LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (2)

GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO

GIUSEPPE SIRI

LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (2)

2. Edizione EDITRICE A. V. E. ROMA 1943

II. – Personalità

Nel messaggio di Pio XII la personalità è una idea grande, è una realtà concreta, è un punto di riferimento generale per tutte le questioni inerenti all’ordine interno degli stati. La personalità umana (il suo valore, i suoi diritti, la sua qualità di « metro») è l’affermazione potente e lucida del diritto di natura, in nome del quale se ne parla e dalle indicazioni del quale, viene definita.

1. – Quello che il Papa afferma

E’ utile avere innanzi agli occhi un prospetto riassuntivo delle affermazioni del Santo Padre intorno alla personalità. Possono esprimersi in cinque punti.

1) “Origine e scopo essenziale della vita sociale vuol essere la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della vita umana, aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e della cultura segnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l’umanità, sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni ” .

2) La pace è subordinata al “ridonare alla persona umana la dignità concessale da Dio fin dal principio”.

3) Ci si deve opporre “all’eccessivo aggruppamento degli uomini “ed al considerarli “masse senz’anima”; proprio per questo è necessario che gli uomini-persone abbiano una “consistenza economica, sociale, politica, intellettuale e morale”, nonché “una, responsabilità personale, così quanto all’ordine terreno, come quanto all’eterno”.

4) L’operaio non deve venir “condannato ad una dipendenza e servitù economica inconciliabile con i suoi diritti di persona”; inoltre le forme sociali debbono essere tali da garantire una libertà personale.

5) Si deve sostenere “il rispetto e la pratica-attuazione dei seguenti fondamentali diritti della persona: diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e morale e particolarmente il diritto ad una formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa; il diritto in massima al matrimonio e al conseguimento del suo scopo; il diritto alla società coniugale e domestica; il diritto di lavorare come mezzo indispensabile al mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni sociali”. È chiaro: la persona umana è il principio, il criterio, la misura, il soggetto ed il punto di riferimento di tutte le questioni umane; è il centro da cui tutto parte, in cui tutto si colora, cui tutto confluisce; il suo rispetto è la base di una costruzione umana e non mostruosa. – Tale rispetto ha per oggetto immediato una serie di diritti, i quali scaturiscono solo se si riconosce la « persona », muoiono se quella divien chimera; diritti che l’aspirazione umana ha sempre profondamente, totalmente invocati come assolute condizioni di vita, sì da apparire una morte la loro brutale negazione. – La « centralità » della persona umana è una delle più gravi affermazioni del Messaggio. Ad intenderla è necessario portare l’attenzione su diversi concetti.

2 . – Che è la “persona ,,

Anzitutto una questione di competenza. Chi ha il diritto di dare la definizione di persona? Rispondiamo senza esitazione: il buon senso umano. Lo può e ne ha gli elementi. Il concetto di persona infatti è astratto allorché lo si presenta in quella forma teorica che, sola, plasmandosi in modo intellettuale, può entrar nei libri. Ma la « persona » in concreto c’è; è vivente, è esaminabile; essa è semplicemente l’uomo individuo. Sicché, purché non abbia pregiudizi artificiali sia deformatori (il « sistema » accanito), o inibitori (l’agnosticismo kantiano), il buon senso può guardare, indagare e trarre serenamente la sua conclusione, che è un concetto nitido e completo. Era necessario dir questo per giudicare delle diverse definizioni di « persona », più che discutibili, proferite da esponenti della filosofia moderna (Spinoza, Wolf, Hume, Kant) ai quali fece velo il sistema o il dubbio. La filosofia, spesso poggiata sulle nuvole, poté oscillare e dir cose strane e contradditorie; il diritto invece, più severamente ancorato ai fatti ed alla realtà dalla sua stessa funzione e dalla acuta opera distintiva della competizione forense, fu più serio e stabile e diede in genere in una forma concreta il concetto che della persona diede sempre il buon senso umano. Il quale, non c’è dubbio, ha più diritto di esser ascoltato che non i dubbiosi per paura, gli strani per costituzione e frenetici del sistema.

… il concetto filosofico

Ora il buon senso, espresso dalla tradizione scolastica, ha definito e sente la persona essere così: l’individuo razionale (uomo, angelo, ecc.) che sussiste nella sua naturale costituzione in modo autonomo (distintamente). Razionalità ed autonomia sono dunque le caratteristiche costitutive della «persona». Razionalità implica un principio spirituale ed intelligente e trae nel concetto di persona tutto il mondo psicologico. Autonomia è la distinzione, l’essere in sé ed a sé (salva la dipendenza da Dio), qualcosa di completo e di sufficiente, non parte d’altra cosa, non mezzo o strumento per natura di nessuno, salvo Dio; con natura, legge fondamentale, diritti e doveri basilari, finalità, definiti indipendentemente dall’essere o dall’agire di qualsivoglia altra creatura. – Autonomia nella razionalità significa intelletto e volontà autodeterminantisi, ossia significa la libertà, che è senza dubbio il fastigio della persona. La somma di queste note sono come un tratteggio che tutto all’intorno mette in rilievo emergente una stupenda e rispettabile grandezza. Nell’orbita della persona si agita un mondo, che sovrasta potentemente il mondo materiale inquadrato nella rigida disciplina delle leggi fisiche. – Fin qui l’idea filosofica o, se piace la parola, ontologica della persona. Qualcuno troverà tutto questo discorso abbastanza teorico: non ha poi torto, ma dovrà convenire che era pur necessario alla chiarezza dei fondamenti. Desidera con maggior diritto un tratteggio più umano della « persona », che sarà bene egli contempli in un uomo ben definito e concreto. Quest’uomo può esistere — coll’aiuto di Dio — anche se nessuna altra cosa esistesse: perché egli sia, sia uomo e non un’altra cosa, sia questo uomo, presupposta la causa originativa e il concorso divino, nessun’altra cosa occorre. Se, sostenuto da quel concorso, egli rimanesse mentre il rimanente svanisse, sussisterebbe pienamente la sua natura, la sua legge, la sua finalità. Se tutto il mondo fosse connesso contro di lui per strappargli un « sì » o un « no », egli rimane perfettamente libero di concedere o negare dispoticamente l’uno e l’altro. Forse è per questo che i Martiri sono la più pura e coraggiosa espressione della personalità. Ecco che cosa è l’autonomia. Queste considerazioni erano necessarie per vedere quale mondo, quale roccaforte, quale riserva, quale riflesso divino, quale principato tra le cose terrene, quale cosa rispettabile sia questa persona-uomo, base e metro, principio e fine d’ogni costituzione sociale e politica, la quale dinnanzi ad una simile dignità sente d’esser fatta essenzialmente per servire.

L’importanza

1) Anzitutto i diversi valori si dispongono in un ordine piramidale di cui la « persona » sta evidentemente al vertice. Il suo concetto stesso lo prova.

2) Tutto attinge valore e significato dalla persona e nella persona. Il diritto non è altro che la sua autonomia che si traduce in capacità di avocare a sé e respingere da sé. La legge è espressione di persone, perché la sua formulazione intellettuale e la sua imposizione volitiva non le viene da qualche ente astratto od anche giuridico,, ma dall’esercizio di facoltà in persone singole. – Le idee, le ideologie ed anche le false mistiche non discendono dalle nubi come cavalli platonici bianchi o rossi o verdi, ma si formulano nel cervello di singole persone. Perché diritti, leggi ed idee valgano e si attuino hanno bisogno del loro terreno; e questo è ancora la persona. Lo Stato può essere concepito come si vuole con idee giuste e false, ma fruisce sempre col coincidere con una o più persone, coi loro difetti assai spesso, raramente colle loro personali virtù. – Il soggetto della legge, del contratto, delle istituzioni, quindi della costruzione sociale e politica è sempre l’uomo-persona. Gli umori soddisfatti e quelli insoddisfatti sono nelle « persone »; proprio quelle benevolenze e malevolenze, decidono d’un fatto concreto che si chiama « opinione pubblica » e, a lungo andare, pace  o rivolta. È impossibile che questo mare non si muova, non mugghi, non roda la terraferma o non vi getti la ghiaia e i relitti; possiamo ignorarlo, ma è esso che col suo moto perenne decide dei limiti dei continenti. Che ci costringe moralmente a rispettare la persona è la sua autonomia, dono di Dio; che la vendica costantemente contro il sopruso è la sua razionalità feconda ed immortale, che pensa, ricerca, soffre, vuole e decide. La conclusione è limpida: tutto si misura e si colora nell’uomo-persona.

Questo non è l’individualismo

Rispetto alla persona ed individualismo, non solo non sono la stessa cosa, ma sono antagonisti. Individualismo è pensare egoisticamente a sé senza il limite di una legge che impone doveri sociali. Rispettare la persona è rispettare la sua natura, che ha una legge prescrivente finalità e doveri sociali. – L’individualismo ignora e contraffà quel complesso di diritti, di riflessi, di fecondità che invece irradia dalla persona. L’individualismo sostituisce il fatto al diritto; il culto della persona, sorgente del diritto, restituisce il diritto prevalente nella forza. La persona è una ricchezza — dobbiamo forse ancora dirlo? —, l’individualismo è una dichiarata miseria accentratrice. Rispettare la persona significa amare qualcosa da parte di tutti; aver dell’individualismo significa rispettar nessuno. La persona — e lo vedremo — si sviluppa in società, l’individualismo si contrae in solitudine inumana e violenta. Non confondiamo dunque dei termini per farne mascelle di asino. Si vedrà subito come il concetto di persona sviluppa una morale di rapporti; si è sempre visto come l’individualismo si è beffato nonché della morale, persino dei rapporti coi propri simili.

3. – Caratteristiche della personalità

D’accorato appello del Pontefice è per una valutazione giusta o rivalutazione adeguata della persona umana. Sia l’uno che l’altro intento è raggiunto puntando sulle doti concrete elargite da Dio alla persona, nonché sulle conseguenze di questa. Tutto ciò in due sensi: occorre rispettare negli altri ed occorre rispettare in sé. Perché rispettare anzitutto in sé? Ecco: c’è un divario tra persona nel senso fisico (quello descritto sopra) e persona nel senso morale. Da prima è una realtà in parte potenziale, che solo la volontà, l’educazione e la virtù sviluppano; la seconda è lo sviluppo e la perfezione raggiunta attraverso un cosciente lavoro su se stessi. Difatti tutti gli uomini sono « persone », non tutti hanno una « personalità », sono se stessi; ciò è perché quello sviluppo non ha trasformato la capacità in realtà, qualcosa è rimasto invece latente, trascurato, sprecato. Sarebbe un controsenso invitare tutti, uomini e istituzioni, Stato compreso, a rispettare la personalità, mentre nessuno la rispetta e la completa in se stesso. Sarebbe una commedia. Abbiamo già visto che le doti fondamentali della persona sono: razionalità ed autonomia.

L’uso della propria testa

Poiché la prima dote della persona è la razionalità, è necessario usarla e lasciarla usare. Senza di che non c’è rispetto alla persona. Questo uso è una dote, un impegno, un prestigio. Bisogna dunque usare della propria testa. Non è lecito affittare puramente e semplicemente quella degli altri, del giornale, dell’ambiente, del club, dell’opinione in corso, della moda. Chi affitta, non è « persona ». Usare della testa, non affittare, è ponderare, esaminare, indagare ed esercitare, soprattutto, nel vaglio delle cose che si ammettono, il senso critico. Chi beve tutto, chi accetta tutto dietro raccomandazione del sentimento suo eccitato, dell’entusiasmo brillo, dell’impressione, senza cercare una ragione sufficiente, senza la pazienza obbiettiva di convincersi sul sodo, non è persona. L’uso della propria testa non è universale. Vi sono dei limiti ragionevoli. Eccoli: non so tutto ed in quello che so devo dipendere da chi sa; non so bene e devo rifarmi in chi sa meglio; ho difetti di logica, di scienza, di visione e devo completarmi coll’umiltà che s’appoggia all’esperienza, al consiglio, alla luce, alla giusta autorità degli altri. Così sarò prudente, discreto e saggio. Ma tutto questo mi lascia un margine in cui io agisco, mi lascia un ufficio in cui io ragiono, sia pur conscio del mio poco valore, su quello che mi vien da altri: rispettando questo, salvo la prudenza e la saggezza, ma esercitando il mio lume intellettuale salvo la mia persona. L’umiltà e la coscienza di sé ugualmente la salvano. Bisogna lasciare che gli altri usino della propria testa. Il pensiero, la scienza, l’esercizio della sana critica onesta, non si standardizzano. Gli uomini non si possono trattare come bambini ai quali si suggerisce cento volte al giorno « dì buon giorno, dì grazie ». Una delle cose più tristi della nostra età — almeno in taluni casi — sono i ministeri della propaganda, che dovrebbero informare il pubblico sulla verità, ed invece insufflano, orchestrano la menzogna sistematicamente, come se si fosse un branco di scemi. Quando al sistema limpido spontaneo della natura, figlia a Dio, e del suo diritto si sostituiscono i sistemi architettati in sostituzione, rossi o verdi che siano, è purtroppo necessario fare così. Tanto è vero che sono innaturali. Ma il lodevole proposito di lasciar agli altri usare della propria testa deve essere illuminato da alcune inflessioni, le quali impediscono visioni strabiche e conclusioni ingenue, 1) La verità è una, l’errore è il primo danno della società: la difesa di quella, la remora a questo sono un supremo interesse comune. Ciò non è un limite alla « testa », ma una doverosa ed insieme caritatevole correzione di certi usi ed abusi. 2) L’ignoranza è grande, le idee storte innumerevoli: ciò invoca ad un certo punto l’aiuto, il coraggioso aiuto, l’opera educativa, l’orientamento saggio, l’organizzazione del servizio alla verità. Non oppressione, ma aiuto e qualche volta difesa cogli onesti mezzi legali. Rispetto dunque, non oblio della verità sulle tare del peccato di origine tra gli uomini.

L’uso della propria coscienza

L’intelligenza in quanto giudica della moralità delle proprie azioni in concreto diviene « coscienza ». In quanto è giudizio, direttiva, orientamento nell’iniziativa, la coscienza è insieme espressione tanto della razionalità che della autonomia. Sicché non si rispetta la persona che a prezzo di rispettare la coscienza, il suo esercizio, il suo dettame. Un uomo è persona tanto quanto agisce nella pienezza della coscienza propria senza affittare la coscienza del primo arrivato, dell’ambiente. Poiché coscienza è intelligenza, occorre aver presenti a suo proposito tutte le considerazioni prudenziali fatte or ora sull’uso della « testa ». – Testa e coscienza sono penetrali nei quali nessuno, neppure lo Stato, può direttamente entrare. Anche i più grandi persecutori della personalità umana dovranno pur sempre fare i conti con questo insuperabile limite della loro invadenza.

L’iniziativa

La autonomia della persona è una dote che eleva la natura in cui quella vive, è anzi immanente nella natura, si identifica con essa; sicché è vero che l’autonomia, tanto si estende e tanto vale quanto si estende e vale la natura. La quale è essenzialmente operativa e dinamica. Operazione ed autonomia danno: iniziativa. Ecco una dote della personalità. Rispettarla significa dunque riconoscerle un margine congruo di libera iniziativa in tutti i settori. Questo principio di diritto naturale deve esser tenuto in conto da tutti i politici ed economisti, i quali faranno bene a non lasciarsi cogliere da nevralgie troppo ossesse o da visioni collettive ed astratte. Poiché in fin dei conti non è l’uomo per l’economia, ma l’economia per l’uomo. – C’è di più. L’iniziativa, che, come s’è visto deriva dalla natura umana attiva e dalla sua autonomia, appunto perché segue la natura che è anche sociale, entra in questo campo. L’iniziativa sociale è l’associazione: ecco il diritto naturale di associazione, che sarà contenuto, controllato e limitato dall’autorità, ma che non può venire indebitamente ristretto e tanto meno soppresso. Tutto ciò significa ricordarsi — proprio contro l’individualismo — che la persona-uomo si deve vedere nell’ambito e nel complesso sociale. – L’iniziativava tenuta nel debito conto dall’uomo in se stesso. Quando ascolta i consigli della sua natura debole, gli è facile spogliarsi dell’iniziativa per stendersi sempre sul canovaccio combinato da altri, dire e fare quello che fanno gli altri, accodarsi, supinamente imitare, mettersi nella corrente, farsi portare e non reagire mai. Con ciò egli diventa una stampigliatura banale, con ciò si spiegano le fisionomie impresse dall’ambiente, i caratteri vuoti, piatti, nulli. L’iniziativa è legata alla forza di volontà. È facile accorgersi che cosa questa conferisca alla personalità morale. Gli uomini « stampigliati » non rappresentano una negazione della libertà umana, che forza di volontà e libertà sono elementi ben diversi e può mancare perfettamente il primo, mentre il secondo l’esercita solo a liberamente scegliere sempre il più comodo, il più facile, il meno dispendioso.

La fisionomia personale

È segnata non tanto dai lineamenti esterni, quanto dal temperamento e dalle doti specifiche intellettuali, volitive, di sentimento, di gusto, di moralità, di religione. Quando ha una impalcatura volitiva di costanza e di coerenza nella luce di convinzioni profonde diviene carattere inconfondibile. Il complesso fisionomico reca una inesauribile varietà fra gli uomini. La varietà reclama il libero sviluppo, la libera scelta delle carriere, mette in guardia contro il pericolo della troppa standardizzazione, dell’eccessiva organizzazione, dell’esoso assorbimento da parte della comunità. – Le doti postulano la loro cultura, il perfezionamento e lo sfruttamento. Ciò non è impegno solamente del singolo. Il rispetto concreto della persona esige che per parte della società, le condizioni di vita si facciano sempre più tali da permettere studio, sviluppo, cultura, ascesa a chi ne ha il taglio, anche indipendentemente dalla sua posizione economica e sociale. Le scuole dovrebbero essere così umane e generose nell’accogliere tutti, anche i non abbienti, così inflessibilmente severe nel vaglio, da concorrere e discriminare finalmente nella società una vera gerarchia di valori. Questa solo è capace di correggere il difetto dell’altra gerarchia, quella della eredità di fortuna. Osserviamo finalmente che ogni dote costituisce una legge divina particolare, in quanto, conferita dal Creatore, crea il dovere di raggiungere il più perfetto sviluppo. Non è mai un talento a discrezione, è un talento da restituirsi a Dio col massimo di interesse. È per questo che il senso naturale e cristiano vorrà il medico, il giurista, ecc., all’apice della perfezione non solo morale ma scientifica, tecnica, artistica. L’uomo deve correre tante vie quante sono le sue possibilità. Solo così è completo.

Il diritto di proprietà

Il diritto di proprietà è una immediata conseguenza della « persona ». È  importantissimo vedere questa connessione inevitabile e necessaria perché essa indica donde si possa dire in piena coscienza essere il diritto di proprietà un diritto di natura, indiscutibile, inalienabile quanto la natura. – Infatti. Poiché, come si è detto autonomia e natura nella persona sono la stessa cosa, tanto si estende il raggio della prima quanto si estende il raggio della seconda. Ora la natura dell’uomo stabilisce rapporti necessari con le cose di cui l’uomo ha bisogno, non solo per la sua vita fisica, ma per l’indefinita capacità di operazione delle sue facoltà spirituali, le quali non si attuano senza elementi sensibili. A causa di tali rapporti alcune cose sempre, molte altre indefinitamente a seconda che le circostanze determinano, vengono ad essere legate e vincolate alla persona. L’autonomia, che segue la natura, si estende allora anche a queste « cose », che, per i rapporti, rientrano in qualche modo nella personalità. Rientrare tali « cose » nell’autonomia della persona significa che rimangono « avocate » ad essa con esclusione (distinzione) degli altri. Il che, non escludendo il fine sociale delle « cose avocate » come non cessa d’essere sociale la persona, è precisamente il diritto di proprietà. – Esso è tanto vero e naturale quanto sono veri e naturali i rapporti necessari tra cose e persona, quanto è vero che tali rapporti fluiscono dalla natura, quanto è vero che l’autonomia si estende là ove s’estende la natura.

Gli elementi nei quali si vede il diritto di proprietà fluire dall’autonomia della persona, quindi dalla natura e da Dio autore della natura, sono troppo evidenti. L’uomo senza « cose » e tante « cose » quante ne può investire la sua capacità operativa (che è indefinita — di qui la indefinita, per sé, aumentabilità del patrimonio) non avrebbe affatto la dignità già descritta della persona, ma sarebbe un prigioniero. – Rimarrebbe un sovrano spodestato. Homo sine pecunia imago mortis. Ed è inutile stare a blaterare ilcontrario con filosofemi, che si accettano solo quandonon si capiscono.Qui non facciamo questioni di parole o di definizioni e neppure di interpretazione sul pensiero dell’uno o dell’altro grande scrittore. Ci interessano le questioni,non il loro lusso; e le questioni si risolvono con gli elementi obbiettivi. I quali affermano essere il diritto di proprietà un diritto di natura. Il modo col quale sempre la teologia cattolica l’ha definito, rivendicato, tutelato in morale, come quello che non ammette eccezioni se non per opera di un altro diritto parimenti divino; il modo con cui fu affermato nelle Encicliche papali; il modo con cui — anche a prescindere dalla qualifica terminologica— fu sempre trattato e preso a criterio della tradizione filosofica e giuridica cattolica, non può lasciare dubbio alcuno ragionevole su tale ben ferma conclusione. La quale, logicamente parlando, crediamo appartenere alla dottrina cattolica.Ciò posto vediamo le conseguenze straordinariamente gravi dell’esser la proprietà un diritto di natura,talmente connesso col concetto e la realtà stessa di persona.

Conseguenze del diritto di proprietà

1) Non si salva la personalità se non si salva la proprietà. Questo, non solo perché la seconda è corollario della prima, come s’è visto; ma ancora perché l’uomo spirito è talmente legato e dipendente dall’uomo-materia, che la sua stessa autonomia spirituale non sussiste integra se non s’estende a cose sensibili. – La difesa della proprietà ha una posta ben più alta che non alcune piccole o grandi cose materiali.

2) Il diritto di proprietà è intangibile: può nei casi particolari e contingenti venire limitato solamente dalla forza di un altro diritto di natura (p. e. la necessità sociale).

3) Qualunque sogno di ricostruzione sociale che si fondi su uno strazio della proprietà privata, contiene un elemento innaturale che è destinato a creare un ineluttabile disagio, grave di tragiche conseguenze, anche se può a prima vista presentare qualche successo brillante.

4) Le eventuali limitazioni della proprietà mediante l’assorbimento di essa e dell’iniziativa privata da parte della collettività, quando instasse per questo un pari diritto naturale, va considerata come eccezione e non come sistema ordinario. Quand’anche talune eccezioni dovessero durare per un periodo storico, non acquisterebbero mai il carattere di cose ordinarie. La ragione sta in questo. Che la limitazione della proprietà può avvenire — come vedremo — solo in nome del bene comune, il quale non la reclama per sé, ma per ragioni accidentali; mentre la proprietà è in se stessa postulata dalla natura. Non si confondano limitazioni della proprietà e limitazioni opposte alle sorgenti della ricchezza. Queste seconde per sé non limitano la proprietà, ma piuttosto il diritto di iniziativa: Il bene comune potrà in via contingente postularle, ma, dato il loro carattere di « limitazione di un diritto naturale » non dovranno mai essere né arbitrarle, né ingiustificate, né intese come sistemazione ordinaria.

5) Non è opportuno stabilire delle quote di proprietà, sicché nessuno per esempio possa possedere capitale superiore alla rendita di 50.000 lire. A parte le considerazioni umoristiche di carattere tecnico che si potrebbero fare, basta aver presente che l’autonomia della persona può stabilire rapporti indefiniti (vedi sopra) con le cose, sicché non mette per sé limiti al patrimonio. I limiti — ripetiamo — verranno contingentemente, tanto quanto lo postulerà in modo assoluto il bene comune.

6) Se il diritto di proprietà è postulato dalla natura è logico si tenda a procurare al massimo una proprietà anche modesta a tutti gli uomini. I quali tutti intendono in sé la voce della natura. Ed è bene ricordare che questa è la migliore difesa contro i forsennati rivolgimenti sociali. Un uomo ragionevole non odierà mai l’ordine che a lui pure ha assicurato un posto al sole.

7) L’eredità non è che la necessaria conseguenza dell’esercizio di proprietà. Quanto dote di questa è la donazione tra i vivi, altrettanto lo è la disposizione in caso di morte. Ossia: il diritto di testare colla conseguenza logica di ereditare, coincide talmente col diritto di proprietà che quanto è naturale questa, lo è quello. Non può essere quindi toccato più di quanto è intoccabile il diritto di proprietà. Tutto è troppo collegato. Ciò vale dell’eredità per testamento: parrebbe non valere per l’eredità ab intestato (senza testamento). Ma questa beneficia per lo meno della analogia con quella, inoltre è legata al concetto naturale di unità e continuità fisica, morale, ideale e personale delle famiglie. È verissimo che il diritto d’eredità mette al mondo una quantità di molto privilegiati, di orgogliosi inutili, di insulsi fannulloni, di viziosi parassiti, ma non per suo difetto bensì per il cumulo di difetti con cui gli uomini guastano e non moderano le buone istituzioni. – Tutto ciò potrà suggerire molti ed opportuni provvedimenti, legittimati da vere esigenze assolute del  bene comune, ma non potrà giustificare la negazione draconiana di un istituto di natura, proprio quello che più di tutti garantisce alla società uomini che non debbano sempre cominciare daccapo. Le esplosioni, generose e precipitose possono far dir cose che la serena razionalità non approva.

8) Finalmente la proprietà è la sola che può garantire alla persona (di cui è conseguenza) la indipendenza effettiva ossia l’autonomia pratica. Non è dignitoso per l’uomo che debba tutto ricevere da altri, sia pure dallo Stato e sia pure per legge motivata dalla volontà del legislatore, ma non dal diritto della persona. Egli deve poter bastare a se stesso, disponendo di se stesso. Senza una proprietà è chimerica l’autonomia; è, almeno parzialmente, uccisa la personalità. Ogni uomo deve tendere e vi tende di fatto quando ha coscienza di sé, a non aver bisogno dell’orfanotrofio, dell’ospedale, della colletta caritativa, del qualunque ente assistenziale sia pure la maternità e infanzia. Tenderà a percepire i frutti delle istituzioni assicurative, ma di quelle sa trattarsi di roba sua che gli viene restituita. L’uomo d’onore — e non è superbia — nulla teme quanto il dover stendere la mano e chiedere l’elemosina. Abolite il diritto di proprietà e, se non proprio tutto, molto diventa elemosina. – È indegno pensare ad un mondo di mendicanti. Insisto su questo, poiché se fosse abolita la proprietà privata, anche avendosi il dovere da parte di enti di dare determinate contribuzioni, queste non essendo debite in nome di un diritto assoluto, rimarrebbero sempre, anche ad onta del titolo di lavoro, delle palliate elemosine. – Tutte queste conseguenze del diritto di proprietà, non fanno che ricordare un principio: l’uomo persona è talmente subordinato al suo corpo, quindi ai beni sensibili, che senza di essi rimane frustrata di fatto l’autonomia della sua stessa persona. Ora al mondo non ci sono, interessanti per noi, che degli uomini, delle persone. Il rimanente non è che riflesso, derivazione, ombra di quelle. Che è mai che dobbiamo preferire, l’uomo o la sua ombra? Le grandi parole non danno corpo alle ombre. – Ecco il pensiero del Santo Padre: « La dignità della persona umana esige dunque normalmente come fondamento naturale per vivere il diritto all’uso dei beni della terra a cui risponde l’obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata possibilmente a tutti ».

4. – I nemici della personalità

Elenchiamo qui i principali.

1) Il peccato. La legge di Dio rappresenta la più sapiente conservazione dell’armonia interna ed esterna dell’uomo. L’ha fatta Colui che ha creato l’uomo e sa bene commensurare tra loro le cose. La legge è la disposizione migliore alla conservazione ed al raggiungimento perfetto del fine. La legge divina è lo scettro trasferito dal dispotismo dei sensi e dei miraggi irrazionali alla persona. Nessuno serve come quando pecca: nessuno si deforma come allora. La legge di Dio è dunque la grande tutela della personalità; il peccato che la viola è il primo nemico della persona del suo ordine, del suo perfezionamento, del suo valore sociale.

2) L’eccessiva imitazione. L’autonomia personale porta — chi non lo vede? — ad essere « se stessi ». Non dunque una stampigliatura, una brutta copia, una pura imitazione. Persona ed eccessiva imitazione idiota, si oppongono tra loro come il giorno e la notte. Parliamo di eccessiva imitazione: accogliere il buon esempio, saper cumulare, servirsi dell’utile confronto cogli altri, tener l’occhio ai modelli, ai pionieri, ai coraggiosi, ai Santi è altra cosa: quella è necessaria imitazione. La mancanza di coscienza della libertà degli altri — e molte convenienze sociali presso di noi ne peccano — finisce col moltiplicare la forza del rispetto umano spingendo ad imitare in tutto supinamente e spesso bestialmente. Il mondo della moda e delle mode, gli ambienti fatti di sciocchi garruli, di facili irrisori, di annoiati esibizionisti, sono eccellenti per trasformare gli uomini e le donne in macchine di imitazione. Il cosiddetto mondo brillante ne è un’officina e ben pochi se ne salvano. – Dal punto di vista strettamente sociale si osservi che tutte le forme troppo spettacolari e la tirannia di certa propaganda orchestrano proprio la supina imitazione.

3) L’eccessivo ordine. L’ordine è buono e necessario, ma per gli uomini che sono essenzialmente liberi e dotati di una inestinguibile iniziativa intellettuale, non può andare al di là d’un certo limite. Che là diventa geometria, formula, meccanica, automatismo insensato, bagno di incoscienza, ossia morte della personalità. Quando s’ammira una parata in cui tutti sono vestiti allo stesso modo, camminano allo stesso modo, si scaldano allo stesso modo in movimenti complessi ma armonizzati, tutto è a base di segnalazioni elettriche, di scatti automatici, con maestri d’orchestra e folla di cerimonieri, si può anche rimanere entusiasti e per qualche istante sognare un mondo in cui tutto cammini come in quella parata. Ma la vita è un’altra cosa ed ognuno esperimenta che se la parata serve agli occhi, il qualunque umile momento della vita stessa postula di poter fare quanto pare e piace sia pure in un onesto margine. La scelta non è dubbia: al refettorio ognuno preferisce la propria sala da pranzo, al dormitorio la propria camera da letto, al campanello il canto del gallo o altro di libera elezione, all’uniforme il proprio vestito. Abitualmente, s’intende! Nessuno ama salutare sempre al segnale d’attacco, marciare in formazione e chiedere come in collegio a qualcuno il permesso di far quello che occorre. Troppe gerarchie, troppi uffici, troppe burocrazie, troppi permessi, troppi ordini fanno un mondo da operetta, in cui si sta bene per qualche ora, dopo di che tutti sbuffano e non ne possono più. L’errore sta nel volere utopisticamente universalizzare quello che è eccellente per un varietà, per l’ora della siesta, per il giorno di vacanza, per la cerimonia delle particolari occasioni, per la fiera dei baracconi. Gli ingenui che commettono quell’errore e sognano ordine su ordine, organizzazione su organizzazione, cataplasmo su cataplasmo, cerotto su cerotto applicato al povero mondo certamente matto ed artritico, sono in numero non disprezzabile. Ma il troppo ordine uccide l’uomo che è libero. Poco dopo muoiono anche i sistemi immortali.

4) L’eccessivo limite. Il « limite » cui alludiamo è quello della legge, e del precetto. Troppo dell’una e dell’altro sono invasione indebita nel campo lasciato alla libera elezione umana, riducono l’autonomia, la persona. Il voler regolare proprio tutto e in tutti i particolari è mania pericolosa, è ossessione frenetica, è solletico di reazioni violente. – La sapienza del legislatore è quella di legiferare il meno possibile, ossia non oltre quello che è veramente richiesto dal bene comune; l’arte di comandare è anche quella di servirsi il meno possibile dell’autorità. Questo non è liberalismo, è solo misura; neppure è debolezza, è solo discrezione. La discrezione nel regime degli uomini è la prima forza, dato che la legge non entra in loro a spintoni e bastonate ma solo per un fatto intellettivo e volitivo, per un fatto di convinzione morale.

5) La superficialità. Con essa non si raggiunge mai il secondo piano delle cose, quello più vero. La caratteristica della persona — l’abbiamo pur visto — è la razionalità. Ufficio dell’intelligenza è entrare nella realtà: « intus legere ». Non rimane dunque quello che deve essere, se non scende in profondità. La superficialità, col decoro dell’intelligenza, toglie il decoro alla persona. La superficialità dei singoli diventa superficialità degli ambienti, dell’opinione pubblica: è una piaga sociale, è l’abdicazione collettiva dei diritti della persona. Allora hanno buon gioco gli avventurieri, i mestatori che fanno poi in sé collezione dei diritti altrui.

6) La banalità. È la consuetudine colle cose volgari, colla maleducazione. Permea lo spirito, il criterio, il modo di parlare. Vi si giunge comodamente per la via della trasandata povertà, per il costume della miseria, per il connaturato senso del bisogno e dell’inferiorità. Insomma avvicina al materiale in tutti i sensi: è parziale morte dello spirito, della sua elevatezza, finezza e dignità. Collo spirito muore la persona. Questa turba che cammina tra un lazzo e l’altro, tra una ostentazione impudica ed un appetito carnale, tra il consueto gesto appropriatore d’egoismo felino ed il viso stemperato e sciolto, forma una visione funebre. Tutta questa gente che, così, chiusa e ristretta nella vita dozzinale più dozzinale ancora pei rivoltanti confronti, non ha più bisogno di bastare a se stessa, ma ha imparato ad essere popolo d’un immenso orfanotrofio (è la gloria dei regimi materialistici qualunque nome portino) e attende sempre da qualcuno la sua misera pappa, e il suo divertimento, il mezzo per dimenticare e non pensare, che mette al mondo figli per avere un sussidio, fa una profonda pietà. È la pietà che si prova ai funerali allorché è morto un padre e rimangono dei figli di nessuno. Ai tempi antichi la politica del « panem et circenses » fece questa folla banale, ai nostri… molti hanno la tentazione di ricominciare.

5 . La drammatica scelta: o persona o cose

Le considerazioni condotte fin qui fanno intendere quanta ragione vi sia nella affermazione del Papa, per cui la persona ed il suo rispetto si trovano al centro delle questioni umane.

I termini della scelta

Tutto ha concorso a delimitare nei contorni l’assoluto e sovrano risalto della persona. In opposizione si fa rimarcare quello che è non persona, le cose, concrete ed astratte, individue e collettive, sostanze ed accidenti, azioni e passioni. Tra queste cose stanno il progresso, l’organizzazione, la macchina, la tecnica, la produzione, il consumo, il commercio, l’industria, e, meglio, l’industrializzazione di un paese. « Cose » tutte che costituiscono un miraggio particolare, elettrizzano, fanatizzano. Ora la persona da una parte, queste « cose » dall’altra, sono i grandi termini della scelta. Il mondo avvenire è chiamato ad eleggere: qui sta la sua più grande crisi, la sua più veemente tentazione, il più fatale pericolo.

Quale dei due termini?

Ma è così grave la scelta? Perché è grave? Forse che la scelta dell’un termine rappresenta la morte dell’altro? Persona e cose sono certamente entrambe necessarie alla vita del mondo. È vero: un termine non esclude l’altro di per sé, anzi il secondo è per il primo. È l’esagerazione mostruosa dell’uno che può uccidere l’altro; è in ragione di questa elefantiasi che la scelta si fa greve ed il pericolo fatale nel suo errore. – Supponiamo tra le « cose » si adori il progresso, l’ideale di una organizzazione industriale super-potente in ordine alle trasformazioni stesse dell’economia e in ordine ad una supremazia, o almeno ad una contesa politica. Supponiamo che a questo ideale cui taluno potrebbe ritenere legato l’età dell’oro, la gloria della patria, la conquista di una egemonia mondiale, si intenda — e a tal punto è logico — sacrificare tutto. Ecco allora i sistemi bestiali per il rendimento dell’uomo, ecco il calcolo delle masse come numeri, ecco l’automatismo, ecco l’oblio della ragion morale, dei diritti della cultura e della umanità, ecco ove occorra il mondo fatto caserma, ecco la ragion suprema d’un progresso senza volto e senza nome travolgere tutto. Che rimane dell’uomo-persona? Nulla. È un mostruoso pleroma in cui tutto si inabissa. A questo punto è chiaro che il secondo termine uccide il primo.

Che significhi uccidere il primo termine

Sacrificare la persona umana è capovolgere il mondo. No, non è l’uomo fatto per le cose, ma le cose sono fatte per l’uomo. Non è l’uomo per l’industria, per la grande industria, per l’esaltazione fanatica del potere politico che uno Stato acquista col dominio della grande industria, ma sono, al contrario, l’industria e lo stato stesso per l’uomo. Non è l’uomo pei fatti superficialmente splendidi come sono i primati, ma sono i primati per l’uomo. Dio ha fatto le cose del mondo per l’uomo, la saggezza umana non può spingere le cose in senso inverso, che a prezzo di diventare pazzia rovinosa. Che sarebbe un mondo pieno di officine superbe ove le macchine imperassero col volto di ferro e l’espressione senza pensiero e senza amore, ma gli uomini fossero ridotti all’alveare, al formicaio, all’arena del mare senza libertà, senza valore, senza cielo e senza terra? Che sarebbe se le grandi ragioni di questo progresso divorassero i figli alle madri e la maternità fosse la fabbrica a sua volta dei figli per le macchine, e queste ancora chiedessero il sangue, la guerra per esplodere verso la produzione o per spazzare a questa qualche barriera? È forse giunto il momento in cui l’uomo deve capitolare innanzi alle « cose » di suo dominio? Non sarebbe forse questa l’ultima nemesi al suo orgoglio? Ma dunque che si deve scegliere? »

La tentazione

La scelta è angustiosa. La guerra iniziatasi il 2 settembre 1939 ha inasprito l’imbarazzo. Gli stati che hanno sacrificato tutto — così ragionano taluni — alla loro industrializzazione, hanno rivelato una potenza meravigliosa e suggestionante, alla quale gli eventi devono fare largo. Chi ha detto così ha concluso troppo presto. Dopo che la Russia fu in grado di inferire dei colpi ben duri al suo grande avversario alcuni ingenuamente pensarono che a questo mondo per esser qualcosa bisogna assolutamente imitare la Russia. Chi ha detto così si è dimenticato per lo meno metà dei dati di fatto. Dopo che la resistenza industriale nella guerra parve indicare una intelaiatura economica superba in Russia, molti si chiesero se per caso nel mondo civile non si fosse sempre sbagliato e solo, invece, tra le steppe si fosse visto giusto. Costoro devono aver dimenticato che cosa sia solo una parte del benessere umano. Costoro se avessero visto un orso ammaestrato ballar per bene avrebbero colla stessa logica potuto concludere esser meglio far l’orso che non l’uomo. Il sogno, il grande sogno di metter a posto questo gregge umano inquadrandolo nel ferro, per correggerne il poco valore col ferro e sentir risuonare ovunque e solo l’immensa opera, dalle immense cifre, questo sogno ha la sua suggestione. Allora si dice: è necessario per ciò collettivizzare? Si collettivizzi. È necessario sottrarre dei diritti, della proprietà, accentrare per raggiungere nella condensata manovra lo sforzo propulsore immenso? Ebbene si sottragga, si elenchi, si accentri. È necessario che l’uomo non pensi, non adori Dio, non abbia un ambiente morale, non sia più puramente padre, puramente figlio…? Ebbene sia automa, sia empio, sia sacrilego, sia adultero, sia bastardo!

La scelta

Dunque che si fa? La verità obbiettiva, la logica indice della gerarchia dei valori, la parola sicura del Papa rispondono: anzitutto salvare la persona; le cose per l’uomo non l’uomo per le cose; le cose assunte e misurate dai bisogni dell’uomo, non l’uomo misurato dalle esigenze delle cose. Insomma, se la troppa industria, il troppo trionfo del progresso materiale chiedessero la testa dell’uomo, tra la persona e l’uomo, non c’è da esitare, si sceglie l’uomo. – Questa è la vera grande scelta del domani. Noi sappiamo che cosa optare. Questa indicata opzione, netta, precisa, evidente nella sua intrinseca ragionevolezza, costituisce un principio fondamentale, assoluto ed inderogabile, una posizione irremovibile dalla quale si ha il coraggio di animosamente difendere fino all’ultimo l’umano equilibrio del domani. La voce del Papa è l’unica che abbia veramente posto il problema e l’abbia risolto. Il criterio formidabile che si leva dalla scelta impedisce di cedere a sogni chimerici, a patteggiamenti con forme politiche il cui dolce belato si sa fare tanto innocente e che invece logicamente sfociano nel mostruoso capovolgimento anti-umano. Lo stesso criterio rende attento a porre nei programmi le — in fondo — ridicole offe che appartengono in sostanza proprio a quanto la coscienza umana e cristiana respinge. È essenziale ridurre i grandi dilemmi alle poche inequivocabili parole, nette, ischeletrite, per evitare i contorni vaghi nei quali finisce tanto l’inutile buona fede degli ingenui, quanto la criminale mala fede dei truffatori.

Anzitutto: salviamo l’uomo.

Ricordiamo che la persona col suo essere creato tale da Dio, colla sua fisionomia e i suoi diritti, coi suoi rapporti e le sue finalità ugualmente segnati da Dio, rappresenta una legge, su cui tutto deve essere misurato, criteriato, magari espunto, coraggiosamente contro ogni immediato interesse e contro ogni rispetto umano; esattamente come ci si deve comportare colle grandi leggi del Decalogo Divino.

LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (3)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.