2 FEBBRAIO – FESTA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE

FESTA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE

(B. Bossuet: LA MADONNA DISCORSI – V. Gatti ed. , Brescia, 1934

N. H: P. Guerrini cens. Eccl. Brescia 19 Maggio 1934

Imprimatur Brixiæ, die 19 Marialis 1934

ÆM. Bongiorni, Vic. Gen.)

Postquam impleti sunt dies purgationis eius secundum legem Moysi, tulerunt illum in Jerusalem ut sisterent eum Domino: sicut scriptum est in lege Domini.

(Luca, II, 22-23).

Teodosio imperatore diceva, che nulla vi è di più maestosamente regale di un principe che si riconosce obbligato alla legge. Il genere umano non potrà mai ammirare spettacolo più grande di quanto contempla la giustizia in trono: né potrà immaginare nulla di più maestoso ed augusto che l’accordo tra potenza e ragione, che felicemente fa concorrere all’osservanza della legge, il comando e l’esempio. Spettacolo meraviglioso un principe ossequiente alla legge come fosse l’ultimo dei sudditi: ma certo più ammirabile il contemplare un Dio sottomettersi alle leggi ch’Egli stesso dettò alle sue creature! Ci sarebbe possibile comprendere di più l’obbligo che ci lega alla legge, che considerando il mistero d’oggi, in cui un Dio si sottomette alla legge per dare all’umanità un luminoso esempio di obbedienza? Oh Dio quanto sei ammirabile nei tuoi disegni! Cristo Gesù viene a perfezionare la legge mosaica, che sostituirà con una economia di perfezione divina, ma fino a che la legislazione ebraica rimarrà in vigore Egli rispetterà il nome e la persona rivestita dell’autorità legale: la osserverà Egli stesso la legge e vorrà la osservi fedele la sua Madre divina. Ed allora, ditemi, non dovremo noi osservare, con religiosa esattezza, i precetti che il Cristo, apportatore di lieta novella, scrisse più col Sangue suo che colla parola e l’insegnamento? – Nella festa d’oggi non saprei quale omaggio migliore possa render un sacerdote alla sua missione, che mostrare a tutto il suo popolo come tutti ed ognuno abbiamo dovere di dipendenza da Dio e dalla sua legge universale e suprema! Sento di doverlo fare e certo riuscirò a rendervene convinti se la Vergine che oggi a noi mostrasi esempio di obbedienza alle prescrizioni legali, mi verrà in aiuto: invochiamola insieme con una Ave Maria! – Fra le diverse leggi che governano la natura, se vogliamo porre un rapporto troviamo subito che vi è una legge che guida ed una che costringe: una che ci tenta e seduce. Nelle Sacre Scritture, nei comandi del Signore, si vede la legge di giustizia che ci dirige: negli affari che ci premono, nelle vicende che attraversiamo necessariamente ogni giorno, nelle tristi condizioni della nostra povera umanità quotidianamente esperimentiamo la cruda necessità di una legge, vorrei dire fatale, che ci violenta. Anzi in noi stessi, nelle nostre membra e nel nostro spirito, è un imperioso allettamento che ci seduce, più ancora ci trascina o spinge al male: la confessava l’Apostolo questa legge, che egli chiama legge del peccato, che è continua tentazione alla nostra fragile natura d’uomini. Leggi diverse che ci impongono tre diversi modi d’azione: se vogliamo corrispondere fedelmente alla grazia della vocazione alla fede del Cristo, dobbiamo lasciarci guidare docili dai precetti che ci guidano, elevarci al di sopra delle tristi necessità che ci premono, resistere fortemente agli assalti del senso che ci inganna. – Gesù, la Vergine santa, il vecchio Simeone, Anna la profetessa vedova, ci insegnano tutto ciò nella festa di questo giorno: il vangelo della Messa ci riporta le loro parole ed i loro atti per inspirare il nostro modo d’agire verso le leggi che abbiamo constatate. Il Verbo incarnato e la sua santa Madre si sottomettono ai precetti che Dio aveva dato al suo popolo. Simeone, vecchio d’animo forte, che ormai nulla più tien legato alla vita, accettando tranquillo la legge della morte, si strappa alle necessità della vita, imparandoci a considerarle come legge inevitabile a cui dobbiamo adattarci con coraggio. Ed Anna, penitente e mortificata, ci mostra nei suoi sensi domati la vittoria sulla legge del peccato. Esempi memorabili d’una potente efficacia, che mi offrono l’occasione di mostrarvi oggi come dobbiamo noi tutti sottometterci alla legge della verità che ci guida: come dobbiamo sfruttare la legge della necessità che ci incatena, resistere infine alla voce del male che ci tenta ed alla legge del peccato che ci tiranneggia.

1° punto.

La libertà è nome caro, dolce ma insieme nome il più lusinghiero ed ingannatore tra tutti quelli che si usano tra gli uomini. Le rivolte, i tumulti, le sedizioni, il disprezzo e la violazione delle leggi nacquero sempre e crebbero nel nome dell’amore o del diritto alla libertà. Hanno gran quantità di beni gli uomini.. ma di nessuno abusano tanto quanto di questo gran dono: la libertà: e proprio tra tutte le cose che conoscono, la libertà è quella che conoscono meno e svisano di più. Vi faccio subito vedere un’aberrazione, che pare un paradosso: noi non perdiamo mai tanto la nostra libertà, come quando la vogliamo esageratamente estendere: e noi non sappiamo meglio conservarla che imponendole termini fissi entro cui si agiti: come conseguenza vi dirò che la vera libertà sta nella sottomissione alle leggi giuste. Se parlo del dono, e lo dico grande, della libertà, voi capite subito, o Cristiani, che accanto alla vera libertà, ve n’è una falsa: lo possiamo ben capire dalle stesse parole del Salvatore che ci avvisa: « si vos Filius liberaverit, tunc vere liberi eritis ». Sarete veramente liberi se avrete la libertà data dal Figliol dell’Uomo. (Giov., VIII). Nel dire: veramente liberi, parla di vera libertà; dice quindi, che ve n’è una falsa… una maschera di libertà! Egli vuole pertanto che le nostre aspirazioni non siano volte ad ogni forma di emancipazione ed indipendenza, ma alla vera libertà: libertà degna di questo nome sacro: quella cioè che a noi fu data dalla sua grazia e dalla sua dottrina: « tunc vere liberi eritis ». Non ci inganni dunque né il nome né l’aspetto della libertà: bisogna imparar subito a sceverare il vero dal falso. Perché lo possiamo nettamente, o Cristiani, vi descrivo tre sorta di libertà, che possiamo ben trovare nelle creature: la prima è la libertà degli animali; la seconda quella dei ribelli; la terza è la libertà dei sudditi e dei figlioli. – Sembra che gli animali siano completamente liberi perché nessuno detta loro alcuna legge: i ribelli credono di esserlo perché scuotono ogni giogo: i figlioli ed i sottomessi, i figli di Dio sono i veramente liberi, perché umilmente si sottomettono all’autorità della sua legge. Questa è la vera e la sola libertà: non ci sarà difficile il provarlo, quando proveremo che le altre due non sono affatto libertà.

La libertà dei bruti — veramente, fratelli, io mi sento arrossire in viso, chiamandola così — sento che avvilisco questo nome sacro! È vero: gli animali non hanno legge alcuna che reprima e limiti i loro appetiti, o li diriga: ma il perché è questo: Essi essendo privi di intelligenza non sono nemmeno capaci della direzione della legge. Sono guidati da un istinto cieco, e vanno dove questo li spinge, senza direzione né  criterio… Vorreste voi dirlo libertà un istinto cieco e brutalmente irruente che non è neppur suscettibile di norma e di guida, di freno? Oh figli d’Adamo che un Dio fece a sua immagine e somiglianza… non permetta questo Dio, che vi attragga questa libertà e vi adattiate ad amarla una libertà così vergognosa ed umiliante! Eppure… cosa sentiamo noi ogni giorno dalla bocca della gente del mondo? non sono quelli che trovano inutili le leggi, che tutte le vorrebbero abolite, tranne quelle dettate dal loro io a se stessi e dai loro desideri senza freno? Sarebbe molto piccolo il passaggio per costoro ad invidiare la libertà del bruto e dell’animale selvaggio, ormai essi non accettano altra legge che quella dei loro desideri!… Oh povera natura umana quanto vieni prostituita! Sentiamo però, o Cristiani, la parola del dotto Tertulliano: egli: che ben aveva compresa la dignità umana, scriveva nel secondo libro contro Marcione, un vero capolavoro di dottrina e di alto parlare, questa sentenza : « Era necessario che Dio desse all’uomo delle leggi, non per togliergli la libertà data, ma per dargli prova di stima. « Legem… bonitas erogavit, quo Deo adhæreret, ne non tam liber quam abiectus viveretur ». Davvero sarebbe stata atroce offesa alla nostra natura la libertà di vivere senza legge: Dio avrebbe mostrato tutto il suo disprezzo per l’uomo se non si fosse degnato di regolarlo dettandogli norme di vivere. L’avrebbe posto al livello dei bruti, ai quali non dà leggi e li lascia vivere senza freni, non per altro che per il disprezzo che ne ha, dice lo stesso Tertulliano. Ed allora quando gli uomini si lamentan della legge loro data, e braman una vita senza freno né guida, spinta solo dai loro ciechi desideri, bisogna proprio dire col Salmista che hanno perduto l’idea ed il concetto d’onore e della dignità della natura umana, se bramano essere uguagliati ai bruti! « Homo curri in honore esset, non intellexit, comparatus est jumentis insipientibus et similis factus est illis » (Ps., XLVIII).Cieca insipienza, descritta da un amico del pazienteGiobbe : — Vir vanus in superbiam erigitur, et tamquam pullum onagri se liberum putat natum.— L’umano sciocco è irragionevole, portatoda stolta superbia, crede, come il puledro dell’asinoselvatico, d’esser nato in libertà!Osserviamo, fratelli, i sentimenti dei peccatori, (furono tante volte anche i nostri), quando ciechisi tengono a guida il loro capriccio, la loro passione, la collera, il piacere, la sbrigliata fantasia: emordono il freno e ricalcitrano contro ogni leggee non vogliono sopportar dettami che li guidinoo regolino! Si stimano d’esser nati in piena libertà,non come gli uomini però, ma come gli animali…i più indomiti… i figli dell’asino selvatico, chenon vogliono né redini né sella né una mano cheli guidi!Oh uomini, no, no, non dobbiamo considerarcicosi vergognosamente bassi!È vero: siamo nati liberi: ma la libertà nondeve essere abbandonata a se stessa, sotto pena divederla degenerare nel libertinaggio che è il carneficedella vera libertà.Abbiamo bisogno di legge, perché noi abbiamola ragione e siamo suscettibili di indirizzo, diguida di norme che ci regolino: ed il Salmista Iodomanda al Signore quando prega per il popoloeletto: « Manda, o Signore, un legislatore al tuopopolo, perché le genti conoscan ch’essi sono uomini» (Ps., XX) …date loro prima Mosè che guideràla loro fanciullezza…; darete poi il santo Legislatore, Gesù Cristo che, fatto adulto il popolo, lo ammaestrerà nella vostra legge, lo condurrà per la via della perfezione!… Mostrerete così che voi sapete che il vostro popolo è fatto d’uomini… creature vostre da Voi fatte a vostra immagine e somiglianza e le cui opere e costumi volete modellati su di una legge che è vostra parola, eterna verità. Ma se è necessario assolutamente che Dio, Creatore dell’uomo, gli dia una legge, è necessario insieme però che la volontà umana vi si sottometta pienamente.Ecco allora la Vergine che nel mistero di questo giorno ci dà luminoso esempio di obbedienza perfetta. Pura come il raggio del sole, Ella si sottomette umile alla legge della purificazione. Anzi Ella porta al tempio lo stesso Salvatore, perché la legge lo comanda, ed Egli non disdegna, Egli autoredella legge, innocente sottoporsi alle prescrizioni dettate per i sudditi nati nella colpa. Ci insegnino questi esempi che la dobbiamo veramente amare la nostra libertà… ma amarla sottomettendola a Dio, persuasi che le sue leggi non la inceppano ma la fanno più perfetta, più sicura. Quando da l’una e dall’altra parte d’un fiume si costruiscono gli argini né si vuol fermare il fiume, né ostacolarlo nel suo corso, anzi, impedendogli di spargersi nelle campagne e sparire, lo si fa scorrere nel suo letto e correre tranquillo al mare!Alla stessa guisa quando le leggi a destra ed a sinistra stringono la nostra libertà, non la distruggono ma la incanalano, e mentre le impediscono di deragliare, le fanno seguir la via giusta che deve battere per riuscire dono benefico alla nostra natura: non la si fa schiava, la si guida…: non la sicostringe, la si dirige.La distruggono coloro soltanto che stornandola dal suo corso naturale, il fine cioè per cui Dio ce la donò, l’allontanano dal bene sommo a cui tende.Ecco allora, o fratelli, che la vera libertà ci viene data e conservata da Dio e dalla nostra dipendenza da Lui. Il rifiutare obbedienza, o miei cari, alla legge ed autorità di Dio, non è libertà ma ribellione, non è emancipazione ma insolenza! Apriamo gli occhi, apriamoli con coraggio, o fratelli, e vediamo quale sia la vera libertà nostra: siamo fatti liberi non per scuotere il giogo, ma per portarlo con onore, portandolo volontariamente. Abbiamo la libertà ma essa non deve essere la licenza di fare il male, ma di fare il bene pur potendo abusarne e fare il male, perché facendo noi liberamente il bene, questo ridondi a nostro onore e gloria: liberi non per rifiutare a Dio il nostro servizio, ma per servirlo volontariamente e farcelo, per così esprimerci, riconoscente, debitore come il padrone verso il servo fedele! Senza confronto noi siamo più sottoposti a Dio di quanto un fanciullo può essere sottoposto all’autorità di suo padre. Che se, osserva Tertulliano, Dio donandoci la libertà in un certo modo ci emancipò, non volle certo renderci indipendenti: lo fece perché, volontaria la nostra dipendenza, per libera nostra elezione gli rendessimo quanto per dovere gli dobbiamo e così i nostri servigi fossero meritevoli di ricompensa. Ecco perché siamo liberi, o fratelli. Ma, oh Dio. quale abuso tra gli uomini di questo dono del cielo! Come ha ragione il grande Papa Innocenzo IV, quando lamenta « che l’uomo è stranamente ingannato dalla sua stessa libertà — sua in æternum libertate deceptus! » Altro non vuol dire il Santo Pontefice che l’uomo non volle, non seppe distinguere tra libertà ed indipendenza, e non ricordò che esser libero non voleva dire essere senza padrone: mentre l’uomo è libero come il suddito sotto il legittimo principe, il figlio sotto l’autorità paterna.Egli invece volle esser libero fino a disconoscere la sua condizione e perdere completamente il rispetto: la sua fu la libertà del ribelle mentre doveva essere quella d’un buon figliolo e d’un suddito fedele.

La potenza di Colui contro del quale si alza sfacciato non permette che il ribelle gusti a lungo la sua licenza… È S. Agostino che parla. Sentite:« Altre volte, io volli essere libero a questo modo…e accontenta i i miei desideri, seguii le mie folli passioni! Ma ahi triste libertà… facendo quello che volevo ruinavo là dove non avrei voluto » (Conf.,VIII, V).Eccovi fedelmente ritratto il domani di tutti ipeccatori! Consideriamo questo uomo troppo libero, di cuivi ho parlato fino ad ora, che nulla mai nega né al capriccio né alla passione: sprezza e spezza ogni vincolo di legge: ama ed odia, si vendica a seconda che ve lo spinge il suo umore tetro o lieto lasciando correre il suo cuore dove il piacere l’attira: credere spirare un’aria di piena libertà perché correa destra ed a sinistra coi suoi desideri incerti e vaghi… e chiama libertà quello che è traviamento, proprio come i fanciulli che fuggiti da casa credono esser liberi e non sanno dove fuggano e vadano. Si stima libero il peccatore, stima questo far quel che vuole, libertà; ma quanto lo tradisce questa maschera di libertà: nel fare a suo modo, fatto cieco, precipita là dove non avrebbe voluto scendere affatto. Perché, o signori miei, in un governo perfetto la legge non può essere senza la forza della sanzione: le sue leggi sono forze armate, e chi le disprezza ne prova subito i colpi. Il folle che contro Dio, nel disprezzo della sua legge, vuole usare la sua libertà, per fare quel che gli garba, s’accumula sul capo le condanne che più dovrebbe temere: la terribile e giusta vendetta dell’Onnipotente disprezzato…la morte eterna. Basta… cessa o temerario ribelle dalla tua insolente libertà che non può salvarti dall’ira del sovrano che offendi, comprendi che con questa libertà tu fai a te stesso pesanti catene, e poni sul tuo collo un giogo di ferro che non potrai più scuotere: ti condannerai tu stesso ad una umiliante schiavitù mentre credi estender folle la tua indipendenza fino fuori del diritto di Dio.Che ci resta a fare allora, o fratelli? se non vivere sempre ed ogni giorno nella dipendenza del nostro Dio, certi che disprezzando i suoi comandamenti non potremmo mai sfuggire ai suoi castighi? L’Apostolo ci avverte di temere il Principe, perché non per nulla porta la spada: dovremo più ancora temere Iddio che non per nulla è giusto e onnipotente ed inutilmente non fa risuonare le sue minacce. Sto parlando, ed è onore, davanti a Sovrani: impariamo come render il nostro omaggio a Dio, da quanto facciamo verso l’autorità terrena che nell’immagine. Non fa ognuno di noi, nella obbedienza alla legge, sua la volontà del Principe? Non è vero che ci teniamo onorati di potergli prestare i nostri servigi e vorremmo quasi prevenirne i desideri? Più ancora, il suddito fedele non ritiene onore grandissimo dar la sua vita per il suo re? Stimiamo bella ogni occasione per dimostrare questa nostra disposizione d’animo: e questi sentimenti sono giusti e legittimi. Al di sopra del Re, non c’è che Dio; dopo di Dio il principe è la suprema autorità nella società civile, e tiene nelle sue mani la forza per l’esercizio della sua autorità. Non viene da tutto questo, come legittima conseguenza, che sarebbe assurdo vergognoso il ritener il Principe di più di Dio, e si negasse a Dio l’onore e l’obbedienza data al Principe? Il rappresentante sarebbe più onorato del Sovrano assoluto. Impunemente non si offende il principe, poiché tiene la spada in mano e si fa temere… e non gli si resiste. Parlando del Re, Salomone dice che egli scopre ogni segreto complotto… « gli uccelli del cielo tutto gli riferiscono » tanto che si vorrebbe quasi dire che prevede e preannuncia fatti e cose, le indovina, tanto difficilmente gli si può nascondere qualcosa: « Divinatio in labiis regis ». Allunga ed allarga le sue braccia, continua Salomone, e va a scovare i suoi nemici nelle profonde caverne in cui avevan pensato sfuggire alla sua potenza: la sua apparizione li mette in scompiglio e la sua autorità li schiaccia. (Eccles. Prov.). E se tanta forza ammiriamo nella debolezza della persona umana, quanto non dovremo tremare davanti alla Maestà suprema di un Dio vivente ed eterno! La più grande potenza del mondo non può andar più in là, in fin dei conti, di togliere la vita al suddito… Non occorre poi un grande sforzo per far morire un uomo mortale… togliere qualche momento ad una vita che li ha contati, e da sé corre verso l’ultimo suo istante. Che se temiamo tanto chi può toglierci la vita del corpo, e tolta questa non può più nuocerci, quanto più, insiste il Salvatore, quanto più dovrete temere Colui che può, anima e corpo, precipitarvi nella geenna eterna!…Osservate però, fratelli… quale cecità impressionante!… non solo vogliamo resistere a Dio, maci troviamo gusto a resistere ed opporci alla sua volontà! Aberrazione e rivolta più laida contro Dio non la si può pensare: la legge ch’Egli pose perché fosse argine e ritegno ai nostri pazzi desideri, li stuzzica e li provoca li fa più forti. Più una cosa è vietata e più ci sentiamo tirati a farla: mentre il dovere, ci si presenta come una tortura: ciò che la ragione dice buono, non ci piace quasi mai, e par quasi che quello che facciamo contro la legge sia più saporito e divertente: i cibi proibiti nel giorno dell’astinenza ci appaiono più appetitosi e saporiti « è il peccato che, ingannandoci con una falsa dolcezza, ci fa riuscire tanto più gradita una cosa quanto più ci è proibita ». Pare quasi che il nostro io, si stizzisca contro la legge perché è contraria ai nostri desideri, e ci troviamo un certo gusto a vendicarci facendole dispetti, anzi il tentare di imporci un freno od un argine, è proprio un provocarci a romperlo con più audacia ed astio! Era questo strano contrasto della nostra anima che faceva dire all’Apostolo che il peccato si serviva proprio della proibizione per sedurlo: « Peccatimi, occasione accepta per mandatimi, seduxit me » (Romani, VIII).Quanto siamo mai ciechi, o Signore, e quanto si sta lontana dalle tue leggi sapienti, l’arroganza umana… se lo stesso tuo comandarci ci stimola a disobbedirti!Oh venite Voi, o Maria Vergine cara, venite col vostro Gesù, Gesù e Maria venite e col vostro esempio piegate gli indocili nostri cuori! Chi vorrà pensarsi dispensato dall’obbedienza quando un Dio si fa obbediente alla legge? Quale pretesto cercheremo per sottrarci alla legge, davanti alla Vergine che si presenta per essere purificata, e che sapendo si pura d’una purezza angelica non si crede dispensata da una legge che per lei era proprio inutile? Se la legge dettata da Mosè, ch’era servo come noi, esige obbedienza così esatta ed universale,quale obbedienza piena e perfetta non dovremo noi alla legge dettata e comandata dallo stesso Figlio di Dio?Davanti a queste riflessioni ed a questi esempi, l’infingardaggine nostra non può più aver né scuse né pretesti… giù la testa! Anzi non contenti di fare quanto Dio comanda, mostriamogli la disposizione della nostra volontà in far quanto è suo piacere, sempre. Ciò vi propongo nell’altra parte del mio discorso, in cui per non essere lungo, unirò il secondo ed il terzo punto della mia divisione adducendo per essi lo stesso ragionamento e le medesime prove.

II° e III°  punto.

Fratelli, tra le cose che Dio esige da noi, osserviamo questa differenza: alcune che dobbiamo fare dipendono dalla nostra scelta: altre invece non hanno nessun rapporto colla nostra volontà, è Dio che arbitrariamente agisce per la sua potenza assoluta. Spieghiamoci: Dio vuole, ad es. che noi siamo giusti, retti, moderati nei nostri desideri, sinceri nel nostro parlare, costanti nelle azioni nostre; ci vuole pronti a perdonare le offese e non vuole assolutamente ne facciamo agli altri. In queste ed altre simili cose che vuole da noi, e che non sono che la pratica della sua legge e dei suoi precetti, la nostra volontà è per nulla affatto forzata. Se disobbediamo, Egli ci punisce, è vero, e non possiamo sfuggire al castigo, ma però possiamo disobbedire: ci pone davanti la vita e la morte lasciandoci liberissimi nella scelta. – In questo modo domanda l’obbedienza dell’uomo ai suoi comandamenti; come se essa fosse effetto della sua scelta e della sua propria determinazione. -Vi sono invece, altri eventi, che decidono della nostra fortuna e della nostra vita, e che sono disposti e guidati dalla mano segreta della sua provvidenza. Essi sono fuori dell’ambito del nostro potere e spesso perfino della nostra previsione, cosicché nessuna mano, per quanto potente, può arrestarne o mutarne il corso, secondo la frase di Isaia (LV): « I miei non sono i vostri pensieri: come è distaccato il cielo dalla terra, tanto e di più sono lontani i miei pensieri dai vostri » ed altrove: « Sarà fatto ogni mio volere e raggiungerà il suo sviluppo ogni mio discorso ». « Consìlium meum stahìt et omnis voluntas mea fiet ». Davanti alla causa di questa differenza, io sento che non sarebbe giusto die Dio lasciasse tutto alla mercé della nostra volontà, lasciandoci arbitri di noi e di quanto ci riguarda; mentre è giustissimo che l’uomo senta che vi è una forza superiore alla quale deve sottostare e cedere. È questo il perché di un duplice ordine di cose: quelle che vuole che facciamo noi, scegliendocele; altre che facciamo accettandole dalla necessità che ce le impone. È così che sono disposte le vicende umane: nessuna di esse però, per quanto ben preparata da prudenza, protetta da forza, sarà così sicura da non poter essere turbata da accidenti imprevisti che ne interrompono o deviano l’andamento. La Suprema Potenza dell’universo non vuol permettere vi sia un uomo, per quanto grande e potente, che possa disporre a suo piacimento della sua sorte e delle sue fortune, molto meno della sua salute e della sua vita. Piacque al Signore disporre tutto così, perché  l’uomo esperimenti quotidianamente questa forza superiore di cui vi parlo: forza divina ed inevitabile che talvolta, non lo nascondo, si rallenta e quasi si adatta alla volontà nostra, ma sa anche, quando lo voglia, opporre tale resistenza che contro di essa tutto s’infrange, e, nostro malgrado, ci fa servire ai piani della divina Provvidenza, in ogni pensiero e atto nostro. Arbitro Supremo, Iddio ha diviso le cose nostre così che alcune restano in nostro potere ed altre in cui, senza punto guardare a noi, solo consulta il suo piacere: perché se da un lato possiamo usare della nostra libertà, sentiamo dall’altro che abbiamo un forte dovere di dipendenza. Non ci vuole padroni assoluti: anzi vuole sentiamo che la sua padronanza c’è e s’esercita, tanto e quanto e dove Egli vuole perché ci guardiamo bene dall’abusare di questo dono della libertà. Se dolcemente ci invita, comprendiamolo bene, non è che ove voglia non sappia e non possa costringerci colla forza, no, ma vuole che temiamo sempre questa sua forza anche quando ci fa provare la sua dolcezza. È Lui, proprio Lui, che semina la nostra vita di avvenimenti ed eventi che ci infastidiscono, che contrariano la nostra volontà, che troppo attaccata a se stessa giunge alla licenza. E lo fa, perché  completamente domati, docili, sottomessi a Lui, ci possa innalzare alla vera sapienza. Non v’è prova più evidente di una ragione esercitata e sicura che il saper resistere alle proprie brame. Vedete: l’età in cui meno si ragiona si è anche meno capaci di moderar le proprie brame di vincerci… è l’età del capriccio. Se nei fanciulli la volontà fosse così fissa e costante quanto è ardente non potremmo più arrestarli né calmarli nelle loro voglie. Vogliono quel che vogliono: non stanno a veder se sarà utile o di danno, basta che piaccia ai loro occhi! se siano essi od altri i padroni, non importa nulla, basta che piaccia a loro che lo desiderano, lo vogliono: essi si credono padroni di tutto. Provate ad opporvi… il loro viso si accende ed infiamma, un tremito convulso li agita, pestano i piedi, piangono, anzi non è neppure pianto il loro, è un gemito, un riso, è un grido in cui c’è preghiera stizza, brama e dispetto: esponenti di un ardore di desiderio frutto della loro debolezza ed incapacità di ragionare. Fanno così i fanciulli!… ma se ci guardiamo intorno, dovremo confessare: quanti fanciulli nel mondo… fanciulli bianchi per antico pelo, fanciulli di cent’anni!… sono uomini in cui è violenza nel desiderio debolezza nel ragionare. Perché l’avaro vuole quanto brama senz’altro diritto che il suo interesse? L’adultero, che Dio tante volte maledice, che diritto ha alla moglie del prossimo se non la sua concupiscenza che è cieca? Non sono fanciulli che credono che per avere basti la loro voglia e il loro capriccio? Ma c’è una differenza tra il fanciullo e questi fanciulli: in quello là, natura, lasciando rallentate le redini alla violenta inclinazione, pone un altro freno: essi sono deboli ed incapaci di ottenere quel che vogliono: in questi altri — vecchi fanciulli — i desideri impetuosi non ostacolati dalla debolezza, divampano terribili se la ragione non li imbriglia e guida. – Conchiudiamo, fratelli, che vera scienza e vera sapienza è il saper moderarsi: man mano che si sa domare la violenza del proprio desiderio, si dà prova che si allontana dalla puerizia e fanciullezza e si diventa ragionevoli. « Diremo uomo maturo, vero saggio quello che, dice il dotto Sinasio, non si tiene in dovere di accontentare ogni brama od ogni desiderio… ma tutti guida e domina i suoi desideri secondo i suoi doveri ed i suoi obblighi, e ben conoscendo la fecondità della natura nelle voglie cattive, taglia e di qua e di là, come buon giardiniere, quanto trova, non solo guasto o secco, ma quanto vede superfluo, non lasciando crescere rigoglioso che quanto può dare frutti di vera sapienza ». Dite bene, vorreste oppormi che gli alberi non si lagnano né soffrono di questi tagli dei loro rami inutili o superflui, mentre la nostra volontà strilla e reclama quando si rintuzzano i suoi desideri: quindi, è difficile trovar il coraggio di tagliar sul proprio io. È vero: non tutti hanno il coraggio del Santo Vecchio, o della vedova Anna, di cui ci parla il Vangelo d’oggi, che agivan contro se stessi nella mortificazione e lottavan contro la legge di peccato che è nei nostri sensi: ecco però che il Signore viene in nostro aiuto. Sorgente prima ed universale del disordine in noi è l’attaccamento nostro alla nostra volontà: non possiamo contraddirci, anzi troviamo più facile opporci a Dio che al nostro io. Bisogna allora togliere questa radice guasta, sradicarla questa pianta infetta che dà frutti guasti, e con uno sforzo violento: pensiamo che essa è la causa della nostra sventura ed è tutta colpa nostra… Va bene! ma ed il coraggio? dove andremo a prenderlo questo coraggio di applicare ferro e fuoco ad una parte così delicata e sensibile del nostro cuore? Il malato vede che il suo braccio incancrenito lo porta alla morte, vede che bisogna tagliarlo ma da solo non lo sa fare: alla sua incapacità viene in aiuto il chirurgo, che fa un triste servizio ma pur necessario e salutare. Anch’io vedo che l’attacco al mio volere mi porta a dannarmi, perché fa vivere tutti i miei desideri malvagi: lo so, lo confesso. Ma confesso anche che non ho né coraggio né forza di armar la mia mano del coltello e tagliare… Ecco il Signore: viene e fa Egli il chirurgo che taglia e salva: viene accanto a noi in certi incontri ed avvenimenti dolorosi, inattesi ed inopportuni eventi, contrarietà insopportabili ed ingiuste, diciamo noi… sono i ferri chirurgici disposti dalla sua Provvidenza, e con essi attacca, abbatte e doma la nostra volontà che dalla libertà va alla licenza, risparmiandoci così di esser noi violenti contro noi stessi. Quasi la immobilizza la nostra volontà perché non sfugga al colpo doloroso ma salutare… e taglia, e profondamente penetra dentro alle nostre carni vive finché noi, costretti dalla sua mano, dalle disposizioni della sua volontà, ci stacchiamo dal nostro io… ed allora siamo guariti… dalla morte torniamo alla vita. – Se noi comprendessimo come siamo composti, e quanto ci lasciamo trascinare dai tristi nostri umori, comprenderemmo bene quanto ci è necessaria questa mano chirurgica. Voglio descrivervi con poche parole lo stato deplorevole della natura nostra. V’è una duplice sorta di mali… alcuni ci affliggono, altri, pare impossibile, ci piacciono: è strana ma purtroppo vera, reale distinzione. Dice S. Agostino che alcuni mali li sopportiamo con la nostra pazienza… e sono quelli che ci affliggono: altri invece li frena e domina la nostra temperanza: questi, continua lo stesso Santo, sono mali che ci piacciono: « Alia quæ per patientiam ferimus, alia quæ per temperantiam refrenamus ». A quanti mah sei esposta, sventurata umanità! Siamo preda a mille infermità: ogni nonnulla basta a darci noia, a farci ammalare… un nonnulla basta a farci morire! Diremmo quasi che una potenza avversa sia schierata contro la povera natura nostra, tanto pare ci trovi gusto a martoriare ogni nostra parte! eppure non è questo il nostro male maggiore: l’avarizia nostra, la nostra ambizione le altre passioni cieche insaziate ed insaziabili sono mali e quanto terribili! sono mali che ci seducono ed attraggono. Ma dove ci avete posto, o Dio? che vita è mai la nostra se ci perseguitano e i mali che ci fan soffrire e i mali che ci allettano e ci piacciono!? Ah me infelice chi mai mi strapperà a questo corpo di morte?… Chi? Ascoltami povero mortale… v’è chi ti libererà: sarà la grazia di Dio, per Cristo Gesù nostro Signore: ce lo dice il suo grande Apostolo, che scrutò le profonde ricchezze dell’amore di Dio. È vero: due sorta di mali ti travagliano; ma ecco che nella sua provvidenza Dio dispone che gli uni siano rimedio agli altri: cioè quelli che ci addolorano servano a moderare quelli che ci piacciono. Quelli a cui siamo costretti per frenare quelli in cui siamo troppo liberi: ogni male che ci viene di fuori, viene per abbattere un male che dentro di noi si solleva contro di noi… i cocenti dolori correggono gli eccessi a cui trasporta la passione sbrigliata… le disillusioni, le pene della vita ci fan sentir nausea dei falsi piaceri e attutiscono il senso troppo vivo del piacere. Non lo nego: la nostra natura, trattata così rudemente, soffre e noi ce ne lamentiamo… ma questa stessa pena nostra è medicina e rimedio, la rigidezza, in cui ci si tiene, diventa un regime curativo benefico. – Abbiamo bisogno, noi figli di Dio, che ci si tratti così fino a che non siam giunti a guarigione perfetta, cioè sia completamente abolita la legge del peccato che regna nelle membra nostre. Dobbiamo sopportare tutti questi mali fino a che non ne siamo corretti… ci occorrono questi mali per tener ritto il nostro giudizio fino a che viviamo in mezzo a tanti beni falsi dei quali, troppo facilmente, siamo portati a godere. Ogni contrarietà è un argine provvidenziale alla nostra libertà che disalvea… un freno alle passioni che tentano sopraffarci. Dio, che conosce quel che davvero ci fa bene, viene e contraria i nostri desideri: così dispose, la natura ed il mondo, e che da essi, proprio da essi, nascano ostacoli insuperabili che s’oppongono ai nostri progetti e sogni. nostra natura: di tutte le spine dei nostri affari: delle ingiustizie di tanti uomini, delle ineguaglianze importune, degli imbrogli del mondo e della vanità dei suoi favori. Per questo sono amati i suoi rifiuti e le sue lusinghe più dolci sono stimate pesanti catene di schiavi! Contraddetti a destra ed a sinistra la nostra volontà, sempre troppo libera, deve finalmente imparare a regolarsi: e l’uomo oppresso e travagliato da ogni parte, finalmente si sente spinto a volgersi al Signore, gridandogli sincero dal profondo del cuore: veramente tu sei, o Dio, il mio Signore: è giusto che la tua creatura serva a Te e ti obbedisca! Sottomettendoci invece alla volontà santa del Signore, una grande pace scende nell’anima nostra… accada che vuole nulla può smuoverci né commuoverci. Ecco: Simeone predice a Maria, appena madre, oscuri mali, immensi dolori; « l’anima tua sarà trafitta da acuta spada, e questo tuo Figliolo, ora tuo gaudio tuo amore, sarà bersaglio di contraddizione ». Cioè il Mondo e l’Inferno, raccolte tutte le loro tristi potenze si scaglieranno contro la sua persona e la sua opera, tentandone la rovina!… Predizione crudele, e tanto più crudele perché vaga… Simeone non predice alcun male in particolare, li lascia pensare e pesare tutti sul cuore. Per me non saprei trovare nulla di più angosciosamente crudo che lo stato di un cuore che si sta sotto l’incubo di una minaccia di mali, e non sa quale… impotente quindi a tentar una fuga un rimedio una difesa… quale?… dove?… – Atterrita, inebetita, quest’anima scruta e cerca e teme tutti ed ogni male: li va quasi scovando fino al fondo… il suo pensiero diventa il suo carnefice… poiché terribilmente atterrita non mette limiti né all’intensità né al numero degli strazi che le si minacciano. – S. Agostino dice che sotto la minaccia del male è già grande conforto il poter sapere da quale male saremo colpiti: saper perfino di qual morte moriamo è meno crudo che agonizzare temendole tutte: « Satius est unam perpeti morìendo, quam omnes timere vivendo ». Eppure Maria ascolta tacendo le terribili predizioni… non una parola di lamento, non una domanda al Vegliardo, che le lacera l’anima con le sue profezie, perché le dica quando, quanto, fino a quando questa spada le trafiggerà l’anima: Ella sa che tutto è disposto e guidato dalla mano di Dio… questo le basta e la sua volontà è subito sottomessa: per ciò non la turba il presente non la atterrisce il futuro. Oh se ancor noi sapessimo abbandonare noi e le cose nostre nelle braccia di quella Sapienza eterna che tutto regge e governa, quale costante tranquillità inonderebbe il nostro spirito: nessuna incalzante necessità, nessuna contraddizione lo saprebbe smuovere e turbare. Se fossimo anche noi come il vecchio Simeone, staccati da noi non avrebbe attrattive la vita, né spauracchi la morte, pur tanto odiosa!… viaggiatori, attenderemmo tranquillamente che lo Spirito del Signore ci inviti a fermarci dal nostro viaggio nel tempo, per entrare alla eternità. Fatto ogni giorno della vita il nostro dovere, come Simeone potremmo dire al Signore ad ogni istante: «Lascia, o Dio, che il tuo servo se ne vada ora in pace ». – Non fermiamoci qui però, o fratelli, nell’imitare il vecchio Simeone: non dobbiamo andarcene da questo mondo prima di aver visto, di esserci incontrati con Gesù: bisogna che possiamo aggiungere a quelle parole le altre: « perché i miei occhi contemplarono il Salvatore, che tu preparasti al mondo prima che fosse alcun popolo ». Il Salvatore promesso, atteso per tanti secoli venne finalmente: brillò la sua luce, ne furono illuminate e genti e nazioni: caddero gli idoli, furon liberati gli schiavi, i figli disobbedienti furono riconciliati col padre, i popoli si convertirono al loro Dio. Non basta fratelli! È venuto per noi questo Salvatore? È il nostro capitano, la nostra guida, la luce che illumina ognuno di noi?… no forse… perché noi non camminiamo per la via segnata dalla sua parola nei suoi precetti… non li osserviamo noi i suoi comandamenti. L’apostolo S. Giovanni potrebbe ancora dire davanti a tanti la parola severa del suo Vangelo (V, 37-38): « Neque vocem eius unquam audistis, neque speciem eius vidistis, et verbum eius non habetis in vobis manens » perché, continua: chi dice di conoscerlo e non ne osserva i comandamenti, è bugiardo « mendax est » ed in lui non è la verità « veritas in eo non est » (II, 4). Chi, tra noi, può dire, con verità, io lo conosco il Cristo, il Maestro? Quale contributo di vita abbiamo dato al suo vangelo? quali sono i vizi corretti, le passioni domate in noi? come usammo fino ad oggi dei beni e dei mali della vita?… quando la mano di Dio diminuiva le nostre ricchezze, abbiamo saputo anche noi diminuire le nostre spese, il nostro lusso?… ingannati dalla fortuna incostante, seppimo con coraggio staccar il cuore da’ suoi beni per attaccarlo a quelli che non sono né in sua mano né in suo potere? Ma ahi, che anche di noi si poté scrivere: « dissipati sunt, non compuncti… — fummo addolorati ma non mutati a bene! » Servi ostinati e caparbi, sotto la stessa sferza che ci voleva correggere e far camminare diritto, noi ci siamo impuntati… ci siamo ammutinati… rimproverati, non ci siamo corretti; abbattuti, non fummo umiliati; castigati, non convertiti! E davanti a questo nostro ritratto, diciamo ancora, se ne abbiamo il coraggio, di aver visto il Salvatore promesso, di aver conosciuto Gesù Cristo… lo Spirito Santo, colla mano di Giovanni, ci chiuderà la bocca: « in te non è la verità, tu sei bugiardo ». Temiamo, o Cristiani, temiamo e tremiamo di morire… poiché non abbiamo ancor visto Gesù, ed ancor non abbiamo tenuto sulle nostre braccia il Salvatore… cioè non ne abbiamo abbracciata la parola, la sua verità i suoi comandi! Infelici coloro che muoiono prima di averlo visto il Cristo Salvatore… quanto spaventosa la loro morte… come terribile il suo avvicinarsi… orribili le conseguenze del suo passaggio e del suo trionfo! In quell’ora svanirà la gloria, ruineranno i sogni ed i progetti… « in illa die peribunt omnes cogitationes eorum » mentre comincerà il loro supplizio…un fuoco eterno s’accenderà per essi: il furore e la disperazione più cruda ne lacereranno l’anima… il verme roditore, che non muore, affonderà più vorace il suo dente velenoso e non si staccherà più!Su fratelli, accorriamo al tempio con Simeone, ci porti lo Spirito del Signore, prendiamoci tra le braccia Gesù… baciamolo con amore… stringiamocelo al cuore perché sia tutto suo questo nostro misero. cuore. L’uomo dabbene non tremerà al venire della morte, poiché l’anima ormai più non appartiene aquesto corpo mortale: ne è già staccata: poiché. egli dominò le passioni, soggiogò i sensi e la carne.La penitenza e la mortificazione gli diedero questo dominio, l’emanciparono e dal corpo e dai suoi sensi… libero tenderà le braccia alla morte che viene quasi le additerà dove gli debba menare l’ultimo colpo!Alle minacce egli risponderà: Morte tu non mi spaventi… per me non sei né crudele, né inesorabile…tu non mi puoi spogliare dei beni che io amo… tu solo mi strapperai questo corpo… questo che è corpo di morte… me ne libererai finalmente, coronando gli sforzi costanti della mia vita con cui mirai giorno per giorno a strapparmi alla sua tirannia!… Nunc dimittis… lascia, o morte, che libero me ne vada al mio Signore!Qual cosa ci sembrerà impossibile, fratelli, per aver una simile morte… gioiosa come un trionfo?Potessimo morire della morte del giusto per aver eterno riposo, il vero riposo che non ci seppero né ci potevano dare i beni della vita… suchiudiamo l’occhio nostro ed il cuore nostro ad ogni bene che ci invita e fugge, per aprirlo solo e sempre nella vita a quei beni che durano e saranno nostri eternamente in seno al Padre, al Figlio e dallo Spirito Santo. Amen.

FESTA DELLA CANDELORA (2020)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.