LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (2)

GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO

GIUSEPPE SIRI

LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (2)

2. Edizione EDITRICE A. V. E. ROMA 1943

II. – Personalità

Nel messaggio di Pio XII la personalità è una idea grande, è una realtà concreta, è un punto di riferimento generale per tutte le questioni inerenti all’ordine interno degli stati. La personalità umana (il suo valore, i suoi diritti, la sua qualità di « metro») è l’affermazione potente e lucida del diritto di natura, in nome del quale se ne parla e dalle indicazioni del quale, viene definita.

1. – Quello che il Papa afferma

E’ utile avere innanzi agli occhi un prospetto riassuntivo delle affermazioni del Santo Padre intorno alla personalità. Possono esprimersi in cinque punti.

1) “Origine e scopo essenziale della vita sociale vuol essere la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della vita umana, aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e della cultura segnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l’umanità, sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni ” .

2) La pace è subordinata al “ridonare alla persona umana la dignità concessale da Dio fin dal principio”.

3) Ci si deve opporre “all’eccessivo aggruppamento degli uomini “ed al considerarli “masse senz’anima”; proprio per questo è necessario che gli uomini-persone abbiano una “consistenza economica, sociale, politica, intellettuale e morale”, nonché “una, responsabilità personale, così quanto all’ordine terreno, come quanto all’eterno”.

4) L’operaio non deve venir “condannato ad una dipendenza e servitù economica inconciliabile con i suoi diritti di persona”; inoltre le forme sociali debbono essere tali da garantire una libertà personale.

5) Si deve sostenere “il rispetto e la pratica-attuazione dei seguenti fondamentali diritti della persona: diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e morale e particolarmente il diritto ad una formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa; il diritto in massima al matrimonio e al conseguimento del suo scopo; il diritto alla società coniugale e domestica; il diritto di lavorare come mezzo indispensabile al mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni sociali”. È chiaro: la persona umana è il principio, il criterio, la misura, il soggetto ed il punto di riferimento di tutte le questioni umane; è il centro da cui tutto parte, in cui tutto si colora, cui tutto confluisce; il suo rispetto è la base di una costruzione umana e non mostruosa. – Tale rispetto ha per oggetto immediato una serie di diritti, i quali scaturiscono solo se si riconosce la « persona », muoiono se quella divien chimera; diritti che l’aspirazione umana ha sempre profondamente, totalmente invocati come assolute condizioni di vita, sì da apparire una morte la loro brutale negazione. – La « centralità » della persona umana è una delle più gravi affermazioni del Messaggio. Ad intenderla è necessario portare l’attenzione su diversi concetti.

2 . – Che è la “persona ,,

Anzitutto una questione di competenza. Chi ha il diritto di dare la definizione di persona? Rispondiamo senza esitazione: il buon senso umano. Lo può e ne ha gli elementi. Il concetto di persona infatti è astratto allorché lo si presenta in quella forma teorica che, sola, plasmandosi in modo intellettuale, può entrar nei libri. Ma la « persona » in concreto c’è; è vivente, è esaminabile; essa è semplicemente l’uomo individuo. Sicché, purché non abbia pregiudizi artificiali sia deformatori (il « sistema » accanito), o inibitori (l’agnosticismo kantiano), il buon senso può guardare, indagare e trarre serenamente la sua conclusione, che è un concetto nitido e completo. Era necessario dir questo per giudicare delle diverse definizioni di « persona », più che discutibili, proferite da esponenti della filosofia moderna (Spinoza, Wolf, Hume, Kant) ai quali fece velo il sistema o il dubbio. La filosofia, spesso poggiata sulle nuvole, poté oscillare e dir cose strane e contradditorie; il diritto invece, più severamente ancorato ai fatti ed alla realtà dalla sua stessa funzione e dalla acuta opera distintiva della competizione forense, fu più serio e stabile e diede in genere in una forma concreta il concetto che della persona diede sempre il buon senso umano. Il quale, non c’è dubbio, ha più diritto di esser ascoltato che non i dubbiosi per paura, gli strani per costituzione e frenetici del sistema.

… il concetto filosofico

Ora il buon senso, espresso dalla tradizione scolastica, ha definito e sente la persona essere così: l’individuo razionale (uomo, angelo, ecc.) che sussiste nella sua naturale costituzione in modo autonomo (distintamente). Razionalità ed autonomia sono dunque le caratteristiche costitutive della «persona». Razionalità implica un principio spirituale ed intelligente e trae nel concetto di persona tutto il mondo psicologico. Autonomia è la distinzione, l’essere in sé ed a sé (salva la dipendenza da Dio), qualcosa di completo e di sufficiente, non parte d’altra cosa, non mezzo o strumento per natura di nessuno, salvo Dio; con natura, legge fondamentale, diritti e doveri basilari, finalità, definiti indipendentemente dall’essere o dall’agire di qualsivoglia altra creatura. – Autonomia nella razionalità significa intelletto e volontà autodeterminantisi, ossia significa la libertà, che è senza dubbio il fastigio della persona. La somma di queste note sono come un tratteggio che tutto all’intorno mette in rilievo emergente una stupenda e rispettabile grandezza. Nell’orbita della persona si agita un mondo, che sovrasta potentemente il mondo materiale inquadrato nella rigida disciplina delle leggi fisiche. – Fin qui l’idea filosofica o, se piace la parola, ontologica della persona. Qualcuno troverà tutto questo discorso abbastanza teorico: non ha poi torto, ma dovrà convenire che era pur necessario alla chiarezza dei fondamenti. Desidera con maggior diritto un tratteggio più umano della « persona », che sarà bene egli contempli in un uomo ben definito e concreto. Quest’uomo può esistere — coll’aiuto di Dio — anche se nessuna altra cosa esistesse: perché egli sia, sia uomo e non un’altra cosa, sia questo uomo, presupposta la causa originativa e il concorso divino, nessun’altra cosa occorre. Se, sostenuto da quel concorso, egli rimanesse mentre il rimanente svanisse, sussisterebbe pienamente la sua natura, la sua legge, la sua finalità. Se tutto il mondo fosse connesso contro di lui per strappargli un « sì » o un « no », egli rimane perfettamente libero di concedere o negare dispoticamente l’uno e l’altro. Forse è per questo che i Martiri sono la più pura e coraggiosa espressione della personalità. Ecco che cosa è l’autonomia. Queste considerazioni erano necessarie per vedere quale mondo, quale roccaforte, quale riserva, quale riflesso divino, quale principato tra le cose terrene, quale cosa rispettabile sia questa persona-uomo, base e metro, principio e fine d’ogni costituzione sociale e politica, la quale dinnanzi ad una simile dignità sente d’esser fatta essenzialmente per servire.

L’importanza

1) Anzitutto i diversi valori si dispongono in un ordine piramidale di cui la « persona » sta evidentemente al vertice. Il suo concetto stesso lo prova.

2) Tutto attinge valore e significato dalla persona e nella persona. Il diritto non è altro che la sua autonomia che si traduce in capacità di avocare a sé e respingere da sé. La legge è espressione di persone, perché la sua formulazione intellettuale e la sua imposizione volitiva non le viene da qualche ente astratto od anche giuridico,, ma dall’esercizio di facoltà in persone singole. – Le idee, le ideologie ed anche le false mistiche non discendono dalle nubi come cavalli platonici bianchi o rossi o verdi, ma si formulano nel cervello di singole persone. Perché diritti, leggi ed idee valgano e si attuino hanno bisogno del loro terreno; e questo è ancora la persona. Lo Stato può essere concepito come si vuole con idee giuste e false, ma fruisce sempre col coincidere con una o più persone, coi loro difetti assai spesso, raramente colle loro personali virtù. – Il soggetto della legge, del contratto, delle istituzioni, quindi della costruzione sociale e politica è sempre l’uomo-persona. Gli umori soddisfatti e quelli insoddisfatti sono nelle « persone »; proprio quelle benevolenze e malevolenze, decidono d’un fatto concreto che si chiama « opinione pubblica » e, a lungo andare, pace  o rivolta. È impossibile che questo mare non si muova, non mugghi, non roda la terraferma o non vi getti la ghiaia e i relitti; possiamo ignorarlo, ma è esso che col suo moto perenne decide dei limiti dei continenti. Che ci costringe moralmente a rispettare la persona è la sua autonomia, dono di Dio; che la vendica costantemente contro il sopruso è la sua razionalità feconda ed immortale, che pensa, ricerca, soffre, vuole e decide. La conclusione è limpida: tutto si misura e si colora nell’uomo-persona.

Questo non è l’individualismo

Rispetto alla persona ed individualismo, non solo non sono la stessa cosa, ma sono antagonisti. Individualismo è pensare egoisticamente a sé senza il limite di una legge che impone doveri sociali. Rispettare la persona è rispettare la sua natura, che ha una legge prescrivente finalità e doveri sociali. – L’individualismo ignora e contraffà quel complesso di diritti, di riflessi, di fecondità che invece irradia dalla persona. L’individualismo sostituisce il fatto al diritto; il culto della persona, sorgente del diritto, restituisce il diritto prevalente nella forza. La persona è una ricchezza — dobbiamo forse ancora dirlo? —, l’individualismo è una dichiarata miseria accentratrice. Rispettare la persona significa amare qualcosa da parte di tutti; aver dell’individualismo significa rispettar nessuno. La persona — e lo vedremo — si sviluppa in società, l’individualismo si contrae in solitudine inumana e violenta. Non confondiamo dunque dei termini per farne mascelle di asino. Si vedrà subito come il concetto di persona sviluppa una morale di rapporti; si è sempre visto come l’individualismo si è beffato nonché della morale, persino dei rapporti coi propri simili.

3. – Caratteristiche della personalità

D’accorato appello del Pontefice è per una valutazione giusta o rivalutazione adeguata della persona umana. Sia l’uno che l’altro intento è raggiunto puntando sulle doti concrete elargite da Dio alla persona, nonché sulle conseguenze di questa. Tutto ciò in due sensi: occorre rispettare negli altri ed occorre rispettare in sé. Perché rispettare anzitutto in sé? Ecco: c’è un divario tra persona nel senso fisico (quello descritto sopra) e persona nel senso morale. Da prima è una realtà in parte potenziale, che solo la volontà, l’educazione e la virtù sviluppano; la seconda è lo sviluppo e la perfezione raggiunta attraverso un cosciente lavoro su se stessi. Difatti tutti gli uomini sono « persone », non tutti hanno una « personalità », sono se stessi; ciò è perché quello sviluppo non ha trasformato la capacità in realtà, qualcosa è rimasto invece latente, trascurato, sprecato. Sarebbe un controsenso invitare tutti, uomini e istituzioni, Stato compreso, a rispettare la personalità, mentre nessuno la rispetta e la completa in se stesso. Sarebbe una commedia. Abbiamo già visto che le doti fondamentali della persona sono: razionalità ed autonomia.

L’uso della propria testa

Poiché la prima dote della persona è la razionalità, è necessario usarla e lasciarla usare. Senza di che non c’è rispetto alla persona. Questo uso è una dote, un impegno, un prestigio. Bisogna dunque usare della propria testa. Non è lecito affittare puramente e semplicemente quella degli altri, del giornale, dell’ambiente, del club, dell’opinione in corso, della moda. Chi affitta, non è « persona ». Usare della testa, non affittare, è ponderare, esaminare, indagare ed esercitare, soprattutto, nel vaglio delle cose che si ammettono, il senso critico. Chi beve tutto, chi accetta tutto dietro raccomandazione del sentimento suo eccitato, dell’entusiasmo brillo, dell’impressione, senza cercare una ragione sufficiente, senza la pazienza obbiettiva di convincersi sul sodo, non è persona. L’uso della propria testa non è universale. Vi sono dei limiti ragionevoli. Eccoli: non so tutto ed in quello che so devo dipendere da chi sa; non so bene e devo rifarmi in chi sa meglio; ho difetti di logica, di scienza, di visione e devo completarmi coll’umiltà che s’appoggia all’esperienza, al consiglio, alla luce, alla giusta autorità degli altri. Così sarò prudente, discreto e saggio. Ma tutto questo mi lascia un margine in cui io agisco, mi lascia un ufficio in cui io ragiono, sia pur conscio del mio poco valore, su quello che mi vien da altri: rispettando questo, salvo la prudenza e la saggezza, ma esercitando il mio lume intellettuale salvo la mia persona. L’umiltà e la coscienza di sé ugualmente la salvano. Bisogna lasciare che gli altri usino della propria testa. Il pensiero, la scienza, l’esercizio della sana critica onesta, non si standardizzano. Gli uomini non si possono trattare come bambini ai quali si suggerisce cento volte al giorno « dì buon giorno, dì grazie ». Una delle cose più tristi della nostra età — almeno in taluni casi — sono i ministeri della propaganda, che dovrebbero informare il pubblico sulla verità, ed invece insufflano, orchestrano la menzogna sistematicamente, come se si fosse un branco di scemi. Quando al sistema limpido spontaneo della natura, figlia a Dio, e del suo diritto si sostituiscono i sistemi architettati in sostituzione, rossi o verdi che siano, è purtroppo necessario fare così. Tanto è vero che sono innaturali. Ma il lodevole proposito di lasciar agli altri usare della propria testa deve essere illuminato da alcune inflessioni, le quali impediscono visioni strabiche e conclusioni ingenue, 1) La verità è una, l’errore è il primo danno della società: la difesa di quella, la remora a questo sono un supremo interesse comune. Ciò non è un limite alla « testa », ma una doverosa ed insieme caritatevole correzione di certi usi ed abusi. 2) L’ignoranza è grande, le idee storte innumerevoli: ciò invoca ad un certo punto l’aiuto, il coraggioso aiuto, l’opera educativa, l’orientamento saggio, l’organizzazione del servizio alla verità. Non oppressione, ma aiuto e qualche volta difesa cogli onesti mezzi legali. Rispetto dunque, non oblio della verità sulle tare del peccato di origine tra gli uomini.

L’uso della propria coscienza

L’intelligenza in quanto giudica della moralità delle proprie azioni in concreto diviene « coscienza ». In quanto è giudizio, direttiva, orientamento nell’iniziativa, la coscienza è insieme espressione tanto della razionalità che della autonomia. Sicché non si rispetta la persona che a prezzo di rispettare la coscienza, il suo esercizio, il suo dettame. Un uomo è persona tanto quanto agisce nella pienezza della coscienza propria senza affittare la coscienza del primo arrivato, dell’ambiente. Poiché coscienza è intelligenza, occorre aver presenti a suo proposito tutte le considerazioni prudenziali fatte or ora sull’uso della « testa ». – Testa e coscienza sono penetrali nei quali nessuno, neppure lo Stato, può direttamente entrare. Anche i più grandi persecutori della personalità umana dovranno pur sempre fare i conti con questo insuperabile limite della loro invadenza.

L’iniziativa

La autonomia della persona è una dote che eleva la natura in cui quella vive, è anzi immanente nella natura, si identifica con essa; sicché è vero che l’autonomia, tanto si estende e tanto vale quanto si estende e vale la natura. La quale è essenzialmente operativa e dinamica. Operazione ed autonomia danno: iniziativa. Ecco una dote della personalità. Rispettarla significa dunque riconoscerle un margine congruo di libera iniziativa in tutti i settori. Questo principio di diritto naturale deve esser tenuto in conto da tutti i politici ed economisti, i quali faranno bene a non lasciarsi cogliere da nevralgie troppo ossesse o da visioni collettive ed astratte. Poiché in fin dei conti non è l’uomo per l’economia, ma l’economia per l’uomo. – C’è di più. L’iniziativa, che, come s’è visto deriva dalla natura umana attiva e dalla sua autonomia, appunto perché segue la natura che è anche sociale, entra in questo campo. L’iniziativa sociale è l’associazione: ecco il diritto naturale di associazione, che sarà contenuto, controllato e limitato dall’autorità, ma che non può venire indebitamente ristretto e tanto meno soppresso. Tutto ciò significa ricordarsi — proprio contro l’individualismo — che la persona-uomo si deve vedere nell’ambito e nel complesso sociale. – L’iniziativava tenuta nel debito conto dall’uomo in se stesso. Quando ascolta i consigli della sua natura debole, gli è facile spogliarsi dell’iniziativa per stendersi sempre sul canovaccio combinato da altri, dire e fare quello che fanno gli altri, accodarsi, supinamente imitare, mettersi nella corrente, farsi portare e non reagire mai. Con ciò egli diventa una stampigliatura banale, con ciò si spiegano le fisionomie impresse dall’ambiente, i caratteri vuoti, piatti, nulli. L’iniziativa è legata alla forza di volontà. È facile accorgersi che cosa questa conferisca alla personalità morale. Gli uomini « stampigliati » non rappresentano una negazione della libertà umana, che forza di volontà e libertà sono elementi ben diversi e può mancare perfettamente il primo, mentre il secondo l’esercita solo a liberamente scegliere sempre il più comodo, il più facile, il meno dispendioso.

La fisionomia personale

È segnata non tanto dai lineamenti esterni, quanto dal temperamento e dalle doti specifiche intellettuali, volitive, di sentimento, di gusto, di moralità, di religione. Quando ha una impalcatura volitiva di costanza e di coerenza nella luce di convinzioni profonde diviene carattere inconfondibile. Il complesso fisionomico reca una inesauribile varietà fra gli uomini. La varietà reclama il libero sviluppo, la libera scelta delle carriere, mette in guardia contro il pericolo della troppa standardizzazione, dell’eccessiva organizzazione, dell’esoso assorbimento da parte della comunità. – Le doti postulano la loro cultura, il perfezionamento e lo sfruttamento. Ciò non è impegno solamente del singolo. Il rispetto concreto della persona esige che per parte della società, le condizioni di vita si facciano sempre più tali da permettere studio, sviluppo, cultura, ascesa a chi ne ha il taglio, anche indipendentemente dalla sua posizione economica e sociale. Le scuole dovrebbero essere così umane e generose nell’accogliere tutti, anche i non abbienti, così inflessibilmente severe nel vaglio, da concorrere e discriminare finalmente nella società una vera gerarchia di valori. Questa solo è capace di correggere il difetto dell’altra gerarchia, quella della eredità di fortuna. Osserviamo finalmente che ogni dote costituisce una legge divina particolare, in quanto, conferita dal Creatore, crea il dovere di raggiungere il più perfetto sviluppo. Non è mai un talento a discrezione, è un talento da restituirsi a Dio col massimo di interesse. È per questo che il senso naturale e cristiano vorrà il medico, il giurista, ecc., all’apice della perfezione non solo morale ma scientifica, tecnica, artistica. L’uomo deve correre tante vie quante sono le sue possibilità. Solo così è completo.

Il diritto di proprietà

Il diritto di proprietà è una immediata conseguenza della « persona ». È  importantissimo vedere questa connessione inevitabile e necessaria perché essa indica donde si possa dire in piena coscienza essere il diritto di proprietà un diritto di natura, indiscutibile, inalienabile quanto la natura. – Infatti. Poiché, come si è detto autonomia e natura nella persona sono la stessa cosa, tanto si estende il raggio della prima quanto si estende il raggio della seconda. Ora la natura dell’uomo stabilisce rapporti necessari con le cose di cui l’uomo ha bisogno, non solo per la sua vita fisica, ma per l’indefinita capacità di operazione delle sue facoltà spirituali, le quali non si attuano senza elementi sensibili. A causa di tali rapporti alcune cose sempre, molte altre indefinitamente a seconda che le circostanze determinano, vengono ad essere legate e vincolate alla persona. L’autonomia, che segue la natura, si estende allora anche a queste « cose », che, per i rapporti, rientrano in qualche modo nella personalità. Rientrare tali « cose » nell’autonomia della persona significa che rimangono « avocate » ad essa con esclusione (distinzione) degli altri. Il che, non escludendo il fine sociale delle « cose avocate » come non cessa d’essere sociale la persona, è precisamente il diritto di proprietà. – Esso è tanto vero e naturale quanto sono veri e naturali i rapporti necessari tra cose e persona, quanto è vero che tali rapporti fluiscono dalla natura, quanto è vero che l’autonomia si estende là ove s’estende la natura.

Gli elementi nei quali si vede il diritto di proprietà fluire dall’autonomia della persona, quindi dalla natura e da Dio autore della natura, sono troppo evidenti. L’uomo senza « cose » e tante « cose » quante ne può investire la sua capacità operativa (che è indefinita — di qui la indefinita, per sé, aumentabilità del patrimonio) non avrebbe affatto la dignità già descritta della persona, ma sarebbe un prigioniero. – Rimarrebbe un sovrano spodestato. Homo sine pecunia imago mortis. Ed è inutile stare a blaterare ilcontrario con filosofemi, che si accettano solo quandonon si capiscono.Qui non facciamo questioni di parole o di definizioni e neppure di interpretazione sul pensiero dell’uno o dell’altro grande scrittore. Ci interessano le questioni,non il loro lusso; e le questioni si risolvono con gli elementi obbiettivi. I quali affermano essere il diritto di proprietà un diritto di natura. Il modo col quale sempre la teologia cattolica l’ha definito, rivendicato, tutelato in morale, come quello che non ammette eccezioni se non per opera di un altro diritto parimenti divino; il modo con cui fu affermato nelle Encicliche papali; il modo con cui — anche a prescindere dalla qualifica terminologica— fu sempre trattato e preso a criterio della tradizione filosofica e giuridica cattolica, non può lasciare dubbio alcuno ragionevole su tale ben ferma conclusione. La quale, logicamente parlando, crediamo appartenere alla dottrina cattolica.Ciò posto vediamo le conseguenze straordinariamente gravi dell’esser la proprietà un diritto di natura,talmente connesso col concetto e la realtà stessa di persona.

Conseguenze del diritto di proprietà

1) Non si salva la personalità se non si salva la proprietà. Questo, non solo perché la seconda è corollario della prima, come s’è visto; ma ancora perché l’uomo spirito è talmente legato e dipendente dall’uomo-materia, che la sua stessa autonomia spirituale non sussiste integra se non s’estende a cose sensibili. – La difesa della proprietà ha una posta ben più alta che non alcune piccole o grandi cose materiali.

2) Il diritto di proprietà è intangibile: può nei casi particolari e contingenti venire limitato solamente dalla forza di un altro diritto di natura (p. e. la necessità sociale).

3) Qualunque sogno di ricostruzione sociale che si fondi su uno strazio della proprietà privata, contiene un elemento innaturale che è destinato a creare un ineluttabile disagio, grave di tragiche conseguenze, anche se può a prima vista presentare qualche successo brillante.

4) Le eventuali limitazioni della proprietà mediante l’assorbimento di essa e dell’iniziativa privata da parte della collettività, quando instasse per questo un pari diritto naturale, va considerata come eccezione e non come sistema ordinario. Quand’anche talune eccezioni dovessero durare per un periodo storico, non acquisterebbero mai il carattere di cose ordinarie. La ragione sta in questo. Che la limitazione della proprietà può avvenire — come vedremo — solo in nome del bene comune, il quale non la reclama per sé, ma per ragioni accidentali; mentre la proprietà è in se stessa postulata dalla natura. Non si confondano limitazioni della proprietà e limitazioni opposte alle sorgenti della ricchezza. Queste seconde per sé non limitano la proprietà, ma piuttosto il diritto di iniziativa: Il bene comune potrà in via contingente postularle, ma, dato il loro carattere di « limitazione di un diritto naturale » non dovranno mai essere né arbitrarle, né ingiustificate, né intese come sistemazione ordinaria.

5) Non è opportuno stabilire delle quote di proprietà, sicché nessuno per esempio possa possedere capitale superiore alla rendita di 50.000 lire. A parte le considerazioni umoristiche di carattere tecnico che si potrebbero fare, basta aver presente che l’autonomia della persona può stabilire rapporti indefiniti (vedi sopra) con le cose, sicché non mette per sé limiti al patrimonio. I limiti — ripetiamo — verranno contingentemente, tanto quanto lo postulerà in modo assoluto il bene comune.

6) Se il diritto di proprietà è postulato dalla natura è logico si tenda a procurare al massimo una proprietà anche modesta a tutti gli uomini. I quali tutti intendono in sé la voce della natura. Ed è bene ricordare che questa è la migliore difesa contro i forsennati rivolgimenti sociali. Un uomo ragionevole non odierà mai l’ordine che a lui pure ha assicurato un posto al sole.

7) L’eredità non è che la necessaria conseguenza dell’esercizio di proprietà. Quanto dote di questa è la donazione tra i vivi, altrettanto lo è la disposizione in caso di morte. Ossia: il diritto di testare colla conseguenza logica di ereditare, coincide talmente col diritto di proprietà che quanto è naturale questa, lo è quello. Non può essere quindi toccato più di quanto è intoccabile il diritto di proprietà. Tutto è troppo collegato. Ciò vale dell’eredità per testamento: parrebbe non valere per l’eredità ab intestato (senza testamento). Ma questa beneficia per lo meno della analogia con quella, inoltre è legata al concetto naturale di unità e continuità fisica, morale, ideale e personale delle famiglie. È verissimo che il diritto d’eredità mette al mondo una quantità di molto privilegiati, di orgogliosi inutili, di insulsi fannulloni, di viziosi parassiti, ma non per suo difetto bensì per il cumulo di difetti con cui gli uomini guastano e non moderano le buone istituzioni. – Tutto ciò potrà suggerire molti ed opportuni provvedimenti, legittimati da vere esigenze assolute del  bene comune, ma non potrà giustificare la negazione draconiana di un istituto di natura, proprio quello che più di tutti garantisce alla società uomini che non debbano sempre cominciare daccapo. Le esplosioni, generose e precipitose possono far dir cose che la serena razionalità non approva.

8) Finalmente la proprietà è la sola che può garantire alla persona (di cui è conseguenza) la indipendenza effettiva ossia l’autonomia pratica. Non è dignitoso per l’uomo che debba tutto ricevere da altri, sia pure dallo Stato e sia pure per legge motivata dalla volontà del legislatore, ma non dal diritto della persona. Egli deve poter bastare a se stesso, disponendo di se stesso. Senza una proprietà è chimerica l’autonomia; è, almeno parzialmente, uccisa la personalità. Ogni uomo deve tendere e vi tende di fatto quando ha coscienza di sé, a non aver bisogno dell’orfanotrofio, dell’ospedale, della colletta caritativa, del qualunque ente assistenziale sia pure la maternità e infanzia. Tenderà a percepire i frutti delle istituzioni assicurative, ma di quelle sa trattarsi di roba sua che gli viene restituita. L’uomo d’onore — e non è superbia — nulla teme quanto il dover stendere la mano e chiedere l’elemosina. Abolite il diritto di proprietà e, se non proprio tutto, molto diventa elemosina. – È indegno pensare ad un mondo di mendicanti. Insisto su questo, poiché se fosse abolita la proprietà privata, anche avendosi il dovere da parte di enti di dare determinate contribuzioni, queste non essendo debite in nome di un diritto assoluto, rimarrebbero sempre, anche ad onta del titolo di lavoro, delle palliate elemosine. – Tutte queste conseguenze del diritto di proprietà, non fanno che ricordare un principio: l’uomo persona è talmente subordinato al suo corpo, quindi ai beni sensibili, che senza di essi rimane frustrata di fatto l’autonomia della sua stessa persona. Ora al mondo non ci sono, interessanti per noi, che degli uomini, delle persone. Il rimanente non è che riflesso, derivazione, ombra di quelle. Che è mai che dobbiamo preferire, l’uomo o la sua ombra? Le grandi parole non danno corpo alle ombre. – Ecco il pensiero del Santo Padre: « La dignità della persona umana esige dunque normalmente come fondamento naturale per vivere il diritto all’uso dei beni della terra a cui risponde l’obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata possibilmente a tutti ».

4. – I nemici della personalità

Elenchiamo qui i principali.

1) Il peccato. La legge di Dio rappresenta la più sapiente conservazione dell’armonia interna ed esterna dell’uomo. L’ha fatta Colui che ha creato l’uomo e sa bene commensurare tra loro le cose. La legge è la disposizione migliore alla conservazione ed al raggiungimento perfetto del fine. La legge divina è lo scettro trasferito dal dispotismo dei sensi e dei miraggi irrazionali alla persona. Nessuno serve come quando pecca: nessuno si deforma come allora. La legge di Dio è dunque la grande tutela della personalità; il peccato che la viola è il primo nemico della persona del suo ordine, del suo perfezionamento, del suo valore sociale.

2) L’eccessiva imitazione. L’autonomia personale porta — chi non lo vede? — ad essere « se stessi ». Non dunque una stampigliatura, una brutta copia, una pura imitazione. Persona ed eccessiva imitazione idiota, si oppongono tra loro come il giorno e la notte. Parliamo di eccessiva imitazione: accogliere il buon esempio, saper cumulare, servirsi dell’utile confronto cogli altri, tener l’occhio ai modelli, ai pionieri, ai coraggiosi, ai Santi è altra cosa: quella è necessaria imitazione. La mancanza di coscienza della libertà degli altri — e molte convenienze sociali presso di noi ne peccano — finisce col moltiplicare la forza del rispetto umano spingendo ad imitare in tutto supinamente e spesso bestialmente. Il mondo della moda e delle mode, gli ambienti fatti di sciocchi garruli, di facili irrisori, di annoiati esibizionisti, sono eccellenti per trasformare gli uomini e le donne in macchine di imitazione. Il cosiddetto mondo brillante ne è un’officina e ben pochi se ne salvano. – Dal punto di vista strettamente sociale si osservi che tutte le forme troppo spettacolari e la tirannia di certa propaganda orchestrano proprio la supina imitazione.

3) L’eccessivo ordine. L’ordine è buono e necessario, ma per gli uomini che sono essenzialmente liberi e dotati di una inestinguibile iniziativa intellettuale, non può andare al di là d’un certo limite. Che là diventa geometria, formula, meccanica, automatismo insensato, bagno di incoscienza, ossia morte della personalità. Quando s’ammira una parata in cui tutti sono vestiti allo stesso modo, camminano allo stesso modo, si scaldano allo stesso modo in movimenti complessi ma armonizzati, tutto è a base di segnalazioni elettriche, di scatti automatici, con maestri d’orchestra e folla di cerimonieri, si può anche rimanere entusiasti e per qualche istante sognare un mondo in cui tutto cammini come in quella parata. Ma la vita è un’altra cosa ed ognuno esperimenta che se la parata serve agli occhi, il qualunque umile momento della vita stessa postula di poter fare quanto pare e piace sia pure in un onesto margine. La scelta non è dubbia: al refettorio ognuno preferisce la propria sala da pranzo, al dormitorio la propria camera da letto, al campanello il canto del gallo o altro di libera elezione, all’uniforme il proprio vestito. Abitualmente, s’intende! Nessuno ama salutare sempre al segnale d’attacco, marciare in formazione e chiedere come in collegio a qualcuno il permesso di far quello che occorre. Troppe gerarchie, troppi uffici, troppe burocrazie, troppi permessi, troppi ordini fanno un mondo da operetta, in cui si sta bene per qualche ora, dopo di che tutti sbuffano e non ne possono più. L’errore sta nel volere utopisticamente universalizzare quello che è eccellente per un varietà, per l’ora della siesta, per il giorno di vacanza, per la cerimonia delle particolari occasioni, per la fiera dei baracconi. Gli ingenui che commettono quell’errore e sognano ordine su ordine, organizzazione su organizzazione, cataplasmo su cataplasmo, cerotto su cerotto applicato al povero mondo certamente matto ed artritico, sono in numero non disprezzabile. Ma il troppo ordine uccide l’uomo che è libero. Poco dopo muoiono anche i sistemi immortali.

4) L’eccessivo limite. Il « limite » cui alludiamo è quello della legge, e del precetto. Troppo dell’una e dell’altro sono invasione indebita nel campo lasciato alla libera elezione umana, riducono l’autonomia, la persona. Il voler regolare proprio tutto e in tutti i particolari è mania pericolosa, è ossessione frenetica, è solletico di reazioni violente. – La sapienza del legislatore è quella di legiferare il meno possibile, ossia non oltre quello che è veramente richiesto dal bene comune; l’arte di comandare è anche quella di servirsi il meno possibile dell’autorità. Questo non è liberalismo, è solo misura; neppure è debolezza, è solo discrezione. La discrezione nel regime degli uomini è la prima forza, dato che la legge non entra in loro a spintoni e bastonate ma solo per un fatto intellettivo e volitivo, per un fatto di convinzione morale.

5) La superficialità. Con essa non si raggiunge mai il secondo piano delle cose, quello più vero. La caratteristica della persona — l’abbiamo pur visto — è la razionalità. Ufficio dell’intelligenza è entrare nella realtà: « intus legere ». Non rimane dunque quello che deve essere, se non scende in profondità. La superficialità, col decoro dell’intelligenza, toglie il decoro alla persona. La superficialità dei singoli diventa superficialità degli ambienti, dell’opinione pubblica: è una piaga sociale, è l’abdicazione collettiva dei diritti della persona. Allora hanno buon gioco gli avventurieri, i mestatori che fanno poi in sé collezione dei diritti altrui.

6) La banalità. È la consuetudine colle cose volgari, colla maleducazione. Permea lo spirito, il criterio, il modo di parlare. Vi si giunge comodamente per la via della trasandata povertà, per il costume della miseria, per il connaturato senso del bisogno e dell’inferiorità. Insomma avvicina al materiale in tutti i sensi: è parziale morte dello spirito, della sua elevatezza, finezza e dignità. Collo spirito muore la persona. Questa turba che cammina tra un lazzo e l’altro, tra una ostentazione impudica ed un appetito carnale, tra il consueto gesto appropriatore d’egoismo felino ed il viso stemperato e sciolto, forma una visione funebre. Tutta questa gente che, così, chiusa e ristretta nella vita dozzinale più dozzinale ancora pei rivoltanti confronti, non ha più bisogno di bastare a se stessa, ma ha imparato ad essere popolo d’un immenso orfanotrofio (è la gloria dei regimi materialistici qualunque nome portino) e attende sempre da qualcuno la sua misera pappa, e il suo divertimento, il mezzo per dimenticare e non pensare, che mette al mondo figli per avere un sussidio, fa una profonda pietà. È la pietà che si prova ai funerali allorché è morto un padre e rimangono dei figli di nessuno. Ai tempi antichi la politica del « panem et circenses » fece questa folla banale, ai nostri… molti hanno la tentazione di ricominciare.

5 . La drammatica scelta: o persona o cose

Le considerazioni condotte fin qui fanno intendere quanta ragione vi sia nella affermazione del Papa, per cui la persona ed il suo rispetto si trovano al centro delle questioni umane.

I termini della scelta

Tutto ha concorso a delimitare nei contorni l’assoluto e sovrano risalto della persona. In opposizione si fa rimarcare quello che è non persona, le cose, concrete ed astratte, individue e collettive, sostanze ed accidenti, azioni e passioni. Tra queste cose stanno il progresso, l’organizzazione, la macchina, la tecnica, la produzione, il consumo, il commercio, l’industria, e, meglio, l’industrializzazione di un paese. « Cose » tutte che costituiscono un miraggio particolare, elettrizzano, fanatizzano. Ora la persona da una parte, queste « cose » dall’altra, sono i grandi termini della scelta. Il mondo avvenire è chiamato ad eleggere: qui sta la sua più grande crisi, la sua più veemente tentazione, il più fatale pericolo.

Quale dei due termini?

Ma è così grave la scelta? Perché è grave? Forse che la scelta dell’un termine rappresenta la morte dell’altro? Persona e cose sono certamente entrambe necessarie alla vita del mondo. È vero: un termine non esclude l’altro di per sé, anzi il secondo è per il primo. È l’esagerazione mostruosa dell’uno che può uccidere l’altro; è in ragione di questa elefantiasi che la scelta si fa greve ed il pericolo fatale nel suo errore. – Supponiamo tra le « cose » si adori il progresso, l’ideale di una organizzazione industriale super-potente in ordine alle trasformazioni stesse dell’economia e in ordine ad una supremazia, o almeno ad una contesa politica. Supponiamo che a questo ideale cui taluno potrebbe ritenere legato l’età dell’oro, la gloria della patria, la conquista di una egemonia mondiale, si intenda — e a tal punto è logico — sacrificare tutto. Ecco allora i sistemi bestiali per il rendimento dell’uomo, ecco il calcolo delle masse come numeri, ecco l’automatismo, ecco l’oblio della ragion morale, dei diritti della cultura e della umanità, ecco ove occorra il mondo fatto caserma, ecco la ragion suprema d’un progresso senza volto e senza nome travolgere tutto. Che rimane dell’uomo-persona? Nulla. È un mostruoso pleroma in cui tutto si inabissa. A questo punto è chiaro che il secondo termine uccide il primo.

Che significhi uccidere il primo termine

Sacrificare la persona umana è capovolgere il mondo. No, non è l’uomo fatto per le cose, ma le cose sono fatte per l’uomo. Non è l’uomo per l’industria, per la grande industria, per l’esaltazione fanatica del potere politico che uno Stato acquista col dominio della grande industria, ma sono, al contrario, l’industria e lo stato stesso per l’uomo. Non è l’uomo pei fatti superficialmente splendidi come sono i primati, ma sono i primati per l’uomo. Dio ha fatto le cose del mondo per l’uomo, la saggezza umana non può spingere le cose in senso inverso, che a prezzo di diventare pazzia rovinosa. Che sarebbe un mondo pieno di officine superbe ove le macchine imperassero col volto di ferro e l’espressione senza pensiero e senza amore, ma gli uomini fossero ridotti all’alveare, al formicaio, all’arena del mare senza libertà, senza valore, senza cielo e senza terra? Che sarebbe se le grandi ragioni di questo progresso divorassero i figli alle madri e la maternità fosse la fabbrica a sua volta dei figli per le macchine, e queste ancora chiedessero il sangue, la guerra per esplodere verso la produzione o per spazzare a questa qualche barriera? È forse giunto il momento in cui l’uomo deve capitolare innanzi alle « cose » di suo dominio? Non sarebbe forse questa l’ultima nemesi al suo orgoglio? Ma dunque che si deve scegliere? »

La tentazione

La scelta è angustiosa. La guerra iniziatasi il 2 settembre 1939 ha inasprito l’imbarazzo. Gli stati che hanno sacrificato tutto — così ragionano taluni — alla loro industrializzazione, hanno rivelato una potenza meravigliosa e suggestionante, alla quale gli eventi devono fare largo. Chi ha detto così ha concluso troppo presto. Dopo che la Russia fu in grado di inferire dei colpi ben duri al suo grande avversario alcuni ingenuamente pensarono che a questo mondo per esser qualcosa bisogna assolutamente imitare la Russia. Chi ha detto così si è dimenticato per lo meno metà dei dati di fatto. Dopo che la resistenza industriale nella guerra parve indicare una intelaiatura economica superba in Russia, molti si chiesero se per caso nel mondo civile non si fosse sempre sbagliato e solo, invece, tra le steppe si fosse visto giusto. Costoro devono aver dimenticato che cosa sia solo una parte del benessere umano. Costoro se avessero visto un orso ammaestrato ballar per bene avrebbero colla stessa logica potuto concludere esser meglio far l’orso che non l’uomo. Il sogno, il grande sogno di metter a posto questo gregge umano inquadrandolo nel ferro, per correggerne il poco valore col ferro e sentir risuonare ovunque e solo l’immensa opera, dalle immense cifre, questo sogno ha la sua suggestione. Allora si dice: è necessario per ciò collettivizzare? Si collettivizzi. È necessario sottrarre dei diritti, della proprietà, accentrare per raggiungere nella condensata manovra lo sforzo propulsore immenso? Ebbene si sottragga, si elenchi, si accentri. È necessario che l’uomo non pensi, non adori Dio, non abbia un ambiente morale, non sia più puramente padre, puramente figlio…? Ebbene sia automa, sia empio, sia sacrilego, sia adultero, sia bastardo!

La scelta

Dunque che si fa? La verità obbiettiva, la logica indice della gerarchia dei valori, la parola sicura del Papa rispondono: anzitutto salvare la persona; le cose per l’uomo non l’uomo per le cose; le cose assunte e misurate dai bisogni dell’uomo, non l’uomo misurato dalle esigenze delle cose. Insomma, se la troppa industria, il troppo trionfo del progresso materiale chiedessero la testa dell’uomo, tra la persona e l’uomo, non c’è da esitare, si sceglie l’uomo. – Questa è la vera grande scelta del domani. Noi sappiamo che cosa optare. Questa indicata opzione, netta, precisa, evidente nella sua intrinseca ragionevolezza, costituisce un principio fondamentale, assoluto ed inderogabile, una posizione irremovibile dalla quale si ha il coraggio di animosamente difendere fino all’ultimo l’umano equilibrio del domani. La voce del Papa è l’unica che abbia veramente posto il problema e l’abbia risolto. Il criterio formidabile che si leva dalla scelta impedisce di cedere a sogni chimerici, a patteggiamenti con forme politiche il cui dolce belato si sa fare tanto innocente e che invece logicamente sfociano nel mostruoso capovolgimento anti-umano. Lo stesso criterio rende attento a porre nei programmi le — in fondo — ridicole offe che appartengono in sostanza proprio a quanto la coscienza umana e cristiana respinge. È essenziale ridurre i grandi dilemmi alle poche inequivocabili parole, nette, ischeletrite, per evitare i contorni vaghi nei quali finisce tanto l’inutile buona fede degli ingenui, quanto la criminale mala fede dei truffatori.

Anzitutto: salviamo l’uomo.

Ricordiamo che la persona col suo essere creato tale da Dio, colla sua fisionomia e i suoi diritti, coi suoi rapporti e le sue finalità ugualmente segnati da Dio, rappresenta una legge, su cui tutto deve essere misurato, criteriato, magari espunto, coraggiosamente contro ogni immediato interesse e contro ogni rispetto umano; esattamente come ci si deve comportare colle grandi leggi del Decalogo Divino.

LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (3)

MESSA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE (2021)

MESSA della PURIFICAZIONE DELLA VERGINE (2021)

Doppio di 2″ classe. – Paramenti bianchi.

La festa delia Purificazione chiude il Ciclo santoriale del Tempo dopo l’Epifania. È una delle più antiche solennità della Vergine, ed occupava a Roma, nel VII secolo, il secondo posto dopo l’Assunta. Questa festa si celebra il 2 febbraio, poiché, volendo sottomettersi alla legge mosaica, Maria doveva andare a Gerusalemme, 40 giorni dopo la nascita di Gesù (25 dicembre – 2 febbraio) per offrirvi il sacrificio prescritto. Le madri dovevano offrire un agnello, o, se i loro mezzi non lo permettevano, « due tortorelle o due piccioni ». La Santa Vergine portò con sé a Gerusalemme il Bambino Gesù; e la processione della Candelora, ricorda il viaggio di Maria e di Giuseppe da Betlemme al Tempio, alfine di presentarvi « l’Angelo dell’alleanza » (Ep., Intr.), come aveva predetto Malachia. Le Messe dell’Annunciazione, dell’Assunta, della Natività di Maria, dell’Esaltazione della Santa Croce e della Candelora erano accompagnate una volta dalla processione. Questa ultima sola resta. La Purificazione, alla quale la Madre del Salvatore non era obbligata, perché ella partorì in modo straordinario, passa in secondo piano nella liturgia ed è la Presentazione di Gesù che forma l’oggetto principale di questa festa. Rileggiamo la 1° orazione della benedizione delle candele, per comprendere il simbolo della lampada del santuario e dei ceri benedetti in questo giorno, e per ben. conoscere l’uso che bisogna farne al letto del morenti, nelle tempeste e nei pericoli che può incorrere il «nostro corpo e la nostra anima sulla terra e sulle acque ». Se la Purificazione cade in una domenica privilegiata, la festa si celebra il giorno dopo; tuttavia la benedizione delle candele si fa prima della Messa della Domenica.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

BENEDIZIONE DELLE CANDELE

Il celebrante, terminata l’ora di Terza, rivestito di stola e piviale violaceo, con i Ministri, procede alla benedizione delle Candele, poste dal lato dell’Epistola, e stando in piedi dice:

V.: Dóminus vobiscum

R.. Et cum spiritu tuo.

Oratio. –

Domine sancte, Pater omnipotens, ætérne Deus, qui omnia ex nihilo creasti, et jussu tuo per opera apum, hunc liquórem ad perfectiónem cèrei venire fecisti: et qui hodierna die petitiónem justi Simeónis implésti: te humiliter deprecàmur: ut has candélas ad usus hóminum et sanitàtem córporarm, et animàrum, sive in terra, sive in aquis, per inocatiónem tui sanctissimi nóminis, et per intercessiónem beàtæ Mariæ semper Virginis, cujus hodie festa devòte celebrantur, et per preces omnium sanctórum tuórum, benedicere, et sanctificàre dignéris: et hujus plebis tuæ, quæ illas honorifice in manibus desiderat portare, teque cantando laudare, exaudias voces de cœlo sancto tuo, et de sede majestatis tuæ: et propitius sis òmnibus clamàntibus ad te, quos redemisti pretioso sanguine Filli tui, Qui tecum vivit ….

[Orazione. – O  Signor santo, Padre onnipotente, eterno Dio, te che tutto creasti dal nulla e mediante l’opera delle api, per comando tuo, facesti si che d’una molle sostanza si potessero formare dei ceri; te che oggi compisti i voti del giusto Simeone, noi ti supplichiamo di benedire e santificare queste candele, destinate ad uso degli uomini, a salute dei corpi e delle anime, sia in terra che sulle acque, mediante l’invocazione del tuo santissimo nome, l’intercessione della beata Maria sempre Vergine, di cui oggi si celebra devotamente la festa, e le preghiere di tutti i tuoi Santi. Di questo popolo tuo, che brama portare queste candele in mano in tuo onore e lodarti coi suoi canti, esaudisci le preghiere dai cielo e sii propizio a tutti quelli che t’invocano e che hai redento col sangue prezioso del Figlio tuo: Il quale teco vive e regna… – Cosi sia.]

Oratio –

Omnipotens sempitèrne Deus, qui hodiérna die Unigénitum ulnis sancti Simeónis in tempio sancto tuo suscipiéndum presentasti: tuam sùpplices deprecàmur cleméntiam; ut has candélas, quas nos fàmuli tui, in tui nóminis magnificéntiam suscipiéntes, gestàre cùpimus luce accénsas, benedicere, et sanctificàre, atque lùmine supérnæ benedictiónis accèndere dignéris: quàtenus  eas tibi Domino Deo nostro offerendo, digni et sancto igne dulcissimse caritàtis tuæ succénsi, in tempio sancto gióriæ tuæ repræsentàri mereàmur.

Per eùmdem Dóminum nostrum. – Amen.

[Orazione. – Onnipotente ed eterno Dio, che oggi presentasti il tuo Unigenito nel tempio santo tuo per essere ricevuto tra le braccia del santo Simeone, noi preghiamo supplichevoli la tua clemenza affinché queste candele, che noi tuoi servii ricevendole al gloria del tuo santo nome bramiamo portare accese, benedica e santifichi. Degnati di accenderle con il fuoco della benedizione celeste, di modo che, con l’offrirle a te, Signore e Dio nostro, degni e accesi dal santo fuoco  della dolcissima carità, meritiamo di essere presentati nel tempio della tua gloria! – Per il medesimo Signor nostro. – Cosi sia.]

Oratio. –

Dòmine, Jesu Christe, lux vera, quæ illùminas omnem hominem veniéntem in hunc mundum: effùnde benedictiónem tuam super céreos, et sanctifica eos lùmine gràtiæ tuæ, et concede propitius; ut, sicut hæc luminària igne visibili accénsa noctùrnas depéllunt ténebras; ita corda nostra invisibili igne, id est, Sancti Spiritus splendóre illustrata, omnium vitiórum cæcitàte càreant: ut, purgato mentis óculo, ea cernere possimus, quæ tibi sunt plàcita, et nostræ saluti utilia; quàtenus post discrimina, ad lucem indeficéntem pervenire mereàur. Per te, Christe Jesu, Salvator mundi, qui in Trinitate perfécta vivis et regnas Deus, per omnia sæcula sæculórum. Amen.

[O Signore Gesù Cristo, luce vera, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, benedici questi ceri e santificali con il lume della tua grazia. Concedi propizio che, come questi lumi accesi da un fuoco visibile fugano le tenebre, cosi i nostri cuori, rischiarati da un fuoco invisibile, cioè dalla luce dello Spirito Santo, siano liberi della cecità di ogni vizio, onde, purificato l’occhio della nostra mente, possiamo discernere quelle cose che sono gradite ed utili alla nostra salvezza, di modo che dopo le caliginose vicende di questo secolo, meritiamo di pervenire alla luce indefettibile. – Per te, Gesù Cristo, Salvatore del mondo, che nella Trinità perfetta vivi e regni Dio nei secoli dei secoli. – Cosi sia.]

Oratio. –

Omnipotens sempiterne  Deus, qui per Moysen fàmulum tuum purissimum ólei liquórem ad luminaria ante conspectum tuum jùgiter concinnànda præparàri jussisti: benedictiónis tuæ gratiam super hos céreos benignus infùnde: quàtenus sic administrent lumen exterius, ut, te donante, lumen Spiritus tui nostris non desit méntibus intérius.

Per Dóminum… in unitàte ejùsdem Spiritus Sancti.  Amen.

[Orazione. – Onnipotente eterno Dio, che per mezzo di Mosè tuo servo, comandasti di preparare un purissimo olio per alimentare continuamente lumi davanti alla tua maestà, infondi benigno la grazia della tua benedizione sopra questi ceri, affinché, mentre procurano la luce esterna, per tuo dono non manchi alle nostre menti la luce interiore del tuo Spirito. Per il Signor nostro… in unione dello stesso Spirito Santo. – Cosi sia.]

Oratio. –

Dòmine Jesu Christe, qui hodiérna die in nostræ carnis substàntia inter hómines appàrens, a paréntibus in templo es præsentàtus: quem Simeon veneràbilis senex, lumine Spiritus tui irradiàtus, agnóvit, suscépit, et benedixit: præsta propitius; ut ejùsdem Spiritus Sancti gràtia illuminati atque edócti, te veràcitar agnoscàmus, et fidéliter diligàmus: Qui cum Deo Patre in unitàte ejùsdem Spititus Sancti vivis et regnas Deus, per omnia sæcula sæculórum. Amen

[Orazione. – O Signore Gesù Cristo, che oggi, mostrandoti fra gli uomini nella sostanza della nostra carne, fosti presentato al tempio dai parenti e dal vecchio venerabile Simeone, illuminato dalla luce del tuo Spirito, fosti riconosciuto, preso (fra le sue braccia) e benedetto, concedi propizio che, illuminati ed ammaestrati dalla grazia dello Spirito Santo conosciamo veramente e amiamo fedelmente Te, che con Dio Padre in unità dello stesso Spirito Santo vivi e regni Dio, per tutti i secoli. – Così sia.]

Il Celebrante pone l’incenso nel turibolo, asperge d’acqua benedetta le candele, dicendo l’Antifona: Asperges me senza il Salmo e dopo le incensa. Allora si avvicina all’Altare il più degno del Clero e porge la candela al Celebrante, il quale la riceve stando in piedi e senza baciargli la mano. Poscia il Celebrante distribuisce le candele cominciando dal più degno del Clero, poi ai Ministri sacri, agli altri del Clero e da ultimo ai laici. Tutti ricevono la candela genuflessi e baciano la candela e la mano del Celebrante, eccetto i Prelati.

Antifona: Lumen ad revelatiónem géntium: et glóriam plebis tuæ Israel.

Cant. – ibid., 29, 31.

Nunc dimittis servum tuum, Domine, secùndum verbum tuum in pace.

Ant. – Lumen…

Quia vidérunt óculi mei salutare tuum.

Ant. – Lumen…

Quod parasti ante fàciem omnium populórum.

Ant. – Lumen…

Glòria Patri et Filio et Spiritui Sancto.

Ant. – Lumen…

Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen.

Ant. – Lumen…

Ant. – Ps. XLIII, 26. Exsurge, Dòmine, àdjuva nos: et libera nos propter nomen tuum

Ps. – Ibid., 2. Deus, àuribus nostris audivimus: patres nostri annuntiavérunt nobis. f. Glòria Patri.

– Exsùrge …

[Sorgi, o Signore, aiutaci e liberaci per il tuo nome. Aiutaci e liberaci per il tuo nome. Sai. – O Dio, abbiamo sentito con le nostre orecchie i nostri padri ci raccontarono i prodigi da te operati a nostro favore. – f. Gloria al Padre. Sorgi…]

Oratio. –

Exàudi, quæsumus, Dòmine, plebem tuam: et, quæ extrinsecus annua tribuis devotióne venerari, intérius àssequi gràtiæ tuæ; luce concède. Per Christum Dóminum nostrum. R. Amen.

[Orazione. – Esaudisci, ti preghiamo, o Signore, il tuo popolo: e ciò che gli concedi di venerare esteriormente con annua devozione, concedi pure di conseguire interiormente con la luce della tua grazia. Per Cristo nostro Signore. Cosi sia.

Quindi si fa la Processione: prima, però, il Celebrante pone l’incenso nel turibolo, poi il diacono rivolto al popolo dice:

V. Procedamus in pace.

R. In nomine Christi. Amen.

Precede il turiferario, segue il Suddiacono, che porta la croce fra ceroferari, poi il Clero ed ultimo il Celebrante col Diacono alla sinistra; tutti portano le candele accese e si cantano le seguenti Antifone:

Ant. – Adórna thàlamum tuum, Sion, et sùscipe Regem Christum: amplectere Mariam, quæ est cœlestis porta: ipsa enim portat  Regem gloriæ novi luminis: subsistit Virgo, adducens manibus Filium ante luciferum génitum: quem accipiens Simeon in ulnas suas, prædicàvit pópulis, Dóminum eum esse vitæ et mortis, et Salvatórem mundi.

[Ant. – Adorna il tuo talamo o Sion, e ricevi il Cristo Re: accogli con amore Maria, porta del cielo: Ella infatti reca il Re della gloria, la luce nuova. La Vergine si arresta,

presentando sulle braccia il Figlio, generato prima dell’aurora. Simeone ricevendolo fra le sue braccia, annunzia ai popoli esser Egli il Signore della vita e della morte, il Salvatore del mondo.]

Alia Ant. – Luc. II, 26-29

Respónsum accépit Simeon a Spiritu Sancto, non visùrum se mortem, nisividéret Christum Domini: et cum indùcerent puerum in templum, accepit eum in ulnas suas, et benedixit Deuin, et dixit: Nunc dimittis servum tuum, Dòmine, in pace.

t . Cum indùcerent pùerum Jesum paréntes ejus, ut

fàcerent secùndum consuetùdinem legis prò eo, ipse accépit eum in ulnas suas.

[Altra ant. Altra Ant. – Lo Spirito Santo aveva rivelato a Simeone che non sarebbe morto, prima di vedere l’Unto del Signore: e quando il bambino fu portato al tempio

lo prese fra le sue braccia, benedisse Dio e disse: Ora lascia, o Signore, che se ne vada in pace il tuo servo.

V. Quando i parenti recarono il bambino Gesù, per compiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, Simeone lo accolse fra le sue braccia.]

Nel rientrare in chiesa si canta.

Obtulerunt pro eo Dòmino par tùrturum, aut duos pullos columbàrum: * Sicut scriptum est in lege Dòmini.

f. Postquam impléti sunt dies purgatiónis Mariæ, secùndum legem Móysi, tulérunt Jesum in Jerùsalem, ut sisterent eum Domino. * Sicut scriptum est in lege Dòmini, f. Glòria Patri… * Sicut scriptum est in lege Dòmini.

[Offrirono per lui al Signor un paio di tortore o duepiccoli colombi: come è scritto nella legge del Signore.

f. Compiuti i giorni della purificazione di Maria, Gesù secondo la legge di Mosè, fu portato a Gerusalemme, per esser presentato al Signore: come è scritto nella legge Signore. – f. Gloria al Padre …

Come è scritto nella legge del Signore]

Terminata la Processione, Celebrante e Ministri depongono i paramenti violacei ed assumono i paramenti bianchi per la Messa.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVII: 10-11.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra: le tue opere sono piene di giustizia.]

Ps XLVII:2.

Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus.

Grande è il Signore e sommamente lodevole: nella sua città e nel suo santo monte.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

 [Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra: le tue opere sono piene di giustizia.]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, majestátem tuam súpplices exorámus: ut, sicut unigénitus Fílius tuus hodiérna die cum nostræ carnis substántia in templo est præsentátus; ita nos fácias purificátis tibi méntibus præsentári.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, supplichiamo la tua maestà onde, a quel modo che il tuo Figlio Unigenito fu oggi presentato al tempio nella sostanza della nostra carne, cosí possiamo noi esserti presentati con ànimo puro.]

Lectio

Léctio Malachíæ Prophétæ.

Malach III: 1-4.

Hæc dicit Dóminus Deus: Ecce, ego mitto Angelum meum, et præparábit viam ante fáciem meam. Et statim véniet ad templum suum Dominátor, quem vos quæritis, et Angelus testaménti, quem vos vultis. Ecce, venit, dicit Dóminus exercítuum: et quis póterit cogitáre diem advéntus ejus, et quis stabit ad vidéndum eum? Ipse enim quasi ignis conflans et quasi herba fullónum: et sedébit conflans et emúndans argéntum, et purgábit fílios Levi et colábit eos quasi aurum et quasi argéntum: et erunt Dómino offeréntes sacrifícia in justítia. Et placébit Dómino sacrifícium Juda et Jerúsalem, sicut dies sǽculi et sicut anni antíqui: dicit Dóminus omnípotens.

[Questo dice il Signore Iddio: Ecco, io mando il mio Angelo, ed egli preparerà la strada davanti a me. E subito verrà al suo tempio il Dominatore che voi cercate, e l’Angelo del testamento che voi desiderate. Ecco, viene: dice il Signore degli eserciti: e chi potrà pensare al giorno della sua venuta, e chi potrà sostenerne la vista? Perché egli sarà come il fuoco del fonditore, come la lisciva del gualchieraio: si porrà a fondere e purgare l’argento, purificherà i figli di Levi e li affinerà come l’oro e l’argento, ed essi offriranno al Signore sacrifici di giustizia. E piacerà al Signore il sacrificio di Giuda e di Gerusalemme, come nei secoli passati e gli anni antichi: così dice Iddio onnipotente.]

Graduale

Ps XLVII:10-11;9.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ.

 [Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra.

V. Sicut audívimus, ita et vídimus in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus.

V. Ciò che sentimmo, ora lo abbiamo visto: nella città del nostro Dio, nel suo monte santo. Alleluia, alleluia.

Allelúja, allelúja.

V. Senex Púerum portábat: Puer autem senem regébat. Allelúja.

V. Il vecchio portava il Bambino: ma il Bambino reggeva il vecchio. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc II: 22-32.

In illo témpore: Postquam impleti sunt dies purgatiónis Maríæ, secúndum legem Moysi, tulérunt Jesum in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino, sicut scriptum est in lege Dómini: Quia omne masculínum adapériens vulvam sanctum Dómino vocábitur. Et ut darent hóstiam, secúndum quod dictum est in lege Dómini, par túrturum aut duos pullos columbárum. Et ecce, homo erat in Jerúsalem, cui nomen Símeon, et homo iste justus et timorátus, exspéctans consolatiónem Israël, et Spíritus Sanctus erat in eo. Et respónsum accéperat a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi prius vidéret Christum Dómini. Et venit in spíritu in templum. Et cum indúcerent púerum Jesum parentes ejus, ut fácerent secúndum consuetúdinem legis pro eo: et ipse accépit eum in ulnas suas, et benedíxit Deum, et dixit: Nunc dimíttis servum tuum, Dómine, secúndum verbum tuum in pace: Quia vidérunt óculi mei salutáre tuum: Quod parásti ante fáciem ómnium populórum: Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.

[In quel tempo: Compiutisi i giorni della purificazione di Maria, secondo la legge di Mosè, portarono Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge di Dio: Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore; e per fare l’offerta, come è scritto nella legge di Dio: un paio di tortore o due piccoli colombi. Vi era allora in Gerusalemme un uomo chiamato Simone, e quest’uomo giusto e timorato aspettava la consolazione di Israele, e lo Spirito Santo era in lui. E lo Spirito Santo gli aveva rivelato che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore. Condotto dallo Spirito andò al tempio. E quando i parenti vi recarono il bambino Gesù per adempiere per lui alla consuetudine della legge: questi lo prese in braccio e benedisse Dio, dicendo: Adesso lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola: Perché gli occhi miei hanno veduta la salvezza che hai preparato per tutti i popoli: Luce per illuminare le nazioni e gloria del popolo tuo Israele.]

OMELIA I

PURIFICAZIONE DELLA VERGINE

(B. Bossuet: LA MADONNA DISCORSI – V. Gatti ed. , Brescia, 1934

N. H: P. Guerrini cens. Eccl. Brescia 19 Maggio 1934

Imprimatur Brixiæ, die 19 Marialis 1934

ÆM. Bongiorni, Vic. Gen.)

Postquam impleti sunt dies purgationis eius secundum legem Moysi, tulerunt illum in Jerusalem ut sisterent eum Domino: sicut scriptum est in lege Domini.

(Luca, II, 22-23).

Teodosio imperatore diceva, che nulla vi è di più maestosamente regale di un principe che si riconosce obbligato alla legge. Il genere umano non potrà mai ammirare spettacolo più grande di quanto contempla la giustizia in trono: né potrà immaginare nulla di più maestoso ed augusto che l’accordo tra potenza e ragione, che felicemente fa concorrere all’osservanza della legge, il comando e l’esempio. Spettacolo meraviglioso un principe ossequiente alla legge come fosse l’ultimo dei sudditi: ma certo più ammirabile il contemplare un Dio sottomettersi alle leggi ch’Egli stesso dettò alle sue creature! Ci sarebbe possibile comprendere di più l’obbligo che ci lega alla legge, che considerando il mistero d’oggi, in cui un Dio si sottomette alla legge per dare all’umanità un luminoso esempio di obbedienza? Oh Dio quanto sei ammirabile nei tuoi disegni! Cristo Gesù viene a perfezionare la legge mosaica, che sostituirà con una economia di perfezione divina, ma fino a che la legislazione ebraica rimarrà in vigore Egli rispetterà il nome e la persona rivestita dell’autorità legale: la osserverà Egli stesso la legge e vorrà la osservi fedele la sua Madre divina. Ed allora, ditemi, non dovremo noi osservare, con religiosa esattezza, i precetti che il Cristo, apportatore di lieta novella, scrisse più col Sangue suo che colla parola e l’insegnamento? – Nella festa d’oggi non saprei quale omaggio migliore possa render un sacerdote alla sua missione, che mostrare a tutto il suo popolo come tutti ed ognuno abbiamo dovere di dipendenza da Dio e dalla sua legge universale e suprema! Sento di doverlo fare e certo riuscirò a rendervene convinti se la Vergine che oggi a noi mostrasi esempio di obbedienza alle prescrizioni legali, mi verrà in aiuto: invochiamola insieme con una Ave Maria! – Fra le diverse leggi che governano la natura, se vogliamo porre un rapporto troviamo subito che vi è una legge che guida ed una che costringe: una che ci tenta e seduce. Nelle Sacre Scritture, nei comandi del Signore, si vede la legge di giustizia che ci dirige: negli affari che ci premono, nelle vicende che attraversiamo necessariamente ogni giorno, nelle tristi condizioni della nostra povera umanità quotidianamente esperimentiamo la cruda necessità di una legge, vorrei dire fatale, che ci violenta. Anzi in noi stessi, nelle nostre membra e nel nostro spirito, è un imperioso allettamento che ci seduce, più ancora ci trascina o spinge al male: la confessava l’Apostolo questa legge, che egli chiama legge del peccato, che è continua tentazione alla nostra fragile natura d’uomini. Leggi diverse che ci impongono tre diversi modi d’azione: se vogliamo corrispondere fedelmente alla grazia della vocazione alla fede del Cristo, dobbiamo lasciarci guidare docili dai precetti che ci guidano, elevarci al di sopra delle tristi necessità che ci premono, resistere fortemente agli assalti del senso che ci inganna. – Gesù, la Vergine santa, il vecchio Simeone, Anna la profetessa vedova, ci insegnano tutto ciò nella festa di questo giorno: il vangelo della Messa ci riporta le loro parole ed i loro atti per inspirare il nostro modo d’agire verso le leggi che abbiamo constatate. Il Verbo incarnato e la sua santa Madre si sottomettono ai precetti che Dio aveva dato al suo popolo. Simeone, vecchio d’animo forte, che ormai nulla più tien legato alla vita, accettando tranquillo la legge della morte, si strappa alle necessità della vita, imparandoci a considerarle come legge inevitabile a cui dobbiamo adattarci con coraggio. Ed Anna, penitente e mortificata, ci mostra nei suoi sensi domati la vittoria sulla legge del peccato. Esempi memorabili d’una potente efficacia, che mi offrono l’occasione di mostrarvi oggi come dobbiamo noi tutti sottometterci alla legge della verità che ci guida: come dobbiamo sfruttare la legge della necessità che ci incatena, resistere infine alla voce del male che ci tenta ed alla legge del peccato che ci tiranneggia.

1° punto.

La libertà è nome caro, dolce ma insieme nome il più lusinghiero ed ingannatore tra tutti quelli che si usano tra gli uomini. Le rivolte, i tumulti, le sedizioni, il disprezzo e la violazione delle leggi nacquero sempre e crebbero nel nome dell’amore o del diritto alla libertà. Hanno gran quantità di beni gli uomini.. ma di nessuno abusano tanto quanto di questo gran dono: la libertà: e proprio tra tutte le cose che conoscono, la libertà è quella che conoscono meno e svisano di più. Vi faccio subito vedere un’aberrazione, che pare un paradosso: noi non perdiamo mai tanto la nostra libertà, come quando la vogliamo esageratamente estendere: e noi non sappiamo meglio conservarla che imponendole termini fissi entro cui si agiti: come conseguenza vi dirò che la vera libertà sta nella sottomissione alle leggi giuste. Se parlo del dono, e lo dico grande, della libertà, voi capite subito, o Cristiani, che accanto alla vera libertà, ve n’è una falsa: lo possiamo ben capire dalle stesse parole del Salvatore che ci avvisa: « si vos Filius liberaverit, tunc vere liberi eritis ». Sarete veramente liberi se avrete la libertà data dal Figliol dell’Uomo. (Giov., VIII). Nel dire: veramente liberi, parla di vera libertà; dice quindi, che ve n’è una falsa… una maschera di libertà! Egli vuole pertanto che le nostre aspirazioni non siano volte ad ogni forma di emancipazione ed indipendenza, ma alla vera libertà: libertà degna di questo nome sacro: quella cioè che a noi fu data dalla sua grazia e dalla sua dottrina: « tunc vere liberi eritis ». Non ci inganni dunque né il nome né l’aspetto della libertà: bisogna imparar subito a sceverare il vero dal falso. Perché lo possiamo nettamente, o Cristiani, vi descrivo tre sorta di libertà, che possiamo ben trovare nelle creature: la prima è la libertà degli animali; la seconda quella dei ribelli; la terza è la libertà dei sudditi e dei figlioli. – Sembra che gli animali siano completamente liberi perché nessuno detta loro alcuna legge: i ribelli credono di esserlo perché scuotono ogni giogo: i figlioli ed i sottomessi, i figli di Dio sono i veramente liberi, perché umilmente si sottomettono all’autorità della sua legge. Questa è la vera e la sola libertà: non ci sarà difficile il provarlo, quando proveremo che le altre due non sono affatto libertà.

La libertà dei bruti — veramente, fratelli, io mi sento arrossire in viso, chiamandola così — sento che avvilisco questo nome sacro! È vero: gli animali non hanno legge alcuna che reprima e limiti i loro appetiti, o li diriga: ma il perché è questo: Essi essendo privi di intelligenza non sono nemmeno capaci della direzione della legge. Sono guidati da un istinto cieco, e vanno dove questo li spinge, senza direzione né  criterio… Vorreste voi dirlo libertà un istinto cieco e brutalmente irruente che non è neppur suscettibile di norma e di guida, di freno? Oh figli d’Adamo che un Dio fece a sua immagine e somiglianza… non permetta questo Dio, che vi attragga questa libertà e vi adattiate ad amarla una libertà così vergognosa ed umiliante! Eppure… cosa sentiamo noi ogni giorno dalla bocca della gente del mondo? non sono quelli che trovano inutili le leggi, che tutte le vorrebbero abolite, tranne quelle dettate dal loro io a se stessi e dai loro desideri senza freno? Sarebbe molto piccolo il passaggio per costoro ad invidiare la libertà del bruto e dell’animale selvaggio, ormai essi non accettano altra legge che quella dei loro desideri!… Oh povera natura umana quanto vieni prostituita! Sentiamo però, o Cristiani, la parola del dotto Tertulliano: egli: che ben aveva compresa la dignità umana, scriveva nel secondo libro contro Marcione, un vero capolavoro di dottrina e di alto parlare, questa sentenza : « Era necessario che Dio desse all’uomo delle leggi, non per togliergli la libertà data, ma per dargli prova di stima. « Legem… bonitas erogavit, quo Deo adhæreret, ne non tam liber quam abiectus viveretur ». Davvero sarebbe stata atroce offesa alla nostra natura la libertà di vivere senza legge: Dio avrebbe mostrato tutto il suo disprezzo per l’uomo se non si fosse degnato di regolarlo dettandogli norme di vivere. L’avrebbe posto al livello dei bruti, ai quali non dà leggi e li lascia vivere senza freni, non per altro che per il disprezzo che ne ha, dice lo stesso Tertulliano. Ed allora quando gli uomini si lamentan della legge loro data, e braman una vita senza freno né guida, spinta solo dai loro ciechi desideri, bisogna proprio dire col Salmista che hanno perduto l’idea ed il concetto d’onore e della dignità della natura umana, se bramano essere uguagliati ai bruti! « Homo curri in honore esset, non intellexit, comparatus est jumentis insipientibus et similis factus est illis » (Ps., XLVIII). Cieca insipienza, descritta da un amico del paziente Giobbe : — Vir vanus in superbiam erigitur, et tamquam pullum onagri se liberum putat natum.— L’umano sciocco è irragionevole, portato da stolta superbia, crede, come il puledro dell’asino selvatico, d’esser nato in libertà! Osserviamo, fratelli, i sentimenti dei peccatori, (furono tante volte anche i nostri), quando ciechi si tengono a guida il loro capriccio, la loro passione, la collera, il piacere, la sbrigliata fantasia: e mordono il freno e ricalcitrano contro ogni legge e non vogliono sopportar dettami che li guidino o regolino! Si stimano d’esser nati in piena libertà, non come gli uomini però, ma come gli animali…i più indomiti… i figli dell’asino selvatico, che non vogliono né redini né sella né una mano che li guidi!Oh uomini, no, no, non dobbiamo considerarci cosi vergognosamente bassi! È vero: siamo nati liberi: ma la libertà non deve essere abbandonata a se stessa, sotto pena di vederla degenerare nel libertinaggio che è il carnefice della vera libertà. Abbiamo bisogno di legge, perché noi abbiamola ragione e siamo suscettibili di indirizzo, di guida di norme che ci regolino: ed il Salmista Io domanda al Signore quando prega per il popolo eletto: « Manda, o Signore, un legislatore al tuo popolo, perché le genti conoscan ch’essi sono uomini» (Ps., XX) … date loro prima Mosè che guiderà la loro fanciullezza…; darete poi il santo Legislatore, Gesù Cristo che, fatto adulto il popolo, lo ammaestrerà nella vostra legge, lo condurrà per la via della perfezione!… Mostrerete così che voi sapete che il vostro popolo è fatto d’uomini… creature vostre da Voi fatte a vostra immagine e somiglianza e le cui opere e costumi volete modellati su di una legge che è vostra parola, eterna verità. Ma se è necessario assolutamente che Dio, Creatore dell’uomo, gli dia una legge, è necessario insieme però che la volontà umana vi si sottometta pienamente.Ecco allora la Vergine che nel mistero di questo giorno ci dà luminoso esempio di obbedienza perfetta. Pura come il raggio del sole, Ella si sottomette umile alla legge della purificazione. Anzi Ella porta al tempio lo stesso Salvatore, perché la legge lo comanda, ed Egli non disdegna, Egli autore della legge, innocente sottoporsi alle prescrizioni dettate per i sudditi nati nella colpa. Ci insegnino questi esempi che la dobbiamo veramente amare la nostra libertà… ma amarla sottomettendola a Dio, persuasi che le sue leggi non la inceppano ma la fanno più perfetta più sicura. Quando da l’una e dall’altra parte d’un fiume si costruiscono gli argini né si vuol fermare il fiume, né ostacolarlo nel suo corso, anzi, impedendogli di spargersi nelle campagne e sparire, lo si fa scorrere nel suo letto e correre tranquillo al mare!Alla stessa guisa quando le leggi a destra ed a sinistra stringono la nostra libertà, non la distruggono ma la incanalano, e mentre le impediscono di deragliare, le fanno seguir la via giusta che deve battere per riuscire dono benefico alla nostra natura: non la si fa schiava, la si guida…: non la si costringe, la si dirige. La distruggono coloro soltanto che stornandola dal suo corso naturale, il fine cioè per cui Dio ce la donò, l’allontanano dal bene sommo a cui tende.Ecco allora, o fratelli, che la vera libertà ci viene data e conservata da Dio e dalla nostra dipendenza da Lui. Il rifiutare obbedienza, o miei cari, alla legge ed autorità di Dio, non è libertà ma ribellione, non è emancipazione ma insolenza! Apriamo gli occhi, apriamoli con coraggio, o fratelli, e vediamo quale sia la vera libertà nostra: siamo fatti liberi non per scuotere il giogo, ma per portarlo con onore, portandolo volontariamente. Abbiamo la libertà ma essa non deve essere la licenza di fare il male, ma di fare il bene pur potendo abusarne e fare il male, perché facendo noi liberamente il bene, questo ridondi a nostro onore e gloria: liberi non per rifiutare a Dio il nostro servizio, ma per servirlo volontariamente e farcelo, per così esprimerci, riconoscente, debitore come il padrone verso il servo fedele! Senza confronto noi siamo più sottoposti a Dio di quanto un fanciullo può essere sottoposto all’autorità di suo padre. Che se, osserva Tertulliano, Dio donandoci la libertà in un certo modo ci emancipò, non volle certo renderci indipendenti: lo fece perché, volontaria la nostra dipendenza, per libera nostra elezione gli rendessimo quanto per dovere gli dobbiamo e così i nostri servigi fossero meritevoli di ricompensa. Ecco perché siamo liberi, o fratelli. Ma, oh Dio. quale abuso tra gli uomini di questo dono del cielo! Come ha ragione il grande Papa Innocenzo IV, quando lamenta « che l’uomo è stranamente ingannato dalla sua stessa libertà — sua in æternum libertate deceptus! » Altro non vuol dire il Santo Pontefice che l’uomo non volle, non seppe distinguere tra libertà ed indipendenza, e non ricordò che esser libero non voleva dire essere senza padrone: mentre l’uomo è libero come il suddito sotto il legittimo principe, il figlio sotto l’autorità paterna.Egli invece volle esser libero fino a disconoscere la sua condizione e perdere completamente il rispetto: la sua fu la libertà del ribelle mentre doveva essere quella d’un buon figliolo e d’un suddito fedele.

La potenza di Colui contro del quale si alza sfacciato non permette che il ribelle gusti a lungo la sua licenza… È S. Agostino che parla. Sentite: « Altre volte, io volli essere libero a questo modo…e accontentai i miei desideri, seguii le mie folli passioni! Ma ahi triste libertà… facendo quello che volevo ruinavo là dove non avrei voluto » (Conf., VIII, V). Eccovi fedelmente ritratto il domani di tutti i peccatori! Consideriamo questo uomo troppo libero, di cui vi ho parlato fino ad ora, che nulla mai nega né al capriccio né alla passione: sprezza e spezza ogni vincolo di legge: ama ed odia, si vendica a seconda che ve lo spinge il suo umore tetro o lieto lasciando correre il suo cuore dove il piacere l’attira: credere spirare un’aria di piena libertà perché corre a destra ed a sinistra coi suoi desideri incerti e vaghi…e chiama libertà quello che è traviamento, proprio come i fanciulli che fuggiti da casa credono esser liberi e non sanno dove fuggano e vadano. Si stima libero il peccatore, stima questo far quel che vuole, libertà; ma quanto lo tradisce questa maschera di libertà: nel fare a suo modo, fatto cieco, precipita là dove non avrebbe voluto scendere affatto. Perché, o signori miei, in un governo perfetto la legge non può essere senza la forza della sanzione: le sue leggi sono forze armate, e chi le disprezza ne prova subito i colpi. Il folle che contro Dio, nel disprezzo della sua legge, vuole usare la sua libertà, per fare quel che gli garba, s’accumula sul capo le condanne che più dovrebbe temere: la terribile e giusta vendetta dell’Onnipotente disprezzato…la morte eterna. Basta… cessa o temerario ribelle dalla tua insolente libertà che non può salvarti dall’ira del sovrano che offendi, comprendi che con questa libertà tu fai a te stesso pesanti catene, e poni sul. tuo collo un giogo di ferro che non potrai più scuotere: ti condannerai tu stesso ad una umiliante schiavitù mentre credi estender folle la tua indipendenza fino fuori del diritto di Dio.Che ci resta a fare allora, o fratelli? se non vivere sempre ed ogni giorno nella dipendenza del nostro Dio, certi che disprezzando i suoi comandamenti non potremmo mai sfuggire ai suoi castighi? L’Apostolo ci avverte di temere il Principe, perché non per nulla porta la spada: dovremo più ancora temere Iddio che non per nulla è giusto e onnipotente ed inutilmente non fa risuonare le sue minacce. Sto parlando, ed è onore, davanti a Sovrani: impariamo come render il nostro omaggio a Dio, da quanto facciamo verso l’autorità terrena che nell’immagine. Non fa ognuno di noi, nella obbedienza alla legge, sua la volontà del Principe? Non è vero che ci teniamo onorati di potergli prestare i nostri servigi e vorremmo quasi prevenirne i desideri? Più ancora, il suddito fedele non ritiene onore grandissimo dar la sua vita per il suo re?Stimiamo bella ogni occasione per dimostrare questa nostra disposizione d’animo: e questi sentimenti sono giusti e legittimi. Al di sopra del Re, non c’è che Dio; dopo di Dio il principe è la suprema autorità nella società civile, e tiene nelle sue mani la forza per l’esercizio della sua autorità. Non viene da tutto questo, come legittima conseguenza, che sarebbe assurdo vergognoso il ritener il Principe di più di Dio, e si negasse a Dio l’onore e l’obbedienza data al Principe? Il rappresentante sarebbe più onorato del Sovrano assoluto. Impunemente non si offende il principe, poiché tiene la spada in mano e si fa temere… e non gli si resiste. Parlando del Re, Salomone dice che egli scopre ogni segreto complotto… « gli uccelli del cielo tutto gli riferiscono » tanto che si vorrebbe quasi dire che prevede e preannuncia fatti e cose, le indovina, tanto difficilmente gli si può nascondere qualcosa: « Divinatio in labiis regis ». Allunga ed allarga le sue braccia, continua Salomone, e va a scovare i suoi nemici nelle profonde caverne in cui avevan pensato sfuggire alla sua potenza: la sua apparizione li mette in scompiglio e la sua autorità li schiaccia. (Eccles. Prov.). E se tanta forza ammiriamo nella debolezza della persona umana, quanto non dovremo tremare davanti alla Maestà suprema di un Dio vivente ed eterno! La più grande potenza del mondo non può andar più in là, in fin dei conti, di togliere la vita al suddito… Non occorre poi un grande sforzo per far morire un uomo mortale… togliere qualche momento ad una vita che li ha contati, e da sé corre verso l’ultimo suo istante. Che se temiamo tanto chi può toglierci la vita del corpo, e tolta questa non può più nuocerci, quanto più, insiste il Salvatore, quanto più dovrete temere Colui che può, anima e corpo, precipitarvi nella geenna eterna!…Osservate però, fratelli… quale cecità impressionante!…non solo vogliamo resistere a Dio, ma ci troviamo gusto a resistere ed opporci alla sua volontà! Aberrazione e rivolta più laida contro Dio non la si può pensare: la legge ch’Egli pose perché fosse argine e ritegno ai nostri pazzi desideri, li stuzzica e li provoca li fa più forti. Più una cosa è vietata e più ci sentiamo tirati a farla: mentre il dovere, ci si presenta come una tortura: ciò che la ragione dice buono, non ci piace quasi mai, e par quasi che quello che facciamo contro la legge sia più saporito e divertente: i cibi proibiti nel giorno dell’astinenza ci appaiono più appetitosi e saporiti « è il peccato che, ingannandoci con una falsa dolcezza, ci fa riuscire tanto più gradita una cosa quanto più ci è proibita ». Pare quasi che il nostro io, si stizzisca contro la legge perché è contraria ai nostri desideri, e ci troviamo un certo gusto a vendicarci facendole dispetti, anzi il tentare di imporci un freno od un argine, è proprio un provocarci a romperlo con più audacia ed astio! Era questo strano contrasto della nostra anima che faceva dire all’Apostolo che il peccato si serviva proprio della proibizione per sedurlo: « Peccatimi, occasione accepta per mandatimi, seduxit me » (Romani, VIII). Quanto siamo mai ciechi, o Signore, e quanto sista lontana dalle tue leggi sapienti, l’arroganza umana… se lo stesso tuo comandarci ci stimola a disobbedirti!Oh venite Voi, o Maria Vergine cara, venite col vostro Gesù, Gesù e Maria venite e col vostro esempio piegate gli indocili nostri cuori! Chi vorrà pensarsi dispensato dall’obbedienza quando un Dio si fa obbediente alla legge? Quale pretesto cercheremo per sottrarci alla legge, davanti alla Vergine che si presenta per essere purificata, e che sapendosi pura d’una purezza angelica non si crede dispensata da una legge che per lei era proprio inutile? Se la legge dettata da Mosè, ch’era servo come noi, esige obbedienza così esatta ed universale, quale obbedienza piena e perfetta non dovremo noi alla legge dettata e comandata dallo stesso Figlio di Dio? Davanti a queste riflessioni ed a questi esempi, l’infingardaggine nostra non può più aver né scuse né pretesti… giù la testa! Anzi non contenti di fare quanto Dio comanda, mostriamogli la disposizione della nostra volontà in far quanto è suo piacere, sempre. Ciò vi propongo nell’altra parte del mio discorso, in cui per non essere lungo, unirò il secondo ed il terzo punto della mia divisione adducendo per essi lo stesso ragionamento e le medesime prove.

II° e III°  punto.

Fratelli, tra le cose che Dio esige da noi, osserviamo questa differenza: alcune che dobbiamo fare dipendono dalla nostra scelta: altre invece non hanno nessun rapporto colla nostra volontà, è Dio che arbitrariamente agisce per la sua potenza assoluta. Spieghiamoci: Dio vuole, ad es. che noi siamo giusti, retti, moderati nei nostri desideri, sinceri nel nostro parlare, costanti nelle azioni nostre; ci vuole pronti a perdonare le offese e non vuole assolutamente ne facciamo agli altri. In queste ed altre simili cose che vuole da noi, e che non sono che la pratica della sua legge e dei suoi precetti, la nostra volontà è per nulla affatto forzata. Se disobbediamo, Egli ci punisce, è vero, e non possiamo sfuggire al castigo, ma però possiamo disobbedire: ci pone davanti la vita e la morte lasciandoci liberissimi nella scelta. – In questo modo domanda l’obbedienza dell’uomo ai suoi comandamenti; come se essa fosse effetto della sua scelta e della sua propria determinazione. -Vi sono invece, altri eventi, che decidono della nostra fortuna e della nostra vita, e che sono disposti e guidati dalla mano segreta della sua provvidenza. Essi sono fuori dell’ambito del nostro potere e spesso perfino della nostra previsione, cosicché nessuna mano, per quanto potente, può arrestarne o mutarne il corso, secondo la frase di Isaia (LV): « I miei non sono i vostri pensieri: come è distaccato il cielo dalla terra, tanto e di più sono lontani i miei pensieri dai vostri » ed altrove: « Sarà fatto ogni mio volere e raggiungerà il suo sviluppo ogni mio discorso ». « Consìlium meum stahìt et omnis voluntas mea fiet ». Davanti alla causa di questa differenza, io sento che non sarebbe giusto die Dio lasciasse tutto alla mercé della nostra volontà, lasciandoci arbitri di noi e di quanto ci riguarda; mentre è giustissimo che l’uomo senta che vi è una forza superiore alla quale deve sottostare e cedere. È questo il perché di un duplice ordine di cose: quelle che vuole che facciamo noi, scegliendocele; altre che facciamo accettandole dalla necessità che ce le impone. È così che sono disposte le vicende umane: nessuna di esse però, per quanto ben preparata da prudenza, protetta da forza, sarà così sicura da non poter essere turbata da accidenti imprevisti che ne interrompono o deviano l’andamento. La Suprema Potenza dell’universo non vuol permettere vi sia un uomo, per quanto grande e potente, che possa disporre a suo piacimento della sua sorte e delle sue fortune, molto meno della sua salute e della sua vita. Piacque al Signore disporre tutto così, perché  l’uomo esperimenti quotidianamente questa forza superiore di cui vi parlo: forza divina ed inevitabile che talvolta, non lo nascondo, si rallenta e quasi si adatta alla volontà nostra, ma sa anche, quando lo voglia, opporre tale resistenza che contro di essa tutto s’infrange, e, nostro malgrado, ci fa servire ai piani della divina Provvidenza, in ogni pensiero e atto nostro. Arbitro Supremo, Iddio ha diviso le cose nostre così che alcune restano in nostro potere ed altre in cui, senza punto guardare a noi, solo consulta il suo piacere: perché se da un lato possiamo usare della nostra libertà, sentiamo dall’altro che abbiamo un forte dovere di dipendenza. Non ci vuole padroni assoluti: anzi vuole sentiamo che la sua padronanza c’è e s’esercita, tanto e quanto e dove Egli vuole perché ci guardiamo bene dall’abusare di questo dono della libertà. Se dolcemente ci invita, comprendiamolo bene, non è che ove voglia non sappia e non possa costringerci colla forza, no, ma vuole che temiamo sempre questa sua forza anche quando ci fa provare la sua dolcezza. È Lui, proprio Lui, che semina la nostra vita di avvenimenti ed eventi che ci infastidiscono, che contrariano la nostra volontà, che troppo attaccata a se stessa giunge alla licenza. E lo fa, perché  completamente domati, docili, sottomessi a Lui, ci possa innalzare alla vera sapienza. Non v’è prova più evidente di una ragione esercitata e sicura che il saper resistere alle proprie brame. Vedete: l’età in cui meno si ragiona si è anche meno capaci di moderar le proprie brame di vincerci… è l’età del capriccio. Se nei fanciulli la volontà fosse così fissa e costante quanto è ardente non potremmo più arrestarli né calmarli nelle loro voglie. Vogliono quel che vogliono: non stanno a veder se sarà utile o di danno, basta che piaccia ai loro occhi! se siano essi od altri i padroni, non importa nulla, basta che piaccia a loro che lo desiderano, lo vogliono: essi si credono padroni di tutto. Provate ad opporvi… il loro viso si accende ed infiamma, un tremito convulso li agita, pestano i piedi, piangono, anzi non è neppure pianto il loro, è un gemito, un riso, è un grido in cui c’è preghiera stizza, brama e dispetto: esponenti di un ardore di desiderio frutto della loro debolezza ed incapacità di ragionare. Fanno così i fanciulli!… ma se ci guardiamo intorno, dovremo confessare: quanti fanciulli nel mondo… fanciulli bianchi per antico pelo, fanciulli di cent’anni!… sono uomini in cui è violenza nel desiderio debolezza nel ragionare. Perché l’avaro vuole quanto brama senz’altro diritto che il suo interesse? L’adultero, che Dio tante volte maledice, che diritto ha alla moglie del prossimo se non la sua concupiscenza che è cieca? Non sono fanciulli che credono che per avere basti la loro voglia e il loro capriccio? Ma c’è una differenza tra il fanciullo e questi fanciulli: in quello là, natura, lasciando rallentate le redini alla violenta inclinazione, pone un altro freno: essi sono deboli ed incapaci di ottenere quel che vogliono: in questi altri — vecchi fanciulli — i desideri impetuosi non ostacolati dalla debolezza, divampano terribili se la ragione non li imbriglia e guida. – Conchiudiamo, fratelli, che vera scienza e vera sapienza è il saper moderarsi: man mano che si sa domare la violenza del proprio desiderio, si dà prova che si allontana dalla puerizia e fanciullezza e si diventa ragionevoli. « Diremo uomo maturo, vero saggio quello che, dice il dotto Sinasio, non si tiene in dovere di accontentare ogni brama od ogni desiderio… ma tutti guida e domina i suoi desideri secondo i suoi doveri ed i suoi obblighi, e ben conoscendo la fecondità della natura nelle voglie cattive, taglia e di qua e di là, come buon giardiniere, quanto trova, non solo guasto o secco, ma quanto vede superfluo, non lasciando crescere rigoglioso che quanto può dare frutti di vera sapienza ». Dite bene, vorreste oppormi che gli alberi non si lagnano né soffrono di questi tagli dei loro rami inutili o superflui, mentre la nostra volontà strilla e reclama quando si rintuzzano i suoi desideri: quindi, è difficile trovar il coraggio di tagliar sul proprio io. È vero: non tutti hanno il coraggio del Santo Vecchio, o della vedova Anna, di cui ci parla il Vangelo d’oggi, che agivan contro se stessi nella mortificazione e lottavan contro la legge di peccato che è nei nostri sensi: ecco però che il Signore viene in nostro aiuto. Sorgente prima ed universale del disordine in noi è l’attaccamento nostro alla nostra volontà: non possiamo contraddirci, anzi troviamo più facile opporci a Dio che al nostro io. Bisogna allora togliere questa radice guasta, sradicarla questa pianta infetta che dà frutti guasti, e con uno sforzo violento: pensiamo che essa è la causa della nostra sventura ed è tutta colpa nostra… Va bene! ma ed il coraggio? dove andremo a prenderlo questo coraggio di applicare ferro e fuoco ad una parte così delicata e sensibile del nostro cuore? Il malato vede che il suo braccio incancrenito lo porta alla morte, vede che bisogna tagliarlo ma da solo non lo sa fare: alla sua incapacità viene in aiuto il chirurgo, che fa un triste servizio ma pur necessario e salutare. Anch’io vedo che l’attacco al mio volere mi porta a dannarmi, perché fa vivere tutti i miei desideri malvagi: lo so, lo confesso. Ma confesso anche che non ho né coraggio né forza di armar la mia mano del coltello e tagliare… Ecco il Signore: viene e fa Egli il chirurgo che taglia e salva: viene accanto a noi in certi incontri ed avvenimenti dolorosi, inattesi ed inopportuni eventi, contrarietà insopportabili ed ingiuste, diciamo noi… sono i ferri chirurgici disposti dalla sua Provvidenza, e con essi attacca, abbatte e doma la nostra volontà che dalla libertà va alla licenza, risparmiandoci così di esser noi violenti contro noi stessi. Quasi la immobilizza la nostra volontà perché non sfugga al colpo doloroso ma salutare… e taglia, e profondamente penetra dentro alle nostre carni vive finché noi, costretti dalla sua mano, dalle disposizioni della sua volontà, ci stacchiamo dal nostro io… ed allora siamo guariti… dalla morte torniamo alla vita. – Se noi comprendessimo come siamo composti, e quanto ci lasciamo trascinare dai tristi nostri umori, comprenderemmo bene quanto ci è necessaria questa mano chirurgica. Voglio descrivervi con poche parole lo stato deplorevole della natura nostra. V’è una duplice sorta di mali… alcuni ci affliggono, altri, pare impossibile, ci piacciono: è strana ma purtroppo vera, reale distinzione. Dice S. Agostino che alcuni mali li sopportiamo con la nostra pazienza… e sono quelli che ci affliggono: altri invece li frena e domina la nostra temperanza: questi, continua lo stesso Santo, sono mali che ci piacciono: « Alia quæ per patientiam ferimus, alia quæ per temperantiam refrenamus ». A quanti mah sei esposta, sventurata umanità! Siamo preda a mille infermità: ogni nonnulla basta a darci noia, a farci ammalare… un nonnulla basta a farci morire! Diremmo quasi che una potenza avversa sia schierata contro la povera natura nostra, tanto pare ci trovi gusto a martoriare ogni nostra parte! eppure non è questo il nostro male maggiore: l’avarizia nostra, la nostra ambizione le altre passioni cieche insaziate ed insaziabili sono mali e quanto terribili! sono mali che ci seducono ed attraggono. Ma dove ci avete posto, o Dio? che vita è mai la nostra se ci perseguitano e i mali che ci fan soffrire e i mali che ci allettano e ci piacciono!? Ah me infelice chi mai mi strapperà a questo corpo di morte?… Chi? Ascoltami povero mortale… v’è chi ti libererà: sarà la grazia di Dio, per Cristo Gesù nostro Signore: ce lo dice il suo grande Apostolo, che scrutò le profonde ricchezze dell’amore di Dio. È vero: due sorta di mali ti travagliano; ma ecco che nella sua provvidenza Dio dispone che gli uni siano rimedio agli altri: cioè quelli che ci addolorano servano a moderare quelli che ci piacciono. Quelli a cui siamo costretti per frenare quelli in cui siamo troppo liberi: ogni male che ci viene di fuori, viene per abbattere un male che dentro di noi si solleva contro di noi… i cocenti dolori correggono gli eccessi a cui trasporta la passione sbrigliata… le disillusioni, le pene della vita ci fan sentir nausea dei falsi piaceri e attutiscono il senso troppo vivo del piacere. Non lo nego: la nostra natura, trattata così rudemente, soffre e noi ce ne lamentiamo… ma questa stessa pena nostra è medicina e rimedio, la rigidezza, in cui ci si tiene, diventa un regime curativo benefico. – Abbiamo bisogno, noi figli di Dio, che ci si tratti così fino a che non siam giunti a guarigione perfetta, cioè sia completamente abolita la legge del peccato che regna nelle membra nostre. Dobbiamo sopportare tutti questi mali fino a che non ne siamo corretti… ci occorrono questi mali per tener ritto il nostro giudizio fino a che viviamo in mezzo a tanti beni falsi dei quali, troppo facilmente, siamo portati a godere. Ogni contrarietà è un argine provvidenziale alla nostra libertà che disalvea… un freno alle passioni che tentano sopraffarci. Dio, che conosce quel che davvero ci fa bene, viene e contraria i nostri desideri: così dispose, la natura ed il mondo, e che da essi, proprio da essi, nascano ostacoli insuperabili che s’oppongono ai nostri progetti e sogni. nostra natura: di tutte le spine dei nostri affari: delle ingiustizie di tanti uomini, delle ineguaglianze importune, degli imbrogli del mondo e della vanità dei suoi favori. Per questo sono amati i suoi rifiuti e le sue lusinghe più dolci sono stimate pesanti catene di schiavi! Contraddetti a destra ed a sinistra la nostra volontà, sempre troppo libera, deve finalmente imparare a regolarsi: e l’uomo oppresso e travagliato da ogni parte, finalmente si sente spinto a volgersi al Signore, gridandogli sincero dal profondo del cuore: veramente tu sei, o Dio, il mio Signore: è giusto che la tua creatura serva a Te e ti obbedisca! Sottomettendoci invece alla volontà santa del Signore, una grande pace scende nell’anima nostra… accada che vuole nulla può smuoverci né commuoverci. Ecco: Simeone predice a Maria, appena madre, oscuri mali, immensi dolori; « l’anima tua sarà trafitta da acuta spada, e questo tuo Figliolo, ora tuo gaudio tuo amore, sarà bersaglio di contraddizione ». Cioè il Mondo e l’Inferno, raccolte tutte le loro tristi potenze si scaglieranno contro la sua persona e la sua opera, tentandone la rovina!… Predizione crudele, e tanto più crudele perché vaga… Simeone non predice alcun male in particolare, li lascia pensare e pesare tutti sul cuore. Per me non saprei trovare nulla di più angosciosamente crudo che lo stato di un cuore che si sta sotto l’incubo di una minaccia di mali, e non sa quale… impotente quindi a tentar una fuga un rimedio una difesa… quale?… dove?… – Atterrita, inebetita, quest’anima scruta e cerca e teme tutti ed ogni male: li va quasi scovando fino al fondo… il suo pensiero diventa il suo carnefice… poiché terribilmente atterrita non mette limiti né all’intensità né al numero degli strazi che le si minacciano. – S. Agostino dice che sotto la minaccia del male è già grande conforto il poter sapere da quale male saremo colpiti: saper perfino di qual morte moriamo è meno crudo che agonizzare temendole tutte: « Satius est unam perpeti morìendo, quam omnes timere vivendo ». Eppure Maria ascolta tacendo le terribili predizioni… non una parola di lamento, non una domanda al Vegliardo, che le lacera l’anima con le sue profezie, perché le dica quando, quanto, fino a quando questa spada le trafiggerà l’anima: Ella sa che tutto è disposto e guidato dalla mano di Dio… questo le basta e la sua volontà è subito sottomessa: per ciò non la turba il presente non la atterrisce il futuro. Oh se ancor noi sapessimo abbandonare noi e le cose nostre nelle braccia di quella Sapienza eterna che tutto regge e governa, quale costante tranquillità inonderebbe il nostro spirito: nessuna incalzante necessità, nessuna contraddizione lo saprebbe smuovere e turbare. Se fossimo anche noi come il vecchio Simeone, staccati da noi non avrebbe attrattive la vita, né spauracchi la morte, pur tanto odiosa!… viaggiatori, attenderemmo tranquillamente che lo Spirito del Signore ci inviti a fermarci dal nostro viaggio nel tempo, per entrare alla eternità. Fatto ogni giorno della vita il nostro dovere, come Simeone potremmo dire al Signore ad ogni istante: «Lascia, o Dio, che il tuo servo se ne vada ora in pace ». – Non fermiamoci qui però, o fratelli, nell’imitare il vecchio Simeone: non dobbiamo andarcene da questo mondo prima di aver visto, di esserci incontrati con Gesù: bisogna che possiamo aggiungere a quelle parole le altre: « perché i miei occhi contemplarono il Salvatore, che tu preparasti al mondo prima che fosse alcun popolo ». Il Salvatore promesso, atteso per tanti secoli venne finalmente: brillò la sua luce, ne furono illuminate e genti e nazioni: caddero gli idoli, furon liberati gli schiavi, i figli disobbedienti furono riconciliati col padre, i popoli si convertirono al loro Dio. Non basta fratelli! È venuto per noi questo Salvatore? È il nostro capitano, la nostra guida, la luce che illumina ognuno di noi?… no forse… perché noi non camminiamo per la via segnata dalla sua parola nei suoi precetti… non li osserviamo noi i suoi comandamenti. L’apostolo S. Giovanni potrebbe ancora dire davanti a tanti la parola severa del suo Vangelo (V, 37-38): « Neque vocem eius unquam audistis, neque speciem eius vidistis, et verbum eius non habetis in vobis manens » perché, continua: chi dice di conoscerlo e non ne osserva i comandamenti, è bugiardo « mendax est » ed in lui non è la verità « veritas in eo non est » (II, 4). Chi, tra noi, può dire, con verità, io lo conosco il Cristo, il Maestro? Quale contributo di vita abbiamo dato al suo vangelo? quali sono i vizi corretti, le passioni domate in noi? come usammo fino ad oggi dei beni e dei mali della vita?… quando la mano di Dio diminuiva le nostre ricchezze, abbiamo saputo anche noi diminuire le nostre spese, il nostro lusso?… ingannati dalla fortuna incostante, seppimo con coraggio staccar il cuore da’ suoi beni per attaccarlo a quelli che non sono né in sua mano né in suo potere? Ma ahi, che anche di noi si poté scrivere: « dissipati sunt, non compuncti… — fummo addolorati ma non mutati a bene! » Servi ostinati e caparbi, sotto la stessa sferza che ci voleva correggere e far camminare diritto, noi ci siamo impuntati… ci siamo ammutinati… rimproverati, non ci siamo corretti; abbattuti, non fummo umiliati; castigati, non convertiti! E davanti a questo nostro ritratto, diciamo ancora, se ne abbiamo il coraggio, di aver visto il Salvatore promesso, di aver conosciuto Gesù Cristo… lo Spirito Santo, colla mano di Giovanni, ci chiuderà la bocca: « in te non è la verità, tu sei bugiardo ». Temiamo, o Cristiani, temiamo e tremiamo di morire… poiché non abbiamo ancor visto Gesù, ed ancor non abbiamo tenuto sulle nostre braccia il Salvatore… cioè non ne abbiamo abbracciata la parola, la sua verità i suoi comandi! Infelici coloro che muoiono prima di averlo visto il Cristo Salvatore… quanto spaventosa la loro morte… come terribile il suo avvicinarsi… orribili le conseguenze del suo passaggio e del suo trionfo! In quell’ora svanirà la gloria, ruineranno i sogni ed i progetti… « in illa die peribunt omnes cogitationes eorum » mentre comincerà il loro supplizio…un fuoco eterno s’accenderà per essi: il furore e la disperazione più cruda ne lacereranno l’anima… il verme roditore, che non muore, affonderà più vorace il suo dente velenoso e non si staccherà più!Su fratelli, accorriamo al tempio con Simeone,ci porti lo Spirito del Signore, prendiamoci tra le braccia Gesù… baciamolo con amore… stringiamocelo al cuore perché sia tutto suo questo nostro miserocuore.L’uomo dabbene non tremerà al venire della morte, poiché l’anima ormai più non appartiene a questo corpo mortale: ne è già staccata: poiché gli dominò le passioni, soggiogò i sensi e la carne.La penitenza e la mortificazione gli diedero questo dominio, l’emanciparono e dal corpo e dai suoi sensi… libero tenderà le braccia alla morte che viene quasi le additerà dove gli debba menare l’ultimo colpo!Alle minacce egli risponderà: Morte tu non mi spaventi… per me non sei né crudele, né inesorabile… tu non mi puoi spogliare dei beni che io amo… tu solo mi strapperai questo corpo… questo che è corpo di morte… me ne libererai finalmente, coronando gli sforzi costanti della mia vita con cui mirai giorno per giorno a strapparmi alla sua tirannia!… Nunc dimittis… lascia, o morte, che libero me ne vada al mio Signore! Qual cosa ci sembrerà impossibile, fratelli, per aver una simile morte… gioiosa come un trionfo? Potessimo morire della morte del giusto per aver eterno riposo, il vero riposo che non ci seppero né ci potevano dare i beni della vita… su chiudiamo l’occhio nostro ed il cuore nostro ad ogni bene che ci invita e fugge, per aprirlo solo e sempre nella vita a quei beni che durano e saranno nostri eternamente in seno al Padre, al Figlio e dallo Spirito Santo. Amen.

OMELIA II.

[G. PERARDI: LA VERGINE MADRE DI DIO – Libr. del Sacro Cuore, Torino, 1908]

XIII.

Presentazione di Gesù al Tempio e Purificazione di Maria

ESORDIO: Il fatto evangelico. Semplicità e misteri. — I . PURIFICAZIONE: Maria non v’è tenuta. Mistero di umiltà. Siamo umili. — II. OFFERTA DI GESÙ: 1. La legge dell’offerta. — 2. Come Maria l’adempì. Significato. Il sacrifizio di fsacco. — 3. Ragione della legge. Raggiunge lo scopo coll’offerta di Gesù. — 4. Gesù si offre volontariamente.— 5. Maria è l’altare e il sacerdote. — III. SIMEONE: 1. Chi era. —2. Il cantico — 3. Gloria a Gesù e Maria. — IV. CONCLUSIONE: Imitiamo Maria nell’umiltà.

Dopo Betlemme dobbiamo recarci in spirito a Gerusalemme, ove, quaranta giorni dopo la sua nascita, troviamo il Bambino Gesù e la Madre sua. Per l’intelligenza del fatto bisogna ricordare due leggi mosaiche: la prima riguardante la madre, la seconda riguardante il neonato, se primogenito. La madre doveva presentarsi per la cerimonia della purificazione legale; il neonato, se primogenito, doveva venire offerto al tempio, poi riscattato mediante un’offerta. Altrimenti quel fanciullo avrebbe dovuto prestarsi al servizio divino per tutta la vita. – Maria e Giuseppe si portano al tempio per presentare Gesù al Signore e per fare l’offerta. Allora « era in Gerusalemme un uomo, di nome Simeone, persona giusta e pia, che aspettava la consolazione d’Israele; e lo Spirito Santo era in lui: e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non vedrebbe la morte, prima di vedere il Cristo del Signore. Così per lo spirito andò al tempio. E quando i genitori v’introdussero il bambino Gesù per far di lui secondo il rito della legge, egli pure se lo prese tra le braccia e benedisse Dio, esclamando: Adesso, Signore, rimanda in pace il tuo servo, secondo la tua parola; che gli occhi miei han visto la tua salute, la quale hai disposta al cospetto di tutti i popoli: luce a rivelazione per le nazioni e gloria d’Israele, tuo popolo. E il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che sì dicevano di lui. E Simeone li benedisse, dicendo però a Maria, sua Madre: Ecco, Egli è posto per rovina e per risurrezione di molti in Israele e per segno di contraddizione; e anche a te una spada trapasserà l’anima affinché restino svelati i pensieri di molti cuori. C’era inoltre una profetessa, Anna, figliuola di Fanuel, della tribù d’Aser; molto avanzata in età, vissuta col suo marito sette anni dalla sua verginità. Rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con preghiere e digiuni. Questa dunque sopraggiunse in quell’ora stessa, e dava gloria al Signore, parlando di Lui a quanti aspettavano la redenzione d’Israele » (S. Luca, II, 25-28). Quale semplicità di narrazione è mai questa! Ma quali sublimi misteri offre alla nostra mente. « Misteri venerabili, dice il Bourdaloue, nei quali scopriamo ciò che la nostra Religione ha non solo di più sublime e divino, ma di più edificante e commovente: un Uomo-Dio offerto a Dio, il Santo dei santi consacrato al Signore, il sommo Sacerdote della nuova alleanza in istato di vittima, il Redentore del mondo riscattato; una vergine purificata; e una madre che sacrifica il proprio figliuolo; quali prodigi nell’ordine della grazia » (Sermone II della Purificazione.). No, non vi ha cosa in apparenza più semplice e più sublime in realtà del racconto che il Vangelo ci fa di questi misteri. Consideriamoli brevemente. Ci assista Maria perché possiamo ricavarne frutto di grazia per l’anima nostra.

I. — Il primo fatto su cui dobbiamo raccogliere la nostra considerazione è la Purificazione di Maria. Pronunziando la parola purificazione e applicandola a Maria il nostro cuore prova un senso di ripugnanza, perché sente che la legge della purificazione non era fatta per Maria, la creatura tutta bella, santa, pura, perché sente che le due parole purificazione e Maria contrastano, essendo Maria la Vergine per eccellenza, la Vergine Madre. Ed a Maria perciò si applica con più ragione la parola già indirizzata ad Ester: La legge non è fatta per te. No, la legge della purificazione fatta per le donne ebree, non era per Maria. E perché Maria vi si assoggetta ? Ha Ella forse dimenticato il saluto celeste: Benedetta tu fra le donne? Ha dimenticato d’aver Ella stessa proclamato che tutte le generazioni la chiameranno beata perché in Lei grandi cose aveva operato colui che è potente, Iddio? Non poteva Ella ripetere in questo momento che era beata, che era benedetta, e che era benedetto il frutto del suo seno; che veniva non a cercare la purificazione, ma a recarla al mondo, che veniva non a domandare il riscatto, ma a recarlo? Gl’interessi del suo Figliuolo non parevano forse prescriverle questo, mentre il suo silenzio e la sua condotta parevano derogare alla divinità di Lui e, facendolo passare per figliuolo ordinario, smentivano i tanti prodigi e i tanti oracoli che lo avevano già proclamato Figliuolo di Dio? Così certamente avrebbe pensato ed operato qualunque altra donna: non così pensa Maria. Maria è una creatura al tutto singolare. La sua grandezza è incomprensibile, ha dell’infinito; ma non meno grande è la sua umiltà. Questa virtù che spicca in tutti gli atti della vita di Maria, che abbiamo particolarmente ammirato nel mistero dell’Annunciazione, qui ci si rivela in un nuovo abisso incomprensibile, solo paragonabile alla incomprensibile grandezza di Lei. Ella accordandosi mirabilmente coi disegni di umiliazione e di sacrifizio di suo Figlio, si spoglia di tutte le grandezze, vela le sue glorie per soggettare Sé e Lui alle prescrizioni più umilianti. Scrutate quest’umiltà: Non sono trascorsi ancora undici mesi che Maria riceveva la visita dell’Angelo venuto dal cielo a richiederla del suo consenso alla divina Maternità: Maria tiene in sì alto pregio l’illibatezza verginale che è disposta a sacrificarle pur l’incomparabile grandezza della Maternità divina; e allora soltanto presta il suo consenso. Quando è assicurata che la sua verginità non patirà alcun detrimento, che quello che avverrà sarà dello Spirito Santo, che la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata. Ora nella purificazione Maria dimostra un amore, direi, ancor più grande dell’umiltà. Se per amore della verginità era disposta a rinunziare all’onore di Madre di Dio; ora per amore dell’umiltà si spoglia di tutte le grandezze, vela tutte le glorie, sacrifica lo stesso onore esterno della sua verginità. È la Vergine Madre di Dio: si umilia a segno da non comparire né Madre di Dio, né vergine, si umilia a comparire bisognosa di purificazione come un’altra donna qualsiasi. Quant’è ammirabile l’umiltà di Maria! Impariamo da questo fatto il dovere nostro di mortificare la superbia e praticare fedelmente l’umiltà se vogliamo essere veri devoti di Maria, imitandone quelle virtù ch’Essa ha particolarmente amato e praticato. Maria si assoggetta alla cerimonia della purificazione, offre le due piccole colombe pel sacrifizio, le due vittime che, se avessero potuto comprenderlo, si sarebbero stimate felici di essere offerte. Andate, piccoli animali, innocenti vittime, andate a morire per Gesù sinché Egli possa morire per noi.

II . — Il secondo fatto che dobbiamo considerare è la presentazione di Gesù al Tempio, cioè l’offerta di Gesù all’Eterno Padre.

1° Maria, purificata, si avanza nel tempio. « Quale indescrivibile commozione dovette provare Maria, rivedendo quel luogo confidente dei pensieri e dei fervori della sua fanciullezza? Lì Ella aveva passati lunghi giorni nella preghiera, aveva votato la sua verginità al Signore, e aveva accettato la mano di Giuseppe, ornata di gigli, per proteggere i suoi. Quante cose celesti erano passate da un anno appena; e adesso vi ritorna a presentare il Figliuol suo, l’Emanuele » (Lemann, La Vergine Maria, etc.). L’offerta del primogenito che gli Ebrei dovevano fare a Dio, si collegava con la loro liberazione dalla schiavitù d’Egitto e coll’uccisione di tutti i primogeniti degli Egiziani. L’indomani di questo prodigio Dio, per mezzo di Mose promulgava la legge : Consacratemi tutti i primogeniti tra i figli d’Israele, poiché ogni cosa mi appartiene (Es. XIII, 2). Or Gesù, Figlio di Dio, appartiene veramente a Dio, anche come uomo. Sia dunque offerto a Lui. – Quando Iddio dispose che alla tribù di Levi fossero affidate le cure del culto riformò la legge dell’offerta dei primogeniti disponendo che, dopo d’averli offerti, i genitori li potessero riscattare mediante cinque sicli d’argento (circa 15 lire). Giuseppe e Maria offrono Gesù al Padre e lo riscattano coi cinque sicli d’argento. Oh Maria, riscattatelo pure il vostro Gesù! non lo avrete per lungo tempo; lo vedrete rivenduto per trenta denari.

2° Maria, coll’offrire Gesù non ha compiuto soltanto una cerimonia. Essa conosceva la grandezza dell’offerta: era l’offerta vera e reale di Gesù all’eterno Padre pel sacrifizio che il divin Figliuolo avrebbe offerto un giorno, della sua vita, sul Calvario. Quale sacrifizio pel cuor di Maria, pel cuor della Madre! – Un giorno Abramo ed Isacco ascendevano il monte Moria per offrire a Dio un sacrifizio. Isacco, che portava la legna per l’altare, domanda al padre: Dov’è la vittima dell’olocausto? E Abramo, col cuore lacerato da immenso dolore, non ebbe animo di rivelare ad Isacco ch’egli stesso era la vittima designata e si contentò di rispondere: Iddio stesso ci provvedere la vittima per l’olocausto (Gen. XXII). Noi ammiriamo l’eroica ubbidienza di Abramo, la sua perfetta sottomissione al cenno divino. Ma osserviamo pure che Dio domandò il sacrificio di Isacco non alla madre Sara, ma al padre. Una madre meditando questo fatto ebbe a dire che Dio non avrebbe chiesto un simile sacrificio ad una madre. Quello di cui Sara non sarebbe stata capace, compì Maria coll’offerta di Gesù al Tempio. Il sacrificio di Gesù non doveva consumarsi che più tardi sul Calvario: Nel tempio però Maria dà il suo consenso e offrendolo, in certo modo, dispone la vittima sull’altare. Maria aveva certamente coscienza di questo grande mistero nel momento in cui Ella lo compiva: «Se di fatto gli Ebrei illuminati intendevano in un senso spirituale quello che celebravano corporalmente, con ben maggior ragione Maria, la quale aveva il Salvatore tra le braccia e lo offriva con le sue mani all’eterno Padre, doveva eseguire quella cerimonia in ispirito ed unire la sua intenzione a ciò che era rappresentato dalla figura, vale a dire all’oblazione santa del Salvatore per tutto il genere umano. Pertanto nella guisa medesima che nel giorno dell’Annunciazione aveva prestato il suo consenso all’Incarnazione del Messia, che era argomento dell’annunzio angelico: così ratificò, per così esprimerci, in questo giorno il trattato della sua passione, poiché questo giorno n’era figura e come primo apparecchio » (Bossuet, Sermone III sulla festa della Purificazione). Perciò in questo giorno riscatta il Redentore; ma lo riscatta in figura per darlo poi in realtà; lo riscatta temporaneamente e quasi sotto condizione per allevarlo in vista del sacrificio, per essergli in esso compagna e dividerlo con Lui.

3° L’offerta di Gesù va considerata ancora sotto un altro aspetto per intendere tutto il disegno divino. E l’ha fatto con un’insuperabile maestà di vedute un grande oratore francese (Bourdaloue, Serm. II sulla Purificazione di Maria) che scrisse: « Dio voleva che in ogni famiglia il primogenito gli fosse offerto perché gli rispondesse di tutti gli altri e fosse come un ostaggio della dipendenza di quelli de’ quali era il capo. Ma ciascuno di questi primogeniti non era capo che della sua casa e la legge di cui si parla non obbligando che i figliuoli d’Israele, a Dio non ne poteva venire che un onore limitato, circoscritto. Che fa Iddio? Nella pienezza dei tempi elegge un uomo capo di tutti gli uomini, la cui oblazione gli è come un tributo universale per tutte le nazioni e per tutti i popoli: un uomo che ci rappresenta tutti e che sostenendo a nostro riguardo l’ufficio di primogenito risponde a Dio di lui e di noi, a meno che abbiamo l’audacia di sconfessarlo o che siamo così ciechi da separarcene: un uomo, infine, in cui tutti gli esseri riuniti rendano a Dio l’omaggio della loro sottomissione e che, mediante la sua obbedienza, rimetta sotto l’impero di Dio tutto ciò che il peccato ne aveva sottratto: ed anche su questo è fondato il diritto di primogenitura che Gesù Cristo deve avere al di sopra di tutte le creature: Primogenitus omnis creaturæ (Col. I, 15). « Dico di più: Tutte le creature, prese anche insieme, non avendo alcuna proporzione coll’Essere divino, e, come parla Isaia, non essendo tutte le nazioni, che una goccia d’acqua innanzi a Dio, un atomo, un nulla, perciò qualunque sforzo facessero per attestare a Dio la loro dipendenza, Dio non poteva essere pienamente onorato, e nel culto che riceveva restava sempre un vuoto infinito che tutti i sacrifici del mondo non avrebbero potuto riempire. Occorreva un soggetto grande come Dio, e che col più stupendo prodigio possedendo da una parte l’infinità dell’essere, e dall’altra parte mettendosi in istato di venire immolato potesse dire a tutto rigore di parola, che Egli offriva a Dio un sacrificio eccellente quanto Dio stesso, e che nella sua persona sottometteva a Dio non vili creature, non poveri schiavi, ma il Creatore e il Signore istesso ». E questo appunto fa oggi il Figliuolo di Dio coll’offerta sua all’eterno Padre, nel tempio di Gerusalemme.

4° Poiché occorre ricordare che Gesù al Tempio non solo viene offerto, ma Egli stesso volontariamente si offre. Gesù si era fatto bambino, del bambino aveva rivestito la debolezza ma non l’inconsapevolezza. Gesù era bambino e Dio: le umiliazioni a cui si sottometteva, gli atti che compiva non erano umiliazioni od atti di cui fosse inconscio; erano umiliazioni ed atti volontari. Gesù volontariamente si era sottomesso, otto giorni dopo la nascita, alla circoncisione; volontariamente aveva sofferto i primi dolori, sparse le prime lagrime, versate le prime stille di sangue; volontariamente si offrì nel Tempio, costituendosi fin da quell’istante vero e proprio mediatore nostro presso l’eterno Padre. Gesù aprendo gli occhi alla vita, già sapeva la sua missione, sapeva a qual sacrificio si sottoponeva. A nostro modo di esprimerci questo sacrificio ha nuovamente accettato col lasciarsi offrire, anzi col voler essere offerto da Maria all’Eterno Padre. E quindi in quell’ora ha, a dir così, accettato ufficialmente di essere, innanzi al Padre, nostro Redentore; ha accettato di essere a noi Maestro con la parola e con l’esempio, ha accettato la morte, la croce, i flagelli. Perciò dobbiamo oggi un pensiero ed un affetto specialissimo a Gesù. Figuratevi il figlio d’un Re che redime uno schiavo a prezzo di un grande sacrificio. Lo schiavo redento ricorderà un giorno tutti gli atti della sua liberazione; la determinazione, i preparativi, l’opera del suo liberatore. Ricorderà quell’istante in cui il Principe Reale, fatti gli apparecchi, rinnova l’accettazione della sua missione ricordando e quasi passando in rassegna le disposizioni prese e date, e confermando il suo proposito. E appunto nella sua presentazione al tempio, nel porsi tra Dio Padre e noi, Gesù ha confermato la determinazione presa da tutta l’eternità, i preparativi già fatti pel nostro riscatto, l’accettazione di quel genere di morte, ch’era secondo il beneplacito di Dio, accompagnata da tutti quei dolori che erano o necessari o convenienti al nostro maggior bene. Quindi riguardo a Gesù noi ricordiamo oggi l’atto suo di porsi tra Dio Padre e noi, quasi dicesse: Questi infelici prendo io sotto la mia tutela; sono peccatori: soddisferò io quello che non possono essi. In quest’offerta di sé, Gesù fu mosso da un doppio sentimento: amor del Padre per soddisfare all’eterna di Lui giustizia; amore di noi per salvarci. Vedete quindi come un affetto specialissimo meriti da noi oggi Gesù: sia un affetto di fervido amore e di sincera riconoscenza.

5° Un pensiero ancora all’offerta di Gesù la quale viene fatta per mano di Maria. Gloria incomparabile per Maria, e fondamento certo della nostra fiducia nella mediazione di Lei. Riflettete: Nell’Incarnazione il Figliuolo di Dio, mercé la cooperazione e la sostanza di Lei ha avuto un corpo come il nostro. Nella redenzione sarà immolato in unione a Maria che starà presso la croce. Nella presentazione vuole essere portato da Lei al Tempio, e da Lei medesima offerto. Le braccia ed il cuore di Maria sono come l’altare del sacrificio; Maria il Sacerdote; Gesù il Sacerdote e la vittima. « In quest’attitudine sublime le braccia della Madre di Dio offrivano; il suo cuore ardeva, e Gesù era nelle sue braccia e in mezzo al suo fuoco: non è questo l’altare del sacrificio? Come l’altare è inseparabile dalla vittima, la porta, la sostiene e sembra dirle: Sono una cosa sola con te, così la carità di Maria era pronta ad accompagnare ovunque la carità del Figliuolo di Dio pel mondo » (LÉMANN, op. cit.). Quanto ci si rivela grande la cooperazione di Maria alla nostra redenzione, e come basterebbe questo fatto a meritarle il titolo di corredentrice. – « Così questo mistero ci unisce alla santa Vergine in modo particolare. Essa vi rappresenta la Chiesa, offrendo Gesù Cristo a Dio in nome di tutta la società cristiana; ma tutta la società cristiana deve altresì congiungersi a Lei ed unirsi al suo sacrificio, come a quello del principale dei suoi membri operante in nome di tutto il corpo, e ciascuno deve procurare di entrare nelle sue disposizioni e pregarla di ottenerne qualche partecipazione » ( NICOLE, Saggi di morale, tomo XIII, pag. 318).

III. — Il terzo fatto dell’odierno mistero è costituito dalla parte che vi prende il vecchio Simeone.

1° Il Vangelo ci dice che questo vecchio era giusto e timorato di Dio e aspettava la consolazione d’Israele. Era giusto: la quale parola non esprime solo una virtù; ma le virtù nel loro complesso. Era timorato di Dio, di quel santo e figliale timore che è il principio dell’amore. Era giusto e timorato ed aspettava la consolazione d’Israele. Certamente non era solo ad aspettare; tutta la nazione, anzi tutto il mondo aspettava il Salvatore. I patriarchi, i profeti, i giusti l’avevano aspettato. L’avevano aspettato la terra, il cielo, il limbo. Di questa universale aspettazione il vecchio Simeone era come la personificazione veneranda; lo spirito dei giusti dell’antica legge era passato nel santo vecchio. Da questo giudicate le elette disposizioni dell’anima di lui. E ne riceve il premio: lo Spirito Santo dimorava in lui con singolare compiacenza, e gli aveva apertamente rivelato « che non vedrebbe la morte prima di vedere il Cristo del Signore ».

2° Il santo vecchio vive in quest’ansiosa aspettazione. Un giorno, mosso da presentimento divino, si reca al tempio quando appunto vi entrava la Sacra famiglia. Riconosce nel fanciullo il Salvatore del mondo, lo riconosce a nome di Gerusalemme che, atterrita da Erode non aveva ardito aggiungere alcun rappresentante al corteo dei Magi, lo riconosce, e con un movimento ardente e rapido come l’amore lo prende tra le sue braccia e stringendolo al cuore, erompe nel cantico: Adesso, o Signore, rimanda in pace il tuo servo… che gli occhi miei hanno visto la tua salute. E allora una chiara visione dell’avvenire si manifesta a Simeone: l’universalità del regno di quel bambino: Al cospetto di tutti i popoli, porterà la luce della fede non ai soli Giudei, ma altresì alle nazioni pagane: Luce e rivelazione per le nazioni; ma questa luce viene dal popolo d’Israele eletto, come a prepararla, e perciò il bambino è gloria d’Israele.

3° Questa profetica manifestazione della grandezza di Gesù ci rivela la costante economia di Dio a riguardo di Gesù e di Maria, la quale usa pure riguardo a tutti i Cristiani. Maria e Gesù nel mistero della Purificazione e della Presentazione cercano l’oscurità e l’umiliazione, e trovano lo splendore e la gloria. Come Vergine, Maria sacrifica la sua riputazione di verginità; come Madre, sacrifica il suo Figliuolo. E tosto per disposizione provvidenziale questo figlio, raccolto nelle braccia del vecchio Simeone, è proclamato Salvatore del mondo e Maria ristabilita nella gloria della sua maternità divina che aveva voluto nascondere sotto il velo della più umiliante condizione. – Ammiriamo le vie della Provvidenza; affidiamoci ad essa, sicuri che le vie da Essa disposte a nostro riguardo saranno le più salutari per noi.

IV. — Riserbandoci di considerar altra volta il seguito della profezia di Simeone raccogliamo il frutto dell’odierna considerazione, e raccogliamolo in una ferma risoluzione di praticar con singolare predilezione l’umiltà, col sacrificio volenteroso del nostro amor proprio. Se vi ha virtù di cui nel mondo si parla con disprezzo, perché ignorata, è appunto la umiltà! Oh, che non si dice contro tale virtù? Comprendete bene, o devoti Cristiani, che la vera umiltà è fondata sulla verità. Per l’umiltà dobbiamo sottometterci a Dio riconoscendo il suo pieno e perfetto dominio su noi. Non siamo nostri, siamo di Dio, a Dio apparteniamo noi e le cose nostre. Per l’umiltà dobbiamo riconoscere che se abbiamo qualche cosa di bene, essa non è nostra, ma di Dio da cui l’abbiamo avuta. Tutto quello che’ abbiamo, l’abbiamo avuto da Dio, e perciò dobbiamo usarne secondo la volontà di Dio, ricordando che perciò appunto a Dio un giorno dovremo renderne rigorosissimo conto. Per l’umiltà dobbiamo riconoscere il bisogno costante che abbiamo della divina grazia, perché se per un istante solo ci abbandona, che sarà di noi? Questo il pensiero che ci obbliga a non anteporci ad alcuno, neppure al più grande peccatore, perché tra breve possono essere cambiate completamente le cose: noi possiamo cadere e pervertirci, mentre il peccatore può rialzarsi e convertirsi. Per l’umiltà dobbiamo seriamente riflettere: Se Iddio avesse ad altri concesse le grazie che accordò a noi, qual maggior frutto avrebbero saputo ritrarne! E poi: quanti si trovano all’inferno, ed hanno peccato meno di noi! E perciò se avviene che il prossimo ci manchi di riguardo o di attenzione, se anche ci avviene di essere offesi, ricordiamo che innanzi a Dio abbiamo meritato ben peggio. Sappiamo elevarci a Dio, e rimirare in quello che quaggiù avviene, una permissione di Dio: e nelle persone, lo strumento di cui Iddio si serve. – Cerchiamo pertanto di conoscere seriamente il nostro nulla, la debolezza che portiamo con noi onde diffidare di noi e delle nostre forze. Imitiamo Maria: cerchiamo di essere buoni, virtuosi, pii innanzi a Dio, e non curiamoci del giudizio del mondo, non cerchiamone la stima, od il plauso. Nascondiamo volentieri agli occhi del mondo quel poco di bene, che con la grazia di Dio abbiamo potuto fare; da Dio solo attendiamone la ricompensa e sia nostra regola la sentenza di Gesù che vedemmo avverata nell’odierno mistero: Chi si innalza, sarà umiliato ; e chi si umilia, sarà esaltato (S. Luca, XIV, 11). Evitiamo ogni innalzamento di superbia per non essere eternamente umiliati; umiliamoci quaggiù per essere eternamente esaltati nella gloria del cielo.

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XLIV:3.

Diffúsa est grátia in lábiis tuis: proptérea benedíxit te Deus in ætérnum, et in sǽculum sǽculi.

[La grazia è diffusa sulle tue labbra: perciò Iddio ti benedisse in eterno e nei secoli dei secoli]

Secreta

Exáudi, Dómine, preces nostras: et, ut digna sint múnera, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, subsídium nobis tuæ pietátis impénde.

[Esaudisci, o Signore, le nostre preghiere: e, affinché siano degni i doni che offriamo alla tua maestà, accordaci l’aiuto della tua misericordia.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc II:26.

Respónsum accépit Símeon a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi vidéret Christum Dómini.

[Lo Spirito Santo aveva rivelato a Simone che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore]

Postcommunio

Orémus.

Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti, intercedénte beáta María semper Vírgine, et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché questi sacrosanti misteri, che ci procurasti a presidio della nostra redenzione, intercedente la beata sempre Vergine Maria, ci siano rimedio per la vita presente e futura].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA