OMELIA DI PENTECOSTE DI S.S. GREGORIO XVII

 

OMELIA DI PENTECOSTE DI S.S. GREGORIO XVII

[che gli a-cattolici eretici e scismatici si ostinano a chiamare Cardinal G. Siri]

PENTECOSTE – S. Messa (1979)

Il testo evangelico (Gv XX, 19-23), che ci riporta al giorno stesso della Risurrezione del Signore, narra un’anticipazione della Pentecoste: parla di una prima diretta effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli per dare ad essi il potere di rimettere i peccati. Ma il vero oggetto di questa, che è tra le massime solennità della Chiesa, la Pentecoste, è narrato nella prima lettura tolta dal 2° capitolo degli Atti degli Apostoli (vv. 1-11). Quello è l’oggetto, e su quello io invito voi a convergere le vostre riflessioni. – Il fatto della Pentecoste è grandioso, solenne, stupendo; riecheggia, ma in forma più dolce, la grande manifestazione del Sinai accaduta molti secoli prima per la promulgazione del Decalogo (cfr. Es XIX). Questa seconda promulgazione di tutto l’operato di Cristo, già ormai compiuto, ha un carattere più dolce, più amabile, adattandosi al tenore che la Provvidenza ha assunto nel Nuovo Testamento. Ora nel fatto della Pentecoste, oggetto della riflessione in questo giorno, bisogna distinguere alcune cose. La prima è il fatto esterno: il vento impetuoso che ha scosso le fondamenta della città; le fiammelle ardenti scese sul capo dei singoli che erano nel Cenacolo, fatto grandioso; la presenza, anzi la presidenza – e voglio sottolinearlo – della Santissima Vergine, perché nel Cenacolo c’era Maria. Ad Ella non erano state date le chiavi di Pietro, ma stava al di sopra delle chiavi di Pietro ed era Ella, la Madre del Signore, in ragione della dignità e della Venerabilità del suo ufficio, a tenere almeno nell’onore la presidenza di quella piccola assemblea degnata di un tanto fatto divino, che riecheggiava l’antico Sinai. Ma di questo parlerò stasera dopo i vespri, non ora. – C’è una seconda cosa: la vera Pentecoste. Perché la vera effusione dello Spirito Santo non è stata né il vento, né le fiammelle, né il chiarore, niente; questo era semplicemente un involucro esterno per accompagnare ad uomini che capiscono tutte soltanto attraverso le cose materiali, accompagnare a loro e lasciare un’adeguata impressione l’effusione interna dello Spirito Santo. La vera Pentecoste non si vedeva. E la vera Pentecoste, quella alla quale sono partecipi tutti i fedeli fino alla fine del mondo, non si vedrà, se non in casi straordinari, mai. Ora, anche in questa Pentecoste interiore c’è da fare una distinzione, cioè quello che è stato dato agli Apostoli allora e che è dato anche a noi nel Battesimo, nella Cresima, in tutti i Sacramenti e in tutti gli atti soprannaturali che noi compiamo, e quello, invece, che è state caratteristico per gli Apostoli. Bisogna distinguere: anche noi entriamo nella Pentecoste, ma non come loro. Vediamo prima quello in cui entriamo anche noi nella Pentecoste. Essi avevano la Grazia divina, cioè quella dignità soprannaturale che rende quanto è possibile la creatura partecipe della stessa natura divina, che è radice per cui gli atti fatti in state di Grazia hanno tutti un valore eterno, oltre che soprannaturale: quella dignità per cui si diventa figli adottivi di Dio, non più soltanto servitori; quella dignità che innalza ontologicamente, obbiettivamente – non è cavalierato che sta tutto nella medaglia appesa sul petto-, è intima, interiore e tocca le sorgenti dell’essere e della vita, per cui siamo, vivendo in questo mondo, appartenenti ad un ordine e ad una famiglia divina. Quello l’avevano e l’abbiamo anche noi, se siamo in Grazia di Dio; vorrei sperare che in questa chiesa, in questo momento, non ci fosse nessuno che sia in disgrazia del Signore, perché avrei paura che qualche cosa venisse giù. Ma non è qui solo: c’era e c’è in noi quell’intervento continuo soprannaturale che si chiama Grazia attuale, per prevenire, accompagnare, dando luce, forza e costanza. Tutti gli atti buoni, che noi compiamo e che possono essere valevoli, anche indirettamente, all’eterna salute e al merito che avremo nella gloria di Dio, l’ebbero loro e li abbiamo noi. I doni dello Spirito Santo, che sono quell’intervento divino che appresta l’anima, la allena ad aprirsi alla Grazia di Dio comunque essa venga data e in qualunque misura essa venga data, l’ebbero loro, li abbiano noi. – Ricordiamocene qualche volta, non fosse altro per portare rispetto a quel tanto di divino che è in noi, al quale pensiamo così poco, al quale pensando forse troveremmo la forza di evadere dalle strettoie degli avvenimenti che ci sono imposti dalla cattiveria del mondo. – Ma veniamo a quello che era proprio degli Apostoli. Ecco, mi sforzerò di descriverlo come so, per deduzione, perché è grande e sfugge in se stesso alla nostra penetrazione; ci è chiaro negli effetti. Gli Apostoli ebbero intera e perfetta la carica apostolica per convertire il mondo. Vi prego di misurare questa carica: prima dubitosi, paurosi, facili a suggestioni in un senso e nell’altro; immediatamente campioni che affrontano tutti nel giorno stesso i capi del popolo, e parlano a tutto il popolo, non hanno più paura né delle beffe – e gliene hanno fatte quel giorno e di grosse – né di insulti né di interpretazioni né di minacce. Niente da quel giorno e poi sempre. Tutta la lettura degli Atti degli Apostoli, libro meraviglioso della luminosità divina della Chiesa, mostra quest’atteggiamento ben alieno dalla paura, dal complesso di timidità, con un coraggio immenso che ha affrontato tutto. Badate bene: hanno affrontato un mondo che era marcio e hanno incominciato ad affrontarlo nel Medio Oriente, che era la culla di tutto il marciume, senza paura, a fronte alta, soli, poveri, niente in mano per potersi cambiare gli abiti e mangiare; questo hanno percorso il mondo, e tutto quello che vediamo di cristiano oggi è stato loro, è la conseguenza di quello che hanno fatto loro. Non lo dico io, l’Apostolo lo dice: sono il fondamento loro e restano il fondamento. Se pensiamo che questi uomini per questa carica spirituale non solo hanno affrontato tutto, ma hanno abbandonato tutto – meno uno, Giovanni, è da credere che tutti avessero famiglia -: il paese, la loro lingua, le loro usanze! Hanno affrontato tutto, e i due più coraggiosi di tutti hanno affrontato Roma. La carica che ebbe Pietro in quel giorno non lo fece restare a porre la sua sede primaziale di tutto l’universo in Antiochia, che sarebbe stata comoda e abbastanza vicina tanto all’Oriente che all’Occidente. No, la carica lo ha portato a portare la sede in Roma, dove stava sedendo un mostro imperiale che si chiamava Nerone, sapendo che là l’avrebbero ucciso. Questa carica! Noi possiamo entrare nei meandri del nostro spirito e parlare del sentimento che deve essere stato investito da tutto, di tutto quello che emerge dal nostro subcosciente che raccoglie dal passa e quasi antevede il futuro, di tutti i meandri della psicologia: là dentro è entrato questo Spirito divino. Non so dirvi di più di questa carica. So dirvi solo quello che è successo dopo, e da quello che è successo dopo si misura la carica del momento. – Ci sono tante anime che nella loro Pentecoste una certa carica, non come quella, ma una certa carica la ricevono e, se la ricevono, se la tengano nell’umiltà e nel silenzio. Si ricordino che a presiedere il giorno della Pentecoste c’era la Vergine Madre del Signore, che, appena diventata tale, per prima cosa partì e andò servire sua cugina, vecchia e in procinto di dare alla 1uce Giovanni Battista, le cui reliquie stanno là. Ha cominciata così la Madre di Dio, che ha presieduto il giorno della Pentecoste, e si è ritirata nel silenzio, protetta dall’usbergo dell’Apostolo vergine Giovanni. L’ha seguito, e quello ha piegato la sua vita all’incarico avuto da Cristo in Croce di conservarla nel silenzio; e nel silenzio del mondo se ne è andata per lasciare il posto ai cori angelici. Non dimentichiamo: nella gloria della Pentecoste, al sommo di quella stupenda piccola assemblea, sta la Vergine Madre del Signore. Ma i1 Magnificat l’ha cantato lei una volta, ora per Lei lo cantiamo noi.