CANONIZZAZIONE (2)

LA C. PAPALE O UNIVERSALE. – Il trapasso dalla prassi della c. vescovile alla c. papale è quasi impercettibile agli inizi. Questa, in un primo tempo, appare piuttosto casuale, e certamente non era intesa come un atto supremo e valevole per la Chiesa universale. Ma è chiaro che una c. fatta dal Papa aveva una maggiore autorità; e perciò in un secondo tempo le richieste di autorizzazioni papali di culto crebbero sempre più. Ma la procedura è la stessa come nella c. vescovile, e nella maggioranza dei casi il Papa si limita a dare il suo consenso, mentre fuori, sul luogo, si procede in seguito alla solita solenne elevazione ed inaugurazione del culto. I viaggi dei pontefici nei secc. XI e XIII diedero occasione ai Papi di procedere a tali elevazioni in persona. Insensibilmente la c. papale prese maggiore consistenza e valore canonico; si formò una procedura più rigida, e finalmente essa divenne la c. esclusiva e unicamente legittima. – Si può distinguere quindi un triplice periodo nello sviluppo della c. papale: a) fino a quando la decretale Audivimus (1170) di Alessandro III venne inserita nelle Decretali di Gregorio IX (1234); b) fino a Sisto V, che affidò alla S. Congregazione dei Riti il compito di preparare la c. papale; e) il periodo della c. papale secondo la prassi di detta Congregazione.

  1. a)Periodo primo: fino al tempo di Gregorio IX. — Da notare che le date fra parentesi che seguono i nomi dei singoli santi sono quelle della loro morte. Il primo Papa, intervenuto in una autorizzazione di culto fuori di Roma, sarebbe stato Innocenzo I (401-17), al quale sarebbero stati trasmessi gli atti del martirio di s. Vigilio di Trento (26 giugno 405), « ut sacris martyrum memorialibus inserantur »; ma l’autenticità degli atti, o almeno di questa notizia è discussa. Certo invece è che la definitiva traslazione del corpo di s. Severino, m. nel 482 nel Norico e trasportato dai suoi discepoli a Monte Feltre, da qui al Castellum Lucullanum [Pizzofalcone] presso Napoli), fu fatta « tunc sancti Gelasii dedis romanæ pontificis auctoritate » Æugippius, Vita Severini [ed. P. Knòll: CSEL, I X ] 65). Più o meno malsicure sono le notizie seguenti: Bonifacio IV (608-15), secondo un falso, avrebbe approvato « sua auctoritate » la vita di s. Mauro abate (15 genn. 584); Leone III, dietro istanza di Carlomagno, in occasione della sua visita a Verdun avrebbe elevato il corpo di s. Suitberto (1 marzo 713). A Papa Zaccaria (741-52) si attribuisce il permesso dell’elevazione dei martiri Chiliano, Colomanno e Totnano (8 giugno 689) a Würzburg; Adriano I (772-95) avrebbe approvato il culto di s. Albano, protomartire della Britannia (sotto Diocleziano), di ciò richiesto dal re Offa. Giovanni VIII (872-82) avrebbe elevato personalmente i corpi dei ss. Agricola, Silvestro, Desiderio, vescovi di Chalon-sur-Saòne del sec. Più sicura è la notizia che il vescovo Ugo di Würzburg procedette, il 14 ott. 983, all’elevazione del corpo di s. Burcardo (2 febbr. 754) « permisso Benedicti papæ » (Benedetto VII [974-83]). Giovanni XV (985-96) finalmente avrebbe autorizzato l’elevazione del corpo di s. Ladoaldo (687 o 688), celebrata a Gand 19 marzo 982 (la cronologia è però errata!). – Tralasciando altre simili notizie, difficili ad accertarsi, si passa alla prima, sicura c. papale di cui esiste ancora il documento pontificio, quella di s. Udalrico vescovo di Augusta (4 luglio 973), eseguita da Giovanni XV il 31 genn. 993, durante il Sinodo celebrato al Laterano. Tra i prelati era presente anche il vescovo di Augusta, il quale chiese ed ottenne di leggere davanti all’assemblea la vita ed i miracoli di Udalrico, e ne ebbe generale applauso. Il Papa, sotto la stessa data, ne stese un atto, esponendo l’accaduto e dichiarando degno di venerazione Udalrico. Il tutto rientra perfettamente nella cornice generale della procedura allora in uso, solo che l’attore fu il Papa. Comunque, si è soliti considerare questo atto come la prima c. papale « formale » nel senso presente della parola. A Gregorio V si attribuisce la c. di s. Adalberto, vescovo di Praga e martire (23 apr. 997), fatta lo stesso anno; certo è che egli eresse e dedicò a lui, che era stato suo amico, una chiesa sull’isola tiberina (poi S. Bartolomeo).– Benedetto VIIl permise, dietro istanza del conte Bonifacio, la costruzione di una chiesa in onore di s. Simeone monaco a Polirone presso Mantova (26 ott. 1016). Il Papa rispose: « Tractate eum ut sanctum ». Questa sarebbe la c. più rapida, avvenuta uno o due mesi dopo la morte del servo di Dio. – Giovanni XIX permise, ca. il 1024, l’elevazione di s. Abelardo, abate di Corbie (2 genn. 826) e due anni dopo quella di s. Bononio, abate di Lucedio (30 ag. 1026). – Benedetto IX concesse, verso il 1032, l’elevazione di s. Romualdo (16 giugno 1027). Molto più importante è l’altro suo intervento che, sotto tutti gli aspetti, costituisce storicamente il vero primo e perfetto atto di c. papale, cioè la c. di s. Simeone, recluso a Treviri (1 giugno 1035). Nella lettera al popolo tedesco il Papa espone, come gli fossero pervenute più volte notizie sulla vita e i miracoli del Santo, e come Poppone, vescovo di Treviri, gli avesse chiesto direttamente « ut quod nobis visum fuisset de celebratione eiusdem sanctissimi viri, salubri definizione nostræ apostolicæ auctoritatis statueremus atque decerneremus ». In una solenne adunanza « fraternitatis romani nostri cleri », in occasione del Natale (1041) il Papa, di comune consenso, decise: « eundem virum Simeonem… ab omnibus populis, tribubus et linguis sanctum procul dubio esse nominandum », stabilendo di celebrare la sua festa annualmente e di inserire il suo nome nel martirologio. È evidente, quanto differisca questo atto dai semplici permessi papali di elevazioni precedenti, soprattutto per l’espressa intenzione di una definizione di portata universale e obbligatoria per tutta la Chiesa. Però i tempi non erano ancora maturi per simili decisioni, e la c. di s. Simeone, in effetti, non superò i limiti delle solite c. vescovili. Notevole pure il caso di s. Wiborada, reclusa a s. Gallo (2 maggio 926). L’abate Hitto ne fece celebrare le solenni vigilie e celebrò la Messa sopra la sua tomba il giorno della deposizione; in seguito, come narra Eccheardo, « in sanctam eam levari iam bis nostris temporibus per duos papas decretatum est, et sub Norberto tandem impletum ». L’abate Norberto infatti, appoggiato dall’imperatore Enrico III, ottenne nel 1047 (5 genn.) da Clemente II, « ut canonizaret et prò sancta haberi præciperet et anniversarium diem ipsius solemnizandum institueret ». Come si vede, due precedenti concessioni papali non ebbero seguito, e solo una terza riuscì; da ciò si deduca il reale valore delle concessioni papali di elevazione. – Importante invece per la storia della c. papale è il pontificato di s. Leone IX, al quale i frequenti viaggi diedero occasione di celebrare personalmente varie elevazioni solenni. All’inizio del 1049, in occasione del consueto Sinodo Lateranense, dopo la lettura della vita, permise more solito l’elevazione di s. Deodato, vescovo di Nevers (19 giugno 679). Nell’estate dello stesso anno, nel Sinodo tenuto a Magonza, permise ugualmente il culto di s. Gervasio, vescovo di Liegi. Il 3 dic. successivo l’arcivescovo Ugone di Besançon, per speciale incarico del Papa, procedette solennemente alla elevazione dei corpi degli abati s. Romarico di Luxeuil (ca. 635) e Amato di Remiremont (ca. 625), nonché di Adelfo, Vescovo di Metz, dedicando ad essi la ricostruita chiesa di Remiremont. Molto interessante il caso di s. Gerardo, vescovo di Toul, predecessore del Papa su questa sede (23 apr. 994). Lo stesso Papa ne prese l’iniziativa; nel Sinodo Lateranense, 2 maggio 1050, presentò il caso all’assemblea, parlò della vita e dei miracoli del Santo, e, col generale applauso, decretò : « ut ex hoc sanctus habeatur… ubique terrarum, sicuti ceteri sancti », annunziando che egli in persona ne farebbe l’elevazione; ciò che fece realmente il 21 ott. dello stesso anno a Toul. Qui ci troviamo di nuovo di fronte ad una c. formale papale nel senso della piena autorità pontificia; infatti il Papa indirizzò una lettera « cunctis Ecclesiæ catholicæ filiis », firmata da tutti i componenti il sinodo romano. Incomincia così a delinearsi una distinzione fra la definizione pontificia e l’atto della elevazione, che fino allora, soprattutto nelle c. vescovili, era stato considerato come l’atto fondamentale. A Toul il Papa fece anche l’elevazione di un vescovo Romano di Toul, di cui però non si trova il nome negli elenchi autentici di questa sede. Durante il suo grande viaggio attraverso la Germania, il Papa, presente l’imperatore Enrico III, celebrò personalmente a Ratisbona (8 ott. 1052) l’elevazione dei vescovi s. Erardo (sec. VIII) e s. Wolfango (31 ott. 994). Benedetto XIV, nella sua nota grande opera sulla c. accolse anche come attendibile la notizia della elevazione, fatta da Leone IX a Padova, nel 1053, dei ss. Bellino, Fidenzio e Massimo, o, come altri vogliono, Giuliano, Massimo, Felicita e tre innocenti; ma la cosa è molto malsicura, come alcune altre notizie di questo genere, spiegabili facilmente dall’attività notevole di s. Leone IX nel campo della c.. Alessandro II, nel 1067 di passaggio per Milano, avrebbe celebrato l’elevazione di s. Arialdo, martire (27 giugno 1066), ma la notizia non è del tutto sicura. Nel 1070 permise l’elevazione di s. Teobaldo, eremita a Salanigo (30 giugno 1066), e diede al vescovo di Burgos la facoltà di procedere alla solenne elevazione dell’abate Ifiigo di Ona (1 giugno 1057). Gregorio VII permise (1073) l’elevazione solenne delle spoglie di s. Pascasio Radberto, abate di Corbie (26 apr. 860) da parte del vescovo Wito; nel 1083, su istanza del re Ladislao, concesse l’elevazione solenne dei ss. Gerardo Sagreda, vescovo di Czanàd, apostolo dei magiari (24 sett. 1046), Stefano, primo re d’Ungheria (15 ag. 1038) e suo figlio Emmerico (2 sett. 1031). – Urbano II permise l’elevazione di s. Godeleva, martire a Chistelles (6 giugno 1070); passando per Milano nel 1095 avrebbe fatto personalmente l’elevazione di s. Erlembaldo martire (10 apr. 1076). Nel Sinodo Romano del 1098 fu letta la vita del pellegrino s. Nicola di Trani (2 giugno 1094) e l’arcivescovo Bisanzio della stessa città chiese l’inserzione del suo nome nel catalogo dei santi: il Papa incaricò lo stesso Bisanzio di procedere a quanto era stato deciso, tornato che fosse a Trani. Il Martirologio romano dà anche s. Attilano, vescovo di Zamora (5 ott. 1009), come canonizzato dallo stesso Urbano II. – Pasquale II nel 1100 canonizzò s. Angilberto, abate di St-Riquier (18 marzo 814), autorizzandone 1’elevazione. Autorizzò pure l’elevazione del corpo di s. Canuto, re di Danimarca (10 luglio 1086), avvenuta il 19 apr. 1101. Il 4 giugno 1109, a Segni, dopo la solita lettura della vita, permise ai vescovi della regione di venerare come santo, Pietro vescovo di Anagni (4 ag. 1105). – Callisto II, eletto a Cluny il 2 febbr. 1119, il giorno dell’Epifania del 1120 procedette all’elevazione di s. Ugone, abate di Cluny (28 apr. 1109), da lui conosciuto. Nello stesso anno incaricò il card, di Palestrina, suo legato al Sinodo di Beauvais, di procedere all’elevazione di s. Arnolfo, vescovo di Soissons (14 ag. 1087). Quanto poi ad una presunta c. di s. Corrado, vescovo di Costanza (26 nov. 976), il Papa l’avrebbe declinata col riferirsi ad un concilio generale. Da notare il caso di s. Gerardo, vescovo di Potenza (30 ott. 1119). Il successore Manfredo, che riferisce il fatto, si recò a Roma con una delegazione del popolo per chiederne la c. Portato il caso in concistoro, Callisto lesse la vita del defunto e viva voce pronunziò la c., senza ulteriore documento; ma per attestarne l’autenticità ordinò ai vescovi presenti Pietro di Acerenza, Guido di Gravina, Leone di Marsico e insieme al card. di Palestrina, Guglielmo di recarsi a Potenza per proclamare l’avvenuta c. e la concessione di una indulgenza di 40 giorni. Tutto ciò dové avvenire tra i primi mesi del 1123 o 1124. La concessione di una indulgenza in occasione delle c. divenne ordinaria solo ca. un secolo dopo. – Innocenzo II, presente al Concilio plenario di Reims, il 29 ott. 1131, dopo la solita lettura della vita e dei miracoli, permise alla Chiesa di Hildesheim la venerazione del proprio vescovo s. Godeardo (4 maggio 1038, il 22 apr. 1134, dopo i preparativi del Concilio di Pistoia, il Papa, premessa la lettura della vita e dei miracoli, autorizzò la venerazione di s. Ugone, abate di Chaise-Dieu, vescovo di Grenoble (1 apr. 1132). Identica procedura al Concilio Lateranense del 1139, 19 apr., per s. Sturmio, abate di Fulda (17 dic. 779). – Eugenio III, in una solenne adunanza del clero in Trastevere, il 4 marzo 1146, procedette alla c. di s. Enrico imperatore (13 luglio 1024). Nella sua lettera di Papa ricorda di aver dato incarico a due cardinali legati in Germania, di prendere informazioni a Bamberga, ove era sepolto nella cattedrale di quel vescovado da lui fondato. – Ad Alessandro III si ascrive comunemente la riserva del diritto esclusivo della c. al solo Sommo Pontefice. La cosa è però ben diversa. Il 6 luglio 1170, Alessandro diresse a Canuto I, re di Svezia, al clero e al popolo svedese la lunga lettera Æterna et incommutabilis (Jaffé-Wattenbach, II, 13546: PL, 200, coll. 1259-61); verso la fine d’essa lettera il Papa viene a parlare di un caso particolare: « denique quiddam audivimus… », cioè di un tale che, ucciso in stato di ubriachezza, era stato venerato da alcuni come santo martire. A questo proposito il Papa insegna che : « etiamsi signa et miracula per eum plutima fierent, non liceret vobis prò sancto absque auctoritate Romanæ Ecclesiæ eum publice venerari ». Si trattava dunque di un caso particolare per il quale il Papa dava una sua direttiva, come i sommi pontefici solevano darne in tanti altri casi. Ma appena un decennio più tardi, certo dopo il 1179, un canonista inglese, solerte raccoglitore di decisioni pontificie, inserì nella sua collezione, detta « Cottoniana prima », anche l’« Audivimus » della lettera Æterna et incommutabilis con qualche accomodamento nel testo. Attraverso alcune altre raccolte di questo tipo, ma sempre di carattere privato, il testo finì, ca. il 1206 nella collezione privata di maestro Alano, inglese, professore di diritto a Bologna. Finalmente s. Raimondo di Peñafort, incaricato da Gregorio IX dell’edizione ufficiale delle Decretali, vi inserì anche l’« Audivimus » di Alessandro III, cosicché quel testo, in forza di tale inserzione (5 sett. 1234), divenne legge universale. L’ultima e definitiva fortuna dell’ « Audivimus » si ebbe nelle interpretazioni successive dei grandi canonisti, soprattutto di Sinibaldo Fieschi (Innocenzo IV) e di Enrico Bartolomei da Susa detto il «Cardinale ostiense », il quale nella sua Summa Aurea (1253) e nei suoi Commentaria (dopo il 1268) interpretò l’« Audivimus » nel senso di legge fondamentale del diritto pontificio della c. Questo punto importantissimo della storia della c. è stato soltanto recentemente messo in giusto rilievo per merito di S. Kuttner, La réserve papale du droit de Canonisation, in Revue historique du droit français et étranger, (nuova serie, 17 [1938], pp. 172-228; estratto, Parigi 1938). – Le c. di Alessandro III non differiscono del resto, affatto dalle precedenti; solo mezzo secolo più tardi le c. papali acquistano uno splendore e una risonanza universale tale che le elaborazioni canonisti che potevano innestare nel testo dell’ « Audivimus », in se stesso molto scarno, l’idea di una legge universale di riserva del diritto della c. al solo Sommo Pontefice. – La prima c. di Alessandro III fu quella di s. Edoardo confessore, re d’Inghilterra (4 genn. 1066), fatta ad Anagni (7 febbr. 1161) dove, in presenza della sua corte, dopo l’esame del « liber miraculorum », viste le lettere del predecessore Innocenzo al riguardo, procedette alla proclamazione richiesta; la lettera fu indirizzata a tutta l’Inghilterra il 7 nov. 1161. – Seguono due c. simili: a Tours il 9 giugno 1163, il Papa commise a Tommaso, arcivescovo di Canterbury, il futuro martire, di procedere, dopo la lettura e la vita e dei miracoli fatta in apposito concilio, alla c. di s. Anselmo di Canterbury (21 apr. 1109). Da Sens, ove risiedeva, nel 1164 il Papa diede analogo mandato per l’elevazione di s. Elena di Skòvde, martire svedese (ca.1160). Per incidenza è da notare nel dic. 1165 la c. di Carlomagno (28 genn. 814) compiuta da Pasquale III, l’antipapa che Federico Barbarossa imperatore aveva contrapposto ad Alessandro III. Pasquale commise a Rinaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia, il noto cancelliere imperiale, di procedere alla solenne elevazione di Carlo. E l’unico caso di una c. compiuta da un antipapa, che non esce dall’ambito delle c. «locali». – Nel 1169, a Benevento (8 nov.) segue la c. di s. Canuto, Knud Lavard, martire danese (7 genn. 1131). Importantissima invece la c. di s. Tommaso Becket arcivescovo di Canterbury (29 dic. 1170). Il fatto del suo martirio produsse un’enorme impressione in tutta l’Europa; il Papa, nel 1173, emanò da Segni due lettere di uguale tenore, di cui una diretta a tutti i prelati della Chiesa. Dice di aver conosciuto personalmente Tommaso, e di voler aspettare la relazione di due suoi cardinali legati, specialmente sui miracoli. Finalmente « in capite ieiunii » (21 febbr. 1173), presenti moltissimi ecclesiastici e laici « præfatum archiepiscopum solemniter canonizavimus ». È la prima che in un documento pontificio appare questo preciso termine. Ugualmente importante è la c. di s. Bernardo di Chiaravalle (20 ag. 1153). Il Papa, dopo iterate istanze dei Cistercensi, nella festa della Cattedra di s. Pietro (18 genn. 1174), ad Anagni, presente un largo stuolo di prelati, fatta leggere la vita di Bernardo decretò : « Beatorum Apostolorum Petri et Pauli meritis confisi, sanctorum cathalogo duximus adscribendum ». E la prima volta che si viene a conoscenza di una formula che si riferisce all’autorità apostolica, adoperata in questo atto. – Lucio II nel 1181, nella solita forma, concesse l’elevazione di s. Brunone, vescovo di Segni (18 luglio 1123). – Clemente III canonizzò, il 21 marzo 1189, s. Stefano di Thiers, eremita, fondatore della Congregazione di Grammont (8 nov. 1124). Molto interessante la c. di Ottone, vescovo di Bamberga, apostolo dei Pomerani (30 luglio 1139). In due lettere apostoliche, del 29 apr. e 1 maggio 1189, dirette a particolari prelati tedeschi, il Papa dichiarava di aver incaricato i due vescovi, di Merseburg e di Eichstadt, due abati e un canonico perché dopo una diligente inquisizione sulla vita e sui miracoli, con autorità apostolica lo dichiarassero canonizzato, « ipsum canonizatum, auctoritate freti apostolica, solemniter et publice nuntietis ». E una autentica c. per delega papale. Simile la c. di s. Malachia O’ Morgair, arcivescovo di Armagh (m. a Chiaravalle il 2 nov. 1148), fatta in base alla vita scritta da s. Bernardo e a molteplici altre informazioni, il 6 maggio 1190. – Celestino III, il 4 marzo 1192, su ripetute istanze del vescovo di Gubbio, dopo molte relazioni in proposito « de communi fratrum Consilio », e « Beatorum Petri et Pauli Apostolorum auctoritate », canonizzò s. Ubaldo, vescovo di Gubbio (14 maggio 1136), comandando di celebrarne la festa « apud vos ». Di simile tenore la lettera apostolica per la c. di s. Bernardo (meglio Bernward), vescovo di Hildesheim (26 ott. 1023), fatta in Roma a s. Pietro l’8 genn. 1192. Identica la c. di s. Giovanni Gualberto (13 luglio 1073) in data 24 ott. 1193. Del 27 apr. 1197 è la c. di s. Geraldo, abate di Sauve-Majeur presso Bordeaux(5 apr. 1105). Allo stesso Celestino si ascrive anche la c. di s. Bernardo degli Uberti, cardinale vescovo di Parma, vallombrosano (4 die. 1133), ma Clemente XI nel 1714 rifiutò di estenderne la festa a tutta la Chiesa perché non si era in grado di provare storicamente l’avvenuta c. formale. Più sicura appare la c. di s. Rodosindo, vescovo, di Dumnium in Galizia (1° marzo 977), fatta probabilmente nel 1196. Innocenzo III, il 12 genn. 1199, canonizzò s. Omobono di Cremona (13 nov. 1197), e nella sua lettera il Papa diede per la prima volta, in un documento ufficiale, un breve sunto della vita del Santo e dei miracoli, attestando ch’esso era stato composto su testimonianze giurate. Il 3 apr. 1200 canonizzò s. Cunegonda, imperatrice, moglie di s. Enrico (3 marzo 1040). Del 1202 è la c. di s. Gilberto, abate di Sempringham (4 febbr. 1189). Molto interessante il caso di s. Guglielmo, eremita di Malavalle, presso Grosseto (10 febbr. 1157). Già Alessandro II aveva ordinato, su istanza del vescovo di Grosseto, che nella sua diocesi fosse celebrata la solenne ufficiatura per detto Santo « ad interim », senza procedere all’atto della c. espressa. Innocenzo (1202, 8 maggio), dopo iterate istanze, rinnova il permesso di continuare a celebrare la festa. Benedetto XIV nega in questo fatto il carattere della c.: nondimeno crediamo che ancora si tratti di una c. locale. Il 14 maggio 1203, a Ferentino, canonizzò s. Vulstano, vescovo di Worcester (19 genn. 1095). Il Papa aveva incaricato una commissione di due vescovi e di due abati di recarsi a Worcester, di indire un digiuno di tre giorni e di procedere poi all’esame dei miracoli. Si tenne conto di una vita scritta cento anni prima in vecchio inglese, autenticata e sigillata. Il tutto fu portato a Roma per l’esame. In base a ciò il Papa celebrò la c. e pubblicò anche l’orazione del nuovo Santo. I l 2 luglio 1204 fu fatta l’elevazione del corpo di s. Procopio, abate di Sàzawa, da parte del card. Guido di S. Maria in Trastevere, in base all’ordine del Papa « ut corpus beati viri solemnizatum canonizetur ». – Onorio III, i l 17 maggio 1218, a S. Pietro in Vaticano, canonizzò s. Guglielmo, arcivescovo di Bourges, poi monaco e abate cistercense (10 genn. 1209). Il 18 febbr. 1220 da Viterbo annunziò a tutto il popolo cristiano la c. di s. Ugone, certosino, vescovo di Lincoln (il 7 nov. 1200), dopo l’ormai solita «commissio inquisitionis» In data 8 genn. 1222 si ebbe la concessione ai monaci cistercensi di Molesme di venerare « tamquam sanctum » il loro abate s. Roberto (14 apr. 1111) . Il 21 genn. 1224 al Laterano procedette alla c. di s. Guglielmo, abate cistercense di Roskilde in Danimarca (6 apr. 1203). Un caso di speciale interesse è la c. di s. Lorenzo O’Toole, arcivescovo di Dublino (14 nov. 1181), celebrata a Rieti l’11 dic. 1225. Al suo sepolcro, a Rouen, si erano verificati molti miracoli: pertanto il Papa ordinò all’arcivescovo di detta città di fare la solita inchiesta insieme con altri ecclesiastici, i quali raccolsero le debite testimonianze. Ma quanto alla vita del Santo, i commissari trasmisero la loro commissione all’arcivescovo di Dublino il quale, trattenuto alla corte inglese, delegò altri suoi dignitari, i quali fecero a Dublino l’inchiesta indicata e, sigillata, la trasmisero a Rouen, da dove tutto il materiale passò a Roma per la verifica e la decisione. In questo fatto si ha il primo caso di quello che oggi si chiama « processo rogatoriale ». E del 18 marzo 1226 nel Concilio Lateranense la c. di s. Guglielmo Fitzherbert, arcivescovo di York (8 giugno 1154)1 dopo le solite istanze ed inquisizioni. Ad Onorio III si attribuisce anche la c. di Ugone, abate cistercense di Bonnevaux (1 apr. 1191) e di Giovanni eremita, priore di S. Maria di Gualdo. Le inquisizioni ormai necessarie furono fatte per il primo il 2 die. 1221 e per il secondo il 3 giugno precedente, ma nessun documento ci resta che attesti l’avvenuta c. Un altro caso simile è quello di Giovanni Cacciafronte, abate benedettino di Vicenza, ucciso il 16 marzo 1183. Onorio indisse la «commissio inquisitionis», si fece anche un processo a Cremona, dove era nato, ma non si andò più avanti. – Gregorio IX. Universale eco suscitò la c. di s. Francesco di Assisi (4 ott. 1226); il Papa la proclamò a Perugia e l’annunziò con due lettere, una al clero, l’altra al popolo universo (16 luglio 1228 e 21 febbr. 1229); la cerimonia relativa fu fatta dal Papa ad Assisi ai primi di luglio 1228. Nella piazza davanti alla chiesa egli tenne il sermone, e, portata in chiesa la salma, al canto del Te Deum, celebrò la Messa del novello Santo. La formula di questa c. ci è conservata, ed è certamente la più antica che si conosca. La festa del Santo fu imposta a tutta la Chiesa e subito universalmente accettata. Sebbene il Papa fosse stato suo amico volle nondimeno che fosse istituito il solito processo di inchiesta sulla vita ed i miracoli (il primo processo di c. completamente conservato e pubblicato) e che tutto procedesse secondo l’uso ormai tradizionale. Lo stesso si deve dire della c. di s. Antonio di Padova (13 giugno 1231) fatta a Spoleto il 1° giugno 1232 e pubblicata con tre lettere nelle quali il Papa accenna alla « commissio inquisitionis ». Il 18 giugno 1232 al Laterano fu canonizzato un santo antico, con culto plurisecolare : s. Virgilio, vescovo di Salisburgo (27 sett. 780), con la concessione di una indulgenza per la festa e l’ottava. Caso interessante questo, perché conferma il valore che era venuto acquistando l’istituto della c. papale. Segue la c. di s. Domenico di Guzman (6 agosto 1221), fatta a Rieti il 3 luglio 1234 con la festa estesa alla Chiesa universale e con l’indulgenza di un anno. – Altra e. di un personaggio, celebre in tutto il mondo cristiano di allora, è quella di s. Elisabetta di Turingia (19 nov. 1231), fatta nella chiesa dei Domenicani a Perugia il 27 maggio 1235. La lettera papale è del 1° giugno successivo, ed anche questa volta la festa fu estesa alla Chiesa universale « districte præcipiendo »,, ma senza effetto reale. Sotto Gregorio IX fu istituito anche il processo per Odone di Novara, abate certosino (14 genn. 1230). Si conosce la « commissio inquisitionis » in data 10 dic. 1240 e il relativo processo; ma tutto si fermò, forse per la morte del Papa. Non si può tacere finalmente, perché anche molto istruttivo, il caso di s. Ildegarda, badessa benedettina (17 sett. 1233). La sua fama in vita era già universalmente nota e, dopo morta, si parlò di un numero grande di miracoli avvenuti per sua intercessione. Gregorio IX nominò la commissione e, il 16 dic. 1233, indisse il processo che fu mandato a Roma sigillato. Trovate insufficienti le deposizioni, si ordinò un nuovo esame di testi, di cui non ci è pervenuta notizia. Innocenzo IV poi, nel 1243, rinnovò la commissione ma senza effetto pratico. Dopo nuove insistenze, Giovanni XXII, nel 1317, diede nuove lettere di commissione, ma la cosa era divenuta sempre più difficile per la mancanza di testimonianze orali e per le esigenze sempre maggiori richieste nei processi. Così la celebre Santa non è stata mai canonizzata formalmente. Un caso simile è quello di s. Brunone, vescovo di Wùrzburg (27 maggio 1045). Gregorio IX emanò per lui la solita commissione, il 1 maggio 1238, ma il processo portato a Roma non fu giudicato soddisfacente. Innocenzo IV pertanto ordinò una nuova inquisizione (Lione, 5 Nov. 1245), ma una c. formale non ebbe mai luogo. Indubbiamente Gregorio IX, esimio canonista, diede alla c. papale un’importanza nuova. – Dopo il brevissimo governo di Celestino IV, seguì sul trono papale la grande figura di Sinibaldo Fieschi, Innocenzo IV (1243-54). Già professore di diritto a Bologna, da Papa scrisse l’Apparatus super V libros decretalium, commentario che ebbe subito larghissima diffusione e fama, sebbene egli dichiarasse espressamente di averlo scritto da uomo privato. Le osservazioni e definizioni del Fieschi circa la c. divennero perciò la base di tutti i canonisti successivi. Egli stabilì definitivamente l’« Audivimus » di Alessandro III come leggere della c. papale, di cui diede anche la prima precisa definizione, divenuta classica fra i canonisti. Essa consiste nel « canonice et regulariter statuere quod aliquis sanctus honoretur pro sancto », cioè con tutte le prerogative di un culto pubblico e universale. In questa universalità appunto riconosce Innocenzo IV la radice della riserva pontificia della c: «Solus Papa potest canonizare sanctos », poiché solo il Papa esercita una giurisdizione universale sopra tutta la Chiesa. Ma per pervenire alla c., occorrono le prove giuridiche « de fide et excellentia vitæ et miraculis ». Egli stesso canonizzò, il 16 dic. 1246 a Lione, il vescovo di Canterbury, s. Edmondo Rich, orginario di Abington (16 nov. 1240), e nella Pasqua del 1247, ancora a Lione, s. Guglielmo Pinchon, vescovo di St-Brieuc (20 luglio di anno incerto tra il 1234 e il 1241). Più grandiosa riuscì la c. di s. Pietro Martire (6 apr. 1252), la cui cerimonia fu celebrata a Perugia nel piazzale davanti la chiesa dei Domenicani nella Pasqua del 1253. Il Papa pubblicò due lettere di tenore generale, una da Perugia il 24 marzo 1253, l’altra da Anagni l’8 ag. 1254. Importante è l’asserto del Papa di avere proceduto alla c. « post inquisitionem sollertem, studiosam examinationem, discussionem solemnem… auctoritate beatorum Petri et Pauli Apostolorum ac nostra ». Seguì ad Assisi, l’8 sett. 1253, la c. di s. Stanislao, vescovo di Cracovia, martire (8 maggio 1079). Tutta la celebrazione solenne si svolse completamente nella grande basilica di S. Francesco. D’ora innanzi la c. si svolgerà interamente come rito liturgico. In seguito poi alla commissione, data da Innocenzo IV, furono costruiti, tra il 1251 e 1254, i processi per Giovanni Buono (23 ott. 1249), eremita, ma, per cause a noi ignote, la c. non si fece mai. – Alessandro IV celebrò un’altra c. celebre, quella di s. Chiara di Assisi, che egli stesso aveva assistita in morte (12 ag. 1253). La solennità si svolse ad Anagni nel secondo anniversario della sua morte, 12 ag. 1255. – Urbano IV canonizzò a Viterbo il 22 genn. 1262 s. Riccardo de Wych, vescovo di Chichester (3 apr. 1253). Come il Papa dice nella lettera sulla causa: l’Inquisitio era stata ordinata da Innocenzo IV e « diligenti examine discussa » prima dal cardinale vescovo di Frascati, Ottone di Chateauroux, e finalmente « per nos et per fratres » vale dire dai cardinali. Si vede come la procedura diventava sempre più severa. –Clemente IV procedette alla c. di s. Edvige, granduchessa della Slesia (15 ott. 1243), fatta a Viterbo il 26 marzo 1267. – Questo periodo si chiude con la grande figura del card. Ostiense, di cui si è già parlato. La sua Summa aurea e soprattutto il suo Commentarium restituiscono il termine di uno sviluppo plurisecolare. Dalla metà del sec. XIII si può datare il secondo periodo della storia della c. dei santi, de facto e de iure ormai riservata alla S. Sede. Con questa riserva però non cessò il sorgere di nuovi culti liturgici locali, senza che arrivassero mai alla c. – Come s’è visto, dai primi, sporadici interventi di alcuni Papi, più casuali che altro, si pervenne insensibilmente ad attribuire alla c. papale un valore più elevato ed esclusivo. Mentre agli inizi si trattò prevalentemente di permessi o di commissioni pontificie per procedere all’elevazione di un santo, questo elemento, fin allora di importanza capitale, passò in seconda linea; incominciò a prevalere la semplice e formale dichiarazione pontificia della c. fatta. Così la procedura, agli inizi assai rudimentale, acquistò una vera consistenza giuridica assumendo i vari elementi della procedura canonica, sviluppatasi per i vari processi curiali. – Agli inizi bastò la lettura di una vita e dei miracoli davanti al Papa e ad un sinodo o qualche altra solenne riunione del clero, per provocare, di comune consenso degli astanti, il permesso papale all’elevazione. Ma nelle rispettive lettere pontificie ben presto si rileva la tendenza di dare più risalto all’atto papale conferendogli un valore universale. L’esame poi dei miracoli, attinente in qualche modo ad una definizione di un intervento divino, portò all’idea trattarsi, nelle c., di « negotium maius Ecclesiae », spettante al Papa e alla sua Curia. La sola lettura di una semplice vita non bastò più; la S. Sede prese l’iniziativa e chiese da parte sua più ampie informazioni. Nel 1146 a proposito di Eugenio III, , per s. Enrico, si sa per la prima volta che il Papa si servì a questo scopo dei suoi legati. Nel 1189 con Clemente III, appare la prima volta il termine « commissio », cioè l’espresso incarico dato dal Papa a determinate persone per l’inquisitio sulla vita e sui miracoli. – Sotto Innocenzo III (per s. Omobono) si viene per la prima volta informati che l’inquisizione si basò sopra testimonianze giurate. Rapidamente si introducono nella procedura preparatoria alla c. tutte le cautele giuridiche allora in uso per gli altri processi, esposti, ad es., magistralmente dal noto Guglielmo Durando, vescovo di Mende, nel suo Speculum iuris, uscito nel 1272 e nel 1287. Anche nel processo per la c. appariscono il giuramento detto «de calumnia», gli «interrogatoria», gli «articuli», preparati d’ufficio alla Curia papale e trasmessi, insieme con la « commissio », ai commissari. Le sigillazioni degli atti dopo ogni seduta rimontano a questa stessa età. Nello stesso modo poi, come gli altri processi, anche quelli per la c. furono affidati ai chierici della Curia, in genere ai cappellani papali, per la revisione e la rubricazione; seguiva un esame preliminare da parte di un cardinale e, finalmente, la proposizione in concistoro. Anche la celebrazione liturgica della c. ebbe in questo periodo la sua evoluzione sostanziale. Agli inizi si trattò di un semplice atto giuridico, di una sentenza del Papa, proferita in sinodo, senza ulteriori celebrazioni liturgiche. Queste, cioè la solenne elevazione con Messa ecc., avvenivano nel luogo ove riposavano le spoglie del santo. Solo nel 1131 con Innocenzo II (c. di s. Godeardo), si viene a sapere che la proclamazione della c. si chiuse con il canto del «Te Deum laudamus». Nel 1192 (con la c. di s. Ubaldo) ci è conservata la prima notizia che Celestino III, in seguito alla c., celebrò anche la Messa in onore del novello Santo. Da alcuni cenni contenuti nelle varie lettere pontificie per le c., si può dedurre che si era sviluppata una certa formula rituale per la proclamazione di un santo; si inserirono i nomi degli Apostoli Pietro e Paolo (primo accenno nel 1174, sotto Alessandro III, per s. Bernardo); nel 1228 (per s. Francesco), si è conservata la formula completa: « Ad laudem et gloriam omnipotentis Dei, Patris et Filii et Spiritus Sancti, et gloriosæ Virginis Mariæ, et beatorum Apostolorum Petri et Pauli, et ad honorem Ecclesiæ Romanæ ». Sotto Onorio III (1218), incominciano le prime concessioni di indulgenze in occasione della c., 40 giorni (per s. Guglielmo di Bourges). Gregorio IX concedette, nel 1228, per s. Antonio, la prima volta un anno di indulgenza. Per s. Elisabetta (1235), l’indulgenza è salita a un anno e 40 giorni. Dal 1228 (s. Francesco) divenne regola che il Papa facesse al popolo un sermone, poi leggesse o facesse leggere i miracoli, e pronunciasse finalmente la formula della c., chiudendo la celebrazione con la Messa. Inoltre si sa che in quell’epoca generalmente fu d’uso già il canto del « Veni S. Spiritus » per implorare l’aiuto divino, affinché « Deus non permittat ipsum (papam) errare in hoc negotio », così l’Ostiense.

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Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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