove si giudica umile, è lì che invece è più gravemente superbo. È sempre necessario discernere la liberalità dall’orgoglio, l’umiltà dal timore. Ezechiele, allora, che è stato mandato a parlare non solo al popolo, ma anche agli anziani, è avvertito di non avere paura, quando gli viene detto: non aver paura di loro, e affinché non tema le loro parole come detrattorie, aggiunge: non temere i loro discorsi. Ed aggiunge anche il motivo per cui non debba temere le lingue dei suoi detrattori, quando poi sottolinea: « perché sono con te, miscredenti e distruttori, e tu abiti con gli scorpioni ». Coloro che sono stati mandati a parlare dovrebbero essere temuti, se fossero graditi a Dio Onnipotente nella fede e nelle opere. Non si deve temere invece chi è miscredente e sovversivo, chi con le sue parole rende nulla la legge. Perché è una grande follia cercare di compiacere coloro che sappiamo non piacciono a Dio. Si devono quindi considerare con riverenza i giudizi dei giusti, perché questi sono i membri di Dio Onnipotente, e rimproverano in terra ciò che il Signore rimprovera in cielo. Ed infatti la condanna della nostra vita da parte dei malvagi è una prova a nostro favore; perché è già dimostrato che abbiamo un certo merito davanti a Dio se cominciamo a dispiacere a chi non piace a Dio. Infatti nessuno può, in qualunque cosa, compiacere Dio Onnipotente ed i suoi nemici, in quanto nega di essere un amico di Dio chi si rende gradito al suo nemico. E si opporrà ai nemici della verità chi sottomette le sua anima alla verità. Ecco perché gli uomini santi, infiammati dalla riprovazione della parola libera, non temono di suscitare l’odio in coloro che sanno non amare Dio. Il Profeta lo afferma con ardore, presentandolo al Creatore di tutti come un dono, dicendo: Non odio, o Dio, coloro che ti odiano? Non mi disgustano quelli che si ribellano contro di te? Con odio li odio, sono per me dei nemici » (Psal. CXXXVIII, 21). È come se dicessi chiaramente: giudica quanto ti amo dal modo in cui non temo di sollevare contro di me le ire dei nemici. Così ancora una volta dice: « mi pagano il bene col male, mi accusano perché cerco il bene. » (Psal. XXXVII, 21). Il bene è soprattutto ciò che l’uomo giusto pratica quando contraddice con parola franca coloro che fanno il male. I malvagi invece restituiscono il male per il bene quando insultano i giusti perché si ergono contro di essi a difesa della giustizia. Infatti i giusti non guardano ai giudizi umani, ma all’esame del giudizio eterno. E quindi disprezzano le parole dei loro detrattori. E di questi si aggiunge ancora: « ascolta ciò che ti dico e non mi esasperare, come mi esaspera la casa d’Israele.» (Ez. II, 8); qui è come se dicesse, non fare il male che vedi essere fatto, né fare ciò che affermi essere proibito. Infatti ogni predicatore deve sempre meditare attentamente, affinché chi è stato mandato a risuscitare i caduti non cada egli stesso con i peccatori nella malvagità della sua condotta, e non lo colpisca la sentenza dell’Apostolo Paolo, quando dice: « perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose » (Rm. II, 1). Perciò Balaam, pieno dello Spirito di Dio nel parlare, ma che tuttavia conserva il proprio spirito della vita carnale, parla da sé, quando dice: « oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza dell’Altissimo, di chi vede la visione dell’Onnipotente, e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi. » (Num. XXIV, 16). I suoi occhi erano aperti quando è caduto, perché vedeva ciò che doveva dire e che era giusto, ma disprezzava il vivere in modo retto. Egli cadrà nell’opera malvagia mentre i suoi occhi sono aperti nella sacra predicazione. Tuttavia, c’è un’altra ragione che deve essere compresa, perché al Beato Ezechiele, che è inviato a predicare, è vietato essere esasperante. Se, quando fu mandato a predicare la parola, non obbediva, il profeta esasperava Dio onnipotente con il suo silenzio, tanto quanto il popolo con il suo cattivo comportamento. Come i cattivi esasperano Dio parlando e compiendo cattive azioni, così a volte i buoni dispiacciono a Dio restando in silenzio. Per quelli fare il male è un peccato, per questi è un peccato tacere ciò che è giusto. In questo, poi, esasperano Dio anche nei confronti dei cattivi, perché, non denunciando la perversione, permettono con il loro silenzio che vadano oltre. Nella Chiesa c’è l’idolatria e la fornicazione spirituale, che ha avuto origine dalla dottrina di Balaam. … così hai anche alcuni che sostengono la dottrina dei Nicolaiti: cioè che seguono l’opinione degli eretici. Consiglia loro di convertirsi al Signore e di fare penitenza, affinché non cominci a combattere contro di loro con la spada della sua bocca quando, nell’ora giudizio, chiederà a ciascuno conto delle loro opere e, ammonendo ripetutamente, dice: fate penitenza; e se non la farete, verrò presto da voi e combatterò contro questi con la spada della mia bocca. Dice che combatterà contro  quella stessa parte che è sempre nei suoi rimproveri: chi ha orecchie, senta quello che lo Spirito dice alle Chiese: al vincitore darò la manna nascosta: cioè il pane che scende dal cielo. Di questo pane diciamo nella nostra preghiera quotidiana: dacci oggi il pane nostro quotidiano (Lc. XI, 3). Noi diciamo “nostro”, ma stando con Lui, e se non glielo chiediamo, non lo riceviamo. La figura di questo pane era la manna del deserto, ma non è riconosciuto da tutti. Infatti molti che mangiarono morirono, secondo quanto dice il Signore: mangiarono la manna nel deserto e morirono (Gv. VI, 49). Altri hanno mangiato la medesima manna e non sono morti, come Mosè ed altri. Non disapprovò Egli quel pane, ma non mostrò quello nascosto. Infatti lo stesso pane era quello che ora c’è nella Chiesa, come sta scritto: mangiavano lo stesso alimento spirituale (1 Cor. X, 3), e anche ora mangiano un pane spirituale; ma non è per tutti il pane di vita perché: … chi lo mangia indegnamente, mangia il proprio castigo (1 Cor. XI, 29), come pure chi legge le Scritture, mangia il pane; ma se ciò che legge non lo mette in pratica, mangia la propria condanna. Per questo appunto leggiamo le Scritture, per conoscere Cristo e, attraverso Cristo, credere rettamente nella Trinità, che è un unico Dio. Questo è il cibo solido, questa è la manna nascosta, come sta scritto: « Io vi ho dato il pane del cielo, l’uomo ha mangiato il pane degli Angeli » (Psal. LXXVII, 24). Poiché Colui che abbiamo fin dal principio creduto identico al Padre e allo Spirito Santo, e di cui gli Angeli godono la visione della Sua divinità, … ora il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi. « Questo è il pane che è sceso dal cielo, perché chi ne mangia non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv. I, 14; VI, 40). Questo è il pane nascosto, che viene dato solo a coloro che combattono fedelmente e perseverano nell’amore di Dio e del prossimo. Questa è la manna che riceve se non chi la chiede. Nessuno la chiede, se non colui che Dio ha illuminato con la sua libera misericordia ed attirato alla penitenza. Secondo l’Apostolo, « Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole » (Rm. IX, 18). Egli usa la misericordia con grande bontà ed indurisce senza alcun male, perché in Dio non c’è iniquità. Ma ognuno si lega con i lacci dei suoi peccati. Così come esempio, succede per il fango e la cera: il fango si indurisce e la cera si liquefa quando esposti ad una stessa fonte di calore o allo stesso calore del sole. A cosa va attribuito questo? Al sole o al fango? Certamente non al sole, che non ha mutato il suo solito splendore. Quindi, nemmeno questo si può imputare a Dio. Il sole rimane nel suo fulgore, e la condotta di ciascuno nei propri atti, come sta scritto: « Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. » (Mt. V, 16). Non c’è bisogno di esaminare la figura della cera la cui natura, come sapete, deriva dalla verginità. Ma la melma è il peccato, come è scritto: « Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel brago» (2. Pt. II, 22). Maiali sono coloro che non credono ancora nel Vangelo e si trovano nel fango e nei vizi dell’incredulità. Questo non può essere imputato a Dio, che vuole … « che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità » (1 Tim. II, 4). La manna è stata data a coloro che credono nel Vangelo e praticano con animo diligente ciò che in esso è contenuto. Tutti quelli che sono usciti dall’Egitto hanno mangiato questo pane, ma non tutti sono entrati nella terra Promessa. Tutti coloro che ora escono dall’Egitto del mondo, che in latino significa “tribolazione“, mangiano di questo pane, ma non tutti entrano in Paradiso. Infatti quelli che ignorano la via nel deserto di questo mondo, muoiono ogni giorno di fame spirituale. Ma qualora entrassero nella via, cioè in Cristo che dice: Io sono la via  (Gv. XIV, 6), e mangiassero di questo pane, non morirebbero nel deserto, cioè nell’ignoranza delle Scritture; ma con un facile transito, avendo Gesù come guida, entrerebbero in trionfo nella terra del Paradiso promesso; infatti, come dice l’Apostolo,  « Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità. » (Gal. V, 6). Perché non è di grande merito il fare qualcosa all’esterno del nostro corpo, bensì il vegliare su ciò che venga fatto all’interno della nostra anima. Così, disprezzare il mondo presente, non amare le cose transitorie, umiliare interiormente l’anima davanti a Dio e al prossimo, soffrire con pazienza i mali subiti e – praticando la pazienza – scacciare dal cuore il dolore della malizia, distribuire i beni ai bisognosi, non desiderare i beni altrui, amare l’amico in Dio, e per Dio amare i nemici, piangere per i dolori del prossimo, senza gioire della morte di un nemico: questo significa essere nuova creatura, e che lo stesso maestro dei gentili esige dagli altri, benché discepoli, con occhio vigilante, quando dice: « Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. » (2 Cor. V, 17). A questi viene data la manna nascosta; a questi viene anche dato il comando di tendere la mano verso l’albero della vita che è nel Paradiso di Dio, cioè la croce di Cristo nella Chiesa. A questi è detto: « … chi crede in me, come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. »(Gv. VII, 38). Tali sono le membra degli Apostoli che, con Cristo a Capo, cioè sotto la guida di Gesù, entrano nel regno celeste della Promessa. L’uomo vecchio era solito cercare il mondo presente, amare le cose transitorie mossi dalla concupiscenza, ergere la mente all’orgoglio, essere impazienti, augurare il male agli altri con malizia, non dare i propri beni ai poveri, desiderare le cose degli altri per aumentare i propri beni, non amare con purezza alcuno per Dio, rendere inimicizia ai nemici, gioire della sofferenza degli altri: tutte queste cose sono le vecchie cose dell’uomo, che provengono dalla radice della corruzione; a questi non viene data la manna nascosta, perché non ha trovato la via: il Cristo. Ma alla sua Chiesa dice: « … chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui. » (Gv. XIV, 21). – Gli darò anche una piccola pietra bianca, cioè il corpo reso bianco dal Battesimo. La « pietruzza » è una pietra bianca, di cui l’Apostolo dice: « voi, come pietre vive, costruite il tempio di Dio » (1 Pt. II, 5). Le pietre preziose rappresentano i confessori, gli Apostoli, i Sacerdoti e tutti i giusti. Mosè ha ordinato che queste pietre fossero offerte per il tempio di Dio, affinché nessuno si disperasse per la sua salvezza; alcuni offrivano l’oro: il cui senso spirituale nella Chiesa, è la conoscenza mistica; altri l’argento: che è l’eloquenza, cioè la conoscenza tropologica o morale; altri la voce bronzea: cioè la conoscenza storica. Questo perché la Sacra Scrittura deve essere interpretata in tre sensi: il primo da intendere storicamente; il secondo, figurativamente, ed il terzo, misticamente. Storicamente è secondo la lettera, tropologicamente secondo la conoscenza morale, misticamente secondo l’intelligenza spirituale. È quindi conveniente per la Chiesa Cattolica comprendere la fede in modo tale che dobbiamo leggere le Scritture storicamente, interpretarle moralmente e comprenderle spiritualmente. Pertanto si dice con giustezza: gli darò una piccola pietra bianca, cioè gli concederò di sedere con i potenti del mio popolo, che sono gli Apostoli, e lo farò erede del trono della gloria. E sulla pietruzza è inciso il mio nome, cioè il mistero del Figlio dell’uomo, come per dire: mi manifesterò a lui. … Che nessuno conosce, tranne chi lo riceve. Agli ipocriti, benché sembrano possederla, non ne è stata concessa la conoscenza, come è scritto: « a voi è stato dato di conoscere i misteri del Regno di Dio » (Mt. XIII, 11) né conoscere i miei segreti, a voi che vedo stentare nel mio amore. Il Profeta si è riferito a questi segreti quando ha detto: in segreto mi insegnate la saggezza (Psal. L, 8). Ma questo non è concesso a coloro che predicano le loro parole, non le mie, e che mi perseguitano quando vi disprezzano. Per questo dice ad Ezechiele: « figlio dell’uomo, vai alla casa d’Israele e comunica loro le mie parole » (Ez. II,7). E nel dire il Signore: comunicate loro le mie parole, cos’altro Egli impone se non un freno moderante alla bocca, per non presumere di dire all’esterno ciò che non si è sentito prima dentro di sé? Infatti i falsi profeti, che sono gli ipocriti, e gli eretici, dicono parole proprie e non quelle del Signore, e così in quell’epoca annunciavano parole proprie e non quelle del Signore, quelle di cui era scritto: « … Non ascoltate le parole dei profeti che profetizzano a voi » (Ger. XXIII, 16) e vi ingannano, vi raccontano le loro fantasie, non cose che vengono dalla bocca del Signore. E ancora: Non ho parlato loro ed essi hanno profetizzato. Da ciò si deve anche concludere che quando un predicatore, nel commentare un testo divino, magari per piacere agli ascoltatori, corregge qualcosa, dice le sue parole e non quelle del Signore, occulta la verità per desiderio di compiacere o di sedurre. Ma se, indagando la virtù nelle parole del Signore, egli le intendesse in modo diverso da come sono state pronunciate, col proposito però di costruire nella carità, ugualmente – anche se con un significato diverso – sono le parole del Signore ad essere raccontate;  infatti è scritto: « la scienza gonfia, l’amore edifica » (1 Cor. VIII: 1). Per questo Giovanni scrive pure: « … chi dice: lo conosco, e non osserva i suoi comandamenti, è un bugiardo e la verità non è in lui » (1 Gv. II, 4). E ancora: « … chi dice di essere nella luce e odia il fratello è ancora nelle tenebre  » (1Gv. II, 9). Se gli ipocriti avessero conosciuto il mistero di Dio, « non avrebbero crocifisso il Signore della gloria » (1 Cor. II,  8).

TERMINA LA CHIESA TERZA

COMINCIA LA CHIESA QUARTA NEL LIBRO SECONDO

(Ap. II, 18-29)

Et angelo Thyatiræ ecclesiæ scribe: Hæc dicit Filius Dei, qui habet oculos tamquam flammam ignis, et pedes ejus similes auricalco: Novi opera tua, et fidem, et caritatem tuam, et ministerium, et patientiam tuam, et opera tua novissima plura prioribus.  Sed habeo adversus te pauca: quia permittis mulierem Jezabel, quae se dicit propheten, docere, et seducere servos meos, fornicari, et manducare de idolothytis.  Et dedi illi tempus ut pœnitentiam ageret: et non vult pœnitere a fornicatione sua. Ecce mittam eam in lectum: et qui mœchantur cum ea, in tribulatione maxima erunt, nisi poenitentiam ab operibus suis egerint. Et filios ejus interficiam in morte, et scient omnes ecclesiæ, quia ego sum scrutans renes, et corda: et dabo unicuique vestrum secundum opera sua. Vobis autem dico, et ceteris qui Thyatiræ estis: quicumque non habent doctrinam hanc, et qui non cognoverunt altitudines satanæ, quemadmodum dicunt, non mittam super vos aliud pondus: tamen id quod habetis, tenete donec veniam.  Et qui vicerit, et custodierit usque in finem opera mea, dabo illi potestatem super gentes, et reget eas in virga ferrea, et tamquam vas figuli confringentur, sicut et ego accepi a Patre meo: et dabo illi stellam matutinam. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Tiatira scrivi: Queste cose dice il Figliuolo di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco ed i piedi del quale sono simili all’oricalco: So le tue opere, e la fede, e la tua carità, e il ministero, e la pazienza, e le tue ultime opere più numerose che le prime. Ma ho contro di te poche cose, poiché permetti alla donna Jezabele, che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, perché cadano in fornicazione, e mangino carni immolate agli idoli. E le ho dato tempo di far penitenza: e non vuol pentirsi della sua fornicazione. Ecco che io la stenderò in un letto: e quelli che fanno con essa adulterio, saranno in grandissima tribolazione, se non faranno penitenza delle opere loro: e colpirò di morte i suoi figliuoli e tutte le Chiese sapranno che io sono lo scrutatore delle reni e dei cuori: e darò a ciascuno di voi secondo le sue azioni. Ma a voi, io dico, e a tutti gli altri di Tiatira, che non hanno questa dottrina, e non hanno conosciuto le profondità, come le chiamano, di satana, non porrò sopra dì voi altro peso: Ritenete però quello che avete, sino a tanto che io venga. E chi sarà vincitore, e praticherà sino alla fine le mie opere, gli darò potestà sopra le nazioni, e le reggerà con verga di ferro, e saranno stritolate come vasi dì terra, come anch’io ottenni dal Padre mio: e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchio, oda quello che lo Spirito dice alle Chiese.]

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA CHIESA PRECEDENTEMENTE DESCRITTA NEL SECONDO LIBRO

[4] All’angelo della Chiesa di Tiàtira scrivi: Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili all’oricalco. Conosco la vostra condotta: la vostra carità, la vostra fede, il vostro spirito di servizio, la vostra pazienza nella sofferenza; le vostre ultime opere superano le prime. Gli occhi come una fiamma di fuoco, e i piedi come simili all’oricalco, sono i suoi occhi che giudicano tutte le cose, e la cui carne immacolata, che luccica come metallo prezioso, brillerà con la chiarezza del fuoco. Dice alla sua Chiesa della quale conosce la condotta: la carità, la fede, lo spirito di servizio, la pazienza, e che le tue ultime opere superano le prime: questo significa che ci sarà un numero maggiore di Santi alla fine dei tempi, quando arriverà l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, ed innumerevoli migliaia di Santi saranno sacrificati nel loro stesso sangue. Ma ora Egli le si rivolta contro, dicendo: « Essa tollera Jezabel, quella donna che viene chiamata profetessa, e che insegna e va angariando i miei servi perché si diano alla fornicazione e mangino carne sacrificata agli idoli. » A cosa si riferisce la figura di quella fornicatrice Jezabel se non ad una certa dottrina, che insegnava a mangiare la carne sacrificata agli idoli, che ricevettero un tempo di penitenza, lo disprezzarono e non vollero pentirsi? Ma questa dottrina degli idoli ed il letto del dolore, cioè il piacere di questo mondo, si rivela  infermità e debolezza. E a coloro che commettono adulterio a causa della sua dottrina, promette che su di loro si abbatterà la più grande tribolazione nel giorno del giudizio. Infatti Jezabel significa “sterquilinium = letamaio“, o flusso di sangue. Cosa c’è nel letamaio se non sporcizia? Cosa si intende per sangue se non il crimine ed il peccato per cui si commette il crimine? Non c’è da stupirsi quindi se venga loro promessa la dannazione futura se non fanno penitenza in riparazione delle loro azioni. Il testo, poi, designa in un unico soggetto la Chiesa; e nel dire: so che le tue opere superano le prime, è indicata in generale la persona di tutti i Santi. Quando dice: tolleri Jezabel, quella donna …, si riferisce ai prepositi, cioè ai Vescovi, che hanno il potere di permettere o proibire. Come in questa Chiesa particolare, gli uffici e le qualità si distinguono solo dalla logica del discorso, così è per il passaggio da una Chiesa particolare a tutta la Chiesa: si dichiara colpevole il Vescovo perché – permettendole – si rende partecipe delle opere che si compiono. E gli ho dato il tempo di pentirsi, ma lui non vuole pentirsi della sua fornicazione. Perché non dice “a voi” ho dato il tempo di pentirvi, invece che “gli”? Perché la Chiesa ha, come abbiamo detto, due parti in un solo uomo, parlando della Chiesa in figura di uomo. Una parte è quella che fa penitenza, e l’altra è quella mondana, che, con sotto il nome di Cristianesimo, fa tutto quel che è male. E ci sono, da entrambe le parti, predicatori mendaci che, sotto il nome di Religione, annunciano loro una grande pace, promettendo loro sicurezza, ed insegnando che debbano essere ascoltate nuove profezie. Essa ha in questa stessa parte alla quale ci riferiamo, sacerdoti e leviti dediti ai crimini e alla lussuria. E quelli che abbiamo detto mostrare una falsa pace: sono coloro che, sembrando religiosi, vogliono barcamenarsi tra le due parti. Questa è Jezabel, che seduce gli uomini semplici affinché non facciano penitenza. « O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo » (1 Cor. VI, 16)… e questa fornicazione spirituale avviene all’interno della Chiesa. L’Apostolo ha detto di questa fornicazione che è:  « … fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è servitù degli idoli, » (Col. III, 5). L’idolatria è, in effetti, l’adorazione degli idoli: “Latria” in greco, in latino si intende “adorazione”. Perciò il Signore ammonisce la Chiesa che vive rettamente, e dice di avere molte cose contro di essa, a causa di questa donna, Jezabel, che seduce i servi di Dio, e si considera una profetessa, per giunta cristiana, giacché sotto il nome di “cristianità” fa molte cose illecite ed è in contrasto con la verità. Ed è per questo che il Signore dice di essere contro di essa, richiamando la totalità in un solo Angelo, come abbiamo detto, con il cui nome è indicata una sola Chiesa. Ma coloro che, pur essendo santi sacerdoti, non rimproverano la parte malefica perché si corregga dai suoi mali, diventano partecipi delle loro opere. Di questi dice attraverso il Profeta: « Se vedi un ladro, corri con lui; e degli adùlteri ti fai compagno… Ti siedi, parli contro il tuo fratello, getti fango contro il figlio di tua madre. » (Psal XLIX, 18-20). Questo fratello è Colui che ha detto: « va’ e dici ai miei fratelli » (Mt. XVIII, 10), cioè Cristo, che, assumendo la carne della Chiesa, ha voluto essere chiamato fratello. La madre è la Chiesa; il figlio della madre è un qualsiasi Cristiano. Il sacerdote disonora il figlio della madre quando, con il suo silenzio, dà loro il permesso di peccare. Oppure, se li avverte, non lo fa con la carità e l’umiltà necessaria; oppure esaspera coloro che peccano gravemente, senza dar consigli onde riconquistarli, ma rimproverandoli con orgoglio, portandoli alla disperazione, e provocando così grande scandalo al figlio della madre. Perciò gli si dice: ho molto contro di te, perché tu tolleri Jezabel, quella donna. Osservate che nelle chiese precedenti dice di avere poche cose; qui invece dice di avere « molte cose » contro di essa, perché si rende complice con il suo consenso; giacché se non fosse complice con il suo consenso, li avrebbe come nemici. E fa di tutti loro una sola Chiesa. Voleva mostrare la Chiesa rappresentanza dei Santi, cioè dei predicatori, che è la parte del Signore; invece, il fornicatore non è sua parte, ma è parte aliena. Queste due parti sono rappresentate nei predicatoti da un solo uomo, perché anche in un solo uomo abbiamo due lati, il destro ed il sinistro. Ed in esso ci sono molte membra, ma unico è il corpo. Esso ha membra sane e membra malate. Le membra sane sono i Santi, le malate sono i peccatori. La sua mano destra sono i Santi, la sinistra sono i peccatori. E come nell’uomo ci sono membra malate, così che le sane ne risentano dolore, l’uomo è liberato dal suo malessere quando si apre la ferita drenandola all’esterno, cosicché vengano cacciati gli uomini malvagi – che formano il lato sinistro – dalle membra sane della Chiesa, che sono il lato destro, come avviene per gli umori del male. Come intendiamo quest’uomo in particolare, così si deve capire – in generale – che egli rappresenta una sola Chiesa, di cui dice: scrivete all’Angelo della Chiesa di Tiatira; e che gli Angeli sono così ripartiti in modo tale che si possano riconoscere solo dalla logica del discorso, e quello che dice con la sua saggezza, con la sua pazienza, con la sua umiltà e carità, lo dice ad ognuno. Devesi quindi considerare ciò che dice, a chi lo dice, come lo dice, e quando convenga dirlo. Così parla il Signore nel Vangelo: « Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo ed osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. » (Mt. XXIII, 2). Si nasconde il genere nella specie. Perché allora erano i suoi discepoli coloro ai quali diceva queste cose, e ora sono i discepoli coloro che dicono queste cose. Allora c’erano i farisei, cioè i separati, che predicavano diligentemente la Legge ma non conoscevano Cristo; e pure qui ci sono i farisei, cioè i sacerdoti separati, che predicano Cristo ma senza conoscerlo. Quelli erano coloro che non credettero in Lui, non Lo riconobbero, ma Lo crocifissero; perché se Lo avessero conosciuto, non Lo avrebbero crocifisso (1 Cor. II, 8); ora nella Chiesa ci sono quelli che ogni giorno crocifiggono Cristo, e sono cioè i suoi membri. Così nella specie è nascosto il genere. Se questo fosse qualcosa di particolare, e non indicasse cosa accadrà nella Chiesa, il Signore avrebbe ordinato ai Suoi servi di viverne fuori, Egli che aveva comandato di compiere le opere che dicevano gli scribi ed i farisei, ma di non fare le opere che essi realizzavano. O ha dato forse i suoi comandamenti solo per due giorni, dato che non è sopravvissuto di più? … come Egli stesso ha detto: « So che tra due giorni sarà la Pasqua, e il Figlio dell’uomo sarà tradito » (Mt. XXVI, 2). E secondo Giovanni, sei giorni prima della sua passione, quando entrò a Gerusalemme, cavalcò su un puledro. E dopo questo ingresso avrebbe ritirato questi comandamenti, come abbiamo visto in Matteo? Se avesse lasciato questi comandamenti solo per l’inizio della sua predicazione, questa sarebbe durata un anno. E perché avrebbe avuto bisogno di insegnarli in quell’anno solo, se servivano solo alla passione? Ma – come detto – ciò che insegnava, lo insegnava come similitudine; cioè ad immagine di ciò che sarebbe successo a noi oggi nella Chiesa, e da lì sarebbe servito come esempio ed autorità nel futuro per i malvagi, cioè per coloro che siedono sulla cattedra di Mosè, cioè per i Sacerdoti che cercano i primi posti ed i primi seggi nella Chiesa, affinché facciamo e adempiamo ciò che essi dicono, non comportandoci però come essi fanno. Chi insegna su questa cattedra di solito vive accanto a chi dice e a chi fa. Ecco perché dice: ho molte cose contro di te: che tu tolleri Jezabel, quella donna. Questi, sotto il nome di Cristianesimo, insegnano la fornicazione e l’idolatria spirituale, mentre a noi sembra che servano solo l’altare: questo avviene nella simulazione della fede, e non per la difesa della Religione. Sono essi simili ai Farisei, che pagavano « … la decima della menta, dell’anèto e del cumìno » (Mt. XXIII, 23) e dimenticavano la giustizia di Dio. Questi hanno una rassomiglianza, cioè una simulazione di santità, perché servono il diavolo e distribuiscano al popolo i sacramenti: cioè il Battesimo, la Comunione, la benedizione del popolo, l’annuncio del Salterio e del Vangelo. Questa è la dottrina della Cattedra di Mosè. Questi sono i loro proseliti, i figli della condanna, peggiori di loro. Sono chiamati proseliti, come i pellegrini che venivano da terra straniera e si mescolavano col popolo giudeo nella fede e nella circoncisione. I sacerdoti li consideravano dei farisei, e così li circoncidevano, perché fossero santi; e facevano la stessa cosa dei farisei stessi che li istruivano; ed erano, gli uni e gli altri, figli della condanna. Allo stesso modo, questi cattivi sacerdoti si considerano all’interno della Chiesa, ed è per questo che proclamano il Vangelo e battezzano, e pensano di avere la vita eterna. E siccome essi stessi sono malvagi, così anche essi generano figli malvagi con il loro esempio; e sono questi figli della dannazione, perché imitano nella loro condotta coloro che li hanno resi Cristiani. Per questo dice: “Insegna e inganna i miei servi nel commettere fornicazione e a mangiare carne sacrificata agli idoli“. Perché, come abbiamo detto, sotto il nome di Cristo ha insegnato la fornicazione e l’idolatria spirituale. Ma come ha fatto chi si considerava un profeta nella Chiesa ad insegnare apertamente il culto degli idoli? Non diciamo che egli adorasse gli idoli, o credesse e predicasse un altro Dio, diverso dal Padre e dal Figlio e dallo Spirito Santo: un solo Dio; ma che, apparendo nelle sembianze materiali del Cristianesimo, commettesse adulterio spirituale. E l’adulterio spirituale è appunto l’idolatria. Quando qualcuno fa qualcosa che non sia conforme alla Sacra Scrittura, non solo nelle cose più importanti, ma anche nelle cose minime, considerate di nessun valore, è questo che si chiama idolatria; così infatti lo definì lo Spirito attraverso l’Apostolo, che, quando contestava i falsi fratelli, concludeva dicendo: « Perciò, o miei cari, fuggite l’idolatria. » (1 Cor. X, 14); e ancora: « Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli? » (2 Cor. VI: 16). Perché non tutti i sacerdoti sono sacerdoti; non tutti i diaconi sono diaconi. Guardate Pietro, ma non dimenticate Giuda! Vedete Stefano, ma non dimenticate Nicolas! Queste cose c’erano forse solo agli inizi della Chiesa? Ci sono ancor oggi. Quindi nella specie si mostra il genere. E il genere si riferisce alla specie. Pietro ha dei discepoli imitatori? Li ha anche Giuda! Stefano ha avuto diaconi imitatori? Si, ma anche Nicolas! Pietro predica il Vangelo di Cristo, così come Giuda. Pietro battezza nel nome della Trinità, anche Giuda battezza. Pietro ha il potere nella Chiesa di legare e sciogliere i peccati, così come Giuda, ingannando i servi di Dio nel fornicare e nel mangiare la carne sacrificata agli idoli. Ecco qui, in una stessa casa ci sono due altari. Ecco un letto comune, e Cristo diviso. Così testimonia la verità nel Vangelo, dicendo: « Voi siete il sale della terra; ma se il sale diventa insipido, non serve a nulla se non ad essere gettato nel letamaio » (Mt V, 13). E così Jezabel nel suo nome fa riferimento al letamaio (4 Re IX: 30), perché fu gettata oltre il muro fuori dalla città e cadde in un letamaio per essere mangiata dai cani. Ciò è detto in modo che chiunque non creda che questo accadrà, possa leggere la storia di Jezebel, e ciò che è accaduto al suo corpo, per suo vantaggio, lo possa prevedere nella Chiesa. Infatti se le sue opere non fossero state fatte nuovamente, la Chiesa di Tiatira non sarebbe stata avvertita dallo Spirito; né era necessario che la si ricordasse, poiché era morta già da tanto tempo, da tanti anni. Ma Egli dice: sta insegnando e ingannando i miei servi a fornicare e a mangiare carne sacrificata agli idoli; io gli ho dato il tempo di ravvedersi, ma lui non vuole pentirsi della sua fornicazione. Vedete, essa sarà gettata nel letto della sofferenza, e coloro che commettono adulterio con lei, se non si pentono delle loro azioni, finiranno in una grande tribolazione. Colpirò a morte i suoi figli: cioè i discepoli che ha generato con la sua dottrina. Ricorda loro che saranno condannati alla seconda morte. Infatti, come i santi Apostoli sono chiamati figli di Dio, e i dottori sono chiamati figli degli Apostoli, e i rimanenti Santi figli dei dottori, così tutti nella Chiesa sono considerati figli dei Sacerdoti buoni o cattivi. E tutti quelli che sono imitati nella Chiesa, si dice che siano suoi figli. Questo è ciò che dice il Signore nel Vangelo: « avete il diavolo per padre e volete adempiere alla volontà di vostro padre » (Gv. VIII, 44). Il diavolo ha avuto forse figli carnali? In un altro luogo si dice: figli della Gehenna (Mt. XXIII, 15). La Gehenna genera figli? No, ma si dice che le opere del diavolo siano preparate per il fuoco della Gehenna. Quindi anche questi si chiamano i figli di quella donna. E cosa dice loro? Ferirò i suoi figli a morte, cioè con la morte spirituale. Perché è attraverso il peccato che la morte è entrata nel mondo (Rm. V, 12), perché quando uno pecca, anche se sembra vivere nel suo corpo, nella sua anima è invece morto; questo proclama col dire che lo … vuol colpire a morte, non con una morte visibile, o manifesta come avviene per la carne, ma con la morte spirituale. E come pure la vendetta si manifesta in forma particolare nella madre, cioè in quei sacerdoti che si dicono all’interno della Chiesa, è chiaro che la stessa vendetta si propagherà nei loro figli e nei figli di quella donna, figli che si trovano in seno a tutte le Chiese, e quindi in coloro che, generati dallo stesso spirito, sono condannati con la morte spirituale; e se questo non si manifesta in questo secolo, pure sono già condannati per sempre. – E così, dice, tutte le chiese sapranno che sono io a scrutare i cuori e i reni, quando tornerò a ricompensare ciascuno secondo le sue opere, e a rivelare i segreti di ciascuno davanti ai suoi occhi. Ma al resto delle chiese, che non seguono questa dottrina malvagia, e non hanno conosciuto la profonda malizia di satana, dice: Non vi impongo altro peso, come se dicesse: non giudico due volte la stessa cosa: colui che si giudica da solo, non viene giudicato da un altro. Chiunque in questo mondo soffre tribolazioni a causa mia, è necessario che io lo incoroni nel mondo avvenire. Poiché non soffra in questo mondo in modo tale che Io gli imponga un altro peso: è certo che nel mondo futuro non subirà tribolazioni. A voi altri di Tiatira dico. Quando dice: Io dico a voi altri: insegna cosa sia l’Angelo, cioè la parte della Chiesa, come abbiamo detto sopra, alla quale dice: coloro che non avete sostenuto questa dottrina e non avete conosciuto le profondità di satana (Ap. II, 24), cioè non avete acconsentito loro, come dice il Signore parlando agli operatori malvagi: « … Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me » (Mt. VII, 23). Come i malfattori non conoscono Dio, anche se lo annunciano, così Dio, anche se conosce tutti, non conosce i malfattori. Allo stesso modo i giusti non conoscono la dottrina di satana, anche se ne odono e ne avvertono l’impostura. Così i giusti possono riuscire a non sentire le cose malvagie che si devono evitare e a non imitarne la condotta; ma è giusto che si trovino nella Chiesa insieme ad essi e che da essi siano molestati, in modo da essere messi continuamente alla prova, come l’oro è messo nel crogiuolo, ove viene bruciato con i carboni ardenti. Il carbone si consuma da se stesso, ma l’oro si purifica. Quindi è giusto che all’interno della Chiesa ci siano gli eretici, gli ipocriti e gli scismatici: essi bruciano, ma purificano la Chiesa come l’oro. Così sta scritto: « È necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi. » (1 Cor. XI,19). E ancora: « Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: È in casa, non ci credete » (Mt. XXIV, 26), cioè la dottrina degli eretici, che si dice essere dentro le case, perché insegnano la dottrina delle Scritture nelle abitazioni; o se vi dicono: guardate, Cristo è nel deserto, cioè tra i pagani – perché il deserto significa i pagani – perché lì non si insegna la retta predicazione delle Scritture. Così è nella Chiesa, in tutto il mondo, quando i futuri fedeli saranno da loro messi alla prova per la vita beata, nell’umiltà e nella pazienza. E agli uomini malvagi il Signore annuncia tanti mali futuri, mali che gli stessi eretici predicano essere in questo mondo il dolore della Gehenna. E perciò i giusti sono più degni di lode, sopportando e perseverando nella carità fino alla fine della loro vita,  e soffrendo con pazienza, finché i malvagi si infiammino nella persecuzione, diventino laidi per la loro ostinazione, e perdurino nell’uccidere crudelmente fino al termine della loro vita, cosicché sappiano chiaramente perché saranno condannati all’inferno. D’altra parte, ai giusti già messi alla prova, si dice: non vi impongo un nuovo peso, cioè più di quanto possiate sopportare. Cioè, non c’è altra dottrina se non quella che avete ricevuto, ed in proporzione alla forza che vi ho dato, per essere forti; in quella proporzione vi impongo in questo mondo il peso della tribolazione e dell’angoscia che potete sopportare. Resisti fermamente finché non ti restituisco quello che hai. Al vincitore, a colui che sostiene le mie opere fino alla fine, io darò il potere sulle nazioni; le pascolerà con bastone di ferro e le frantumerà come vasi di terracotta, con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio. Ha detto prima: non vi impongo un nuovo carico; qui dice: finché non tornerò, conservate quello che avete, e se persevererete nelle mie opere fino alla fine, non ci sarà per voi una tribolazione più grande di quella che sopportate presentemente nel mondo; non vi aggiungerò cioè una tribolazione futura. Ed esorta piuttosto a conservare ciò che ha, cioè la dottrina apostolica, e a conservarla sempre, fino alla venuta del Signore. A chi è adempiente, sarà dato potere sulle nazioni, e gli sono promessi regni, affinché le governi con uno scettro di ferro e le frantumi come vasi di argilla. Si riferisce qui agli angeli apostati che abbandonarono il loro principato, e saranno condannati dai Santi nel giorno della sentenza di condanna, quando saranno gettati alla morte eterna, come dice l’Apostolo: Non sapete che giudicheremo gli angeli? (1 Cor. VI: 3). E poi dice: gli darò il potere, come l’ho ricevuto anch’Io dal Padre mio. Credo sia per questo che Giovanni avesse detto nella sua lettera: « quando apparirà saremo come lui » (1 Gv III, 2). E gli darò anche la luce del mattino, che è il Signore Gesù Cristo che non conosce vespro, ma è luce sempiterna, è sempre nella luce; e dice tuttavia alle Chiese: colui che ha i sette spiriti di Dio, cioè il Signore Gesù Cristo, nel quale riposa lo Spirito Santo, che è di una sola e medesima natura, e nella cui mano ci sono le sette stelle, di cui abbiamo parlato sopra. E rimproverando la negligenza di molti nella congregazione della Chiesa, dice che in questa Chiesa c’è Jezabel, “quella donna”: la chiama “donna” perché ha visto una condotta effemminata e rammollita; ed infatti chiunque viva mollemente e si prenda cura del proprio corpo è chiamato nelle Sacre Scritture non uomo, bensì “donna”.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (6)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (4)

La palma, simbolo della vita del giusto

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (4)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO SECONDO

COME CONVIVONO LA CHIESA E LA SINAGOGA

[9] Chiesa e Sinagoga sono lo stesso nome, perché ciò che noi chiamiamo Chiesa, i Giudei chiamano Sinagoga. Tuttavia, questi nomi hanno la loro origine negli Apostoli, che chiamarono la Sinagoga « congregazione » e diedero alla Chiesa il nome di « assemblea ». Perché mentre l’una si riunisce, l’altra convoca, dal momento che la Chiesa invita tutti, buoni e cattivi, a farne parte. Ecco perché nelle Sacre Scritture essa è designata con molti nomi. A volte viene chiamata fornicatrice e meretrice, a volte vergine, a volte sorella, a volte sposa; a volte moglie, a volte madre, a volte figlia; a volte regina, a volte concubina, a volte fanciulla, vicina, amica … Cosa significa meretrice, se non che è alla portata di tutti? A tutti quelli che vengono da essa, la Chiesa non nega la fede, ma si prostra a tutti quelli che vengono. Ecco perché Rajab, la prostituta, era figura della Chiesa. Ella legò un cordone scarlatto alla finestra, di modo che quando di nascosto arrivò Giosuè, figlio di Nave, vedendo il segnale scarlatto, si potessero salvare sia la stessa Rajab che tutti quelli della sua casa. Così Gesù Cristo, Figlio di Dio, quando verrà a bruciare questo mondo con il fuoco, mediante il segnale scarlatto, salverà la Chiesa e coloro che Egli riterrà essere rimasti in essa, cioè i martiri ed i penitenti. – Essa è vergine, perché annovera le vergini del corpo e dello spirito, come sta scritto: « … le vergini saranno portate al re » (Psal. XLIV, 15). È una sorella, come si legge nel Cantico dei Cantici sulla Chiesa che doveva essere costituita tra i popoli, allorquando non avevano ancora un Testamento: « Abbiamo – dice  una sorella più piccola, ed ella non ha ancora seni (Cant. VIII, 8). È chiamata fidanzata, perché Cristo le si è legato con l’anello della fede, secondo dice Egli stesso nel Vangelo: « Tutte quelle vergini si sono alzate, hanno acceso le loro lampade e sono uscite per incontrare lo sposo e la sposa » (Mt. XXV, 1). È chiamata sposa, perché attraverso i figli che predicano, Cristo genera da Essa, come sta scritto: « … tua moglie sarà come una vite feconda in mezzo alla tua casa, ed i tuoi figli come virgulti d’olivo intorno alla tua tavola » (Psal. CXXVIII: 3). Si chiama madre, perché è perfetta, come sta scritto: “Lei sola è la mia perfetta“. Lei è l’unica di sua madre (Cant. VI: 9), e ogni giorno allatta i suoi figli con i due seni del Testamento, come si dice: « i vostri due seni, come due gemelle gazzelle che pascolano tra i gigli » (Cant. VII: 3). Allatta queste due giovani gazzelle, cioè i due popoli, che vengono dalla circoncisione e dalla incircocisione. Si chiama figlia, perché riconosce un padre proprio, secondo sta scritto: « ascolta, figlia, e vedi; inclina l’orecchio e dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre – cioè il diavolo – e il re amerà la tua bellezza, perché egli stesso è il Signore tuo Dio e lo adoreranno » (Psal. XLIV, 11). – Fino a questo punto lo Spirito Santo ha parlato al Re stesso attraverso la  bocca del profeta, che paragona ad un calamo che scrive velocemente, chiamandolo guerriero, Dio e sposo. Da qui ci viene presentata la Persona del Padre che parla alla Sposa di suo Figlio e la esorta, disprezzando l’antico errore del gentilesimo e dell’idolatria, per cui è chiamata figlia e non estranea; ascolta prima di tutto ciò che le viene detto; poi contempla o ciò che le viene detto o l’intero creato; e comprendendo l’invisibile per mezzo delle cose visibili e per mezzo delle creature che conoscono il Creatore, inclina l’orecchio diligentemente a conservare nella memoria tutto ciò che viene detto. E quando avrai udito, visto e inclinato l’orecchio, e ti sarai data completamente alla dottrina ed alla comprensione di tutto ciò che ti viene detto, dimentica il tuo primo padre e, come Abramo che lasciò la Caldea, lascia la terra della tua nascita e dei tuoi simili. Nessuno può dubitare che nostro padre, prima di essere adottati da Dio, fosse il diavolo, di cui il Salvatore dice: voi siete figli del diavolo (Gv. VIII, 44). Quando, dunque, avrai dimenticato il tuo antico padre, e ti mostrerai in modo tale che, eliminate le immondizie, sarai vestito di bianco e cavalcherai tuo fratello Cristo, e il Figlio mio potrà amarti, allora il Re amerà la tua bellezza. Ciò che è nella figura della sposa alla quale abbiamo paragonato la Chiesa, congragata tra i popoli, ognuno può riferirlo a se stesso: cioè l’anima che crede rettamente, che si allontana dai vizi di un tempo, è subito adottata da Dio come figlia. E se, come figlia, è adottata, deve inclinare l’orecchio, dimenticare la vecchia dimora e, come un apostolo, abbandonare il padre morto e rendersi degna di essere amata dal Re. Questi è pure il suo Signore, davanti al quale deve inginocchiarsi e, deposto l’orgoglio, deve prendere il giogo dell’umiltà. È una regina, perché ha uno sposo Re, come è scritto: « alla tua destra una Regina, con un indumento dorato, vestita con colori variopinti » (Psal. XLIV: 10). E quali sono le figlie di re tra le tue preferite? Figlie di re sono coloro che si preparano all’abbraccio dello sposo, il cui trono rimane per sempre. Questi sono quelli le cui « vesti son tutte mirra, aloè e cassia, dai palazzi d’avorio ti allietano le cetre, figlie di re stanno tra le tue predilette » (Psal. XLIV, 9-10). Per mirra si intendono tutti coloro che mortificano i loro corpi, perché i corpi dei morti vengono imbalsamati con la mirra. Per la cassia, noi siamo il buon odore di Cristo. E lo sposo Cristo parla alla Chiesa sua Sposa: mirra e aloe con tutti i migliori unguenti (Cant. IV,14), e lei risponde: « le mie mani hanno distillato la mirra, una goccia delle mie dita » (Cant. V, 5). La mirra è lo stesso che la goccia. Perché il gambo è il fiore della mirra, e il gambo è chiamato la goccia, o ciò che è distillato. Quello che segue, la cassia, è lo stesso che altri chiamano fistula [La canafistula è un albero ed anche il nome di una specie di flauto]; è la lode sonora di Dio, che brucia con il suo calore tutti gli umori, i dolori dei piaceri. La Chiesa Cattolica è fondata sulla pietra di Cristo ed ha radici stabili: è una sola, la colomba perfetta, e vicina; … e sta sulla destra e non c’è nulla di sinistro in essa; è ornata d’oro, vestita di vari colori. È quindi Regina, e regna con il Re, le cui figlie possiamo considerare in generale le anime dei credenti ed in particolare, i cori delle vergini che adorano lo sposo. Le figlie di Tiro con i doni (Psal. XLIV, 13), cioè le figlie del più forte, o Essa la più forte, perché ha imitato il più forte, il cui volto, con vari regali, sarà sollecitato dai ricchi del popolo. Li chiama ricchi, o di questo mondo, o di coloro che conoscono le Scritture. – Comprendiamo anche come [possa essere dichiarata] donna e concubina, dal Cantico di Salomone, come una che non possa stare senza sposo o marito. È chiamata anche vicina e amica, perché sempre per un patto di amicizia, cioè per la fede e le opere, e nella torre di contemplazione, quanto più desidera, tanto più è vicina. Questo è quanto chiamiamo con molti vocaboli, ma non dubitiamo che sia una sola. Sicuramente si dice poi che le vergini la seguiranno, saranno condotte alla gioia e nell’esaltazione, entreranno nel palazzo del Re. Il Cantico dei Cantici mostra che ci sia molta diversità nelle anime che credono in Cristo; è scritto infatti: sessanta sono regine, ottanta sono concubine e innumerevoli sono fanciulle. L’unica è la mia colomba, l’unica mitica, di cui si dice: le fanciulle che la vedono sono felici, le regine e le concubine la lodano (Cantico dei Cantici VI, 7). Colei che è perfetta e santa nel corpo e nello spirito merita di essere chiamata colomba e vicina. Questa è la figlia di cui si è detto sopra: alla tua destra una Regina in veste dorata. Quelli che disprezzavano i sei giorni del mondo e desideravano i regni futuri, sono chiamati Regine. Quelli che hanno la circoncisione dell’ottavo giorno, ma non sono ancora arrivati al matrimonio, si dicono concubine. Le diverse moltitudini di credenti che non possono ancora essere circondati dall’abbraccio dello sposo e non possono ancora generare figli per Dio, sono chiamati fanciulle. Penso a queste vergini che seguono la Chiesa, e che sono citate nel primo punto, che sono tutti coloro che perseverano nella verginità del corpo e dell’anima. Le vedove e i continenti coniugati sono i vicini e gli amici: tutti con gioia e letizia sono portati al tempio e al talamo del Re (Psal. XLIV, 16). Al tempio, come sacerdoti di Dio; al talamo, come mogli del Re e dello sposo. Spiegheremo meglio che cosa sia questo tempio alla fine di questo libro, se il Signore ce lo permette. – Spieghiamo ora ciò che abbiamo iniziato. Quelli che prima abbiamo chiamato essere molti membri, ma un solo corpo, sono l’unica vita di tutti i Santi; ma, secondo i loro sforzi, i meriti delle ricompense sono diversi. O Chiesa, i tuoi figli, che a te hai generato, diventeranno i tuoi padri, facendo sì che diventino da discepoli, maestri, e saranno messi nell’ordine sacerdotale a testimonianza di tutti. Voi li genererete come figli: li renderete principi su tutta la terra: cioè sacerdoti santi in tutto il mondo. « A te son nati figli, li costituirai principi su tutta la terra ». Questi sono i santi sacerdoti in tutto il mondo, « memori saranno del tuo nome in ogni progenie e generazione », e questa è tutta la Cristianità, che rimane nella Chiesa, per cui confesseranno e loderanno il Signore per sempre ed in eterno e nei secoli dei secoli, e affinché, una volta iniziate le ostilità, Egli non li abbandoni e, camminando vittorioso sulle devastazioni dei nemici, preparerà per sé un regno in coloro che, salvandosi dal potere del diavolo, si sono uniti al suo comando dicendo: « Sono stato fatto re da Lui sul suo santo monte di Sion » (Psal. II, 6). Nessuno esita a chiamare Cristo verità, umiltà e giustizia, perché dice: Io sono la via, la verità e la vita (Gv. XIV, 6), e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore (Mt XI, 29), e Colui che Dio ha reso per noi giustizia, redenzione e santificazione (1 Cor. I, 30). Tutte queste cose si riferiscono al corpo per esigerlo dai suoi membri. La Vittoria del Signore è il trionfo dei suoi servi. La saggezza del Maestro, è il progresso dei discepoli. Ma si chiede: come è il più bello di tutti i figli degli uomini, colui di cui leggiamo in Isaia: « non lo vedevamo in apparenza, né in bellezza, ma in apparenza era spregevole, e come un rifiuto degli uomini: l’uomo dei dolori, e conoscitore del dolore, davanti al quale si nasconde il suo volto? » (Is. LIII: 2). E non crediate avventatamente che la Scrittura sia in contraddizione: perché lì si ricorda la bruttezza del corpo, a causa dei flagelli e degli sputi, degli schiaffi e dei chiodi, degli insulti del patibolo; e qui invece è la bellezza delle virtù, nel Corpo sacro e degno di venerazione. Non che la divinità di Cristo, comparata agli uomini, sia di maggiore bellezza, – perché non c’è paragone -, ma, senza tutte le sofferenze della croce, è la più bella in assoluto: è Vergine da una Vergine, poiché non è nato per volontà della carne, ma è nato da Dio (Gv. I, 13). Se non avesse avuto qualcosa di celeste nel volto e negli occhi, gli Apostoli non l’avrebbero seguito subito; né sarebbero stramazzati a terra coloro che erano venuti a catturarlo. Infine, per la citata testimonianza in cui si dice: l’uomo del dolore e conoscitore del dolore, diede il motivo per cui ha patito queste cose: … perché ha nascosto il suo volto, cioè ha nascosto e coperto un po’ la sua divinità, lasciando il corpo all’ingiurie. Alcuni hanno unito questo versetto ai precedenti, in modo che il più bello dei figli degli uomini non si riferisca a Cristo, ma al calamo: è stato versata la grazia sulle tue labbra. Possiamo capire in che senso sia stato detto che la grazia è stata versata sulle tue labbra: cioè tutta la moltitudine della Grazia è stata versata sulle labbra del Salvatore, che in breve tempo ne ha riempito il mondo intero. « Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via. Egli sorge da un estremo del cielo e la sua corsa raggiunge l’altro estremo: nulla si sottrae al suo calore. » (Psal. XVIII, 6). Infatti anche Maria, che ha concepito Colui in cui abita tutta la pienezza della divinità (Col 2, 9), è salutata  come “la piena di grazia” (Lc. I, 28). E avverte che tutto ciò che viene detto debba essere riferito con intelligenza alla Persona di Colui che è stato assunto dalla Vergine, perché si dice che per la grazia delle sue labbra è benedetto per sempre. Di lui è stato detto dal Profeta: “La tua sede è Dio nei secoli dei secoli; la verga della giustizia è la verga del tuo regno“. Tu amavi la giustizia e odiavi l’iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con l’olio della letizia più di tutti i tuoi compagni. Quello che noi chiamiamo un seggio, i Giudei lo chiamano un trono. Quello che dice qui: Dio, il tuo Dio, ti ha unto, si comprende che si riferisce a due persone, questi che è unto come Dio e Colui che lo ha unto. Certo, l’Angelo l’ha annunciato anche a Maria: « il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre ed Egli regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine » (Lc. I, 32). E non pensiamo che questo sia contrario a quanto l’Apostolo dice per iscritto ai Corinzi: « E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. » (1 Cor. XV, 24). Perché non ha detto di sottomettersi al Padre, come se il Figlio sia separato, ma di sottomettersi a Dio, cioè a quel Dio che abita nel corpo assunto, per essere tutto in tutti. E Cristo, che prima era nei singoli per poche virtù, dimora così in tutti con tutte le virtù. La verga della giustizia, è la verga del tuo regno. La verga e lo scettro sono i simboli di colui che regna, come dice il Profeta: « una verga uscirà dal ceppo di Iesse, e un virgulto uscirà dalle sue radici » (Is. XI, 1). Si intende che si tratti dell’uomo che è stato assunto, al quale viene offerto il comando e che si dice che regni, perché amava la giustizia e perché odiava l’iniquità; che è stato unto con l’olio della gioia più di tutti i suoi compagni; che lo riceverà nell’unzione come ricompensa dell’amore e dell’odio. Ci viene insegnato che in noi sono i semi di entrambe le realtà, dell’amore e dell’odio: perché Colui medesimo che ha innalzato al cielo le primizie del fango del nostro corpo, ha amato la giustizia ed ha odiato l’iniquità. Per questo David dice: « Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici. » (Sal CXXXVIII, 21). I compagni sono gli Apostoli e i credenti, che Egli ha designato con la parola dell’unzione, perché dall’unto viene l’unto, cioè il Cristiano. Ecco il Capo unito ai membri: esso sono Cristo e la Chiesa Apostolica in cui crediamo, e che proclamiamo sempre con una sola voce con tutti i Cristiani in comune, dicendo:

IL SIMBOLO

[10] Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio, che per la nostra salvezza si è incarnato nel seno della Vergine Maria, ha patito, è morto ed è risorto il terzo giorno dai morti. È salito al cielo, siede alla destra del Padre e il suo regno non avrà fine. Egli verrà a giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio; nella Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica, e speriamo di ottenere per suo mezzo il perdono dei peccati, mediante l’unico battesimo della Trinità. Crediamo che, con questa carne risorgeremo nel giorno del giudizio, quando Cristo verrà a giudicare i vivi ed i morti, e a dare ai giusti la ricompensa ed ai malvagi i tormenti della punizione eterna. Questa è la fede apostolica che la Chiesa professa in tutto il mondo, illuminata dal sole, da Cristo e, lungo la durata delle dodici ore del giorno, dagli Apostoli. Infatti la Chiesa, per la purezza della sua fede, si chiama luce e giorno, come dice il Salmista: « Questo è il giorno fatto dal Signore, esultiamo e gioiamo in esso » (Psal. CXVII, 24). – La Sinagoga, invece, per l’ignoranza del suo errore, si chiama notte e tenebre, come è scritto: « il giorno al giorno comunica il Verbo, e la notte alla notte ne trasmette la scienza » (Psal. XVIII, 3). Giorno dopo giorno, cioè, gli Apostoli predicano il Salvatore ai credenti. La notte invece trasmette la scienza alla notte, cioè Giuda, colui che ha tradito Cristo, ai Giudei. Ecco cosa è in una medesima congregazione il giorno e la notte, e ciò che è stato fatto crediamo sia stato fatto non senza ragione. Infatti, tutto ciò che è scritto nel Vangelo, dice l’Evangelista, è stato fatto dal Signore in un anno. E se questo fosse avvenuto solo perché Cristo soffrisse e gli altri lo abbandonassero, a cosa servirebbe l’essere scritto nel Vangelo e letto nella Chiesa, se non fosse figura del futuro, e quindi diventasse un modello ed un’autorità per il futuro? Solo allora c’erano i Farisei, di cui Egli diceva ai discepoli: « fate quello che essi dicono, ma non fate quello che fanno » ? (Mt. XXIII, 3). Solo allora c’era forse la Sinagoga della quale si era detto, attraverso il Profeta, quel che era stato fatto per mezzo degli Apostoli, col dire: « Signore: che libello di ripudio è quello con cui ho ripudiato la vostra madre? … Ecco, che voi per le vostre scelleraggini siete stati venduti, e per le vostre scelleraggini ho io ripudiato la vostra madre. » (Is.  L, 1). Se dobbiamo credere che ciò sia accaduto solo in quel tempo e non adesso, perché si legge nella Chiesa la profezia, o l’Apostolo o il Vangelo? E se si debba solo leggere e non fare, perché allora il Signore ha detto nel Vangelo: « In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un apex dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. »? (Matth. V, 18-20). E come aveva detto in precedenza: « … non sono venuto ad abolire la legge, ma a compierla »: vedasi che quello che insegnava, lo faceva, e lo insegnava non solo con le parole, ma altresì con gli esempi, come quando ha lavato i piedi dei discepoli ed altro ancora. E se non l’ha abolita e non ha ordinato ai discepoli di abolirla, è perché i Farisei hanno fatto delle opere giuste, anche se non con lo spirito, ma solo con il corpo, dicendo: « se la vostra giustizia non è più grande di quella degli scribi e dei farisei… ». E  penso che le loro opere venissero dalla sapienza degli scritti; tuttavia, la santità che manifestavano al mondo esterno serviva loro solo per essere ammirati dagli uomini, dei quali prendevano le decime, secondo quanto dice il Signore: « sfigurano il loro volto con il digiuno, perché gli uomini se ne accorgano »  (Mt. VI, 16). “Farisei” è una parola che significa separati, perché erano in contrasto con i Sadducei: essi sono gli scribi. I farisei sono chiamati “separati” perché preferiscono la giustizia delle tradizioni e delle osservanze, quella che chiamavano “deuterosi”, e per questo erano per la gente “separati”, come per giustizia. Sadducei significa giusti: essi rivendicavano per se stessi ciò che non erano. Ecco come tuttora anche nella Chiesa possiamo verificare, conformemente a questo Vangelo ricevuto da Cristo, come questi Farisei esistano ancora nella Chiesa. Sono i sacerdoti che cercano le prime cattedre, affinché gli uomini li chiamino maestri; che lavorano se non per essere onorati dagli uomini. E ricercano lucro nel mondo, non per conquistare le anime, ma per soddisfare la loro avidità. C’è anche la Sinagoga nella Chiesa: perché se non ci fosse stata, il Salvatore non ci avrebbe avvertiti, dicendo: « vi consegneranno ai tribunali e vi frusteranno nelle loro sinagoghe » (Mt. X, 17). Vi è nello stesso luogo la Sinagoga e la Chiesa, separate nell’essere e nell’operare. E come chiamiamo la Chiesa “giorno” con la sua fede e con la sua condotta, così chiamiamo la sinagoga “notte” per l’ignoranza del suo errore; il sole splende di giorno e nella manifestazione delle opere buone, come sta scritto: « Lascia che la tua luce risplenda davanti agli uomini, perché vedano le tue opere buone e rendano gloria al Padre tuo che è nei cieli » (Mt. V, 16). E poiché l’ignoranza è tenebra, all’inizio della creazione si diceva: « … le tenebre coprivano la faccia dell’abisso » (Gen. I, 2). Abbiamo già dimostrato che l’abisso è un pozzo oscuro, cioè sono gli uomini ignoranti. Sulla superficie infatti dell’abisso vi erano le tenebre, cioè la cecità del peccato ed il buio dell’ignoranza: … e la sera ed il mattino erano il primo giorno. Si vede la sera e il giorno uniti, ma l’uno dà la luce e l’altra le tenebre. Uno prepara il cammino, l’altra la quiete, o, se si è in viaggio, non offre luce agli occhi. E cos’è la notte se non l’assenza del sole, e cos’è il giorno se non la presenza del sole? In questo giorno e questa notte si dice che si compiono ventiquattro ore, fino a quando il giorno e la notte concludano nella diversità del cielo gli spazi del loro corso da alba ad alba. In modo riduttivo, quindi, il giorno è lo spazio dall’alba al tramonto. Si dice che vi sia un giorno, ma esso passa attraverso la luce e le tenebre. La Chiesa e la Sinagoga sembrano giustamente lavorare nello stesso luogo, e si dice che abbiano la stessa fede; ma si manifestano diversamente nelle loro opere. Perché come la presenza del sole è il giorno, e l’assenza del sole è tenebra, così Cristo è luce per i suoi, e il demonio, che è l’autore della morte, è tenebra per i suoi. Pertanto, la Scrittura chiama giustamente gli uomini santi “giorni” ed i peccatori “tenebre”. E non parliamo solo di peccati quando parliamo di tenebre, perché ci sono tenebre anche in coloro che non comprendono le Sacre Scritture ed insegnano tutt’altro, come sta scritto: « Si avvolgeva di tenebre come di velo, acque oscure e dense nubi lo coprivano » (Psal. XVII, 12), ed infatti è oscura la scienza dei profeti. Questo giorno e questa notte sono considerati come un unico giorno, dall’alba del sole all’alba successiva, perché sono racchiusi nello spazio di ventiquattro ore; ma chi non ha la luce, sia di giorno che di notte, non vede nulla. Così la Chiesa e la Sinagoga sembrano lavorare in comune, e gli ignoranti non riescono a vedere quale sia la luce della Chiesa; e sia i sacerdoti che il popolo che li segue, sembrano avere una dottrina comune. L’unica Chiesa li tollera entrambi, perché con la sua benevola pietà ne attende pazientemente il pentimento, e attraverso di essa ed in essa concede gratuitamente il perdono dei peccati. Solo Egli conosce chi stia in piedi e chi sia caduto. Solo Lui sa perché o per quale scopo siano stati scelti per il popolo sacerdoti nefandi. E benché la Chiesa abbia zelo, la malizia è sempre superiore. Ma ciò che essa non si spinge a condannare, lo riserva al giudizio divino, e tremando, nel dubitare, esclama con l’Apostolo: « O abisso della ricchezza, sapienza e conoscenza di Dio, quanto sono insondabili i suoi disegni e le sue vie! » (Rm. XI, 33).  Quindi, ascoltate attentamente il motivo per cui si parla di una sola Chiesa e cosa ci sia da sapere su di essa, perché questo scrupolo rode molti. E per ritenere qualcosa dalle Sacre Scritture, venite con piacere e preparatevi con tutto il vostro essere ad ascoltare, e comportatevi non con arroganza, ma con umiltà. – L’arca di Noè era modello della Chiesa, come dice l’apostolo Pietro: « nell’arca di Noè, alcune, cioè otto anime, sono state salvate dall’acqua; figura questa del Battesimo che oggi vi fa salvi » (1 Pt. III, 20). Come colà c’erano animali di tutti i tipi, così in questa Chiesa ci sono uomini di tutte le nazioni e di tutti i costumi; come là c’erano leopardi, capre, leoni, lupi e agnelli, così ci sono qui giusti e peccatori, cioè vi dimorano vasi pregiati d’oro ed argento, insieme a vasi di legno e di coccio. E come l’arca aveva i suoi nidi, anche la Chiesa ha molte abitazioni. Otto anime di uomini sono state salvate nell’arca: e l’Ecclesiaste ci comanda: « … occupatevi di sette e anche di otto » (Ecclesiaste XI, 2), cioè credete ad entrambi i Testamenti. Ecco perché alcuni salmi sono scritti “pro octava” ed ogni strofa è di otto versi. Il salmo centodiciotto, considerato perfetto, è alfabetico, perché ogni ottava comincia con una lettera (dell’alfabeto). Così anche le beatitudini che Gesù ha annunciato ai suoi discepoli sulla montagna e che ha proclamato attraverso la Chiesa, sono otto. Ed Ezechiele nell’edificio del tempio si basa sul numero otto. E troverete molte altre cose, simboleggiate in questo modo dalla Scrittura. Un corvo viene mandato dall’arca e non ritorna; e poi la colomba annuncia la pace sulla terra. Attraverso il Battesimo della Chiesa, infatti, il terribile uccello, cioè il diavolo, viene espulso, e la colomba dello Spirito Santo annuncia la pace alla nostra terra. L’arca è costruita partendo da trenta cubiti di altezza e diminuisce progressivamente fino a raggiungere un cubito. Allo stesso modo, la Chiesa, che contiene molte categorie, ha il suo vertice nei diaconi, nei presbiteri e nei Vescovi. L’arca è in pericolo nel diluvio; la Chiesa è in pericolo nel mondo. Noè è uscito, ha piantato un vigneto, ne ha bevuto e si è inebriato. Nato anche nella carne, Cristo ha piantato la Chiesa ed ha sofferto. Il figlio maggiore rideva del padre nudo mentre il figlio minore lo copriva. I Giudei ridevano anch’essi di Dio crocifisso, mentre i gentili lo onoravano. Mi manca il tempo di spiegare e confrontare tutti i simbolismi dell’arca con la Chiesa. Vi spiego brevemente, perché appartiene alla presente trattazione, chi sono le aquile, le colombe, i leoni, i cervi, i vermi, i serpenti tra noi. Nella Chiesa non vivono solo le pecore, ed in essa non volano solo gli uccelli puri, così come avviene per il grano seminato nei campi tra le cui verdi piantine ci sono erbacce e cardi e l’avena sterile. Cosa farà il contadino? Userà la falce, ma in tal modo tutto il raccolto sarà distrutto. Ogni giorno il contadino si ingegna a spaventare gli uccelli rumoreggiando o con gli spaventapasseri; cosicché da un lato fa rumore con la frusta, dall’altro li spaventa con la vista. Tuttavia nel suo campo entrano capre veloci ed onagri lussuriosi, i topi asportano il grano nei depositi sotterranei, mentre le formiche numerose devastano con intenso lavorio il raccolto. Ed invero nessuno possiede un proprio campo sicuro. Mentre il padre di famiglia dormiva, l’uomo nemico seminava la zizzania (Mt. XIII, 28). Quando i discepoli proposero di sradicare tutto, nostro Signore lo proibì, riservando a se stesso la separazione del grano dalla zizzania. Sono questi i vasi d’ira e di misericordia che l’Apostolo predice essere nella casa del Signore. Verrà il giorno in cui, dopo aver aperto il tesoro della Chiesa, il Signore mostrerà i vasi della sua ira (Rm. IX, 22). I Santi diranno di quelli che saranno cacciati fuori: « … sono usciti di tra noi, ma non erano dei nostri. Se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi » (1 Gv. II, 19). Nessuno può attribuire a se stesso la vittoria di Cristo. Nessuno prima del giorno del giudizio giudichi gli uomini. Se la Chiesa fosse già mondata, cosa sarebbe riservato al Signore? « C’è una via che sembra diritta a qualcuno, ma sbocca in sentieri di morte. » (Prov. XIV, 12). In questo errore di giudizio, quale sentenza potrebbe essere certa?

L’ANTICRISTO.

IN QUAL MODO ELIMINERÀ L’IMPERATORE ROMANO PER ASSUMERE L’IMPERO EGLI STESSO

[11] Il beato Agostino, nel suo libro “La Città di Dio”, commenta la frase dell’Apostolo Paolo, quando corregge i Tessalonicesi, in quanto essi pensavano, al tempo dell’Apostolo Paolo, che fosse giunto il giorno del giudizio; egli scriveva loro nella prima lettera, parlando della venuta del Signore: « … noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, ad un ordine, alla voce dell’Arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo: prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria… » (1 Tess. IV, 15 e 17). Per questo scrive loro una seconda lettera, commentando la quale, il beato Agostino dice quanto segue: « Vedo che devo trascurare le molte affermazioni evangeliche ed apostoliche su questo ultimo giudizio divino, per non rendere troppo voluminoso questo libro; ma in nessun modo l’apostolo Paolo deve essere trascurato, quando scrive ai Tessalonicesi e dice loro: « Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità. »  (2 Tess. II, 1-12). Nessuno dubita che queste cose le abbia dette dell’Anticristo, e che abbia così anticipato che il giorno del giudizio (che egli chiama il “giorno del Signore”) non sarebbe arrivato prima che colui che chiama “l’empio”, abbia preceduto il Signore Dio. Se questo si può dire di tutti i malvagi, quanto ancora più di costui; ma in quale tempio di Dio egli si siederà? … non sappiamo se siano le rovine del tempio costruito da re Salomone oppure della Chiesa. L’Apostolo, infatti, non chiamerebbe  il tempio di alcun idolo o demone: santuario di Dio. Ecco perché alcuni vogliono intendere che qui l’Anticristo non sia il principe in sé, ma in un certo senso tutto il suo corpo, cioè la moltitudine di tutti coloro che gli appartengono, insieme allo stesso loro principe. Essi credono anche più precisamente che, sia in latino che in greco, si dice che “egli siederà nel tempio di Dio”, proprio come se fosse tempio di Dio la Chiesa, e così come noi diciamo: si siede da amico, o come un amico, o un qualcosa di simile impiegato solitamente in questo genere di espressioni. Ed ancora dice: sapete cosa lo trattiene ora, cioè sapete perché ritarda, qual sia la causa del ritardo, per manifestarsi a tempo debito? E quello a cui si riferiva, essi già lo sapevano chiaramente, per cui non credette oppotuno ridirlo. E così noi, che non sappiamo quello che essi sapevano, cerchiamo di arrivare con fatica a ciò che l’Apostolo pensa, ma non possiamo. Soprattutto, ciò che ha aggiunto rende questo senso più oscuro: perché cos’è? Confesso che sono completamente all’oscuro di ciò che ha detto. Pertanto riporterò le interpretazioni umane che ho sentito o letto. Alcuni pensano che questo sia stato detto dell’Impero Romano, ed è per questo che l’Apostolo Paolo non ha voluto scriverlo chiaramente, per non incorrere nella calunnia, dando una cattiva opinione dell’Impero Romano considerato eterno. Altri dicono che: perché il mistero dell’iniquità è già in opera, ci si riferisca a Nerone, le cui gesta erano già note come quelle dell’Anticristo. Ecco perché alcuni pensano che sarà lui a risorgere come futuro Anticristo. Altri pensano che non sia stato eliminato, ma piuttosto rimosso, in modo che sembri che sia stato ucciso; e che sia nascosto vivo nel vigore della sua stessa epoca, in cui si crede che sia stato ucciso, finché non si manifesti, a suo tempo, e sia posto nel suo regno. Ma trovo questa interpretazione dei commentatori molto improbabile. Tuttavia, ciò che dice l’Apostolo: … solo quando viene allontanato colui che ora lo trattiene, si crede, non senza ragione, che questo sia fino a quando non verrà tolto da mezzo, cioè rimosso dal suo posto. E allora l’iniquo si manifesterà, il che si riferisce senza dubbio all’Anticristo”.

                                                        (Sant’Agostino, La città di Dio, lib.20, cap.19).

[Questo capitolo dell’Anticristo è qui nei Codici dell’edizione riveduta del 786 e ripetuto nel libro VI, 7, pp. 500-501; nel libro VI, 7, nell’edizione del 786, è omesso nelle edizioni del 776 e 784].

COMINCIA IL LIBRO SECONDO:

LE SETTE CHIESE

QUESTO LIBRO CONTIENE I QUATTRO VIVENTI, I QUATTRO CAVALLI, LE ANIME DEGLI UCCISI, I QUATTRO VENTI E I DODICIMILA.

(Ap. II, 1-7)

Angelo Ephesi ecclesiæ scribe: Hæc dicit, qui tenet septem stellas in dextera sua, qui ambulat in medio septem candelabrorum aureorum: Scio opera tua, et laborem, et patientiam tuam, et quia non potes sustinere malos: et tentasti eos, qui se dicunt apostolos esse, et non sunt: et invenisti eos mendaces: et patientiam habes, et sustinuisti propter nomen meum, et non defecisti. Sed habeo adversum te, quod caritatem tuam primam reliquisti. Memor esto itaque unde excideris : et age pœnitentiam, et prima opera fac: sin autem, venio tibi, et movebo candelabrum tuum de loco suo, nisi pœnitentiam egeris. Sed hoc habes, quia odisti facta Nicolaitarum, quæ et ego odi. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis: Vincenti dabo edere de ligno vitæ, quod est in paradiso Dei mei.

[“All’Angelo della Chiesa d’Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene nella sua destra le sette stelle, e cammina in mezzo ai sette candelieri d’oro: “So le tue opere, e le tue fatiche, e la tua pazienza, e come non puoi sopportare i cattivi: e hai messo alla prova coloro che dicono di essere Apostoli, e non lo sono: e li hai trovati bugiardi: e sei paziente, e hai patito per il mio nome, e non ti sei stancato. Ma ho contro di te, che hai abbandonata la tua primiera carità. Ricordati pertanto donde tu sei caduto: e fa penitenza, e opera come prima: altrimenti vengo a te, e torrò dal suo posto il tuo candeliere, se non farai penitenza. “Haì però questo, che odi le azioni dei Nicolaiti, le quali io pure ho in odio. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincente darò a mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al Paradiso del mio Dio.”]

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DELLA CHIESA PRECEDENTEMENTE DESCRITTA NEL SECONDO LIBRO

[1] Scrivi all’Angelo della Chiesa di Efeso. Sotto il nome di un solo Angelo, si designa il numero di tutti i santi. Efeso, che significa: “mia volontà” o “mio consiglio“, indica, come abbiamo già detto sopra, la Chiesa Cattolica, alla quale si dice: « Questo dice colui che tiene le sette stelle nella mano destra, che cammina tra i sette candelabri d’oro. » Questi è Colui che tiene in mano le anime dei santi, e cammina in mezzo alle sue chiese con i miracoli, si muove con le sue virtù  meravigliose, e vive nella grandezza della sua potenza. Alla stessa chiesa dice: Conosco la tua condotta, le tue fatiche e la tua pazienza. Afferma cioè di conoscere l’effetto delle sue buone opere e la cura nel lavoro e nello studio spirituale, e la pazienza nel sopportare la tentazione e superarla. Egli loda anche la purezza della sua Chiesa in relazione ai dettami della verità, Chiesa di cui parla anche Isaia: « Grida di gioia, sterile che non partorisci, ed irrompa in grida di gioia e di letizia colei che non ha mai avuto i dolori: perché sono più i figli degli abbandonati che quelli della donna sposata » (Is. LIV, 1). Del lavorio di questa Chiesa si dice: « beati quelli che piangono, perché saranno consolati » (Mt. V, 5). Anche qui nel presente testo, il Signore dice alla Chiesa: « … che non puoi sopportare i malvagi e che hai messo alla prova coloro che sono chiamati apostoli senza esserlo e hai scoperto il loro inganno; hai pazienza nella sofferenza: hai sofferto per il mio Nome senza stancarti. » Noi interpretiamo che questo sia stato detto senza dubbio degli eretici, ché si credono maestri della verità e sono invece autori della menzogna. Essi dicono di essere buoni ma si comprova che siano invece peggiori dei demoni. Però le loro menzogne e le loro perversioni le scopre la fede Cattolica, e … con tolleranza hai sopportato gli innumerevoli mali che ti hanno inflitto. Hai sopportato tutto per il mio Nome e non venisti meno. A questa stessa Chiesa il Profeta parla degli eretici: « Nessun vaso formatosi contro di te prospererà; e tu rimprovererai ogni lingua che si leverà contro di te » (Is. LIV, 17). Li avete messi alla prova, dice: non sono messi alla prova se non quelli che sono all’interno. Quelli che sono all’esterno, sono chiaramente fuori senza necessità di alcuna prova. Pertanto non è necessario metterli alla prova se non sono dentro la Chiesa: è qui li si riconosce dai loro frutti, non dal posto che occupano. Di questi il Signore dice: « Li riconoscerete dai loro frutti, perché l’albero malvagio non può dare frutti buoni » (Mt. VII, 16). Il frutto si riferisce al comportamento e le foglie alle parole. Qualora vengano scoperti nell’operare in tal fatta, appaiono chiaramente malvagi. Infatti sono questi coloro di cui si dice che si considerano apostoli senza esserlo, poiché si dimostrano apostoli che sembrano servire il Signore; mentre nella loro condotta servono se stessi e non il Signore. Dobbiamo chiederci allora con intelletto: chi sono coloro che servono il Signore? Ebbene, non tutti quelli che leggono, non tutti quelli che predicano, non tutti quelli che distribuiscono i loro beni, non tutti quelli che puniscono il loro corpo con la penitenza della carne, servono il Signore. Coloro che leggendo e predicando cercano la propria gloria, coloro che nelle loro elemosine e nelle punizioni del corpo fatte per penitenza, cercano le lodi degli uomini, questi servono se stessi e non il Signore. Contro questi il Signore dice con il Salmista: « chi cammina sulla via senza macchia sarà mio servo » (Psal. CI, 6). Ha macchie nella sua via, chi nell’opera buona che compie intende ricevere la ricompensa della gloria terrena; chi cerca di ricevere la ricompensa in questo mondo, macchia agli occhi di Dio la sua opera buona a causa dell’intenzione malvagia. Adunque, chi è diligente nello studio della dottrina distrugge i peccati dei peccatori; ma chi è portato a fare queste cose non dall’amore di Dio Onnipotente, ma dall’amor proprio, questi serve se stesso e non il Signore. Un altro, per non essere ritenuto aspro, tollera facilmente molte cose che di contro causano un aggravio. Infatti, chi non vuole essere considerato tiepido dal Signore, con lo zelo della propria tiepidezza serve se stesso e non il Signore. È necessario, quindi che, sia che lavoriamo al servizio della parola, sia che distribuiamo i nostri beni ai poveri, sia che dominiamo la nostra carne con la penitenza, o che ci lasciamo trascinare dallo zelo, sia che con pazienza sopportiamo i nostri mali delicatamente, con grande diligenza cerchiamo di scoprire la nostra intenzione in tutto ciò che facciamo, di modo che non accada che nelle nostre azioni serviamo noi stessi più che il Signore. Infatti non serviranno il Signore, ma se stessi, quelli di cui S. Paolo ha detto: « Tutti cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo » (Fil. II, 21). Paolo stesso con i suoi fratelli eletti corse a servire non se stesso ma il Signore nella vita e nella morte, appunto dicendo: « Nessuno di noi vive per se stesso, nessuno muore per se stesso. Sì, viviamo per il Signore, e se moriamo, moriamo per il Signore. Quindi, sia che viviamo o che moriamo, siamo del Signore  » (Rm. XIV, 7). I Santi non vivono né muoiono per se stessi, perché in tutte le loro azioni cercano il bene spirituale, e con la preghiera, la predicazione e la perseveranza nelle opere sante, desiderano moltiplicare i cittadini della patria celeste. Infatti agli occhi degli uomini, essi glorificano con la loro morte Dio, al quale tendono morendo. Pensiamo, allora – alla morte dei Santi – a quanti insulti essi abbiano subito dagli infedeli, ma pure a quante lodi abbiano elevato a Dio dai cuori dei fedeli. Se avessero cercato la loro gloria, avrebbero certamente temuto di subire tanti insulti nella loro morte; ma nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, dal momento che non cerca la propria gloria, né in vita né in morte. Non è certo una testimonianza di lode quella di Colui che dice: So che non puoi sopportare i malvagi, bensì una testimonianza di debolezza. C’è invece una lode quando ha detto: non puoi, … e hai sopportato per amore del mio Nome; ha lodato la debolezza umana nel tollerare i falsi fratelli e nel mantenere con l’umiltà della carità la virtù della pazienza che proviene dal timore di Dio, affinché, secondo il comando del Signore, sapesse a chi attendere. E dice che ha avuto pazienza nel sopportare, nel pianto e nella tristezza, tutti quelli che operano “secondo la cattedra di Mosè”, vale a dire i preti falsi e mondani, che siedono sulla cattedra di Mosè non per amore di Dio, ma solo per l’onore del mondo, e desiderano occupare i primi posti e le prime cattedre della Chiesa. La Verità nel Vangelo di solito li chiama “farisei”, e ordina di ascoltare e di fare ciò che essi dicono, ma di astenersi dai loro frutti. Così pure l’Apostolo comanda di mettere alla prova i malvagi, e di astenersi dalle loro opere, quando dice: « Esaminate ciò che è gradito al Signore e non prendete parte alle opere infruttuose delle tenebre, ma denunciatele, cioè non tacete; poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare » (Ef. V, 10). Questo è ciò che l’Apostolo comanda nei confronti dei falsi apostoli. Per altro verso, l’Angelo dice ancora: Ma io ho contro di te, che hai perso il tuo amore di un tempo. Ha così rappresentato tutti i peccatori che, posti nella Chiesa Cattolica, sono legati a vari errori. E insegna che da questo origina il fatto che, dimentichi dell’amore primitivo della fede, si vedono avvolti in numerosi lacci viziosi. In nessun modo, però, è possibile che Egli dica: “Ho contro di te …” , a colui che loda, dicendo: “Tu hai pazienza, e hai sofferto per il mio nome, e non sei venuto meno“. Infatti è certo e conveniente che chi ha pazienza e non si perde d’animo non può dimenticare l’amore, perché è Dio l’amore. È chiaro, quindi, che si insegni qui che ci sono due parti nello stesso corpo, una che persevera, l’altra che trasgredisce, e a questa dice: renditi conto di dove sei caduto, pentiti, e torna alla tua condotta precedente. Allo stesso modo il Signore dice – attraverso il Profeta – : « fammi ricordare, discutiamo insieme; parla tu per giustificarti. » (Is. XLIII, 26). Volendo che ricordiamo, ci mette in guardia dalle occasioni nelle quali siamo già caduti, per non cadere di nuovo. E per purgare i vizi in cui si incorre, Egli indica la via da seguire, dicendo: fate penitenza, cioè purificate i vostri peccati con le lacrime. Allo stesso modo quella peccatrice, figura della Chiesa, bagnò i piedi di Cristo con le sue lacrime e li asciugò con i suoi capelli. E fatta penitenza, li persuade e consiglia loro cosa fare: … tornare alla condotta primitiva: cioè o alla bontà precedente, o a quelle cose che nell’ardore della prima conversione avevano mostrato, per non fare che si dica: se cadesti in qualcosa, renditi conto da dove sei caduto; come se con questo fosse detto chiaramente: Guarda da dove sei caduto, o quale peccato hai commesso oggi, se per la tua condotta, se per i tuoi discorsi, se per il tuo ventre, se hai avuto voracità di gola, se sei stato incitato alla fornicazione dal desiderio della carne, se dall’avidità, se sei stato infatuato dall’ardore dell’avidità, se hai messo nel segreto della tua coscienza un simulacro, cioè un idolo; se, portato dalla rabbia e dal furore contro tuo fratello, le tenebre ti sono rimaste nel cuore; se hai levato la mente alla vanagloria, se hai contratto il cancro della superbia. Se riconosci di essere caduto in qualcosa di quanto detto, e che ti si rimprovera e si ripete sempre, allora … renditi conto da dove sei caduto. Chi cade, cade dall’alto, ecco perché dice “da dove”. Non c’è rovina più grande di quella di chi si separa dalla carità; perché come l’orgoglio è il principio di tutti i mali, così la carità ha il primato in tutto il bene. Chi non ha la carità, anche se sembra fare del bene, non ha nulla di buono in sé. Per questo ha detto: da dove sei caduto. Perché sempre, fino alla morte, si devono fare opere di carità: questo è il comandamento principale, senza il quale nessun Cattolico vedrà mai Dio. Se le desiderate, o siete fortemente attratti da alcune di queste cose dette sopra, tutto si vede abbassato e la carità viene sminuita: « perché l’amore copre una moltitudine di peccati » (1 Pt. IV, 8). E a cosa serve fare penitenza, praticare la misericordia, ringraziare sempre Dio, ricorrere spesso alla preghiera? Non serve a niente, se osservate una cosa e su di un un’altra chiudete gli occhi. E a cosa serve che tutta la città sia con cautela presidiata contro gli attacchi dei nemici, se viene lasciata aperta anche una sola breccia dalla quale entra il nemico? A cosa serve la vigilanza che viene posta all’intorno, se tutta la città viene lasciata aperta ai nemici, avendo trascurato anche una singola postazione? Dite dunque a voi stessi: ricordate da dove siete caduto. Perché nella Chiesa tutta la legge è riassunta in un unico insegnamento che ha un duplice contenuto, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Chi dunque è assillato da pensieri malvagi, si dice che si sia allontanato dall’amore di Dio; e chi fa qualcosa di male al fratello, si dice che si è allontanato dall’amore del prossimo; e in entrambi i casi si dice che sia caduto dall’alto. Ed ancora: … donde sei caduto, fa penitenza e torna alla tua primitiva condotta, come se si dicesse chiaramente: ogni giorno cominciate sempre da capo a fare penitenza, in modo che si dica che cominciate allorché abbiate finito. … Altrimenti, se non vi pentirete, verrò da voi a spostare il vostro candeliere. Cosa vuol dire rimuovere, spostare il candeliere, se non nascondere il suo volto e toglier loro la protezione? Perché senza lo sguardo dell’Altissimo, senza la protezione di Dio, la nostra fede non può rimanere stabile. Per questo il Profeta dice: « Hai spianato la via ai miei passi, i miei piedi non hanno vacillato. » (Psal. XVII, 37). E poco prima ancora: « ha addestrato le mie mani alla battaglia, le mie braccia a tender l’arco di bronzo. Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza, » (Sal. XVII, 35-36). Ed ancora: « Se il Signore non fosse il mio aiuto, in breve io abiterei nel regno del silenzio.» (Psal. XCIII, 17). Si cambia dunque di posto il candeliere della nostra lode e si spegne la lampada della nostra lode, quando Egli allontana da noi il suo volto. E quando dice: … se non ti penti, quale penitenza farà volentieri l’uomo se non riceve aiuto dal Creatore? Chi può fare sgorgare dall’aridità della carne l’umido delle lacrime, se, per la misericordia di Dio, la venuta dello Spirito Santo non irrora il cuore contrito? Certamente Colui che dice di rimuovere il candeliere è Colui che comanda la penitenza. Abbiamo già detto nel primo libro che l’Angelo e il candeliere sono la medesima cosa. Non dice qui che gli toglierà la sua parte, ma che ne cambia posto, e cioè che una parte perderà tutto quel che ha, così che a colui che ha sarà dato ancor più; mentre a chi non ha, ed anche a colui che sembra avere, gli sarà tolto quel che ha, ed il servo inutile sarà mandato nelle tenebre esteriori (Mt. XXV, 29). Con questo “servo inutile” ci si riferisce a tutto il corpo dei prepositi, cioè dei Vescovi malvagi, dalla cui vigilanza dipendono tutti i membri della sua chiesa; come si dice anche in altro luogo dello stesso servo, « … che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l’incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto, beato – dice – quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così … gli affiderà l’amministrazione di tutti i suoi beni » (Mt. XXIV, 45-47). Riconosce, quindi, ancor sempre in questo monito, che ci siano due parti nella Chiesa: una parte che, pur essendo dentro di essa fin quando non se ne separi, ha tuttavia perso la propria salvezza e tutta la luce del candelabro; e, se pure onorata con i carismi della grazia, è morta in se stessa e ciò che vive in essa le è alieno. Questa parte è quella che viene rimproverata ogni volta. L’altra parte, invece, è quella lodata: è la Chiesa che abbiamo già detto fondata sulla pietra, alla quale si dice: tu hai invece a tuo favore che detesti i misfatti dei Nicolaiti, che anch’io detesto. Nicolaita significa “effusio”, o la stoltezza della Chiesa che languisce, di cui è detto, non senza motivo, degli eretici, che, tracimati [effusi] dal vaso della verità, sono caduti nella melma della menzogna. È scritto nella Legge di questa dispersione: « Effuso e come acqua, tu non avrai preminenza, » (Gen. XLIX, 4). È questa chiaramente anche la stoltezza della Chiesa che langue nel dogma perverso degli eretici, perché questi non si prendono cura della salute del popolo, ma si infiltrano in esso con i peggiori malanni, dicendo stoltezze di Dio, e preoccupandosi di questioni sciocche, come è scritto: « Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: “Pace, pace!” ma pace non v’è, » (Ger. VI, 14). Poiché, come può, colui che ha abbandonato l’amore, cioè Dio stesso, odiare la condotta dei Nicolaiti? Le gesta dei Nicolaiti sono idolatria e fornicazione: infatti Nicolas fu nominato diacono, con Stefano e gli altri, dagli Apostoli, e lasciò la moglie a causa della sua bellezza, per lasciarla prendere a chi volesse; e mutando questa consuetudine in stupro, gli sposi si scambiavano l’un l’altro. Egli inventò e predicò cose così vergognose e nefande che da quella radice nacque poi l’eresia dei “neofiti”, cioè dei sacerdoti e dei leviti non istruiti; l’Apostolo li rimprovera e ammonisce il suo discepolo a non lasciarli accedere al sacerdozio, dicendo: « Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui » (1 Tm. V, 22). E cosa significa l’affrettarsi nell’imporre le proprie mani, se non il concedere l’onore sacerdotale a chi non sia prima maturato, attraverso un tempo di prova, con il merito del proprio lavoro, onde sperimentarne la disciplina? E che cosa anche vuol dire diventare partecipe dei peccati altrui, se non un Vescovo che ordini una persona tanto ignorante, come è colui che non merita di essere ordinato? Perché così come si compara al frutto di una buona opera, il giusto giudizio nella elezione del sacerdote, così si produce un grave danno quando si costituiscono sacerdoti che non siano meritevoli. Pertanto dice con ragione: … che hai detestato il peccato dei Nicolaiti, che anch’io detesto. Qui apertamente si disconosce come amico di Dio, chiunque si compiaccia del suo nemico. Infine, per indicare che ha narrato questo mistero in segreto, dice: chi ha orecchie, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Il Signore dice infatti nel Vangelo: le parole che vi ho detto sono spirito e vita (Gv. VI, 63). Ecco, quindi, che chi ha l’orecchio della fede aperto, chi con buona fede usa l’orecchio finissimo dell’uomo interiore, potrà ascoltare le parole del messaggio divino che lo Spirito Santo comunica. Al vincitore darò da gustare dell’albero della vita, che è nel Paradiso del mio Dio.  – Avendo pronunciato la sofferenza della Chiesa, descritta la perversità degli eretici, esortato i peccatori alla penitenza, dopo la lotta, promette la ricompensa ai vincitori; coloro che entrano nel Paradiso, ricevono, per mangiarne in totale libertà, l’albero della vita, cosa per la quale Adamo fu espulso dal Paradiso, non potendone mangiare affatto. Dice così: chi è nel Paradiso del mio Dio, dove le brezze infondono la vita, dove i misteri infondono la virtù, dove il pomo dell’albero della vita fornisce l’eternità incorruttibile. Ecco perché così opportunamente dice: Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel Paradiso del mio Dio. Il Paradiso è la Chiesa in cui nessuno entra se non colui che con anima candida ha conosciuto Cristo e ne imita le orme dei passi con tutta l’anima, con tutto il cuore, con tutte le forze, ed ama il prossimo come se stesso. Il Paradiso è, quindi, figura della Chiesa. E il primo uomo, Adamo, è l’ombra del futuro. E il secondo Adamo, Cristo, è il sole della giustizia, che illumina l’ombra della nostra cecità. E come il primo Adamo – dice l’Apostolo – è terreno perché viene dalla terra, così il secondo Adamo è celeste perché viene dal cielo (1 Cor. XV, 47).  Pertanto, nella Chiesa ci sono due “Adamo”: il terrestre ed il celeste; « Qual è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. » (1 Cor. XV, 48). Per questo Adamo è duplice: c’è il vecchio ed il nuovo. Il vecchio è quello a cui non era permesso raggiungere l’albero della vita, perché non voleva spogliarsi dell’uomo vecchio, cioè dell’uomo carnale. Il nuovo Adamo è colui che è unito a Cristo vincente e che ha la potenza dell’albero della vita, che Egli ha sempre avuta, e se non è ancora unito a Cristo nel suo corpo, è tuttavia unito a Lui nello spirito. Infatti, se ai vincitori è promesso l’albero della vita, molti hanno già vinto in Cristo; non tutti infatti sono morti, « … se non coloro che hanno peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo  » (Rm. V, 12); dei rimanenti, o di quelli che sono rimasti essere ad immagine e somiglianza di Dio, si dice che vivono. Essi vivono, perché « Egli non è un Dio dei morti, ma dei vivi » (Mt. XXII, 32). Due parti, dunque, sono prefigurate in Adamo come monito per il futuro: l’una che ha confessato il peccato e vive; un’altra che non sfugge al laccio del diavolo (2 Tm. II, 26) che l’ha sottomessa, e per la quale la via dell’albero della vita è preclusa. Dal momento stesso in cui Adamo cominciò a generare entrambe le parti, vediamo che entrambe offrono sacrifici a Dio; ma l’una offre sacrifici graditi, non graditi sono quelli dell’altra. L’una, prostrata e semplice che offre il sacrificio con umiltà, muore per mano del fratello; l’altra, ottusa, cioè insensata, offerente con invidia, e che dopo l’omicidio del fratello è rimasta ostinata. La prole e la progenie di entrambe le parti appaiono nella Scrittura manifestate in Caino e Abele. Infatti così dice il Signore: « Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. » (Gen. IV, 11). Egli chiama “terra” l’uomo che, come Caino, accetta di eseguire e compiere ancora parricidi ed odia il fratello. Si riconoscono in Caino ed Abele entrambi i popoli che costituiscono la Chiesa: l’uno buono, l’altro cattivo; l’uno che ingiuria, l’altro che subisce le ingiurie. Questa è la città che ha fondato con il nome di suo figlio? Cosa significa che Caino abbia costruito una città con il nome di suo figlio, se non che gli empi che ha prefigurato si siano radicati in questa vita? Essi hanno un inizio ed una fine terrena, dove non ci si aspetta nulla se non ciò che si vede. I Santi, però, sono ospiti e pellegrini sulla terra. Ecco perché Abele, come pellegrino sulla terra, cioè come popolo santo, non costruisce una città: superiore è la loro città, anche se qui appaiono cittadini di quelle città nelle quali son pellegrini fino all’avvento del loro regno. Ma si dice alla progenie di Abele: « Dio mi ha dato un altro discendente al posto di Abele, perché Caino lo ha ucciso » (Gen. IV, 25). Questo discendente si riferisce alla Chiesa. Egli vede, quindi, che Dio non ha proibito ad ogni “Adamo” di mangiare dall’albero della vita, ma solo ad una parte. Poiché Adamo vive per sempre: cosa che non poteva essere senza aver egli assaggiato di quell’albero. Ne gustò, infatti, confessando il suo errore, ed infatti se fosse stato solo l’uomo Adamo e non una figura del futuro, perché il Signore, dopo la sua sentenza di morte, lo privò dell’albero della vita, affinché vivesse per sempre senza gustarne? Perché il Signore non temé che – contro la sua sentenza – potesse vivere, anche mangiando tutto l’albero della vita; se non perché questo si realizzasse in figura, e si manifestasse a noi la verità nella Chiesa? Infatti il corpo ed il sangue del Signore è la vita, come Egli stesso dice: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna » (Gv. VI, 5). Tutti coloro che ricevono la Comunione hanno la vita eterna? No, perché è scritto: « chi mangia e beve indegnamente il corpo ed il sangue del Signore, mangia e beve la propria condanna » (1 Cor. XI, 29). Il numero di coloro che si esaminano e che sanno in qual modo mangiare, questo solo mangia dall’albero della vita. Il numero di coloro che sono accecati, e non si avvicinano a Cristo – luce della vita – anche se mangia di questo pane, si tiene indubbiamente separato dall’albero della vita. Così infatti Dio dice a Giobbe: « Non hai sottratto ai malvagi la luce? » (Giob. XXXVIII: 15). A questi, quindi, che inseguono i beni terreni, o che certamente conducono una vita tiepida, Dio nasconde l’albero della vita, cioè la vera croce, perché, come è scritto, « … non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito ». (Is. VI, 10). Contro costoro il Paradiso di Dio è chiuso da un muro di fuoco, come dice la Chiesa in Zaccaria: « Io sarò per lei – dice il Signore – … muro di fuoco all’intorno e sarò una gloria in mezzo ad essa. » (Zac. II, 5). L’albero della vita che si trova nella Chiesa è chiaramente indicato in questo libro, nella descrizione della Chiesa. E che il Paradiso e la Chiesa e l’albero della vita, sono una degna penitenza, cioè sono la croce di Cristo, che molti sembrano portare, ma senza che seguano il Signore. « Sulle due sponde del fiume, dice, l’albero della vita porta frutti dodici volte all’anno, per ognuno dei mesi » (Ap. XXII); il Signore darà questo Paradiso e il suo albero ai vincitori. Il paradiso è la Chiesa. L’albero della vita è Cristo crocifisso. Con le due sponde del fiume, si intendono: o i due Testamenti, quello della Legge e quello del Vangelo; o l’acqua del Battesimo. I dodici mesi sono i dodici Apostoli. Egli dà queste cose ai vincitori; ma ai nemici della sua croce, « il cui dio è il loro ventre » (Fil. III,19), e che adorano nei loro nascondigli un altro Cristo  – e non so chi sia, perché non è il nostro crocifisso – ma adorano nella bestia, quello che ha la sua testa come uccisa, cioè quasi come fosse Cristo crocifisso, il cui nome hanno in comune con noi, mentre lo « rinnegano con le loro azioni » (Tt. I, 16); a loro questo albero della vita è completamente nascosto.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (5)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (3)

Il Signore e i ventiquattro seniori – Apoc. IV, 4

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (3)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO SECONDO

INIZIA IL PROLOGO SULLA CHIESA E LA SINAGOGA,

IN MODO CHE VOI,  O LETTORI, NE POSSIATE CONOSCERE NEL MODO PIÙ COMPLETO POSSIBILE LE  CARATTERISTICHE, E CHI NE FACCIA PARTE.

[1] Chiesa è una parola greca, che in latino si traduce « convocatio = assemblea », perché chiama tutti gli uomini a farne parte. Cattolico significa universale, dal greco “kata” e “olos“, cioè secondo totalità. Infatti essa non si limita come, le conventicole degli eretici, alle zone di alcune regioni, ma è diffusa in tutto il mondo. È quanto l’Apostolo afferma nella sua lettera ai Romani, dicendo: « Ringrazio Dio per tutti voi, perché la vostra fede è lodata in tutto il mondo » (Rm. I, 8). Per questo è anche chiamata universale, che viene da “uno”, in quanto raccolta nell’unità. Perciò il Signore dice nel Vangelo: « … chi non raccoglie con me, disperde » (Mt. XII, 30). Ed allora perché, se la Chiesa è una sola, Giovanni scrive alle sette Chiese, se non per dare l’idea che l’unica Chiesa Cattolica sia piena dello Spirito “Settiforme”? È così infine che Salomone ha detto del Signore: « la Sapienza ha costruito una casa, ne ha scolpito le sette colonne » (Prov. IX, 1). Queste colonne ne costituiscono indubbiamente una sola, secondo l’Apostolo che dice: « la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità » (1 Tim. III, 15). La Chiesa ebbe inizio nel luogo dove lo Spirito Santo discese dal cielo e riempì coloro che erano colà riuniti. Nella sua peregrinazione terrena la Chiesa è detta “Sion”, perché, posta a distanza nel suo pellegrinaggio, guarda verso l’alto alla promessa dei beni celesti: pertanto porta il nome di Sion, che significa “guardare fuori dalla torre di guardia”. Ma in relazione alla pace della patria futura, il suo nome si interpreta: “Gerusalemme” che infatti significa “visione di pace”. Lì assurta, cioè liberata da tutte le avversità, possederà la visione della presenza della pace, che è Cristo. La Chiesa è composta da: Cristo, gli Angeli, i Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i Martiri, il Clero, i monaci, i fedeli ed i religiosi. Questa Chiesa è anche chiamata “cielo”, nel quale il sole, la luna e le stelle, di cui abbiamo parlato prima, risplendono con le luci delle loro virtù. Cristo è chiamato così da “chrismate”, cioè l’unto. Ai Giudei fu ordinato di fare un unguento sacro, con il quale potevano essere unti coloro che venivano chiamati al sacerdozio o alla dignità regale. Ed infatti, come ora un manto di porpora è simbolo della dignità regale, così allora ad essi l’unzione sacra conferiva il nome ed il potere regale. Quindi Cristo viene da Chrismate, che significa unzione, poiché la parola greca “chrisma”, in latino è tradotta unzione. Così, nel senso spirituale, essa è stata accomodata come nome al Signore, in quanto unto da Dio Padre mediante lo Spirito Santo, come vien detto negli Atti degli Apostoli: « in questa città si sono alleati contro il vostro santo servo Gesù, che Voi avete unto » (Act. IV.,27), non con l’olio visibile, ma con il dono di grazia, che corrisponde all’unguento visibile. Ed infatti “Cristo” non è il nome proprio del Salvatore, ma una comune denominazione di potere. Quando si dice Cristo, si indica un nome comune di dignità. Gesù Cristo, è il nome del Salvatore. Il nome di Cristo non esisteva in nessuna nazione, né in nessun altro popolo, ma solo in quella regione dove Cristo era stato preannunciato dai Profeti e dove Egli doveva venire. Infatti il Figlio unigenito di Dio Padre, che è uguale al Padre, per nostra salvezza ha preso forma di un servo, per aprire agli uomini la via della salvezza che è nei cieli. Egli è Dio ed uomo, perché è Verbo e carne; perciò si dice che sia doppiamente generato, perché il Padre lo ha generato senza madre nell’eternità, e la Madre lo ha generato senza padre nel tempo. Egli è chiamato l’Unigenito perché – per dignità divina – non ha fratelli; è il Primogenito invece – secondo la sua condizione umana – perché con l’adozione per grazia, si è degnato di avere fratelli, di cui Egli è il primogenito. In ebraico si chiama Messia, in greco Cristo, in latino “Salvatore” perché rende salvo il suo popolo, Sotero in greco, che si interpreta Salvatore in latino, perché salverà il suo popolo. Così come Cristo significa Re, così Gesù significa Salvatore. Quindi non siamo salvati da un re qualsiasi, ma dal nostro Re Salvatore. – “Angeli” è una parola greca, che in ebraico si interpreta “Malaoth”, e in latino “nuntii” (=messaggeri), perché annunciano la volontà del Signore al popolo. La parola “Angeli” si riferisce alla loro funzione, non alla natura, dal momento che essi sono sempre degli spiriti; ma quando vengono inviati, è allora che vengono chiamati Angeli, e l’audacia dei pittori li rappresenta con le ali, onde mostrare la loro velocità di movimento in ogni luogo. I poeti dicono anche “vento che ha le ali”, a causa della loro velocità. Per questo la Sacra Scrittura dice: « che cammina sulle ali del vento » (Sal. CIII, 3). Sono nove le categorie degli Angeli menzionate nella Sacra Scrittura: Angeli, Arcangeli, Troni, Dominazioni, Virtù, Principati, Potenze, Cherubini e Serafini. Nello spiegare le loro funzioni, spiegheremo anche il motivo dei loro nomi. – Sono chiamati Angeli gli inviati dal cielo per dare un messaggio agli uomini. Angelo, nel greco traduce “nuntius” in latino. Arcangeli in greco significa: i principali messaggeri. Coloro che annunciano le notizie piccole o minime sono Angeli; quelli che annunciano le notizie principali, più grandi, sono gli Arcangeli. Questi sono noti come Arcangeli, anche perché hanno un primato tra gli Angeli. “Archos” in greco, in latino significa “Principe”. Sono essi infatti duci e principi, che con i loro ordini affidano le missioni a ciascun Angelo. Come sulla terra ci sono i duci ed i principi, i tribuni ed i centurioni, che hanno autorità sugli uomini, così gli Arcangeli presiedono agli Angeli. Il profeta Zaccaria lo testimonia dicendo: « … quand’ecco uscì fuori l’Angelo che parlava in me, e l’altro Angelo andò incontro a lui. E gli disse: corri, va’ a parlare a quel giovane e digli: Gerusalemme sarà priva di mura, per la moltitudine di uomini e di animali che dovrà accogliere » (Zac. II, 3, 4). Se, poi, nelle funzioni proprie degli Angeli, i superiori non comandassero gli inferiori, non avremmo potuto sapere attraverso un Angelo quello che l’altro Angelo voleva si dicesse all’uomo. Alcuni degli Arcangeli hanno un nome proprio, in modo che lo stesso nome designi il compito loro affidato. “Gabriele, in ebraico, è tradotto nella nostra lingua come “la forza di Dio”: laddove si deve manifestare la potenza e la forza divina, è lì che viene mandato Gabriele. Ecco perché nel tempo in cui il Signore doveva nascere e trionfare sul mondo, Gabriele è venuto da Maria, per annunciare che Colui che è venuto per sconfiggere le potenze dell’aria si sia degnato di venire nell’umiltà. “Michele significa: “chi è come Dio?”. Quando nel mondo si realizza qualcosa di mirabile, viene inviato questo Arcangelo. Dalla sua missione deriva il suo nome, perché nessuno può realizzare ciò che può Dio. Raffaele significa “salute o medicina di Dio”: laddove c’è bisogno di guarire e di curare, Dio manda questo Arcangelo che pertanto si chiama “medicina di Dio”. Questo Arcangelo infatti fu inviato a Tobia, al quale applicò il suo rimedio agli occhi ed – eliminata la cecità – gli restituì la vista: così il significato del nome designa la missione dell’Arcangelo. Uriel significa fuoco di Dio, come abbiamo letto là dove il fuoco è apparso nel roveto. Abbiamo anche letto che il fuoco è stato inviato dall’alto e che ha compiuto ciò che gli era stato comandato. I Troni, le Dominazioni, i Principati, le Potestà e le Virtù, i nomi con cui l’Apostolo abbraccia l’intera comunità celeste, designano ordini e dignità angeliche. Per questa distribuzione delle funzioni, alcuni sono chiamati Troni, altri Dominazioni, altri Principati, altri Potestà, in virtù di certe dignità con cui si distinguono gli uni dagli altri. Le Virtù esercitano certi ministeri angelici, con i quali si compiono segni e miracoli nel mondo; per questo sono chiamate virtù. Le Potestà sono quegli Angeli a cui sono sottoposte le potenze nemiche. Sono chiamati Potestà perché gli spiriti maligni si sottomettono al loro potere, in modo che non creino al mondo tutti i danni che vorrebbero causare. I Principati sono quegli Angeli che comandano alle milizie angeliche, e sono così chiamati perché hanno gli Angeli subordinati onde compiere il ministero divino. Infatti ce ne sono di quelli che servono, altri assistono … come si dice in Daniele, « mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano » (Dn. VII, 10). Le Dominazioni hanno una dignità ancora superiore alle Virtù ed ai Principati. Si chiamano così perché sono al comando degli eserciti angelici. I Troni sono gruppi di Angeli designati in latino con la parola Sedes. E sono chiamati Troni perché sono presieduti dal Creatore che attraverso di loro trasmette i Suoi ordini. I Cherubini sono quelli che esercitano i poteri celestiali ed i ministeri angelici più sublimi; il loro nome in ebraico si traduce nella nostra lingua: “grandezza di scienza”. Essi costituiscono il più sublime esercito di Angeli, perché, essendo i più vicini alla Sapienza divina, ne sono di molto più pieni che gli altri. Sono essi quei due viventi sul propiziatorio dell’arca, fatti di metallo, e che dovrebbero significare la presenza degli Angeli in mezzo ai quali Dio si manifesta. I Serafini, similmente, sono quella moltitudine di Angeli che dall’ebraico si traduce in latino come “ardenti” o “infiammati”; sono chiamati così perché tra Dio e loro non c’è altro gruppo di Angeli. Ed infatti, più si avvicinano a Dio, tanto più si infiammano dal chiarore della luce divina. Sono essi che nascondono il volto ed i piedi di Colui che siede sul trono di Dio. Ed è per questo che i restanti gruppi di Angeli non possono vedere l’essenza di Dio in ogni pienezza, perché coperti dai Serafini. – Questi nomi delle milizie angeliche sono nomi speciali di ogni categoria di Angeli, ma sono, comunque, in parte comuni a tutti. Infatti, sebbene i Troni siano chiamati in modo speciale “sede di Dio” nella loro categoria di Angeli, è detto dal Salmista: “Voi che sedete sui cherubini” (Psal. LXXIX, 2). Ma queste categorie di Angeli sono designate con nomi particolari, perché nella loro categoria propria hanno ricevuto in modo speciale quella funzione peculiare. E sebbene siano comuni a tutte le categorie angeliche, queste funzioni sono comunque assegnate in modo appropriato ad ognuna di esse. Come è già stato detto, a ciascuno vengono assegnate le funzioni proprie che – si dice – hanno meritato all’inizio del mondo. Che gli Angeli presiedano ai territori ed agli uomini, un Angelo lo afferma per mezzo del profeta dicendo: « … però Michele, uno dei primi prìncipi, mi è venuto in aiuto e io l’ho lasciato là presso il principe del re di Persia » (Dan. X, 13). È quindi chiaro che non ci sia luogo che gli Angeli non presiedano. Presiedono finanche gli auspici delle opere degli uomini. Questa è la gerarchia e la distinzione degli Angeli che, dopo la caduta degli angeli malvagi, rimasero nella fermezza dell’eterna beatitudine. Ecco perché si ripete, dopo la creazione del cielo in principio: « si faccia un firmamento, e Dio chiamò il firmamento cielo » (Gen I, 8). Nessuno di essi infatti fu coinvolto nella caduta, e non cedendo alla superbia, restarono fermamente nell’amore e nella contemplazione di Dio, non avendo nient’altro di più soave di Colui dal quale erano stati creati. I due Serafini di cui si legge nel libro di Isaia, rappresentano in figura l’Antico ed il Nuovo Testamento. Il fatto che essi … coprano il volto e i piedi di Dio, significa che non è dato a noi sapere cosa sia accaduto prima della creazione del mondo, né cosa accadrà dopo il mondo, ma solo vedere cosa c’è nel mezzo, grazie alla loro testimonianza. Ognuno di essi ha sei ali, perché nel presente secolo conosciamo solo il lavoro della creazione del mondo fatta in sei giorni. Essi gridano tre volte: “Sanctus”, per far conoscere il mistero della Trinità in una unica divinità.

[2]. Cerchiamo di conoscere ora cosa significhino i nomi dei “Patriarchi”, secondo la loro etimologia. La maggior parte di essi ha ricevuto questi nomi per cause proprie. “Patriarchi” si interpreta: Principi dei Padri, dai quali Cristo è nato secondo la carne. Abram fu chiamato per primo Padre del popolo giudaico, poiché questo significa Israele; poi fu chiamato Abramo, aggiungendovi una lettera, per cui si traduce, “Padre dei molti popoli”, che dovevano succedersi per la fede in futuro. I “popoli molti” non sono inclusi nell’etimologia della parola, ma si comprende dalla scrittura: « Il tuo nome sarà Abramo, perché ti ho fatto padre di molti popoli » (Genesi XVII, 5). Isacco prese il suo nome da “sorriso”; suo padre – nel trasporto della sua gioia – aveva infatti sorriso quando gli era stato promesso. Ed anche sua madre rise, quando dubitando nel gaudio, le fu promesso dai tre Uomini. Ecco perché ha ricevuto quel nome. Pertanto, Abramo era figura di Dio Padre, che è l’Autore e l’origine degli uomini. Isacco era figura di Cristo, che ci ha dato la gioia celeste. Giacobbe si interpreta “soppiantatore”, o perché ha afferrato alla nascita il tallone del fratello già nato o perché, nato dopo il fratello, gli passò poi avanti. Egli, dal quale sono nati i dodici Patriarchi, era figura della Chiesa, che è costituita nel numero dodici: per questo sono chiamate anche le dodici tribù di Israele. – Israele è “l’uomo che vede Dio”. Giacobbe ricevette il nome Israele quando, dopo aver combattuto tutta la notte, sconfisse l’Angelo nella lotta e fu benedetto alla luce dell’alba. A causa di questa visione di Dio, è stato chiamato Israele, come egli stesso dice: « Ho visto Dio faccia a faccia e la mia vita è salva » (Gen. XXXII, 31). Ruben significa “figlio della visione”. Simeone, “colui che ascolta”. Giuda significa “confessione”, perché quando Lia lo partorì, lodò il Signore dicendo: « adesso io darò lode al Signore » (Gen. XXIX, 35), e per questo fu chiamato Giuda: da “confessione” ha ricevuto il suo nome, che vale “azione di grazie”. Questa è la stirpe regale, la prosapia ammirevole, a cui viene affidata la direzione delle guerre e del regno d’Israele, colui che ha dato il suo nome ai popoli: forte come un leone nella forza del suo regno e distinto per la sua potenza nello splendore del regno. La progenie del suo regno non fu interrotta finché Cristo, simile ad un cucciolo di leone, non germogliò dal suo seme (Gen. XLIX, 9) e nascendo da un grembo regale, brillò come speranza dei popoli. Per questo motivo è stato detto: Vicit Leo de tribu Juda (ha vinto il leone della tribù di Giuda – Ap. V, 5), dal quale i Giudei hanno ricevuto il loro nome, perché Giuda significa “confessione”, ed è anche per questo che abbiamo il nome di “confessori”. Così come è stato detto agli ipocriti: « si dicono Giudei, ma non lo sono » (Ap. II, 9). Issachar significa “ricompensa”, perché con le mandragore del figlio Ruben, Lia comprò per sé il diritto, che era di Rachele, di giacere con il marito: rinunciando alle mandragore fu concepito Issachar. Così quando nacque, Lia esclamò: Dio mi ha dato la mia ricompensa (Gen. XXX, 18). Da questa tribù nacque Giuda Iscariota che vendette il Signore e con quella somma, ricavato della sua iniquità, fu acquistato un campo. Zebulon significa “stanza”; e Neftali “cambiamento”. Dan significa “giudizio”, perché quando Balha lo aveva partorito, Rachele, la sua padrona, disse: « Dio mi ha reso giustizia, perché ha ascoltato la mia voce: mi ha dato un figlio » (Gen. XXX, 6), e così ha espresso l’origine del nome: poiché il Signore le aveva reso giustizia, impose al figlio della schiava, il nome di “giudizio”. Da questa tribù nascerà l’Anticristo, da una concubina, perché ci sono già molti anticristi nella Chiesa che lo prefigurano. E nascono da una concubina, cioè dalla Sinagoga, che è la notte dell’ignoranza, ed essi sono servi del peccato. Levi, padre della casta sacerdotale, unito alla tribù di Giuda dalla mescolanza di stirpe ma, diviso da tutto Israele, mancando del diritto al sorteggio dei beni, abitava in tutti i regni dei fratelli. Da lui provengono i sacerdoti, ai quali non è lecito possedere la terra in eredità, e quindi gioiscono della povertà degli Apostoli. Giuda e Levi rappresentano Cristo Re e Sacerdote, che ci fa regno e sacerdoti per il suo Dio e Padre (Ap. I, 6). Gath era così chiamato perché “in procinto”, o “a disposizione”. Asher significa “beato”; Giuseppe, “Salvatore del mondo”, perché ha liberato tutta la terra dallo sterminio della fame imminente. Benjamin significa il “figlio della destra”, cioè del potere. Manasseh significa “dimenticato”. Efraim significa “aumento”. Questi sono i nostri Padri, di cui il Signore disse ad Abramo: « Per mezzo di Isacco avrai la discendenza del tuo nome » (Gen. XXI, 12), non per mezzo di Ismaele, che è nato dalla schiava, che è la Sinagoga. – I Profeti sono così chiamati perché prevedono il futuro. Per questo i gentili li chiamano “vates”. Da noi son chiamati Profeti, vaticinatori, perché preannunciano, cioè parlano e predicano la verità di ciò che sta per accadere. Quelli che chiamiamo Profeti sono chiamati “veggenti” nell’Antico Testamento, perché hanno visto ciò che gli altri non vedevano, quello che era nascosto nel mistero. Ci sono stati molti Profeti; tuttavia, solo dodici sono  inclusi nei libri; quattro hanno composto i libri più voluminosi: Isaia significa “Salvatore del Signore” e giustamente, perché più degli altri ha annunciato il Salvatore di tutti i popoli e i suoi misteri. Geremia,  è “l’eccelso del Signore”, perché gli è stato detto: « Io ti do autorità sulle nazioni e sui regni » (Ger I, 10). Ezechiele, « la forza di Dio ». Daniele, « il giudizio di Dio », perché giudicava tra gli anziani. Osea, « Salvatore », o « colui che salva ». Joel, « Signore Dio », o « colui che comincia per Dio ». Amos, « un popolo avulso da Dio », perché il popolo di Israele si era allontanato dal Signore. Naum, « il germe » o « il consolatore ». Habacuc, « colui che abbraccia », perché era amabile a Dio. Nessuno dei profeti con parole così audaci, aveva mai osato provocare Dio nel dibattito sulla giustizia, sul perché cioè si trovi tanta iniquità nelle cose umane e del mondo. Michea significa “perché questo?” o “che cos’è questo”? Sofonia, « lo specchio » o « l’arcano di Dio ». Abdia, « il servo di Dio », perché come Mosè, servo di Dio, e l’Apostolo, servo di Cristo, così anche questo messaggero venne inviato ai pagani; egli fu amministratore del re Akab. Giona significa “colomba”, o “il dolente”: colomba per il suo gemito, “dolente” per il ricino che si era seccato (Gion. IV: 7). È questi il figlio della vedova di Zarepta, come dicono pure i Giudei, che Elia aveva resuscitato dai morti. E così fu chiamato “Amittay”, parola ebraica che in latino significa “verità”, e da qui figlio della verità. Zaccaria, “memoria del Signore”, perché egli con la sua predicazione esortava il Signore affinché facesse tornare il suo popolo a Gerusalemme. Aggeo, in latino “festoso e gioioso”. Malachia significa “angelo del Signore”. Questi sono i dodici Profeti stabiliti nel numero duodecimo della Chiesa. Essi profetizzarono su Cristo, come Gesù disse poi agli Apostoli:  « … altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro », e ancora: « molti re e profeti desideravano vedere ciò che voi vedete e non lo hanno visto »: cioè Cristo, che voi vedete nella carne, essi non lo hanno visto. I quattro Profeti, tra i dodici, ebbero lo stesso ruolo dei quattro evangelisti tra gli Apostoli.

[3] La parola greca “Apostoli” significa in latino “missi – inviati”. Perché come Angeli in greco significa “messaggeri” in latino, così anche Apostoli in greco, significa “inviati” in latino. Cristo li ha mandati a predicare il Vangelo in tutto il mondo. Così che alcuni penetrarono fino in Persia ed in India, insegnando e compiendo grandi e potenti miracoli nel nome di Cristo, affinché, con la attestazione di segni e prodigi, coloro ai quali predicavano potessero credere. La maggior parte dei loro nomi hanno la loro spiegazione in sé. Pietro prese il nome dalla pietra, cioè Cristo, su cui si fonda la Chiesa. Infatti non la pietra porta il nome di Pietro, ma Pietro quello della pietra; così come Cristo non riceve il suo nome dai Cristiani, ma i Cristiani sono chiamati così da Cristo. Per questo il Signore dice: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Infatti Pietro aveva detto: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt. XVI, 16). Il Signore rispose: « Tu sei Pietro e su questa roccia edificherò la mia Chiesa. » Infatti la pietra era Cristo (1 Cor. X, 4), sulle cui fondamenta è stato costruito Pietro stesso. Egli si chiamava pure Cefa, perché era stato costituito capo degli Apostoli. La parola greca “Cephas” significa “caput – capo” in latino. Simon Bar-Jonas, cioè figlio della colomba; poiché “Bar” in siriaco significa figlio, e “Giona” in ebraico significa colomba, e Pietro ha questo nome allo stesso tempo siriaco ed ebraico: Bar-Jonas. Alcuni lo spiegano semplicemente dicendo che Simon Pietro è il figlio di Giovanni, secondo questa domanda del Signore: « Simone di Giovanni, mi ami? » (Gv. XXI, 15). Ebbene, Giovanni significa “grazia del Signore”, e in luogo di Giona si dice Giovanni. E così Pietro ebbe tre nomi: Pietro, Cephas e Simone Bar-Jonas. Simone, parola ebraica, significa in latino « colui che ascolta ». Saulo in ebraico significa « tentazione », perché è stato il primo a tentare la Chiesa; ed infatti è chiamato Saulo perché perseguitava i Cristiani. Più tardi, quando cambiò nome, da Saulo divenne Paolo, che significa “mirabile” o “scelto”. In latino Paolo si intende “piccolo”, e per questo egli stesso dice: « Io, che sono l’ultimo degli Apostoli » (1 Cor. XV, 9). Quanto Saulo era orgoglioso e presuntuoso, tanto Paolo, era umile e semplice. Cefa e Saulo furono chiamati con i loro nomi cambiati, in modo che fossero nuovi anche nel nome, come Abramo e Sara. Andrea, fratello germano di Pietro e co-erede della grazia, che in latino significa “decorus” o “rispondente”, in greco significa “uomo vigoroso“. Giovanni ha conservato giustamente il suo nome che significa “colui nel quale risiede la grazia”, o “grazia del Signore”: ed infatti Gesù lo amava più degli altri Apostoli. Giacomo, chiamato Zebedeo dal nome del padre da lui abbandonato per seguire – con Giovanni – il Cristo, che è il vero Padre. Essi sono i Figli del Tuono, chiamati anche “Boanerge”, per la fermezza e la grandezza della loro fede. Questo Giacomo, fratello di Giovanni, fu ucciso da Erode, dopo l’ascensione del Signore. Giacomo di Alfeo, così chiamato per distinguerlo dall’altro Giacomo, era figlio di Alfeo, come l’altro figlio di Zebedeo, entrambi chiamati come il loro padre. Questo è Giacomo il Minore, che il Vangelo chiama fratello del Signore, perché Maria, la moglie di Alfeo, era la sorella della Madre del Signore; Giovanni la chiama nel suo Vangelo Maria di Cleofa. Alfeo è una parola ebraica, che in latino significa “millesimus” o “dotto”. Filippo, “lampadum” o “bocca delle mani”. Tommaso, “abissus” o “gemello”: ecco perché dal greco viene chiamato “didimo”. Bartolomeo, vuol dire in siriaco, « figlio di colui che sostiene le acque », o « figlio di colui che mi sostiene ». Matteo in ebraico significa “donatus“. Si chiama anche Levi, come la tribù a cui apparteneva. In latino fu chiamato pubblicano, per la carica che ricopriva, perché era stato scelto tra i pubblicani e portato all’apostolato. Simone Cananeo, per distinguerlo da Simon Pietro, prende questo soprannome da un villaggio della Galilea chiamato Cana, dove il Signore aveva trasformato l’acqua in vino. È lo stesso che un altro evangelista, chiama Zelota. Cana si interpreta “zelo”. Giuda di Giacomo, che altrove si chiama “Labbæus”, ha un nome simbolico che deriva da “cuore”, che possiamo considerare, con un diminutivo, « cuoricino ». Un altro evangelista lo chiama Taddeo, e secondo la tradizione della Chiesa egli fu inviato nella città di Edissa, presso il re Abagaro. Giuda, chiamato Iscariota dal villaggio in cui era nato o perché, proveniente dalla tribù di Issachar, ne prese il suo nome come presagio della sua futura condanna. Issachar significa “merces=mercanzia”, per indicare il prezzo del tradimento con cui egli vendette il Signore. Mattia è L’unico tra gli Apostoli che non abbia un soprannome; significa “donatus“, per farci capire che fu posto in luogo di Giuda. Fu scelto al suo posto dagli Apostoli, che tirarono a sorte tra due. Marco, si interpreta “eccelso per il suo incarico”, certamente per il Vangelo dell’Altissimo che predicava. Luca, « colui che si alza » o « colui che si eleva », Barnaba, “figlio di un profeta” o “figlio della consolazione”. Questi sono i dodici discepoli di Cristo, i predicatori della fede ed i maestri del popolo. Gli Apostoli, pur essendo tutti una cosa sola, avevano tuttavia ricevuto ognuno come propria sorte di predicare nel mondo:

Pietro a Roma.

Andrea in Acaia.

Tommaso in India.

Giacomo in Spagna.

Giovanni in Asia.

Matteo in Macedonia.

Filippo in Gallia.

Bartolomeo in Licaonia.

Simone Zelota in Egitto.

Mattia in Giudea.

Giacomo, fratello del Signore, a Gerusalemme.

[In questo elenco sono stati indicati il nome ed il destino di Giuda Taddeo. Prima si era detto che fosse stato mandato a Edissa, dal re Abagaro. Qui troviamo anche la prima testimonianza ispanica, secondo la nostra opinione, della presenza e della predicazione di San Giacomo nella Spagna.].

A Paolo non viene assegnata una zona propria, come per gli altri Apostoli, perché viene scelto come maestro e predicatore di tutti i popoli gentili. Come a Pietro ed agli altri Apostoli venne conferito l’apostolato presso i circoncisi, così a Paolo venne assegnato quello tra i gentili. Egli pertanto evangelizzò le sette chiese con i tre suoi discepoli (destinatari delle sue lettere). Essi costituiscono le dodici ore del giorno illuminate dal sole, che è Cristo. Queste sono pure le dodici porte della Gerusalemme celeste, attraverso le quali entriamo nella vita di beatitudine. Questa è la prima Chiesa apostolica, che crediamo fermamente essere fondata sulla pietra che è Cristo. Questi sono i dodici troni che giudicano le dodici tribù di Israele. Questa è la Chiesa diffusa in tutto l’universo. Tale è il lignaggio sacro e scelto, il sacerdozio regale, disseminato in tutto il mondo. Questi erano pochi, ma scelti. E da questi piccoli chicchi è venuto un grande raccolto. Noi crediamo e apparteniamo a questa Chiesa, e chi predicherà qualcosa di diverso da costoro non sarà un Cristiano, ma sarà per sempre anatema fino alla venuta del Signore, e dunque già condannato alla venuta del Signore. È per rendere meglio visibili questi chicchi seminati nel campo del mondo, che i profeti hanno lavorato e questi raccolto, si mostra il disegno che qui sotto lo mostra. (Segue la Mappa del mondo).

[4] Martiri, parola greca, in latino significa “testes – testimoni”: per questo le testimonianze in greco sono chiamate “martìri”. Sono chiamati testimoni perché hanno sofferto per aver reso testimonianza a Cristo ed hanno lottato fino alla morte per la verità. Il primo martire del Nuovo Testamento fu Stefano, che nella lingua ebraica significa “norma“, perché fu il primo martire ed esempio per i fedeli. Dal greco è anche tradotto in latino con il significato di “coronatus“. E questo è profetico, poiché, secondo la profezia, qualcosa del futuro risuoni già prima nel nome: infatti il martire ha sofferto ed ha ricevuto ciò che il suo nome indicava: cioè  la corona; umilmente lapidato ed in modo sublime coronato. – Ci sono due tipi di martirio: l’uno è il tormento pubblico, l’altro è quello della virtù occulta dell’anima. Molti, resistendo alle insidie del nemico, cioè del diavolo, e rinunciando a tutti i desideri carnali, sono diventati martiri onde essersi immolati a Dio Onnipotente nel loro cuore, anche in tempi di pace: in tempi di persecuzione avrebbero potuto essere martiri [manifesti]. Chiamiamo così il clero e gli ecclesiastici perché Mattia venne scelto a sorte come Apostolo e fu il primo ad essere ordinato dagli Apostoli. “Cleros”, parola greca, significa in latino “fortuna” o “eredità”. Per questo sono chiamati chierici, perché sono eredità del Signore, o perché Dio è la parte della loro eredità. In genere, tutti coloro che servono la Chiesa si chiamano chierici. I loro gradi ed i nomi sono i seguenti: ostiario, lettore, salmista, esorcista, accolito, suddiacono, diacono, presbitero e vescovo. L’ordine dei Vescovi è composto da quattro gruppi: i Patriarchi, gli Arcivescovi, i Metropoliti ed i Vescovi. Patriarca in greco significa “il primo dei Padri”, perché occupa il primo posto, cioè quello apostolico, ed è chiamato con questo nome, proprio perché ha un onore così grande. In tutto il mondo ci sono tre sedi di patriarchi: Roma, Antiochia ed Alessandria. Questi sono chiamati anche Papi [Le frasi dedicate all’etimologia dei Patriarchi appartengono a Sant’Isidoro, tranne l’ultima frase in cui egli definisce i capi delle sedi di Roma, Antiochia e Alessandria: Papi. È possibile che sia un originale di Beato]. – Arcivescovo è una parola greca che significa: il più importante dei Vescovi: questi fa le veci degli Apostoli, e presiede tanto ai metropoliti che agli altri Vescovi. Presiede a ciascuna delle province; presiede e sottomette alla sua autorità e dottrina gli altri sacerdoti. Senza di loro, agli altri Vescovi non è permesso fare nulla, perché a loro solo è affidata la cura di tutta la provincia. Tutti gli ordini di cui sopra hanno uno stesso ed unico nome: Vescovi. Ma hanno un nome particolare per la distinzione dei poteri che ciascuno di loro ha ricevuto. Patriarca: “Padre dei principi”, perché “Archon” significa Principe. Arcivescovo è chiamato il metropolita dei Vescovi. Vescovo è una parola che dice qualcosa di colui che è posto al di sopra degli altri, « colui che veglia », cioè colui che si prende cura dei suoi sudditi. “Scopein” è una parola greca che in latino significa “guardare” o “osservare”. Infatti il Preposto nella Chiesa è un osservatore attento, perché veglia sui costumi e sulla vita dei popoli affidati alle sue cure. Il Pontefice è il Principe dei sacerdoti, una sorta di via per chi lo segue; si chiama Sommo Sacerdote e Pontefice Massimo. Egli consacra i Sacerdoti ed i leviti. Organizza tutti gli Ordini ecclesiastici, insegna ciò che ognuno debba fare. Prima della venuta del Signore, i re erano anche pontefici. Infatti era usanza degli antichi che il re fosse anche sacerdote o pontefice; per questo gli imperatori romani erano chiamati pontefici: Vates, così chiamato per la forza della sua mente [vi mentis]. Il loro significato è molteplice, perché esso designa un sacerdote, o un profeta, o un poeta. Sacerdote “Antistes“, così chiamato perché presiede l’altare. È il primo nell’ordine della Chiesa e non ha nessuno al di sopra di sé. Il Sacerdote ha un nome composto dal latino e dal greco: colui che dà il sacro. Come “re” viene da governare, così il nome di sacerdote viene da “sacrificio”. Egli consacra e sacrifica. Presbitero in greco, si interpreta “senior – anziano” in latino; non per mostrarne l’età o per definirne la senilità avanzata, ma per indicarne l’onore e la dignità ricevuti, e per questo sono chiamati presbiteri. I presbiteri sono chiamati anche Sacerdoti, perché, come i Vescovi, “danno il sacro”. Pur essendo Sacerdoti, non hanno però la pienezza del pontificato, perché non sigillano la fronte con il crisma e non conferiscono lo Spirito Santo, funzione che – come dimostra la lettura degli Atti degli Apostoli – appartiene solo ai Vescovi. E tra gli antichi, i Vescovi erano gli stessi presbiteri, perché il primo è un nome di dignità, e il secondo di anzianità. I leviti sono chiamati con il nome della loro origine. I leviti provenivano dalla tribù dei Levi, e si occupavano di eseguire nel tempio di Dio i ministeri mistici del sacramento. Sono chiamati in greco diaconi ed in latino “ministri”. Infatti, come il Sacerdote fa la consacrazione, così il diacono fa l’amministrazione del ministero. I suddiaconi (Hypodiacono in greco) si chiamano così perché sono soggetti ai comandi e agli uffici dei leviti. Essi ricevono le offerte dei fedeli nel tempio di Dio e le donano ai leviti perché le mettano sull’altare. Questi sono chiamati tra i Giudei: Nathanæi. Il nome di “Lettori” viene dalla loro missione di lettura mentre “Salmista” viene dal canto dei salmi. Gli uni insegnano al popolo la via da seguire; gli altri cantano per eccitare le anime degli ascoltatori al pentimento. Anche se ci sono alcuni lettori che si esprimono in modo così lamentevole da indurre alcuni al pianto ed al lamento, sono anche degli araldi, perché fanno sentire la loro voce in lontananza; la loro voce deve essere così forte e chiara da giungere alle orecchie di chi è lontano. Il  “cantore” è così chiamato perché modula la sua voce nel canto. Ci sono due tipi di cantanti nell’arte della musica, cosicché gli uomini colti hanno deciso di chiamarli in latino: il “precentor”, cioè colui che inizia la melodia nel canto; e il “succentor”, cioè colui che risponde seguendo il canto. Chi canta con gli altri con il giusto tono si chiama “concertor” Colui che non è intonato, né canta, non sarà né “succentor ” né “concertor”. Accolito è una parola greca, che in latino si traduce come ceroferari, perché portano le candele quando si legge il Vangelo o si offre il Sacrificio. Poi accendono le candele e le portano, non per dissipare le tenebre, come nel tempo in cui il sole splende, ma per far comprendere che sono motivo di gioia, e che la luce materiale raffigura quella luce di cui si dice nel Vangelo: « Era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo » (Gv I,18). Esorcisti in greco, significa in latino « coloro che evocano o lanciano imprecazioni ». Essi invocano sui catecumeni, o su coloro che sono posseduti dallo spirito maligno, il Nome del Signore Gesù, scongiurandolo così nel suo Nome di uscire da loro. Ostiari e portatori, erano coloro che nell’Antico Testamento venivano scelti per la custodia del tempio, in modo che gli impuri non ne oltrepassassero la soglia per alcun motivo. Sono chiamati “ostiari” perché si occupano delle porte del tempio. Essi, che ne hanno la chiave, custodiscono tutto ciò che ne sia dentro e fuori; e giudicando tra buoni e cattivi, accolgono i fedeli rimandando via gli infedeli. Monachus, è chiamato in greco ciò che è singolare. “Monas” in greco indica la singolarità. Pertanto, se monaco, tradotto dal greco: “solitario”, cosa sta a fare tra la gente colui che deve essere solo? Ci sono molti tipi di monaci. Cenobiti, si chiamiamo coloro che vivono in comune. Cenobio si riferisce a molti. Gli Anacoreti sono coloro che dopo la vita cenobitica vanno nel deserto e vivono da soli nella natura selvaggia. E dacché si sono allontanati dagli uomini, sono conosciuti con quel nome. Gli anacoreti imitano Elia e Giovanni, i cenobiti, gli Apostoli. Eremita è lo stesso che anacoreti, perché anacoreta è la parola greca che viene tradotta in latino: “eremita”; lontani dallo sguardo degli uomini, preferiscono la solitudine ed il deserto. Infatti “eremo” dice lo stesso che remoto. Abate è una parola siriaca, che significa in latino “padre”. Così spiega s. Paolo quando scrive ai Romani dicendo loro: « Che noi chiamiamo “Abba, Padre” » (Rm. VIII, 15), affermandolo in siriano ed in latino.

I RESTANTI FEDELI

[5]Cristiano”, secondo l’etimologia, deriva da “unzione”, dal nome del fondatore e Creatore. Infatti è da Cristo che i Cristiani ricevono il loro nome, così come i Giudei lo ricevono da Giuda. Dal nome del Maestro, ne è stato dato il soprannome ai suoi seguaci. I Giudei, per qualche tempo, chiamarono i Cristiani « Nazareni », perché nostro Signore e Salvatore era conosciuto come Nazareno, essendo di quella piccola città della Galilea. Tuttavia, non si glori di essere Cristiano chi ne ha solo il nome, ma non la condotta; sarà certamente un Cristiano colui che sarà stato fedele a questo nome e se ne farà partecipe con le sue opere. È veramente un Cristiano chi con la fede e le azioni si manifesta tale, agendo come ha agito Colui dal quale riceve il nome. Cattolico significa universale, generale, in quanto i greci chiamano cattolico ciò che è universale. Un ortodosso è uno che crede rettamente e vive ciò in cui crede. “Ortos” in greco, significa in latino “rettamente”, e “doxa” significa gloria; pertanto è un uomo di retta gloria. Non può essere designato con questo nome chi vive in modo diverso dalla sua fede. « Neofita » in greco, può essere tradotto in latino con “novizio”, e fedele iniziato, o anche come neonato. È chiamato Catecumeno perché, pur professando la dottrina della fede, non ha ricevuto ancora il Battesimo. La parola greca “catecumeno” significa infatti in latino “ascoltatore”. Egli è anche chiamato “competens”, perché con l’istruzione nella fede chiede la grazia di Cristo. Ed infatti “competente” deriva da chiedere, dal chiedere. Quando qualcuno da pagano viene alla fede, nel corso dell’istruzione alla fede, viene chiamato catecumeno; quando ha creduto rettamente e chiede di essere battezzato, allora viene chiamato competente; quando poi è bagnato nell’acqua del Battesimo, viene chiamato fedele; quando è unto con il crisma, cioè con l’unzione, viene chiamato Cristiano. E infatti è dopo il Battesimo, che lo Spirito Santo viene conferito dai Vescovi mediante l’imposizione delle mani; ricordiamo che questo è stato fatto dagli Apostoli negli Atti degli Apostoli, … avvenne così: « Quando gli Apostoli, che erano a Gerusalemme, udirono che Samaria aveva accettato la parola di Dio, mandarono loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro, affinché ricevessero lo Spirito Santo, poiché non era ancora sceso su nessuno di loro; essi erano stati battezzati solo nel Nome del Signore Gesù. Poi hanno imposto le mani su di loro che hanno ricevuto lo Spirito Santo » (Act. VIII: 14). Così noi possiamo ricevere lo Spirito Santo, ma non possiamo darlo ma, affinché sia dato, invochiamo il Signore. Ascoltate chi solamente è capace di farlo, secondo il santo Papa Innocenzo della Sede Romana, che ha scritto per tutte le chiese; ascoltate quello che dice: « Non per mezzo di altri, se non mediante un Vescovo è lecito conferire lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani. Anche i presbiteri, pur essendo Sacerdoti, non possiedono il grado più alto del Pontificato; spetta solo ai Pontefici infondere lo Spirito Santo segnando la fronte, come dimostra non solo l’usanza della Chiesa, ma anche il già citato passo degli Atti degli Apostoli, che afferma come Pietro e Giovanni fossero stati scelti ed inviati per conferire lo Spirito Santo a coloro che erano già stati battezzati. Ai presbiteri, sia che il Vescovo sia assente, o che sia presente, nel battezzare è lecito ungere i battezzati con il crisma, ma con il crisma consacrato dal Vescovo; non è lecito però che essi segnino la fronte con il medesimo olio, cosa che appartiene solo alla missione dei Vescovi quando conferiscono lo Spirito Santo.

LA RELIGIONE E LA FEDE

I filosofi hanno così chiamato il dogma, da “putando” (= credere), cioè quel che si reputa sia buono, e vero. La religione è così chiamata perché attraverso di essa colleghiamo le nostre anime ad un solo Signore, per servire, con tal legame, il culto divino; questa parola deriva da “religendo”, vale a dire “eligendo – scelta”; pertanto in latino la parola religendo equivale ad eligendo, che quindi è lo stesso che “scelta”. Tre cose sono richieste agli uomini nel culto della religione per adorare Dio: la fede, la speranza e la carità. Nella fede, si contiene ciò che si debba credere; nella speranza, ciò che si debba sperare; e nella carità, quel che si debba amare. La fede è quella virtù per cui si crede vero ciò che non possiamo vedere. Infatti non possiamo credere a ciò che già vediamo. Propriamente, si dà anche il nome di fede, quando si compie totalmente quel che è stato detto o promesso. Ed è per questo appunto che si chiama fede, perché essa compie ciò che è stato concordato tra due, cioè tra Dio e l’uomo. Ed anche si chiama patto. La speranza si chiama così poiché è un piede che deve procedere lungo il sentiero, dunque un piede in cammino. Si chiama così come il contrario si dice anche disperazione (dal latino deest pes), perché dove è messo il piede in fallo, non c’è alcuna possibilità di camminare; infatti quando uno ama il peccato, non si aspetta la gloria futura. La carità, parola greca, è tradotta in latino con “dilectio” poiché unisce due persone. La carità infatti trae origine tra due soggetti, che costituiscono l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. L’Apostolo dice: « La pienezza della legge è l’amore » (Rm. XIII, 10). Nella Chiesa questo amore è la più importante tra tutte le virtù; infatti colui che ama, crede e spera anche. Ma chi non ama, pur facendo molte opere buone, lavora invano. Un amore tutto carnale non si chiama carità, anche se si impiega spesso la parola amore. Il nome « carità » è usato solo nelle cose migliori, e questo suole accadere tra gli uomini santi e religiosi. Questa è la dottrina della Chiesa; questa è la fede che deve essere professata all’interno della Chiesa.

FINISCE IL PROLOGO SULLA CHIESA

INIZIA IL PROLOGO DELLA SINAGOGA

[6] Sinagoga, è una parola greca, che in latino significa “congregazione”, così come Chiesa significa “assemblea”, perché chiama tutti a farne parte. Ma si chiamava Sinagoga una congregazione, perché in essa si radunava una parte numerosa del popolo. Il popolo giudeo ha mantenuto questo nome come proprio. Ed in riferimento ad esso, di solito parliamo di “sinagoga”, e sebbene sia anche chiamata Chiesa, tra i Cristiani, riceve il nome di Sinagoga. Gli Apostoli non hanno mai chiamato la nostra assemblea sinagoga, ma sempre Chiesa, o per differenziarsene, o perché tra noi formiamo una congregazione. Per questo motivo, sia nella sua accezione di Sinagoga che in quella di assemblea, essa [la nostra assemblea] – prende il nome solamente di Chiesa. C’è però una certa differenza tra l’assemblea e la congregazione: infatti chiamare significa invitare; ma riunire è un obbligare, come infatti le greggi di solito si riuniscono, e del gregge diciamo correttamente che si congrega. C’è tra la Sinagoga e la Chiesa, la stessa distanza esistente tra le greggi e l’uomo. Nella Chiesa infatti sono chiamati gli uomini, nella Sinagoga gli animali. Gli uomini sono razionali, ricordano il passato, organizzano il presente e prevedono il futuro, meditando incessantemente su ciò che fanno giorno per giorno, per non cadere mai in cose abiette nelle opere e nei pensieri. Essi non danno sonno agli occhi, ma giorno e notte meditano sulla legge del Signore. Questi è il figlio maschio che si dice partorito dalla « donna ». Questi, imitando non un qualsiasi uomo santo, ma intuendo con la contemplazione la verità, opera la giustizia affinché comprenda e segua la stessa Verità, ad immagine della quale è stato creato. Per questo ricevette anche potere sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sulle fiere e sui rettili; poiché essendo spirituale è reso simile a Dio e, secondo l’Apostolo, « … giudica tutte le cose e non è giudicato da nessuno » (1 Cor II: 15); infatti crede di non essere erede in questo mondo, bensì in quello futuro. La sinagoga, invece, ha tutte le sue speranze in questo mondo: è sollecitata dalle cose del corpo, ma non da quelle dell’anima. – Essa è costituita da questi elementi: il diavolo, l’Anticristo, l’eretico, l’ipocrita, lo scismatico, la superstizione, la bestia, il dragone, i pozzi, le locuste, i cavalli e la donna seduta sulla bestia. – Si chiama diavolo in ebraico, ma in latino significa “colui che si precipita giù“: perché disprezzò di restare beato nel più alto del cielo, ed a causa del peso dell’orgoglio precipitò giù. In greco diavolo significa “accusatore”, o perché denuncia davanti a Dio quei crimini che egli stesso eccita negli uomini a commettere, o perché accusa gli eletti innocenti di falsi crimini; infatti in questo libro si dice per bocca dell’Angelo: « l’accusatore dei nostri fratelli è stato gettato a terra, colui che li ha accusati giorno e notte davanti al nostro Dio » (Ap. XII, 10). Egli è chiamato in greco satana, che in latino significa “avversario” e trasgressore. È « avversario » perché è il nemico della verità, ed è sempre pronto ad andare contro la giustizia dei Santi. Egli è « trasgressore », perché, essendosi resosi prevaricatore, non è rimasto nella verità (Gv. VIII, 44) nella quale era stato creato. È il tentatore, perché è sempre pronto a tentare l’innocenza del giusto, come è scritto nel libro di Giobbe. – L’Anticristo è così chiamato perché deve venire contro Cristo. Non è come pensano alcuni ingenui, che cioè sia chiamato Anticristo perché verrà prima di Cristo, dato che è Cristo a venire dopo di lui. Ed infatti « Anticristo » dal greco si interpreta in latino come colui che è “contrario a Cristo“. “Anti” in greco, in latino significa “contra“. Quando verrà, egli fingerà di essere Cristo, e combatterà contro di Lui, si opporrà ai Sacramenti di Cristo, per distruggere il Vangelo della verità e per imporre la sola legge mosaica e sottoporre il popolo alla circoncisione. Egli cercherà infatti di riparare il tempio di Gerusalemme e di ripristinare tutte le cerimonie della vecchia legge. Ma è anche “anticristo” chi dice che Cristo non è Dio: costui è un avversario di Cristo. È un anticristo chiunque creda che Cristo sia Dio, però lo neghi con le sue opere: questi crede in Cristo per la fede, ma lo rinnega con il suo comportamento. Infatti, come abbiamo detto che si nega Dio in due modi, così in due modi gli uomini possono essere apostati. Come chi neghi la fede è un apostata, ugualmente è apostata chi neghi Dio onnipotente con la sua condotta, anche se nella Chiesa sembra praticare la retta fede. Tutti coloro che lasciano la Chiesa e si separano dall’unità della fede e delle opere sono certamente da considerarsi “anticristi”.

LE ERESIE DEI CRISTIANI

[7] Molte ed innumerevoli sono le eresie dei Cristiani. Per il fatto che la Chiesa è settiforme e diffusa in tutto il mondo, crediamo che essa sia una sola; di contro, i dogmi degli eretici sono particolarmente limitati ad alcune aree regionali. Alcuni eretici che si sono allontanati dalla Chiesa, prendono il nome dagli autori che le hanno inventate [… le eresie]. Altri invece dalle stesse cause che li hanno motivati, scegliendole a loro discrezione. Infatti “eretico” è una parola greca che in latino significa “electio” (= scelta): e questo perché ognuno sceglie per sé ciò che ritiene sia meglio. E queste si ritrovano non solo tra gli zotici o gli ignoranti, ma anche tra i sapienti ed i dotti che escogitano a proprio arbitrio dottrine perverse, e fanno ciò che vogliono; pertanto, chiunque si separi deliberatamente dall’unità della Chiesa per istituire o accettare qualsiasi interpretazione a proprio arbitrio, è un eretico. E non solo ci riferiamo alle questioni di fede, ma si chiamano eresie anche credenze diverse ed ingannevoli, che sono da stimare come un nulla; tutte queste cose saranno esaminate dai santi Sacerdoti nel giorno del giudizio. Non è lecito per noi introdurre nulla ad arbitrio proprio, né accettare ciò che chicchessia abbia introdotto di propria iniziativa. Abbiamo gli Apostoli di Dio come nostri padri, gli stessi che non hanno osato introdurre nulla a proprio arbitrio, ma che ci hanno trasmesso fedelmente la dottrina ricevuta da Cristo. Quindi, « … anche se un Angelo del cielo ci predicasse qualcos’altro » (Gal I, 8), sarà considerato anatema. Tali sono le eresie contro la fede cattolica e condannate dagli Apostoli, dai Santi Padri e dai Concili. E queste, dal momento che sono in opposizione e dissentono l’una dall’altra per molteplici errori, con intento comune cospirano contro la Chiesa di Dio. Ed anche a colui che interpreta la Sacra Scrittura in un senso diverso dal sentimento con cui lo Spirito Santo che l’ha scritta suggerisce, non è lecito separarsi dalla Chiesa, potendosi così senza dubbio definire eretico.

LA SETTA

La parola setta deriva da “seguire” e “tenere“. Chiamiamo infatti setta la disposizione d’animo e lo stabilirsi di una dottrina, o il proposito perseguito nel sostenerla, di coloro che pensano nel culto della religione cose molto diverse dagli altri.

LO SCISMA

Si chiama scisma ciò che deriva della “scissione delle anime“. Si crede nello stesso culto e nello stesso rito che gli altri religiosi. [Gli scismatici] si differenziano solo per la divisione nella comunità, in modo da non condividere il concilio comune agli altri. Si verifica uno scisma anche quando gli uomini dicono: noi siamo i giusti; santifichiamo gli immondi, e molte cose del genere.

LA SUPERSTIZIONE

La Superstizione, è così chiamata perché è il credere a cose superflue o non comandate dalla Religione.

L’IPOCRITA

Hypocrita” è una parola greca che in latino significa “colui che finge“. Questi [gli ipocriti] sono possessori della conoscenza della sacra legge, predicano le parole della dottrina: tutto ciò che dicono lo dimostrano con testimonianze; eppure attraverso tutto questo, non cercano la vita dei loro ascoltatori, ma la lode di se stessi. Poiché non conoscono altre cose nel predicare se non quelle che inducono i cuori dei loro ascoltatori alla lode, essi non li fanno commuovere, perché le loro anime, occupate dai desideri esteriori, non sono riscaldate dal fuoco dell’amore divino e quindi non possono infiammare i loro ascoltatori con desideri celesti mediante parole che sono pronunciate invero da un cuore gelido; ed infatti una cosa che non è infiammata di per sé, non ne può infiammarne un’altra. Ed è così che la maggior parte delle volte le parole degli ipocriti non sono di insegnamento ai loro ascoltatori, e coloro che si mostrano vanitosi nel ricercare lodi, sono da queste peggiorati, come dice l’Apostolo: « la conoscenza gonfia, la carità edifica » (1 Cor VIII, 1). Spesso gli ipocriti si affliggono con grandi astinenze, indeboliscono ogni forza del loro corpo e vivendo nella carne eliminano come alla radice la vita della carne, e così con l’astinenza si appropriano della morte e vivono quotidianamente come se stessero morendo; infatti il loro volto impallidisce, il loro corpo si indebolisce e si agita, e il loro senso è oppresso da sospiri ininterrotti. Ma in tutte queste cose si cerca la parola dell’ammirazione dalla bocca dei propri prossimi, perché chi macera il suo corpo ma brama l’onore, crocifigge la sua carne, però vive per il mondo con la concupiscenza. Infatti, spesso, sotto l’apparenza della santità, una persona indegna ottiene una posizione di comando, e se non mostrasse una qualche virtù nella sua condotta, non meriterebbe di ottenere alcun onore. Ma ciò che si ottiene con diletto passa, e ciò che si ottiene con la fatica rimane. Ora la fiducia nella santità è posta nella bocca degli uomini, ma quando il Giudice interiore esamina i recessi più intimi del cuore, non cerca una testimonianza esterna di vita.

L’ARROGANTE

Si chiama arrogante, cioè audace ed orgoglioso, colui che pretende molto ed è sprezzante.

IL PRESUNTUOSO

Si dice presuntuoso colui che si eleva al di sopra della sua misura, considerandosi grande per le cose che compie.

IL DISPERATO

Volgarmente si chiama disperato un malvagio, perduto, che non ha alcuna residua  speranza. È così chiamato per la sua somiglianza con i malati, che, esausti e senza speranza, vengono deposti. Era abitudine degli antichi mettere i malati senza speranza davanti alle porte delle loro case, sia per rendere alla terra il loro ultimo respiro, sia perché potessero eventualmente ricevere la guarigione dai passanti che avevano sofferto già un tempo della stessa malattia.

IL NEMICO

Il nemico è il non amico: l’amico è chiamato custode dell’anima, ma il nemico ne è l’avversario. Due sono le cose che producono nemici: la frode e la paura. Ed infatti essi temono le frodi dai mali che hanno subito.

IL SUPERBO

Si chiama superbo chi vuol essere considerato più di ciò che è. Chi vuole andare oltre ciò che è, è un orgoglioso.

IL PUBBLICANO

Pubblicano è colui che esige le tasse pubbliche; è pure colui che, col pretesto del bene degli affari pubblici, persegue il lucro del mondo.

IL PECCATORE

Peccatore viene da “pellex“, cioè meretrice, come un dissoluto (pellicator). Questo nome tra gli antichi si applicava solo al vizioso; in seguito, questa parola passò a designare qualsiasi uomo iniquo.

LA PROSTITUTA

La fornicatrice (o prostituta) è colei il cui corpo è pubblico ed appartiene a tutti; essa si prostituiva sotto l’arco delle mura, che si chiamava “loca fornices”; da questo si chiamavano fornicatrici.

IL PREVARICATORE

Prevaricatore è un avvocato di mala fede che, quando parla per accusare o difendere, dimentica consapevolmente ciò che possa sfavorirlo, dichiara non richiesto ciò che è inutile e dubbio, e testimonia ciò che è falso per lucro.

LO STOLTO

Stolto è il fatuo, che a causa dello stupore non si muove. Quando è offeso, sopporta la sevizia per malizia, e non è né vendicativo, né si commuove davanti ad alcun dolore.

IL DRAGONE

Il dragone è il serpente, cioè il diavolo; ma prende il suo nome, che significa serpeggiare, dall’autore del suo nome. È anche il Leviatano, cioè il serpente marino, perché nel mare di questo secolo si muove rapidamente con astuzia. Leviatano significa “colui che si aggiunge a loro“. ,,, e a chi se non agli uomini? A coloro che per la prima volta in paradiso ha indotto al peccato della trasgressione, e con la sua persuasione lo ingigantisce di giorno in giorno fino alla morte eterna. Al serpente fu detto: « Maledetto sei tu tra tutte le bestie; sul tuo petto e sul tuo ventre camminerai » (Gen. III, 18). Qui in figura si vuole indicare il pensiero e l’orgoglio dell’anima. Per ventre si intende la lussuria della carne. Il diavolo, cioè il serpente, cammina sul petto e sul ventre, perché è su questi due parti che striscia colui che cerca di ingannarci, o con il pensiero superbo, o con la lussuria, che è con l’ingordigia del ventre. « … e mangerai la polvere », cioè ti apparterranno coloro che tu hai ingannato con l’avidità terrena. Quando fu detto al diavolo: mangerai la polvere, fu detto poi all’uomo peccatore: « … tu sei polvere e tornerai ad essere polvere », e l’uomo peccatore fu dato al diavolo come cibo. « Metterò inimicizia tra te e la Donna, tra il suo ed il tuo seme ». Il seme del diavolo è un cattivo consiglio o un pensiero peccaminoso. Quando uno ha un pensiero malvagio, allora il diavolo semina nel suo cuore. Il seme della Donna è il frutto di una buona opera. Quando uno pensa a ciò che è buono, allora semina il buon seme; e se ciò che ha pensato lo compie con le sue azioni, allora resiste ai consigli malvagi. La donna, cioè la carne, schiaccerà la testa del serpente se l’anima lo respinge nel momento stesso in cui si presenta la brutale tentazione. Esso ne insidia il calcagno, perché cerca fino alla fine di raggiungere l’anima che non ha potuto ingannare con la prima suggestione. Così, quando vide Cristo “uomo”, cercò di ingannarlo senza riuscirci. Ma Egli gli ha schiacciato la testa, non per il suo potere, perché era Dio, ma l’ha calpestata nell’umiltà della sua umanità, il che equivale alla morte. Come disse anche Davide per bocca del Padre riguardo al Figlio: « … calpesterai l’aspide ed il basilisco, calpesterai il leone e il drago » (Sal XC, 13). Ha chiamato l’aspide:  morte, e il basilisco: peccato; il drago che si annida nell’oscurità: il diavolo; ed il leone: Anticristo. Ora i servi di Dio, i seguaci di Cristo, li calpestano con i piedi mediante la loro fede e le loro opere, come dice la Verità nel Vangelo: « Io vi ho dato il potere di calpestare i serpenti e gli scorpioni e di calpestare ogni avversario, e nulla vi farà del male in alcun modo » (Lc. X, 19).

I CAVALLI

I cavalli del Signore sono quelli che Zaccaria vide mandati nel mare, cioè a predicare nel mondo. Questi cavalli sono tre: quello bianco, che rappresenta il candore del Battesimo; quello nero, che è il lutto della penitenza; il terzo è rosso, perché è la passione del martirio. Questi tre sono uno solo ed il loro cavaliere è Cristo.

I CAVALLI MALVAGI

Anche di tali cavalli ce ne sono tre: il primo è rosso, cioè sanguinario e omicida. Il rosso di cui abbiamo parlato in precedenza, è rosso ugualmente ma per il suo stesso sangue; questo invece è rosso per il sangue di altri. Il secondo cavallo è anche nero, come quello di cui abbiamo parlato prima, ma il primo era nero per la penitenza, mentre il secondo è nero per le sue opere, e questa è la fame spirituale nella Chiesa, cioè la predicazione evangelica che non è da nessuno più proclamata. Il terzo cavallo è pallido e l’inferno lo segue (Ap. VI, 8). Questa è la morte spirituale nella Chiesa. Perché attraverso il peccato viene la morte. Questi tre cavalli sono uno solo, e il loro cavaliere è il diavolo.

LA BESTIA

[8] La bestia prende il nome da “devastare”, cioè divorare. Daniele vide quattro bestie nella sua visione. « … La prima era come una leonessa e aveva le ali d’aquila. La seconda bestia era come un orso. La terza bestia era come un leopardo. La quarta bestia, spaventosa e terribile, e forte in modo straordinario; aveva denti di ferro: divorava e faceva a pezzi, e ne calpestava il residuo con i piedi. Era diversa dalle altre bestie e aveva sette teste e dodici corna » (Dan. VII, 3-7). Queste quattro bestie sono questo mondo che si divide in quattro parti: Oriente, Occidente, Settentrione e Meridione; si possono pure intendere come quattro regni e cioè: nella leonessa, il regno di Babilonia. Nell’orso, il regno dei Medi e dei Persiani. Nel leopardo, il regno di Macedonia e, nell’orribile e forte, il regno di Roma, che ha grandi denti di ferro e divora e calpesta, perché nel suo regno sono stati compiuti tutti i martirii. Eppure questi quattro sono un unico mondo. Così pure Nabucodonosor vedeva nella statua della sua visione … (Dan. II, 31) come uno in figura d’uomo; ma vedeva in quattro parti le sue membra di colori diversi: cioè la testa d’oro, che è la prima parte del mondo; il petto e le braccia d’argento, che è la seconda; la terza di bronzo, che è la terza parte, cioè il ventre e i lombi; la quarta parte, con i piedi in parte di ferro ed in parte di argilla. In questi piedi bisogna capire chiaramente che è rappresentata la fine di questo mondo, perché i piedi sono la parte estrema del corpo. La pietra che cade dal monte è il Figlio di Dio, nato dalla Vergine, che colpisce la statua ai piedi, cioè che viene alla fine del mondo e porta, con gli Angeli, la pace del mondo, ed è Lui stesso il Re della sua Chiesa per il mondo intero, cioè Egli riempie il mondo con la pietra (Dan. II, 36). Queste quattro bestie, quindi, sono un’unica bestia, che sappiamo essere descritta in questo libro con sette teste e dieci corna. Le sette teste e le dieci corna sono una cosa sola. Le teste si riferiscono a tutti i re; le corna sono tutti i regni, e tra le dieci corna si dice che c’era un piccolo corno. Diciamo, allora, quello che hanno scritto tutti gli scrittori della Chiesa: alla fine del mondo, quando il regno dei Romani sarà distrutto, ci saranno dieci re che divideranno il regno di Roma. E l’undicesimo che sorgerà sarà un piccolo re che sconfiggerà tre re tra i dieci re: cioè il re dell’Egitto, dell’Africa e dell’Etiopia, come diremo più chiaramente in seguito. Quando questi tre saranno uccisi, anche gli altri sette re sottometteranno il loro collo allo stesso undicesimo re, che è il piccolo corno. Questi è l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’Anticristo, perché si siederà nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio. Questi non viene ancora sotto le specie del suo corpo, ma ha il suo regno in questa bestia e nei quattro cavalli malvagi menzionati, di cui si dice dal Profeta: « Stendi le tenebre e viene la notte e vagano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i leoncelli in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo. » (Psal. CIII, 20). Ecco perché Giobbe dice: « Le fiere si ritirano nei loro ripari e nelle loro tane si accovacciano. » (Giobbe XXXVII: 8). A cos’altro si riferisce con il nome di bestia se non all’antico nemico che, con crudeltà, riuscì ad ingannare il primo uomo con la violenza e, consigliandolo male, distrusse l’integrità della sua vita? Contro di essa per voce del Profeta che parla della santa Chiesa degli eletti, che deve essere restaurata nell’antica situazione persa nel paradiso, si promette « che … nessuna bestia feroce la percorrerà » (Is. XXXV, 9). Ma questa bestia, dopo la venuta del Redentore, dopo le voci dei predicatori, come dopo il tuono delle nuvole, quando alla fine del mondo si impossesserà di quell’uomo condannato che si chiama Anticristo, dove andrà se non nella sua tana, per abitare nella sua stessa tana? Quel vaso è l’antro del diavolo, il covo della bestia, affinché, ingannando gli uomini che camminano sulla via di questa vita, egli possa nascondersi in essa con segni, ed uccidere con malizia. Egli possiede i cuori di tutti i reprobi attuali, già prima ancora di apparire manifesto; li possiede con la sua occulta malizia, come la sua stessa tana. E desidera tutto ciò che può nuocere al bene, e si nasconde nelle loro anime oscure. Non erano forse posseduti da questa bestia i cuori dei Giudei persecutori, nel cui cuore si nascondeva con numerosi consigli, e che improvvisamente irrompeva dalle voci di coloro che dicevano: « crocifiggilo, crocifiggilo? » (Lc. XXIII: 21). E non riuscendo a danneggiare lo spirito del nostro Redentore, anelava alla morte della sua carne. Certamente questa bestia possedeva il cuore di molti degli eletti; ma l’Agnello, mentre essa si nutriva di loro, la costringeva a lasciare andare la preda. Per questo il Vangelo dice: « Ora il sovrano di questo mondo sarà scacciato » (Gv. XII, 31). Perché con ammirevole e giusto giudizio, quando il Signore, illuminandoli, ricevette la confessione degli umili, chiuse, abbandonandoli, gli occhi dei superbi. Come è detto: « hai mandato le tenebre e la notte è calata ». Il Signore manda le tenebre quando ritira la luce dalla sua intelligenza, quando rende giustizia per i peccati. E scende la notte, perché lo spirito dei malvagi è accecato dagli errori della loro ignoranza. In essa camminano tutte le bestie della foresta, quando gli spiriti maligni – sotto l’ombra dell’inganno – percorrono i cuori dei reprobi riempiendoli con la loro malvagità. Anche qui i leoncini ruggiranno, perché gli spiriti, servi dei poteri infami ma possenti, sorgeranno con inopportune tentazioni. Eppure aspettano il loro cibo da Dio, perché non possono certo catturare le loro anime, se non per volontà di Dio, e sulle quali, per una giusta decisione, non è loro permesso trionfare. Perciò, a ragione aggiunge: « … il sole è sorto ed essi si sono riuniti e sono tornati alle loro tane » (Psal. CIII, 22). Infatti, quando la luce della verità apparve nella carne, essi furono scacciati dalle anime dei fedeli e ritornarono come alle loro tane, per abitare solo nel cuore degli infedeli. Quella che lì è stata chiamata la tana dei leoni, è qui chiamato “antro”, la tana della bestia. Penso che dovremmo notare che questa bestia non solo entri nella sua tana, ma – si dice – che in essa dimori. A volte essa entra persino nello spirito dei buoni: suggerisce ciò che è illecito, si adopera con le sue tentazioni, cerca di piegare la rettitudine dello spirito al piacere carnale, si sforza anche di raggiungere il consenso nel piacere; però, resistendo con l’aiuto divino, gli viene impedito di trionfare. Egli può dunque entrare nelle anime dei buoni, ma non può dimorare in esse, perché il cuore del giusto non è l’antro di questa bestia. Di coloro che essa possiede come sua tana, ha certamente le anime come sua dimora; poiché li induce prima nei loro pensieri a desideri iniqui e poi con i loro desideri iniqui, ad azioni malvagie. Ed infatti i reprobi non si sforzano di rifiutare i suoi malvagi consigli con retto giudizio, perché vogliono porsi al servizio delle sue voluttà con una dilezione sottomessa. E quando qualcosa di depravato nasce nei loro cuori, è immediatamente assecondato il desiderio del piacere. Non essendo opposta la minima resistenza, esso diventa subito forte con il consenso, ed immediatamente è portato all’azione, azione poi ripetuta d’abitudine. Non c’è da stupirsi che questa bestia abiti nella sua tana, perché possiede per tanto tempo i pensieri dei reprobi, fino a trafiggerne pure la vita con il pungiglione delle opere pravi.

IL POZZO

Il pozzo è la profondità della terra, dove il sole non giunge mai con i suoi raggi, in quanto proprio a causa della sua profondità, non può ricevere la luce del giorno. Il pozzo, la tana, la grotta, la caverna della terra, sono tutti la medesima cosa, perché qui gli uomini che camminano nelle tenebre di questo mondo, sono privi del sole della giustizia: Cristo, non vi diffonde la sua luce. Poiché essi sono nel profondo, cioè perseguono le ricchezze terrene, la luce della giustizia è loro nascosta. Lo stesso si dice per il pozzo quel che abbiamo detto della tana. In questo pozzo si nasconde il diavolo; da questo pozzo sono uscite le cavallette, cioè i demoni; e questo pozzo e le cavallette sono una cosa sola. Perché gli uomini malvagi hanno come condottiero il diavolo. Come dice il Profeta: « … ciò che il bruco ha lasciato, lo ha divorato la locusta; ciò che la locusta ha lasciato, lo ha divorato l’afide; ciò che l’afide ha lasciato, lo ha divorato il grillo » (Gioele I: 4). Qual è il significato del bruco, che trascina tutto il corpo strisciando a terra, se non la lussuria, che macchia così tanto il cuore, che non può più assurgere all’amore di una superiore limpidezza? Qual è il significato della locusta, che salta, se non la vanagloria, che si esalta con le sue vane presunzioni? Qual è il significato dell’afide, il cui corpo è praticamente ridotto solo all’addome, se non la golosità nel mangiare? Cosa si intende per grillo, che dà fuoco a tutto ciò che tocca, se non l’ira?

LA DONNA SEDUTA SULLA BESTIA

« La donna sulla bestia » è il vizio, le opere del male, i piaceri, la fornicazione, l’impurità, l’avidità, la gelosia, il furto, l’invidia, la vanità, l’orgoglio, l’ingordigia. Chi gioisce dei beni del mondo, chi non ha carità, chi non fa il bene ai poveri, chi affligge i servi di Dio con ingiurie ed oltraggi, chi non si separa dal suo, ma si impossessa dell’altrui, chi non va in Chiesa, chi testimonia il falso, chi rende il male per il male, chi augura la morte al nemico, chi pratica oroscopi ed incantesimi e porta amuleti, come quelli che gli ignoranti chiamano il segno di Salomone, o altri simboli simili che di solito si scrivono e si appendono al collo, e raccolgono erbe recitando il Credo, il Padre Nostro, o con incantesimo, e le donnine che guardano la tela di ragno o le impronte, e gli uomini che guardano la luna e il giorno per seminare, o per addomesticare gli animali, o per istruire i bambini, o per piantare alberi, o per eseguire un gioco, o per uccidere animali, o per spostarsi da un luogo all’altro, o per fare un viaggio, o sono attenti a non far nulla di lunedì; a non portare via qualcosa dalla casa. … niente fuoco, niente boccone. Tutte queste e altre cose simili sono invenzioni del diavolo, e stabilite dalla pratica di uomini pagani. Chi osserva ciò che abbiamo appena detto non è un figlio degli Apostoli, ma dei demoni, di cui imita le opere. Questa è la donna viziosa, che siede sulla bestia e che abbiamo precedentemente nominato. Questa è la donna che siede sulle acque, cioè sui popoli, come sta scritto: « la donna – dice – che avete visto, che siede sulle grandi acque, sono i popoli e le nazioni » (Ap. XVII, 15). Questa dottrina è sopravvissuta dalla riprovevole scuola dei pagani. Questo non è accettato dal dogma dei Padri e dalla Santa Madre Chiesa. Anche alcuni religiosi, con il pretesto della santità, spesso consultano libri e investigano su formule per sapere di cosa si tratti: li chiamano sortilegi dei santi. Queste ed altre cose come queste, sono state inventate da eretici e da pagani: ciò che non è basato sull’insieme dei libri, cioè del Nuovo e dell’Antico Testamento, è stato precedentemente condannato dalla santa dottrina e rifiutato dalla Santa Madre Chiesa. E a chi poco, a chi molto, essa dà da bere di questa coppa di idolatria. È d’oro il calice, perché [tali idolatri] si definiscono Cristiani, ma con queste opere che abbiamo visto riassunte nella Sinagoga, si separano da Cristo e dalla Chiesa; infatti come la Chiesa ha Cristo come Capo, questi hanno come capo il diavolo. E come la Chiesa forma un solo corpo con Cristo, così questi con il diavolo formano un unico corpo strutturato, e con la Chiesa Cattolica sembrano adorare un solo Signore Cristo, avere una sola fede ed un solo battesimo. La Madre Chiesa non li respingerà in questo mondo fino al giorno del giudizio, quando i campi saranno trebbiati e il grano sarà separato dalla pula, in modo che il grano sia conservato nel granaio e la pula bruciata nel fuoco inestinguibile.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (4)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (2)

(Voce che grida nel deserto Matth III, 3)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (2)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO PRIMO

[1] INIZIA IL TRATTATO DELL’APOCALISSE DI GIOVANNI con la spiegazione interpretata da molti dottori e da uomini illustri probatissimi, dei quali diverso è lo stile, ma unica la fede: dove saprete pienamente (ciò che si dice) di Cristo e della Chiesa; dell’Anticristo e dei suoi segni.

PROLOGO

[1]. Dovendo interpretare la duplice storia della legge divina, con il doppio segreto del mistero, la fragilità della nostra umanità non potrebbe narrare in altro modo se non mutuando dall’Autore stesso della sua legge – il Signore Gesù Cristo – il suo modo di parlare e le parole del suo linguaggio. Perciò, dovendo commentare l’Apocalisse di San Giovanni, invoco lo Spirito Santo che in essa dimora, affinché Colui che ha rivelato a Giovanni gli arcani dei suoi segreti, ci apra la porta della comprensione interiore, in modo da poter spiegare senza colpa e manifestare con verità – Dio docente – le quante cose ivi siano state scritte. Pertanto, l’inizio del libro di cui trattiamo, si descrive come segue: (*)

(*) Testo latino della Volgata e versione italiana di Mons. ANTONIO MARTINI RIVEDUTA E CORRETTA DAL P. MARCO M. SALES O. P. Professore all’Università di Friburgo (Svizzera)

(Apoc. I, 1-6)

Apocalypsis Jesu Christi, quam dedit illi Deus palam facere servis suis, quae oportet fieri cito: et significavit, mittens per angelum suum servo suo Joanni, qui testimonium perhibuit verbo Dei, et testimonium Jesu Christi, quæcumque vidit. Beatus qui legit, et audit verba prophetiæ hujus, et servat ea, quæ in ea scripta sunt : tempus enim prope est. Joannes septem ecclesiis, quae sunt in Asia. Gratia vobis, et pax ab eo, qui est, et qui erat, et qui venturus est: et a septem spiritibus qui in conspectu throni ejus sunt:  et a Jesu Christo, qui est testis fidelis, primogenitus mortuorum, et princeps regum terræ, qui dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo, et fecit nos regnum, et sacerdotes Deo et Patri suo: ipsi gloria et imperium in sæcula sæculorum. Amen.

[Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per far conoscere ai suoi servi le cose che debbono tosto accadere: ed egli mandò a significarla per mezzo del suo Angelo al suo servo Giovanni, il quale rendette testimonianza alla parola di Dio, e alla testimonianza di Gesù Cristo in tutto quello che vide. Beato chi legge, e chi ascolta le parole di questa profezia: e serba le cose che in essa sono scritte: poiché il tempo è vicino. – Giovanni alle sette Chiese che sono nell’Asia. Grazia a voi, e pace da colui, che è, e che era, e che è per venire: e dai sette spiriti, che sono dinanzi al trono di lui: e da Gesù Cristo, che è il testimone fedele, il primogenito di tra i morti, e il principe dei re della terra, il quale ci ha amati, e ci ha lavati dai nostri peccati col proprio sangue, “e ci ha fatti regno, e sacerdoti a Dio suo Padre: a lui gloria, e impero pei secoli dei secoli: così sia].

SPIEGAZIONE DELLA STORIA SOPRA DESCRITTA

[2] Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per far conoscere ai suoi servi le cose che debbono tosto accadere: Già dal fatto che si chiami Apocalisse, cioè rivelazione, si comprende come essa manifesti il senso recondito di cose segrete. Per questo non è possibile comprenderle, a meno che non ci sia qualcuno che ne riveli il senso. L’Apocalisse di Gesù Cristo che Dio ha concesso a lui, cioè al beato Apostolo Giovanni, per manifestarla ai suoi servi, affinché si intenda ciò che dice e si manifesti ciò che egli ha conosciuto. “… le cose che devono presto accadere”, indicando che esse debbano realizzarsi molto rapidamente, nel corso del tempo, nel suo senso e nel suo significato. “E mandò il suo Angelo per farlo conoscere al suo servo Giovanni”, cioè tutto questo non è stato concepito dal pensiero, né scritto come un poema immaginario, bensì comunicato da un Angelo, messaggero di verità, al suo servo Giovanni, il più santo fra tutti gli Apostoli: colui che ha testimoniato il Verbo di Dio, che ha annunciato il Figlio di Dio, che ha affermato la sua divinità ed ha reso testimonianza a Nostro Signore Gesù Cristo, a tutto ciò che ha visto in Lui e sentito da Lui. Così infatti scriveva nella sua Epistola: « Noi vi dichiariamo ciò che abbiamo visto e sentito e toccato con le nostre mani riguardo al Verbo di vita, e la vita si è manifestata … » (1 Gv. I,1). Benedetto colui che legge e coloro che ascoltano le parole di questa profezia e conservano ciò che vi è scritto. Desidera che si comprenda che la lettura non implichi l’osservanza dei Comandamenti, né che l’ascolto presupponga la perfezione dell’opera da compiersi, ma che alla perfezione si giunga quando ci si sforzi di mettere in pratica ciò che si è letto ed ascoltato. Perché il tempo è vicino. Non annuncia lontano il momento della remunerazione per chi vi si conformi, ma al contrario dice che il dono della ricompensa divina è vicino. Poi inizia le sue comunicazioni e dice: Giovanni alle sette Chiese dell’Asia. Come mai si è chiamato un tal grande uomo a manifestare il mistero della rivelazione divina ad una sola provincia e non a tutti i popoli, destinando i suoi scritti ad un numero così esiguo di Chiese di un’unica provincia? Ed infatti: … dal sorgere del sole al tramonto, il nome del Signore sia lodato ed in ogni luogo sia fatta una oblazione pura al Suo nome (Mal. I, 11). Si può allora mai credere che la rivelazione apostolica sia stata meritata da un solo popolo asiatico? Ed ecco che c’è mistero nel numero, ed un sacramento nel nome della provincia. Dobbiamo allora innanzitutto considerare il significato di questo numero, poiché i numeri sei e sette, che appaiono costantemente nella Legge, sono riportati per conferirvi un significato mistico. In sei giorni Dio fece il cielo e la terra e nel settimo giorno si riposò dalle sue opere (Es. XX, 11); ed in questo, di nuovo dice, entreranno nel mio riposo. Questa settimana, quindi, significa la situazione del secolo presente, per cui non sembra che l’Apostolo si sia rivolto a sette Chiese o a chiunque vivesse nel mondo in quel momento, ma che abbia avuto l’intenzione di destinare i suoi scritti a tutti gli uomini futuri fino alla consumazione dei tempi; pertanto ha citato un numero dal valore sacro e ha nominato l’Asia, che in latino significa “elevata”, o “che va verso l’alto”. Si si riferisce, quindi, alla patria celeste, a quella che noi chiamiamo Chiesa Cattolica, innalzata dal Signore e sempre in cammino verso l’alto, e che, progredendo nell’impegno spirituale, desidera incessantemente le cose del cielo. Sia a voi pace da Dio, che è, che era e che deve venire… – Come la Scrittura ha dichiarato il suo nome nel titolo, col dire: Giovanni alle sette chiese dell’Asia, così si conferma a Giovanni, con la similitudine delle parole, il proprio Essere, dicendo: Colui che è, Colui che era, e Colui che verrà. Perché è proprio di Dio l’esistere sempre: per questo Egli dice a Mosè: « Io sono Colui che sono » (Es. III, 14). E lo stesso Apostolo dice nel Vangelo: In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio con Dio (Gv. I, 1). Questo implica che il Verbo sia antecedente ad ogni inizio, perché esisteva già nel principio; e che non ha avuto un inizio, perché era con Dio; né ha una fine, perché … il Verbo era Dio; e rimane sempre, perché era nel principio con Dio; e dice che Egli stesso deve ritornare qui, da dove non è mai partito. Infatti è Lui che dice: « Io riempio il cielo e la terra » (Ger. XXIII, 24; Eccl. XXIV, 6). Per questo il Saggio dice: « Io solo ho traversato la volta del cielo » (Sap. 1, 7). Per lo stesso motivo è pure scritto sul suo Spirito: « Lo Spirito del Signore ha riempito la terra » (Is. LVI, 1). Ed ancora dice il Signore: « Il cielo è il mio trono e la terra è il mio sgabello » (Is. LXVI, 1). E di Lui è anche scritto: « Egli misura il cielo con la mano e afferra la terra con il pollice » (Is. XL,12). Certo, la sede di chi presiede è nel profondo ed in un luogo elevato. Misurando il cielo con il palmo della mano e afferrando la terra con il pollice (c’è un riferimento implicito alle misure di larghezza, il palmo ed il pollice), Egli mostra di essere fuori e attorno a tutte le cose che ha creato, poiché ciò che è chiuso dentro dipende da chi lo chiude dall’esterno. Perciò, dalla sede da cui presiede, Egli è dentro e sopra; con il pollice che afferra, è fuori e sotto; infatti Egli stesso rimane dentro a tutte le cose e fuori da tutte le cose, sopra tutte le cose, sotto tutte le cose: è sopra con il suo potere, è sotto col sostenerle. È fuori per la sua grandezza, e dentro per la sua sottigliezza. Sopra governando, sotto sostenendo, fuori circondando e dentro penetrando. E non è superiore da una parte, inferiore da un’altra, fuori da una e dentro in un’altra, ma è tutto in uno, Egli sostiene ogni parte presiedendo, sostenendo; penetra roteando, circonda penetrando. Così, chi presiede dall’alto, dal basso sostiene; chi è intorno da fuori, da dentro tutto riempie; imperturbabile governa dall’alto, dal basso sostiene senza sforzo; penetra di dentro senza consumare, circonda dall’esterno senza premere. E così, senza occupare un posto, è sia inferiore che superiore; senza avere un’estensione, è immenso; senza raggiungere l’annientamento, è sottile. Perché si dice che viene Colui che, pur non essendo mai presente con una massa corporea, a causa della sua illimitata sostanza, non è mai assente? Ma la sua venuta è giunta in quanto ha assunto una forma e si è annientato da se stesso. Il suo annientamento, venendo dall’invisibilità della sua divinità, è stato il mostrarsi visibile. Perciò dice bene: Colui che è, che era e che deve venire, perché rimane ed era, quando ha fatto tutte le cose con il Padre, e non ha avuto la sua origine dalla Vergine, ma certamente verrà a giudicare. … e dai sette Spiriti che sono davanti al suo trono. Ed ecco quel sacramento settenario che viene annunciato ovunque. Qui si presentano i sette spiriti, che sono sempre un uno ed un medesimo Spirito, cioè lo Spirito Santo: è uno nel Nome e septiforme per i suoi doni. Invisibile ed incorruttibile, impossibile da scoprire, ed il cui numero di “sette doni” Isaia manifesta splendidamente, dicendo: Spirito di sapienza e di intelletto,  (Is XI, 2), per insegnare con sapienza ed intelletto che Egli è il Creatore di tutte le cose. Lo Spirito di consiglio e di fortezza, con cui è progettato e realizzato. Lo spirito di scienza e di pietà, perché per mezzo della sua scienza governa con pietà le cose create e le dirige sempre con misericordia. Lo Spirito di timore del Signore, è il dono che mette a disposizione delle creature razionali il timore del Signore. Questa da venerare è dello Spirito la stessa santa proprietà, che, più che indicarne l’aspetto naturale, ne implica l’ineffabile lode. – … e da Gesù Cristo, il Testimone fedele, il Primogenito dai morti, il Principe dei re della terra. Avendo in precedenza menzionato il Verbo che, prima di assumere la carne, era nella gloria con il Padre, ne annette ora necessariamente l’aspetto umano nella carne assunta, dicendo: E di Gesù Cristo, il Testimone fedele, confessando così il suo Essere divino con l’assunta umanità, nonché il suo intervento – mediante la sua Passione ed il suo Sangue – a riscatto dei nostri peccati e per la purificazione da ogni iniquità. Così Egli offre una testimonianza fedele della nostra fragilità ed infermità a Dio Padre, nel quale « … non c’è variazione né ombra di cambiamento » (Gc. I,17). Il primogenito dai morti: infatti, primogenito dei morti, è risorto dai morti, non potendo la morte trattenerlo. Per questo l’Apostolo dice: « … Cristo come primizia, poi quelli che sono di Cristo alla sua venuta » (1 Cor. XV, 23), cioè noi dopo che siamo stati chiamati Cristiani per il Battesimo, risuscitando nella sua seconda venuta, risorgiamo dai morti. E quindi è chiamato il primogenito e la primizia dai morti, perché è stato il primo che vincendo l’inferno è tornato in Paradiso. Questo è il Principe dei re della terra, perché è il Re dei re ed il Signore dei signori. Egli è Colui che ci ha amati: perché non abbiamo noi ricambiato l’amore amando Dio, ma è Egli che ci ha amati per primo, diventando uomo in soccorso della nostra bassezza e prendendo la forma di servo, non essendoci nessuno come Lui sulla terra, poiché ogni uomo è solo un uomo, ma solo Lui è Dio ed uomo. Nessun uomo è infatti come Lui, perché anche se un “figlio adottivo” diviene partecipe della divinità, in nessun modo può iniziare ad essere divinizzato già nel corso della sua vita naturale. È stato poi giustamente chiamato servo, non avendo disdegnato di assumere la condizione di servo. E nell’assumere l’umiltà della carne, non arrecò ingiuria alla sua Maestà, perché l’ebbe ricevuta per associarla (ipostaticamente) e non per cambiare il suo stato; e non ha sminuito la sua divinità a causa dell’umanità, né ha distrutto l’umanità mediante la divinità.  – S. Paolo, infatti, vi fa riferimento quando dice: « … il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio » (Fil. II, 6). Egli non l’ha derubata, perché già la possedeva. E spogliatosi della grandezza della sua invisibilità, apparve come un uomo visibile, per rivestirsi della condizione di servo mentre per l’innanzi penetrava tutte le cose in modo incircoscritto a causa della sua divinità. … ed ha lavato con il suo sangue i nostri peccati. Mostra qui l’affetto del suo amore e della sua carità. Perché Egli, al quale non sarebbe toccata la morte, né per natura né per condizione mortale, ha voluto morire per noi e così,ha lavato con il suo sangue i nostri peccati.Ed ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre. Infatti avendo sofferto per noi e risorto dai morti, Egli stesso ha costruito il nostro regno affinché meritassimo di essere sacerdoti di Dio Padre. Ha fatto di noi un regno quando ha sofferto ed è risorto dai morti. A Lui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. A Dio, Creatore di tutte le cose, sia lode eterna e gloria in sempiterno.

TERMINA LA S PIEGAZIONE

COMINCIA LA STORIA

(Apoc. I, 7-11)

Ecce venit cum nubibus, et videbit eum omnis oculus, et qui eum pupugerunt. Et plangent se super eum omnes tribus terræ. Etiam: amen. Ego sum alpha et omega, principium et finis, dicit Dominus Deus: qui est, et qui erat, et qui venturus est, omnipotens. Ego Joannes frater vester, et particeps in tribulatione, et regno, et patientia in Christo Jesu: fui in insula, quæ appellatur Patmos, propter verbum Dei, et testimonium Jesu: fui in spiritu in dominica die, et audivi post me vocem magnam tamquam tubæ, dicentis: Quod vides, scribe in libro: et mitte septem ecclesiis, quæ sunt in Asia, Epheso, et Smyrnæ, et Pergamo, et Thyatiræ, et Sardis, et Philadelphiæ, et Laodiciæ.

[Ecco che egli viene colle nubi, e ogni occhio lo vedrà, anche coloro che lo trafìssero. E si batteranno il petto a causa di lui tutte le tribù della terra: così è: Amen. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e il fine, dice il Signore Iddio, che è, e che era, e che è per venire, l’onnipotente. Io Giovanni vostro fratello, e compagno nella tribolazione, e nel regno, e nella pazienza in Gesù Cristo, mi trovai nell’isola che si chiama Patmos, a causa della parola di Dio, e della testimonianza di Gesù. Fui in ispirito in giorno, di domenica, e udii dietro a me una grande voce come di tromba, che diceva: Scrivi ciò, che vedi, in un libro: e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia, a Efeso, e a Smirne, e a Pergamo, e a Tiatira, e a Sardi, e a Filadelfia, e a Laodicea.]

INIZIA LA STORIA

[3] Ecco, Egli viene tra le nuvole; ogni occhio lo vedrà, e anche quelli che lo trafissero. –  Colui che dapprima si è nascosto nel presunto uomo, si manifesterà poi con maestà e nella gloria per giudicare. Predice la sua morte e, come conseguenza della morte, la purificazione dai peccati, la sua risurrezione e la riparazione ventura di tutto quanto avvenuto per mezzo di Lui, il ritorno nella gloria e, proclamando la lode a Dio Padre Onnipotente, annuncia la sua seconda venuta: Egli tornerà nella stessa figura, con lo stesso corpo con cui ha patito, con cui è morto ed è risorto, stavolta nella sua Sovranità divina, non come un tempo nella umana umiltà, assunta a testimonianza dell’uomo vero, e che mostrerà agli occhi dei suoi persecutori. Come dice Zaccaria: « Essi guarderanno a colui che hanno trafitto e piangeranno per lui come per un figlio unico » (Zac. XII, 10), così anche qui si dice che tutte le razze della terra piangeranno per Lui. Sì. Amen. In altre parole, Egli manifesta fedelmente e con certezza che si tratta di una sola Persona: Dio e l’uomo assunto; e avendo reso manifesta la natura della sua umanità, proclama la gloria della natura divina, e lo dice con le parole stesse del Signore: Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e il fine, dice il Signore Dio, che è, che era, che deve venire, l’Onnipotente. Anche se i nostri antenati hanno trattato la questione con cura ed utilità, dobbiamo esporre ciò che si intende per  “peristera”, cioè la colomba, sotto la cui figura leggiamo che è apparso lo Spirito Santo quando il Signore è stato battezzato da S. Giovanni nel Giordano; questa “peristera” (περιστερα), nella numerazione greca, dà ottocento, che equivale all’ω, ritornando alla lettera alfa, che significa uno. Si dimostra così la divinità dello Spirito Santo nell’unità della Trinità. Che lo Spirito Santo stesso ci conceda i suoi favori affinché ci possa meritare di aggiungere qualcosa ai nostri maggiorenti. Prudentemente dobbiamo notare cosa significhino questi elementi dell’alfabeto, cioè la A e l’ω, che la “Verità” stessa cita. La figura stessa della lettera A, sia in caratteri greci che latini, è costituita da tre tratti che occupano le stesse dimensioni, cosicché, non a caso, i nostri antichi dicevano che rappresentasse l’unità della divinità. L’ω è scritta in greco con tre trattini uguali uniti e che in parte dipendono l’uno dall’altro. In latino, invece, la “O” è chiusa come la rotondità di un cerchio. Anche in questa chiusura la divinità si manifesta circondando e contenendo tutto. Inoltre, per quanto riguarda il soggetto degli elementi e delle lettere, questi elementi sono l’origine della scienza, ed una certa arte di condurre l’ignorante alla saggezza. Quindi l’alfa, è l’inizio della sapienza, e la stessa Sapienza manifesta Cristo, il Figlio di Dio, che è la Sapienza stessa; l’omega, che è la fine (in greco A ed ω) e presso di noi la “O”, che occupa una posizione intermedia. Ciò significa che l’inizio della Sapienza, la fine e la medianità, indicano lo stesso Signore Gesù Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini. Con quel che ha detto: “il principio e la fine”, non si riferisce solo ai principali elementi delle lettere, cioè alla A e all’ω, ma ci mostra la potenza della sua grandezza, perché Egli è l’inizio di tutte le cose ed in Lui si ricapitola il destino di tutti. Si crede infatti che attraverso di Lui saranno ripristinate quelle cose che devono essere concluse come quelle già conchiuse, così che, come Egli ha dato origine al principio, così darà fine alla nostra consumazione, tanto che il fine stesso avrà una fine e la consumazione stessa la sua consumazione, di modo che sarà sempre ciò che è, come dice la Scrittura presente, nel dire: Il Signore Dio, che è, che era e che deve venire, l’Onnipotente: Questo è scritto da San Giovanni all’inizio della sua rivelazione. – Ora procede con altro inizio cercando di accedere all’ordine stesso della rivelazione, raccontando la ragione, il come, il dove, ed in qual giorno, tutto ciò che ha detto dopo che il Signore gli ha mostrato quel che gli ha rivelato e quel che il Signore ha contemplato. Afferma tutto questo in senso multiplo, anche se con brevi parole. Scrive così l’inizio della sua santa rivelazione, rivolgendosi a coloro a cui parla, dicendo: Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella pazienza di Gesù, sono stato sull’isola chiamata Patmos, a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo. Come insegnavano gli storici della Chiesa, ai tempi di Claudio Cesare, nel tempo in cui scoppiò la carestia annunciata dal profeta Agabo negli Atti degli Apostoli (At. XI, 28) e durata dieci anni, Cesare stesso, in mezzo a quella tempesta, spinto dalla sua ordinaria vanità, decretò la persecuzione delle Chiese. In questo tempo ordina che pure lo stesso Giovanni, Apostolo di Nostro Signore Gesù Cristo, sia confinato in esilio; questa punizione sull’isola di Patmos è provata anche dalla presente Scrittura. – Infatti, per prepararsi alla sofferenza di quei tempi, ricorda che anch’egli partecipa alla sofferenza, e indica come ricompensa della tribolazione il regno e, per ricevere il regno, aggiunge di aver sopportato con la pazienza avuta per amore di Gesù. Poi racconta del luogo dove era stato trasferito, dicendo: ero sull’isola chiamata Patmos. Per spiegare il perché fosse stato condannato a tale pena, aggiunge: Per la parola di Dio e la testimonianza di Gesù, facendo intendere che egli a causa della predicazione del Vangelo e della testimonianza fedele che predicava al popolo sulla divinità di nostro Signore, fu punito con l’esilio e grandi tribolazioni”. E vivendo su quell’isola, dice, sono stato catturato dallo Spirito di domenica. Dice di essere stato assunto in spirito, cioè innalzato ai segreti di Dio, per contemplare ciò che dovrà dire; non dice di essere entrato corporalmente nel più alto dei cieli, ma di esservi stato introdotto in spirito, ricordando quella frase: « Nessuno sale in cielo se non colui che scende dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è nei cieli » (Ef. IV, 9). Anche l’Apostolo Paolo dice di essere stato rapito. Ma come? Così si esprime: Non so se nel corpo o fuori dal corpo; Dio lo sa » (2 Cor. XII, 2), dicendoci che è stato rapito dallo Spirito durante un’estasi. Qui, dicendo di essere stato assunto in spirito di domenica, ricorda di essere stato liberato dalle occupazioni del lavoro comune; infatti la domenica l’Apostolo non poteva che dedicarsi a cose e ad uffici sacri, sapendo che quel giorno è giorno della risurrezione del Signore, considerato pure il primo giorno della prima Creazione del mondo. – Anche in quello stesso giorno, a porte chiuse, Gesù si presentò ai suoi discepoli, ed essi pensarono di vedere uno spirito, udendo dal Signore: Toccate e vedete: lo spirito non ha carne né ossa, che aggiunse poi: Ricevete lo Spirito Santo. In quel giorno i santi Apostoli ricevettero lo Spirito con il quale i peccati sarebbero stati rimessi, per cui sarebbero diventati figli di Dio e sarebbe stato concesso ai credenti lo Spirito di adozione. Cinquanta giorni dopo, pure di domenica, questo (stesso Spirito) fu dato loro con maggiore pienezza onde battezzare nello Spirito Santo e fortificarsi per predicare il Vangelo di Cristo a tutti i popoli. Il beneficio era di natura apostolica, perché coloro che prima avevano ricevuto la grazia di perdonare i peccati, avrebbero ricevuta in seguito anche quella di operare i miracoli e, quella ancor più necessaria, della diversità delle lingue di tutti i popoli, in modo che nell’annunciare Cristo non avrebbero avuto bisogno di alcun interprete. – Lo proclamo io con audacia e in tutta libertà: dal momento in cui gli Apostoli hanno creduto nel Signore, hanno sempre avuto lo Spirito Santo. Ed infatti non potevano fare miracoli senza la grazia dello Spirito Santo. Ma poiché lo Spirito era tutto nel Signore, non risiedeva ancora pienamente negli Apostoli. Tuttavia, dopo che la grazia dello Spirito Santo venne infusa in loro, essi non hanno avuto paura dei tribunali, dei giudici o della porpora dei re, parlando in seguito liberamente ai governanti dei Giudei: « … Dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini » (At. V, 29); hanno resuscitato i morti, erano lieti in mezzo ai flagelli, hanno versato il loro sangue e ricevute le corone del martirio. Il giorno di Pentecoste ha avuto il suo prologo quando la voce di Dio si è fatta udire sul Monte Sinai, tuonando dall’alto. Nel Nuovo Testamento la Pentecoste è iniziata quando è stato dato lo Spirito Santo agli Apostoli. Lo stesso giorno la Legge fu data a Mosè. In quel giorno venne donata nel deserto la manna dal cielo, … per questo si chiama il “giorno del Signore”: in esso, astenendosi dalle opere servili e dalle lusinghe del mondo, è dunque opportuno dedicarsi soltanto ai culti divini, cioè santificando questo giorno nella speranza della nostra risurrezione, che abbiamo nella sua. Poiché, come nostro Signore Gesù Cristo è risorto il terzo giorno dai morti, così noi speriamo di risorgere nell’ultimo secolo in questo giorno del Signore (la domenica). E così in questo giorno si prega anche in piedi, segno della futura risurrezione. Questo fa tutta la Chiesa, che nel pellegrinaggio mortale di questo secolo si trova in attesa della fine del mondo, che si è manifestata in anticipo nel corpo del Signore Nostro Gesù Cristo, primogenito dei morti. – D’altra parte, in precedenza, prima di quel tempo, al popolo era stato imposto il sabato, per celebrarlo corporalmente, affinché servisse come figura; e viene interpretato come il riposo, perché prima della venuta di Cristo nostro Redentore, esso era il riposo dei morti e non c’era risurrezione per nessuno; e giustamente, come per il Signore esso fu il giorno in cui si era riposato dal compimento delle sue opere, in quello stesso giorno avrebbe anche riposato nella tomba. Tuttavia, la domenica è stata istituita non per i Giudei, ma per i Cristiani, a causa della Risurrezione del Signore. È questo un giorno di festa; è pure il primo giorno che, dopo il settimo, diventa l’ottavo giorno. In un tale giorno appunto, l’Apostolo entrò in cielo, nel giorno in cui sapeva che il Signore aveva compiuto tante cose. – In quello stesso giorno in cui resuscitò, diede la Legge per mezzo di Mosè. Mosè visse centoventi anni; per questo stesso motivo lo Spirito Santo discese su centoventi anime a Pentecoste (riunite per l’elezione di Mattia). Questa festa del Vangelo coincide con la festa della Legge. A questo scopo, il legislatore Mosè, poiché era conveniente che fosse suggellato e celato fino all’arrivo della sua passione, si coprì il volto con un velo e così parlò al popolo, volendo dimostrare che anche le parole della predicazione di Nostro Signore Gesù Cristo sarebbero state velate. Giovanni, però, celebrando la domenica, viene portato in spirito alla sede del Giudizio, affinché ciò che era stato suggellato dalla lettera della Legge, fosse reso manifesto dallo Stesso che l’aveva suggellato, da Colui che viene chiamato l’Agnello perché come ucciso. – E le cose che aveva velato attraverso Mosè, le ha rivelate attraverso Cristo, e mostrate in quelle cose rivelate a Giovanni. Per questo motivo, quella si chiama velazione e questa rivelazione. Ecco perché, ora che il volto di Mosè è scoperto e si manifesta, l’Apocalisse è detta rivelazione. Sono gli scrittori dei libri sacri che parlano per ispirazione divina e che sono i dispensatori dei precetti celesti a nostra istruzione. Si ritiene infatti che l’Autore di queste Scritture sia lo Spirito Santo. Infatti lo scrisse Egli stesso, dettando ciò che doveva essere scritto, attraverso i suoi Profeti.

Termina la spiegazione

(Apoc. I, 10-20)

Et audivi post me vocem magnam tamquam tubæ, dicentis: Quæ vides, scribe in libro: et mitte septem ecclesiis, quae sunt in Asia, Epheso, et Smyrnæ, et Pergamo, et Thyatiræ, et Sardis, et Philadelphiæ, et Laodiciæ. Et conversus sum ut viderem vocem, quae loquebatur mecum: et conversus vidi septem candelabra aurea: et in medio septem candelabrorum aureorum, similem Filio hominis vestitum podere, et præcinctum ad mamillas zona aurea: caput autem ejus, et capilli erant candidi tamquam lana alba, et tamquam nix, et oculi ejus tamquam flamma ignis: et pedes ejus similes auricalco, sicut in camino ardenti, et vox illius tamquam vox aquarum multarum: et habebat in dextera sua stellas septem: et de ore ejus gladius utraque parte acutus exibat: et facies ejus sicut sol lucet in virtute sua. Et cum vidissem eum, cecidi ad pedes ejus tamquam mortuus. Et posuit dexteram suam super me, dicens: Noli timere: ego sum primus, et novissimus, et vivus, et fui mortuus, et ecce sum vivens in sæcula sæculorum: et habeo claves mortis, et inferni. Scribe ergo quae vidisti, et quæ sunt, et quae oportet fieri post hæc. Sacramentum septem stellarum, quas vidisti in dextera mea, et septem candelabra aurea: septem stellæ, angeli sunt septem ecclesiarum: et candelabra septem, septem ecclesiæ sunt.

[ …udii dietro a me una grande voce come di tromba, che diceva: Scrivi ciò che vedi, in un libro: e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia, a Efeso, e a Smirne, e a Pergamo, e a Tiatira, e a Sardi, e a Filadelfia, e a Laodicea. E mi rivolsi per vedere la voce che parlava con me: e rivoltomi vidi sette candelieri d’oro: e in mezzo ai sette candelieri d’oro uno simile al Figliuolo dell’uomo, vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d’oro: e il suo capo e i suoi capelli erano candidi come lana bianca, e come neve, e i suoi occhi come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi simili all’oricalco, qual è in un’ardente fornace, e la sua voce come la voce di molte acque: e aveva nella sua destra sette stelle: e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli: e la sua faccia come il solfo (quando) risplende nello sua forza. E veduto che io l’ebbi, caddi ai suoi piedi come morto. Ed egli pose la sua destra sopra di me, dicendo: Non temere: io sono il primo e l’ultimo, e il vivente, e fui morto, ed ecco che sono vivente pei secoli dei secoli, ed ho le chiavi della morte e dell’inferno. Scrivi adunque le cose che hai vedute, e quelle che sono, e quelle che debbono accadere dopo di queste: il mistero delle sette stelle, che hai vedute nella mia destra, e i sette candelieri d’oro: le sette stelle sono gli Angeli delle sette Chiese: e i sette candelieri sono le sette Chiese.]

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SUA SPIEGAZIONE

E ho sentito dietro di me una grande voce, come di tromba, che diceva: Scrivi in un libro quello che vedi. Dei predicatori del Vangelo è stato scritto: « clama, ne cesses, quasi tuba exalta vocem magnam tamquam tubæ » [gridate ad alta voce, non abbiate paura, alzate la voce come tromba] (Is. LVIII,1); e di ciò che è detto dietro di me, il profeta dice: « sentiranno da loro la parola di Colui che li istruisce » (Is. XXX, 21). Tutta l’umanità, anche se innalzata all’altezza della santità dai decreti divini, equiparati alla voce divina, non è in grado di sopportare nello stesso tempo la presenza e la contemplazione del volto; ma, umiliata dalla fragilità della natura, ascolta le parole di Dio come se le provenissero dal di dietro. Pertanto, con il dire alle mie spalle, indica l’umiltà della umanità; una voce forte come una tromba, insegna come le parole divine godano di un maggiore timbro di saggezza, di una maggiore santità e di un suono più ampio che i sensi. Scrivi in un libro ciò che vedi; e si intende, perché quando si ascolta la parola divina, quando si ha la comprensione di ciò che è inaccessibile, non solo si aprono gli occhi, ma anche le orecchie, sì da vedere ciò che è nascosto, ed apprendere ciò che si intende; cosicché si ordina di scrivere nei libri ciò che si è visto. Di questo libro il Signore parla attraverso il profeta dicendo: « Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato ». (Ger. XXXI, 33). Questo è il libro in cui all’Apostolo si avverte di scrivere ciò che ha visto, si insegna ad instillarlo nel cuore degli ascoltatori ed a conservarlo nella memoria. Di questo libro dice il santissimo maestro dei gentili: « Voi siete la nostra carta, nascosta nei vostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini » (2 Cor. III, 2). E di quello che Giovanni scrive, gli vien detto pure a chi debba indirizzarlo: invialo – dice – alle sette chiese. Avendo già detto che la Chiesa è solo una nello svolgersi del mondo, cioè nel tempo fino alla fine del mondo, vediamo ora cosa indichino i nomi di quelle chiese, e quali insegnamenti contengano. Efeso – dice – Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea. Queste città hanno forse esse sole raggiunto la perfezione nella religione cristiana, oppure la loro voce si è diffusa su tutta la terra, e le loro parole fino ai confini della terra? C’è, tuttavia, in quei nomi un mistero che, per quanto Dio ci concederà, esamineremo con diligenza. Efeso significa la mia volontà o mio consiglio. Con questo si vuol rendere noto che l’intero sviluppo della nostra fede e la dignità della Chiesa Cattolica non sia da attribuire ad un merito umano, ma alla volontà ed ai disegni della grazia divina. Smyrne, poi, significa loro canto; e qual altro è il canto dei perfetti se non la dottrina celeste, la predicazione del Vangelo, e il progresso della Religione cristiana, ed una sonante confessione della Chiesa Cattolica? “Pergamo” significa colui che divide le sue corna; questo ci insegna che la comunità della Chiesa separa ed allontana l’insolenza delle potenze dell’aria, il cancro degli eretici e l’orgoglio dei potenti. Infatti il  “corno” è il potere o il cancro (= tumor). Tiatira, che è l’illuminata, significa che la santa Chiesa, dopo aver cacciato gli eretici, dopo i tumori dei potenti, dopo le potenze dell’aria, dopo aver resistito alle tentazioni, ha meritato la luce della giustizia. Sardi è il principio di bellezza, cioè la Chiesa che, avendo ricevuto il sole della giustizia, illuminata dalla luce della verità, possiede il principio della bellezza, vale a dire: il Signore Gesù Cristo, il cui germoglio brillerà sempre nella luce eterna. – Filadelfia, cioè colei che conserva aderendo al Signore, dopo aver ricevuto il Sole di giustizia, dopo la santa illuminazione, dopo lo splendore della santa bellezza, aderendo la Chiesa al Signore come premio, si conserva nella devozione inviolabile e nel culto divino. Laodicea, l’amata tribù di Dio o, come alcuni vogliono, colei che spera nella nascita. Ma entrambi significano che colei che per la bellezza della sua fede ha meritato il Sole di giustizia ed ha saputo aderire al Signore per la fede, è la tribù di Dio, amata, difesa, diretta dal Signore, e attende la sua nascita o la rigenerazione del Battesimo, o attende con umiltà e pazienza la gloria della Risurrezione. – Di tali gradazioni della Chiesa, questi sono i nomi distinti. E non senza motivo sono stati scritti i nomi delle suddette Chiese. Infatti, perché a colui che parla al mondo intero, gli si dice di scrivere solo a sette chiese? Questo è il mistero che il Signore ha voluto che colui con cui parlava capisse nel sacramento celeste: e che cioè in questi sette nomi designati, è contenuta la Chiesa di tutto il mondo, indicata sia dal numero mistico, sia dalla dignità di tutta la Chiesa. Ho visto ancora una volta quale voce mi parlava. La fragilità umana, corroborata dagli insegnamenti divini, volge il suo volto: e non dice di contemplare colui che ha parlato con sé, se non di vederne la voce, cioè di conoscerne il mistero della voce. Si contemplano quindi gli arcani misteri, ma non se ne vede il volto. E quando mi sono girato, ho visto sette candelabri d’oro. E quando ho conosciuto il mistero della voce, dopo la prima visione della voce, ho visto sette candelabri d’oro. Il candelabro che poggia su tre braccia (piedi) mantiene la totalità del corpo in posizione verticale, e questo corpo sovrapposto regge la lucerna luminosa. « E nessun altro fondamento può essere posto – dice l’Apostolo – se non quello già posto, che è Gesù Cristo » (1 Corinzi III:  11). « Da lui tutto il corpo è unito e tenuto insieme da ogni tipo di articolazione, nutrito dall’attività di ciascuno dei suoi membri, in modo che il corpo cresca e si costruisca nell’amore » (Ef. IV, 16). Questa è la verga di cui si detto: « dalla radice di Iesse scaturirà una verga » (Is. XI, 1). Su questa asta è posta la lucerna, cioè la luce della Chiesa Cattolica, affinché, ricevuta la verità di quella luce, essa produca la luce eterna e, con la professione unanime di un’unica fede, sia illuminata dalla luce della Maestà divina. Ed egli dice che sono sette [i candelabri]: riassume così la grazia septiforme dello Spirito Santo, che perdura lungo questa settimana del mondo. E che egli dica che siano d’oro, significa o che la forza della fede è irrorata dal sangue di Gesù Cristo, o la fede dei martiri nella Chiesa, che sono stati bagnati nel suo sangue rosso. E in mezzo ai sette candelabri d’oro, c’era uno come un figlio di un uomo, vestito con una tunica talare. Dice lo stesso, dopo aver vinto la morte, quando è salito al cielo, e questo corpo è stato unito allo spirito della sua gloria, quando ha ricevuto il potere dal Padre. Come un Figlio d’uomo che camminava in mezzo ai candelabri d’oro, come dice Salomone: « Camminerò in mezzo ai sentieri dei giusti » (Prov. VIII, 20). La sua vetustà è l’immortalità, origine della maestà. I sette candelabri d’oro sono le sette chiese che, quando sono unite come delle membra, formano un corpo unico. E l’abito del Figlio dell’uomo, cioè l’abito talare di cui ha parlato, descrive la Chiesa dalla quale era rivestito. Poiché il Figlio dell’uomo, e i sette candelabri d’oro, e le sette stelle, sono tutti un’unica Chiesa, e con sette membra formano un unico corpo: così come sappiamo che un uomo ha sette funzioni per mezzo delle membra, e cioè gli occhi, le orecchie, il naso, il gusto, il tatto, le mani ed i piedi, così si è parlato di sette funzioni delle membra che formano però un unico corpo. Ma nell’usare le allegorie, egli le divide in specie: così che in alcune specie manifesta chiaramente anche il genere, mentre in altre, a causa dell’eccessiva sottigliezza e dell’eccelso messaggio divino, non se ne può esprimere chiaramente il genere, che può essere più facilmente intravisto che espresso in parole. Divide infatti il genere in parti in tal modo: come l’arca di Noè, così è la Chiesa. L’arca nelle parti inferiori era larga, mentre nelle parti superiori era più stretta. Così chi segue la via ampia e spaziosa all’interno della Chiesa, non è considerato un uomo, bensì una bestia, ed infatti si dice che qui ci siano anche animali impuri accoppiati a due a due. Invece, gli uomini e gli uccelli abitano ai piani superiori. Egli chiama uomini gli esseri razionali; mentre per uccelli si intendono coloro che rimangono nella contemplazione della fede. Come noi crediamo che le otto anime, gli animali e gli uccelli dentro l’arca siano salvati, così nella Chiesa crediamo all’annuncio profetico: « E tu, o uomo di Giuda, e abitanti di Gerusalemme, vieni a giudicare tra me e la mia vigna » (Is. V, 3), e come Gerusalemme, l’uomo e la vigna sono una cosa sola: vale a dire la Chiesa: il vino del Signore Sabaoth è la casa d’Israele: e nella grande casa che è la Chiesa; infatti conclude dicendo: la vigna del Signore Sabaoth è la casa di Israele, e nella casa grande che è la Chiesa, ci sono vasi d’oro e di argento (2Tim. II, 20), ed i vasi stessi sono la casa di Dio. Ed ancora: « sono uscite da lei i portatori dei vasi del Signore » (Is. LII,11), cosicché i portatori stessi sono i vasi. Il re di Babilonia un tempo aveva portato via da Gerusalemme i vasi del Signore, destinati ai sacrifici ed ai sacri misteri, ma in seguito li riportò indietro insieme ai prigionieri e li ripristinò al loro uso; e per la misericordia di Dio, quando la prigionia fu finita, quegli stessi vasi asportati, e non rovinati, furono nuovamente impiegati nell’adorazione dei sacri misteri; il re di Babilonia è il diavolo, che ha portato in cattività l’infelice popolo giudaico di Gerusalemme – cioè la Chiesa – a Babilonia, che è la confusione della pravità eretica. Ma questa è anche la sorte dei vasi, cioè dei Sacramenti, che sono gli stessi Sacramenti che si amministrano nella Chiesa. Questi vasi furono trasferiti dal re di Babilonia insieme ai prigionieri. Così anche oggi nella Chiesa i sacerdoti eretici portano i nostri vasi a Babilonia, cioè nella confusione. Innanzitutto, il nome proprio di Cristo, per mezzo del quale si può dire di essere veri Cristiani: si trasmette la Legge, il Vangelo, l’Epistola, il Salterio, il Battesimo, l’Amen e l’Alleluia, il Credo e il Padre Nostro. Quando poi, abbandonata la confusione dell’ignoranza per il rispetto del Signore, il popolo si affretta a tornare sotto il giogo del Signore a Gerusalemme,  “visione della pace”, che è la Chiesa del Dio vivente, riporta con sé questi vasi, cioè i Sacramenti, non li cambia, ma li restituisce integri, e non li spezza per perfezionarli, ma li riporta al tempio e li usa per i servizi divini, in modo tale che il popolo si riempia di gioia per il ritorno di quei vasi che non solo non sono andati perduti, quando erano con loro, ma sono stati conservati integri, e quasi rinnovati in meglio, stando in mezzo agli empi. E non aboliamo il Vangelo, né distruggiamo l’Apostolo. Né tanto meno cambiamo l’Amen o l’Alleluia. Non ripetiamo il Battesimo. E, come abbiamo detto sopra, in alcune specie il genere è chiaro, mentre in altre è occulto, come dice Davide: « Signore, chi abiterà nella tua tenda? – E lo Spirito risponde – … chi ha mani innocenti e cuore puro » (Psal. XIV, 1). E come non c’è altra dimora per Dio sulla terra se non quella di “chi ha mani innocenti e cuore puro”, così ora nei sette candelabri si descrive la Chiesa del Figlio dell’uomo. Vestito, dice, con una veste talare, cioè con l’abito sacerdotale. Perché la veste talare è la veste sacerdotale, cioè la carne di Cristo, che non è stata distrutta dalla morte, ma che con la Passione ha indicato chiaramente il sacerdozio. Egli infatti è, come dice l’Apostolo: il principe dei pastori (1 Pt. V, 4). Di lui il maestro dei Gentili dice: « Tale è il Sommo Sacerdote che è adatto a noi: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, esaltato sopra i cieli » (Eb. VII, 26). Ed ancora dice Zaccaria: « Gesù sommo sacerdote, figlio di Josedech, vestito con abiti sordidi » (Zac. III,1). Di questo Gesù, sommo sacerdote, fu figlio Sirac e nipote Gesù, del quale si parla in Salomone (Eccl. L, 27). Infatti, come detto, nel Sacerdozio c’è tutta la Chiesa, perché non esiste sulla terra una sola realtà umana la cui natura non sia stata assunta da Cristo. E aveva cinto il petto con fascia d’oro. I due seni del Signore sono i precetti della Legge e la santa dottrina del Vangelo, come si legge nel Cantico sulla Chiesa la quale doveva venire da gente futura che non possedeva ancora Testamenti: « Abbiamo una sorella minore, e non ha ancora il seno. » (Cant. VIII: 8) Invece, alla madre delle Chiese viene detto questo: « I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli. (Cant. IV, 5). Le due gazzelle gemelle sono il popolo giudaico e quello dei gentili. I due seni, sono la Legge ed il Vangelo: quel che nella Legge fu annunziato, nel Vangelo venne realizzato. Parimenti è per le benedizioni dei seni di Maria, che sono stati veramente benedetti, poiché la Santa Vergine ha dato al Signore il nutrimento del latte: per questo una donna dice nel Vangelo: « Benedetto il grembo che ti ha partorito e i seni che ti hanno allattato » (Lc. XI, 27). E come si dice in Genesi: « con la benedizione dei seni e del grembo materno » (Gen. XLIX, 25). Anche qui è benedetto il grembo di quella vergine Madre che ha partorito Cristo Signore: di Lei si dice per mezzo di Geremia: « Prima di formarti e di conoscerti nel grembo di tua madre, e prima che tu nascessi ti ho consacrato » (Ger. I, 5); … e per mezzo di Salomone: « i tuoi seni, come grappoli » (Cant. VII,7). Perché, come abbiamo detto sopra, i due seni sono i due Testamenti, e le due gazzelle i due popoli che sono la Chiesa. In questa specie, quindi, si può vedere anche il genere, e nei Testamenti si può riconoscere la Chiesa, nella quale i Testamenti, da ciò che realizzano, formano la somiglianza: infatti i Testamenti non la pascono ma è la Chiesa che si nutre dei Testamenti; non sono i Testamenti a versare il sangue, ma i popoli che lo versano come l’uva pigiata. Ed ecco come frequentemente nelle Scritture si incontrano diverse classi di questo inciso, per cui chi compie un’azione riceve il nome di quel che realizza. Come anche, al contrario, il diavolo ed i suoi ministri sono chiamati morte ed inferno, perché sono per molti causa di morte e condanna all’inferno, come sta scritto: Dov’è il tuo pungiglione, o morte? (I Cor. XV, 55) Come anche il diavolo, che si chiama morte, possiede la morte ed il lago di fuoco, che è la seconda morte (Ap. XX, 14). Pure in questo libro leggiamo: il Vangelo eterno (Ap. XIV, 6): perché coloro che vivono secondo il Vangelo sono eterni; ed infatti eterno è il frutto degli insegnamenti, non gli insegnamenti stessi. Infatti l’insegnamento del Vangelo non sarà eterno: e se uno ti costringe a percorrere un miglio, fanne con lui due (Mt. V, 41), e cioè chi si affaticherà, sarà eterno. Così pure la carne ed il sangue non possono possedere il Regno di Dio. È per le opere, che noi crediamo che la carne regni, non perché si viva carnalmente. Così si dice anche del calice che lo contiene, ciò che contiene, « … quanto è bella il tuo calice che inebria, » (Psal. XXIII, 5). Ma il calice di per sé, non inebria nessuno, mentre questo fa il contenuto nel calice. « E il mondo vi odia » (Gv., XV, 19), e questo a causa di coloro che sono nel mondo. « E i giorni sono malvagi »: i giorni non possono essere malvagi, ma sono malvagi gli uomini che vivono nei giorni. Quindi, nei seni riconosciamo i due Testamenti, cioè la Chiesa che vive secondo i Testamenti. Ugualmente, nel Vangelo, il Signore parla del seme, o degli insegnamenti, o degli uomini: il nemico – dice – è venuto, (Mt. XIII, 19), e ha portato via ciò che era stato seminato nel cuore, cioè le parole degli insegnamenti. Nella similitudine seguente, invece, il Signore dice che « … il seme buono, questi sono i figli del regno » (Mt. XIII, 38). Qui dunque, non è in causa la parola dell’insegnamento, ma gli uomini stessi che si convertono con il seme dell’insegnamento. E quando dice: cinto il petto, questo cingersi è il segnale della passione, come quando ugualmente dice: quando sarai vecchio, un altro ti cingerà e ti porterà dove non vuoi andare (Gv. XXI, 18). La fascia d’oro rappresenta quindi la sua eterna potenza, poiché è il sangue versato nella passione del Signore. La colorazione di questa cintura, la diversità dei poteri ed i numerosi prodigi, rappresentano un unico e medesimo potere. La cintura d’oro è il coro dei Santi, provato come l’oro dal fuoco. La cintura, con cui si dice si cinga il petto, è la coscienza purificata ed il puro senso spirituale dato alle Chiese; cintura quindi nell’unità della Legge e del Vangelo, per il popolo giudeo ed il gentile. La sua testa e i suoi capelli erano bianchi, come la lana bianca o la neve. Nel capo si manifesta il candore. Infatti la testa di Cristo è Dio. Egli è il candore, per la bellezza della purezza che gli è connaturale, per la luce pura dell’Unigenito, per il puro splendore dello Spirito Santo e la bellezza immacolata della santità. Il capo della Chiesa è Cristo. Con i capelli bianchi ci si riferisce alla moltitudine degli albeggianti [i battezzati]. Sono essi paragonati alla lana, indicando le pecore; e alla neve, per l’innumerevole turba di candidati che si darà al cielo. E non senza ragione si chiama candore, che è simile alla lana bianca e alla neve, a motivo del perdono che si concede continuamente ai peccatori. Come sta scritto: « Anche se i tuoi peccati fossero scarlatti, biancheggeranno come la neve, e se rossi come il carminio, diventeranno come la lana bianca » (Is. I, 18). Questi sono pure la Gerusalemme che ogni giorno discende dal cielo: vale a dire che dal popolo santo nascono i Santi, e questo quando imitano i Santi; così come la bestia che sale dall’abisso, che è il popolo malvagio, si genera a sua volta dal popolo malvagio. E i loro occhi sono come una fiamma di fuoco. Si riferisce qui agli occhi del Signore che giudica per l’ineffabile prescienza. Con la inevitabile luce degli occhi, non senza ragione è designata una fiamma di fuoco: perché è scritto che « il nostro Dio è un fuoco divoratore » (Eb. XII, 29), che giudica cioè con giustizia e scruta i cuori; altrove gli occhi della Chiesa sono gli insegnamenti delle Scritture di Dio, ed altre volte lo Spirito Santo. Con gli occhi comprendiamo l’insegnamento del Signore, che è luce per gli ignoranti, come è scritto: « la tua parola è una fiaccola per i miei piedi » (Psal. CXVIII, 105). « Chiaro è il comandamento del Signore, illumina gli occhi (Psal. XVIII, 9). Ed i suoi precetti sono come il fuoco, come si dice di Giuseppe, che prefigurava il corpo del Signore, per bocca del profeta: « la parola del Signore lo aveva messo nel fuoco » (Psal. CIV, 19). E quel che dice essere come una fiamma di fuoco, è per gli increduli, per i quali nel giorno del Giudizio, gli insegnamenti del Signore saranno come il fuoco. Con ragione, quindi, gli insegnamenti di Dio sono occhi come fiamme di fuoco, che danno luce ai credenti e preparano il fuoco agli  increduli. Chiamiamo gli occhi lo Spirito Santo perché è attraverso di Esso che interpretiamo la Legge ed il Vangelo, così come è scritto: « le sue palpebre vagliano il giusto e il malvagio » (Psal. X, 4). Quando incontriamo qualcosa di oscuro nelle Scritture, apriamo le palpebre come nell’oscurità. E quando non comprendiamo, abbiamo le palpebre del Signore chiuse come nelle tenebre. E se lo Spirito Santo non è dentro di noi ad insegnarci, la lingua dei dotti lavora invano. « E lo stesso Spirito Santo intercede per noi con gemiti inesprimibili » (Rm. VIII, 26), come dice l’Apostolo, ed infatti ci fa gemere, affinché possiamo sempre pregare. E i suoi piedi sembravano come auricalco proveniente dal Libano, versato nella fornace. Chiamiamo i piedi del Signore: la natura umana, che Egli ha assunto a nostra salvezza: per questo lo chiamiamo misericordioso e compassionevole. L’auricalco prezioso che brilla nella fornace non è impregnato da impurità o da scorie, così come la carne purissima e perfetta dell’Umanità assunta, ricevuta dalla divinità e rimasta nella divinità, persiste senza i peccati della natura umana, lungi dalla colpa dei nostri ancestri. Questi piedi annunciano la pace e predicano la salvezza: la pace per gli Angeli e per gli uomini: la pace del popolo giudeo e gentile. « Egli è colui che ha fatto di entrambi i popoli uno solo » (Ef. II, 14), per essere tutto in tutti, salvezza del mondo e Re di ogni creatura. I piedi infuocati della Chiesa, li chiama infiammati a causa dell’afflizione subita degli ultimi tempi. Infatti i piedi sono la parte estrema del corpo, come la pietra staccata dalla montagna colpisce ai piedi il corpo dei regni del mondo (Dan. II: 34). Lo ha paragonato all’auricalco non senza ragione. Esso con un fuoco abbondante ed una ramatura, diventa di colore aureo. Ed il confrontarlo con il metallo prezioso del Libano non è cosa immotivata. Infatti il Libano è una montagna della Giudea. Per Libano si intende il candore del Battesimo. Giudea significa confessione: Cristiani e confessori si considerano essere la Chiesa. Per questo si insegna che in Giudea, cioè tra i fratelli, l’ultimo corpo di Cristo, quello cioè della fine del mondo, è sottoposto al fuoco soprattutto nei piedi: che questa fornace è proprio nella casa di Dio, ed i fedeli sono messi alla prova, lì dove anche il Signore è stato crocifisso e messo alla prova per noi. In Zaccaria il Signore stesso parla chiaramente, ed esige dal suo popolo sofferenze simili alle sue, quando ricevette la sua parte in sicli d’argento, cioè il prezzo della sua morte; e nella fornace – cioè nella sua casa, tra la sua gente, tra il suo popolo – ed ordina che siano gettati nel fuoco, per verificare se siano veraci. Come si legge: « Poi dissi loro: “Se vi pare giusto, datemi la mia paga; se no, lasciate stare”. Essi allora pesarono trenta sicli d’argento come mia paga. Ma il Signore mi disse: “Getta nel tesoro questa bella somma, con cui sono stato da loro valutato!”. Io presi i trenta sicli d’argento e li gettai nel forno della casa del Signore. » (Zac. XI, 12-13). Ed ancora: « Perciò così dice il Signore: Poiché vi siete tutti cambiati in scoria, io vi radunerò dentro Gerusalemme. Come si mette insieme argento, rame, ferro, piombo, stagno dentro un crogiuolo e si soffia nel fuoco per fonderli, così io, con ira e con sdegno, vi metterò tutti insieme e vi farò fondere; vi radunerò, contro di voi soffierò nel fuoco del mio sdegno e vi fonderò in mezzo alla città. Come si fonde l’argento nel crogiuolo, così sarete fusi in mezzo ad essa ». (Ez. XXII, 19-22). In questo libro non troverete altro che, all’interno della Chiesa, guerre, incendi, grandi tribolazioni e afflizioni che Dio si è degnato di rivelare alla sua Chiesa attraverso il suo Cristo, affinché possa evitare e fuggire dal mistero dell’iniquità, cioè dalle « spirituali nequizie nelle regioni celesti » (Ef. VI, 12), cioè all’interno della Chiesa: Soprattutto, affinché, con l’imminente separazione della tribolazione, il popolo di Dio sappia che dovrà sopportare per molti anni tali e tante disgrazie, tanto più perché non lo comprenderà, ma, sotto la guida dello Spirito di Dio, eviterà il male ogni giorno e con equanimità e pazienza sopporterà le afflizioni come l’oro provato nella fornace. La sua voce è come il suono delle grandi acque. Nella voce è rappresentata la Chiesa. Le acque in questo luogo, possono intendersi in due modi: i popoli e la dottrina celeste; i popoli, come si legge in questo libro, sono: le acquedice – che avete visto, dove siede la prostituta, con cui fornicano i re della terra, che sono i popoli e le nazioni (Ap XVII, 15). Ma qui le acque sono considerate la voce del Signore, e sono intese come i Santi del Signore. I predicatori della fede ed i maestri delle genti, per la grandezza della dottrina di Cristo e l’eleganza della loro voce, nonché per la santa dolcezza degli insegnamenti delle Scritture, sono comparati ad una moltitudine di acque che risuonano. Di queste acque è scritto: le nuvole tuonavano con un grande suono d’acqua (Psal. LXXVII, 18). Pertanto, possiamo considerare quest’acqua come i santi Dottori ed i Sacerdoti della Chiesa, le istruzioni divine e la sacra promulgazione della Legge e del Vangelo. Sono le nuvole che riversano questa dottrina celeste sulla terra assetata, cioè sul popolo ignorante: di queste il saggio disse: « Se le nuvole sono piene, versano pioggia sulla terra » (Eccl. XI, 3); cioè, se i Dottori hanno ricevuto le divine parole, certamente le comunicano al popolo. E teneva nella sua mano destra sette stelle: noi definiamo il Figlio la mano destra di Dio; ma in altro senso la sua mano destra è la moltitudine dei Santi; di cui è scritto: « le anime dei giusti sono nella mano di Dio » (Sap. III, 1). Le sette stelle che nomina, significano indubbiamente il tempo trascorso dall’inizio del mondo, e che durante questa settimana di sette giorni, attraverso la quale passa questo mondo, i Santi che sono esistiti dal primo inizio del mondo fino alla consumazione della morte, che esistono e crediamo che esisteranno, rimangono nella destra del nostro Dio e Signore. Questa è la Chiesa spirituale, che è a destra, alla quale Egli dice: « Venite, voi, benedetti del Padre mio, ricevete il Regno che è stato preparato per voi fin dalla creazione del mondo » (Mt. XXV, 34). Le sette stelle, quindi, le consideriamo i Santi nella loro globalità. – Queste sono le sette Chiese, che, riunite nella grazia settiforme dello Spirito Santo, costituiscono l’unica Chiesa. E dalla sua bocca uscì una spada a due tagli. Se questa spada esce dunque dalla testa, così certamente anche dal corpo. Con la spada a doppio taglio uscita dalla bocca, si insegna che Colui che ora manifesta al mondo intero i beni del Vangelo, è lo stesso che un tempo, attraverso Mosè, ha dato la conoscenza della Legge. L’Apostolo dice di questa spada: « la spada dello spirito che è la parola di Dio » (Ef. VI, 17). E in altro luogo: « … Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. » (Ebr. IV, 12). Noi crediamo che la spada di Dio sia la parola della Sua Legge, dei Suoi Comandamenti e della Sua dottrina divina. E poiché Egli giudicherà tutta l’umanità con la stessa parola, sia del Nuovo che dell’Antico Testamento, si dice che sia a doppio taglio e affilata da ogni lato, che serva così da arma per i fedeli e che uccida gli infedeli. Infatti la spada è l’arma del soldato: la spada uccide il nemico; la spada punisce il disertore; e per insegnare agli Apostoli, quando annuncia il giudizio, dice: « Non sono venuto a portare la pace, ma una spada » (Mt. X, 34). E dopo aver concluso le parabole, dice loro: « Avete capito tutto questo? » (Mt. X, 34). Gli risposero: ““. Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche ». (Matt. XIII, 51). Il nuovo: la parola evangelica; il vecchio: la Legge ed i Profeti. E questo è ciò che è pure uscito dalla sua bocca quando dice a Pietro: «  … va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una statera, cioè due monete. Prendile e consegnale loro una per me ed una per te » (Mt. XVII, 26). Allo stesso modo, Davide dice per mezzo dello Spirito: « Una parola ha detto Dio, due ne ho udite; » (Psal. LXII, 12), perché Dio ha decretato una volta, all’inizio, ciò che deve accadere fino alla fine. Infine, essendo Egli il Giudice nominato dal Padre, volendo insegnare che tutto sarà giudicato dalla parola della predicazione, dice: « Pensate che io vi giudicherò? La parola che io ho pronunciato sarà il vostro giudice » (Gv. XII, 47). La spada della sua bocca è il seme della parola, come ci dice attraverso Giobbe: « … io semini e un altro ne mangi il frutto e siano sradicati i miei germogli. » (Giob. XXXI: 8). Seminare a somiglianza della parola divina, diciamo che è predicare le parole di vita. E il profeta dice: « Beati voi, che seminate sopra tutte le acque. » (Is. XXXII, 20). Vide certamente che i Santi predicatori seminavano adattandosi a tutte le acque, che davano a tutti i popoli di tutto il mondo le parole di vita che sono come grano di pane celeste. Mangiare è essere soddisfatti delle buone opere, come dice il Signore: « il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato » (Gv. IV, 34). Ma se tralascia di fare ciò che ha annunciato, dice: « lasciate che qualcun altro mangi ciò che semino », come se dicesse chiaramente: ciò che la mia bocca dice, lasciate che lo realizzi qualcun altro e non io. In verità, il predicatore, le cui azioni contraddicono le sue parole, non gusta ciò che altri mangia, perché non si nutre della sua semina quando per cattiva condotta le sue parole difettino della rettitudine della sua vita. E tante volte i discepoli ascoltano inutilmente le cose buone, quando a causa della vita del maestro, esse vengono distrutte dagli esempi della loro condotta, e giustamente si aggiunge: i miei virgulti saranno strappati. Poiché la parola del dottore viene sradicata quando i nati dalla parola vengono uccisi dall’esempio, e coloro che sono generati da una lingua vigilante, vengono uccisi da una vita negligente. Non lasciate dunque che accada a noi – perché le nostre anime sono addormentate – ciò che è accaduto a quella donna al tempo di Salomone (1 Re III: 19) che uccise suo figlio mentre dormiva, mentre di solito lo allattava al seno quando era sveglia. Perché sicuramente i maestri che sono vigili nella dottrina, ma sonnolenti nella loro vita, uccidono i loro ascoltatori con il loro portamento sonnacchioso, che si nutrono delle veglie della predicazione e poi  dimenticano di fare ciò che dicono. Perciò, spesso, quando vivono in modo riprovevole e non possono avere discepoli con una vita degna di lode, cercano di appropriarsi degli altri, e volendo dimostrare di avere dei buoni seguaci, scusano la loro cattiva condotta al cospetto dell’opinione degli uomini e, a causa della vita dei loro subordinati, nascondono la loro negligenza letale: ecco perché la donna che ha soffocato il proprio figlio ha cercato poi quello di un’altra. Eppure la spada di Salomone ha trovato la vera madre. Perché sicuramente nell’ultimo giudizio l’ira del Giudice severo, deciderà di chi il frutto è vivo e di chi il frutto è morto. In questa vita si permette di dividere in due la vita del discepolo, quando a volte si permette ad uno di ottenere il merito davanti a Dio e all’altro di ottenere la lode davanti agli uomini. La falsa madre non aveva paura di uccidere colui che non aveva generato: i maestri arroganti, non conoscendo la carità, se non possono ottenere dai discepoli degli altri la più completa lode alla loro fama, proseguono crudelmente la loro vita. Infatti, soffocati dall’ardore dell’invidia, non vogliono che vivano coloro che vedono di non poter possedere. Ecco perché nella storia, la donna perversa esclama: non sia né per te né per me. Infatti, come abbiamo detto, coloro che vedono di non essere ossequiati per la loro gloria temporale, sono invidiosi che quelle stesse persone vivano per altri mediante la verità. Invece la vera madre esclama: lasciate che alfine sia figlio di lei e viva con la straniera; infatti i veri maestri permettono ai loro discepoli di dar lodi ad un altro maestro, purché non perdano l’integrità della loro vita. Ed è da questo eccesso di pietà che si riconosce la vera madre, poiché ogni magistero viene approvato con l’esame della carità. E solo ella ha meritato di ricevere colui che aveva lasciato nella sua interezza: e così i prelati fedeli, che non sono invidiosi che i loro discepoli lodino gli altri, ma lavorano a loro beneficio e profitto, riceveranno anche essi figli integri e vivi quando nell’ultimo giudizio otterranno le gioie del premio per la loro vita santa. – Abbiamo detto queste poche cose a mo’ di divagazione, per mostrare in che modo si estingue l’uditorio degli ascoltatori per la negligenza dei maestri. Ed infatti, tutti coloro che non vivono conformemente alle proprie parole con la propria condotta, sradicano coloro che hanno generato con la parola di giustizia. Ma come è stato riconosciuto vero questo figlio dalla spada di Salomone, che taglia in due, mediante il grido della vera madre, così anche per lo spirito di Gesù Cristo che ci istruisce, coloro che sono stati strappati alla madre ed affascinati dall’errore degli eretici, molte volte possono riconoscere la Chiesa madre che piange per loro. Quindi, è sufficientemente ed opportunamente dimostrato che quella rea donna sia stata una figura degli eretici o della Sinagoga, che uccidono i propri figli nutrendoli empiamente ed attirandoli con lusinghe, e persuadono gli altri fino a perderli. – E il suo viso, era come il sole quando splende in tutta la sua forza. Ordine ammirevole delle membra: dopo i piedi viene descritto il volto. Qui il suo volto è paragonato al sole. Ma è indegno e troppo basso, pensare che Cristo si possa descrivere con membri di vari colori o che il suo splendore sia paragonato al sole. Infatti, se si dice dei giusti che risplenderanno come il sole (Mt. XIII, 43), quanto è pericoloso dire che i giusti risplendano con il Signore per uno splendore simile, allorquando è Egli la loro chiarezza, e secondo i meriti delle loro opere, ognuno splende più dell’altro, come è scritto: una lampada si differenzia dall’altra per la sua luminosità (1 Cor. XV, 41). – Per quanto ne sappiamo, il Signore ha detto della sua luminosità: « Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. » (Mt. XXIV, 27). Senza dubbio, Colui di cui è detto: « il suo volto è come il sole » fece la sua apparizione, mentre parlava agli uomini faccia a faccia. Ma la gloria del sole non può essere paragonata alla gloria del Signore. Ed è a causa del sorgere del sole, del suo tramonto e del suo risorgere, proprio perché Egli è sorto, ha patito ed è risorto, che la Scrittura ha paragonato il suo volto allo splendore del sole. Dopo aver parlato dei suoi piedi infiammati, dice che il suo viso brillava come il sole. In altre parole, dopo le fiamme dell’ultima battaglia, nel giorno del giudizio si manifesta la gloria della Chiesa e, come dice il Signore, una volta che i covoni delle zizzanie dei peccatori saranno strappati dal suo regno per essere bruciati, allora « … i giusti brilleranno come il sole nel regno del Padre suo » (Mt. XIII, 43). Infatti, come la luminosità del sole, che non splende da sola, ma rimane luminosa per ordine di Dio, e diffonde all’intorno il bagliore della sua luce, così il volto del Signore, che riceve la sua luminosità non da altri, bensì dalla forza della propria potenza, non ha nulla di occulto, nulla di oscuro.

[5] Quando l’ho visto, sono caduto ai suoi piedi come un uomo morto. In precedenza ha detto che non si è girato nel vedere il suo volto, ma solo al sentire la sua voce. Qui, avendo osservato tutta la potenza della divinità e portato ad un certo volo dell’anima … « sono caduto – dice – ai suoi piedi come morto. » Spaventato dal timore della sua fragilità e della sua umiltà e sottomissione, è caduto, non rivolgendosi ad alcuna parte, ma arrendendosi con umiltà e fedeltà al Signore. Giovanni, che vedeva queste cose, rappresentava la figura di tutta la Chiesa … non solo Giovanni, ma anche i Profeti e gli Apostoli e tutti i Santi, che sono considerati la Chiesa, si umiliano come morti davanti a nostro Signore Gesù Cristo. Si dice che ci siano due modi per cadere: con la faccia a terra o all’indietro. Chiunque veda Dio cade faccia a terra, e quando cade, vede. Ma chi cade all’indietro, senza alcun dubbio, quando cade non vede. Si dice che Giovanni, che rappresentava la figura della Chiesa, sia caduto a faccia in giù; e dell’Anticristo – che rappresenta le membra di tutti i malvagi – si è detto che il suo cavaliere cada all’indietro. Per questo pure il patriarca Giacobbe, benedicendo i suoi figli, diceva: « Sia Dan un serpente sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero, che morde i garretti del cavallo ed il cavaliere cade all’indietro. » (Gen. XLIX, 17). Si dice, con queste parole di Giacobbe che mediante lo Spirito prevedeva il futuro, che l’Anticristo dovesse venire dalla tribù di Dan. Altri sostengono che questo sia stato scritto di Giuda, dal quale Cristo è stato tradito; e vogliono designare nel cavallo e nel cavaliere il Signore che, avendo assunto la sua carne, cade all’indietro per tornare alla terra da cui era stato assunto … e come Egli resuscitò il terzo giorno, Davide dice: « Non abbandonerai la mia anima all’inferno » (Psal. XV, 10). Ecco come vengono spiegati alcuni di questi testi. Altri, invece, si riferiscono a questa profezia dell’Anticristo e affermano che l’Anticristo proviene dalla tribù di Dan, proprio perché in questo testo si dice di Dan che è un serpente ed una vipera che morde. Per questo motivo, e non senza ragione, quando il popolo d’Israele si stabilì nei vari territori, il territorio di Dan venne situato principalmente verso l’Aquilone (cioè a nord): questo significa in verità ciò che aveva detto nel suo cuore: « dimorerò sul monte del Testamento, nelle parti più remote del settentrione, mi farò simile all’Altissimo » (Is. XIV, 13-14). Di questi dice anche il profeta: « … da Dan si sente lo sbuffare dei suoi cavalli; al rumore dei nitriti dei suoi destrieri trema tutta la terra. » (Ger. VIII, 16). Infatti, quando il diavolo possiede il cuore dei dottori più illustri, presiede la montagna del Testamento. Siede anche sulle pendici dell’Aquilone, perché possiede le frigide menti degli uomini. Egli non è chiamato solo serpente (coluber), ma anche “cerastes”. In greco corno, si dice « kerata », la vipera detta cornuta. Essa rappresenta giustamente la venuta dell’Anticristo perché, attentando alla vita dei fedeli con il morso velenoso della sua predicazione pestifera, si procura anche le corna del potere. Chi non sa che il sentiero è più stretto della strada? Si paragona perciò questo ad un serpente sulla strada, perché incita a percorrere in larghezza la vita presente, blandisce come se perdonasse. Ma lungo la via poi morde, poiché quelli ai quali offre la libertà, distrugge con il veleno del suo errore. Si fa pure “vipera nei sentieri”, per quei fedeli servi di Dio che incontra nella via stretta ed angusta che vede sospirare l’insegnamento celeste, e che camminano nei sentieri stretti, e non solo li incita con il male della sottile persuasione, ma li opprime con il terrore del suo potere, e dopo i simulati benefici della dolcezza, usa le corna del suo potere con la tristezza della persecuzione. Qui, in questo testo, il cavallo simboleggia questo mondo che, con il suo orgoglio, schiuma nella sua corsa del tempo finale. E mentre l’Anticristo pretende di dominare negli ultimi tempi del mondo, questa vipera si mostra mordendo gli zoccoli. Mordere gli zoccoli del cavallo significa raggiungerlo, ferendone la parte posteriore, in modo che il suo cavaliere cada all’indietro. Il cavaliere del cavallo è tutto quello che è vanagloria della dignità del mondo. Si dice che cada all’indietro e non con la faccia a terra, come si ricorda essere caduti Mosè, Daniele, Paolo e questo stesso Giovanni di cui parliamo. Cadere sul proprio volto significa riconoscere i propri peccati in questa vita e piangerli attraverso la penitenza. Cadere all’indietro, per quanto si può vedere, è lasciare improvvisamente questa vita a causa di una morte istantanea senza penitenza e senza temere i supplizi o le punizioni a cui si va incontro. E poiché i Giudei, imprigionati nei vincoli del loro errore, invece di Cristo, attendono l’Anticristo, Giacobbe giustamente nello stesso luogo si trasforma improvvisamente nella voce degli eletti dicendo: « Io spero nella tua salvezza, Signore! » (Gen. XLIX, 18). In altre parole, non come gli infedeli (che credono) nell’Anticristo, io credo fedelmente nel vero Cristo, quello che verrà per la nostra redenzione. Perciò gli uomini santi si esaminano con grande e diligente cura, e per non cadere mai nella corruzione del pensiero o delle opere, meditano incessantemente su quanto progrediscono ogni giorno. Così, come  Giovanni, che prefigurava la Chiesa, si è affidato al Signore con umiltà, anche il Signore è soddisfatto di questa adorazione fatta con pietà: … ponendodicela sua mano destra su di me, affermando: non temere! Non può dire questo a nessun altro, ma solo a colui che si mortifica ogni giorno nella penitenza e che, seguendo le orme del Signore, ne porta la croce. In tal modo premia la fede ed il fedele. Dà forza a chi è convinto non di incredulità, ma di ammirazione. Proibendo così di temere, a colui che tanto aveva amato, perché  volgeva lo sguardo alla contemplazione della sua potenza e applicava l’intuito della sua fede alla morte di Cristo, consola l’umile e gli dice: Io sono il primo e l’ultimo, il vivente; ero morto, ma ora sono vivo per i secoli dei secoli. Se avete ricevuto il fuoco del mia carità … la carità non viene mai meno (1 Cor. XIII, 8); ora che la paura è stata fugata, alzati in piedi e conosci quel che hai venerato. Io sono il primo afferma, cioè Io sono prima di ogni inizio, prima di ogni creatura. Prima che la terra si formasse, Io esistevo, Io sono l’inizio e la fine, e in me consiste il fine di tutte le cose, perché attraverso di me tutte le cose saranno finalmente restaurate. E vivo; Io che ero morto, ma ora ecco sono vivo, cioè perduro senza venir meno, Io che ho assunto la morte per la vostra salvezza: Ecco che Io sono vivo nei secoli dei secoli, vedete che ora vivo nell’eternità divina. Ed Io ho le chiavi della morte e dell’inferno. Vale a dire, voi avete in me le chiavi della morte, voi che siete morti, perché unica è la chiave della vita e della morte, per quelli che, vivendo male, sono rinchiusi nell’inferno, e per quelli che vivendo rettamente attraverso la penitenza, sono introdotti in paradiso. E Colui che dice: Non temere, ha potere certamente sulla vita e sulla morte. Il morto: infatti la Chiesa battezza i morti, a causa del peccato, con l’acqua e la penitenza, come dice l’Apostolo: « … che cosa fanno quelli che vengono battezzati come morti? se non resuscitare con Cristo? » (1 Cor. XV, 29). E ancora: « Se siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù » (Col. III, 1). A questi, quindi, che sono stati risuscitati con Cristo mediante la penitenza, Egli ha dato le chiavi del regno dei cieli, come dice: « A coloro ai quali perdonerete i peccati, saranno perdonati; quelli a cui riterrete i peccati, saranno ritenuti » (Gv. XX, 23). Quella che è la chiave dell’inferno, è pure la chiave del regno dei cieli: perché Colui che, quando i peccati sono perdonati, ha il potere di trarre dall’inferno, e di condurre al regno dei cieli, getta all’inferno coloro che ha cacciato dai cieli, essendo ritenuti i loro peccati. E così accade che unica e medesima è la chiave della vita e della morte. E colui che ha detto, ma ora Io vivo, dice anche: ho la chiave della morte e dell’inferno, per chiudere e per riaprire quando vuole: e ciò che è stato chiuso dalla morte, trasformato dalla resurrezione, è portato alla luce aperta. Il profeta Isaia ci istruisce circa queste chiavi, dicendo: « Gli porrò nelle sue mani le chiavi della casa di Davide; se Egli apre, nessuno chiuderà; se Egli chiude, nessuno potrà aprire. » (Is. XXII, 22). Perché la chiave è il Signore Gesù Cristo stesso, che ha aperto la porta della vita ed ha infranto l’ingresso della morte. Scrivi dunque quello che hai visto: che cosa c’è e che cosa verrà dopo. E così ha  manifestato non solo di parlare delle cose presenti, ma di ricordare anche le cose passate. Ed avverte di parlare a coloro che esistono, e di scrivere allo stesso tempo per coloro che nasceranno alla fine dei tempi. – Poi spiega anche la visione che sta narrando: il mistero delle sette stelle che vedesti nella mia mano destra, e dei sette candelabri d’oro, è questo: le sette stelle sono i sette Angeli delle sette chiese. Questo è quanto già abbiamo detto sopra: le stelle poste nella mano destra di Dio sono le anime dei Santi, o ugualmente l’intera congregazione degli stessi beati che sono esistiti e che esisteranno fino alla consumazione del mondo. Allo stesso modo, i sette candelabri sono l’unica e sola vera Chiesa, istituita nella settimana di questo mondo, che abbiamo detto essere fortificata dalla fede nella Trinità e confermata nel Sacramento del mistero celeste. Si pone un problema sugli Angeli, se non viene perfettamente spiegato. Si è detto che le stelle erano gli Angeli delle Chiese, e i candelabri sono le Chiese, che come è ben risaputo anche dagli uomini di Chiesa, non sono sette, ma questo indica la Chiesa settiforme, cioè perfetta, come sta scritto: « Una è la mia colomba, una è la mia perfetta » (Cant. VI, 8). Ma se essa è una, allora gli Angeli non dovrebbero essere sette. E se ce ne sono sette, forse solo queste chiese menzionate per nome hanno degli Angeli, mentre le altre chiese non ne hanno? Inoltre, dobbiamo chiederci cosa significhino questi Angeli, poiché ognuno di noi ha un Angelo incaricato di servirci, come dice il Vangelo: « I loro Angeli infatti vedono continuamente il volto del Padre mio che è nei cieli » (Mt. XVIII, 10).  – Si può lodare in modo più sublime i minori, come in altro luogo si è lodato col dire: « quello che avete fatto ad uno più piccolo di questi miei fratelli, lo avete fatto a me »? (Matt. XXV, 40). Se questi Angeli sono stati concessi e sono uniti a noi per custodirci e liberarci da ogni attacco, perché il proprio Angelo non poteva liberare l’Apostolo Pietro e gli è stato inviato un altro Angelo a liberarlo? Infatti dice: « Ora so che il Signore ha mandato il suo Angelo e mi ha strappato dalle mani di Erode » (Act. XII, 11). E non solo l’Angelo gli fu mandato, ma pure uscì, come è scritto: « … e tutti e due attraversarono una strada, e l’Angelo lo lasciò. » Ma qualcuno dice: gli è stato inviato l’Angelo designato per ciascuno di noi a liberarlo. Si può dire allora che se fossero stati in prigione tutti gli Apostoli, sarebbero stati inviati dodici Angeli? E non sarebbe stato un altro Angelo a liberarli, ma il loro. Ed allora come fa un Angelo solo del Signore a distruggere l’accampamento degli Assiri e a liberare così tutta Gerusalemme? O Giobbe che fu affidato ad un santo Angelo, e non al diavolo in persona, affinché non infliggesse sofferenza più di quanto gli era stato comandato? E se gli Angeli non ci sono stati dati per custodirci e liberarci, ma per insegnarci ed istruirci, quale funzione svolgerebbe lo Spirito Santo, di cui il Signore dice che, « quando verrà, ci insegnerà tutte le cose »? (Gv. XIV, 26). Cosa diremo anche qui per il fatto che il Signore abbia lodato gli Angeli custodi dei piccoli, come se i bambini avessero degli Angeli piccoli? E per quali meriti ha detto che gli Angeli vedono Dio? Degli Angeli stessi, o per quelli degli uomini ai quali si dice siano stati concessi per essere custoditi? Perché se è per loro merito che gli Angeli vedono il Signore, non è questo ciò che il Signore ha detto a lode dei piccoli. E se è per merito nostro che gli Angeli vedono Dio: prima di unirsi agli uomini essi dunque non lo vedevano? O i meriti degli uomini permettono di ricevere tali Angeli, che continuamente vedono e vengono da Dio? Non dico che questi siano di impari merito: si può dire, non certo senza tema di essere smentiti, che ognuno riceva l’Angelo nella misura della propria fede e della propria devozione. E più questa è grande, più degno e superiore sarà il suo Angelo nella contemplazione di Dio. E quanto uno più è da meno nella devozione, come ricompensa per la sua minor devozione, merita un Angelo minore nella contemplazione di Dio. Cosa avviene se la santità o la fede cresce e il demerito dei giusti diminuisce? Essi rimangono, o subiscono un aumento o un danno secondo la fede degli uomini? Ma se gli Angeli non subiscono alterazioni, l’uomo che cresce nella santità e giunge fino a portare frutto al trenta per cento o al cento per cento, porta con sé il suo Angelo, o lo lascia al primo passo? E se parlare di questo è infantile e volgare, e non si trova nelle Scritture divine, e non è lecito per noi pensarlo, dobbiamo chiederci con che tipo di lode siano stati lodati i piccoli, dicendo: « badate di non disprezzare uno di questi piccoli, perché i loro Angeli vedono continuamente il volto del Padre mio che è nei cieli » (Mt. XVIII,10). Ha potuto lodare i piccoli in modo più sublime, come li ha elogiati in un altro luogo, dicendo: « qualsiasi cosa abbiate fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatta a me »(Mt. XXV: 40). Non è forse meglio, o più sublime, o più degno di maggiore lode per l’uomo avere Cristo come fratello così che gli sia sempre custode ed anche co-erede, che Cristo si è degnato di avere come fratello, piuttosto che avere un Angelo custode che vede continuamente Dio? In questo modo, ognuno ha un Angelo. Sentite la voce del vostro Angelo, o l’Angelo vostro custode, al quale siete stati affidati, che ha una voce, così che sentiate la voce di Pietro che dice: non è Pietro, ma il suo Angelo? Non può essere che una tale congettura ci dia l’occasione di provocare un errore? Ma sembra a me che l’Angelo dell’uomo sia la sua anima, cioè l’uomo interiore, che con cuore puro contempla continuamente Dio attraverso la fede. Come dice il Signore: Non basta dire: « Benedetto colui che viene nel nome del Signore » (Lc. XIII, 35): se non crederai e non porterai la mia croce e mi seguirai.  E a Filippo dice: « Chi vede me, vede il Padre mio » (Gv. XIV, 9). Perciò quando parla dell’Angelo dell’uomo, intende l’uomo stesso. Quindi dovete capire che le Chiese ed i loro Angeli sono la medesima cosa. Questo non è solo proprio del mistero, ma è anche una consuetudine il dividere una cosa fra tante cause; per esempio, diciamo: gli uomini di Chiesa, mentre gli uomini stessi sono la Chiesa. Lo stesso è per gli Angeli, lo stesso sono le stelle, lo stesso sono i candelabri. Tutto questo rappresenta una sola Chiesa; ma per il Sacramento dei misteri sono divise in parti. Per questo il Signore dice: « La mia anima è triste fino alla morte » (Mt. XXVI, 38). Sembra, quindi, che uno sia colui che parla e altri l’anima di colui di cui si parla, come quando l’anima stessa dice: la mia anima è triste, e non dice: io sono triste. Se è così, allora, è questo il modo di parlare, cioè il dividere ciò che è uno in molti di più, nel mistero del Sacramento e di oscurare la grazia della cosa, in modo che ciò che si dice per mezzo di un mistero, e perciò occulto, lo si comprenda allegoricamente. L’allegoria è il significato di un qualche cosa che suoni in un certo modo nelle parole, mentre si debba intendere come un mistero, cioè come cosa occulta e spirituale. Così come si dice in Isaia:  « Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, dragoni e struzzi, sirene e piccoli dei passeri,  perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. » (Is. XLIII,19). Ma cos’è il deserto, dove Dio si fa strada, o qual è questo luogo arido, dove ha promesso di creare fiumi, se non i popoli in cui Cristo ha aperto una via di vita, ed ha fornito loro abbondantemente acqua di salvezza? E quali sono pure le bestie che glorificano Dio? Cosa sono le sirene e i piccoli dei passeri? A quale gruppo di eletti si darà da bere, se non ad uno solo, a quello di cui abbiamo parlato sopra, a quelli cioè che seguono Cristo con fede retta ed opere di giustizia? Affinché possiate interpretarlo attraverso il mistero, e capire che è uno solo, si può comprendere che l’Angelo e la Chiesa siano una cosa sola. In questo senso non c’è nessun problema tra i greci; ma tra noi vi è dubbio se l’Angelo della Chiesa sia in genitivo o dativo. Infatti, è chiaro loro che egli non ha detto “all’angelo di quella Chiesa”, ma “all’angelo (dativo) Chiesa”, cioè al Vescovo della città, così che sarebbe ovvio che egli non stesse parlando (separatamente) all’Angelo ed alla Chiesa, volendo esporre chi fosse l’angelo, dicendo: τω Αγγελω τη εκκλησια εν εφεσω γραψον (to agghelo te ecclesia en efeso grapson) in greco. In latino, tradotto: scrivi all’Angelo, cioè alla Chiesa, che è in Efeso (Epheso scribe). Questo può essere tradotto anche al plurale, come, ad esempio: scrivi agli Angeli, alle Chiese che sono in Asia (Angelis Ecclesiis, quæ sunt in Asiis, scribe). Allo stesso modo, il Salmo dice al plurale, riferendosi solo ad uno: « In sole posuit tabernaculum suum in eis (= Nel sole pose in essi una tenda » – Psal. XVIII, 6). Ha espresso quel che c’è nel sole dicendo “in loro”, anche se il sole e la tenda in loro è una cosa sola. Ma abbiamo anche un problema per il fatto che all’inizio del libro non ci si rivolge ai sette Angeli, ma alle sette chiese. Così dice: « Giovanni alle sette chiese che sono in Asia » (Apocalisse I: 4); e il Signore gli disse: « Scrivi in un libro le cose che hai visto e mandale alle sette chiese » (Apocalisse I: 11). Ma poi ordinò di scrivere agli Angeli, per insegnare che gli Angeli e le Chiese sono la stessa cosa. Infatti “àngel” in latino significa « messaggero », e la Chiesa « convocazione », perché convoca tutti ad essa per la penitenza. Davvero comanda agli Angeli di fare penitenza? No, bensì alle Chiese. E i sette candelabri sono un candelabro unico settiforme, a sette braccia. Per questo il Signore dice nel Vangelo: « Non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma su un piedistallo, e così darà luce a tutti quelli che sono in casa » (Mt. V, 15). Con “moggio” ci si riferisce ai beni temporali; con “lampada” si indica la luce della predicazione. Il “candelabro” rappresentava gli uomini. Mettere la lampada sotto il moggio, vuol dire nascondere la grazia della predicazione per un guadagno temporale, cosa che certamente nessun servo di Dio fa; perché, come abbiamo detto, il candelabro è ogni uomo: si pone una lampada sopra in alto quando questi si dedica al servizio della predicazione. – Questo è l’Angelo ed i candelabri, cioè l’annuncio della predicazione, e l’uomo a cui è annunciato. In un altro luogo leggiamo che unico è il tronco da cui sono usciti sette, così come il Signore ha ordinato a Mosè di fare, e riporlo nel tabernacolo, affinché bruciasse continuamente (Es. XXVII, 20). Il candelabro a sette bracci rappresentava la figura dello Spirito Santo che, con la sua grazia settiforme, illumina tutta la Chiesa che si mantiene ferma nell’unità della fede. Oppure in questo candelabro riconosciamo Cristo, che sostiene le sette Chiese, in cui brilla lo splendore settiforme dello Spirito Santo. A questo candelabro sono fatti gli smoccolatoi (Es. XXV: 38), che in Isaia (Is. VI: 6) sono chiamati “molle” (forcipes). Questi sono i due Testamenti, mediante i quali vengono purificati i peccati. Del candelabro che è fuori dal velo della Testimonianza che si dispiega, è comandato di bruciare, mentre ora, senza il velo dell’Antico Testamento, la verità dello Spirito Santo risplende. E l’olio che il Signore ha ordinato di trarre dagli ulivi, significa la grazia stessa dello Spirito Santo. Essi possiedono in sé la pace e la misericordia per la venuta del Salvatore, che così si accende nei nostri cuori. Certo, in ognuna di queste chiese Egli si riferisce a tutte, perché non ha detto: « ciò che lo Spirito Santo dice alla Chiesa, ma alle Chiese » (Ap. II, 7). Perché la Chiesa degli Efesini non era l’unica il cui candelabro dovesse essere spostato dal suo posto se non si fosse pentita; né si prometteva solo alla Chiesa di Smirne: « non temete ciò che soffrirete »; né che solo Pergamo sia il trono di satana, o che solo in essa e non dappertutto sia il trono di satana, cosicché se non vi pentirete, Egli vi purificherà con la spada della sua bocca; né si limita a minacciare gli adulteri solo di Tiatira, esortandoli a conservare ciò che hanno fino al suo ritorno; né si limita a dire solo a quelli di Sardi: se tu non stai attento, io verrò come un ladro, e non saprai da dove verrò; né ha aperto una porta solo per Filadelfia, né ad essa sola promette protezione nella prova che verrà a vagliare tutti gli abitanti della terra; né minaccia di vomitare dalla bocca solo il tiepido di Laodicea: in verità, la Chiesa di Cristo non era allora solo in questi luoghi, ma nel numero sette c’è tutta la sua pienezza. E come è di consueto nel mistero divino, il genere è incluso nella specie, e questo per similitudine comprende ogni cosa. E così anche l’Apostolo Paolo scriveva a sette chiese, che non erano le stesse a cui scriveva Giovanni. Egli chiama la Chiesa “Angelo”: e si insegna che in essa ci sono due parti, quando se ne loda una, e se ne rimprovera l’altra. In quello che dice, è chiaro che, all’interno delle stesse chiese, la parte che viene rimproverata non è la stessa che viene lodata. Così pure il Signore nel Vangelo ha chiamato tutto il corpo dei prepositi, un solo corpo. In latino, i pre-posti sono chiamati vigilantes; in greco, sono chiamati “Vescovi”. Infatti la parola “vescovo” ha qui la sua origine, perché chi è posto in cima guarda dall’alto, prendendosi cura, ponendo attenzione nei confronti dei sudditi. Il termine “scopein” in greco, corrisponde al latino “guardare”: questo è il guardare dalla torre di guardia, osservare, sapere cosa sia successo nel passato, cosa accadrà nel futuro e cosa dovrebbe essere ordinato nel presente. Questo guardiano è chiamato nella Chiesa “preposto” perché discerne e veglia sulla vita e sui costumi di ciascuno dei popoli posti sotto la sua autorità. Il Signore avverte questo servo nel Vangelo quando dice: « Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, arriverà il padrone quando il servo non se l’aspetta e nell’ora che non sa, lo dividerà, e porrà la sua parte tra gli ipocriti » (Matth. XXIV, 48 segg.). Non dice che lo elimina, ma che lo separa, cioè lo segrega dai Santi. Perciò ha chiamato tutta la Chiesa un corpo unico. E Cristo è il capo della Chiesa, e i membri sono tutto il popolo, e l’occhio della Chiesa è il Vescovo. Per questo lo si chiama il “guardiano”. La mano della Chiesa è il Presbitero, cioè il più anziano, e anch’egli, unito quasi in dignità con il Vescovo, è partecipe dei misteri del corpo e del sangue di Cristo. Lo si chiamano “mano”, perché attraverso di lui, i Vescovi svolgono il compito di santità per tutte le chiese, che cioè è tutto il popolo. Il “piede” della Chiesa è il diacono; si chiama piede, perché è certamente attraverso di lui che i Sacerdoti svolgono il servizio di santità. Si ordina di tagliare questi membri se scandalizzano la Chiesa, come la Verità manifesta nel Vangelo: « se l’occhio, la mano o il piede vi scandalizza, toglietelo, tagliatelo e gettatelo via » (Mt V, 29). Quando il Signore arriverà, Egli stesso lo separerà e metterà, non tutto il servo, ma parte di esso, con gli ipocriti. Ha detto la “sua parte”, perché questi erano battezzati, e sembrano persino fare ciò che sia giusto all’interno della Chiesa. A partire, poi, dall’inizio del libro, fino alla fine, egli espone chiaramente le future guerre intestine, cioè la lotta all’interno della Chiesa, ed i membri della settiforme Chiesa nel momento attuale – nei comportamenti opposti – e in ciò che conviene succeda dopo, dimostrare il futuro; non dice: scrivi ciò che sta accadendo, o ciò che è già accaduto, ma ciò che conviene fare. Egli indica che il raccolto maturo cresce insieme alla zizzania, e comanda ai lavoranti di spaventare le bestie e gli uccelli. Quindi, in tutte queste sette Chiese, che è una sola Chiesa, possono accadere le cose che abbiamo detto. Ma se ne scrive a sette, è per la qualità della loro fede e della loro carità. – I: Ha scritto a coloro che lavorano nel mondo e agiscono nella fragilità dei loro sforzi, e che sono pazienti. E vedendo questi uomini, come abbiamo detto, alcuni dei quali sono generosi e ben disposti verso la Chiesa, pur tuttavia pestiferi, affinché non siano disperati, e sopportino nella misura delle loro forze, li ammonisce, nella prima Chiesa di Efeso, circa la carità e l’amore, cosicché chi è più paziente corregga chi manca di fede, amando e castigando, perché si faccia penitenza. – II: Attraverso la Chiesa di Smirne invece, consiglia a coloro che vivono in luoghi impervi, tra persecutori ed uomini malvagi, di sopportare e perseverare nella loro fedeltà. Egli dice loro: non temete per quello che soffrirete. – III: A coloro che, con il pretesto della compassione, commettono peccati illeciti nella Chiesa, e li ostentano agli altri dice, attraverso la Chiesa di Pergamo: tu sei il trono di satana. – IV: A coloro che sono deboli all’interno della Chiesa, dice alla Chiesa di Tiatira: « Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione » – V: A coloro che invece sono negligenti nella Chiesa e non vegliano sulla salvezza delle loro anime, che sono tiepidi e pigri e Cristiani solo di nome; dice, per mezzo della Chiesa di Sardi: « … se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora verrò da te » – VI: Od a coloro che sono poco istruiti, cioè ignoranti delle Scritture, non ne intendono nulla, ma sono umili e tengono stretta la loro fede: il Signore promette attraverso la Chiesa di Filadelfia, la tutela nella tentazione ventura. – VII: Infine a coloro che sono versati nelle Scritture e si sforzano di conoscerne l’arcano, cioè il senso occulto, ma non vogliono compiere l’opera di Dio, cioè la misericordia e l’amore, a tutti questi consiglia la penitenza, e a tutti loro annuncia il giudizio futuro. – E nella prima lettera dice: Conosco la vostra fatica, le vostre opere e la vostra pazienza, cioè so che lavori ed operi: vedo la tua pazienza; e non posso stare lontano da te; … e che non puoi sopportare i malvagi e che hai scoperto l’inganno di coloro che si chiamano Apostoli, senza esserlo, ed hai pazienza per amore del mio nome. Tutto questo non è un elogio da poco. Ma tali soggetti, tale classe, tali uomini di elezione, è bene che siano consigliati, per non essere privati dei beni che sono stati loro conferiti. Ha detto di avere qualcosa contro di loro. Ho poco,  dice – contro di te, ma hai perso – continua – il tuo amore di un tempo: renditi conto da dove sei caduto. Chi cade, cade dall’alto; per questo ha detto, da dove, perché fino alla fine dobbiamo compiere opere di carità, ciò che è il comandamento principale. Infine, se gli atti non sono fatti con amore, si minaccia di togliere il candelabro dal suo posto, cioè di disperdere il popolo. Così anche voi odiate coloro che detengono la dottrina dei Nicolaiti. Infatti dice che detestano la condotta dei Nicolaiti, che anche Egli detesta. Questo appartiene alla sua lode. I Nicolaiti dell’epoca erano uomini falsi e malvagi che traevano il loro nome dal diacono Nicolas. Avevano inventato un’eresia con l’esorcizzare ciò che veniva offerto in libagione, cioè ciò che era immolato in sacrificio, per poterlo mangiare. E ritenevano che tutti coloro che fornicavano ricevessero il perdono dopo otto giorni. Per questo loda coloro ai quali scrive, e a questi uomini di tali qualità e così eccellenti, promette di dar da mangiare dall’albero che è nel paradiso del loro Dio. Questa è la Chiesa di Efeso. La seguente lettera è stata inviata al gruppo successivo, con ordine e procedura diversi. Dice: Conosco la tua tribolazione e la tua povertà, tuttavia sei ricco. Il Signore conosce infatti le ricchezze che sono nascoste e la calunnia dei Giudei, che dice non essere tali, bensì confessori della sinagoga di satana, perché sono uniti all’Anticristo e costituiscono la congregazione del diavolo; a questi dice: « Siate fedeli fino alla morte, e il vincitore non soffrirà la seconda morte, cioè non sarà punito nell’inferno ». Questa è la Chiesa di Smirne. Alla terza classe di Santi dice che essi sono uomini coraggiosi nella fede e che non temono le persecuzioni. Ma siccome c’è chi è incline alle illecite unioni, dice: li combatterò con la spada della mia bocca. Infatti Io dirò ciò che ho comandato e vi accuserò di ciò che operate. È noto infatti che la dottrina di Balaam, che insegnava a Balak a dare scandalo ai figli di Israele, un tempo era quella di mangiare carne sacrificata agli idoli e di commettere fornicazione. Questo è il consiglio che ha dato al re dei Moabiti, che scandalizzavano il popolo. Così anche voi, dice, avete tale dottrina e, con il pretesto della misericordia, inducete al vizio gli altri. Al vincitore – dice – darò la manna nascosta e la pietruzza bianca. La manna nascosta è l’immortalità. La pietruzza bianca è l’adozione a figli di Dio. Il nuovo nome scritto sulla pietra è Cristiano. Questa è la Chiesa di Pergamo. Il quarto gruppo sottolinea la nobiltà dei fedeli, che lavorano e compiono ogni giorno opere grandi. Ma Egli insegna e rimprovera che lì ci sono anche uomini propensi ad offrire una pace illecita e a dar retta a nuove profezie; mette in guardia anche gli altri, ai quali questo non aggrada, affinché riconoscano la malvagità del nemico, che pretende di introdurre i pericoli del male e del dolore nella mente dei fedeli, e loro dice: Non vi ho dato nessun altro peso, cioè non vi ho dato prescrizioni o fardelli, né profezie nuove ed illecite, che non convengono alla Chiesa, e che sarebbero un altro carico; cosicché possiate conservare ciò che avete, cioè affinché ciò che è scritto ed è giusto lo possiate compiere fino al mio ritorno, e dice: Darò al vincitore il potere sulle nazioni, cioè lo farò giudice tra gli altri Santi; e gli darò la stella del mattino, cioè la prima risurrezione, vale a dire la promessa, e mentre sarà presente nel mondo, nella penitenza, gli toglierò l’ignoranza della notte. La stella del mattino è Cristo. Gli darò – dice – la luce del mattino che fuga la notte ed annuncia la luce, cioè l’inizio dell’eterno giorno. Il quinto gruppo è il gruppo o la comunità di Santi. Si riferisce ad uomini che sono negligenti e che nel mondo portano avanti un comportamento diverso da quello che è conveniente, essendo Cristiani solo di nome. E così li esorta in modo tale che, pentendosi della loro negligenza, possano raggiungere la salvezza. Sii vigilante – dice – e ravviva ciò che ti è rimasto e che sta sul punto di morire; perché non ho trovato le tue opere perfette agli occhi del Signore. Perché non basta che l’albero viva se non porta frutti. Né basta chiamarsi Cristiano, confessare Cristo, e non avere Cristo nelle opere, cioè non eseguire i suoi comandi. Il sesto gruppo è la comunità di coloro che hanno scelto il meglio, il modo di procedere nella santità. Indica uomini che, umili nel mondo e ignoranti delle Scritture, si tengono però saldamente aderenti alla fede, e in nessuna circostanza, pericolo, o per vanità, si allontanano dalla fede. Perciò dice loro: Ho aperto una porta davanti a te; e aggiunge: poiché hai conservato la parola della mia pazienza con così poca forza, ti terrò anche lontano dalla prova; affinché sappiano in questo modo, a loro lode, che il Signore non permette nemmeno che essi siano messi alla prova. Del vincitore – dice – farò una colonna nel tempio del mio Dio. Il pilastro è l’ornamento dell’edificio, questi è allora colui che persevera, conseguendo così una grande nobiltà nella Chiesa. – VII: Questo gruppo fa conoscere alle sette chiese gli uomini credenti, ricchi, elevati alle posizioni di dignità. Ma come ricchi credenti, certamente nelle loro dimore parlano volentieri delle Scritture. Ma quando sono fuori, ed anche se sono della Chiesa credendosi fedeli nell’anima – cioè si vantano e dicono di conoscere tutti i segreti delle Scritture credendo quindi di essere fedeli nelle loro predizioni – eppure sono vuoti di opere; così dice loro: che non sono né freddi né caldi, cioè né increduli né fedeli, perché si accomunano sia con i fedeli che con gli infedeli; essi infatti sono tutto per tutti. E poiché coloro che non sono né caldi né freddi, ma tiepidi, gli provocano la nausea, dice loro: Ti vomito dalla mia bocca. Non è ignoto a nessuno quanto sia odiosa la nausea; così sono anche tali uomini che saranno cacciati di tra i Santi nel giorno del giudizio. Ma siccome c’è in questo mondo il tempo della penitenza, dice loro: Vi consiglio di comprare da me oro purificato nel fuoco, vale a dire, il potere in qualche modo soffrire tribolazioni e sofferenze per il Nome del Signore; … e collirio per la salvezza degli occhi, – dice – affinché ungiate gli occhi, cioè conosciate con piacere la Scrittura e, così arricchiti, cerchiate di fare opere simili. E siccome gli uomini che passano da un grande peccato ad una grande penitenza, non solo sono utili a se stessi, ma possono arrecare beneficio a molti, promette loro una ricompensa non dappoco, ovvero: sedere sul trono del suo giudizio.

Termina il libro primo sul Figlio dell’uomo e sulle Chiese nel Commentario dell’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (3)

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (1)

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (1)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770] (*)

(*) Codici anastatici tra cui: A. Sanders Beati in Apocalypsin in duodecim, Papers and Monographs of American Academy in Rome, vol. VII, – Roma 1930;

.-Obras completas y complementarias de Beato de Liébana, ed. bilingue di J. G. Echegaray, A. Del Campo y Leslie G. Freeman; B. A. C. Madrid. 2004]

Non abbiamo a nostra conoscenza, traduzioni in italiano; la versione qui proposta è di tipo redazionale e preparata con grande impegno dal Circolo Cristo Re-Rex regum per il blog ExsurgatDeus.org. Si è cercato di comporre una traduzione in un idioma italico attuale comprensibile ai più. Si è cercato di tradurre ancora in modo quanto più aderente possibile al senso del testo originale, con tutti gli inconvenienti e le imprecisioni che ogni traduzione dal latino ecclesiastico medioevale comporta. Ce ne scusiamo anticipatamente e, ringraziandoli i cuore, invitiamo nel contempo tutti i lettori competenti a segnalare errori – del tutto involontari, ma possibili – onde eliminarli ed apportare le eventuali necessarie correzioni.

COMMENTARIO  ALL’APOCALISSE DI SAN GIOVANNI

 (DEDICA DEL LAVORO AD ETERIO)

[1] Ho pensato di esporre alcune cose, spiegate con brevità di frasi, circa quello che è stato annunciato in diversi momenti nei libri dell’Antico Testamento sulla nascita di Nostro Signore e Salvatore secondo la Sua divinità od il Suo corpo, della Sua passione e morte, della Sua risurrezione, del Suo regno e del Suo giudizio, da uomini di scienza, da innumerevoli libri e dai più noti Santi Padri, cosicché l’autorità dei Profeti confermi la grazia della fede e dimostri l’ignoranza degli infedeli. E sebbene questo sia noto a tutti coloro che si occupano del vasto campo delle Scritture, può comunque essere ricordato con maggior facilità se letto in un breve trattato. Queste cose, che non sono esposte da me, ma dai Santi Padri, sono state raccolte in questo piccolo libro, e approvate dai loro autori: Girolamo, Agostino, Ambrogio, Fulgenzio, Gregorio, Ticonio, Ireneo (Vittorino), Apringio, ed Isidoro, di modo che, ciò che non si è capito leggendolo in altri, lo si comprenda in questo libro, scritto con linguaggio popolare, per certi aspetti derivato da essi, ma interpretato in piena conformità con la fede e la devozione. Considerate quindi questo libro come il chiavistello di tutta una biblioteca. E se ho errato in qualcosa, possa indulgere la carità, che vince su tutto. Queste sono una piccola parte delle tante dottrine che sappiamo essere state raccolte da persone degne di ogni credibilità, le cui parole, come vedremo, sono state da noi introdotte in alcuni luoghi, in modo che il nostro studio sia confermato dalle sentenze dei Padri. Tutto questo, dunque, ho dedicato a voi, Santo Padre Eterio, su vostra richiesta, ad edificazione dello studio dei fratelli, affinché io faccia di colui con cui condivido la gioia di essere religioso, coerede della mia opera.

TERMINA

IL PROLOGO DI SAN GIROLAMO

[2] L’Apostolo ed Evangelista S. Giovanni, scelto e diletto da Cristo, era considerato così superiore per il tanto amore di predilezione, che nella Cena riposava sul suo petto, ed al quale – in piedi da solo presso la croce – era stata affidata la sua stessa Madre; e così, a colui che volendo essere sposato aveva saputo abbracciare la verginità, fu concesso di custodire la Vergine. Ora, avendo avuto in sorte di patire l’esilio sull’isola di Patmos a causa della Parola di Dio ed a testimonianza di Gesù Cristo, è stata da lui scritta l’Apocalisse precedentemente mostrata; e così come all’inizio dei libri canonici – la Genesi – si è annunciato un “inizio incorruttibile”, anche con l’Apocalisse si ritorna ad un “fine incorruttibile” per mezzo di uno che è vergine, come è detto: « Io sono l’Alfa e l’Omega » (Ap. I, 8), cioè l’inizio e la fine. Questi è Giovanni che, conoscendo il giorno in cui sarebbe sopraggiunta la sua dipartita dal corpo, riuniti i suoi discepoli ad Efeso, scese nel luogo dove sarebbe stato sepolto e, dopo aver pregato, rese il suo spirito. Fatto così estraneo al dolore della morte, si considera alieno dalla corruzione della carne. La disposizione della Scrittura o l’ordine del libro non sarà da noi esposta in dettaglio, cosicché, in chi non la conosce, sia il desiderio di indagare a dargli una struttura.

UN ALTRO PROLOGO DELLO STESSO

[Questa prologo fu composta per il Commento di Vittorino]

[3] I diversi naviganti che attraversano l’immensità del mare incontrano vari pericoli. Si è colti da paura quando il turbinare del vento diventa più furioso. Si temono minacce (dai pirati) se la brezza moderata, non fa che increspare la superfice dell’elemento esteso. Così mi sembra che avvenga in questo libro che mi avete inviato che contiene la spiegazione dell’Apocalisse di Vittorino: infatti è pericoloso ed esposto ai latrati dei detrattori, il giudicare le opere di un uomo così egregio. E così già in precedenza, Papias, Vescovo di Gerapoli, e Nepote, Vescovo della regione d’Egitto, erano in accordo con Vittorino circa il “regno dei mille anni”. E poiché me ne avete supplicato per iscritto, non ho voluto differire, e per non disprezzare colui che lo richiede, ho subito consultato i libri dei nostri maggiorenti, e quanto ho trovato nei loro commenti dei “mille anni” l’ho unito all’opera di Victorino. Soppresso da questa ciò che si è trovato in calce alla lettera, dall’inizio del libro al segno della croce, abbiamo corretto ciò che è stato contaminato da parte di scrittori inesperti; ci rendiamo così conto di ciò che sia stato aggiunto da lì fino alla fine del libro. Il vostro compito è così quello di discernere e di corroborare ciò che vi aggrada. Se la vita ci accompagnerà (e Dio ci dà salute) – Anatolio carissimo – il nostro ingegno lavorerà con abilità per voi in questo libro.

UN’INTERPRETAZIONE DI QUESTO LIBRO

[Padre Florez chiama questa ampia introduzione summa dicendorum].

[4] Non c’è da stupirsi che Giovanni abbia ricevuto questo nome che costituisce come una specie di profezia, dal momento che in latino significa “grazia di Dio”. Infatti, nell’attimo in cui gli viene ordinato di scrivere alle sette Chiese l’Apocalisse, che è Rivelazione del Signore, egli vede il Figlio dell’uomo seduto sul trono, cioè il Cristo nella Chiesa, ed i ventiquattro Vegliardi, che sono i dodici Profeti ed  i dodici Apostoli. Le sette chiese, i sette candelabri d’oro, le sette stelle, rappresentano l’unica Chiesa, unita in matrimonio con Cristo mediante la grazia septiforme. Dopo questo ho visto una porta aperta in cielo (Ap. IV, 2). La porta aperta si riferisce a Cristo, che è nato ed ha sofferto, mentre “cielo” è la Chiesa. Dopo questo ho visto un trono eretto in cielo, cioè che sono i Sacerdoti della Chiesa, servendosi dei quali Cristo presiede e giudica ogni giorno. E colui che sedeva su questo trono era di aspetto simile al diaspro e alla cornalina: questo allude ai due giudizi, uno per mezzo dell’acqua e l’altro attraverso il fuoco. Dopo questo vidi quattro animali prostrarsi davanti al trono, cioè i quattro Evangelisti, ed ognuno di essi aveva un aspetto distinto: il primo come di uomo, cioè razionale; il secondo come di leone, forte e combattivo; il terzo come di bue, immolato in sacrificio; il quarto come di aquila in volo, che con tutto l’ardore della mente, deve rimanere sempre in contemplazione. Questi quattro animali ne sono uno solo, che cioè è la Chiesa. Dopo questo ho visto nella mano destra di colui che siede, un libro sigillato con sette sigilli (Ap. V), nel quale sono annotati la guerra, la fame, la morte, il clamore di coloro che sono stati uccisi, ed anche la fine del mondo e dei tempi. Enumerando questi stessi sigilli parliamo (Ap. VI), dei quattro cavalli: il primo bianco, che è la Chiesa, con il suo cavaliere Cristo; il secondo rossastro, che è il popolo che combatte contro la Chiesa, e il cui cavaliere è il diavolo sanguinario; il terzo nero, che è la fame spirituale all’interno della Chiesa, e il suo cavaliere lo pseudo-profeta; il quarto pallido, e il suo cavaliere è la morte, a cui è stato dato il potere di uccidere con la spada, la fame, la morte e le bestie della terra, comprendendo anche le eresie nella Chiesa. Il quinto (sigillo) si riferisce alle anime di coloro che sono stati uccisi a causa della Parola di Dio. Nel sesto, con il sole nero come un panno di crine, e con la luna tutta come sangue, e con le stelle cadenti, si allude agli increduli, a coloro che saranno oscurati dalla luminosità della dottrina. La luna diventata tutta di sangue, è la Chiesa dei Santi, che alla fine appaiono versare il loro sangue per Cristo. La caduta delle stelle, che turba i fedeli, conclude il sesto sigillo, nel quale a causa dell’ultima lotta dell’Anticristo, come una ficaia sbattuta dalla bufera lascia cadere i fichi immaturi, così i santi, quelli che sembrano santi, vengono scossi dalla Chiesa. E il cielo che è stato portato via come un rotolo di libro, sono i Santi, che in quel momento non presentano altra virtù se non lo spargimento del loro sangue. Ed ogni montagna ed ogni isola viene rimossa dal loro posto; i re della terra, i giudici e i tribuni, i potenti e tutti, sia schiavi che liberi, si nascosero nelle grotte e nelle rupi dei monti. E dicono alle rupi e ai monti: Cadeteci addosso e nascondeteci alla vista di colui che siede sul trono e dalla collera dell’Agnello, perché il grande giorno della sua strage è arrivato e chi potrà sostenersi? Tutto questo avverrà al tempo dell’Anticristo. Perché con i re della terra, i governanti ed i potenti, come si dice, noi intendiamo i Santi, che in quel momento vincono l’Anticristo. Essi cercano di nascondersi nelle grotte e nei dirupi della montagna, cioè cercheranno l’aiuto dei Profeti, degli Apostoli e dei martiri. Dopo questo ho visto quattro Angeli in piedi ai quattro angoli della terra, che reggono i quattro venti (Ap. VII), che sono le quattro parti del mondo. Gli Angeli ed i venti sono la medesima cosa, ma sono bipartiti, tra il bene ed il male: cioè la Chiesa ed i regni del mondo; ed infatti il mondo odia la Chiesa, nella quale si trovano i falsi fratelli. E a questi venti fu detto di non soffiare sulla terra, né sul mare, né su alcun albero. Tutto questo si riferisce agli uomini, di modo che essi non piangano, cioè non venga meno il loro spirito e non rendano gli altri simili a loro, onde evitare che le persone alla sinistra oltraggino quelle che sono alla destra. Dopo questo ho visto dodicimila servitori di Dio – cioè la Chiesa costituita dal numero dodici – segnati con il sigillo sulla fronte, cioè con la consapevolezza del loro operato. Il settimo sigillo completa, in questa serie, il libro segnato dai sette sigilli. Si fa silenzio in cielo, come per una mezz’ora. (Ap. VIII): questo si riferisce ai servi di Dio, che si riposano da ogni attività secolare e iniziano qui la contemplazione per gustare la vita eterna. Dopo di ciò vidi sette Angeli che suonarono sette trombe, cioè le sette chiese che ricevono la predicazione perfetta, come diceva il profeta: “Come una tromba proclami la tua voce” (Is. LVIII,1). Il primo Angelo suonò la tromba, e si produssero pietre e fuoco mescolati al sangue, e questa è l’ira di Dio, che trascinava molti alla morte, affinché i santi potessero essere provati come oro nel crogiolo. E il secondo Angelo suonò la sua tromba, e fu gettata nel mare un’enorme montagna in fiamme: questo è il diavolo gettato sul popolo. E il terzo Angelo fece risuonare la tromba, e cadde dal cielo una grande stella ardente come una fiaccola, il che si riferisce agli uomini che cadono dalla Chiesa e che sono stati considerati dagli altri come santi e grandi, mentre che per il loro tipo di predicazione e di vita trascinano altri alla morte. E il quarto Angelo suonò la tromba: e fu colpita la terza parte del sole, la terza parte della luna, e la terza parte delle stelle, così che si oscurò  e si perse la terza parte del giorno e la terza parte della notte: i Santi cioè furono separati dai malvagi. Dopo questo ho visto e sentito una grande aquila volare in mezzo al cielo, dicendo a grande voce: « Guai, guai, guai agli abitanti della terra quando suoneranno le restanti trombe dei tre Angeli. »  L’aquila ed il cielo sono la Chiesa. Quando dice che questa va da una parte all’altra, intende affermre che annuncia a gran voce le piaghe degli ultimi tempi. – Il quinto Angelo suonò la tromba, e vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell’Abisso; ed aprì il pozzo dell’Abisso (Ap. IX), cioè il popolo si allontanò dalla Chiesa con il suo pseudo-profeta. Ha aperto il pozzo, perché ha manifestato il suo cuore con le parole. Si chiama abisso perché si nascondeva nell’occulto. E dal pozzo è uscito un fumo come quello di un grande forno. E il sole e l’aria si oscuravano con il fumo del pozzo. Il sole è la Chiesa e il fumo sono le parole degli uomini empi. Come il fumo precede il fuoco, così essi oscurano la Chiesa e la confutano con parole, facendo sì che alcuni diventino ciechi. E dal fumo del pozzo uscirono cavallette, cioè una moltitudine di demoni, che erano legati nei loro cuori (degli empi) come in un pozzo, e insieme agli uomini da essi posseduti, si sollevano contro la Chiesa. E ad essi fu dato un potere come quello degli scorpioni della terra. Lo scorpione infatti tocca con la bocca e ferisce con la coda, proprio come fanno questi. E le cavallette erano come cavalli preparati per la guerra. Sulle loro teste avevano corone che sembravano d’oro: questo perché sotto il loro manto di cristianità (le corone d’oro) erano come dei cavalli furiosi che correvano verso il male. E i loro volti erano come le facce degli uomini, considerati cioè razionali. Avevano i capelli come quelli delle donne, cioè sciolti e da effeminati. Avevano denti come quelli di un leone, cioè tanto forti da poter stritolare. Ed avevano code simili a quelle degli scorpioni, con pungiglioni nella coda, per mostrarsi su quel cavallo, popolo avversario della Chiesa, e per significare che in un solo corpo vi fossero molte membra. Nella testa, ecco i principi della terra; nella coda, i falsi sacerdoti che, affettando una regale devozione, opprimono la Chiesa e promettono al popolo sicurezza. Essi hanno sopra di loro, come re, l’angelo dell’abisso, cioè il diavolo o il re del mondo, perché l’abisso è il popolo. In ebraico il suo nome è “Abaddon”, in greco “Appolyon”, in latino “Perdens” (il perdente) o colui che stermina. Il primo Guai! è passato. Ma ecco che dopo ce ne sono altri due. Ecco che noi chiamiamo “pozzi” gli uomini che sono ignoranti; e chiamiamo cavallette i demoni o la moltitudine di uomini che ricevono il potere di nuocere a coloro che non sono segnati col sangue dell’Agnello. E il sesto Angelo suonò la tromba: qui iniziò l’ultima predicazione. – E udii una voce dai quattro angoli dell’altare d’oro che si trova davanti a Dio, che diceva al sesto Angelo che aveva la tromba: “Liberate i quattro Angeli che sono legati dal grande fiume Eufrate“. “Una voce dai quattro angoli” designa il popolo della circoncisione, il solo che in tutto il mondo conoscesse Dio. L’altare d’oro è la Chiesa, che proviene dalla circoncisione. Liberate i quattro Angeli, quindi dall’Oriente e dall’Occidente, dal Settentrione e dal Mezzogiorno: questo significa che la Chiesa diventa universale e che il Nome del Signore è conosciuto nelle quattro parti del mondo. Questo Angelo con la tromba, a cui viene comandato di liberare, è da interpretare come la predicazione di tutta la Chiesa. L’Eufrate è il fiume di Babilonia, e con Babilonia si intende il mondo intero. Dopo di che ho visto nella visione i cavalli e coloro che li cavalcavano: avevano pettorali del colore del fuoco, del giacinto e dello zolfo, e le loro teste erano come leoni. Non sono gli stessi che abbiamo descritto sopra, ma sono simili a loro.  Quando diceva di loro così, descriveva la stessa cosa ma in modo diverso. Dalla loro bocca uscirono fuoco, fumo e zolfo. Per fumo si intende il giacinto, cioè le parole di questi uomini. Da queste tre piaghe, cioè il fuoco, il fumo e lo zolfo, che uscivano dalle loro bocche, fu uccisa la terza degli uomini. Il potere dei cavalli sta nelle loro bocche e nelle loro code, che sono cioè i principi del mondo ed i sacerdoti, e con loro fanno del male, perché senza di loro non possono nuocere. Ho visto anche un altro Angelo potente scendere dal cielo, avvolto in una nuvola e con un arcobaleno sul capo (Ap. X): questi è il Signore rivestito della Chiesa. L’arcobaleno sopra il suo capo, è la perseveranza della Chiesa. Le nuvole, sono i predicatori che producono pioggia per mezzo dei miracoli. Il suo volto come il sole e le sue gambe come colonne di fuoco. Sul suo volto c’è la conoscenza di Cristo; sulle sue gambe c’è la sofferenza dell’ultima persecuzione. Nella sua mano teneva un libro aperto: cioè attraverso la Legge ed il Vangelo si conosce Cristo. Mise il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra. Il piede destro sul mare, rappresenta le membra più forti nei maggiori pericoli. Il piede sinistro sulla terra, sono le membra più deboli in ciò che è di propria competenza. E gridò a gran voce come ruggisce il leone, cioè comandò di predicare con veemenza. E mentre gridava, sette tuoni fecero udire il loro fragore. Appena i sette tuoni fecero udire la loro voce, e mi disponevo a scrivere, ho sentito una voce dal cielo che diceva: « … sigilla ciò che i sette tuoni hanno detto, e non lo scrivere ». Ha detto questo nella prima parte del libro, mentre nell’ultima parte ordinerà di non sigillarla (Ap. XXII, 10), e questo perché ciò che la Chiesa non conosceva pienamente all’inizio, alla fine lo mostri ogni giorno. Allora l’Angelo che avevo visto in piedi sul mare e sulla terra alzò la mano al cielo, giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli, che non ci sarà più tempo; ma nei giorni in cui si sentirà la voce del settimo Angelo suonare la tromba, non ci sarà più tempo se non quello della purificazione: questa è la futura risurrezione della pace, in cui la Chiesa si affermerà, così come dice l’Apostolo: « L’ultima tromba » (1 Cor. XV, 52), ed in essa il mistero di Dio sarà stato consumato, come Egli aveva evangelizzato attraverso i suoi servi. E ho sentito la voce del cielo che mi parlava e mi diceva: “Vai, prendi il libro che è nelle mani dell’Angelo e ingoialo; sarà nella tua bocca dolce come il miele, ma renderà le tue viscere amare come il fiele“. Questo libro è la Legge ed il Vangelo. Quando si comincia a leggerlo è dolce in bocca, ma se ne sentirà l’amarezza appena si comincerà a predicare ed a mettere in pratica quanto capito. E quando si sarà manifestata la dolcezza nella bocca e l’amarezza nelle mie viscere, dice: … devi predicare di nuovo. Nel dire questo, è chiaro che ai primordi la Chiesa ha compiuto la profezia pienamente, perché ha annoverato tanti martiri; ed una volta che la fede abbia fatto il giro del mondo, la profezia è chiusa. È questo ciò che dice: … dovete predicare di nuovo; con ciò si riferisce al fatto che alla fine dei tempi, quando ci sarà l’arrivo dell’Anticristo, la profezia riaprirà la sua bocca. Addolcire la bocca e rendere amare le viscere: questo è quando si inizia a predicare ed a porre in opera. – Poi mi fu data una canna di misura come un’asta, e l’Angelo mi disse: “Alzati e misura il santuario di Dio e l’altare, e quelli che in esso adorano” (Ap. XI). Non si riferiva a lui, nel dire alzati, ma al peccatore: … alzati per fare penitenza. Misurare il Santuario significa confessare al Padre onnipotente e a Gesù Cristo suo Figlio, nato per opera dello Spirito Santo dalla Vergine Maria; e quel che viene annunciato dai profeti è la mano di Dio, il Verbo del Padre e Creatore del mondo. Questa è la canna e la misura della fede. Ma nessuno adora il santo altare se non coloro che abbiano rettamente professato questa fede. Solo questi adorano, non tutti quelli che sembrano adorare. E mi dice: … l’atrio fuori dal Santuario, lasciatelo fuori. Il Santuario si riferisce ai servi di Dio, mentre il cortile è il cattivo Cristiano: ed infatti il cortile sembra appartenere al Santuario, ma non è il Santuario. E i Cristiani malvagi sembrano che appartengano ai Santi, ma non sono Santi. Per questo saranno cacciati via, perché ai tempi dell’Anticristo calpesteranno la città santa, cioè la Chiesa. I miei due testimoni profetizzeranno 1.290 giorni, coperti da tela di sacco. Questi due testimoni sono la Legge ed il Vangelo. Sono vestiti di sacco perché predicano la penitenza. In realtà, qui ci si riferisce ad Elia ed a colui che verrà con lui: io manderò i miei due testimoni ed essi profetizzeranno per mille e duecentonovanta giorni, cioè tre anni e sei mesi, che saranno i giorni della loro predicazione, ed il regno dell’Anticristo (durerà) altrettanto. Essi sono i due ulivi e i due candelabri. Questo, in senso letterale, si riferisce ad Elia ed a colui che deve venire con lui; ma si fa riferimento, in senso spirituale, ai due Testamenti, che sono la Legge ed il Vangelo. Questi sono i due ulivi e i due candelabri. Un tale candeliere, che viene descritto da Mosè come dotato di sette braccia (Num. VIII, 2), è la septiforme Chiesa ripiena dello Spirito. E i due olivi sono la Legge ed il Vangelo. L’olio deve essere versato sul candeliere, cioè sulla Chiesa. Questa è la Chiesa con il suo olio che non si esaurisce, ma che essa fa bruciare per illuminare il mondo. Se qualcuno cerca di farle del male, il fuoco uscirà dalla sua bocca e divorerà i suoi nemici: vale a dire che se qualcuno non vuole ascoltare la Legge ed il Vangelo, sarà bruciato dal fuoco divino. Questo è il fuoco, cioè la parola della predicazione, che Gesù è venuto a portare sulla terra (Lc. XII, 4) per il nostro corpo, e vuole che bruci in tutti. – Questi due hanno il potere di chiudere il cielo in modo che non piova, hanno cioè il potere di legare e di sciogliere, hanno il potere di trasformare l’acqua in sangue. L’acqua è la Scrittura. Si serra il cielo quando le parole della predicazione si infrangono su di un cuore indurito, ed a causa delle sue azioni malvagie, ciò che sembra cristiano gli risulta inutile. … Li vincerà e li ucciderà. Questo viene fatto spiritualmente nella chiesa dall’Anticristo con i suoi ministri. Li vincerà … saranno quelli che compiono azioni malvagie. Ucciderà … coloro che predicano Cristo e si allontanano dal male; perché è chi non osserva la Legge ed il Vangelo, come l’Anticristo, che ucciderà Elia ed Enoch. E il suo corpo sarà gettato nella piazza della città. Qui ha indicato un solo corpo dei due, perché la Legge e il Vangelo sono una cosa sola, ed insegnano che uno solo è il corpo della Chiesa. Da parte sua, quanto ha detto: sarà gettato nella “piazza” della città (“platos” in greco, che significa in latino “latitudo”, larghezza), si riferisce al fatto che, seguendo la via ampia e spaziosa, si gettano i corpi dei Testamenti, cioè la Legge e il Vangelo, in mezzo alla città; … corpo che è la Chiesa, così come è scritto: « tu che detesti la disciplina e che le mie parole te le getti alle spalle? » (Psal. XLIX,17). – Persone, razze, lingue e nazioni contempleranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo, cioè trecentocinquanta giorni, cioè tre anni e sei mesi. Questo deve essere compreso spiritualmente: dalla Passione del Signore al tempo dell’Anticristo, si contano tre anni e sei mesi. Per un anno, cento anni, e per tre anni, trecento, e per cinquanta anni, sei mesi: si mescola, allora, il tempo presente ed il futuro, come dice il Signore nel Vangelo: « Verrà l’ora in cui tutti coloro che vi uccideranno penseranno che stanno servendo Dio » (Gv. XVI, 2). Non separa mai il tempo presente da quello finale in cui l’Anticristo si manifesterà, perché ciò che accadrà allora in modo visibile sta accadendo già ora nella Chiesa in modo invisibile. Non è permesso seppellire i loro cadaveri, e questo è detto della promessa di coloro che seguono Cristo, nel senso che non è permesso loro di fare penitenza con tranquillità, come è scritto: « Guai a voi, scribi e farisei, ciechi e ipocriti, che chiudete il regno dei cieli, e questo è la Chiesa, perché non entriate voi né lasciate entrare altri » (Mt. XXIII, 13). Gli abitanti della terra gioiscono ed esultano a causa loro, e si scambiano doni: questo avviene quando, trovandosi i giusti nell’afflizione, gli empi ne gioiscono ed esultano. E la stessa loro visione è molto pesante per gli ingiusti, così come quando hanno detto di Cristo: « la sua stessa presenza ci è insopportabile » (Sap. II, 15), e non solo è loro di aggravio, ma li sgomenta, come è scritto: « L’empio vede e si adira, digrigna i denti e si consuma. » (Psal. CXI, 10). Si rallegreranno, quindi, quando non avranno più nulla da soffrire, quando i giusti saranno perseguitati ed uccisi e la loro eredità sarà posseduta. Perché diranno: questi due profeti hanno tormentato gli abitanti della terra, come a dire: sono loro che vivevano secondo la Legge ed il Vangelo, e ci hanno costretti a vivere così; rallegriamoci nel vederli dispersi dalla persecuzione e sterminati. Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita da Dio entrò in loro e si alzarono in piedi, e un grande timore si abbatté su coloro che li guardavano. E udirono una voce forte dal cielo: Salite qui, e saliranno in cielo in una nuvola. Di questi tre giorni e mezzo abbiamo già parlato prima nel senso spirituale, comprendendoli tra la prima e fino alla seconda venuta. Ciò che ha detto: si sono alzati in piedi, appartiene alla futura resurrezione; e quel che dice: un grande timore si è abbattuto su coloro che li hanno contemplati, lo dice di tutti gli uomini. E quando la loro sorte sarà mutata, coloro che erano felici in questo mondo saranno tormentati senza fine, e coloro che erano afflitti nel mondo gioiranno senza misura. Quel che ha detto: “Salite qui e saliranno in cielo in una nuvola; è quanto diceva già l’Apostolo: « Saremo presi dalle nuvole per incontrare Cristo » (1 Tess. IV,16). Infatti prima della venuta del Signore non poteva accadere che un uomo, se non il Cristo, potesse salire in cielo nel suo corpo; come sta scritto: «  prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo » (1 Cor XV, 23), ma alla sua venuta, saranno presi nelle nubi ed usciranno per incontrarlo. Se questo si dicesse solo di Elia e di colui che deve venire con lui, come potrebbero gli abitanti di tutta la terra gioire per la morte violenta di due persone che muoiono in una determinata città? O quando si possono inviare doni, essendoci solo tre giorni e mezzo per gioire della morte, prima di essere rattristati dalla risurrezione? O quali feste ci potrebbero essere, se per tre giorni i cadaveri umani emanano fetore? È chiaro infatti che in questi due personaggi sono rappresentatila Legge ed il Vangelo, e che “tre giorni e mezzo” si riferiscono al tempo che intercorre tra la prima e la seconda venuta del Signore. – E grande timore si è abbattuto su coloro che li hanno osservati, questo lo ha detto di uomini viventi, perché anche i giusti, che il giorno del giudizio troverà vivi, avranno grande paura alla risurrezione dei morti. … E i loro nemici li vedranno. Qui separerà i giusti da coloro che aveva detto in generale essere pieni di paura. In quella ora si è verificato un violento terremoto, e questa è la persecuzione alla venuta del Signore. E in quell’ora che è detta, significa tutto il tempo, affinché chi è sul tetto, non scenda a prendere nulla dalla casa (Mt. XXIV, 17), cioè chi vive per il Vangelo non vada più a rivestirsi dell’uomo vecchio, e non desideri avere ciò a cui una volta aveva rinunciato. E la decima parte della città è crollata nel terremoto, e settemila persone sono morte, cioè nella persecuzione dell’Anticristo si dice che ne siano morte settemila. Settemila e diecimila sono interpretati come un numero perfetto. Due sono gli edifici della Chiesa, uno è fondato sulla roccia, che è Cristo; l’altro sulla sabbia, che è l’eresia. Si dice che l’uno sia incorso nella persecuzione, ed altri abbiano temuto e dato gloria al Dio del cielo. Questi sono quelli fondati sulla pietra; infatti quando i giusti che temono, vedranno i malvagi morire nel terremoto, saranno sollecitati alla confessione della loro anima, saranno più coraggiosi nell’osservare i comandamenti, e daranno con gioia gloria a Dio, come sta scritto: « Vedendo il malvagio punito, egli diventa più astuto » (Prov. XV, 5). Terminata la ricapitolazione premessa al settimo Angelo, ripete l’ordine dicendo: Il seconda “guai” è passato; infatti il primo si diceva fosse passato nella battaglia delle cavallette; e il secondo era giunto con i cavalli visti in visione. – Non ha detto là che il secondo “guai” sia passato, per non descrivere subito il terzo, perché, sia per quanto riguarda le cavallette che i cavalli, il “guai” si è ricapitolato in due modi. Ora, dopo questa ricapitolazione, si dice che il secondo “guai” sia passato. Quindi, il secondo “guai” che è passato è quella dei cavalli, seguito dal terzo “guai” e dal settimo angelo con il quale si descrive la fine. Sembra che qui abbia fatto due finali successivi, uno di ricapitolazione e l’altro di ordine. Infatti ha raccontato una fine nella resurrezione dei testimoni, cioè della Legge e del Vangelo, che abbiamo commentato sopra e che l’ha presentata fuori dall’ordine (sequenziale), e ne ha poi introdotta una seconda che mancava, quella che si riferisce alla lotta dei cavalli, dicendo: Il secondo “guai” è passato: ecco, sta arrivando il terzo. Il settimo Angelo suonò la sua tromba, e c’erano voci forti in cielo che dicevano: Il regno di nostro Signore e del suo Cristo è venuto sul mondo, ed Egli regnerà nei secoli dei secoli. E i ventiquattro anziani si prostrarono faccia a terra e adorarono Dio dicendo: “Ti ringraziamo, o Signore Dio onnipotente, che sei venuto, perché hai ricevuto la tua grande potenza e hai regnato”. E le nazioni erano in collera, ma è giunta la tua ira ed è giunto il momento che i morti siano giudicati. Fa riferimento qui all’inizio e alla fine: Tu hai regnato, e le nazioni si sono infuriate: e questo è il primo avvento; … è giunta la tua ira ed il tempo di giudicare i morti: questo ne è il secondo, … e dare la ricompensa ai tuoi servi i profeti, e a quelli che temono il tuo nome, e distruggere quelli che distruggono la terra. Ecco, il terzo « guai! » viene dalla voce del settimo Angelo, nell’ultima lotta e alla venuta manifesta del Signore. Non c’è nessuno che lodi il Signore e ringrazi il Creatore, tranne la Chiesa, perché vive rettamente e crede rettamente, e pertanto i guai sono partiti dagli uomini empi. – Da questo comprendiamo che non c’è remunerazione dei buoni senza i « guai! » degli empi. Così ha detto la stessa Chiesa: è arrivata la tua ira ed è giunto il momento di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi e distruggere coloro che distruggono la terra. Questo è l’ultimo “guai” che l’Aquila aveva annunziato: « Guai, guai, guai agli abitanti della terra al suono degli ultimi squilli di tromba che i tre Angeli stanno per suonare! » (Ap. VIII, 13); in questo “guai!” giunge  la fine. Così ricapitolato il tutto dalla nascita del Signore, si diranno nuovamente le medesime cose con maggiore chiarezza. « Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l’arca dell’alleanza. » È … nel suo santuario (Ap. XI, 19) – cioè nella Chiesa – che si è manifestato Cristo, e si è aperta così la profezia nella Chiesa. E ci sono stati fulmini, e tuoni, ed un terremoto, ed una grande grandinata. Tutte queste cose si riferiscono alle proprietà dello splendore della predicazione e delle guerre della Chiesa. Come in precedenza, nelle sette trombe degli Angeli sono stati esposti i fatti dalla venuta del Signore fino alla fine, perché si potesse riconoscere quanto accaduto con ciascuna delle trombe, così ora, non appena il Santuario di Dio in cielo è stato aperto, si sono susseguite le lotte e dice: « Ed ho visto la bestia che saliva dall’abisso. » Dopo aver inflitto molte piaghe al mondo, si dice che la bestia è risorta dall’abisso. Questo lo dice propriamente dell’Anticristo, che da quando Cristo è nato, è sempre stato negli uomini malvagi: coloro che hanno crocifisso Cristo erano il suo “abisso”; coloro che perseguitano la Chiesa sono l’abisso dell’Anticristo, perché “abisso” sono gli uomini che camminano nelle tenebre; infatti, al pari di Cristo che ha avuto come mediatori i Patriarchi e i Profeti che parlavano di Lui in figura e, dopo la sua venuta, coloro che avendolo annunciato lo hanno riconosciuto, e per mezzo dei quali fu suscitata la Chiesa, in cui Cristo, Capo di tutta la Chiesa, regna come un unico Corpo con i suoi membri, … così l’Anticristo ha i suoi mediatori nei re e nei sacerdoti empi, che riconosce come suoi membri per mezzo delle loro azioni nefande, e di tutti i malvagi è re e capo.

[5] E un grande segno apparve nel cielo (Ap. XII), cioè nella Chiesa, Dio si fa uomo: una Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi, ed una corona di dodici stelle. È questa l’antica Chiesa dei Patriarchi, dei Profeti e degli Apostoli, che ha fatto proprio il gemito e l’angoscia del suo desiderio, fin quando non ha visto che Cristo, promesso secondo la carne, ha assunto il corpo dal suo stesso popolo. A sua volta, colei che è vestita di sole è la speranza della Resurrezione. La “luna” in vero, sono i pericoli dei Santi che soffrono nelle tenebre di questo secolo, che non possono mai mancare e che ora decrescono ed ora crescono, proprio come la luna che decresce e poi cresce. Allo stesso modo, i Santi brillano in mezzo alle tenebre, proprio come la luna. La corona di dodici stelle rappresenta il coro dei Patriarchi, secondo i quali Cristo doveva assumere la carne. E in Cristo vi sono le dodici tribù di Israele, cioè la Chiesa. E la donna è incinta, e grida nel travaglio e nel dolore del parto. Quando parliamo di questa donna ci riferiamo alla Chiesa, che porta Cristo nel suo grembo. Infatti la Chiesa partorisce con gran gemito volendo imitare Cristo. E un altro segno è apparso in cielo: un grande dragone rosso. Il “cielo” è la Chiesa, il dragone è il diavolo. Egli finge di adorare Cristo attraverso i suoi ministri nella Chiesa, e come Erode, il nemico interno, che cercò di uccidere colui che simulava voler adorare, così il diavolo, fingendosi santo, si sforza di uccidere Cristo, nato dalla donna-Chiesa, nel nostro petto attraverso i cattivi Cristiani. Esso ha sette teste e dieci corna. Però quante sono le teste, tante sono anche le corna. Nelle sette teste si indicano tutti i re, e nelle dieci corna, tutti i regni: queste vengono designate con un numero perfetto. E la sua coda attirava la terza parte delle stelle del cielo e le gettava sulla terra. La coda di questo dragone sono i profeti ed i sacerdoti iniqui, come detto parlando delle cavallette, e le stelle del cielo che vi aderiscono, cioè i santi che sembrano essere nella Chiesa, sono gettate sulla terra: tutti i Santi infatti sono il “cielo” ed i peccatori, chiamati “terra”, sono sotto i piedi della donna. E la donna partorì un figlio maschio, cioè la Chiesa (diede alla luce) il Cristo, di poi il suo corpo, che sono i Santi, partoriti ogni giorno con dolore. Ha parlato solo di un “Figlio”, perché Cristo, che ne è il Capo, costituisce un solo corpo con i membri della Chiesa. Lo dice “maschio”, cioè vincitore del diavolo che aveva vinto la donna. Infatti la donna che vince il diavolo vien chiamata uomo. E quando l’uomo è sopraffatto dal diavolo, si dice: “il diavolo ha sopraffatto la donna”. E la donna fuggì nel deserto: “deserto” sono i malvagi che non accolgono la predicazione, questi sono gli scorpioni e le vipere, ed è per questo che il Signore dice ai suoi servi: « Vi ho dato il potere di calpestare serpenti e scorpioni » (Lc. X, 19). Poi si svolse una battaglia nel cielo: Michele e i suoi angeli combatterono con il dragone; anche il dragone ed i suoi angeli combatterono. Per “Michele” si intende Cristo; per cielo la Chiesa e per Angeli gli uomini santi. Non c’è nessuno che possieda gli Angeli, se non nostro Signore Gesù Cristo. Lungi da noi dunque il pensare che il diavolo con i suoi angeli potesse osare di combattere in cielo, dal momento che dovette chiedere al Signore il permesso di colpire un uomo sulla terra: Giobbe. Egli ha ricevuto però il potere di combattere con la progenie della donna, non con il Figlio di Dio o i suoi Angeli. Ma essi non hanno prevalso, e non c’era più posto per loro in cielo, cioè tra gli uomini santi, che, una volta creduto in Cristo, non hanno più accolto il diavolo che era stato cacciato via. Quando il dragone vide che era stato gettato sulla terra, perseguitò la donna che aveva dato alla luce un uomo maschio: poiché più si respinge il diavolo, tanto più esso perseguita. Poi il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla donna, per portarla via con la sua corrente, cioè con le persone che perseguitano la Chiesa. E ho visto una bestia salire dal mare (Ap. XIII). Prima aveva detto, “dall’abisso”; ed ora dice, “dal mare”. Il mare, l’abisso e la bestia sono in realtà una cosa sola, sono cioè gli uomini malvagi che nascono da uomini malvagi, così come le vipere nascono dalle vipere. In questa “bestia” sono rappresentate molte membra, a volte il diavolo, a volte i sacerdoti empi, a volte le persone malvagie, a volte i falsi religiosi. Essa aveva dieci corna e sette teste, e sulle corna dieci diademi, e sulle loro teste un nome blasfemo. “Sulle corna” si allude al potere o all’orgoglio dei capi, dei principi del mondo; con il nome “diademi”, al nome della Cristianità; col nome di “blasfemia”, al fatto che si lodano i loro principi e si venerano, si ascoltano come dei, senza che si voglia riconoscere Dio che ha fatto tutte le cose: questi, senza dubbio, sono annoverati tra i membri dell’Anticristo. E ho visto un’altra bestia sorgere dalla terra. Ha detto “un’altra” per la sua funzione, ma essa è sempre la stessa, perché la seconda fa la volontà della prima bestia, e si riferisce al falso profeta e sacerdote. E aveva due corna come un agnello, cioè predicava la Legge e il Vangelo, come l’Agnello, e fingeva di avere il volto di un uomo giusto: … ma parlava come un dragone, e faceva scendere fuoco dal cielo davanti al popolo: come i maghi oggi che, servendosi degli angeli decaduti, fanno miracoli agli occhi degli uomini, così gli empi sacerdoti battezzano alla presenza del popolo, ordinano sacerdoti, e danno l’assoluzione. Sono questi atti che fanno scendere il fuoco dal cielo. Il “fuoco” è lo Spirito Santo; il “cielo”, la Chiesa. E seducono non coloro che abitano in cielo, ma coloro che abitano sulla terra, e si fanno essi stessi simulacro della prima bestia, e attraverso di loro l’Anticristo regna nella Chiesa. Ed io guardai, ed ecco un agnello in piedi sul monte Sion, e con lui centoquaranta quattromila, con il suo nome e quello di suo Padre sulla fronte (Ap. XIV). L’Agnello è il Cristo; Sion è la torre di guardia della contemplazione; i centoquarantaquattro mila sono la Chiesa nella sua globalità. Questi seguono l’Agnello, cantando un inno nuovo: annunciano cioè Cristo che è nato ed ha patito e quindi, attraverso il Battesimo e la Penitenza, il perdono di tutti i peccati. Poi ho visto un altro Angelo volare nel cielo e un altro Angelo che lo seguiva, questi sono Elia e colui che verrà con lui, che precederà il regno dell’Anticristo con la sua predicazione. – Abbiamo detto tutte queste cose nel senso letterale. Ma, in senso mistico, con l’Angelo che vola nel cielo e quello che lo segue, si allude alla Legge ed al Vangelo, e che attraverso la loro predicazione percorrono il cielo, cioè la Chiesa. – E un secondo Angelo lo seguì dicendo: “È caduta, è caduta Babilonia la grande”. Babilonia significa la città del diavolo, vale a dire il suo popolo. Come la città di Dio è la Chiesa, così, all’opposto, la città del diavolo è Gerusalemme e Babilonia per tutto il mondo: questa è la Gerusalemme che uccide i profeti, mentre la Gerusalemme celeste è quella di Dio, dove si trova “nostra conversatio”. Questa è libera, come madre di tutti noi, mentre l’altra è schiava insieme ai suoi figli. Infatti la nostra Chiesa in questo mondo non si chiama Gerusalemme, cioè visione della pace, perché essa è nel combattimento; la nostra Chiesa si chiama invece Sion, cioè torre di guardia della contemplazione, perché calpesta ciò che è terreno e brama invece l’essenza delle cose celesti, contemplando in enigma Colui che desidera vedere quanto prima faccia a faccia. Quando dice: Babilonia la grande è caduta, si riferisce ai condannati nel giudizio: lo dice come se ciò che sta per accadere fosse già stato realizzato. Il fatto che ripeta due volte “è caduta, è caduta”, ci fa vedere innanzitutto che è caduta la Chiesa a causa delle eresie, degli scismi e delle opere di discordia, e che costoro saranno doppiamente condannati nel giorno del giudizio. – Un terzo Angelo li seguì, dicendo: Se qualcuno adora la bestia e la sua immagine e accetta il marchio sulla sua fronte, deve anche bere il vino dell’ira di Dio, ed essere tormentato con fuoco e zolfo davanti a Dio nei secoli dei secoli. Abbiamo detto sopra che la bestia è il diavolo ed il suo popolo. Sulla fronte, hanno la dottrina del diavolo; nella mano destra, un nome come di Cristianesimo: ma ne ricevono il marchio nella mano destra o sulla fronte quando fanno ciò che riconoscono essere come suo. – Poi ho guardato, e c’era una nuvola bianca: e sulla nuvola uno come un figlio dell’uomo, cioè Cristo. Si descrive la Chiesa nella sua luminosità, resa biancheggiante dalla fiamma della persecuzione. Portava una corona d’oro in testa. Questi sono gli Anziani con le corone d’oro: … e nella sua mano una falce affilata, simbolo nella loro attività della potestà di maledire. Per questo motivo ogni ladro e spergiuro sarà punito d’ora in poi fino alla morte. Il ladro e lo spergiuro sono gli ipocriti di cui dice il Signore: « Chi non entra dalla porta – che è Cristo – è un ladro ed un brigante » (Gv. X, 7).  – E un Angelo uscì dal tempio, gridando a gran voce a colui che sedeva sulla nuvola: “Getta la falce, perché il raccolto della terra è maturo”. Allora ecco un altro Angelo anch’egli tenendo una falce affilata dicendo: “Getta la tua falce affilata e vendemmia i grappoli della vigna della terra .. metti la falce nel torchio della terra e gettala nel torchio dell’ira del furore del Signore”. La falce del mietitore e la falce del vendemmiatore sono una cosa sola. La spremitura del torchio e la mietitura del raccolto è la retribuzione del peccatore. Così che coloro che ora, con la penitenza, non si liberano della pula per diventare grano, e non vengono schiacciati dal torchio della tribolazione per diventare grano e vino nella Chiesa, saranno schiacciati all’infinito, fuori della Chiesa, nella gehenna.   – Poi ho visto in cielo un altro segno grande e meraviglioso, sette Angeli che portavano le sette ultime piaghe, poiché con esse è consumata l’indignazione di Dio (Ap. XV). Dice sette” e ripete “sette”: questo deve essere inteso spiritualmente, perché nelle sette piaghe, l’ira è intesa nella sua perfezione, così come attraverso le sette chiese si esprime la grazia settiforme. In queste sette piaghe ci si riferisce all’ira del Signore, perché l’ira di Dio percuote nella perfezione il popolo contumace. – Vidi anche come un mare di cristallo, e quelli che vi stavano sopra, che avevano le arpe e le coppe. Col “mare” allude al Battesimo, perché l’acqua del mare è amara. Con l’acqua si intende il Battesimo e con l’amarezza la penitenza. Il vetro significa “fragilità”, perché il Battesimo presto si infrange, ma con la penitenza si ripristina nella fornace della tribolazione. Le “arpe” a cui si allude, sono i cuori di coloro che lodano Dio, cioè di coloro che hanno crocifisso la loro carne insieme ai vizi ed alle concupiscenze di questo tempo, ed hanno mortificato sulla terra le loro   membra.  – Dopo ciò vidi aprirsi nel cielo il tempio che contiene la Tenda della Testimonianza; dal tempio uscirono i sette Angeli che avevano le sette piaghe. – Il Santuario, il Tabernacolo e il Cielo sono un’unica cosa, cioè la Chiesa. Quella che dice “aprirsi” è la manifestazione, buona o cattiva, nella Chiesa. I sette Angeli, che portano le sette piaghe, sono le chiese, che nella grazia settiforme costituiscono una sola Chiesa, alle quali è stato dato dal Signore il potere di legare e sciogliere, e ciò che ciascuno fa, sia in bene che in male, non può rimanere nascosto nella Chiesa.  – Poi uno dei quattro animali ha dato ai sette Angeli sette coppe d’oro piene dell’ira del Dio vivente. Sono queste le coppe con gli aromi portati dai Seniori e dagli Animali, che sono la Chiesa, … essa è anche i sette Angeli, ed anche gli aromi che significano l’ira di Dio. Infatti le preghiere dei Santi, che sono il fuoco che esce dalla bocca dei testimoni, per il mondo è l’ira. Uno degli animali diede alla Chiesa le coppe, cioè la predicazione del Vangelo, perché chiunque lo ascolti possa essere salvato, e chi non lo ascolta venga colpito dall’ira di Dio, poiché il Vangelo è la volontà di Dio. Chiunque segue Cristo fa la volontà del Padre. – … e nessuno poteva entrare nel Santuario fino a quando non avessero termine le sette piaghe, cioè nessuno degli ipocriti poteva entrare nella Chiesa, perché ci sarebbe stata una grande angoscia, come non è mai esistita. E nessuna carne sarebbe risparmiata, se Dio non accorciasse quei giorni, a causa degli eletti. – E udii una voce forte dal cielo che diceva ai sette angeli: “Versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio” (Ap. XVI). Alla Chiesa è stato dato il potere di diffondere l’ira sulla terra dalla quale salì. Tutte queste sono piaghe spirituali: infatti in quel tempo tutti gli empi non saranno affetti da piaghe corporee, ed è come se avessero ricevuto tutto il potere di fare il male. E non sono flagellati nel corpo, perché se fossero flagellati, infine si correggerebbero, ma perdureranno fino alla fine nella pienezza dei loro peccati. E il primo Angelo versò la sua coppa sulla terra. E il secondo Angelo versò la sua coppa sul mare. E il terzo angelo ha versato la sua coppa sui fiumi e sulle sorgenti d’acqua. E il quarto angelo versò la sua coppa sul sole. E il quinto angelo versò la sua coppa sul trono della bestia. E il sesto angelo versò la sua coppa sul grande fiume Eufrate. E il settimo angelo versò la sua coppa nell’aria. – La terra, il mare, i fiumi, le sorgenti d’acqua, il sole, il trono della bestia, il fiume Eufrate, l’aria, sulla quale gli Angeli hanno versato le loro coppe, sono la terra, cioè gli uomini. il che è facile da dimostrare, poiché a tutti gli Angeli è stato ordinato di versare sulla terra. Tutte queste piaghe sono da intendersi in senso spirituale. Infatti costituisce una piaga incurabile ed un segno di grande ira, ricevere il potere di peccare, specialmente nei Santi, senza che siano corretti. È ancora segno di maggiore ira di Dio, e procurarsi un accrescimento dei tormenti, quando ogni Santo ritenga giusto ciò che fa, per potersi dare sempre al piacere, e pensi che in questo modo si sacrifichi davanti a Dio e serva i fratelli. Questa è la piaga dell’ira di Dio, che si diffonde soprattutto tra i servi di Dio che seguono la propria volontà. E vidi tre spiriti impuri come rane uscire dalla bocca del serpente, dalla bocca della bestia, e dalla bocca del falso profeta. Abbiamo già detto sopra che il dragone è il diavolo; la bestia, costituita dagli uomini malvagi, è il corpo del diavolo, come i falsi profeti; i prepositi del corpo del diavolo, sono i sacerdoti ed i predicatori malvagi, che hanno lo spirito come le rane. Le rane sono i demoni; queste di solito si nutrono in pozzanghere ed in acquitrini, la cui acqua è impura: questo animale non ha altra caratteristica, se non quella di emettere come voce un suono simile ad un gracchiare improbo ed importuno. Così, di per sé, un tale animale è impuro, ed anche l’acqua della quale si nutre è impura. Con cos’altro abbiamo allora a che fare se non con falsi profeti, cioè con sacerdoti e predicatori di impurità, che, essendo in se stessi sporchi come le rane, sporcano anche le acque medesime delle Scritture, introducendo nel mondo delle falsità con una modulazione vacua come con il suono ed il gracchiare delle rane. E questi stanno all’interno della Chiesa sotto il nome di religione, così da opprimere la Chiesa; e in Essa i falsi profeti sono composti da quattro categorie: l’eretico, che si caratterizza per il fatto che ognuno sceglie per sé ciò che vuole e fa come meglio gli pare e, se viene corretto da un qualche Cattolico, giustifica ciò che ha fatto e si considera essere come santo: costui è fuori dalla Chiesa. Altro è lo scismatico. Si chiama “scisma” dalla “scissura” delle anime: perché pur stando nella stessa Religione, con lo stesso culto, il medesimo rito, con gli altri Santi della Chiesa, non aderisce alla medesima gerarchia, ritenendosi più santo degli altri della Chiesa. E poiché veglia di più, lavora di più, digiuna più degli altri, crede di essere più santo, al punto da dire che egli santifica tutto ciò che è impuro. Altro è il Superstizioso: si dice superstizione, un’osservanza superflua, che è sovrapposta alle osservanze dell’istituzione religiosa. E questi non vivono come gli altri fratelli, ma per il desiderio del martirio si tolgono la vita in modo che, lasciandola in modo violento, siano considerati martiri. Questi si chiamano « cotopici » in greco e noi li chiamiamo “circumcelliones” in latino perché sono vagabondi. Vagano per le province, perché non tollerano di essere in un unico luogo in comune accordo con i frati e di avere una vita in comune onde vivere con un’anima sola e un cuore solo alla maniera degli Apostoli ma – come detto – vagano per molti paesi e contemplano attentamente i sepolcri dei Santi come se questo servisse alla salvezza delle loro anime: ma questo non giova loro a nulla, perché lo fanno senza il comune accordo con i fratelli. Il quarto è l‘ipocrita. Nella lingua greca, un ipocrita è ciò che in latino si chiama « simulatore ». È colui che ha il male dentro e si mostra buono agli occhi di tutti, perché “hypo” significa falso e “crisis” significa giudizio. Il nome “hypo” deriva dall’aspetto di chi appare negli spettacoli con il volto coperto, volto tinto con vernice nera, rossa od altre pitture, indossando maschere di gesso tinto di diversi colori. A volte si spalmano il collo e le mani con l’argilla, per acquisire l’aspetto di un personaggio e quindi ingannare il pubblico durante la rappresentazione dei giochi, assumendo l’aspetto di uomo o di donna, di uomo calvo o peloso, di anziano o di fanciulla, e con facce diverse per età e sesso; l’idea dell’argomento è stata poi traslata e da questa prende il nome di ipocrita, che cioè sono coloro che camminano con una faccia falsa e simulano ciò che non sono. Così, questo genere di monaci  sono cattivi all’interno, ma buoni all’esterno. E dunque non si possono chiamare ipocriti coloro che, una volta manifestatisi, vengono allo scoperto, perché si chiamano già eretici. – Questi quattro tipi sono propriamente considerati come falsi profeti. E sono considerati falsi profeti perché si nominano da sé, sia all’Episcopato, che al Presbiterato o al Diaconato, sia nella manifestazione religiosa o nel culto penitenziale, e vivono a loro discrezione, ritenendo santo ciò che operano e giustificandolo non con l’autorità delle Scritture, ma con parole mendaci. Infatti non sono scelti dalla Chiesa Cattolica, e quindi sono “ladri e briganti” che non entrano nella Chiesa attraverso la porta, che è Cristo. Questi sono membri del dragone, della Bestia e del falso profeta, dalla cui bocca si vedono uscire tre spiriti impuri come rane. Si vede un solo spirito, ma con il numero delle parti si sono indicate le membra di un corpo: il dragone, cioè il diavolo; la bestia, il corpo del diavolo, che è il popolo malvagio; ed i falsi profeti, cioè i preposti del corpo del diavolo, hanno un solo spirito, come di rana, perché tutti affermano una stessa parola. – E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria; e una voce forte uscì dal santuario che diceva: è fatta, cioè è finita. Il Santuario e il trono diciamo essere la Chiesa. E quando dice: è finita, dice che sono finite le sette piaghe, ma ricapitola la stessa persecuzione. – Ci furono fulmini, tuoni e un terremoto, come non ce n’erano da quando gli uomini esistevano sulla terra. Un terremoto di questo tipo, un terremoto così grande, significa un’angoscia come mai prima d’ora. E la grande città è stata aperta in tre parti. La grande città è tutto il popolo, in generale, che è sotto il cielo; esso sarà aperto in tre parti, quando la Chiesa sarà stata divisa, in modo che la gentilità ne sia una parte, l’abominio della desolazione un’altra, e la Chiesa che è uscita da essa, la terza. – E le città delle nazioni caddero; Dio si ricordò della grande Babilonia, per darle il calice del vino della sua collera. Poi tutte le isole fuggirono e le montagne sparirono. Le “città delle nazioni” sono i popoli non battezzati. Babilonia è l’abominio della desolazione, che in latino è: tutto il male. Che o sia fatto tra i pagani, o tra i Cristiani o tra i servi di Dio, il male operato, si definisce sempre Babilonia. Babilonia si interpreta come confusione, cioè come una mistura. E ciò che è male, si separa da Cristo e dalla sua Chiesa. Così Babilonia cade o beve l’ira di Dio quando riceve potere contro la Chiesa, specialmente alla fine dei tempi. Per questo si dice che è caduta a causa del terrore, della paura e della contumelia che fa alla Chiesa, perché, come detto, i pagani ed i Cristiani sono mescolati con la Chiesa. Essi – i pagani – non hanno città separate dai Cristiani, così che in particolare debbano cadere. E se dobbiamo pensare al giorno del giudizio, perché Dio se lo è ricordato dopo Babilonia? Perché queste città buone e cattive si formano dappertutto. E quando dice che le città delle nazioni caddero, significa che esse hanno perso la speranza che avevano in questo mondo. A sua volta, le isole e le montagne che sono fuggite e non sono apparse, sono ancora la Chiesa che sopporta tutti gli insulti e non restituisce male per male. E quando subisce gli insulti e non risponde alle parole dei bestemmiatori, si dice che fugge e scompare. – E una grande grandine, con pietre di quasi un talento, cadde dal cielo sugli uomini. “Grandine” viene chiamata l’ira di Dio, con la quale Dio minaccia il popolo. E gli uomini bestemmiavano Dio a causa della piaga della grandine, perché era una grandissima piaga. Questa piaga di cui parliamo si trova all’interno della Chiesa: quando qualcuno non adempie ai precetti del Signore, è spiritualmente devastato dalla grandine. Allo stesso modo, l’ira di Dio devasta ciò che trova tenero, cioè morbido e dissoluto o tiepido, quando si vede che non si lavora con tutte le proprie forze. – Poi venne uno dei sette Angeli che avevano le sette coppe e mi disse: “Vieni, ti mostrerò il castigo della famosa prostituta, che siede sulle grandi acque: con essa fornicarono i re della terra, e gli abitanti della terra si ubriacarono con il vino delle sue prostituzioni. (Ap. XVII).  “Uno dei sette Angeli” di cui si parla, è la Chiesa. La coppa è il Vangelo. Quella che si designa come prostituta si riferisce alla corruzione ed alle opere malvagie, e si dice che “siede sulle grandi acque”, cioè sui popoli. Infatti le acque sono i popoli, siano essi cattivi Cristiani, pagani o eretici; ed essa è quella bestia riferita in precedenza. Coloro che si designano come “re della terra” sono i principi del mondo, quelli che vengono detti inebriati, sono le opere e le disposizioni malvagie che per loro si attuano sulla terra. – E sono andato in spirito nel deserto: e ho visto una donna seduta su una bestia.  Deserto è lo stesso che dire “sterile”, è cioè, laddove la predicazione del Vangelo non viene né fatta né recepita. È chiamato deserto perché abbandonato da Dio. D’altra parte, la bestia e le grandi acque sono una cosa sola, e cioè il popolo malvagio che è il corpo del diavolo ed il nemico dell’Agnello, cioè di Cristo e della Chiesa. E vidi una donna seduta su una bestia di colore scarlatto, cioè una peccatrice, insanguinata dal sangue dei martiri e di tutti i Santi, con sette teste e dieci corna. Le sette teste si riferiscono a tutti i re e le dieci corna a tutti i regni. Infatti il sette ed il dieci costituiscono un numero perfetto. Ed era adorna di oro, pietre preziose e di perle. E aveva in mano una coppa d’oro piena di abomini e delle impurità della sua prostituzione. Quando si dice “adornata” ed avente una “coppa d’oro”, ci si riferisce agli ipocriti pieni di sporcizia, che infatti appaiono davanti agli uomini effettivamente dei giusti, ma dentro sono pieni di sporcizia. Questa donna con la bestia ed i re della terra appaiono in cielo, cioè nella Chiesa. Questi sono coloro che combatteranno contro l’Agnello, sono cioè coloro che si opporranno alla Chiesa fino alla fine dei secoli. Ma l’Agnello, come Signore dei signori e Re dei re, li vincerà, in unione con i chiamati, gli eletti ed i fedeli; indica così la Chiesa: i chiamati, gli eletti e i fedeli, ed infatti non tutti i chiamati sono anche eletti, dacché « molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti » (Mt. XXII, 14). Molti fedeli, non sono eletti. – E mi fu detto: “Vieni, ti sto per mostrare la Sposa dell’Agnello”, e mi mostrò la città che scendeva dal cielo. L’Agnello è Cristo, la Sposa dell’Agnello è la Chiesa. Essa discende sempre dal cielo, perché la Chiesa nasce sempre dalla Chiesa, come i Santi dai Santi che imitano i Santi, così come pure, al contrario, i malvagi dai malvagi che imitano i malvagi. – Dopo questo vidi un altro Angelo scendere dal cielo, che aveva un grande potere, e la terra fu illuminata dal suo splendore. E gridò a gran voce, dicendo: Babilonia la grande è caduta, è caduta, ed è diventata l’abitazione dei demoni. (Ap. XVIII). Questo Angelo è Cristo. Il gridare con forza è la predicazione del Vangelo. Quando dice: “Babilonia la grande è caduta ed è diventata l’abitazione dei demoni”, insegna chiaramente che Babilonia si divide in due parti, cioè tra i pagani ed i cattivi Cristiani, e che entrambi sono separati da Dio: alcuni lo rinnegano per la fede ed altri con le opere. Perciò egli avverte la Chiesa dicendo: Uscite da essa, popolo mio, affinché non diventiate complici dei suoi peccati e le sue piaghe non vi raggiungano: questo lo dice alla Chiesa. Allora un Angelo sollevò una pietra, come se fosse una grande macina da mulino, e la gettò in mare, dicendo: “Con questa pietra da macina Babilonia, la grande città, sarà scacciata e non apparirà più“. Dice così che la gioia degli empi passa e che non si ritroverà mai più. Poi ho sentito dal cielo un grande rumore di una folla immensa, che diceva: Alleluia (Ap. XIX). Questo è quel che dice sempre la Chiesa. Quando avrà luogo la separazione ed essa sarà apertamente vendicata, allora sarà veramente divisa da Babilonia, non ora in questo mondo: quando entrambe saranno uscite dal corpo, i malvagi andranno nelle profondità dell’inferno – che l’angelo ha chiamato “pietra da macina gettata nelle profondità del mare” – ed i giusti, invece, andranno alla vita eterna. – Poi ho visto il cielo aperto, e c’era un cavallo bianco: colui che cavalca su di esso si chiama Fedele e Verace. Questo cavallo è la Chiesa, e il suo cavaliere è Cristo. Questo è il cavallo visto nel primo sigillo tra il rosso, il nero ed il pallido. – Poi vidi un Angelo in piedi sul sole, e questa è la predicazione nella Chiesa: esso gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volavano in mezzo al cielo: venite, radunatevi per il grande banchetto di Dio, perché mangerete la carne dei re, dei tribuni e dei potenti, degli uomini liberi e degli schiavi, dei piccoli e dei grandi. La Chiesa, mangia tutto questo spiritualmente; la Chiesa ha preparato spiritualmente questi cibi e queste prelibatezze. Gli uccelli che volano si dicono Chiesa, e quelli che abbiamo detto essere mangiati sono i nemici della Chiesa, che essa divora sempre spiritualmente. – Poi ho visto la bestia ed i re della terra con i loro eserciti riuniti per combattere contro Colui che è a cavallo e contro il suo esercito. La bestia è il diavolo e tutto il suo popolo che combatte contro la Chiesa e contro Cristo. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta, colui che aveva realizzato segni al cospetto della bestia perché si adorasse il suo simulacro. I due furono gettati vivi nel lago di fuoco che brucia di zolfo. La bestia catturata, significa che il Signore nella sua venuta finale sottometterà il diavolo, e con lui il falso profeta: quindi il diavolo, il popolo malvagio ed i suoi prepositi: un solo corpo diviso in parti. Infatti questi due vivi, sono il popolo ed i prepositi, che il Signore incontrerà viventi. E dice che li getterà vivi nel lago di fuoco ardente. Gli altri furono sterminati dalla spada che usciva dalla bocca di colui che sedeva sul cavallo, e tutti gli uccelli furono sazi della loro carne, cioè quando dice “gli altri” si riferisce a coloro che Cristo troverà morti al suo arrivo. “Colui che cavalca il cavallo” si riferisce a Cristo che è al di sopra della Chiesa. La “spada che esce dalla sua bocca” è la parola della predicazione. Tutti quelli che dice “gli uccelli”, sono i Santi che formano la Chiesa. Quando dice che si saziarono delle loro carni, significa che la Chiesa mangerà sempre la carne dei suoi nemici. Se ne ciberà perciò alla resurrezione, vendicatrice delle loro opere carnali. Ma, dopo la venuta del Signore e la punizione della bestia, chi deve essere ucciso con la spada per essere mangiato da veri uccelli, quando i corpi saranno risuscitati essendo gli uomini giudicati nella loro integrità? Qui finisce e ricapitola dall’inizio. Poi ho visto un Angelo scendere dal cielo, che teneva in mano la chiave dell’abisso ed una grande catena. Dominò il dragone, cioè il diavolo, e lo incatenò per mille anni. Lo rinchiuse e vi pose i sigilli, affinché non seducesse più gli uomini, fino al compimento dei mille anni (Ap. XX). L’Angelo qui nominato si riferisce al Cristo nella sua prima venuta. La chiave dell’abisso è il potere del suo popolo. Quella che egli chiama “catena” designa il potere che Dio ha dato al suo popolo. E quando dice che lo ha incatenato nell’abisso per mille anni, “l’abisso” è il popolo escluso dai cuori dei credenti. Ciò che egli ha chiamato mille anni, è il tempo dalla prima venuta del Signore fino alla sua seconda venuta, in modo che esso – il dragone – non possa nuocere per quanto vorrebbe a coloro che credono. Di poi deve essere liberato per un breve periodo, e questo alla fine del mondo, quando il diavolo, il principe introdottosi nell’Anticristo, e i suoi ministri negli uomini malvagi, avranno allora potere come non  mai, anche di prima che Cristo venisse. Poi vidi dei troni, ed essi si sedettero su di essi, e fu dato loro il potere di giudicare. Per “troni” si intendono le dodici tribù di Israele, che sono la Chiesa stabilita in Cristo; già fin dalla prima venuta del Signore, quando il diavolo era legato, essi sono seduti e giudicano, perché, come sta scritto, « i santi giudicano già il mondo » (1 Cor. VI, 2); ma lo fanno coloro che abbandonano completamente il mondo e seguono Cristo con tutta la loro mente. Questo lo dice dei Santi che sono vivi. Dei Santi che sono già sepolti dice: Ho visto anche le anime di coloro che sono stati uccisi a causa della parola di Dio e per la testimonianza di Gesù. Infatti la Chiesa testimonia ad entrambi, cioè al Verbo ed alla carne, che c’è un solo Cristo Figlio di Dio. Beato e santo colui che partecipa alla prima risurrezione; la seconda morte non ha alcun potere su di costui. Cioè, chiunque in questo mondo attende alla penitenza, in futuro non sarà gettato nell’inferno … ma saranno sacerdoti di Cristo e regneranno con Lui per mille anni, cioè per sempre. Infatti mille è un numero perfetto. E quando i mille anni saranno passati, satana sarà liberato dalla sua prigione, cioè si dissolverà nel nulla, così da svanire ed andare alla perdizione eterna. Perché non sarà liberato per ricevere la libertà, ma sedurrà le nazioni dei quattro angoli della terra, Gog e Magog. “Sedurre” significa rovinare e trascinare con sé alla perdizione. Tutti i malvagi che esso ha sedotto dai quattro angoli della terra, uniti a lui nella stessa perdizione, farà sì che siano sottoposti ai tormenti eterni. E li radunerà per la lotta, numerosi come la sabbia del mare: questa è cioè la moltitudine di peccatori levatisi con la superbia, ma le cui azioni terrene li faranno sprofondare. E circonderanno l’accampamento dei Santi, cioè vivranno insieme ai Santi. Ma di loro è già stato profetizzato: « tornano a sera, hanno fame, vagano per la città » (Psal. LVIII,7). – Ma il fuoco scese dal cielo e li divorò; e il diavolo, il loro seduttore, fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove si trova anche la bestia, e il falso profeta; ed essi saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. Questa è la dissoluzione a cui ci siamo riferiti in precedenza, in modo che il seduttore muoia insieme con il sedotto. – Poi ho visto un grande trono bianco e Colui che vi sedeva sopra. Il “trono” è figura del giudizio, quando Cristo, in quel giorno del giudizio, giudicherà Egli stesso il mondo intero. Lo chiama bianco, perché tutti saranno giudicati con giustizia. Il cielo e la terra sono fuggiti dalla sua presenza, perché il cielo e la terra non possono resistere ad un giudizio di così grande potenza. Infatti davanti ad esso non c’è alcun posto che occupi spazio, ma c’è come il niente ed il vuoto. Così mostrata la forma del giudizio, indicata la qualità del Giudice, si riferisce già all’esecuzione della sentenza. Ho visto i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono, ed i libri sono stati aperti, cioè sono state proclamate le opere di tutti. E poi è stato aperto un altro libro, che è il libro della vita. Il libro della vita è Cristo. È allora che si rende manifesto a tutte le sue creature. E i morti venivano giudicati secondo ciò che era scritto nei libri, secondo le loro opere, cioè venivano giudicati secondo la Legge ed il Vangelo, secondo ciò che avevano operato o non fatto. E il mare restituì i suoi morti, cioè coloro che si trovarono vivi in questo mondo. E la Morte e l’Ade hanno restituito i loro morti, che sono i sepolti. E colui che non è stato trovato scritto nel Libro della Vita – cioè colui che non è giudicato vivo dal Signore – fu gettato nel lago di fuoco; questa è la seconda morte. Poi vidi un nuovo cielo ed una nuova terra, perché il cielo di prima e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più. E vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, salire dal cielo, preparata da Dio, come una sposa adorna per il suo sposo (Ap XXI). Il nuovo cielo e la nuova terra si riferiscono ai Santi incorrotti. Gerusalemme è la schiera celeste dei Santi che si dice vengano con il Signore, si uniscano al loro Signore e rimangano con Lui per sempre. – E udii una voce dal trono che diceva: “Questa è la dimora di Dio con gli uomini, e tu porrai la tua casa in mezzo a loro, ed essi saranno il suo popolo, ed egli, Dio con loro, sarà il loro Dio”. Ed egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né il dolore, né il pianto, perché il vecchio mondo è passato.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (2)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “OFFICIO SANCTISSIMO”

« Officio sanctissimo » è una magnifica lettera Enciclica densa di contenuti spirituali, dottrinali, sociali, pedagogici, storico-culturali che il Santo Padre Leone XIII scrisse all’Episcopato ed al popolo della Baviera, Regno da sempre Cattolico e fedelissimo alla Sede Apostolica – anche se tristemente noto per essere la patria degli Illuminati, infernale setta massonica. Ogni rigo è fonte di stupore e di meraviglia nel rilevare le considerazioni del Pontefice che sono applicabili non solo alla cristiana nazione, ma a tutte le Nazioni anche di oggi, che vogliono progredire nella vita materiale, sociale, spirituale. Energica è poi la difesa dei diritti della Chiesa Cattolica, fonte di ogni bene, ed accorata l’invocazione, rivolta prima alla Gerarchia ecclesiastica, e poi a tutti i Cristiani, nel serbare la dottrina cattolica, nell’insegnarla correttamente, con passione e con chiarissimo esempio promuovendo soprattutto la formazione dei giovani, sia chierici che laici. Non c’è che da leggere: si resta ammirati e commossi dai paterni accenti accorati del Pontefice rivolti a tutti gli strati della popolazione perché abbiano luce e benessere dalla santa Madre Chiesa, voluta da Dio, sgorgata dal fianco di Cristo ed arca unica di eterna salvezza. I tanti insegnamenti rivolti ai governanti di allora, sono tutti ancora perfettamente validi, e bene farebbero gli attuali reggitori delle sorti dei popoli, ad apprendere la vera scienza politica, quella che discende da Dio, dalla retta Teologia Scolastica, dal Magistero pontificio, dalla dottrina della Chiesa, e proprio in questi tempi in cui i servi del dragone e della bestia infernale, siedono – pilotati dalle logge di perdizione – sugli scanni di tutti i governi mondiali, spalleggiati dai rappresentanti del « falso profeta » insediato nei palazzi romani in luogo del legittimo reggente cacciato … esiliato … Al piccolo resto degli indomiti Cattolici non resta che la preghiera, il sacrificio e la ferma pazienza nell’attesa della desiderata parusia del Signore nostro Gesù Cristo che, con il soffio della bocca brucerà l’anticristo sprofondando nello stagno di fuoco la bestia, il falso profeta ed infine il drago maledetto, schiacciato dal calcagno virginale della Santissima Vergine Madre di Dio… et IPSA conteret caput tuum … Così è scritto, così sarà. … patientia pauperum non peribit in finem. Exsurge, Domine; non confortetur homo (Ps. IX, 19-20).

Leone XIII

Officio sanctissimo

Lettera Enciclica

Indotti dal dovere santissimo dell’ufficio Apostolico, Noi Ci siamo sforzati grandemente e a lungo, come voi ben sapete, perché migliorasse la situazione della Chiesa cattolica in Prussia e perché, riportata al rango e alla dignità che le competono, riacquistasse e ampliasse il suo antico prestigio. Questi Nostri propositi e sforzi, sorretti dall’aiuto e dall’ispirazione divina, hanno consentito di attenuare il precedente conflitto e di coltivare la speranza che in quel paese si potrà realizzare la piena e tranquilla libertà per i Cattolici. – Ora però è Nostra intenzione rivolgere la Nostra attenta sollecitudine, con intensità del tutto particolare, ai Bavaresi. Non certo perché riteniamo che la situazione religiosa sia in Baviera la stessa che in Prussia, ma perché speriamo e desideriamo che anche in codesto regno, che si gloria di professare il Cattolicesimo fin dal tempo dei più remoti antenati, sia opportunamente contrastato qualsiasi impedimento che possa insidiare o sminuire la libertà della Chiesa Cattolica. Per realizzare un così salutare proposito, Noi vogliamo esplorare ogni possibile occasione che Ci si offra, ed utilizzare senza indugio tutta l’autorità e tutto il potere di cui disponiamo. Ci appelliamo a voi, Venerabili Fratelli, e per vostro tramite Ci appelliamo a tutti i Nostri carissimi figli di Baviera, perché Ci sia dato di partecipare, secondo il Nostro potere, a tutto quanto sembri concernere l’interesse e la promozione della fede religiosa fra la vostra gente, e perché su questa materia possiamo darvi consigli, e rivolgere fiduciose sollecitazioni agli stessi poteri civili. – Negli annali sacri della Baviera – ricordiamo fatti che non vi sono sconosciuti – vi sono molti momenti nei quali Chiesa e Stato hanno trovato motivo di concorde letizia. Infatti la fede cristiana, da quando la sua divina semenza fu sparsa nel grembo della vostra regione mediante l’opera ed il sommo zelo del santo abate Severino (che fu l’apostolo del Norico) e degli altri predicatori del Vangelo, pose e fissò così profonde radici che in seguito nessuna smisurata superstizione, né alcun disordine e rivolgimento pubblico hanno potuto svellerla interamente. Per questo, alla fine del settimo secolo, quando Ruperto, santo vescovo di Worms, si accinse a risvegliare e a propagare la fede cristiana in tali regioni su invito di Theodone duca di Baviera, trovò indubbiamente, pur in mezzo alla superstizione, sia molti che già coltivavano la fede, sia molti che desideravano abbracciarla. E lo stesso insigne principe Theodone, mosso dall’ardore della fede, intraprese il viaggio verso Roma, e prosternato davanti al sepolcro dei Santi Apostoli e ai piedi dell’augusto Vicario di Gesù Cristo, per primo diede nobilissima testimonianza della pietà e della comunione della Baviera con questa Sede Apostolica: esempio che altri egregi principi hanno in seguito religiosamente imitato. Circa nello stesso periodo il Cardinale Martiniano, vescovo di Sabina, fu dal santo Pontefice Gregorio II inviato in Baviera per aiutare e rafforzare il campo cattolico; come compagni gli furono assegnati Giorgio e Doroteo, entrambi Cardinali della Chiesa romana. Non molto tempo si recò a Roma, presso il sommo Pontefice, Corbiniano, vescovo di Frisinga, uomo insigne per santità di vita e per abnegazione, che confermò ed accrebbe i risultati apostolici di Ruperto con uno zelo di pari intensità. Ma colui al quale si deve prima che ad ogni altro la gloria di aver alimentato e coltivato la fede in Baviera è senz’altro san Bonifacio, Arcivescovo di Magonza: lo stesso che viene celebrato come padre, apostolo, martire della Germania cristiana, con lodi assolutamente veritiere e immortali. Questi ricoperse l’ufficio di legato per i Pontefici romani Gregorio II e III, e Zaccaria, presso i quali egli godette sempre di grande favore; in nome loro e con l’autorità conseguente egli divise in diocesi le regioni della Baviera; avendo in tal modo stabilito l’ordinamento gerarchico, assicurò in perpetuo la fede che altri vi avevano introdotta. “Il campo del Signore – scrive San Gregorio II allo stesso Bonifacio – che giaceva incolto e che si era coperto di spine a causa dell’infedeltà, arato dal vomere della tua dottrina, accolse il seme del Verbo e produsse una fertile messe di fedeltà” . – Da quel tempo la religione dei Bavaresi, per quanto duramente insidiata nel corso dei secoli, resistette salda e costante attraverso tutte le vicende civili. Invero seguirono i ben noti turbamenti e le lotte dell’impero contro il sacerdozio: lotte aspre, lunghe, calamitose. Tuttavia in tali frangenti la Chiesa ebbe più da rallegrarsi che da dolersi, in Baviera. Questa infatti, col favore dell’autorità sovrana, si schierò a fianco del legittimo Pontefice Gregorio XI, senza lasciarsi in alcun modo smuovere dall’audacia sfrenata dei dissidenti che inutilmente minacciavano, e – cosa che era particolarmente difficile – per lungo tempo gli abitanti serbarono intatta la fede dei padri e la comunione con la Chiesa romana, per nulla intimiditi dalla violenta aggressività dei Novatori. Questo valore, questa fermezza dei vostri padri sono tanto più da celebrare ora che la nuova setta ha sventuratamente assoggettato quasi tutti i popoli a voi vicini. Certamente ai bavaresi che vissero in quei tempi calamitosi ben si addicevano le parole di meritata lode che molto tempo prima lo stesso Gregorio II aveva rivolto alla popolazione cattolica della Turingia, istruita nella dottrina cristiana da San Bonifacio, in una lettera ai governanti: “Riconoscendo la costanza della vostra magnifica fede in Cristo, di cui siamo ben informati, e come abbiate risposto, con fede piena, ai pagani che volevano spingervi a venerare gli idoli, di voler felicemente morire piuttosto che violare anche solo in parte la fede in Cristo abbracciata una volta per tutte; ripieni di straordinaria esultanza, rendiamo le dovute grazie al nostro Dio e redentore, dispensatore di ogni bene, con l’aiuto della cui grazia auspichiamo che voi possiate raggiungere le migliori e le più desiderabili mete; possiate rafforzare il proposito della vostra fede di mantenervi uniti e con animo pio alla santa Sede Apostolica e, quando lo esigano le necessità della santa Religione, possiate chiedere conforto alla santa Sede Apostolica, madre spirituale di tutti i fedeli, così come si conviene a figli coeredi di un regno nei confronti del regale genitore” . – In verità, anche se la grazia di Dio misericordioso, che nel passato ha protetto e benignamente abbracciato la vostra gente, Ci fa trarre i migliori auspici e concepire le migliori speranze per l’avvenire, nondimeno dobbiamo, ciascuno per la propria parte, apprestare tutte quelle difese che appaiano più efficaci sia a rimediare i danni già recati alla religione, sia ad impedire i pericoli che la possano sovrastare, in modo che la dottrina cristiana e le più sacre istituzioni morali possano rinvigorirsi ogni giorno di più e produrre frutti sempre più abbondanti. Non diciamo questo come se la causa cattolica potesse desiderare presso di voi più idonei o meno timidi difensori, ché anzi ben sappiamo, Venerabili Fratelli, che voi – e insieme con voi la parte maggiore e più integra del clero e dei fedeli laici – non vi siete mostrati né freddi né oziosi di fronte alle battaglie e ai pericoli dai quali è assediata e premuta la vostra Chiesa. Perciò, come per un motivo non dissimile il Nostro predecessore Pio IX, in un’amorevolissima lettera indirizzata ai Vescovi della Baviera, esaltò con grandi lodi il rilevante impegno da loro profuso in difesa dei sacri diritti della Chiesa, allo stesso modo Noi rivolgiamo volentieri spontanee, giuste e pubbliche lodi a quanti tra i Bavaresi hanno coraggiosamente intrapreso e sostengono la difesa della religione avita. In verità, nei periodi nei quali il previdentissimo Iddio permette che la sua Chiesa sia scossa da violente tempeste, Egli stesso richiede ben a ragione da parte nostra animi più vigili e forze più pronte alla bisogna. Tutti voi concordemente, Venerabili Fratelli, vedete con dolore come Noi, in che tempi ostili e iniqui la Chiesa sia caduta; vedete soprattutto in quali condizioni si trovino i vostri affari, e in quali difficoltà voi stessi vi dibattiate. Quindi comprendete per esperienza come i vostri doveri siano oggi maggiori che nel passato, e come dobbiate, per esercitarli, sforzarvi di applicare la vigilanza e l’operosità, la forza e la prudenza cristiane. – In primo luogo vi esortiamo e vi sollecitiamo a preparare e a qualificare il clero. Non c’è dubbio che il clero sia come un esercito, il quale, dal momento che i suoi regolamenti e i suoi compiti impongono che, sotto la guida dei Vescovi, si trovi in contatto quasi costante col popolo cristiano, sarà in grado di dare onore e sostegno tanto maggiori alla cosa pubblica quanto più si segnalerà per numero e per disciplina. Per questo fin dai tempi più antichi fu sempre speciale cura della Chiesa scegliere ed educare al sacerdozio quegli adolescenti “la cui indole e forza di volontà fanno sperare che si dedicheranno per sempre ai compiti ecclesiastici” ; ed altresì “che gli adolescenti siano avviati fin dagli anni più teneri alla pietà e alla Religione, prima che l’abitudine dei vizi possieda tutti gli uomini” ; per loro fondò appositi istituti e collegi, e fissò regolamenti pieni di sapienza, specialmente col santo Concilio Tridentino , “perché questo collegio dei ministri di Dio sia un seminario perpetuo” . Ora, vi sono luoghi in cui sono state stabilite e sono in vigore leggi che, se non impediscono del tutto, pongono ostacoli a che il clero si formi spontaneamente o venga educato secondo una specifica disciplina. Riguardo a questo problema, che riveste la massima importanza, riteniamo che ora, come in altre occasioni, occorra che Noi esprimiamo apertamente il Nostro pensiero e che ricorriamo a qualunque mezzo in Nostro possesso per conservare santo e inviolato il diritto della Chiesa. Non v’è dubbio che sia diritto originario della Chiesa, come società perfetta nel suo genere, di ordinare e di istruire le sue truppe, che non sono di danno ad alcuno e sono di aiuto a molti, nel pacifico regno che Gesù Cristo ha fondato sulla terra per la salvezza del genere umano. – Il clero però dovrà assolvere ai propri doveri nel modo assolutamente più rigoroso e completo, quando, sorretto dall’aiuto dei Vescovi, avrà acquisito nei sacri seminari una tale disciplina dell’animo e della mente quale richiedono la dignità del sacerdozio cristiano e le circostanze dei tempi e dei costumi; occorre cioè che esso eccella con lode nella dottrina e, ciò che è più importante, con somma lode nell’esercizio della virtù, affinché sappia trarre a sé l’animo degli uomini e suscitare in loro un sentimento di deferenza. – È necessario che la sapienza cristiana, splendente di mirabile luce, brilli negli occhi di tutti, affinché, disperse le tenebre dell’ignoranza, che è la maggior nemica della Religione, la verità si diffonda largamente in ogni dove e felicemente regni. Occorre altresì che siano confutati e sbaragliati i molteplici errori che, sorti o dall’ignoranza o dalla disonestà o dai pregiudizi, distolgono perversamente la ragione degli uomini dalla verità cattolica e la mostrano in una luce fastidiosa per l’animo. Quel compito grandissimo che consiste nell’”esortare alla sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono” (Tt 1, 9) spetta all’ordine dei Sacerdoti, che lo ricevettero legittimamente da Cristo Signore, quando Egli li inviò, con la sua divina potestà, ad istruire tutte le genti: “Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo a tutte le creature” (Mc XVI, 15); intendendo chiaramente che i Vescovi, scelti quali successori degli Apostoli, presiedano come maestri nella Chiesa di Dio, e che i Sacerdoti li affianchino come aiutanti. Riguardo a queste sante incombenze, si provvide nel modo quanto più compiuto e perfetto nei primi tempi della nostra Religione e nei secoli successivi, durante quell’acerbissima lotta che divampò così a lungo contro la tirannide della superstizione pagana: da quel conflitto trasse sì grande gloria la classe sacerdotale, e gloria ancor più grande il santissimo ordine dei Padri e dei Dottori, la cui sapienza ed eloquenza risplenderanno nella memoria e nell’ammirazione di tutti. In verità, attraverso loro, la dottrina cristiana, più sottilmente trattata, con più facondia spiegata, col massimo coraggio difesa, si rivelò in tutta la sua verità e la sua eccellenza, assolutamente divina; per contro cadde la dottrina degli idolatri, confutata e disprezzata anche dagli indotti come totalmente assurda, insufficiente, incoerente. – Inutilmente poi gli avversari si coalizzarono per ritardare e ostacolare il corso della sapienza cattolica; inutilmente le contrapposero le scuole della filosofia greca, sopra tutte la platonica e l’aristotelica, esaltandole con magnifiche espressioni di lode. I nostri infatti, non sottraendosi neppure a siffatto genere di contesa, applicarono l’ingegno anche allo studio dei filosofi pagani; ciascuno di loro se ne occupò, li approfondì con diligenza quasi incredibile, li esaminò ad uno ad uno, li soppesò, li confrontò; molte proposizioni furono da loro respinte o corrette; non poche, com’era giusto, approvate ed accolte; fu infatti da loro chiarito e proclamato il concetto secondo cui soltanto ciò che appare falso alla ragione e all’intelligenza dell’uomo è contrario alla dottrina cristiana, sicché colui che vuole opporsi e resistere a questa dottrina in realtà necessariamente si oppone e resiste alla sua stessa ragione. – Di tal fatta furono le battaglie combattute da quei nostri padri; significative vittorie furono ottenute non solo col valore e le armi della fede, ma anche con l’aiuto della ragione umana: la quale, avanzando nella luce della sapienza celeste, dall’ignoranza di moltissime cose, e quasi da una foresta d’errori, era entrata a passo sicuro nel cammino della verità. – Questa veramente ammirevole concordia ed alleanza di fede e ragione, per quanto onorate nei meditati studi di molti, risplendono tuttavia al massimo grado, come raccolte in un solo edificio ed esposte unitariamente, nell’opera di Sant’Agostino De Civitate Dei, e similmente nell’una e nell’altra Summa di San Tommaso d’Aquino: libri nei quali sono racchiusi certamente tutti i più acuti pensieri e le dissertazioni di tutti i sapienti, e nei quali si possono ricercare i fondamenti e le sorgenti di quella eminente dottrina che chiamano teologia cristiana. – Il ricordo di esempi tanto insigni deve essere assolutamente ripreso e favorito in quei tempi dal clero, ora che vecchie armi sono qua e là rimesse in uso da opposti partiti e si riaccendono quasi le stesse vecchie battaglie. Però, mentre in passato i pagani respingevano la religione cristiana per il fatto che non volevano essere allontanati dai loro riti e dalle loro istituzioni religiose ancestrali, ora invece l’opera nefasta di uomini scellerati tende proprio ad estirpare dalle radici, tra i popoli cristiani, tutti quegli insegnamenti divini e indispensabili che furono inculcati in loro attraverso la santità della fede, e a ridurli in uno stato peggiore di quello dei pagani e a trascinarli alla più degradante miseria, vale a dire al disprezzo e alla distruzione di ogni fede e religione. – L’origine di questa impura peste, della quale nessun’altra è più detestabile, è da ricercarsi in coloro che attribuirono all’uomo, esclusivamente in virtù della propria natura, la facoltà di conoscere e giudicare, ciascuno in base al proprio giudizio razionale, in materia di dottrina rivelata: con ciò sottraendosi del tutto all’autorità della Chiesa e del Pontefice romano, ai quali soltanto spetta invece, per divino mandato e prerogativa, di custodire tale dottrina, tramandarla, e sentenziare intorno ad essa in assoluta verità. Si apriva così rapidamente – e infatti si aperse rovinosamente per loro – la via che porta a porre in dubbio e a rifiutare tutte le verità che sono poste oltre la natura delle cose e la capacità intellettiva dell’uomo; giunsero a tal punto d’impudenza da negare che vi sia qualche autorità che promani da Dio, e che Dio stesso esista, scadendo infine, nella teoria insulsa dell’Idealismo e in quella particolarmente abietta del Materialismo. Coloro che si chiamano Razionalisti, così come i Naturalisti, non si peritano di chiamare questo pervertimento dei massimi principi col falso nome di progresso della scienza e progresso della società umana; al contrario, tutto ciò prepara la rovina e la distruzione dell’una e dell’altra. – Pertanto, Venerabili Fratelli, voi ben sapete e comprendete con quali strumenti e metodi occorre che vengano educati alle più alte dottrine gli alunni della Chiesa, affinché essi si applichino ai propri doveri secondo quanto richiedono la convenienza e l’utilità dei tempi. È bene però che essi, una volta plasmati e affinati attraverso le discipline umanistiche, non si accostino ai più complessi studi della sacra teologia prima di aver acquisito una scrupolosa preparazione nello studio della filosofia. Ci riferiamo a quella filosofia profonda e solida, indagatrice delle cause ultime, valida patrona della verità; in forza di essa, eviteranno di fluttuare e di venir trascinati “da qualsiasi vento dottrinario suggerito dalla malvagità degli uomini, con l’astuzia ingannatrice dell’errore” (Ef. IV, 14), e sapranno fornire alla verità l’ausilio anche di altre dottrine, dopo aver discusso e confutato le teorie ingannevoli e capziose. A questo scopo abbiamo già raccomandato che le opere del grande Aquinate siano nelle loro mani e costantemente ed abilmente commentate, ed abbiamo più volte reiterato tale consiglio con le parole più solenni. Il Nostro animo confida che da quei testi il clero abbia già tratto ottimi frutti, e nutriamo la ferma speranza che ne trarrà degli ancor più ricchi e copiosi. Non v’è dubbio che l’insegnamento del Dottor Angelico è mirabilmente idoneo a formare le menti: fornisce mirabile perizia nel commentare, nel filosofare e nel disertare in modo stringente e invincibile. Infatti mostra lucidamente le cose singole l’una derivante dall’altra in una serie continua, tutte tra loro connesse e coerenti, tutte in relazione con i principi supremi; così essa innalza alla contemplazione di Dio, che di tutte le cose è causa efficiente e forza e sommo modello, al quale infine ogni filosofia e quanto v’è di grande nell’uomo debbono riferirsi. Così, invero, attraverso Tommaso la scienza delle cose divine e umane, e delle cause che le contengono, viene ammirevolmente illustrata e stabilmente fondata; nel tentativo di contrastarne la disciplina, le antiche sette degli errori si ritrovarono completamente distrutte; e così pure le nuove, diverse da quelle più nel nome e nell’apparenza che nella sostanza, non appena ebbero sollevata la testa ricaddero, soccombendo sotto i suoi colpi: come già è stato dimostrato da più d’uno dei nostri scrittori. – Indubbiamente la ragione umana vuole addentrarsi con sguardo acuto e libero nella conoscenza della natura intima e recondita delle cose, e non può non volerlo: ma sotto la guida e il magistero dell’Aquinate tale percorso le è reso più facile e più libero perché del tutto sicuro, al riparo dal pericolo di oltrepassare i confini della verità. Né del resto si potrebbe onestamente definire libertà quella che consiste nel seguire e nello spargere opinioni secondo l’arbitrio e il capriccio, ma al contrario soltanto licenza dissoluta, scienza menzognera e fallace, disonore e schiavitù dell’animo. Peraltro egli è il sapientissimo Dottore che sa mantenersi entro i limiti della verità; colui che non solo non combatte mai con Dio, principio e somma di ogni verità, ma che a Lui si mantiene sempre unito, sempre devoto a Lui che in ogni modo gli rivela i Suoi arcani misteri; colui che non meno santamente è docile alla parola del Pontefice romano, venera in lui l’autorità divina, ed è assolutamente convinto che “la sottomissione al Pontefice romano è necessaria alla salvezza” . Alla sua scuola dunque sia formato il clero, e si eserciti nella filosofia e nella teologia: ne uscirà sicuramente dotto e al massimo grado armato per le sante battaglie. – Infine a malapena si può esprimere l’immensa utilità di diffondere presso ogni ordine sociale, tramite il clero, la luce della dottrina, se essa rifulge come da un candelabro di virtù. Infatti, nei precetti che si propongono di correggere i costumi umani, sono quasi più efficaci gli esempi che le parole dei maestri: nessuno avrà mai una gran fiducia in colui le cui azioni discordino con le sue parole e i suoi insegnamenti. Fissiamo gli occhi e la mente in Gesù Cristo Signore, il quale, poiché è la verità ci insegnò le cose in cui dobbiamo credere, e poiché è la vita e la via, propose se stesso a noi come l’esempio assoluto, sul quale modellarci per condurre onestamente la vita e per tendere con zelo al bene ultimo. Egli stesso volle i suoi discepoli formati e perfetti secondo il suo esempio con queste parole: “La vostra luce, cioè la dottrina, risplenda agli occhi degli uomini quando essi vedono le vostre opere buone”, non diversamente dagli argomenti della dottrina, “e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt V, 16), abbracciando insieme la dottrina e la morale del Vangelo, che affidava loro perché lo diffondessero. – Sono appunto questi i principi divini sui quali occorre che si modelli e si orienti la vita dei Sacerdoti. È assolutamente opportuno e necessario che essi abbiano quasi scolpita nell’animo la convinzione che ormai non appartengono più al secolo, ma sono stati scelti veramente per disposizione di Dio perché, pur conducendo la loro esistenza in comunione col secolo, vivano tuttavia la vita di Cristo Signore. Se davvero vivranno di Lui e in Lui, non ricercheranno mai le cose proprie, ma si dedicheranno totalmente alle cose che appartengono a Gesù Cristo (Fil II, 21), e non si sforzeranno di procurarsi il vano favore degli uomini, ma ricercheranno il duraturo favore di Dio; si asterranno, provandone disgusto, da ogni genere di bassezza e corruttela; procurandosi larga messe di beni celesti, li diffonderanno copiosamente e lietamente intorno a sé, come si addice alla santa carità; né accadrà mai più che al giudizio e al volere dei Vescovi oppongano o antepongano il proprio, ma obbedendo e assecondando coloro che rappresentano la persona di Cristo, lavoreranno con grande felicità nella vigna del Signore, con abbondanza di sceltissimi frutti produttivi della vita eterna. Invero, chiunque si separi con la parola e con la volontà dal suo pastore e dal Pastore supremo, il romano Pontefice, non può in alcun modo essere congiunto a Cristo: “Chi ascolta voi ascolta me; e chi disprezza voi disprezza me” (Lc X,16), e chiunque è lontano da Cristo dissipa, anziché raccogliere. – Da ciò scaturisce inoltre quali forme e modi di obbedienza siano dovuti agli uomini, che sono preposti alla cosa pubblica. Ebbene, non si vuole assolutamente negare o limitare i loro diritti; piuttosto sono da seguire, da parte di tutti gli altri cittadini, e con maggior diligenza da parte dei sacerdoti, le parole “Date a Cesare quello che è di Cesare” (Mt. XXII, 21). Infatti sono nobilissimi e degni di onore i doveri che Dio, Signore e Rettore supremo, impose ai Principi acciocché con la saggezza, con la ragione, con ogni osservanza della giustizia essi regolino, conservino, accrescano lo Stato. Per questo il clero deve adempiere e svolgere ogni singolo dovere dei cittadini, in modo non servile ma rispettoso; per religione e non per paura; col giusto ossequio pur conservando la propria dignità: cittadini e insieme Sacerdoti di Dio. Ché se poi talora accada che il potere civile usurpi i diritti di Dio e della Chiesa, allora venga dai Sacerdoti un insigne esempio di come il Cristiano si debba mantenere fermo al proprio posto, anche in tempi terribili per la Religione: sopporti in silenzio, con fermo coraggio; sia cauto nel sopportare azioni inique, e non dia in alcun modo il proprio assenso né la propria comprensione ai malvagi; e se si ponesse la stringente alternativa, o di disobbedire ai comandi di Dio o di compiacere agli uomini, egli faccia propria con libera voce quella memorabile e degnissima sentenza degli Apostoli: “Occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At V, 29). A questo modello appena abbozzato di un metodo educativo per giovani ecclesiastici, Ci piace e Ci pare opportuno aggiungere considerazioni che riguardano la gioventù in generale: Ci sta grandemente a cuore, infatti, che l’educazione di essa si compia nel modo migliore e più completo, sia riguardo allo sviluppo della mente, sia alla perfezione dell’animo. La Chiesa ha sempre avvolto in un materno abbraccio l’età giovanile; in sua difesa ha sempre impiegato molte amorevoli energie e apprestato molteplici sussidi; tra questi, molte Congregazioni di religiosi che istruissero gli adolescenti nelle arti e nelle dottrine, e soprattutto li nutrissero della sapienza e della virtù cristiana. Così, sotto tali auspici accadeva facilmente che sgorgasse nei teneri animi la pietà verso Dio, e che per questo tramite il senso del dovere dell’uomo verso se stesso, verso gli altri e verso la patria, ricevuto in giovane età, altrettanto precocemente facesse sperare nei migliori frutti. – Pertanto, ora è giusta causa di dolore per la Chiesa il vedere che i propri figli le sono strappati nella più tenera infanzia e costretti in quelle scuole dove o viene messa del tutto a tacere ogni nozione di Dio, oppure ne viene esposta qualche idea imprecisa e mista a perversità, e dove non v’è alcun riparo contro il diluvio di errori, alcuna fede nella rivelazione divina, alcuno spazio perché la verità possa difendersi da se stessa. – È dunque somma ingiustizia escludere l’autorità della Chiesa Cattolica dalle sedi delle lettere e delle scienze, poiché è da Dio che è stato attribuito alla Chiesa il compito dell’insegnamento della Religione, cioè di quello strumento senza il quale nessuno può acquistare la salvezza eterna. A nessun’altra comunità umana è stato assegnato tale incarico, e nessuna comunità può attribuirselo: per questo e con ragione essa lo reclama come suo proprio diritto, e si duole nel vederlo colpito. Oltre a ciò occorre prestare grande attenzione e ad ogni costo evitare che, nelle scuole che si sono sottratte in tutto o in parte dalla giurisdizione della Chiesa, la gioventù corra pericoli e subisca influenze dannose per la sua fede cattolica e per la sua dirittura morale. A questo fine avrà particolare valore la sollecitudine del clero e delle persone oneste, sia se opereranno perché l’insegnamento religioso non solo non venga escluso da quelle scuole, ma perché vi occupi il ruolo che gli spetta, e perché venga affidato a maestri idonei e di specchiata virtù; sia se sapranno ideare e organizzare altri accorgimenti didattici che consentano di insegnare ai giovani tale dottrina con limpidezza e chiarezza. Avranno anche grande valore i consigli e la cooperazione dei padri di famiglia. Conseguentemente è opportuno rivolgere a questi un ammonimento e un’esortazione, con la maggiore solennità: non dimentichino quanto grande e santo dovere essi contraggano con Dio riguardo ai loro figli; come li debbano educare alla conoscenza della Religione, ai buoni costumi, al pio timor di Dio; come potrebbero danneggiarli, affidando giovani ingenui e incauti alle mani di precettori sospetti. Collegati con tali doveri, che si sono assunti con la procreazione dei figli, i padri di famiglia sappiano che esistono altrettanti diritti, secondo natura e secondo giustizia, e sono di tal fatta che non è lecito né sottrarsene né farsene espropriare da alcuna autorità umana, dal momento che è proibito all’uomo sciogliersi dagli obblighi ai quali è tenuto verso Dio. – I genitori ricordino dunque che, se sopportano un grande peso, quello della protezione dei figli, ne sopportano uno molto maggiore, quello di educarli alla più alta e più degna vita, che è la vita spirituale. Quando non sono in grado di svolgere da sé questo compito, sono tenuti ad assicurarsi l’opera vicaria di altri, in modo che i figli ricevano il necessario insegnamento religioso da maestri preparati. Ormai non è infrequente quel davvero meraviglioso esempio di pietà e di munificenza fornito – nei luoghi dove non esistono altre scuole pubbliche, se non quelle che vengono chiamate neutrali – da quei Cattolici che hanno aperto proprie scuole a costo di grandi sacrifici e rilevanti spese e che con pari costanza le mantengono in attività. È da augurarsi vivamente che siano fondati molti altri di questi mirabili e sicuri rifugi per la gioventù, ovunque se ne veda l’opportunità secondo i luoghi e le possibilità. – Né si deve passare sotto silenzio il fatto che l’educazione cristiana della gioventù risulta anche della massima utilità per la società stessa. È del tutto evidente come siano da temersi innumerevoli e ingenti pericoli in quello Stato in cui i metodi didattici e l’ordinamento degli studi escludano la Religione, oppure, ciò che è anche più dannoso, le si oppongano. Infatti, non appena sia trascurato o spregiato quel supremo e divino Magistero, che ci ammonisce a venerare l’autorità di Dio, e, fidando in Lui, ad attenerci con incrollabile fede ai suoi Comandamenti, ecco che subito si apre per la scienza umana la rovinosa via dei più perniciosi errori, e particolarmente quelli del naturalismo e del razionalismo. Ne consegue che ciascuno si ritiene libero nel giudicare e nel valutare, sia che si tratti di idee, sia, e con maggior facilità, che si tratti di azioni; per questo l’autorità pubblica dei governanti ne risulta indebolita e mortificata. Ci sarebbe infatti da stupirsi considerevolmente se persone che abbiano fatta propria la perversa convinzione di non essere in alcun modo obbligate al dominio e al governo di Dio, accettassero e tollerassero il governo di un uomo. Una volta che siano stati distrutti i fondamenti sui quali poggia qualsiasi autorità, la società dell’umano consorzio si dissolve e si disperde: non vi sarà più Stato; si estenderà ovunque il feroce dominio della violenza e del delitto. Può forse lo Stato sventare una sì funesta calamità contando solo sulle proprie forze? Può farlo rifiutando l’aiuto della Chiesa? Può farlo combattendo la Chiesa? La risposta è chiara e manifesta a chiunque sia dotato di saggezza. La stessa prudenza politica quindi suggerisce che si debba lasciare ai Vescovi e al clero un ruolo nell’istruzione e nella formazione della gioventù; e che si debba prestare particolare attenzione a che non vengano chiamati al nobilissimo ufficio di educatori uomini di tiepido o scarso sentimento religioso, o apertamente avversi alla Chiesa. E sarebbe poi oltremodo intollerabile che uomini di siffatte inclinazioni fossero scelti per l’insegnamento più alto di tutti, quello delle scienze religiose. – È inoltre della massima importanza, Venerabili Fratelli, che avvertiate e cerchiate di respingere i pericoli che minacciano i vostri fedeli per il contagio dei massoni. Già altra volta, in un’apposita lettera Enciclica, mettemmo in rilievo quanto i propositi e le arti di questa tenebrosa setta siano pieni di nequizia ed esiziali per la società, ed indicammo i mezzi per indebolirne e soffocarne il vigore. – Né si avvertiranno mai abbastanza i Cristiani di guardarsi da tale scellerata società; essa infatti, sebbene fin da principio abbia concepito un profondo odio verso la Chiesa Cattolica e l’abbia poi riaffermato più aspramente e continui ogni giorno ad attizzarlo, tuttavia non manifesta sempre un’aperta inimicizia, ma più spesso agisce in modo ipocrita e ingannevole, e sventuratamente irretisce soprattutto gli adolescenti, che sono ingenui e poco smaliziati, attraverso una simulazione di pietà e di carità. Circa il modo di cautelarsi contro coloro che sono lontani dalla fede Cattolica, attenetevi scrupolosamente ai precetti della Chiesa, perché la consuetudine con le loro perverse opinioni non si risolva in un danno per il popolo cristiano. Vediamo bene, e ne siamo assai addolorati, che né Noi né voi abbiamo capacità pari alla volontà e allo zelo, per stornare completamente questi pericoli; nondimeno non riteniamo inopportuno fare appello alla vostra sollecitudine pastorale e insieme spronare all’impegno i Cattolici, perché associando i nostri sforzi possiamo allontanare o rendere meno pesanti gli ostacoli che si oppongono ai nostri voti comuni. Per esortarvi con le parole del Nostro santo predecessore Leone Magno, “Armatevi di pio zelo e religiosa sollecitudine, e che l’opera di tutti i fedeli si coalizzi contro i più minacciosi nemici delle anime” . Pertanto, dopo aver rimosso qualsiasi residuo di pigrizia e torpore che possano albergare nell’animo, tutti i buoni assumano come propria la causa della Religione e della Chiesa; e per essa combattano con fede e con perseveranza. Accade infatti che i malvagi vedano rafforzata la propria malizia e libertà di nuocere dall’inerzia e dalla pavidità dei buoni, ed anzi se ne vantino. Accadrà anche che gli sforzi e lo zelo dei Cattolici raggiungano talora risultati inferiori ai propositi e alle attese: saranno serviti tuttavia all’uno o all’altro scopo, a trattenere cioè gli avversari e a rinvigorire i deboli e i vili, oltre che procurare grande giovamento a chi ha la sicura coscienza del dovere compiuto. Del resto non sapremmo neppure concedere facilmente che possa mancare un esito felice alla solerzia e all’operosità dei Cattolici, quando siano guidate da un proposito giusto, perseguito con tenacia. Infatti è sempre successo, e accadrà sempre, che imprese che si presentano irte di gravi difficoltà e ostacoli abbiano infine il più felice esito, quando siano affrontate, come dicemmo, con audacia e intrepidezza, accompagnate e guidate da cristiana prudenza. È certamente inevitabile che prima o poi la verità, cui l’uomo per natura tende con grande passione, finisca per conquistare la mente; può essere attaccata e sommersa da turbolenze e malattie dello spirito, ma non può essere annientata. – Queste considerazioni appaiono convenire particolarmente alla Baviera, e per più di una ragione. In questa regione, infatti, dato che per grazia divina è annoverata tra i Regni Cattolici, non si tratta tanto di ricevere la santa fede quanto di custodire ed accrescere quella tramandata dai padri; inoltre, sono in gran parte Cattolici coloro che investiti di una pubblica carica sono autori delle leggi dello Stato; ed essendo parimenti Cattolici in maggioranza i cittadini e gli abitanti, non abbiamo il minimo dubbio sul fatto che essi vorranno aiutare e soccorrere con ogni mezzo la loro madre Chiesa nell’ora del pericolo. Dunque, se tutti collaboreranno con l’energia e la partecipazione dovute, potremo senza dubbio rallegrarci, con l’aiuto di Dio, dell’esito favorevole dei loro sforzi. E raccomandiamo ancora la collaborazione di tutti, perché, come nulla è più nefasto della discordia, così nulla è più potente ed efficace del consenso e della concordia degli animi quando, unendo le loro forze, tendano tutti ad uno scopo comune. In questo senso ai Cattolici si offre, attraverso le leggi, un mezzo opportuno per chiedere un miglioramento nelle condizioni e nelle forme della cosa pubblica, e per desiderare e volere una costituzione che, anche se non prevede favori e privilegi per la Chiesa e per loro, come pure sarebbe assai giusto, almeno non sia loro duramente ostile. Né sarà giusto che alcuno accusi e biasimi quelli tra noi che chiedono tali riconoscimenti, dato che di simili benefici avevano la consuetudine di servirsi licenziosamente i nemici del nome cattolico per ottenere e quasi estorcere dai governanti leggi avverse alla libertà civile e a quella religiosa. Perché non dovrebbe essere concesso ai Cattolici di servirsi degli stessi mezzi, e di servirsene nel modo più onesto, per la difesa della Religione, e per salvaguardare quei beni, privilegi e diritti che sono stati per volontà divina conferiti alla Chiesa e che da tutti, governanti e sudditi, devono essere guardati con molto rispetto? Tra i beni della Chiesa, che Noi dobbiamo sempre e ovunque conservare e difendere da ogni offesa, il più importante è certamente quello di poter fruire di tutta quella libertà d’azione di cui abbisognano la cura e la salvezza delle anime. Questa libertà è sicuramente divina, promossa dalla volontà dell’unigenito Figlio di Dio, che fece sorgere la Chiesa dall’effusione del proprio sangue, la volle perpetua tra gli uomini e volle porsene Egli stesso a capo: essa è a tal punto essenziale alla Chiesa, all’opera perfetta e divina, che chi agisce contro questa libertà agisce contro Dio e contro il dovere. – Come già dicemmo altrove più di una volta, Dio stabilì la sua Chiesa affinché si assumesse il compito di difendere, perseguire e donare largamente alle anime i beni supremi, immensamente superiori per natura ad ogni altra cosa; e affinché, con gli strumenti della fede e della grazia, infondesse da Cristo nuova vita negli uomini: una vita apportatrice di salvezza eterna. – Ma poiché le caratteristiche e i diritti di ogni società sono determinati essenzialmente dalle ragioni dalle quali trae origine e dalle mete alle quali tende, ne consegue naturalmente che la Chiesa è una società tanto distinta dalla società civile in quanto sono diverse le loro ragioni d’essere e le loro mete; essa è una società necessaria, che si offre all’intero genere umano, dato che tutti sono chiamati alla vita cristiana, in modo tale che chi la rifiuta o l’abbandona sarà separato in perpetuo, ed escluso dalla vita celeste; essa è soprattutto una società autonoma, e la più alta di tutte, per la stessa eccellenza dei beni celesti e immortali ai quali tutta intera tende. – È evidente a chiunque, d’altra parte, che le libere istituzioni devono avere libertà nell’impiego di tutti gli strumenti necessari. E gli strumenti idonei e necessari per la Chiesa sono la facoltà di trasmettere a sua discrezione la dottrina cristiana, di assicurare i santissimi Sacramenti, di esercitare il culto divino, di disporre e governare tutta la disciplina del clero, cioè tutti quei compiti e privilegi di cui Dio, nella sua infinita provvidenza, volle la Chiesa, ed essa sola, investita e dotata. A lei sola dispose che fossero affidate, come in deposito, tutte le cose rivelate agli uomini; lei sola infine stabilì come interprete, garante, maestra di verità, la più sapiente e sicura, i cui insegnamenti devono ascoltare e seguire tanto gli individui quanto gli Stati; similmente è certo che Egli stesso diede libero mandato alla Chiesa di giudicare e di prendere quelle deliberazioni che più ritenesse convenienti ai propri fini. Per questo, non v’è ragione che i poteri civili guardino con sospetto e ostilità alla libertà della Chiesa, dal momento che identico è il principio sia del potere civile, sia di quello religioso, e proviene unicamente da Dio. Perciò i due poteri non possono né divergere, né ostacolarsi, né annullarsi a vicenda, dato che non può essere che Dio non sia in armonia con se stesso, né possono essere in contrasto tra loro le Sue opere: ché anzi esse rivelano mirabile accordo di cause ed effetti. È chiaro inoltre che la Chiesa Cattolica, mentre porta i suoi vessilli sempre più lontani e sicuri tra le genti, obbedendo ai comandi del suo Fondatore, non invade in alcun modo il territorio del potere civile, né interferisce per nulla nel suo campo d’azione; ma anzi si pone a difesa e a salvaguardia delle genti; a somiglianza di quanto accade con la fede cristiana, che, lungi dall’oscurare la luce della ragione umana, le aggiunge piuttosto splendore, sia con l’allontanarla dall’errore, in cui è facile che l’uomo possa cadere, sia perché la introduce in un mondo di idee più vasto e più elevato. – Per quanto riguarda la Baviera, sono intervenuti particolari accordi tra questa Sede Apostolica e detto Paese: accordi ratificati e consacrati da reciproche convenzioni. La Sede Apostolica, sebbene abbia fatto larghe concessioni relativamente ai propri diritti, ha sempre rispettato tali accordi, come suole fare, integralmente e religiosamente; né ha mai fatto nulla che desse occasione di rimostranze. Per questo è assolutamente auspicabile che le convenzioni siano mantenute e scrupolosamente rispettate da entrambe le parti, sia nella lettera, sia ancor più nello spirito secondo il quale sono state stipulate. – È accaduto in realtà che la concordia venisse turbata e che nascesse un’occasione di conflitto: tuttavia Massimiliano I con un decreto l’attenuò, e successivamente Massimiliano II agì secondo giustizia, sancendo alcune opportune modifiche. Ora apprendiamo che queste disposizioni in tempi recenti sono state abrogate; tuttavia confidando sulla religione e sulla prudenza del Principe che governa il regno di Baviera, speriamo che colui che ha ricevuto come gloriosa eredità il ruolo e la religione dei Massimiliano vorrà personalmente e prontamente provvedere alla difesa dei beni cattolici e, allontanando ogni ostacolo, promuoverne lo sviluppo. Sicuramente gli stessi Cattolici (che costituiscono la maggior parte della popolazione: quella parte che senza alcun dubbio si segnala per l’amor di patria e per l’atteggiamento rispettoso verso i governanti) se si vedranno tenuti in giusta considerazione ed esauditi in una questione di tanta importanza, testimonieranno ulteriormente ossequio e lealtà verso il loro Principe, quasi come figli verso il padre, e con accresciuto fervore seguiranno i suoi propositi volti al bene e al prestigio del regno, e si conformeranno pienamente ad essi con tutte le loro forze. – Questo è quanto siamo stati indotti a comunicarvi, Venerabili Fratelli, spinti dal Nostro ufficio Apostolico. Ci rimane da implorare tutti insieme e a gara l’aiuto di Dio, e da invocare come intercessori presso di Lui la gloriosissima Vergine Maria e i Celesti patroni del regno di Baviera, perché Egli annuendo benigno ai nostri comuni voti doni alla Chiesa una tranquilla libertà e conceda alla Baviera di godere di crescente gloria e prosperità. A voi, Venerabili Fratelli, al clero e a tutto il popolo affidato alla vostra sollecitudine impartiamo con grande affetto l’Apostolica Benedizione, come auspicio dei doni celesti e come testimonianza della Nostra particolare benevolenza.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 dicembre 1887, nel decimo anno del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI SESSAGESIMA (2021)

DOMENICA DI SESSAGESIMA 2021

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Paolo fuori le mura.

Semidoppio Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

Come l’ultima Domenica, e come le Domeniche seguenti, fino a quella della Passione, la Chiesa « ci insegna a celebrare il mistero pasquale, a traverso le pagine dell’uno e dell’altro Testamento ». Durante tutta questa settimana, il Breviario parla di Noè. Vedendo Iddio che la malizia degli uomini sulla terra era grande, gli disse: « Sterminerò l’uomo che ho creato… Costruisciti un’arca di legno resinoso. Farò alleanza con te e tu entrerai nell’arca ». E le acque si scatenarono allora sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. L’arca galleggiava sulle onde che si elevarono sopra le montagne, coprendole. Tutti gli uomini furono trasportati come festuche nel turbine dell’acqua » (Grad.). Non rimase che Noè e quelli che erano con lui nell’arca. Dio si ricordò di Noè e la pioggia cessò. Dopo qualche tempo Noè apri la finestra dell’arca e ne fece uscire una colomba che ritornò con un ramoscello freschissimo di ulivo. Noè comprese che le acque non coprivano più la terra. Dio gli disse: « Esci dall’arca e moltiplicati sulla terra ». Noè innalzò un altare e offri un sacrificio. E l’odore di questo sacrificio fu grato a Dio (Com.). L’arcobaleno apparve come un segno di riconciliazione fra Dio e gli uomini. – Questo racconto si riferisce al mistero pasquale poiché la Chiesa ne fa la lettura il Sabato Santo. Ecco come Essa l’applica, nella liturgia, a nostro Signore e alla sua Chiesa. « La giusta collera del Creatore sommerse il mondo colpevole nelle acque vendicatrici del diluvio, Noè solo fu .salvo nell’arca; di poi l’ammirevole potenza dell’amore lavò l’universo nel sangue [Inno della festa del prezioso Sangue]. È il legno dell’arca che salvò il genere umano, e quello della croce, a sua volta, salvò il mondo. « Sola, dice la Chiesa, parlando della croce, sei stata trovata degna di essere l’arca che conduce al porto il mondo naufrago » [Inno della Passione]. La porta aperta nel fianco dell’arca, per la quale sarebbero entrati quelli che dovevano sfuggire al diluvio e che rappresentavano la Chiesa, è, come spiega la liturgia, una figura del mistero della redenzione, perché sulla croce Gesù ebbe il costato aperto e da questa porta di vita, uscirono i Sacramenti che donano la vera vita alle anime. Il sangue e l’acqua che ne uscirono sono i simboli dell’Eucaristia e del Battesimo » [7a lettura nella festa del prezioso Sangue].  « O Dio, che, lavando con le acque i delitti del mondo colpevole, facesti vedere nelle onde del diluvio una immagine della rigenerazione, affinché il mistero di un solo elemento fosse fine ai vizi e sorgente di virtù, volgi lo sguardo sulla tua Chiesa e moltiplica in essa i tuoi figli, aprendo su tutta la terra il fonte battesimale per rigenerarvi le nazioni » [Benedizione del fonte battesimale nel Sabato Santo]. Ai tempi di Noè dice S. Pietro, otto persone furono salvate dalle acque; a questa figura corrisponde il Battesimo che ci salva al presente » [Epistola del Venerdì di Pasqua]. — Quando il Vescovo benedice, nel Giovedì Santo, l’olio che si estrae dall’ulivo e che servirà per i Sacramenti, dice: « Allorché i delitti del mondo furono espiati mediante il diluvio, una colomba annunziò la pace alla terra per mezzo di un ramo di Ulivo che essa portava, simbolo dei favori che ci riservava l’avvenire. Questa figura si realizza oggi, quando, le acque del Battesimo avendo cancellati tutti i nostri peccati, l’unzione dell’olio dona alle nostre opere bellezza e serenità ». Il sangue di Gesù è « il sangue della nuova alleanza » che Dio concluse per mezzo del suo Figlio con gli uomini. «Tu hai voluto, dice la Chiesa, che una colomba annunziasse con un ramoscello di ulivo la pace alla terra ». Spesso nella Messa, che è il memoriale della Passione, si parla della pace: « Pax Domini sit semper vobiscum ». « Il sacramento pasquale, dirà l’orazione del Venerdì di Pasqua, suggella la riconciliazione degli uomini con Dio». Noè è in modo speciale il simbolo del Cristo a causa della missione affidatagli da Dio di essere « il padre di tutta la posterità » (Dom. di settuag., 6a lettura). Di fatti Noè fu il secondo padre del genere umano ed è il simbolo della vita rinascente. « I rami d’ulivo, dice la liturgia, figurano, per le loro fronde, la singolare fecondità da Dio accordata a Noè uscita dall’arca » (Benediz. Delle Palme). Per questo l’arca è stata chiamata da S. Ambrogio, nell’ufficio di questo giorno, « seminario » cioè il luogo che contiene il seme della vita che deve riempire il mondo. Ora, ancora più di Noè, Cristo fu il secondo Adamo che popolò il mondo di una generazione numerosa di anime credenti e fedeli a Dio. Ed è per questo che l’orazione dopo la 2a profezia, consacrata a Noè il Sabato Santo, domanda al Signore ch’Egli compia, nella pace, l’opera della salute dell’uomo decretata fin dall’eternità, in modo che il mondo intero esperimenti e veda rialzato tutto ciò che era stato abbattuto, rinnovato tutto ciò che era divenuto vecchio, e tutte le cose ristabilite nella loro primiera integrità per opera di colui dal quale prese principio ogni cosa, Gesù Cristo Signor nostro » Per i neofiti della Chiesa — dice la liturgia pasquale — (poiché è a Pasqua che si battezzava) la terra è rinnovellata e questa terra così rinnovellata germinat resurgentes, produce uomini risorti » (Lunedi di Pasqua. Mattutino monastico). In principio, è per mezzo del Verbo, cioè della sua parola, che Dio creò il mondo (ultimo Vangelo). Ed è con la predicazione del suo Vangelo che Gesù viene a rigenerare gli uomini. « Noi siamo stati rigenerati, dice S. Pietro, con un seme incorruttibile, con la parola di Dio che vive e rimane eternamente. E questa parola è quella per la quale ci è stata annunziata la buona novella (cioè il Vangelo) » (S. Pietro, I, 23). Questo ci spiega perché il Vangelo di questo giorno sia quello del Seminatore, ( « la semenza è la parola di Dio »). » Se ai tempi di Noè gli uomini perirono, ciò fu a causa della loro incredulità, dice S. Paolo, mentre mediante là sua fede Noè si fabbricò l’Arca, condannò il mondo e diventò erede della giustizia, che viene dalla fede» (Ebr. XI, 7). Così quelli che crederanno alla parola di Gesù saranno salvi. S. Paolo dimostra, nell’Epistola di questo giorno, tutto quello che ha fatto per predicare la fede alle nazioni. L’Apostolo delle genti è infatti il predicatore per eccellenza. Egli è il « ministro del Cristo » cioè colui che Dio scelse per annunziare a tutti i popoli la buona novella del Verbo Incarnato. « Chi mi concederà – dice S. Giovanni Crisostomo, – di andare presso la tomba di Paolo per baciare la polvere delle sue membra nelle quali l’Apostolo compì, con le sue sofferenze, la passione di Cristo, portò le stimmate del Salvatore, sparse dappertutto, come una semenza, la predicazione del Vangelo? » (Ottava dei SS. Apostoli Pietro e Paolo – 4 luglio). La Chiesa di Roma realizza questo desiderio per i suoi figli, celebrando, in questo giorno, la stazione nella Basilica di S. Paolo fuori le mura.

Incipit 

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLIII: 23-26

Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? exsúrge, et ne repéllas in finem: quare fáciem tuam avértis, oblivísceris tribulatiónem nostram? adhaesit in terra venter noster: exsúrge, Dómine, ádjuva nos, et líbera nos.

[Risvégliati, perché dormi, o Signore? Déstati, e non rigettarci per sempre. Perché nascondi il tuo volto dimentico della nostra tribolazione? Giace a terra il nostro corpo: sorgi in nostro aiuto, o Signore, e líberaci.]

Ps XLIII: 2 – Deus, áuribus nostris audívimus: patres nostri annuntiavérunt nobis.

[O Dio, lo udimmo coi nostri orecchi: ce lo hanno raccontato i nostri padri.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui cónspicis, quia ex nulla nostra actióne confídimus: concéde propítius; ut, contra advérsa ómnia, Doctóris géntium protectióne muniámur. – Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

[O Dio, che vedi come noi non confidiamo in alcuna òpera nostra, concédici propizio d’esser difesi da ogni avversità, per intercessione del Dottore delle genti. – Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. – Amen.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

2 Cor XI: 19-33; XII: 1-9.

“Fratres: Libénter suffértis insipiéntens: cum sitis ipsi sapiéntes. Sustinétis enim, si quis vos in servitútem rédigit, si quis dévorat, si quis áccipit, si quis extóllitur, si quis in fáciem vos cædit. Secúndum ignobilitátem dico, quasi nos infírmi fuérimus in hac parte. In quo quis audet, – in insipiéntia dico – áudeo et ego: Hebraei sunt, et ego: Israelítæ sunt, et ego: Semen Abrahæ sunt, et ego: Minístri Christi sunt, – ut minus sápiens dico – plus ego: in labóribus plúrimis, in carcéribus abundántius, in plagis supra modum, in mórtibus frequénter. A Judaeis quínquies quadragénas, una minus, accépi. Ter virgis cæsus sum, semel lapidátus sum, ter naufrágium feci, nocte et die in profúndo maris fui: in itinéribus sæpe, perículis fluminum, perículis latrónum, perículis ex génere, perículis ex géntibus, perículis in civitáte, perículis in solitúdine, perículis in mari, perículis in falsis frátribus: in labóre et ærúmna, in vigíliis multis, in fame et siti, in jejúniis multis, in frigóre et nuditáte: præter illa, quæ extrínsecus sunt, instántia mea cotidiána, sollicitúdo ómnium Ecclesiárum. Quis infirmátur, et ego non infírmor? quis scandalizátur, et ego non uror? Si gloriári opórtet: quæ infirmitátis meæ sunt, gloriábor. Deus et Pater Dómini nostri Jesu Christi, qui est benedíctus in saecula, scit quod non méntior. Damásci præpósitus gentis Arétæ regis, custodiébat civitátem Damascenórum, ut me comprehénderet: et per fenéstram in sporta dimíssus sum per murum, et sic effúgi manus ejus. Si gloriári opórtet – non éxpedit quidem, – véniam autem ad visiónes et revelatiónes Dómini. Scio hóminem in Christo ante annos quatuórdecim, – sive in córpore néscio, sive extra corpus néscio, Deus scit – raptum hujúsmodi usque ad tértium coelum. Et scio hujúsmodi hóminem, – sive in córpore, sive extra corpus néscio, Deus scit:- quóniam raptus est in paradisum: et audivit arcána verba, quæ non licet homini loqui. Pro hujúsmodi gloriábor: pro me autem nihil gloriábor nisi in infirmitátibus meis. Nam, et si volúero gloriári, non ero insípiens: veritátem enim dicam: parco autem, ne quis me exístimet supra id, quod videt in me, aut áliquid audit ex me. Et ne magnitúdo revelatiónem extóllat me, datus est mihi stímulus carnis meæ ángelus sátanæ, qui me colaphízet. Propter quod ter Dóminum rogávi, ut discéderet a me: et dixit mihi: Súfficit tibi grátia mea: nam virtus in infirmitáte perfícitur. Libénter ígitur gloriábor in infirmitátibus meis, ut inhábitet in me virtus Christi.”

[“Fratelli: Saggi come siete, tollerate volentieri gli stolti. Sopportate, infatti, che vi si renda schiavi, che vi si spolpi, che vi si raggiri, che vi si tratti con arroganza, che vi si percuota in viso. Lo dico per mia vergogna: davvero che siamo stati deboli su questo punto. Eppure di qualunque cosa altri imbaldanzisce (parlo da stolto) posso imbaldanzire anch’io. Sono Ebrei? anch’io: sono Israeliti? anch’io; discendenti d’Abramo? anch’io. Sono ministri di Cristo? (parlo da stolto) ancor più io. Di più nelle fatiche; di più nelle prigionie: molto di più nelle battiture; spesso in pericoli di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno. Tre volte sono stato battuto con verghe, una volta lapidato. Tre volte ho fatto naufragio, ho passato un giorno e una notte nel profondo del mare. In viaggi continui tra pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli da parte dei mei connazionali, pericoli da parte dei gentili, pericoli nelle città, pericoli del deserto, pericoli sul mare, pericoli tra i falsi fratelli; nella fatica e nella pena; nelle veglie assidue; nella fame e nella sete; nei digiuni frequenta nel freddo e nella nudità. E oltre le sofferenze che vengono dal di fuori, la pressione che mi si fa ogni giorno, la sollecitudine di tutte le Chiese. Chi è debole, senza che io ancora non sia debole? Chi è scandalizzato, senza che io non arda? Se bisogna gloriarsi, mi glorierò della mia debolezza. E Dio e Padre del nostro Signor Gesù Cristo, che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco. A Damasco il governatore del re Areta, faceva custodire la città dei Damascesi per impadronirsi di me. E da una finestra fui calato in una cesta lungo il muro, e così gli sfuggii di mano. Se bisogna gloriarsi (certo non è utile) verrò, dunque, alle visioni e alle rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo, il quale, or son quattordici anni, (se col corpo non so; se senza corpo non so; lo sa Dio) fu rapito in paradiso, e udì parole arcane, che a un uomo non è permesso di profferire. Rispetto a quest’uomo mi glorierò; quanto a me non mi glorierò che delle mie debolezze. Se volessi gloriarmi non sarei stolto, perché direi la verità; ma me ne astengo, affinché nessuno mi stimi più di quello che vede in me o che ode da me. E affinché l’eccellenza delle rivelazioni non mi facesse insuperbire, m’è stata messa una spina nella carne, un angelo di satana, che mi schiaffeggi. A questo proposito pregai tre volte il Signore che lo allontanasse da me. Ma egli mi disse: «Ti basta la mia grazia; poiché la mia potenza si dimostra intera nella debolezza». Mi glorierò, dunque, volentieri delle mie debolezze, affinché abiti in me la potenza di Cristo”]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

La lettura di questo lungo brano della seconda lettera di San Paolo ai Corinzi ci fa pensare alle orazioni più celebri del foro profano in difesa propria: Demostene, Cicerone. C’è tutto l’impeto di quei discorsi immortali. Nulla come un giusto amor di se stesso rende eloquente l’uomo. Ho detto giusto amor di sé, il che significa la fusione di due motivi della più singolare efficacia; l’egoismo, forza così pratica, e la giustizia, forza così ideale. Nella foga dell’autodifesa Paolo ricorda rapido, incisivo, travolgente i suoi martiri: « dall’abisso dei dolori di ogni genere che ho sofferto » si solleva ai doni celesti di che Dio lo ha letteralmente ricolmato. Quadro magnifico fatto di ombre e di luci ugualmente poderose. – Ma quando calmata la prima ammirazione che ci ha suggerito quel confronto con le pagine apologetiche anzi autoapologetiche più celebri della letteratura umana, ci si rifà a meditare il testo, si scopre una superiorità morale ineffabile dell’Apostolo sui profani oratori. Questi difendono, nelle loro arringhe fiammanti, ardenti i loro equi interessi. E l’equità toglie all’amor proprio ciò che da solo avrebbe di basso. Ma quando Paolo assume con un tono alto e sonoro, senza un’ombra di esitazione la sua difesa, egli difende una grande causa. Chiamato da Gesù Cristo a predicare il Vangelo nel mondo pagano, Paolo giudeo si gettò in questo apostolato a lui commesso con lo slancio della sua natura vulcanica, Paolo fu bersaglio immediato e poi via via crescente ai colpi di coloro che in quei giorni avrebbero voluto il Vangelo o tutto e solo o principalmente per i Giudei, e i Gentili o esclusi dal banchetto cristiano o ammessi ai secondi posti. Ire terribili come tutte le ire nazionali, che si scaldano per di più al fuoco delle religioni, roba incandescente. Per paralizzare un lavoro come quello di Paolo che essi credevano funesto, questi Cristiani rimasti più scribi e farisei che divenuti Cristiani veri, apponevano alla figura di Paolo, l’ultimo arrivato nel collegio apostolico, la figura veneranda dei veterani, dei compagni personali di Gesù Cristo, degli intemerati discepoli che non avevano come Paolo lordato mai di sangue le loro mani, sangue cristiano. Quelli erano apostoli, non costui; un aborto di apostolato. Colpivano l’uomo in apparenza; in realtà attentavano alla grande causa dell’apostolato cristiano, libero e universale. Un apostolato a scartamento ridotto essi volevano; un timido apostolato cristiano, schiavo del giudaismo, dal giudaismo tenuto alla catena. Non sentivano, né la vera grandezza della Sinagoga che era quella di mettersi tutta a servizio della Chiesa, né la vera grandezza della Chiesa ch’era quella di abbracciare il mondo. Tutto questo Paolo difende in realtà, difendendo, esaltando in apparenza se stesso. E perché tutto questo Egli difende, la sua apologia acquista un calore di eloquenza e una dignità di contenuto affatto nuovo. E perché d’orgoglio personale non rimanga neppure l’ombra, dopo che l’Apostolo ha parlato con un senso altissimo di dignità, rivendicando il suo giudaismo, dolori e glorie della sua attività apostolica, parla l’uomo. Un povero uomo egli è, e si sente, il grande Apostolo; pieno di miserie fisiche che si risolvono in umiliazioni morali. Quelle debolezze gli dicono ogni giorno ch’egli non è se non un debole strumento nelle mani del Forte, che lavora in lui per la santità interiore, per la sua apostolica propaganda, lavora la grazia di Gesù Cristo. Le sue maggiori glorie sono così le sue umiliazioni, documenti e prove del Cristo presente, « inhabitat in me virtus Christi».

Graduale

Ps LXXXII: 19; LXXXII: 14

Sciant gentes, quóniam nomen tibi Deus: tu solus Altíssimus super omnem terram.

[Riconòscano le genti, o Dio, che tu solo sei l’Altissimo, sovrano di tutta la terra.]

Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stípulam ante fáciem venti.

[V. Dio mio, ridúcili come grumolo rotante e paglia travolta dal vento.]

 Ps LIX: 4; LIX: 6

Commovísti, Dómine, terram, et conturbásti eam. Sana contritiónes ejus, quia mota est. Ut fúgiant a fácie arcus: ut liberéntur elécti tui.

[Hai scosso la terra, o Signore, l’hai sconquassata. Risana le sue ferite, perché minaccia rovina. Affinché sfuggano al tiro dell’arco e siano liberati i tuoi eletti.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam

Luc VIII: 4-15

“In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Jesum, dixit per similitúdinem: Exiit, qui séminat, semináre semen suum: et dum séminat, áliud cécidit secus viam, et conculcátum est, et vólucres coeli comedérunt illud. Et áliud cécidit supra petram: et natum áruit, quia non habébat humórem. Et áliud cécidit inter spinas, et simul exórtæ spinæ suffocavérunt illud. Et áliud cécidit in terram bonam: et ortum fecit fructum céntuplum. Hæc dicens, clamábat: Qui habet aures audiéndi, audiat. Interrogábant autem eum discípuli ejus, quæ esset hæc parábola. Quibus ipse dixit: Vobis datum est nosse mystérium regni Dei, céteris autem in parábolis: ut vidéntes non videant, et audientes non intéllegant. Est autem hæc parábola: Semen est verbum Dei. Qui autem secus viam, hi sunt qui áudiunt: déinde venit diábolus, et tollit verbum de corde eórum, ne credéntes salvi fiant. Nam qui supra petram: qui cum audierint, cum gáudio suscipiunt verbum: et hi radíces non habent: qui ad tempus credunt, et in témpore tentatiónis recédunt. Quod autem in spinas cécidit: hi sunt, qui audiérunt, et a sollicitudínibus et divítiis et voluptátibus vitæ eúntes, suffocántur, et non réferunt fructum. Quod autem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et óptimo audiéntes verbum rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.”

[« In quel tempo radunandosi grandissima turba di popolo, e accorrendo a lui da questa e da quella città, disse questa parabola: Andò il seminatore a seminare la sua semenza: e nel seminarla, parte cadde lungo la strada, e fu calpestata, e gli uccelli dell’aria la divorarono. Parte cadde sopra le pietre; e nata che fu, seccò, perché non aveva umido. Parte cadde tra le spine; e le spine, che insieme nacquero, la soffocarono. Parte cadde in buona terra; e nacque, e fruttò cento per uno. Detto questo, esclamò: Chi ha orecchie da intendere, intenda. E i suoi discepoli gli domandavano, che parabola fosse questa. Ai quali egli disse: A voi è concesso d’intendere il mistero di Dio; ma a tutti gli altri (parlo) per via di parabole, perché vedendo non veggano, e udendo non intendano. La parabola adunque è questa. La semenza è la parola di Dio. Quelli che (sono) lungo la strada sono coloro che la ascoltano; e poi viene il diavolo, e porta via la parola dal loro cuore, perché non si salvino col credere. Quelli poi che la semenza han ricevuta sopra la pietra, (sono) coloro i quali, udita la parola, la accolgono con allegrezza; ma questi non hanno radice, i quali credono per un tempo, e al tempo della tentazione si tirano indietro. La semenza caduta tra le spine, denota coloro i quali hanno ascoltato; ma dalle sollecitudini, e dalle ricchezze, e dai piaceri della vita a lungo andare restano soffocati, e non conducono il frutto a maturità. Quella che (cade) in buona terra, denota coloro i quali in un cuore buono e perfetto ritengono la parola ascoltata, e portano frutto mediante la pazienza »]

OMELIA

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

La parola di Dio.

Beati qui audiunt verbum Dei, et custodiunt illud.

(Luc. XI, 28).

Noi leggiamo nel Vangelo che il Salvatore del mondo istruiva il popolo, diceva loro cose così meravigliose e così stupefacenti, che una donna dal mezzo della folla alzò la voce e gridò: “Beato è il seno che ti ha portato e il latte che ti ha nutrito. „ Ma Gesù Cristo tosto soggiunse: “Più avventurato è colui che ascolta la parola di Dio e che osserva quello che essa comanda. „ Ciò forse desta la vostra meraviglia, che Gesù Cristo ci dica che colui che ascolta la parola di Dio con un vero desiderio di approfittarne è più accettevole a Dio che colui che lo riceve nella santa comunione; sì, certo noi non abbiamo mai ben compreso quanto la parola di Dio sia un dono prezioso. Ah! se noi l’avessimo ben compreso con quale rispetto, con quale amore dovremmo ascoltarla! M. F., non inganniamoci: necessariamente la parola di Dio produrrà in noi frutti buoni o cattivi; saranno buoni, se vi recheremo delle buone disposizioni, con altre parole, un vero desiderio di approfittarne e di fare tutto quello che essa prescriverà; saranno cattivi, se noi la ascolteremo con indifferenza, con disgusto, forse con disprezzo; o questa parola santa ci illuminerà, ci farà conoscere i nostri doveri, o ci accecherà e produrrà il nostro induramento. Ma per meglio farvelo comprendere, volgo a dimostrarvi:

1° quanto sono grandi i vantaggi che ci provengono dalla parola di Dio;

2° in qual modo i Cristiani hanno l’abitudine di riceverla;

3° le disposizioni che dobbiamo recare per avere la ventura di approfittarne.

I . — Per farvi comprendere quanto è grande il prezzo della parola di Dio, io vi dirò che tutto lo stabilimento e i progressi della Religione cattolica sono l’opera della parola di Dio associata alla grazia che sempre l’accompagna. Sì, M. F., noi possiamo ancora dire che dopo la morte di Gesù Cristo sul Calvario, e il santo Battesimo, non occorre grazia che noi riceviamo nella nostra santa Religione che le stia alla pari; ciò che è facile a comprendere. Quante persone che sono state assunte in cielo senza aver ricevuto il sacramento della Penitenza! Quante altre senza aver ricevuto quello del Corpo adorabile e del Sangue prezioso di Gesù Cristo! E quante altre che sono in cielo, che non hanno ricevuto quello della Confermazione né quello dell’Estrema Unzione! Ma per l’istruzione che è la parola di Dio, dal momento che abbiamo l’età capace di farci istruire è tanto difficile andare in cielo senza essere istruiti, come senza essere battezzati. – Ah! M. F., noi vedremo sventuratamente al giorno del giudizio che il più gran numero dei Cristiani dannati, lo saranno perché non hanno conosciuto la loro religione. Andate, interrogate tutti i Cristiani riprovati, e domandate loro perché sono nell’inferno. Tutti vi risponderanno che la loro sventura proviene perché non hanno voluto ascoltare la parola di Dio o perché l’hanno disprezzata. — Ma, forse mi direte voi, che cosa opera in noi questa santa parola? — Ecco: essa è somiglievole a quella colonna di fuoco la quale conduceva i Giudei quando erano al deserto, che additava loro la via che dovevano battere, che si fermava quando il popolo doveva fermarsi e proseguiva il suo viaggio, quando si doveva andare innanzi; di guisa che questo popolo non aveva che a restar fedele nel seguirla ed era sicuro di non smarrire la via. (Exod. XIII, 21, 22; XL, 84, 35). Sì, M. F., essa opera la stessa cosa a nostro riguardo: essa è una face che brilla dinanzi a noi, che ci conduce in tutti i nostri pensieri, nei nostri disegni, nelle azioni nostre (lucerna pedibus meis verbum tuum. Ps. CXVIII, 105); è lei che accende la nostra fede, che fortifica la nostra speranza, che fa divampare l’amor nostro per Dio e per il prossimo; è lei che ci fa comprendere la grandezza di Dio, il fine beato per il quale siamo creati, la bontà di Dio, l’amor suo per noi, il prezzo dell’anima nostra, la grandezza e la ricompensa che ci è promessa; sì, è lei che ci dipinge la gravezza del peccato, gli oltraggi che reca a Dio, i mali che ci prepara per l’altra vita; è lei che ci incute spavento alla vista del giudizio che è riservato ai peccatori, colla dipintura spaventevole che ella ce ne fa; sì, M. F., è questa parola che ci muove a credere senza nulla esaminare tutte le verità della nostra santa Religione nella quale tutto è mistero, e ciò risvegliando la nostra fede. Ditemi, non è dopo una istruzione che si sente il cuore commosso e pieno di buone risoluzioni? Ah! colui che disprezza la parola di Dio è ben da compiangere, poiché rigetta e disprezza tutti i mezzi di salute che il buon Dio ci presenta per salvarci. Ditemi, di che cosa si sono serviti i patriarchi e i profeti. Gesù Cristo medesimo e tutti gli Apostoli, come tutti coloro che li hanno secondati, per stabilire ed aumentare la nostra santa Religione, non è della parola di Dio? Vedete Giona, quando il Signore lo mandò a Ninive; che fece egli? Null’altro che annunciarle la parola di Dio, dicendole che fra 40 giorni tutti i suoi abitanti perirebbero. Non è questa parola santa che cangiò i cuori degli uomini di quella grande città, che, di grandi peccatori ne fece grandi penitenti (Gion. III, 4)? Che fece S. Gio. Battista per cominciare a far conoscere il Messia, il Salvatore del mondo? Non lo fece annunciando loro la parola di Dio? Che fece Gesù Cristo medesimo percorrendo le città e le campagne, continuamente circondato dalle turbe di popolo che lo seguivano fino nel deserto? Di qual mezzo si serviva per insegnare la religione che voleva stabilire, se non di questa santa parola? Ditemi, M. F., chi ha mosso tutti quei grandi del mondo ad abbandonare i loro beni, i loro parenti e tutti i loro agi? Non è ascoltando la parola di Dio che hanno aperto gli occhi dell’anima e compreso la poca durata e la caducità delle cose create, che si sono volti a cercare i beni eterni? Un S. Antonio, un S. Francesco, un S. Ignazio… Ditemi chi può muovere i figli ad avere un grande rispetto verso il loro padre e la loro madre, facendoli loro considerare come quelli che occupano il posto di Dio medesimo? Non sono le istruzioni che hanno ricevuto nei catechismi, tenuti dal loro pastore, facendo loro vedere la grandezza della ricompensa che è annessa ad un figlio savio e obbediente? E quali sono i figli che disprezzano i loro genitori? Ah! quanti poveri figli ignoranti, e che dall’ignoranza sono condotti nell’impurità e nel libertinaggio, e che spesse volte finiscono col far morire i loro poveri genitori o di crepacuore o in qualche altro modo più miserando! Chi può muovere un vicino ad avere una grande carità verso il suo vicino, se non una istruzione che avrà ascoltata, nella quale gli sarà stato addimostrato quanto la carità è un’opera aggradevole a Dio? Chi ha mossi tanti peccatori ad uscire dal peccato? Non fu qualche istruzione che hanno udita, nella quale si è loro dipinto lo stato infelice di un peccatore il quale cade nelle mani d’un Dio vendicatore? Se voi ne bramate la prova, ascoltate un istante e ne sarete convinti. È raccontato nella storia che un vecchio ufficiale di cavalleria passava, in uno dei suoi viaggi, per un luogo dove il padre Bridaine dava una missione. Curioso di udire un uomo d’una grande riputazione e che egli non conosceva, egli entra in una chiesa dove il padre Bridaine faceva la descrizione spaventosa dello stato infelice di un’anima nel peccato, l’accecamento nel quale era il peccatore di perseverarvi, il mezzo facile che il peccatore aveva di uscirne con una buona confessione generale. Il militare ne fu siffattamente commosso, i suoi rimorsi di coscienza furono cosi forti, o piuttosto gli diventarono sì insopportabili, che nell’istante medesimo formò il proposito di confessarsi e di fare una confessione di tutta la sua vita. Egli aspetta il missionario al piede della cattedra pregandolo per grazia di fargli fare una confessione di tutta la sua vita. Il padre Bridaine lo ricevette con una grande carità: “Mio Padre, gli disse il militare, io resterò finché voi vorrete; io ho concepito un gran desiderio di salvare l’anima mia. „ Egli fece la sua confessione con tutti i sentimenti di pietà e di dolore che si poteva aspettare da un peccatore che si converte; egli medesimo diceva che ogni volta che accusava un peccato, gli pareva di togliersi un peso enorme dalla propria coscienza. Quando ebbe finito la sua confessione, egli si ritirò dietro il Padre Bridaine, piangendo a calde lagrime. La gente meravigliata di vedere questo militare piangere dirottamente, gli domandavano qual era la causa del suo rammarico e delle sue lagrime: “Ah! amici miei, quanto è dolce il versare lagrime d’amore e di riconoscenza, io, che sono vissuto per sì lungo lasso di tempo nell’odio del mio Dio! „ Ah! quanto l’uomo è cieco di non amare il buon Dio e di vivere da suo nemico, mentre che è cosa così dolce l’amarlo! Questo militare si reca a trovare il Padre Bridaine che era nella sagrestia, e qui, alla presenza di tutti gli altri missionari, volle metterli a parte dei suoi sentimenti: “Signori, disse loro, ascoltatemi, e voi, Padre Bridaine, richiamatevelo alla memoria; io non credo in tutta la mia vita di aver gustato un piacere così puro e così dolce, come quello che io gusto dacché ho la sorte di essere in istato di grazia; no, io non credo che Luigi XV che ho servito per 36 anni, possa essere così felice come io lo sono; no, io non credo che, nonostante tutti i piaceri che lo attorniano e tutto lo splendore che lo circonda egli sia contento come io lo sono in questo momento. Dopoché io ho deposto l’orribile peso dei miei peccati, nel mio dolore e nel disegno di fare penitenza, io non cangerei ora la mia sorte per tutti i piaceri e per tutte le ricchezze del mondo. „ A queste parole egli si getta ai piedi del Padre Bridaine, gli stringe la mano: ” Ah! mio Padre, quali azioni di grazie potrò io rendere al buon Dio per tutta la mia vita, di avermi condotto come per mano in questo paese! Ah! mio Padre, io non pensava di fare quello che voi avete avuto la carità di farmi fare. No, mio Padre, mai potrò dimenticarvi; di grazia, io vi prego di domandare al buon Dio per me che tutta la mia vita non sia più che una vita di lagrime e di penitenza.„ Il Padre Bridaine e tutti gli altri missionari che erano testimoni di questa avventura, proruppero in lagrime, dicendo: “Oh! che il buon Dio ha delle grazie per coloro che hanno un cuore docile alla sua voce! Oh! quante anime si dannano e che, se avessero avuto la sorte di essere istruite, sarebbero salve! „ Il che faceva che il Padre Bridaine domandava al buon Dio, prima dei suoi discorsi, che accendesse siffattamente il suo cuore che le sue parole fossero simili al fuoco divoratore che fa divampare d’amore i cuori dei peccatori più indurati e più ribelli alla grazia. Or qual fu la causa della conversione di questo soldato? Null’altro che la parola di Dio che ascoltò e che trovò il suo cuore docile alla voce della grazia. Ah! quanti Cristiani si convertirebbero se avessero la sorte di recare delle buone disposizioni ad ascoltare la parola di Dio! Quanti buoni pensieri e buoni desideri ella farebbe nascere nel loro cuore, quante buone opere farebbe loro compiere per il cielo! – Prima di procedere innanzi, è necessario che io vi rechi un fatto accaduto al medesimo Padre Bridaine, mentre faceva una missione ad Aix in Provenza; fatto che ha qualche cosa di singolare. Il missionario si metteva a sedere a mensa con un confratello, quando un ufficiale batté fortemente alla porta dove si trovavano i missionari: tutto ansante, domanda con un viso alterato il capo della compagnia. Il Padre Bridaine essendosi accostato: “Padre Bridaine, „ gli dice all’orecchio l’ufficiale con una certa emozione e con un tono severo che dimostrava come la sua anima fosse agitata. Il missionario essendo entrato con lui, l’ufficiale chiude la porta, si leva gli stivali, getta lontano il cappello, e sfodera la sua spada. “Io vi confesso, diceva poscia il Padre Bridaine ai suoi compagni, ciò mi incusse spavento: il suo silenzio, il suo occhio truce, la sua stretta di mano, la sua precipitazione e il suo turbamento, mi fecero giudicare che fosse un uomo al quale avessi strappato l’oggetto della sua passione, e che per vendicarsene venisse sicuramente per togliermi la vita; ma fui ben presto tolto d’inganno vedendo questo militare gettarsi ai miei ginocchi colla faccia rivolta a terra, pronunciando con sicurezza queste parole: “Non è questione di lasciarmi, mio Padre, né di differire più oltre, voi vedete ai vostri piedi il più grande peccatore che la terra abbia potuto portare dal principio del mondo; io sono un mostro. Io vengo di lontano per confessarmi a voi e adesso; senza di che io non so più che cosa divento.„ Il Padre Bridaine gli disse con bontà: “Amico mio, un istante, io tosto ritorno. „ — “Mio Padre, gli risponde il soldato piangendo a calde lagrime, rispondete voi dell’anima mia durante questo indugio? Sappiate, Padre mio, che ho percorso in posta 27 leghe; volge molto tempo che io non vivo e che il cuore mi scoppia; io non posso più resistere; la mia vita e l’inferno sembrano non essere che una medesima cosa; il mio tormento dura da quando vi ho udito predicare in un tal luogo, dove avete così egregiamente dipinto lo stato dell’anima mia, che mi è stato impossibile di non credere che il buon Dio non vi abbia fatto tenere quella istruzione che per me solo; tuttavolta quando entrai in questa chiesa nella quale voi predicavate, non era per curiosità, fu appunto qui che il buon Dio mi aspettava. Quanto sono felice, Padre mio, di potermi liberare da questi rimorsi di coscienza che mi straziano! Prendete il tempo che sarà necessario per ascoltare la mia confessione, io resterò qui quanto bramate; ma è necessario che voi mi solleviate all’istante, perché la mia coscienza è un carnefice che non mi lascia alcun riposo né il giorno né la notte; in una parola, Padre mio, io voglio veramente convertirmi; lo comprendete, Padre mio? Voi non uscirete di qui che non abbiate sollevato il mio cuore. Se voi volete negarmi ciò, io credo che morrò ai vostri piedi di crepacuore. „ – “Ma egli disse ciò, soggiunge il Padre Bridaine, versando copiose lagrime. Io fui così tocco da una scena tanto commovente, che lo abbraccio, lo benedico, mescolo le mie lagrime alle sue; non pensai più di recarmi a mangiare; lo incoraggiai, per quanto mi fu possibile, di tutto sperare nella grazia del buon Dio il quale si era già dimostrato verso di lui in un modo affatto particolare; io restai quattro ore di seguito per ascoltare la sua confessione; sembrava bagnarmi delle sue lagrime, ciò che mi moveva a contenere le mie; io non lo lasciai che per recarmi ad annunciare la parola di Dio. „ – Questo generoso militare rimase alcun tempo presso il Padre Bridaine, per ricevere gli avvisi che gli erano necessari per avere la sorte di perseverare. Prima di congedarsi dal Padre Bridaine, lo pregò di perdonargli lo sgomento che gli aveva cagionato: ” Tuttavolta, mio Padre, gli disse il militare, il vostro era nulla in confronto del mio. Io tremava tutti i giorni che la morte mi togliesse nello stato nel quale mi trovava, parevami che la terra stesse per aprirsi sotto i miei piedi per inghiottirmi vivo nell’inferno. Pensate, Padre mio, che quando si hanno nemici tali che vi assediano e che vi si riflette seriamente, non si può restar tranquillo, quand’anche si avesse un cuore di bronzo. Ora, Padre mio, io vorrei morire, tanta è la gioia che provo d’essere in pace col buon Dio. „ Egli non poteva più lasciare il Padre Bridaine, gli baciò le mani, l’abbracciò. Il Padre Bridaine vedendo un tal miracolo della grazia, non poté dalla sua parte trattenere le sue lagrime: gli ultimi addii facevano versar lagrime a tutti coloro che ne furono testimoni. “Addio, mio Padre, disse il militare al Padre Bridaine, dopo il buon Dio, a voi io sono tenuto del cielo. „ Ritornato nel suo paese non poteva contenersi di parlare quanto il buon Dio fosse stato buono verso di lui; chiuse la sua vita nelle lagrime e nella penitenza e morì da santo sei mesi dopo la sua conversione. – Ora, qual fu la causa della conversione dì questo soldato? Ah! ciò che voi udite tutte le domeniche nelle istruzioni, è ciò che udì quegli dalla bocca del Padre Bridaine, dove certamente presentava lo stato deplorevole d’un peccatore che compare davanti al tribunale di Gesù Cristo colla coscienza carica di peccati. Ah! mio Dio, quante volte il vostro pastore non vi ha fatto questo ritratto desolante? Chi ne è stato più commosso di voi medesimi? E perché dunque ciò non vi ha scossi e convertiti? Forse che la parola di Dio non ha più lo stesso potere? No, M. F., questa non è la vera causa per cui siete restati nel peccato. Forse, perché questa santa parola vi è annunciata da un peccatore, che non vi ha commossi? No, no, non è questa ancora la vera ragione; ma eccola: gli è perché i vostri cuori sono indurati, e volge lungo tempo che voi abusate delle grazie che il buon Dio vi concede colla sua santa parola; è perché il peccato vi ha strappato gli occhi della povera vostra anima, ed ha finito di farvi perdere di vista i beni ed i mali dell’altra vita. O mio Dio! quale sventura per un Cristiano d’essere cacciato dal cielo per tutta l’eternità ed essere insensibile a questa perdita! O mio Dio! Quale frenesia d’essere precipitati nelle fiamme dell’inferno e restare tranquilli in uno stato che fa fremere gli angeli e i santi! O mio Dio! a qual grado di sciagura è condotto colui al quale la parola di Dio … ! Avvegnaché la parola di Dio più non commuove, tutto è perduto, non occorre più alcun altro spediente se non in un grande miracolo, ciò che accade ben rare volte. O mio Dio! essere insensibili a tante sventure, chi potrà mai comprenderlo? Tuttavolta, senza essere più prolissi, ecco lo stato di quasi tutti coloro che mi ascoltano. Voi sapete che il peccato regna nei vostri cuori; voi sapete che fino a che il peccato vi regna, voi non avete nessun’altra cosa da aspettarvi se non tutte queste sventure. O mio Dio! questo solo pensiero non dovrebbe farci morire di spavento? Ah! il buon Dio vedeva anticipatamente quanto sarebbero pochi coloro che approfitterebbero di questa parola di vita, quando ci propone nel Vangelo questa parabola: “Un seminatore esce di gran mattino per seminare il suo grano, e quando lo seminava, una parte cadde sulla via e fu calpestata dai viandanti e mangiata dagli uccelli del cielo; una parte cadde sulle pietre e tosto disseccò; un’altra cadde fra le spine, che la soffocarono; e finalmente un’altra cadde nel buon terreno, e rese il centuplo di frutto. „ Voi vedete che Gesù Cristo dimostra che, di tutte le persone che ascoltano la parola di Dio, solo un quarto ne trae profitto; ancora troppo avventurati se di tutte quattro le persone ne occorresse una che ne approfittasse. Quanto il numero dei buoni Cristiani sarebbe più grande che non è! Gli apostoli, meravigliati di questa parabola, gli dissero: “Spiegateci quello che significa.„ Gesù disse loro colla sua ordinaria bontà: – Il cuore dell’uomo è somiglievole ad una terra che recherà frutto secondo che sarà bene o mal coltivata; questa semente, disse loro Gesù Cristo, è la parola di Dio: quella che cade lungo la via, sono coloro che ascoltano la parola di Dio, ma che non vogliono cangiar vita, né imporsi i sacrifici che Dio vuole da essi per renderli buoni e aggradevoli a lui. Gli uni sono coloro che non vogliono abbandonare le cattive compagnie o i luoghi nei quali hanno tante volte offeso il buon Dio; sono ancora coloro che sono trattenuti da un falso rispetto umano, il quale li fa abbandonare tutte le buone risoluzioni che avevano formate ascoltando la parola di Dio. Quella che cade nelle spine, sono coloro che ascoltano la parola di Dio con gioia; ma non fa loro praticare alcuna buona opera: essi amano di ascoltarla, ma non di fare quello che comanda. Per quella che cade sulla pietra, sono coloro che hanno un cuore indurato ed ostinato, coloro che la ascoltano per disprezzarla o per abusarne. Finalmente quella che cade nella terra buona, sono coloro che desiderano di ascoltarla, che abbracciano tutti i mezzi che il buon Dio loro inspira per bene approfittarne, ed è in questi cuori che reca copiosi frutti, e questi frutti sono l’allontanamento da una vita mondana e le virtù che un Cristiano deve praticare per piacere a Dio e salvare la propria anima. „ Voi vedete, M. F., giusta la parola di Gesù Cristo, come sia esiguo il numero di coloro che approfittano della parola di Dio, perché di quattro occorre un solo che rende questa semente atta a recar frutto, ciò che è molto facile a dimostrarvi, come vedremo più innanzi. Ma se ora mi domandate quello che vuol dire Gesù Cristo per questo seminatore il quale esce di gran mattino per gettare la sua semente nel suo campo, il seminatore è il buon Dio medesimo, che ha cominciato a procurare il nostro salvamento dal principio del mondo, per questo mandando i profeti suoi prima della venuta del Messia per insegnarci quello che era necessario di fare per essere salvi; non si è accontentato di mandare i suoi servi, è venuto Egli medesimo, ci ha tracciata la via che dobbiamo battere, Egli è venuto ad annunziarci la santa parola.

II. — Ma esaminiamo piuttosto, M. F., quali sono coloro che recano delle buone disposizioni per ascoltare questa parola di vita. Ah! voi avete udito dalle parole stesse di Gesù Cristo che pochissimi recano le disposizioni necessarie per trarne vantaggio. Sapete voi che sia una persona la quale non è nutrita di questa santa parola o che ne abusa? essa è somiglievole ad un ammalato senza medico, ad un viaggiatore smarrito e senza guida, ad un povero senza alcun mezzo di sussistenza; diciamo meglio, che è affatto impossibile di amar Dio e di piacere a lui senza essere nutriti di questa parola divina. Che cos’è che può muoverci ad affezionarci a Lui, se non perché lo conosciamo? E chi può farcelo conoscere con tutte le perfezioni sue, la sua bellezza e il suo amore verso di noi, se non la parola di Dio, che ci insegna tutto quello che ha fatto per noi, e i beni che ci prepara per l’altra vita, se noi non cerchiamo che di piacere a Lui? Chi può muoverci ad abbandonare e piangere i nostri peccati se non la descrizione spaventosa che lo Spirito Santo ci fa nella santa Scrittura? Chi può muoverci a sacrificare tutto quello che abbiamo di più caro al mondo, per avere la sorte di conservare i beni del cielo, se non i quadri stessi che ci mettono sott’occhio i predicatori? Se voi ne dubitate, domandate a S. Agostino ciò che ha cominciato a farlo arrossire fra le sue infamie: non è il quadro spaventoso che fece S. Ambrogio in un sermone nel quale dimostrò tutto l’orrore del vizio d’impurità, come degradava l’uomo, e come l’oltraggio che recava a Dio era orribile? (Conf. lib. VI, cap. III e IV) – Che cos’è che mosse S. Pelagia, questa famosa cortigiana, la quale colla sua bellezza e maggiormente coi disordini della propria vita, aveva perduto tante anime, che cos’è che la mosse ad abbracciare la più dura penitenza per tutto il resto della sua vita?… Un giorno che era seguita da una schiera di giovani premurosi di farle la corte, essendosi magnificamente abbigliata, ma di un’aria che non respirava che la mollezza e la voluttà, in questa ostentazione di mondanità, le avvenne di passare dinanzi alla porta di una chiesa, nella quale si trovavano parecchi Vescovi che si intrattenevano degli affari della Chiesa. I santi prelati, mossi a sdegno alla vista di questo spettacolo, volsero altrove lo sguardo; tuttavolta uno di essi, chiamato Nono, guardò fissamente questa commediante e disse gemendo: “Ah! che questa donna che mette tanto studio per piacere agli uomini sarà la nostra condanna, contro di noi che prendiamo sì poca sollecitudine per piacere al buon Dio! „ Il santo prelato avendo preso per mano il suo diacono, lo condusse nella sua cella; quando vi furono arrivati, egli si gettò col volto a terra e disse battendosi il petto e piangendo amaramente: “O Gesù Cristo, mio maestro, abbiate pietà di me; è d’uopo che nel corso della mia vita io non abbia messo tanto studio ad adornare la mia anima che è tanto preziosa, che tanto vi è costata, quanto questa cortigiana ne ha posto per adornare il suo corpo e per piacere al mondo! „ Il domani, il santo Vescovo essendo salito in pulpito, dipinse in modo così spaventevole i mali che recava questa cortigiana, il numero delle anime che la sua vita perversa trascinava nell’inferno… il suo discorso fu recitato con copiose lagrime. Pelagia era appunto nella chiesa, che ascoltava il sermone che teneva il santo Vescovo; ella ne fu siffattamente commossa, o piuttosto spaventata, che risolse tosto di convertirsi. Ella si reca a trovare il santo prelato senza porre indugio, ella si getta ai piedi del santo Vescovo alla presenza di tutta l’assemblea, gli domanda con grandi istanze e piangendo il Battesimo, che il Vescovo, vedendola così pentita, le amministrò non solo il Battesimo, ma anche la Confermazione e la Comunione. Dopo ciò, Pelagia distribuì i suoi beni ai poveri, concesse la libertà a tutti i suoi schiavi, si coprì d’un cilicio, abbandonò segretamente la città di Antiochia e andò a chiudersi in una grotta sulla montagna degli Ulivi, vicino a Gerusalemme. Il diacono del santo Vescovo desiderava di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme; il suo Vescovo gli disse, prima della sua partenza, di chiedere se là trovavasi una giovane nascosta in una grotta da quattro anni. Infatti, il diacono arrivato a Gerusalemme, domandò se sapevasi di una giovane chiusa da quattro anni in una grotta nei dintorni della città. Il diacono la trovò sopra la montagna in una cella che non aveva altra apertura che una piccola finestra quasi sempre chiusa. La penitenza spaventevole che faceva Pelagia, l’aveva siffattamente cangiata, che il diacono non poté riconoscerla; le disse che veniva a renderle visita dalla parte del Vescovo Nono; ella rispose semplicemente versando lagrime, che il Vescovo Nono era un santo e che ella si raccomandava alle sue preghiere; e tosto chiuse la finestra come fosse indegna di vedere il giorno dopo di aver tanto offeso il buon Dio e perduto tante anime. I solitari gli dissero tutti che ella esercitava sopra il suo corpo tormenti tali che facevano fremere i solitari più austeri. Il diacono, prima di partire, volle ancora avere una volta la sorte di vederla, ma la trovò morta (Vita dei Padri del deserto, vol. VI, cap. XVIII). Ora, M. F., chi trasse questa infelice dalle sue infamie per farne una così grande penitente? Una sola istruzione operò in essa quel cangiamento. Ma, di nuovo, donde procede ciò? Perché la parola di Dio trovò il suo cuore ben disposto a ricevere questa semente, perché questa parola cadde in buon terreno. Sapete chi siamo noi? Noi siamo quei grandi del mondo, i quali, nell’abbondanza di tutto ciò che il cuore può desiderare, esauriscono la loro conoscenza nel produrre nuove invenzioni per trovare nuovi gusti nelle vivande che loro si ammanniscono, e nonostante ciò nulla trovano che sia buono. Se una persona che soffre la fame fosse testimonio di ciò, non direbbe piangendo: “Ah! se io avessi quello che essi disprezzano tanto, quanto sarei felice!„ Ah! noi possiamo ripetere la stessa cosa: se dei poveri idolatri e dei pagani avessero la metà o il quarto di questa parola che si distribuisce a noi sì di spesso e che teniamo in così poco conto o disprezziamo, che noi ascoltiamo con noia e con disgusto, ah! quante lagrime spargerebbero, quante penitenze, quante buone opere e quante virtù avrebbero la sorte di praticare! Sì, questa parola santa è perduta per questi peccatori che sono abbandonati in balia della dissipazione, che non hanno alcuna regola di vita, il cui spirito e il cui cuore sono somiglievoli ad una grande strada da tutti battuta, che non sanno neppure che cosa significhi rigettare un cattivo pensiero. Un momento, è un buon pensiero o un buon desiderio che li occupa; un altro momento, è un cattivo pensiero e un cattivo desiderio; ora voi li udite cantare le lodi di Dio nella Chiesa; in un altro momento, voi li udite cantare le canzoni più infami nelle bettole; qui voi li vedete dir bene dei loro vicini, e là li vedete con coloro che straziano la loro riputazione; un giorno essi daranno dei buoni consigli, domani spingeranno altri a vendicarsi. Posto ciò, se essi ascoltano la parola di Dio, è per abitudine e forse con cattivo intendimento, per criticare colui che è tanto caritatevole di annunciarla. Ma essi l’ascoltano come si ascolta una favola o una cosa affatto indifferente. Ah! qual frutto può produrre la parola di Dio in cuori così mal disposti, se non indurarli sempre più? Mio Dio, come la vostra santa parola, la quale non ci è data che per aiutarci a salvarci, precipita delle anime nell’inferno! Io vi ho detto, da principio, che la parola di Dio reca sempre frutto buono o cattivo, secondo le disposizioni nostre. Ecco lo stato di una persona la quale non combatte le sue inclinazioni, la quale non cerca di premunirsi contro le sue passioni che la padroneggiano; a grado che la parola di Dio cade, passa l’orgoglio, la mette sotto dei piedi; passa il desiderio di vendetta, la soffoca; sopravvengono i vani pensieri e i cattivi desideri a gettarla nel fango; dopo di che, il demonio che regna in questo povero cuore, alla prima occasione, cancella il resto dell’impressione che ha potuto produrre in noi la parola di Dio. Ecco, M. F., quello che dice primieramente il Vangelo: io non so se voi l’avete ben compreso, ma per me io tremo quando sento S. Agostino dirci che noi siamo tanto colpevoli di udire la parola di Dio, senza un vero desiderio di approfittarne, come i Giudei quando flagellavano Gesù Cristo. Ah! M. F., noi non abbiamo mai pensato che commettiamo una specie di sacrilegio quando non vogliamo approfittare di questa santa parola. Tuttavia, non sono positivamente le vostre disposizioni, almeno per un gran numero: noi prendiamo ancora delle belle risoluzioni di cambiar vita; quando noi udiamo predicare, noi diciamo in noi medesimi: è necessario assolutamente operare bene. Ecco una buona risoluzione; ma dal momento che il buon Dio ci sottopone a qualche prova, noi dimentichiamo le nostre risoluzioni e continuiamo il nostro sistema di vita. Noi abbiamo risoluto di essere meno attaccati ai beni di questo mondo; ma il più piccolo torto che ci si rechi, noi cerchiamo di vendicarci; noi parliamo male delle persone che ci hanno recato qualche ingiuria e conserviamo l’odio; noi soffriamo di mal animo di vedere queste persone, non vogliamo più render loro servizio. Noi pensiamo che ora vogliamo praticare l’umiltà, perché abbiamo udito in una istruzione quanto l’umiltà sia una bella virtù, come ci rende aggradevoli a Dio; ma alla prima occasione che si presenta, che noi siamo disprezzati, noi ci muoviamo a sdegno, parliamo male dei nostri contradditori, e se qualche volta abbiamo loro procurato alcun bene glielo rinfacciamo. Ecco, M. F., quello che noi facciamo. Molte volte noi abbiamo risoluto di operar bene, ma tosto che l’occasione si presenta, non ci poniamo più mente e continuiamo la nostra vita ordinaria. – In tal modo trascorre tutta la nostra povera vita, nelle risoluzioni e nelle cadute continue, di guisa che noi ci ritroviamo sempre gli stessi. Ah! questa semente è dunque perduta per il gran numero dei Cristiani e non può contribuire che alla loro condanna! — Ma forse mi direte voi, che altra volta la parola di Dio era più potente, o coloro che l’annunciavano erano più eloquenti. — No, la parola del buon Dio ha tanto potere ora quanto negli altri tempi, e coloro che la annunciavano erano semplici come ai giorni nostri. Ascoltate S. Pietro nelle sue predicazioni: “Ascoltatemi, loro dice questo santo Apostolo, il Messia che voi avete fatto soffrire, che avete mandato alla morte, è risuscitato per la felicità di tutti coloro che credono che il salvamento procede da lui.„ Appena ebbe detto ciò, che tutti coloro che erano presenti ruppero in pianto, e mandarono alte grida, dicendo: “Ah! grande Apostolo, che faremo noi per ottenere il nostro perdono?„ — “Miei figli, dice loro S. Pietro, se voi bramate che i vostri peccati vi siano perdonati, fate penitenza, confessate i vostri peccati, più non peccate, e il medesimo Gesù Cristo che voi avete appeso alla croce, che è risuscitato, vi perdonerà (Act. III, 19). „ In un solo discorso, tre mila si diedero a Dio e abbandonarono il loro peccato per sempre (ibid. II, 41). In un altro, cinquemila rinunciarono alla loro idolatria per abbracciare una religione la quale non domanda che sacrifici continui (ibid. IV, 4); essi batterono coraggiosamente la via che Gesù Cristo aveva loro tracciata. Di qual segreto si sono valsi gli Apostoli per cangiare la faccia del mondo? — Ecco: “Volete voi, dissero gli Apostoli, piacere a Dio e salvare l’anima vostra, che colui che si abbandona al vizio dell’impurità vi rinunci e conduca una vita pura e aggradevole a Dio; che colui che ha il bene del suo prossimo lo restituisca; che colui che odia il suo prossimo si riconcili con lui.„ Ascoltate S. Tommaso: “Io vi avverto dalla parte di Gesù Cristo medesimo che gli uomini subiranno un giudizio dopo la loro morte, intorno il bene ed il male che avranno fatto, i peccatori passeranno la loro eternità nel fuoco dell’inferno, per patirvi per sempre; ma colui che sarà stato fedele ad osservare la legge del Signore, la sua sorte sarà affatto diversa; all’uscire da questa vita, entrerà in cielo per godervi ogni sorta di delizie e di felicità. „ Ascoltate san Giovanni, il discepolo prediletto: “Miei figli, amatevi tutti come Gesù Cristo vi ha amati, siate caritatevoli gli uni verso gli altri, come Gesù Cristo lo è stato per noi, Lui che ha sofferto e che è morto per la nostra felicità; sopportatevi gli uni cogli altri, perdonatevi le vostre debolezze come Egli perdona a tutti (I Joan. II-IV).„ Ditemi, possiamo trovare qualche cosa che sia più semplice ? Ora, non vi si dicono le medesime verità? Non vi si dice, come S. Pietro, che Gesù Cristo è morto per voi, che è ancora pronto a perdonarvi se volete pentirvi ed abbandonare il peccato? Tuttavolta furono queste parole che fecero versare tante lagrime e convertirono tanti pagani e tanti peccatori! Non vi si dice, come S. Giovanni Battista, che se voi avete il bene del prossimo, è necessario restituirlo (Luc. III, 11-14), senza di che mai entrerete in cielo? Non vi si dice che se vi abbandonate in preda al vizio dell’impurità, è necessario lasciarlo e condurre una vita tutta pura? Non vi si dice che, se voi vivete e restate nel peccato, voi cadrete nell’inferno? E perché dunque queste parole non producono più i medesimi effetti, vo’ dire che questa parola santa non ci converte? Ah! diciamolo gemendo: non è perché abbia minor potere che altra volta, ma perché questa divina semente cade in cuori indurati e impenitenti, e appena vi è caduta il demonio la soffoca. Come questa divina parola non parla che di sacrifici, di mortificazioni, di distacco dal mondo e da se medesimo, e d’altra parte non si vuol fare tutto ciò, si rimane nel peccato, vi si persevera, vi si muore. – Convenite con me quanto sia necessario essere indurato per restare nel peccato, sapendo benissimo che, se dovessimo morire in questo stato, non abbiamo che l’inferno per retaggio! Ci è ripetuto continuamente, e nonostante ciò, noi restiamo peccatori come lo siamo, benché siamo certissimi che la nostra sorte non può essere che quella d’un riprovato. O mio Dio! quale stato infelice è quello di un peccatore che non ha più la fede!

III. — Ma, mi direte voi, che cosa dunque bisogna fare per approfittare della parola di Dio, affinché ci aiuti a convertirci? — Ecco: Voi non avete che da esaminare la condotta di quel popolo che accorreva ad ascoltare Gesù Cristo; egli vi accorreva da lontano, con un vero desiderio di praticare tutto quello che Gesù Cristo loro avrebbe comandato; essi abbandonavano tutte le cose temporali, non pensavano neppure ai bisogni del corpo, ben persuasi che colui che nutriva la loro anima, nutrirebbe il loro corpo; essi erano mille volte più solleciti di cercare i beni del cielo che quelli della terra; essi tutto dimenticavano per non pensare che a praticare quello che loro diceva nostro Signore (Luc. IX, 12). Vedeteli in atto di ascoltare Gesù Cristo o gli Apostoli: i loro occhi e i loro cuori sono tutti rivolti a questo oggetto; le donne non pensano alla loro famiglia; il mercante perde di vista il suo commercio; l’agricoltore dimentica i suoi campi; i giovani mettono sotto dei piedi i loro abbigliamenti; essi ascoltano con avidità le sue parole, e fanno quanto possono per imprimerle profondamente nel loro cuore. Gli uomini più sensuali abborrono i loro piaceri sensuali per non più pensare che a far soffrire il loro corpo, la santa parola di Dio forma tutta la loro occupazione; vi fermano il pensiero, la meditano, amano di parlarne e di udirne parlare. Ora, M. F., vedete se tutte le volte che ascoltate la parola di Dio, voi vi recate le medesime disposizioni. M. F., siete venuti ad ascoltare questa santa parola con sollecitudine, con gioia, con un vero desiderio di approfittarne? Così essendo, avete dimenticato tutti i vostri affari temporali, per non pensare che ai bisogni della vostra anima? Prima di ascoltare questa santa parola, avete domandato al buon Dio, di imprimerla profondamente nei vostri cuori? Avete considerato questo momento come il più avventurato della vostra vita, poiché Gesù Cristo medesimo ci dice che la sua santa parola è preferibile alla santa comunione? Siete stati pronti a praticare quanto ella vi comanda? L’avete ascoltata con attenzione, con rispetto, non come la parola di un uomo, ma come la parola di Dio medesimo? Dopo l’istruzione avete ringraziato il buon Dio della grazia che vi ha concesso di istruirvi Egli medesimo per la bocca dei suoi ministri? Ah! mio Dio, se son pochi quelli che recano queste disposizioni, non saremo meravigliati che questa santa parola produca sì poco frutto. Ah! quanti che sono qui con pena, con noia! che dormono, che sbadigliano! quanti che sfoglieranno un libro, e ciarleranno! E non si veggono altri che spingono più innanzi la loro empietà, i quali, con una specie di disprezzo, escono di chiesa tenendo in nessun conto la santa parola e colui che la annuncia? Quanti altri i quali, anche essendo fuori, dicono che il tempo loro pesa e che più non ritorneranno! E finalmente altri i quali, ritornando alle loro case, invece di occuparsi di ciò che hanno udito e di meditarlo, lo dimenticano affatto e non vi tornano sopra col pensiero che per dire che non è mai finito, o per criticare colui che ha avuto la carità di annunciarla! Chi sono coloro i quali, essendo tornati in famiglia, facciano parte a coloro che non hanno potuto intervenire di ciò che hanno udito? Quali sono i padri e le madri che domandino ai loro figli quello che hanno ritenuto della parola santa che hanno udita, e che spieghino loro quello che non hanno compreso? Ma, ah! si tiene la parola di Dio in sì poco conto, che quasi non si accusano di non averla ascoltata con attenzione. Ah! quanti peccati dei quali la maggior parte dei Cristiani non si accusano mai! Mio Dio! quanti Cristiani dannati! Chi sono coloro che abbiano detto a se medesimi: Quanto questa parola è bella! quanto è vera! ecco tanti anni che io l’ascolto e che mi fa vedere lo stato della mia anima, e, come toccare con mano che, se la morte mi colpisse, io sarei perduto! Tuttavolta io resto sempre nel peccato. O mio Dio, quante grazie disprezzate, quanti mezzi di salvamento dei quali ho abusato sino a quest’ora! ma è cosa decisa, io voglio sinceramente cangiar vita, io voglio domandare al buon Dio la grazia di non mai ascoltare questa santa parola senza esservi ben preparato. No, io non voglio più dire in me medesimo, come ho fatto fino a quest’ora, che ciò è per il tale o per la tale, ma dirò che è per me che la si annuncia; io voglio porre ogni studio per approfittarne per quanto lo potrò. Che conchiudere da tutto ciò? Che la parola divina è uno dei più grandi doni che il buon Dio possa concederci, perché senza l’istruzione, è impossibile di salvarci. Che se noi vediamo tanti empi in questi tristi giorni nei quali viviamo, non è che perché non conoscono la loro Religione, perché ad una persona che la conosca, le è impossibile di non amarla e di non praticare quello che essa prescrive. Quando voi vedete qualche empio che disprezza la Religione, voi potete dire: “Ecco un ignorante che disprezza quello che non conosce, „ perché questa parola divina ha convertito tanti peccatori. – Studiamoci di ascoltare sempre con un piacere tanto più grande in quanto vi è annesso il salvamento dell’anima nostra e che per essa noi scopriremo quanto il nostro destino è felice, quanto la ricompensa che ci promette è grande, perché dura tutta l’eternità. È la felicità che io vi ….

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps XVI: 5; XVI:6-7

Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi nei tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino. Inclina l’orecchio verso di me, e ascolta le mie parole. Fa risplendere la tua misericordia, tu che salvi chi spera in Te, o Signore.]

Secreta

Oblátum tibi, Dómine, sacrifícium, vivíficet nos semper et múniat.

[Il sacrificio a Te offerto, o Signore, sempre ci vivifichi e custodisca.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XLII:4

Introíbo ad altáre Dei, ad Deum, qui lætíficat juventútem meam.

Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza.]

Postcommunio

Orémus.

Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut, quos tuis réficis sacraméntis, tibi étiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas.

[Ti supplichiamo, o Dio onnipotente, affinché quelli che nutri coi tuoi sacramenti, Ti servano degnamente con una condotta a Te gradita.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA