I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULL’ELEMOSINA

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS – Quarta edizione, Vol. II, Marietti ed. Torino-Roma, 1933]

Sull’elemosina.

Date eleemosynam, et ecce omnia munda sunt vobis.

(Luc. XI, 41).

Possiamo immaginare, Fratelli miei, cosa più consolante per un Cristiano il quale ha avuto la sventura di peccare, che il trovare mezzo così facile di soddisfare la giustizia divina per le colpe commesse? Gesù Cristo, nostro divin Salvatore non brama che la nostra felicità e non ha trascurato alcun mezzo per mostrarcelo. Sì, M. F., con l’elemosina noi possiamo facilmente redimere i nostri peccati e attirare le più abbondanti benedizioni del cielo sui nostri beni e sulle nostre persone; o, per meglio dire, coll’elemosina possiamo evitare le pene eterne. Oh! M. F., quanto è buono Iddio, che si contenta di così poca cosa. – M. F.. se Dio lo avesse voluto, saremmo stati tutti eguali. Invece no: Egli prevedeva che, essendo noi tanto orgogliosi, non ci saremmo sottomessi gli uni agli altri. E appunto per questo che Egli ha messo nel mondo i ricchi e i poveri, perché potessimo, cioè, aiutarci scambievolmente a salvarci. I poveri salveranno sopportando con rassegnazione la loro miseria, e domandando con pazienza soccorso ai ricchi. I ricchi troveranno dal loro mezzo di redimere i loro peccati dimostrando compassione pei poveri, e soccorrendoli quanto potranno. Voi vedete, o F. M., a questo modo tutti possiamo salvarci. – Se è pel povero dovere indispensabile soffrire la povertà con rassegnazione e chiedere con umiltà soccorso ai ricchi, è altresì dovere indispensabile dei ricchi fare l’elemosina ai poveri, che sono loro fratelli; poiché da ciò dipende la loro salvezza. Disgraziatissimo è agli occhi di Dio chi vede soffrire il proprio fratello e, potendolo, non lo soccorre. – Per stimolarvi a fare l’elemosina, per quanto vi sarà possibile, e con retta intenzione piacere a Dio, vi mostrerò:

1° Che l’elemosina è efficace presso Dio per ottenerci tutto ciò che desideriamo;

2° Che l’elemosina libera chi la fa dal timore del giudizio universale;

3° Che siamo ingrati quando trattiamo durezza i poveri, perché, sprezzandoli, disprezziamo Gesù Cristo medesimo.

I. — Sì, M. F., sotto qualunque aspetto osserviamo l’elemosina, il pregio di essa è sì grande che riesce impossibile di spiegarvene tutto il merito. Solamente il giorno del giudizio ne comprenderemo tutto il valore. E se me ne domandate la ragione, eccovela: possiamo dire che l’elemosina supera tutte le altre buone azioni, perché una persona caritatevole possiede ordinariamente tutte le altre virtù. Leggiamo nella sacra Scrittura che il Signore disse al profeta Isaia: “Va ad annunciare al mio popolo, che i suoi delitti mi hanno talmente irritato, che Io non posso più tollerarlo; lo castigherò sterminandolo per sempre. „ Il profeta si presenta in mezzo al popolo adunato, dicendo: “Ascolta, popolo ingrato e ribelle, ecco ciò che dice il Signore Dio tuo: I vostri delitti mi hanno acceso tal furore contro di voi, che le mie mani sono armate di fulmini per abbattervi e disperdervi per sempre. ,, — “Eccovi dunque, dice loro Isaia, senza scampo, voi potrete ben pregare il Signore, Egli chiuderà le orecchie per non intendervi; e se anche piangerete, digiunerete, vi coprirete di cenere, Egli non volgerà i suoi occhi verso di voi; se vi riguarderà, sarà per distruggervi. Tuttavia, in mezzo a tanti mali, ho un consiglio da offrirvi: esso è efficacissimo per commuovere il cuor del Signore, e voi potrete, in qualche modo, forzarlo ad usarvi misericordia. – “Ecco ciò che dovete fare: date una parte dei vostri beni ai vostri fratelli poveri e pane a chi ha fame, abiti a chi è ignudo, e vedrete subito cambiata la vostra sentenza. ,, Infatti appena ebbero cominciato a fare ciò che il profeta aveva suggerito, il Signore chiamò Isaia e gli disse: “Profeta, riferisci al mio popolo che mi ha vinto, che la carità esercitata verso i fratelli fu più della mia collera. Va a dire ad essi che Io perdono loro e prometto la mia amicizia. – O bella virtù della carità, quanto sei potente per placare la collera divina! Ma, quanto sei poco conosciuta dalla maggior parte dei Cristiani dei nostri giorni. Perché questo, o M. F.? Perché noi siamo troppo attaccati alla terra; non pensiamo che alla terra; pare che viviamo solo per la terra; abbiamo perduto di vista i beni del cielo e non ne abbiamo più stima. Noi vediamo altresì che i Santi hanno amato talmente questa virtù, che credevano impossibile salvarsi, senza averla praticata. Poi vi dirò anzitutto che Gesù Cristo, il quale ha voluto esserci di modello in ogni cosa, ha portato questa virtù all’ultimo grado di perfezione. Se ha lasciato il seno del Padre per venire sulla terra, se è nato povero, se è vissuto nei patimenti ed è morto nel dolore, è la sua carità che l’ha ispirato a questo. Vedendoci tutti perduti, la carità lo ha mosso a fare tutto quello che ha fatto per salvarci da quell’abisso di mali eterni in cui il peccato ci aveva precipitati. Quando viveva quaggiù il suo cuore era così ripieno di carità, che non poteva vedere né malati, né morti, né sofferenti senza dar loro sollievo, risuscitarli e consolarli; per amor loro ha operato miracoli. Un giorno vedendo che quelli che lo seguivano nelle sue predicazioni erano senza nutrimento, con cinque pani e alcuni pesci saziò quattromila uomini, senza contare le donne e i fanciulli; un’altra volta ne saziò cinquemila. Per mostrare loro come sentisse vivamente le loro miserie, si rivolse agli Apostoli e disse con accento di tenerezza: “Ho compassione di questo popolo che mi dà tanti segni di affetto; non so più resistere, farò un miracolo per sostentarlo. Temo che se lo rimando, senza dar ad esso da mangiare, molti sveniranno lungo la via. Fateli sedere, distribuite loro questa piccola provvista di cibo: la mia potenza supplirà alla sua insufficienza „ (Matt., XV, 32-38). E provò nel sollevarli gioia sì grande, che non pensò a se stesso. O virtù della carità, quanto sei bella, quanto sono abbondanti e preziose le grazie che ti sono congiunte! Perciò vediamo che i Santi dell’Antico Testamento sembravano presentire quanto sarebbe stata cara al Figliuolo di Dio questa virtù; parecchi posero in essa ogni loro felicità e passarono la vita praticando questa virtù bella e amabile. – Leggiamo nella sacra Scrittura che Tobia, condotto schiavo nell’Assiria, godeva nell’esercitare questa virtù verso gli infelici. Sera e mattina distribuiva quanto aveva ai poveri, senza riserbare nulla per sé. Ora lo si vedeva accanto agli infermi, esortandoli perché offrissero i loro dolori con rassegnazione alla volontà di Dio, e facendo loro conoscere quale grande ricompensa avrebbero nell’eternità; ora lo si vedeva spogliarsi dei suoi abiti per darli ai poveri. Un giorno gli fu detto, che era morto un povero e che nessuno pensava a dargli sepoltura. Era a tavola; ma tosto si leva, va a prenderlo sulle sue spalle e lo porta al luogo dove doveva essere seppellito. Credendosi vicino a morire, chiamò presso di sè il suo figliuolo, e gli disse: “Figlio credo che il Signore presto mi toglierà da questo mondo. Ho una cosa importante da raccomandarti, prima di morire. Promettimi di osservarla. Fa’ elemosina in tutti i giorni di tua vita, e non divergere mai il tuo sguardo dal povero. Fa elemosina come potrai. Se hai molto, dà molto; se poco, dà poco, ma da’ con buon cuore e con ilarità. Così accumulerai grandi tesori pel giorno del Signore. Non perdere mai di vista che l’elemosina cancella i nostri peccati e ci preserva dal ricadervi. Il Signore ha promesso che un’anima caritatevole non cadrà nelle tenebre dell’inferno, dove non vi è più misericordia. Figlio mio, non disprezzare mai il povero e non frequentare la compagnia di coloro che lo avviliscono; perché  il Signore ti manderebbe in perdizione. – La casa di colui che fa elemosina ha fondamento sulla pietra e non crollerà. Mentre la abitazione di chi negherà l’elemosina rovinerà dalle fondamenta; „ volendo con ciò farci intendere, o F. M., che una famiglia caritatevole non diverrà mai povera; e quelli che sono senza carità pei poveri, periranno coi loro beni. Il profeta Daniele ci dice: “Se vogliamo indurre il Signore a dimenticare i nostri peccati, facciamo elemosina, e subito il Signore li cancellerà dalla sua memoria. „ Il re Nabucodònosor avendo avuto durante la notte un sogno che l’aveva tutto spaventato, fece venire il profeta Daniele pregandolo di volergliene spiegare il significato. Il profeta gli disse: “Re, tu sarai cacciato dalla compagnia degli uomini; ti nutrirai d’erba come le bestie; la pioggia del cielo bagnerà il tuo corpo; e resterai sette anni in questo stato, perché tu riconosca che tutti i regni appartengono a Dio, che li dà a chi gli piace e li toglie quando gli piace. Re, disse il profeta, ecco il consiglio che ti do: Riscatta i tuoi peccati coll’elemosina e le tue iniquità con le buone opere a vantaggio degli infelici.,, Il Signore infatti si lasciò commuovere dalle elemosine e dalle buone opere che il re fece a prò dei poveri; gli restituì il regno, e perdonò le sue colpe. (Il libro di Daniele non dice che Nabucodònosor abbia fatto delle elemosine e delle buone opere, ma solamente che dopo i sette anni di punizione predetti dal profeta il re levò gli occhi al cielo, benedisse l’Altissimo ed esaltò la sua potenza eterna, e che allora gli fece ritornare i sensi e fu rimesso in possesso del regno. – Dan. IV). – Vediamo altresì che al tempo dei primitivi Cristiani, i fedeli sembravano essere contenti di avere dei beni, soltanto per gustar la gioia di offrirli a Gesù Cristo nella persona dei poveri. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che la loro carità era sì grande che non volevano possedere nulla di proprio. Molti vendevano i loro beni per darne il prezzo ai poveri. (Act. II, 44, 45). S. Agostino scrive: “Quando non avevamo la fortuna di conoscere Gesù Cristo, avevamo sempre paura che ci mancasse il pane; dacché abbiamo la ventura di conoscerlo, non amiamo più le ricchezze. Ne conserviamo qualche poco, solo per farne parte ai poveri e viviamo assai più contenti ora che serviamo soltanto Iddio. ,, – Udite Gesù Cristo medesimo che ci dice nell’Evangelo: “Se fate elemosina, io benedirò in modo particolare i vostri beni. Date, Egli ci ripete, e vi sarà dato; se darete abbondantemente sarà dato anche a voi con abbondanza. „ Lo Spirito Santo poi ci dice per bocca del Savio: “Volete diventar ricchi? Fate elemosina, perché il seno dell’indigente è un campo fertilissimo che rende il cento per uno.„ (Prov. XXIX, 13). – S. Giovanni, detto l’elemosiniere per la sua carità verso i poveri, ci dice che più dava e più riceveva. “Un giorno, egli racconta, io trovai un povero ignudo, e gli diedi gli abiti che avevo indosso. Poco dopo una persona mi offrì denaro bastante per comperarne parecchi. „ Lo Spirito Santo ci dice che chi disprezzerà il povero sarà infelice in tutti i giorni di sua vita.,, (Prov. XVII, 5). E il santo re Davide ci dice: “Figliuol mio, non permettere che il tuo fratello muoia di miseria, se hai qualche cosa da dargli; perché il Signore promette una benedizione copiosa a chi soccorre il povero; egli veglierà alla di lui conservazione. „ (Psal. XL, 1) E aggiunge che coloro i quali saranno misericordiosi verso i poveri, il Signore li preserverà da una morte cattiva. Ne abbiamo un bell’esempio nella vedova di Sarepta. Il  Signore mandò il profeta Elia a soccorrerla nella sua povertà, lasciò che tutte le vedove d’Israele soffrissero la fame. Se volete saperne la ragione, eccovela: “Perché, disse il Signore al profeta, ella è stata caritatevole durante tutta la sua vita. „ Il profeta le disse: “La tua carità ti ha meritato una protezione particolare dal Signore: i ricchi col loro denaro periranno di fame, ma tu, caritatevole verso i poveri, sarai soccorsa, perché le tue provviste non verranno meno sino alla fine della fame. ,, (III Reg. XVII).

II. — Ho detto, in secondo luogo, che coloro i quali avranno fatto elemosina non paventeranno il giorno del giudizio universale. È cosa certa che quel momento sarà terribile: il profeta Gioele lo chiama il giorno delle vendette del Signore, giorno senza misericordia, giorno di spavento e di disperazione pel peccatore. .. Ma, ci dice questo profeta, volete che questo giorno sia per voi non un giorno di disperazione, ma di consolazione? Fate elemosina, e sarete contenti .,, (Gioel. II, 2). Un Santo aggiunge: “Se non volete il giudizio, fate elemosina, e sarete ben accolto dal vostro giudice. „ Se la cosa è così, non dovrebbesi dire, o M. F., che dall’elemosina dipende la nostra salvezza? Infatti, Gesù Cristo quando ci parla del giudizio che dovremo subire, ci parla esclusivamente dell’elemosina, dicendo ai buoni: “Ebbi fame e mi avete dato da mangiare; ebbi sete e mi avete dato da bere; ero ignudo e mi avete rivestito; ero prigioniero e siete venuti a visitarmi. Venite, o benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno che vi è stato preparato fin dal principio del mondo. „ All’incontro egli dirà ai peccatori: “Allontanatevi da me, o maledetti; ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi avete dato da bere; ero ignudo e non mi avete rivestito; ero infermo e prigioniero e non siete venuti a visitarmi. „ — “Quando mai, gli diranno i peccatori, vi abbiamo trattato a questo modo? „ — ” Ogni volta che avete trascurato di far questo a vantaggio dei miei più piccoli, che sono i poveri. ,, (Matth. V, 7).   Vedete dunque, F. M., che il giudizio sarà fatto esclusivamente sull’elemosina. Forse questo vi reca meraviglia? Eppure, M. F.. non è cosa difficile a comprendersi. Colui il quale possiede una verace carità, cerca solamente Iddio, e vuole piacere soltanto a Lui: possiede tutte le altre virtù, e in alto grado di perfezione, come vedremo fra breve. – La morte, è vero, spaventa i peccatori, ed anche i più giusti, per il terribile conto che si dovrà rendere a Dio, il quale sarà allora senza misericordia. Questo pensiero faceva tremare S. Ilarione che da 70 anni piangeva i suoi peccati; e S. Arsenio, che aveva lasciato la corte dell’imperatore per andar a passare la vita nel cavo di una roccia e piangervi per tutto il resto de’ suoi giorni. Quando pensava al giudizio faceva tremare il suo povero giaciglio. Il santo re Davide pensando ai suoi peccati esclamava: “Ah! Signore, non ricordate più le mie colpe. „ Ma egli diceva altresì: “Fate elemosina e non temerete quel giorno sì spaventevole pei peccatori. ,, Sentite Gesù Cristo in persona che ci dice “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. ,, (Matt. VII, 7). E altra volta soggiunge: “Come avrete trattato i vostri fratelli, così sarete trattati anche voi; „ (Id. VII, 2), che è quanto dire: Se avrete avuto pietà del vostro fratello, Dio avrà pietà di voi. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che era morta in Joppe una buona vedova. I poveri andarono incontro a S. Pietro pregandolo di risuscitarla; e chi gli mostrava gli abiti che la buona vedova gli aveva fatto, chi altre cose. S. Pietro lasciò che piangessero, poi “Il Signore – disse loro – è tanto buono, e vi concederà quello che gli chiedete. „ S’avvicinò alla morta e le disse: “Levati, le tue elemosine ti meritano una seconda volta la vita. „ (Il Venerabile sembra dire che s. Pietro si trovava già in Joppe. Secondo gli Atti (cap. IX), S. Pietro era in una città vicina a Joppe, a Lidda, in cui due uomini, mandati dai fedeli di Joppe, vennero a pregarlo di recarsi in quest’ultima città e risuscitare la santa vedova chiamata Tabita. S. Pietro effettivamente li seguì, e fu allora che gli mostrarono gli abiti fatti da Tabita e che egli richiamò alla vita questa benefattrice dei poveri.). – Ella si alzò e S. Pietro la riconsegnò a’ suoi poveri. Non saranno solamente i poveri, o F. M., che pregheranno per voi; ma le vostre stesse elemosine saranno dinanzi a Dio come altrettanti protettori, che imploreranno grazia per voi. Leggiamo nel Vangelo che il regno de’ cieli è simile ad un re, che da’ suoi servitori si fece rendere conto di quanto gli dovevano. Gli si presentò uno che era debitore di 10,000 talenti. Non avendo costui con che pagare, il re comandò subito che fosse messo in prigione con tutta la sua famiglia, e che vi rimanesse finché avesse scontato tutto quello che gli doveva. Ma il servitore si gettò ai suoi piedi e gli chiese la grazia di aspettare qualche tempo ancora, che lo avrebbe pagato appena potesse. Il padrone, mosso a pietà gli condonò tutta la somma che gli doveva. Il servo, lasciato il padrone, incontrò un suo compagno che gli doveva cento denari, e tosto l’afferrò per la gola, esclamando: “Rendimi quanto mi devi. „ L’altro lo supplicò di attendere qualche po’ di tempo, che lo avrebbe pagato. Ma egli non s’arrese e lo fece mettere in carcere a scontarvi il debito. Il padrone lo seppe, e irritato per questa condotta, gli disse: “Servo iniquo, non dovevi tu pure aver compassione del tuo fratello, come io l’ebbi di te? „ (Matth. XVIII). Ecco, F. M., in qual maniera Gesù tratterà nel giorno del giudizio coloro che saranno stati buoni e misericordiosi verso i fratelli poveri raffigurati nella persona del debitore che ottiene misericordia. Ma a quelli che saranno stati duri e crudeli coi poveri, accadrà ciò che accadde a quel servo senza cuore; il padrone, ordinò che, legato mani piedi, fosse gettato nelle tenebre esteriori dov’è pianto e stridore di denti. Vedete dunque, o miei cari, che è impossibile che una persona caritatevole vada dannata.

III. — In terzo luogo, P. M., ciò che deve stimolarci a fare con gioia e di buon cuore l’elemosina, è il sapere che la facciamo a Gesù Cristo medesimo. Nella vita di S. Caterina da Siena si legge che una volta, incontrato un povero, gli diede una croce; un’altra volta diede la sua veste ad una povera donna. Qualche giorno dopo le apparve Gesù Cristo e le disse che aveva ricevuto quella croce e quella veste messa da lei tra le mani dei poveri, e che gli erano state così gradite che e gli aspettava il giorno del giudizio per mostrarle a tutto l’universo. S. Giovanni Crisostomo dice: “Figliuol mio, dà al tuo fratello povero un tozzo di pane e riceverai il paradiso; dà qualche poco e riceverai molto; dà i beni perituri e riceverai i beni eterni. Pei doni che fai a Gesù Cristo nella persona dei poveri, avrai una ricompensa eterna. „ S. Ambrogio ci dice che l’elemosina è quasi un secondo battesimo e un sacrificio di propiziazione che placa la collera divina e ci fa trovar grazia dinanzi al Signore. Sì, M. F., questo è verissimo perché, quando diamo, diamo a Dio medesimo. Leggiamo nella vita di S. Giovanni di Dio che avendo un giorno trovato un povero tutto, coperto di piaghe, lo prese e lo portò all’ospedale, che aveva fondato pei poveri. Quando vi fu giunto e gli ebbe lavati i piedi, per metterlo a letto, s’avvide che i piedi erano traforati. Tutto meravigliato, alzando gli occhi, riconobbe Gesù Cristo in persona che s’era nascosto sotto le sembianze di quel povero per eccitare la sua compassione. Gesù gli disse: “Giovanni, io sono contento di vedere come ti prendi cura de’ miei poveri.„ Un’altra volta trovò un fanciullo miserabilissimo, se lo caricò sulle spalle; passando accanto a una fontana, sentendosi stanco e volendo bere, pregò il fanciullo di discendere. Era anche questa volta Gesù Cristo in persona che gli disse: “Giovanni, ciò che fai ai poveri, è come se lo facessi a me. „ I servizi prestati ai poveri e agli infermi, sono così graditi, che molte volte furono visti gli Angeli discendere dal cielo per aiutare con le loro mani S. Giovanni di Dio a servire gli ammalati; dopo di che scomparivano. – Leggiamo nella vita di S. Francesco Saverio che, andando egli a predicare nei paesi infedeli, incontrò sul suo cammino un povero tutto coperto di lebbra, e gli fece l’elemosina. Dopo fatti alcuni passi si pentì di non averlo abbracciato per mostrargli quanta parte egli prendeva alle sue sofferenze. Ma ritornando sui suoi passi per rivederlo, non scorse più alcuno; quel povero era un Angelo apparsogli sotto la sembianza di un lebbroso. Ah!  qual rammarico soffriranno nel giorno del giudizio coloro che avranno disprezzato e schernito i poveri, quando Gesù Cristo farà loro toccare con mano che è a Lui in persona che essi hanno fatto ingiuria. Ma quale gioia altresì, o M. F., godranno coloro i quali riconosceranno che tutto il bene fatto ai poveri lo hanno fatto a Gesù Cristo in persona. “Sì, dirà loro Gesù Cristo; sono Io che avete visitato nella persona di quel povero; a me avete reso servigio; a me avete fatto elemosina alla vostra porta. „ – Ciò è tanto vero, F. M., che si narra nella storia di un gran Papa, S. Gregorio Magno, che egli teneva ogni giorno alla sua tavola dodici poveri in onore dei dodici Apostoli. Un giorno, contatine tredici, chiese a chi ne aveva l’incarico, perché fossero tredici e non dodici, come egli aveva ordinato. “Santo Padre, gli disse l’economo, io ne veggo soltanto dodici. „ Ed egli invece ne vedeva tredici. Chiese a coloro che gli stavano vicini se ne vedevano tredici, o no: risposero che ne vedevano dodici soltanto. Dopo che ebbero mangiato, prese per mano il tredicesimo, che egli aveva distinto perché lo osservava cambiare di tanto in tanto colore; lo condusse nella sua stanza e gli domandò chi fosse. Quegli gli rispose che era un Angelo, nascostosi sotto l’apparenza di un povero; che aveva ricevuto un’elemosina da lui quand’era ancor religioso, e che Dio, a motivo della sua carità, gli aveva dato incarico di custodirlo per tutta la sua vita, e fargli conoscere ciò che gli conveniva fare per ben regolarsi in tutto ciò che avrebbe compiuto pel bene della sua anima e per la salute del prossimo. Ecco, o M. F., come Dio lo ricompensò della sua carità. Non diremo, dunque che la nostra salvezza pare che dipenda dall’elemosina? Sentite ora ciò che accadde a S. Martino mentre passava per una via. Incontrò un povero, estremamente bisognoso, e’ ne fu profondamente commosso che, non avendo nulla con cui soccorrerlo, tagliò metà del suo manto e glielo diede. La notte seguente Gesù Cristo gli apparve ricoperto di metà della veste, e circondato da una schiera di Angeli, ai quali diceva: “Martino, ancora catecumeno, mi ha dato questa metà della sua veste; „ sebbene S. Martino l’avesse data ad un viandante. No, M. F., non vi sono azioni per le quale Dio faccia tanti miracoli, come per le elemosine. Si narra nella storia di un signore agiato che, incontrato un povero, e, osservandone la miseria, ne fu commosso fino alle lacrime. Non stette a pensarvi su tanto, si levò il soprabito e glielo diede. Pochi giorni dopo seppe che quel povero l’aveva venduto e ne provò vivo rincrescimento. Nelle sue orazioni diceva a Gesù Cristo: “Mio Dio, vedo bene che io non meritavo che quel povero portasse il mio soprabito. „ Nostro Signore gli apparve tenendo quella veste tra le mani e gli disse: “Riconosci quest’abito? „ ed egli esclamò “Ah! mio Dio, è quello che io ho dato al povero. „ — “Vedi dunque che non è perduto, e che mi hai fatto piacere dandolo a me nella persona del povero. „ – S. Ambrogio ci dice che mentre egli distribuiva l’elemosina a parecchi poveri, si ritrovò in mezzo ad essi anche un Angelo: ricevette l’elemosina sorridendo e disparve. – Noi possiamo dire di una persona caritatevole, anche se colpevole, che ella ha grande speranza di salvezza. Leggiamo negli Atti degli Apostoli, che Gesù Cristo apparve a S. Pietro e gli disse: ” Va a trovare il centurione Cornelio, perché le sue elemosine sono salite fino a me e gli hanno meritato la salute. „ S. Pietro andò a visitare Cornelio, lo trovò occupato a pregare, e gli disse: “Le tue elemosine Dio le ha così gradite, che Egli mi manda ad annunziarti il regno de’ cieli ed a battezzarti (Act. X). „ Per tal guisa, o F. M., le elemosine di Cornelio furono cagione che egli e tutta la sua famiglia fossero battezzati. Ma ecco un esempio che vi mostrerà quanto potere ha l’elemosina di arrestare il braccio della giustizia divina. Si racconta nella storia della Chiesa che l’imperatore Zenone aveva caro di fare il bene ai poveri; ma era assai sensuale e voluttuoso; tanto che aveva rapito la figlia d’una dama onorata e virtuosa, e ne abusava con grande scandalo di tutti. Quella povera madre, desolata fino alla disperazione andava spesso alla chiesa della Vergine per lamentarsi con Lei dell’oltraggio che si faceva alla sua figliuola. “Vergine Santa, diceva, non siete Voi il rifugio degli infelici, degli afflitti e la protettrice dei deboli? Come dunque permettete questa oppressione ingiusta, questo disonore che si fa alla mia famiglia?„ La Ss. Vergine le apparve e disse: “Sappi, figlia mia, che da gran tempo il mio Figliuolo avrebbe vendicato l’ingiuria che ti vien fatta. Ma questo imperatore ha una mano che lega quella del mio Figliuolo e arresta il corso della sua giustizia. Le elemosine che egli fa in abbondanza impediscono che sia punito. „ – Vedete, F. M., quanto può l’elemosina impedire a Dio di punirci, dopo che noi abbiamo meritato tante volte. S. Giovanni Elemosiniere, patriarca di Alessandria, ci racconta un fatto notevolissimo, avvenuto a lui stesso. Racconta di aver visto un giorno d’inverno, parecchi poveri che stavano riscaldandosi al sole, e contavano fra loro case dove si distribuiva l’elemosina ai poveri e quelle ove la si dava con mal garbo, o non si dava nulla. Fra le altre in discorso vennero a parlare della casa d’un ricco cattivo, che non dava quasi mai l’elemosina, e di lui dissero assai male. Quando uno di essi propose ai compagni che, se volevano scommettere con lui, egli andrebbe a chiedere l’elemosina, certo che otterrebbe qualche cosa. Gli altri risposero che erano disposti a scommettere, ma che egli poteva tenersi sicuro di essere respinto e di tornare a mani vuote; quel ricco, che non aveva mai dato nulla, non avrebbe certamente cominciato a dare ora. Messisi d’accordo fra loro, l’autore della proposta va al palazzo di quel ricco e con grande umiltà gli domanda di dargli qualche cosa nel nome di Gesù Cristo. Quel ricco si adirò talmente, che non avendo a sua portata una pietra da lanciargli contro il capo, visto il domestico che tornava dalla bottega del fornaio col cesto ricolmo di pane, accecato dal furore, ne prese uno e glielo lanciò in faccia. Il povero, per guadagnar la scommessa fatta coi compagni, andò in fretta a raccoglierlo e lo portò ad essi per far vedere che quel ricco gli aveva dato una buona elemosina. Due giorni dopo quel ricco si ammalò, ed essendo vicino a morire, gli parve in sogno di venir condotto al tribunale di Dio per esservi giudicato. Gli parve di vedere qualcuno che portasse innanzi una bilancia su cui pesare il bene e il male. Vide da una parte Iddio, dall’altra il demonio che presentava i peccati da lui commessi durante tutta la sua vita; peccati che erano numerosissimi. Il suo Angelo custode, non aveva per conto suo nulla da mettere, nessuna opera virtuosa che controbilanciasse il male. Iddio gli chiese che cosa egli presentava da mettere per conto suo. E l’Angelo, addolorato di non aver nulla, rispose: “Signore, non ho niente. „ Ma Gesù soggiunse: “E il pane che ha gettato in faccia a quel povero? Mettilo sulla bilancia e vincerà il peso de’ suoi peccati. „ Infatti, avendolo l’Angelo messo sulla bilancia, esso la fece piegare dalla parte buona. Allora l’Angelo fissandolo in volto: “Sciagurato, gli disse, senza questo pane, tu saresti piombato nell’inferno; va a far penitenza; dà ai poveri quanto potrai, diversamente sarai dannato. „ Quel ricco, svegliatosi, andò a trovare S. Giovanni l’Elemosiniere, gli raccontò la visione avuta e la storia della sua vita piangendo amaramente la sua ingratitudine verso Dio, al quale era debitore di tutto ciò che aveva, e la sua durezza verso i poveri, e ripetendo: “Ah! Padre mio, se un pane solo dato con mal garbo ad un povero, mi strappa dalle unghie del demonio, quanto posso rendermi propizio il Signore dando a Lui tutti i miei beni nella persona dei poveri!„ E arrivò a tal punto che quando per via incontrava un povero, se non aveva nulla da dargli, si spogliava dell’abito e lo permutava con quello del povero; scorrendo tutto il resto di sua vita nel piangere i propri peccati e dare ai poveri quanto possedeva. Che ne pensate ora, M. F.? Non è forse vero che voi non vi siete mai fatto un giusto concetto della grandezza dell’elemosina? – Ma quell’uomo si spinse anche più oltre. Sentite: Un giorno incontrò per via un domestico che era stato un tempo al suo servizio, e senza rispetto umano o altro riguardo: “Amico, gli disse, forse non ti ho ricompensato abbastanza delle tue fatiche: fammi un favore, conducimi in città, là mi venderai, per compensarti dell’ingiustizia che posso averti arrecato non pagandoti abbastanza. „ Il domestico lo vendette per trenta denari. Pieno di gioia di vedersi all’ultimo grado di povertà, serviva il suo padrone con incredibile gioia, ciò che fece nascere negli altri servi tale invidia, che lo disprezzavano e spesso lo battevano. Mai egli aprì bocca per lamentarsi. Il padrone accortosi del trattamento che veniva usato allo schiavo che egli amava, li rimproverò fortemente perché osavano trattarlo a quel modo. Poi chiamò a sé il ricco convertito, del quale non conosceva neppure il nome, e gli chiese chi fosse e quale la sua condizione. Il ricco gli narrò quanto gli era accaduto, e il padrone, che era l’imperatore, ne rimase commosso. Fu sì grande la sua meraviglia e la sua commozione, che si diede a piangere dirottamente; si convertì subito e passò il resto di sua vita facendo quante più elemosine poteva. – Ditemi, avete voi compreso bene il pregio dell’elemosina e quanto è meritoria per chi la fa? F. M., dell’elemosina vi ripeterò quello che si dice della divozione alla Ss. Vergine, chi la pratica con animo buono non può andare perduto. Non ci meravigliamo dunque, F. M., se questa virtù è stata comune a tutti i Santi dell’Antico e del Nuovo Testamento. So bene, o F. M., che chi ha il cuor duro, è avaro e insensibile alle miserie del suo prossimo, e troverà mille scuse per non fare elemosina. Mi direte: “Vi sono poveri buoni, e ve ne sono molti altri che non meritano si faccia loro elemosina; gli uni consumano all’osteria ciò che loro si dà, altri al giuoco o in golosità. „ — È verissimo, vi sono ben pochi poveri che facciano buon uso di ciò che ricevono dalla mano dei ricchi, questo dimostra che sono pochi i poveri buoni. Alcuni mormorano nella loro povertà, se non si dà loro tutto quello che vogliono; altri portano invidia ai ricchi, li maledicono augurando che Dio tolga ad essi tutti i loro beni, affinché imparino che cos’è la povertà. Convengo anch’io che questo è male: e sono appunto costoro che meritano il nome di poveri cattivi. Ma in proposito ho una parola da dirvi. Questi poveri che voi biasimate dicendo che sono famosi mangiatori, che non hanno misura, e che, se sono tali, non è forse senza loro colpa, questi poveri, ripeto, vi domandano l’elemosina non a nome proprio, ma in nome di Gesù Cristo. Sieno buoni o cattivi, importa poco, poiché voi date a Gesù Cristo medesimo, come vi ho ripetuto fin qui. È Gesù Cristo che vi ricompenserà. Ma, mi soggiungerete voi: “È una cattiva lingua, un vendicativo, un ingrato. „ — Tutto questo non vi riguarda affatto; avete modo di faro elemosina in nome di Gesù Cristo, col pensiero di piacere a Lui, di redimere i vostri peccati: lasciato da parte tutto il resto, voi avete a che fare con Dio; state tranquillo: le vostre elemosine non saranno senza frutto, anche se affidate alle mani di poveri cattivi che voi disprezzate. D’altra parte, quel povero che vi ha offerto motivo di scandalo, otto giorni fa, e che avete visto ubbriaco o dato allo stravizio, chi vi assicura che oggi non sia convertito e carissimo a Dio? – Volete sapere, perché andate in cerca di pretesti, per esimervi dal fare elemosina? Sentite una parolina, che riconoscerete vera, se non adesso, almeno all’ora di morte: l’avarizia ha messo radice nel vostro cuore, togliete quella pianta maledetta e non vi rincrescerà più di far elemosina, sarete contento anzi, di farla, e diventerà la vostra gioia. — “Ah! dite voi, ma se io non ho niente, nessuno mi dà nulla. „ — Nessuno vi dà nulla? Ma, e da chi viene tutto quello che possedete? Non viene dalla mano di Dio che ve lo ha dato, a preferenza di tanti altri che sono poveri e molto meno peccatori di voi? Pensate dunque a Dio …. Volete dare qualche cosa di più, date: avrete in tal guisa la bella sorte di redimere i vostri peccati facendo al tempo stesso del bene al vostro prossimo. Sapete, M. F., perché non abbiamo nulla da dare ai poveri, e perché non siamo mai contenti di quello che possediamo? Non avete di che fare elemosina, ma avete pur modo di comprar terreni. Avete sempre paura che vi manchi la terra sotto i piedi; ma aspettate di aver qualche metro di terra sul capo e sarete soddisfatto. – Non è vero, o padre di famiglia, che avete nulla da dare in elemosina; ma avete denaro per comprar terreni? Dite piuttosto che, l’andar salvi ovvero dannati non vi importa gran che; vi basta che la vostra cupidigia sia soddisfatta. Amate d’ingrandirvi, perché i ricchi sono onorati e rispettati, mentre i poveri sono disprezzati. Non è vero, o madre, che non avete nulla da dare ai poveri, ma bisogna poi provvedere ornamenti di vanità alle vostre figliuole, comprare fazzoletti di pizzo, fare portare ad esse collane a quattro file, orecchini, catenelle, vezzi? — “Ah! mi direte voi, se le lascio portare questi ornamenti non domando niente a nessuno; sono cose necessarie; non inquietatevi per questo.,, — Buona mamma, ve lo dico solo di passaggio, perché nel giorno del giudizio vi rammentiate che ve l’ho detto: non domandate nulla a nessuno, è vero; ma vi dirò che per questo non siete meno colpevole, anzi siete ugualmente colpevole che se trovaste un povero per via e gli toglieste il poco denaro che ha. — “Ah! Mi direte voi, se spendo quel denaro pei miei figli, so io quanto mi costa. „ — Ed io vi dirò ancora, sebbene non vogliate riconoscerlo: voi siete colpevole agli occhi di Dio, e questo basta per dannarvi. E se mi domandate perché, vi rispondo così: perché i vostri beni non sono che un deposito affidato da Dio alle vostre mani; tolto ciò che è necessario a voi e alla vostra famiglia, il resto è dovuto ai poveri. Quanti hanno denaro e lo tengono chiuso, mentre tanti poveri muoiono di fame! Quanti altri hanno grande abbondanza di abiti, mentre tanti sventurati soffrono il freddo! Ma, forse voi siete a servizio e non avete nulla da dare in elemosina; non possedete che il vostro stipendio? Ah! se lo voleste, potreste anche voi aver mezzo di far elemosina: lo trovate pure il denaro per trarre le fanciulle al mal fare, per andare all’osteria o al ballo. — Ma direte voi, noi siamo poveri, abbiamo appena di che vivere.„ — Ma, cari miei, se il giorno della sagra faceste meno spese, avreste qualche cosa da dare ai poveri. Quante volte siete andati a Villefranche per puro divertimento senza aver nulla da fare; o a Montmerle, o altrove. Fermiamoci qui, la verità è troppo chiara e scottante e l’andare più oltre potrebbe irritarvi. –  Ah! F. M., se i Santi avessero fatto come noi non avrebbero avuto di che fare elemosina; ma perché  sapevano quanto bisogno avevano di farla, risparmiavano quanto potevano a questo scopo e avevano sempre qualche cosa in serbo. – E poi, o F . M., non ogni carità si fa con il denaro. Potete andare a visitare un infermo, a tenergli per qualche ora compagnia, fargli qualche servizio, rifare il suo letto o apparecchiargli i rimedi, consolarlo nelle sue sofferenze, fargli una devota lettura. Tuttavia debbo rendervi questa giusta testimonianza che, generalmente, voi amate di far elemosina ai poveri e li compatite. Ma ciò che mi tocca di osservare si è che pochissimi la fanno in maniera da meritarne la ricompensa; ed eccone il perché: gli uni fanno l’elemosina ai poveri per essere stimati persone dabbene; gli altri per compassione e perché sono mossi dall’altrui miseria; altri poi perché li amano, perché son buoni, perché applaudono alla lor maniera di vivere; altri forse perché ne ricevono o almeno ne sperano qualche servizio. Ebbene, F. M., tutti coloro che nel fare elemosina non hanno che queste mire, non possiedono le condizioni richieste perché l’elemosina sia meritoria. Ve ne sono di quelli che a certi poveri, pei quali nutrono una certa genialità, darebbero quanto posseggono, mentre per gli altri hanno un cuore crudele. – Comportarsi a questo modo, o M. F., è fare quello che fanno i pagani, i quali, malgrado le loro opere buone, non andranno salvi. Ma, penserete tra voi, come deve dunque farsi l’elemosina perché sia meritoria? M. F., eccovelo in due parole; ascoltatemi attentamente: dobbiamo avere in mira in tutto ciò che facciamo di bene a vantaggio del nostro prossimo, di piacere a Dio che ce lo comanda, e di salvare le nostre anime. Ogni volta che la vostra elemosina non è accompagnata da queste pie intenzioni, l’opera buona che fate è perduta pel cielo. Questa è la ragione che ci spiega perché pochissime opere buone ci accompagneranno dinanzi al tribunale di Dio; perché, cioè, le facciamo con spirito puramente umano. Amiamo di essere ringraziati e che si parli di quel che abbiam fatto, che ci si ricambi con qualche servizio, e ne parliamo volentieri anche noi per far vedere che siamo persone caritatevoli. Poi abbiamo delle preferenze; ad alcuni diamo senza misura, ai invece e non vogliamo dar nulla; anzi li disprezziamo. – Badiamo bene, o M. F., quando non vogliamo o non possiamo soccorrere i poveri, badiamo bene di non disprezzarli, perché sprezzeremmo Gesù Cristo medesimo. Quel poco che diamo, diamolo con buon cuore, colla intenzione di piacere a Dio e di redimere i nostri peccati. Chi possiede schietta carità non ha preferenze; dà ai nemici come agli amici, a tutti egualmente, colla stessa ilarità e con la stessa sollecitudine. Se fosse il caso di fare qualche preferenza, si dovrebbe piuttosto fare elemosina a quelli che ci hanno fatto qualche dispiacere. Così faceva S. Francesco di Sales. – Vi sono alcuni che se hanno fatto del bene ad una persona e poi questa ha recato loro malcontento, le rinfacciano subito i servigi che le hanno reso. Sbagliate facendo così e perdete tutto il merito della vostra opera buona. Ma, e non ricordate che quella persona vi aveva chiesto aiuto in nome di Gesù Cristo e che voi glielo avete dato per piacere a Dio e redimere i vostri peccati? Il povero è strumento di cui Dio si serve per farvi quel bene, e null’altro. Anche questa è insidia che il demonio vi tende, e tende a un gran numero d’anime: farci tornare alla mente le nostre opere buone per farci compiacere vanamente in esse, e perdere così tutto il merito. Quando il demonio ce le mette dinanzi alla memoria, bisogna rigettarne subito il ricordo come un cattivo pensiero. Che cosa dobbiamo concludere da tutto questo, o F. M.? Ecco: che l’elemosina ha sì gran pregio agli occhi di Dio ed è così efficace per attirare le misericordie divine, da sembrare quasi che ci dia sicurezza di salute. Bisogna fare elemosina, quanto possiamo, finché viviamo su questa terra; saremo sempre abbastanza ricchi se riusciremo a piacere a Dio e a salvare la nostra anima. Ma bisogna farla con intenzioni interamente pure; cioè tutto per Iddio e niente pel mondo. Saremo pur fortunati se avremo la buona sorte, che, tutte le elemosine da noi fatte quaggiù, ci accompagnino dinanzi al tribunale di Gesù Cristo per aiutarci a guadagnare il paradiso. Questa felicità io vi desidero.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (18)

Ascensione dei testimoni e terremoto.

LIBRO DODICESIMO

COMINCIA IL LIBRO DODICESIMO SUL GIORNO DEL GIUDIZIO E LA CITTÀ DI GERUSALEMME, CIOÈ LA CHIESA

(Ap. XX, 11-15)

Et vidi thronum magnum candidum, et sedentem super eum, a cujus conspectu fugit terra, et cœlum, et locus non est inventus eis. Et vidi mortuos, magnos et pusillos, stantes in conspectu throni, et libri aperti sunt: et alius liber apertus est, qui est vitæ: et judicati sunt mortui ex his, quæ scripta erant in libris, secundum opera ipsorum: et dedit mare mortuos, qui in eo erant: et mors et infernus dederunt mortuos suos, qui in ipsis erant: et judicatum est de singulis secundum opera ipsorum. Et infernus et mors missi sunt in stagnum ignis. Hæc est mors secunda. Et qui non inventus est in libro vitæ scriptus, missus est in stagnum ignis.

(E vidi un gran trono candido, e uno che sopra di esso sedeva, dalla vista del quale fuggirono la terra e il cielo e non fu più trovato luogo per loro. E vidi i morti grandi e piccali stare davanti al trono; e si aprirono i libri: e fu aperto un altro libro che è quello della vita: e i morti furono giudicati sopra quello che era scritto nei libri secondo le opere loro. E il mare rendette i morti che riteneva dentro di sé: e la morte e l’inferno rendettero i morti che avevano: e si fece giudizio di ciascuno secondo quello che avevano operato. E l’inferno e la morte furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte. E chi non si trovò scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco.).

SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA

[1] Si ricapitola, per dire ancora del giudizio. Poi vidi un grande trono, bianco e splendente, e colui che vi sedeva sopra. Il cielo e la terra sono fuggiti dalla sua presenza senza lasciare traccia. E vidi i morti, piccoli e grandi, in piedi davanti al trono; e si aprirono alcuni libri, e poi si aprì un altro libro, che è il libro della vita. Il trono è l’immagine del giudizio; il bianco è la giustizia; e nel Giudice che siede sul trono, si riconosce nostro Signore Gesù Cristo, dalla cui presenza la terra e il cielo fuggono. Nemmeno gli elementi possono resistere ad un giudizio di così grande maestà. E per loro non è stato trovato posto (non se ne trova traccia): infatti nessuno ha trovato posto davanti a Dio, essendo considerato un nulla ed un vuoto. Così manifestata la forma del giudizio, e stabilita la categoria del giudice, si dice che appunto viene eseguito il giudizio: e io vidi i morti, piccoli e grandi, stare davanti al trono; e furono aperti alcuni libri. Qual è il libro che si apre davanti a Dio, se non quello in cui, per il potere del Giudice, vi si rendano manifeste le opere di ogni uomo? Questi libri ora sono i Testamenti di Dio, cioè la Legge ed il Vangelo: ed in relazione ad entrambi sarà giudicata la Chiesa. Guai! guai a coloro che ora non vogliono esaminare i libri! Coloro che qui stupidamente disprezzano ciò che si sta per realizzare attraverso di essi in futuro, saranno giudicati lì da questi libri con maggiore rigore. Ma i Santi, coloro che hanno deciso di vivere in questo mondo in conformità a questi due Testamenti, non ne avranno bisogno nel giudizio, perché quando saranno con Cristo la Scrittura cesserà; coloro che ora li interpretano male sono anch’essi giudicati dalla stessa Scrittura. E poi è stato aperto un altro libro, che è il libro della vita. Il libro della vita, la vita, è nostro Signore Gesù Cristo. Poi sarà aperto e reso manifesto a tutte le creature, quando Egli ricompenserà ciascuno secondo le sue opere. E i morti furono giudicati sopra quello che era scritto nei libri secondo le opere loro; cioè venivano giudicati secondo la Legge ed il Vangelo, secondo ciò che avevano o non avevano fatto. « Una parola ha detto Dio, due ne ho udite » (Sal LXI, 12). Egli manifesta più chiaramente queste due cose quando dice: « … il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni » (Salmo XXI,  29). Davide udiva del regno; Giovanni ha visto il libro. Davide ascolta due cose; Giovanni contempla due libri; e del contenuto dei due dice Davide: la potenza è di Dio, e la misericordia è tua, Signore (Psal. LXI, 13). La potenza sta nel giudizio e la misericordia nella ricompensa. Giovanni dice: e i morti sono stati giudicati, come è scritto nei libri, secondo le loro opere. Dice Davide: “Perché tu ricompensi ogni uomo secondo le sue opere” (Psal. LXI, 13). Pensate e considerate con saggezza ognuna di queste espressioni così simili, qual identità ha San Giovanni con la verità! Il mare ha restituito i morti che ha conservato. Il mare in senso spirituale, è da intendersi come questo mondo. Gli uomini che Cristo trova vivi in questo mondo al momento del giudizio, sono i morti del mare. Oppure possiamo anche intendere il mare in senso letterale, che nel giorno del giudizio restituirà coloro che siano ivi morti annegati. E la morte e l’inferno hanno restituito i loro morti. Questi sono gli uomini sepolti, che poi in un attimo, in un batter d’occhio, si leveranno dalla polvere con la stessa carne che avevano in questo mondo. Affinché nessuno possa dire che quelli che sono annegati nel mare e sepolti nelle acque, quelli divorati dal fuoco, coloro che sono bruciati, non possano risorgere, si dice che il mare ha restituito i suoi morti. E poiché nessuno sarà dispensato dal giudizio di Dio, ha aggiunto: Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte: lo stagno di fuoco. E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco.

TERMINA

INIZIA LA STORIA DELLA CITTÀ DI GERUSALEMME, CON CUI TERMINA IL LIBRO DODICESIMO

(Ap. XXI, 1-27)

Et vidi cælum novum et terram novam. Primum enim cælum, et prima terra abiit, et mare jam non est. Et ego Joannes vidi sanctam civitatem Jerusalem novam descendentem de cælo a Deo, paratam sicut sponsam ornatam viro suo. Et audivi vocem magnam de throno dicentem: Ecce tabernaculum Dei cum hominibus, et habitabit cum eis. Et ipsi populus ejus erunt, et ipse Deus cum eis erit eorum Deus: et absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum: et mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra, quia prima abierunt. Et dixit qui sedebat in throno: Ecce nova facio omnia. Et dixit mihi: Scribe, quia hæc verba fidelissima sunt, et vera. Et dixit mihi: Factum est: ego sum alpha et omega, initium et finis. Ego sitienti dabo de fonte aquæ vitæ, gratis. Qui vicerit, possidebit haec : et ero illi Deus, et ille erit mihi filius. Timidis autem, et incredulis, et execratis, et homicidis, et fornicatoribus, et veneficis, et idolatris, et omnibus mendacibus, pars illorum erit in stagno ardenti igne et sulphure: quod est mors secunda. Et venit unus de septem angelis habentibus phialas plenas septem plagis novissimis, et locutus est mecum, dicens: Veni, et ostendam tibi sponsam, uxorem Agni. Et sustulit me in spiritu in montem magnum et altum, et ostendit mihi civitatem sanctam Jerusalem descendentem de caelo a Deo,  habentem claritatem Dei: et lumen ejus simile lapidi pretioso tamquam lapidi jaspidis, sicut crystallum. Et habebat murum magnum, et altum, habentem portas duodecim: et in portis angelos duodecim, et nomina inscripta, quae sunt nomina duodecim tribuum filiorum Israel: ab oriente portæ tres, et ab aquilone portæ tres, et ab austro portæ tres, et ab occasu portæ tres. Et murus civitatis habens fundamenta duodecim, et in ipsis duodecim nomina duodecim apostolorum Agni. Et qui loquebatur mecum, habebat mensuram arundineam auream, ut metiretur civitatem, et portas ejus, et murum. Et civitas in quadro posita est, et longitudo ejus tanta est quanta et latitudo: et mensus est civitatem de arundine aurea per stadia duodecim millia: et longitudo, et altitudo, et latitudo ejus aequalia sunt. Et mensus est murum ejus centem quadraginta quatuor cubitorum, mensura hominis, quae est angeli. Et erat structura muri ejus ex lapide jaspide: ipsa vero civitas aurum mundum simile vitro mundo. Et fundamenta muri civitatis omni lapide pretioso ornata. Fundamentum primum, jaspis: secundum, sapphirus: tertium, calcedonius: quartum, smaragdus: quintum, sardonyx: sextum, sardius: septimum, chrysolithus: octavum, beryllus: nonum, topazius: decimum, chrysoprasus: undecimum, hyacinthus: duodecimum, amethystus. Et duodecim portæ, duodecim margaritæ sunt, per singulas: et singulæ portæ erant ex singulis margaritis: et platea civitatis aurum mundum, tamquam vitrum perlucidum. Et templum non vidi in ea: Dominus enim Deus omnipotens templum illius est, et Agnus. Et civitas non eget sole neque luna ut luceant in ea, nam claritas Dei illuminavit eam, et lucerna ejus est Agnus. Et ambulabunt gentes in lumine ejusæ: et reges terræ afferent gloriam suam et honorem in illam. Et portæ ejus non claudentur per diem: nox enim non erit illic. Et afferent gloriam et honorem gentium in illam. Non intrabit in eam aliquod coinquinatum, aut abominationem faciens et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitæ Agni.

(Ap. XXII, 1-5)

Et ostendit mihi fluvium aquæ vitæ, splendidum tamquam crystallum, procedentem de sede Dei et Agni. In medio plateæ ejus, et ex utraque parte fluminis, lignum vitæ, afferens fructus duodecim per menses singulos, reddens fructum suum et folia ligni ad sanitatem gentium. Et omne maledictum non erit amplius: sed sedes Dei et Agni in illa erunt, et servi ejus servient illi. Et videbunt faciem ejus: et nomen ejus in frontibus eorum. Et nox ultra non erit: et non egebunt lumine lucernæ, neque lumine solis, quoniam Dominus Deus illuminabit illos, et regnabunt in sæcula sæculorum.

(E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Poiché il primo cielo e la prima terra passarono, e il mare non è più. Ed io Giovanni vidi la città santa, la nuova Gerusalemme che scendeva dal cielo d’appresso Dio, messa in ordine, come una sposa abbigliata per il suo sposo. E udii una gran voce dal trono che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, e abiterà con loro. Ed essi saranno suo popolo, e lo stesso Dio sarà con essi Dio loro: e Dio asciugherà dagli occhi loro ogni lagrima: e non vi sarà più morte, né lutto, né strida, né vi sarà più dolore, perché le prime cose sono passate. E colui che sedeva sul trono disse: Ecco che io rinnovello tutte le cose. E disse a me: Scrivi, poiché queste parole sono degnissime di fede e veraci. E disse a me: È fatto. Io sono l’alfa e l’omega: il principio e il fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fontana dell’acqua della vita. Chi sarà vincitore, sarà padrone di queste cose, e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figliuolo. Pei paurosi poi, e per gl’increduli, e gli esecrandi; e gli omicidi, e i fornicatori, e i venefici, e gli idolatri, e per tutti i mentitori, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e dì zolfo : che è la seconda morte. E venne uno dei sette Angeli che avevano sette coppe piene delle sette ultime piaghe, e parlò con me, e mi disse: Vieni, e ti farò vedere la sposa, consorte dell’Agnello. E mi portò in ispirito sopra un monte grande e sublime, e mi fece vedere la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo dappresso Dio, la quale aveva la chiarezza di Dio: e la luce di lei era simile a una pietra preziosa, come a una pietra di diaspro, come il cristallo. Ed aveva un muro grande ed alto che aveva dodici porte: e alle porte dodici Angeli, e scritti sopra i nomi, che sono i nomi delle dodici tribù di Israele. A oriente tre porte: a settentrione tre porte: a mezzogiorno tre porte: e a occidente tre porte. E il muro della città aveva dodici fondamenti, ed in essi i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello. E colui che parlava con me aveva una canna d’oro da misurare, per prendere le misure della città e delle porte e del muro. E la città è quadrangolare, e la sua lunghezza è uguale alla larghezza: e misurò la città colla canna d’oro in dodici mila stadi: e la lunghezza e l’altezza e la larghezza di essa sono uguali. E misurò il muro di essa in cento quarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, qual è quella dell’Angelo. E il suo muro era costrutto di pietra di diaspro: la città stessa poi (era) oro puro simile a vetro puro. E i fondamenti delle mura della città (erano) ornati di ogni sorta di pietre preziose. Il primo fondamento, il diaspro: il secondo, lo zaffiro: il terzo, il calcedonio: il quarto, lo smeraldo: il quinto, il sardonico: il sesto, il sardio: il settimo, il crisolito: l’ottavo, il berillo: il nono, il topazio: il decimo, il crisopraso: l’undecimo, il giacinto: il duodecimo, l’ametisto. E le dodici porte erano dodici perle: e ciascuna porta era d’una perla: e la piazza della città oro puro, come vetro trasparente. E non vidi in essa alcun tempio. Poiché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello è il suo tempio. E la città non ha bisogno di sole, né dì luna che risplendano in essa: poiché lo splendore di Dio la illumina, e sua lampada è l’Agnello. E le genti cammineranno alla luce di essa: e i re della terra porteranno a lei la loro gloria e l’onore. E le sue porte non si chiuderanno di giorno: perché ivi non sarà notte. E a lei sarà portata la gloria e l’onore delle genti. Non entrerà in essa nulla d’immondo, o chi commette abbominazione o menzogna, ma bensì coloro che sono descritti nel libro della vita dell’Agnello.

(Apoc. XXII, 1-5)

E mi mostrò un fiume di acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. Nel mezzo della sua piazza, e da ambe le parti del fiume l’albero della vita che porta dodici frutti, dando mese per mese il suo frutto, e le foglie dell’albero (sono) per medicina delle nazioni. Né vi sarà più maledizione: ma la sede di Dio e dell’Agnello sarà in essa, e i suoi servi lo serviranno. E vedranno la sua faccia: e il suo nome sulle loro fronti. Non vi sarà più notte: né avranno più bisogno di lume di lucerna, né di lume di sole, perché il Signore Dio li illuminerà, e regneranno pei secoli dei secoli.)

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA.

[2] In questa Gerusalemme ci si riferisce alla Chiesa, e ricapitola dalla passione di Cristo fino al giorno in cui essa risorge e viene incoronata nella gloria insieme con Cristo. Mescola i due tempi, il presente ed il futuro; dichiara con maggiore ampiezza con quale gloria sia stata accolta da Cristo e come sia lontana da tutte le devastazioni dei malvagi. Ricapitola dalle origini, dicendo: poi ho visto un cielo nuovo ed una nuova terra. Perché il primo cielo e la prima terra erano spariti, e il mare non esisteva. Che questo sia così, lo sappiamo, come è scritto, dalla testimonianza di Isaia che parla per bocca di Dio dicendo: « Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare » (Is. LXV: 17). Il nuovo cielo è la Chiesa: perché da quando Cristo ha assunto la carne ha creato il nuovo cielo e la nuova terra. Per cielo intendiamo lo spirito e per terra la carne. « il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne uno spirito datore di vita » (1 Cor. XV, 45). Quando il suo tempo fu compiuto, salì sulla croce e morì per la salvezza del mondo intero. E seguendo il suo esempio, la Chiesa si rinnova di giorno in giorno nella conoscenza della verità; perché questo rinnovamento del mondo presente risplenderà nel giorno del giudizio, quando nella carne, in cui essa soffre, si rinnoverà non nella tempesta del mare di questo mondo, ma nella gloria, secondo dice: e io vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da Dio, adornata come una sposa adornata per il suo sposo. La Gerusalemme celeste è la moltitudine dei Santi, che si dice venga con il Signore. Come dice Zaccaria: « Verrà allora il Signore mio Dio e con lui tutti i suoi santi » (Zc. XIV, 5). Questi e coloro che abitano con Lui preparano una dimora pura per Dio: come una sposa adornata per il suo sposo, così cammineranno in santità e giustizia, si fidanzeranno con il loro Signore e rimarranno con Lui per sempre. E ho sentito una voce forte dal trono che diceva: Tu sei la dimora di Dio con gli uomini. Egli dimorerà in mezzo a loro, ed essi saranno il suo popolo, ed Egli, Dio con loro, sarà il loro Dio. Ed Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, non ci sarà più pianto, né grida, né lutto, né dolore, perché il vecchio mondo è passato. Tutto questo deve essere inteso nel senso spirituale. Perché già qui si vive la vita del cielo, non quella del mondo attuale, infatti questi cieli non sono separati da quelli che stanno sopra, come sta scritto: Noi siamo cittadini del cielo – nostra conversatio in cælis – dal quale attendiamo il Signore nostro Gesù Cristo (Fil. III, 20). Il Signore stesso ha testimoniato che la moltitudine dei Santi è il Suo santuario e che Egli dimorerà con loro per sempre, che Egli è il loro Signore ed essi il suo popolo. Egli stesso asciugherà ogni pianto, ogni lacrima, dagli occhi di coloro che ricompensa con eterne gioie, e li farà risplendere di felicità eterna. Allora Colui che sedeva sul trono dice: Vedi, sto creando un mondo nuovo. Questo è ciò che dice l’Apostolo: « in Cristo siamo una nuova creazione (2 Cor. V, 17). Anche per il futuro la promessa è fatta ai Santi dell’Altissimo, che stanno per essere rinnovati in tutto e per brillare in tutto lo splendore. Per questo l’Apostolo dice anche: i morti risusciteranno incorruttibili (1 Cor. XV, 52) e i Santi saranno trasformati nella gloria. Ed ha aggiunto: Scrivi: queste sono parole vere e certe. Mi disse anche: È fatto: io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine; a chi ha sete darò gratuitamente l’acqua della vita … a chi desidera il perdono dei peccati, attraverso il fonte battesimale. Non si riferisce semplicemente all’acqua, che non può agire senza lo Spirito Santo; infatti anche lo Spirito Santo è chiamato nel Vangelo con il nome di acqua, come il Signore proclama dicendo: Se qualcuno ha sete, venga da me e beva. A colui che rimane in me, fiumi d’acqua viva scorreranno dal suo cuore. L’evangelista ha manifestato questo, quando ha poi continuato: « … questo Egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in Lui » (Gv. VII, 37). Perché una cosa è l’acqua del Sacramento visibile e altra è lo Spirito Santo invisibile. Essa lava il corpo, ed è segno di ciò che si fa nell’anima; ma è per mezzo dello Spirito Santo che l’anima è purificata e sigillata. Lo Spirito Santo, secondo la funzione per cui ci viene inviato, riceve molti nomi. Si chiama Spirito Santo perché siamo ispirati da qualcosa, o dal timore di Dio o dall’interpretazione delle Scritture. Lo si chiama anche Angelo perché ci ispira un messaggio. Si chiama Paraclito, perché ci consola nella nostra tribolazione. La parola greca “paraclito” significa in latino “consolazione”. Altri traducono la parola greca “paraclito” in latino con “oratore” e “sostenitore”. Lo Spirito Santo è chiamato “dono”, perché è dato a ciascuno di noi secondo le proprie capacità. Lo Spirito Santo è chiamato Carità, perché ci unisce nell’unità. Lo Spirito Santo è chiamato Colomba, perché ci rende semplici. Lo Spirito Santo è chiamato fuoco, perché ci rende ferventi nell’unità. Lo Spirito Santo è chiamato unzione, perché ci istruisce per la predicazione ed è un’unzione invisibile in noi. Lo Spirito Santo è chiamato il dito di Dio, perché scrive sulle tavole del nostro cuore le parole della sua legge, o per indicare il suo potere di operare con il Padre e il Figlio. Per questo Paolo dice: « Tutte queste cose sono fatte da un solo Spirito, che le dà a ciascuno secondo la sua volontà » (1 Cor. XII, 11). Per questo è chiamato “Settiforme“, per quei doni che quelli che ne sono degni meritano di ottenere: in particolare, la pienezza della divinità. E poiché lo spirito non è un corpo, e senza dubbio esiste, l’unica cosa che resta è che sia spirito. Come moriamo e risorgiamo con il Battesimo, così siamo suggellati con lo Spirito, che è il dito di Dio ed il sigillo spirituale. Di questi dice: questa sarà l’eredità del vincitore: Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio. Ma per i vili e gl’increduli, gli abietti e gli omicidi, gl’immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte. – Poi venne uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene delle sette ultime piaghe. Ha detto che le coppe erano piene come già sopra, nel nono libro, e che erano state versate tutte e sette; così se leggendo qui non lo si comprende, lo si capisce colà molto chiaramente. Pertanto, è chiaro che questo dodicesimo libro, come abbiamo detto sopra, è una ricapitolazione della passione di Cristo. E mi parlò dicendo: “Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello“. Mi trasportò in spirito su una grande ed alta montagna. La montagna alta e grande si riferisce a Cristo, come testimonia il profeta: « In quel giorno, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli » (Is. II, 2), cioè sugli Apostoli, perché anche loro sono chiamati monti. E quel giorno – che dice – è quello che va dalla passione di Cristo fino alla sua seconda venuta; e questo giorno si riferisce al sesto giorno, perché in sei giorni fu creato il mondo, ed indica così, con i sei giorni, i seimila anni. E in questo giorno del sesto millennio si è detto che chi resta vincitore fino alla fine, mediante il Battesimo e la penitenza, è chiamato figlio di Dio, e che il fuoco eterno è preparato per coloro che hanno operato il male; questo fuoco è la seconda morte. Si promette di nuovo il castigo ai malvagi, per le loro opere malvagie. Allora l’Angelo dice: Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello. Mi ha portato in spirito su di un monte alto. È come se dicesse: io, il servo di Dio, che ora sono nella Chiesa, sono stato trasformato in un essere spirituale ed immerso nella contemplazione, grazie a Dio che mi ha innalzato. E mi mostrò la città santa di Gerusalemme, che scendeva dal cielo da Dio. Questa è la Chiesa, la città sulla montagna, la sposa dell’Agnello, perché non è la Chiesa una cosa ed altra è la città; è una sola e medesima quella che scende dal cielo con la penitenza da vicino a Dio, perché, imitando il Figlio di Dio nella penitenza, si dice che scenda per la sua umiltà. Così il Figlio di Dio è sceso dal cielo e, « pur essendo di natura divina … umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte. » (Fil. II, 6). La discesa del Figlio di Dio è la sua incarnazione. Questa città pure scende ogni giorno da Dio, imitando Dio, cioè seguendo le orme di Cristo, il Figlio di Dio; questa città è chiamata la sposa dell’Agnello. È chiaro perciò che questa è la Chiesa che descrive così dicendo: la gloria di Dio. Il suo splendore era come quello di una pietra preziosa, come diaspro cristallino. La pietra preziosissima è Cristo. Essa aveva una muraglia grande ed elevata. Dobbiamo sapere, in larga misura, che ogni anima è tanto più preziosa agli occhi di Dio, quanto per amore della Verità di Dio è più spregevole ai suoi propri occhi. Per questo si dice a Saul: « Non sei tu capo delle tribù d’Israele, benché piccolo ai tuoi stessi occhi? » (1 Re XV: 17). Come se avesse detto chiaramente: sei stato grande per me, benché fossi spregevole anche a te stesso. Ora, invece, quanto più sei grande a te stesso, maggiormente sei a me spregevole. Perciò il profeta dice: « Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti » (Is. V, 21).  Tanto  più si è spregevole agli occhi di Dio, quanto più ci si stima da se stesso; e si è tanto più stimato da Dio, quanto più si è spregevole agli occhi propri, … guarda verso l’umile ma al superbo volge lo sguardo da lontano (Psal. CXXXVII, 6). Questa muraglia sarà grande ed elevata, mentre ora è spregevole ai suoi occhi. La radiosità di Dio è contemplare tutte le cose. Come dice a Natanaele: « Ti ho visto sotto un fico » (Gv. 1, 48), cioè ti ho scelto dall’ombra della Legge. Ha visto una pietra preziosa, perciò ha scelto l’umiltà. Dio ha scelto ciò che è spregevole nel mondo per confondere i forti (1 Cor. I, 27). Dio vedeva una pietra preziosissima quando vedeva un’anima umana da sé stessa disprezzata, e saggia quando illuminata della sua grazia. Di questa anima si dice per mezzo del profeta: « se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarai come la mia bocca. » (Ger. XV,19). – Vile è il mondo presente per Dio; mentre è preziosa per Lui l’anima umana. Colui che sa far emergere la preziosità del vile è detto essere la bocca di Dio, perché attraverso di lui Dio manifesta le sue parole, così da poter certamente strappare l’anima umana dall’amore del mondo presente, e poi perché i dottori del Nuovo Testamento sono stati guidati al punto da poter scrutare quelle cose nascoste nelle tenebre delle allegorie dell’Antico Testamento. Per questo si aggiunge giustamente: che aveva dodici porte, e sulle porte v’erano dodici angeli e nomi scritti, che sono quelli delle dodici tribù di Israele. Sopra ha detto: “Il suo splendore è come quello di una pietra molto preziosa, come cristallina. E qui dice che aveva dodici porte: e nei Profeti leggiamo della stessa città: « Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. » (Is. LX, 19). Il suo splendore è come quello di una pietra preziosa, come il diaspro cristallino. Infatti, come in quella pietra c’è uno splendore che non riceve la luce dall’esterno, ma brilla di una chiarezza naturale, così si descrive che quella città non riceve luce da alcuno splendere di luminare, ma riceve lo splendore in modo invisibile dalla sola luce di Dio. Per « candore del cristallo » si intende lo splendore della grazia del Battesimo. E aveva una muraglia grande ed elevata. Dice anche Zaccaria: « Io stesso – parola del Signore – le farò da muro di fuoco all’intorno » (Zac. II, 9). Cosa c’è di così grande ed elevato e di cui il Signore della Maestà è il guardiano, della città santa circondata dalla protezione della Sua presenza? E allora dice: che aveva dodici porte, e sulle porte dodici angeli e nomi scritti, che sono quelli delle dodici tribù dei figli d’Israele; nel Vangelo leggiamo che il Signore afferma di sé stesso: « Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, entrerà e troverà pascolo. » (Gv. X, 9). Pertanto, la porta è Cristo. Le dodici porte e le dodici tribù di Israele sono i dodici Apostoli ed i dodici Profeti: che poi è la Chiesa costituita e consolidata nel numero dodici. E queste dodici porte conducono ad una porta più grande, che è Cristo. Pertanto, la porta è Cristo. I padri della nostra fede, cioè gli Apostoli, non sono la porta, ma i nomi scritti sulle porte; cioè, essi si leggono sulle porte per insegnarci che il Signore Gesù Cristo è stato per tutti i Santi la porta della verità; per significare che tutto il coro dei Patriarchi è rimasto nella fede di nostro Signore Gesù Cristo. I dodici angoli delle porte, e le dodici porte, e le dodici fondamenta, sulle quali si dice che siano incisi i nomi degli Apostoli dell’Agnello, sommandosi fanno trenta sei: ed è certo che per quelle stesse ore il Signore nostro, dopo la sua passione, fu deposto nel sepolcro: per dimostrare così che noi credessimo che la moltitudine dei padri anteriori, i Profeti, ed il successivo corteo degli Apostoli, siano giunti alla salvezza per mezzo dell’unica fede e passione del Signore, e che siano giunti alla conoscenza del Signore onnipotente per mezzo dell’unica entrata e la fede di Cristo, che è la porta. Si dice così che i dodici Apostoli sono inscritti in dodici fondamenti, di cui Cristo è il fondamento, come dice S. Paolo: « Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. » (1 Cor. III, 11). Ed Egli stesso è in ognuno di loro, e ognuno di loro ha il suo fondamento in Lui. Infatti il Signore dice: « Tu sei Pietro e su questa roccia edificherò la mia Chiesa » (Mt. XVI, 18). Ed è scritto nelle parole del beato Paolo che la pietra era Cristo (1 Cor. X, 4). Pietro, dunque, fu colui al quale il Signore disse: su questa roccia edificherò la mia Chiesa, cioè sulla fede nell’incarnazione, passione e risurrezione del Signore. E il fatto che la città sia un quadrato indica che la Chiesa, nell’ordine dei quattro Evangelisti, è costruita sull’incarnazione del Signore nelle quattro parti del mondo, come Egli ha detto: tre porte ad Oriente, tre porte al Nord, tre porte a Mezzogiorno, tre porte a sud, tre porte ad Occidente. Le mura della città poggiano su dodici fondamenta, e su di esse i nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello. E siccome tre volte quattro fa dodici, danno il senso che le quattro parti del mondo hanno ricevuto il mistero della Trinità. E con il dire tre volte dodici: le dodici porte, i dodici angoli e i dodici nomi incisi, si riferisce ai trentasei padri, cioè: i dodici Patriarchi figli di Giacobbe, i dodici Profeti ed i dodici Apostoli. Ed insegna che da tutte le parti del mondo, per mezzo della fede nella Legge e nel Vangelo, sono confluiti i nomi scritti dei Patriarchi, dei Profeti e degli Apostoli. Chi mi ha parlato aveva una canna di misurazione d’oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura.  La città è un quadrato. Nella canna d’oro  si rappresentano gli uomini e la Chiesa, che è certamente fragile, ma d’oro. Nella canna rappresentiamo la fragilità umana e nell’oro la saggezza; ammiriamo quella stessa fragilità, come dice l’Apostolo: « portiamo tesori nei vasi di argilla » (2 Cor. IV, 7). La misura della Chiesa descritta, deve essere intesa spiritualmente in tutti i Santi; e come abbiamo detto che il Signore era un muro di fuoco all’intorno, così nella canna d’oro diciamo che c’è la fede dell’incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo, il quale, assumendo la carne della umana fragilità, è diventato per noi un modello di salvezza. E il suo corpo, per purezza ed impeccabilità, è rimasto il più brillante di tutti i metalli: era uomo, ma non c’è stato uomo come Lui tra i figli degli uomini; solo Lui è colui dal quale si riconosce la misura della fede, l’integrità della città santa, la misura delle porte e l’altezza delle mura. E la città è un quadrato, cioè persiste nella fede quadriforme degli Evangelisti. – Si dice che abbia la stessa larghezza dell’altezza, affinché si sappia che nella loro fede nulla è sproporzionato, nulla vi è di eccessivo né di diminuito. La sua lunghezza è pari alla sua larghezza. E ha misurato la città, ed misurava dodici stadi. La sua lunghezza e la sua larghezza sono uguali. Il numero dodici è stato moltiplicato per dieci, ed ecco così le centoventi anime sulle quali, raccolte in una sala, si legge che lo Spirito Santo sia disceso sotto forma di lingue di fuoco. Aggiungendo a questo numero i ventiquattro vegliardi, si arriva a centoquarantaquattro; e se si vuol leggere e discutere di questo numero, lo si troverà per intero nel quarto libro. Con questo numero, che sappiamo essere il corpo di Cristo, ha misurato, dice, la città che era di dodici stadi. La fede di Cristo e l’integrità del popolo santo sono conosciute e messe in opera da questi dodici stadi, e cioè dalla dottrina degli Apostoli e dalla fede dei Patriarchi e Profeti; e questi si dicono Chiesa, misurata con la canna d’oro, e sono da imitare con la fede e le opere; infatti, quest’ultima non serve a nulla se non è accompagnata dalle opere. Chi dice di rimanere nella fede e non la mette in pratica, imita il comportamento dei demoni; e chi opera senza fede, se non aggiunge fede alle sue opere, opera invano e senza ragione. Quindi dice: la lunghezza e la larghezza erano identiche, tutto uguale. Nulla di superfluo, nulla che venga da fuori si trova nei Santi; nulla di meno si trova in essi. E quello che dice dei dodici stadi, che totalizzano mille passi, e dei cinque stadi (*), vediamo nella comprensione spirituale quel che di occulto contenga questo numero.

(*) La fonte di questo testo è Apringius. Egli divide i dodici stadi in due blocchi: sette stadi = mille passi, per parlare dei sette doni dello Spirito Santo; e cinque stadi, dei quali si parlerà più avanti).

Leggiamo nei Salmi della legge del Signore: « parola data per mille generazioni » (Psal. CIV, 8).;- Chiunque faccia il calcolo deve tenere conto di questo numero. Perché in questo computo è contenuta la pienezza di ogni numero, onde insegnarci che la pienezza di tutti i Santi è resa solida dalla fede dello Spirito Santo settiforme. E questa forma è contenuta nelle virtù, non nella specie. Esso infatti è chiamato Spirito di sapienza e di intelletto, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza, di pietà, Spirito del timore del Signore (Is. XI, 2). E di questo settiforme Spirito il Profeta ha numerato i doni in successione come discendenti dal cielo piuttosto che in senso ascendente, e così dalla Sapienza è sceso fino al timor di Dio; e siccome è scritto che l’inizio della sapienza è il timore di Dio (Psal. CXI,10), è chiaro che dal Timore si sale fino alla Sapienza; mentre dalla Sapienza non si torna al Timore. Infatti la vera Sapienza contiene la carità perfetta per cui è scritto: « l’amore perfetto discaccia il timore » (1 Gv. IV,18). Per questo il Profeta che considerava dal celestiale al terreno, inizia dalla Sapienza e scende fino al Timore. Ma noi, che procediamo dal terrestre al celeste, numeriamo gli stessi gradi in senso ascendente, in modo che dal Timore si possa giungere alla Sapienza. Infatti nella nostra anima il primo passo dell’ascesa è il Timore di Dio; il secondo è la Pietà; il terzo è la Scienza; il quarto la Fortezza; il quinto il Consiglio; il sesto l’Intelletto; il settimo la Sapienza. Ed infatti se c’è il Timore di Dio nell’anima, che tipo di Timore del Signore è, se con esso non c’è Pietà? Chi ignora la pietà per il prossimo, o finge di compatire il suo prossimo, rende il suo timore nullo agli occhi di Dio onnipotente, perché non si eleva alla pietà. Spesso la pietà cade nell’errore perché è una misericordia disordinata, e così forse perdona per pigrizia ciò che non dovrebbe perdonare. Infatti i peccati che possono essere puniti con il fuoco dell’inferno, devono essere corretti col flagello della penitenza. Infatti la pietà disordinata, non producendo perdono nella vita temporale, conduce al fuoco eterno. Quindi, perché la pietà sia verace ed ordinata, deve essere innalzata ad un altro livello, cioè alla Scienza, per sapere cosa debba essere corretto e castigato mediante la giustizia, e cosa debba essere perdonato con la misericordia. E se qualcuno sa ciò che tal altro debba fare, e non ha il coraggio di agire, nulla gli giova. E così è necessario che la nostra Scienza sia innalzata alla Fortezza, affinché, quando si sa cosa fare, si possa operare con la forza della propria anima senza tremare di paura e, presi dal timore, non si sia capaci di difendere il bene che si conosce. Ma spesso la Fortezza, se è imprudente e non cautelata contro i vizi, per via di presunzione, fa cadere nel pericolo. Occorre, giungere così, al Consiglio, affinché, con longanimità si prevenga con calma tutto ciò che si può fare con coraggio. Ma non ci può essere Consiglio se non c’è comprensione: perché colui che non conosce il male, che è un peso per chi lo fa, come potrà consolidare il bene, che solleva? Così dal Consiglio passiamo all’Intelletto. Ma a cosa serve che l’Intelletto scruti con grande acutezza, se non si sa che si debba essere moderati da maturità? Saliamo dunque dall’Intelletto alla Sapienza, affinché ciò che l’Intelletto ha scoperto con acutezza, lo disponga con maturità la Sapienza. Attraverso questa grazia settiforme, si dice che tutti i Santi, attraverso le dodici porte, entrano nella Chiesa dalle quattro parti del mondo: cioè dall’Oriente, da Aquilone, da Mezzogiorno e dall’Occidente. Attraverso la porta Orientale entrò il primitivo popolo giudeo, dalla cui carne nacque Colui che viene chiamato il Sole di Giustizia. Nella porta di Aquilone sono rappresentati i gentili, atterriti dal freddo della loro perfidia, e nel cui cuore regnava colui che – secondo il profeta – diceva nel suo cuore: « sistemerò il mio trono in Aquilone » (Is. XIV, 13). – Dalla Giudea, quindi, e dalla Gentilità, come detto, sono cresciuti fino al culmine della santità. Entrambi dunque, i giusti ed i peccatori possono emendarsi attraverso l’Oriente e l’Aquilone. Non senza un motivo, infatti, i giusti sono chiamati Oriente: essi che sono stati generati dal Battesimo nella luce della fede, e dimorarono nell’innocenza. Mentre con ragione rappresentiamo con l’Aquilone, i peccatori, che, consunti dal freddo dell’anima, erano terrorizzati all’ombra del loro peccato. Ma quando la misericordia di Dio Onnipotente li chiama al pentimento, li purifica con le lacrime, li nobilita con le virtù e li eleva alla gloria della perfezione; e non solo si dice che vengono dall’Oriente con il numero centenario della loro perfezione, ma anche da Aquilone, quando insieme ai giusti, anche i peccatori giungono alla perfezione con le virtù e la penitenza. Per questo si dice di avere una porta all’Aquilone, ed una porta ad Oriente: unfatti i peccatori convertiti si arricchiscono di virtù, così come ricchi sono coloro che hanno evitato di cadere nel peccato. Per questo il Signore dice anche per bocca del salmista: « Di cenere mi nutro come di pane » (Psal. CI, 10). Con le ceneri ci si riferisce ai peccatori; con il pane, ai giusti; infatti riceve sia i penitenti che i giusti. È scritto sui peccatori: « già da tempo si sarebbero convertiti ravvolti nel cilicio e nella cenere » (Mt. XI, 21). La cenere viene mangiata come pane quando il peccatore, attraverso la penitenza, ritorna innocente alla grazia del suo Creatore. Tutto questo è stato detto parlando della porta d’Oriente e di Aquilone; non è opportuno ripeterlo nel commento. Dobbiamo tuttavia avvertire che nell’edificio spirituale c’è un’entrata ad Oriente, un’altra all’Aquilone ed un’altra pure a Mezzogiorno. Come i peccatori sono rappresentati dal freddo dell’Aquilone, così con l’Australe si designano i ferventi di spirito, che, infiammati dal calore dello Spirito Santo, crescono nelle virtù a somiglianza della luce meridiana. Si apre la porta verso Oriente, perché quelli che hanno ricevuto la fede e sono riemersi dalla profondità dei vizi, possano raggiungere i misteri dei segreti gaudi. Si apre la porta che dà a Nord, quando coloro che dopo aver iniziato con calore alla luce della fede, ed essere poi caduti nel freddo e nelle tenebre dei loro peccati, con la compunzione del pentimento, accedono al perdono e abbiano conoscenza di quale sarà in eterno la letizia della vera ricompensa. Si apre la porta che conduce al Mezzogiorno, allorquando chi brucia in virtù di santi desideri possa penetrare, giorno dopo giorno, nella conoscenza spirituale dei misteri dei gaudi interni. E per tutto questo ci si può chiedere: visto che ci sono quattro parti di questo mondo, perché si dice che in questo edificio non ci siano quattro, bensì tre porte? Avrebbe senso porsi questa domanda però, se si dovesse contemplare non un edificio spirituale ma uno materiale. Così la santa Chiesa, cioè l’edificio spirituale, ha solo tre porte: la fede, la speranza e la carità. Una ad Oriente, la seconda all’Aquilone e la terza a Mezzogiorno. La porta che dà ad Oriente è la fede, perché attraverso di essa nasce nell’anima la vera luce. La porta del Nord è la speranza, perché chiunque sia caduto nel peccato, se dispera del perdono, perisce completamente; e perciò è necessario che chiunque sia morto per la sua iniquità, rinasca con la speranza della misericordia. La porta del Sud è la carità, perché essa brucia con il fuoco dell’amore. Alla porta di mezzogiorno il sole sorge, poi col lume della carità si eleva con fede all’amore di Dio e del prossimo. E attraverso queste tre porte, attraverso cioè la fede, la speranza e la carità, si arriva ai gaudi eterni. – Ha detto queste cose per dimostrare che la porta è figura del Signore, dei predicatori, della Sacra Scrittura e della fede; e ovunque in questo libro si legga della porta, non si pensi ad altro significato. – Quando, spesso, si parla di una sola porta, bisogna capire rettamente che si tratta della fede, perché una sola è la fede di tutti gli eletti. Ma quando si parla di altre porte, si può intendere che siano le parole dei predicatori, con la cui lingua si conosce la vera vita, e attraverso i quali si sale alla conoscenza dei misteri spirituali. – Uno stadio, composto da centoquarantatre gradi, contiene nel suo numero centenario la perfezione dei Santi e la fede della parte destra. Nel numero quaranta ha voluto che si capisse la quadruplice dottrina degli Evangelisti, il principio più completo della Legge. E nel numero tre c’è il mistero della Trinità. Quindi, come i cinque stadi che abbiamo aggiunto a completare i dodici, trascinano la comprensione dei ragionamenti alla conoscenza della fede del Signore sotto questo mistero dei numeri, poiché abbiamo detto che essi possono dare il loro aiuto per essere usati come figura nella misura della città di Dio, così anche i cinque stadi, che comprendono settecentoquindici gradi, si sommano a settecento: sette per dimostrare che la legge del numero perfetto dura nella settimana del mondo attuale. Perché in sei giorni Dio ha fatto il cielo e la terra, e il settimo giorno si è riposato dal suo lavoro. E sappiamo che il mondo è fatto di sette giorni. Ecco che il Signore dice nel Vangelo dell’ultimo giorno: Pregate affinché la vostra fuga non avvenga d’inverno o di sabato (Mt. XXIV, 20). E quel numero, che ripete sette volte cento, dimostra che tutta la pienezza dei Santi cresce, in questa settimana da cui è fatto il mondo, nel mistero della fede di cui abbiamo parlato. Le tre volte cinque, che si aggiungono, significano la pienezza della divinità in nostro Signore Gesù Cristo. Così dice l’Apostolo: In lui dimora tutta la pienezza della Divinità (Col. II, 9). E così il cinque, che risulta dalla divisione di quindici per tre, mostra, al di sopra dei sensi e soprattutto dell’intelligenza umana, che il presunto Uomo continui ad essere nostro Signore Gesù Cristo, perché nessuno osi pensare che il limite della carne in Lui lo renda simile a noi, ma si sappia che la sua stessa carne ha brillato sopra il corpo dei più giusti, al di sopra di tutta l’intelligenza dei Santi, perché in Lui risiede la pienezza della divinità. Infatti dice: Io sono nel Padre, ed il Padre è in me (Gv. XIV, 10); e nel quale c’è tanta maestà, che non ci sarà nulla di simile ai mortali. – Tuttavia, anche se si dice che sia diventato simile perché ha assunto un corpo, dobbiamo credere che questo corpo non è essenzialmente di carne, come l’Apostolo dice: « e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così » (2 Cor. V, 16): per non osare pensare a Lui come ad un uomo comune, … le mura e la città sono d’oro puro, come terso cristallo. Sappiamo che il metallo dell’oro splende con una brillantezza maggiore di tutti gli altri metalli, e che è della natura del vetro l’essere trasparente all’occhio esterno e brillare di pura chiarezza all’interno. In un altro metallo non si può vedere ciò che vi sia contenuto all’interno, ma nel cristallo qualunque liquido contenuto nel suo interno, appare tal quale all’esterno e, per dirla in altro modo, ogni liquido contenuto in un recipiente di cristallo è visibile esternamente all’occhio. Che altro possiamo intendere nell’oro e nel cristallo se non quella casa celeste, quella comunità di beati cittadini, i cui cuori brillano di luce e sono trasparenti per purezza? Questa è la città che Giovanni ha contemplato in questa Apocalisse, quando ha detto: le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro come puro cristallo: infatti tutti i Santi brilleranno in quella chiarezza suprema della beatitudine, e si dice così che la loro materia è l’oro. E poiché la stessa chiarezza dei cuori rimane alternativamente alla vista dei cuori altrui e, nel contemplare il volto di ciascuno, penetra al tempo stesso anche nella loro coscienza, ecco che si dice che questo medesimo oro sia simile al cristallo puro. Perché lì la corporalità delle membra non nasconde l’anima dell’uno agli occhi dell’altro, ma l’anima sarà trasparente agli occhi del corpo, come pure l’armonia del corpo stesso. E così ognuno sarà visibile all’altro, così come non può essere visibile a se stesso ora. Al momento i nostri cuori, stando in questa vita, non potendo essere contemplati da un cuore all’altro, non sono racchiusi nel cristallo, bensì in vasi di argilla, …. come dice il Profeta: « Salvami dal fango, » (Psal. LXVIII, 15). Qui attraverso l’oro ed il cristallo, si descrive la santa Chiesa: nell’oro si figura la brillantezza, nel vetro la trasparenza. Eppure, anche se tutti i Santi brillano in essa con gran fulgore e vi risplendono con tanta trasparenza, non possono somigliare a Cristo. Tutti infatti raggiungono quelle gioie eterne con il fine di poter somigliare a Dio. Come sta scritto: « quando Egli si manifesterà, noi saremo come Lui, perché lo vedremo così com’è » (1 Gv. III, 2). Ma è anche scritto: « Chi è uguale a Dio tra i figli di Dio? » (Psal. LXXXVIII, 7). Diciamo allora: in che modo i Santi saranno simili a Cristo, e in che modo ne saranno diversi, ma in che modo saranno simili a questa Sapienza a sua immagine, eppure diversi nell’uguaglianza? Certo, contemplando l’eternità di Dio, questa si realizza in loro che sono eterni; e quando contemplano il dono della loro visione, nella contemplazione della beatitudine, imitano ciò che vedono. Pertanto, coloro che sono beati gli sono simili; eppure sono diversi dal Creatore, perché sono creature. Quindi hanno una certa somiglianza con Dio, perché non hanno fine; eppure non sono uguali a Dio che non ha limiti, perché essi sono limitati. Anche se i Santi brillano di tanto fulgore e trasparenza, una cosa è l’uomo saggio in Dio, un’altra è l’uomo Sapienza di Dio. E questa Sapienza era veramente conosciuta da chi non osava in alcun modo paragonare uno dei Santi al Mediatore tra Dio e gli uomini. Ne misurò anche le mura, sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini, adoperata dall’Angelo. Ora dobbiamo comprendere la misura di queste mura. Le mura di quella città sono nostro Signore Gesù Cristo. Esse sono misurate secondo la misura di un uomo, cioè di Cristo, perché l’Uomo assunto serve come protezione per i Santi, a salvaguardia di tutta la loro gloria. Per questo si dice che la misura dell’uomo è quella usata dall’Angelo, perché è l’Angelo dell’alleanza, di cui si dice: «  entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; l’Angelo dell’alleanza, che voi sospirate » (Mal. III, 1). Vediamo cosa c’è di così misterioso nel fatto che la sua altezza sia di centoquarantaquattro cubiti. Il cento, composto da dieci decadi, passa alla destra del Padre. In essa si insegna che alla destra di nostro Signore Gesù Cristo è felicemente inclusa tutta la pienezza dei Santi, e tutta la giustizia che raggiunge la sua perfezione con il compimento del decalogo e della profezia del Vangelo.

SULLE PIAZZE, IL FIUME, LE PORTE… ETC.

[3] Esponiamo ora chiaramente e brevemente in modo ordinato ciò che abbiamo detto diffusamente: la città che si dice di brillare come oro e pietre preziose, la piazza porticata, il fiume che ha in mezzo, avente da un lato e dall’altro gli alberi della vita che portano frutto dodici volte in ciascuno dei dodici mesi, il fatto che là non c’è luce del sole, perché è l’Agnello la sua luce: le sue porte, che sono ognuna una perla, tre porte in ognuna delle quattro parti e che non possono essere chiuse.

INTERPRETAZIONE

La città quadrata indica la moltitudine dei santi riunita, in cui la fede non può in alcun modo naufragare, così come a Noè venne ordinato di costruire un’arca di legno quadrata, che potesse resistere all’impeto del diluvio. Le pietre preziose rappresentano gli uomini valorosi nella persecuzione, che non potettero essere smossi dal potere dei persecutori né separati dalla vera fede per l’impeto della tempesta. Per questo somiglia all’oro puro di cui è adornata la città del grande re. E le sue piazze rappresentano i cuori sgombri da ogni sorta di sordidezza, laddove cammina il Signore. L’albero della vita, da una parte e dall’altra della riva del fiume, rappresenta la venuta di Cristo secondo la carne, la cui venuta e passione è stata profetizzata dall’antica Legge e manifestata dal Vangelo. i frutti portati in ciascuno dei mesi, rappresentano le diverse grazie dei dodici Apostoli che procedono dall’unico albero della croce, onde soddisfare, con la predicazione della parola di Dio, i popoli consunti dalla fame. E dicendo che non c’è il sole in quella città, si è inteso dire chiaramente come sia necessario che il Creatore della luce, che è immacolato, brilli in mezzo ad essa, ed il cui splendore nessuna intelligenza sarà mai in grado di comprendere, né alcun linguaggio potrà manifestare. E le tre porte che dice di avere in ognuna delle sue quattro parti, ognuna delle quali è una perla, manifestano che i quattro abitanti sono le virtù, la prudenza, la fortezza, la giustizia e la temperanza, che si intrecciano tra loro; e mescolandosi tra loro, formano il numero dodici. Noi crediamo che le dodici porte, siano il numero degli Apostoli. Infatti, il brillare di queste quattro virtù come perle preziose, che concentrano la luce della loro dottrina tra i santi, fa sì che si entri nella città dei santi; per questo i cori degli Angeli si rallegrano di dimorare con essi. E quando si dice che le sue porte non possono essere chiuse, si insegna con evidenza che la dottrina degli Apostoli non viene superata da nessuna tempesta di opinioni contrarie, anche quando viene mossa dalle onde dei gentili e degli eretici con malvagia superstizione; quando sono stati cacciati dalla vera fede, le loro spume si dissolvono. Infatti la pietra è Cristo, sul quale e per il quale la Chiesa è fondata, e che non è travolta dai flutti di uomini stolti. Perciò, come abbiamo detto sopra, chi pensa che la Chiesa sia un regno terreno di mille anni non deve essere ascoltato; costoro hanno la stessa opinione dell’eretico Cerinto. E le foglie dell’albero servono da medicina per le genti. Ciò ci mostra più chiaramente dove e cosa sia questa città. Infatti quando il mondo sarà finito, nessuna nazione sarà guarita. Le foglie dell’albero sono l’abito della croce, che si prefigurava nei primi uomini che cercavano di coprire la loro nudità con le foglie dell’albero. E non ci sarà alcuna malattia. Così è stato predetto in Numeri: « … non ci sarà pianto in Giacobbe, né dolore in Israele. Il Signore è con loro, e un regno glorioso è dentro di loro. Dio li ha fatti uscire dall’Egitto di questo mondo, la cui forza è simile ai rinoceronti, e non ci sarà malattia in Giacobbe e in Israele » (Num. XXIII, 21). Continua dicendo: non c’è nessun presagio contro Giacobbe, nessun incantesimo contro Israele: certamente non ci saranno idoli nella Chiesa, perché la notte del diavolo è passata, e la cieca ignoranza è andata via, ed è arrivato Cristo, il giorno. Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in essa. Il trono di Dio è la sede di Dio, cioè la Chiesa, secondo il profeta che dice: « Il tuo trono, Dio, dura per sempre » (Sal XLIV, 7): sicuramente, ora e nei secoli dei secoli. Ed i servi di Dio lo adoreranno e vedranno il suo volto ed ugualmente dice: da ora e per i secoli dei secoli, come il Signore stesso dice: « Chi ha visto me ha visto il Padre » (Gv XIV, 9). « E beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt V, 8). Ed essi porteranno il suo nome sulla fronte. Non ci sarà più la notte; non avranno bisogno di luce di lampada o di sole, perché il Signore Dio darà loro luce, ed essi regneranno con Lui nei secoli dei secoli.  Tutti questi eventi sono iniziati dalla passione del Signore, mescolandosi in entrambi i tempi, il presente ed il futuro.

FINE DELLA SPIEGAZIONE SULLA CITTÀ DI GERUSALEMME

[4] In questa fine del libro, Giovanni dice di essere caduto ai piedi dell’Angelo, ringraziandolo per le cose meravigliose che gli aveva mostrato, e che a chiunque il Signore mostri i misteri della Scrittura, deve cadere per primo, come esempio per altri, umile ai piedi dell’Angelo, nunzio della sua Scrittura. Perché certamente Angelo significa messaggero, e la Scrittura è il messaggio, e la si chiama angelo. Infatti è così che si legge nella Chiesa: lectio sancti Evangelii … lettura del Santo Evangelio. “Eu” significa “buona”, e “àngel” significa “novella”: ed ecco che in latino, unendo le parole, significa buona novella. E Giovanni, che cadde ai piedi dell’Angelo, era un uomo, figura di tutti i Santi. Questo Angelo era in particolare l’Angelo attraverso il quale parlava il Signore che sedeva sul trono. È Lui che ora parla anche attraverso i Sacerdoti. Infatti tutti i servi di Dio sono chiamati re e sacerdoti, come sta scritto: Egli ci ha lavati dai nostri peccati e ci ha fatti re e sacerdoti di Dio suo Padre: a Lui sia gloria nei secoli dei secoli (Ap. I, 5). In questa fine del libro Egli comanda ai Sacerdoti di evangelizzare giorno e notte, di predicare la penitenza al popolo, di annunciare chiaramente alle due città, cioè a quella di Dio e a quella al diavolo, ad una la gloria ed all’altra le punizioni, che stanno per seguire presto: e che queste parole sono certe e veraci; e di non sigillare le parole. Così come nella prima parte aveva detto: sigillate ciò che i sette tuoni hanno detto (Ap. X, 4), ora, alla fine del libro, dice: non le sigillate, come se avesse detto: anche se prima non lo riconobbero, fateglielo sapere alla fine del mondo. Vedete che è già la fine del mondo, ed il Signore verrà presto. E ricompenserà ciascuno secondo le proprie opere, ed espellerà dalla sua città tutti i malfattori e tutti coloro che non hanno adempiuto o realizzato ciò che dice questo libro, o non hanno creduto a ciò che è scritto in esso. Se qualcuno, dopo averlo compreso, non l’ha predicato, lo giudicherà e lo colpirà con una maledizione del libro della vita e lo condannerà. Come ha chiarito ora attraverso la storia.

(Apoc. XXII, 6-21)

Et dixit mihi: Hæc verba fidelissima sunt, et vera. Et Dominus Deus spirituum prophetarum misit angelum suum ostendere servis suis quæ oportet fieri cito. Et ecce venio velociter. Beatus, qui custodit verba prophetiæ libri hujus. Et ego Joannes, qui audivi, et vidi haec. Et postquam audissem, et vidissem, cecidi ut adorarem ante pedes angeli, qui mihi hæc ostendebat: et dixit mihi: Vide ne feceris: conservus enim tuus sum, et fratrum tuorum prophetarum, et eorum qui servant verba prophetiæ libri hujus: Deum adora. Et dicit mihi: Ne signaveris verba propheti libri hujus: tempus enim prope est.  Qui nocet, noceat adhuc: et qui in sordibus est, sordescat adhuc: et qui justus est, justificetur adhuc: et sanctus, sanctificetur adhuc. Ecce venio cito, et merces mea mecum est, reddere unicuique secundum opera sua. Ego sum alpha et omega, primus et novissimus, principium et finis. Beati, qui lavant stolas suas in sanguine Agni: ut sit potestas eorum in ligno vitæ, et per portas intrent in civitatem. Foris canes, et venefici, et impudici, et homicidæ, et idolis servientes, et omnis qui amat et facit mendacium. Ego Jesus misi angelum meum testificari vobis hæc in ecclesiis. Ego sum radix, et genus David, stella splendida et matutina. Et spiritus, et sponsa dicunt: Veni. Et qui audit, dicat: Veni. Et qui sitit, veniat: et qui vult, accipiat aquam vitæ, gratis. Contestor enim omni audienti verba prophetiæ libri hujus: si quis apposuerit ad hæc, apponet Deus super illum plagas scriptas in libro isto. Et si quis diminuerit de verbis libri prophetiæ hujus, auferet Deus partem ejus de libro vitæ, et de civitate sancta, et de his quæ scripta sunt in libro isto: dicit qui testimonium perhibet istorum. Etiam venio cito: amen. Veni, Domine Jesu. Gratia Domini nostri Jesu Christi cum omnibus vobis. Amen.

(E mi disse: Queste parole sono fedelissime e vere. E il Signore Dio degli spiriti dei profeti ha spedito il suo Angelo a mostrare ai suoi servi le cose che devono tosto seguire. Ed ecco io vengo presto. Beato chi osserva le parole della profezia di questo libro. Ed io Giovanni (sono) quegli che udii e vidi queste cose. È quando ebbi visto e udito, mi prostrai ai piedi dell’Angelo, che mi mostrava tali cose, per adorarlo: E mi disse: Guardati di far ciò: perocché sono servo come te, e come i tuoi fratelli i profeti, e quelli che osservano le parole della profezia di questo libro : adora Dio. E mi disse: Non sigillare le parole della profezia di questo libro: poiché il tempo è vicino. Chi altrui nuoce, noccia tuttora: e chi è nella sozzura, diventi tuttavia più sozzo: e chi è giusto, sì faccia tuttora più giusto: e chi è santo, tuttora si santifichi. Ecco io vengo tosto, e porto con me, onde dar la mercede e rendere a ciascuno secondo il suo operare. Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Beati coloro che lavano le loro stole nel sangue dell’Agnello: affine d’aver diritto all’albero della vita e entrar per le porte nella città. Fuori ì cani, e i venefici, e gli impudichi, e gli omicidi, e gl’idolatri, e chiunque ama e pratica la menzogna. Io Gesù ho spedito il mio Angelo a testificarvi queste cose nelle Chiese. Io sono la radice e la progenie di David, la stella splendente del mattino. E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ascolta, dica: Vieni. E chi ha sete, venga: e chi vuole, prenda dell’acqua della vita gratuitamente. Poiché protesto a chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro, che se alcuno vi aggiungerà (qualche cosa), Dio porrà sopra di lui le piaghe scritte in questo libro. E se alcuno torrà qualche cosa delle parole della profezia di questo libro, Dio gli torrà la sua parte dal libro della vita, e dalla città santa, e dalle cose che sono scritte in questo libro. Dice colui che attesta tali cose: Certamente io vengo ben presto: così sia. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signor nostro Gesù Cristo con tutti voi. Così sia.

TERMINA

[5] Questa storia va interpretata così come viene raccontata, semplicemente e secondo la lettera, perché tutto è spiegato sopra, e non è opportuno che quello che abbiamo detto una o due volte nella esposizione, lo ripetiamo più volte ancora. Ma tra di loro si sentiranno le cose nascoste, che commenteremo per la vostra carità, più che le restanti della fine del libro, in cui sappiamo che è risuonata una maledizione. Dio non voglia che i semplici subiscano gli scandali dell’errore o incorrano nel peccato della disperazione, in modo che se non sanno chi sia che viene maledetto qui, possano inciampare e allontanarsi dalla retta via.

TERMINA

INIZIA UNA BREVE SPIEGAZIONE DELLA STORIA DESCRITTA IN PRECEDENZA

Era certamente un Angelo, l’Angelo che dice di aver mostrato a Giovanni tutte queste cose, ed ai cui piedi Giovanni cadde per adorarlo. All’inizio del libro, lo stesso Angelo aveva detto, quando Giovanni era caduto ai suoi piedi come morto, avendo posato la mano destra su di lui: Non temere, sono io, il primo e l’ultimo; ero morto, ma ora sono vivo per i secoli dei secoli (Ap. 1. 17). Ma egli ricorda inoltre che era caduto ai piedi del suo Angelo; e questo lo abbiamo sviluppato completamente nel decimo libro. Infatti dice: … quando sono caduto ai suoi piedi per adorarlo, mi ha detto: no, non farlo: io sono un servo come te e i tuoi fratelli che conservano le parole di questo libro. È Dio che dovete adorare (Ap. XIX, 10). All’inizio del libro aveva detto: io sono il primo e l’ultimo, ed ero morto. Nel decimo libro dice: Io sono un servo come te e i tuoi fratelli che custodiscono la testimonianza di Gesù. E qui alla fine del libro dice: e quando l’ho sentito, sono caduto ai piedi dell’Angelo per adorarlo. Ma egli mi disse: No, non farlo: io sono un servo, come lo sei tu, e i tuoi fratelli che conservano le parole di questo libro. È Dio che dovete adorare. Ripeteva quello che aveva detto già prima. Vuole indicare che l’Angelo è stato mandato per conto del Signore della Chiesa, perché anche qui dice: Io sono Gesù: ho mandato il mio Angelo a testimoniarvi riguardo alle chiese (Ap. XXII, 16). La testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia (Ap. XIX, 10): tutto ciò che lo spirito di Dio ha detto profeticamente è la testimonianza di Gesù, perché Gesù ha la testimonianza della Legge e dei Profeti. Infatti così il lettore legge nella Chiesa dalla bocca del Signore: Io sono il Signore vostro Dio. Quando il lettore dice questo, non lo dice di se stesso, ma del Signore; eppure sembra che lo dica di se stesso, e non manca di farlo a regola di verità. Così è da intendere l’Angelo quando ha parlato a Giovanni. E quando ha detto: non sigillate le parole profetiche di questo libro, in due occasioni, questo deve essere inteso in due modi. Sopra nel quinto libro si diceva: sigillate ciò che è stato detto dai sette tuoni e non scrivete (Ap. X, 4); invece, qui alla fine del libro dice: non sigillate le parole profetiche di questo libro, perché il tempo è vicino. Gli ingiusti continuino a commettere ingiustizie e gli impuri continuino ad essere impuri. Queste cose sono per coloro per i quali ha detto: sigillate ciò che hanno detto i sette tuoni; come se dicesse: leggano i libri e non li intendano, perché vivono nella sordidezza. Dei Santi egli dice: Che il giusto continui a praticare la giustizia ed il Santo a santificarsi. Queste parole sono per coloro per i quali, alla fine del libro, ha detto: non sigillate le parole profetiche di questo libro, è come se dicesse chiaramente: lasciate che questi leggano i libri e comprendano e pratichino ciò che hanno compreso, perché sono giusti, cioè sono senza malizia, e vivono nella carità, e quindi crescano ancora di più nella santità. Così come, al contrario, chi è sordido perché vive nel sordido, quando legge non intende, continui a macchiarsi e riempire ancora di più la sua empietà di ciò che ama. Questo deve quindi essere inteso per la Chiesa in modo diverso all’inizio rispetto alla fine. Nel precedente luogo dice: sigillate ciò che i sette tuoni hanno detto, mentre alla fine dice: non sigillate le parole profetiche di questo libro: questo significa che ciò che era nascosto all’inizio della santa Chiesa, alla fine si rende palese per tutti i giorni. Si descrive nello stesso modo l’età di ogni uomo essere simile all’età della Chiesa. Allora essendo bambina, o appena nata, non poteva predicare la parola di vita. È chiamata poi adolescente la Chiesa, come sta scritto: le fanciulle ti hanno amato (Cant. I, 2). Infatti tutte le Chiese, che ne compongono una sola Cattolica, sono chiamate fanciulle; esse sono vecchie per la colpa, ma nuove per la grazia. E si chiama adulta la Chiesa quando, fecondata dalla parola di Dio, ricolma di Spirito Santo, con il mistero della predicazione, è pronta per poter concepire dei figli: e quelli che concepisce esortando e predicando, li mette al mondo convertendoli. Coloro che essa seduce predicando, poi li concepisce; e quando essi vengono pubblicamente alla penitenza, li dà alla luce nella conversione. A coloro che sono veri fedeli, i beati, promette che potranno avere l’albero della vita, ed entrare attraverso le porte nella città santa; sono essi gli stessi che entrano attraverso quelle porte, cioè quelle dei Patriarchi, dei Profeti e degli Apostoli e di tutti i Santi, attraverso i cui esempi raggiungono l’unica porta che è il Signore Gesù Cristo; e gli stessi Santi sono le porte, sono essi medesimi la Chiesa, sono essi la città santa di Gerusalemme. Attraverso queste porte non entrano menzogne, ma soltanto la verità: infatti esse sono chiuse ai menzogneri, e per questi il libro è sigillato: è per questi che i sette tuoni sono sigillati. Continua poi a parlare di loro e dice: Via i cani, gli stregoni, gli impuri, gli omicidi, gli idolatri e tutti coloro che amano e praticano la menzogna! – Questi non entrano da quelle porte, e queste porte oggi, sono la bocca dei predicatori; e per la loro predicazione essi non entrano nella vita beata. E quelli che a noi predicano con le parole, e le rendono reali con gli esempi del loro comportamento, consideriamoli come delle porte, ascoltandoli ed imitandoli. Al contrario, i cattivi dottori sono le porte dell’inferno, perché, per mezzo della loro vita e della loro dottrina, coloro che li ascoltano e li imitano non entrano nella città celeste, ma nella città del diavolo, e saranno immersi nel tormento eterno. Ed entrambe queste due porte, quelle della città di Dio e quelle della città del diavolo, rimangono aperte, e non saranno chiuse né di giorno né di notte, cioè predicano di giorno e di notte. Di giorno predicano i Santi, che rimangono nella luce, cioè nella sapienza, come è stato detto: questo è il giorno che Dio ha fatto, esultiamo e gioiamo in esso (Psal. CXVII, 24). Di notte predicano gli ipocriti, gli eretici, gli scismatici ed i falsi preti, che non per il bene delle anime, ma per il proprio bene, cercano gli onori e camminano nella cieca ignoranza. Queste si chiamano appunto le porte aperte nella notte: infatti come abbiamo detto che la sapienza è luce, così ora diciamo che l’ignoranza sono le tenebre. A causa loro, dice il Signore: Via i cani! Questi si chiamano cani, perché sembra che proteggano il gregge del Signore; e sono giustamente cani, perché dopo la fede e la grazia del Battesimo ritornano al vomito dei loro peccati. Ed oltre a questo, falsificano le Scritture, in modo da – per così dire – predicare ed attirare tutti alla loro sordida vita: non predicano secondo verità, ma secondo il loro modo di vivere; infatti, nel leggere, ognuno interpreta col senso del proprio intelletto ciò in cui nella propria vita ha posto l’occhio del suo cuore. E dov’è il suo cuore, c’è anche il tesoro del suo cuore. – Così sempre lo Spirito e la sposa dicono: vieni! Certo, lo Spirito e la sposa lo dicono al loro Capo, poiché la sposa è la Chiesa, che grida sempre: venite, figlioli, ascoltatemi; vi insegnerò il timore del Signore (Psal. XXXIII, 12). Venire è credere. Chi ha sete, venga, e chi vuole, riceva gratuitamente l’acqua della vita; cioè chi vuole, venga, creda, sia battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e non solo nell’acqua, ma anche nella morte di Cristo. Siccome poi tutti ascoltano ma non tutti leggono, a questi il Signore dice così: Avverto tutti coloro che ascoltano le parole profetiche di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio riverserà su di lui le piaghe descritte in questo libro. E se qualcuno aggiunge qualcosa alle parole profetiche di questo libro, Dio toglierà la sua parte nel libro della vita e nella città santa che sono descritte in questo libro. Dice colui che attesta queste cose. La città santa è la Chiesa: e in questo libro vi sono descritte le cose buone e le cose cattive, in esso è decritto il dolore dei tormenti e le gioie eterne. Gli stessi scrittori dei libri che ne sono i testimoni, mettono la Legge ed il Vangelo come testimoni del Signore Gesù Cristo, che è il Testimone fedele. I mendaci aggiungeranno o sopprimeranno le parole di questo libro profetico: sono essi quelli che sopra abbiamo chiamato “cani” e “malèfici”. Questa maledizione è per loro. Tali cose sono dette per questi falsari, e non per quelli che si limitano a dire ciò che sentono e che dai quali in alcun modo la profezia è mutilata, ma le cui parole sono piene di fede e di opere. A questi il Signore dice: “Sì, vengo presto“. Ed essi dicono: Amen. Vieni, Signore Gesù Cristo. Grazie a Dio. La grazia di nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. Amen.

(Con questo Amen finisce l’edizione di Flores).

Il codice dell’Apocalisse si conclude con il numero dodici delle chiese. Allo stesso modo, distribuito in sezioni secondo l’ordine di dodici libri, esso è un codice di molti libri ed è un libro in unico volume; e viene chiamato codice a somiglianza di un tronco d’albero che sostiene vari libri, come dei rami. Il libro si chiama volume perché è arrotolato; così come erano, ad esempio, per gli Ebrei il volume della Legge, i volumi dei Profeti. I fogli dei libri sono chiamati così, o per la loro somiglianza alle foglie degli alberi, o perché i libri sono fatti a mo’ di “soffietti”, composti cioè con pelli che di solito vengono estratte da pecore, una volta macellate, le cui parti sono chiamate pagine, perché assemblate tra loro. Finisce nel nome di nostro Signore Gesù Cristo.

FINE