Introitus
Tob XII:6. Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]
Ps VIII:2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra! [O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.].
Oratio
V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo.
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis. [O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]
Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI:33-36.
“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”. [O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.] R. Deo gratias.
Graduale Dan III:55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim, [Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.] Alleluja
Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja, [V. Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]
Dan III:52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. . [V. Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]
Evangelium
V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthaeum. R. Gloria tibi, Domine! Matt XXVIII:18-20
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”. [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Mi è dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque, e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo, e insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco che io sarò con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli.]
R. Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.
Credo …
Offertorium
V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.
Orémus Tob XII:6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]
Secreta
Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum. [Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.
Communio Tob XII:6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]
Postcommunio S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.
Orémus. Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.
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MESSA I DOMENICA DI PENTECOSTE
Antifona
Domine, in tua misericordia speràvi: esultavi cor meum in salutari tuo: cantabo Dómine, qui bona tribuit mihi. [0 Signore, io spero nella tua misericordia; il mio cuore esulta per la tua salvezza: canterò al Signore, poiché mi ha beneficato.]
Sal. Usquequo, Domine, oblivisceris me In finem? Usquequo avertis faciem tuum a me? [Fino a quando, o Signore, mi vorrai dimenticare? Fino a quando mi terrai celato il tuo volto?]
Oremus
Deus, in te speràntium Fortitudo, adesto propitius invocationibus nostris: et quia sine te nihil potest mortalis infirmitas, presta auxilium gratiæ tuæ exsequendis mandàtis tuis, un voluntate tibi et actióne placeamus. Per Dominum nostrum Iesum Christum. [O Dio, fortezza di chi spera in Te, sii propizio alle nostre suppliche, e poiché senza di Te nulla può l’umana debolezza, concedici l’aiuto della tua grazia affinché, nel compiere i tuoi comandamenti, possiamo piacerti nel volere e nell’agire. Per nostro Signore Gesù Cristo]
Lectio
Léctio I Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli IV, 8-21
“Carissimi, Deus Deus caritas est. In hoc apparuit caritas Dei in nobis, quoniam Filium suum unigenitum misit Deus in mundum, ut vivamus per eum. In hoc est caritas : non quasi nos dilexerimus Deum, sed quoniam ipse prior dilexit nos, et misit Filium suum propitiationem pro peccatis nostris. Carissimi, si sic Deus dilexit nos: et nos debemus alterutrum diligere. Deum nemo vidit umquam. Si diligamus invicem, Deus in nobis manet, et caritas ejus in nobis perfecta est. In hoc cognoscimus quoniam in eo manemus, et ipse in nobis: quoniam de Spiritu suo dedit nobis. Et nos vidimus, et testificamur quoniam Pater misit Filium suum Salvatorem mundi. Quisquis confessus fuerit quoniam Jesus est Filius Dei, Deus in eo manet, et ipse in Deo. Et nos cognovimus, et credidimus caritati, quam habet Deus in nobis. Deus caritas est : et qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo. In hoc perfecta est caritas Dei nobiscum, ut fiduciam habeamus in die judicii: quia sicut ille est, et nos sumus in hoc mundo. Timor non est in caritate : sed perfecta caritas foras mittit timorem, quoniam timor poenam habet : qui autem timet, non est perfectus in caritate. Nos ergo diligamus Deum, quoniam Deus prior dilexit nos. Si quis dixerit, Quoniam diligo Deum, et fratrem suum oderit, mendax est. Qui enim non diligit fratrem suum quem vidit, Deum, quem non vidit, quomodo potest diligere? Et hoc mandatum habemus a Deo : ut qui diligit Deum, diligat et fratrem suum.”
Omelia
di mons. Bonomelli [da Omelie: vol. III, om. III, Torino -1899]
“Carissimi, Dio è carità. Ed in questo rifulse la carità di Dio verso di noi, ch’egli mandò l’unigenito suo Figliuolo nel mondo, perché vivessimo per Lui. La carità sta riposta in questo, non che noi avessimo amato Dio, ma che Egli pel primo ha amato noi ed ha mandato il Figliuol suo, propiziazione pei nostri peccati. Carissimi, se così Dio ci ha amati, noi pure dobbiamo amarci tra noi. Nessuno ha mai veduto Dio; se ci amiamo tra noi, Dio dimora in noi e la sua carità resta in noi e in noi è perfetta. Da ciò conosciamo, che noi siamo in Lui ed Egli in noi, perché ci ha dato del suo Spirito. E noi abbiamo veduto ed attestiamo, che il Padre ha mandato il Figlio, Salvatore del mondo. Chi avrà confessato, che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in Lui ed Egli in Dio. E noi abbiamo conosciuta e creduta la carità, che Dio ha verso di noi. Dio è carità, e chi rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui. La carità si perfeziona in noi in ciò, che noi abbiamo sicurezza pel dì del giudizio, perché, come egli è, cosi siamo anche noi in questo mondo. Nella carità non è timore, ma la perfetta carità scaccia il timore, perché il timore è penoso, onde chi teme, non è perfetto nella carità. Dunque facciamo di amare Dio, perché Dio pel primo ha amato noi. Se alcuno dice di amare Dio ed odia il fratello, è bugiardo; perché se non ama il suo fratello, che vede, come potrà amare Dio che non vede? Ora questo precetto noi abbiamo da Dio, che chi ama Dio ama ancora il fratello suo „ (I. Gio. IV, 8-21).
Nel linguaggio comune della Chiesa S. Paolo è chiamato l’Apostolo per eccellenza, l’Apostolo delle genti, e S. Giovanni è detto l’Apostolo della carità. Questo titolo sì glorioso di Apostolo della carità troppo bene compete a S. Giovanni, sia che si consideri il suo carattere personale, sia che si consideri l’indole della sua dottrina, quale risulta dai suoi scritti, in essi si respira un profumo di soavità e di carità verso Dio e verso il prossimo, che penetra tutta l’anima, che dolcemente la inebria e le fa sentire, che chi dettò quelle pagine divine, è veramente il discepolo diletto e posò il capo sul cuore d i Gesù. Il tratto, che vi ho recitato, anche solo, sarebbe più che bastevole a confermargli questo titolo sì bello di Apostolo della carità. Noi lo verremo meditando insieme colla maggior brevità possibile, perché è alquanto lungo: io mi permetto soltanto di avvertirvi, che le verità che vi si racchiudono sono di quelle, che si apprendono più col cuore, che colla mente. L’apostolo S. Giovanni, dopo aver esortato i fedeli a non prestar fede a tutti gli spiriti, ossia maestri, e dato loro il criterio per distinguere allora i buoni dai rei, e che quelli che sono da Dio non ascoltano i rei, discende a raccomandare l’amore scambievole, e dice: ” Dio è carità ; „ Deus charitas est.”. Percorrendo i Libri ispirati, troviamo tre definizioni di Dio: Dio è colui che è, cioè l’Essere assoluto; è la prima definizione data nell’antico Testamento: Dio è la Verità, data da Cristo nel Vangelo, è la seconda: la terza l’abbiamo qui: Dio è amore, o carità. Questa compie le altre due definizioni e rivela la vita intima, di Dio. Dio è amore o carità, tutto amore e carità, come è tutto essere e tutto verità, senza mescolanza di non essere e di errore. Tutto l’Essere divino, in ogni sua parte, in ogni sua fibra, se è lecito così dire, è amore, come il fuoco in ogni sua parte è caldo e luminosa la luce e fragrante il balsamo. Dio Padre ama con infinito amore il Figliuol suo, e tutto a Lui si dona, e il Figlio riama con infinito amore il Padre e a Lui tutto si ridona, e questo amore che quinci e quindi spira è sì perfetto, che si appunta in una Persona, che è lo Spirito Santo. Dio, nell’essere suo, conosce di poter dare l’esistenza ad innumerevoli esseri, e l’amor suo, che tende a parteciparsi, lo muove a crearli, e li crea e lancia fuori di sé l’universo, lo ama, come l’opera delle sue mani, e lo ricolma di beni. Che è l’amore di tutti gli animali, di tutti gli uomini, degli amici, dei padri, delle madri, dei santi, degli angeli tutti, se non uno sprazzo dell’amore divino, che si riverbera variamente nelle creature, come la luce ed il sole si spandono sovra di esse? Sì, amore, non altro che amore, ed anche quando punisce è amore, amore della giustizia. Ma verso quali creature singolarmente apparve l’amore di Dio? “Verso di noi, uomin” risponde l’Apostolo: “In hoc apparuit charitas Dei in nobis”. Ed in qual opera particolarmente?” In questo, ch’Egli mandò l’unigenito suo Figliuolo nel mondo: „ Quoniam Filium suum unigenitum misìt in mundum. Questa è la prova più magnifica, questo il monumento eterno della carità di Dio verso di noi, il dono del Figliuol suo, il mistero della Incarnazione. E per qual fine ci ha dato il Figliuol suo nella Incarnazione? “Perché vivessimo per Lui: „ Ut vivamus per eum; cioè fossimo riconciliati con Dio, ricevessimo quella grazia, che è la vita dell’anima, partecipazione della vita stessa di Dio. S. Giovanni qui spiega la natura di questa carità di Dio verso di noi, frutto precipuo della quale è l’Incarnazione e tutto ciò che colla Incarnazione è congiunto. Dio ci ha amato e ci ama teneramente: e perché? Forse perché noi prima abbiamo amato Lui? No, no, risponde l’Apostolo; anzi Egli prima ha amato noi e prima ci ha dato il massimo dei benefici, l’incarnazione, e prima ci ha condonati i nostri peccati.. — L’amore, disse bene il poeta filosofo, muove l’amato ad amare: “Amor che nullo amato amar perdona”. – Il mezzo più efficace per ottenere l’amore è mostrare che amiamo; e quegli tiene il primo luogo nell’amore, che previene. Ora tra Dio e l’uomo chi è colui che previene? È Dio: Ipse prior dilexit nos. Egli, Iddio, la stessa grandezza, è il primo che si china verso l’uomo, l’ama e lo stringe al suo seno, e dell’amor suo gli porge le prove più splendide, sì nell’ordine naturale, come nell’ordine sovrannaturale. Questa è infinita degnazione di Dio, è vero, ma in pari tempo è anche una necessità. Noi, povere creature, non possiamo dare nulla a Dio del nostro, perché nulla abbiamo di nostro e siamo veramente nulla: noi non possiamo dare a Dio che quello che riceviamo da Dio nel doppio ordine della natura e della grazia. Perché possiamo amarlo bisogna che prima ci dia la intelligenza per conoscerlo e il cuore per amarlo: non basta: bisogna che presenti a questa intelligenza la verità e versi in questo cuore l’amore, che riverseremo a Lui, tantoché quando amiamo Dio, noi Lo amiamo con lo stesso amore, che prima riceviamo da Lui medesimo. Allorché l’albero vi presenta il suo frutto, esso non fa che dare a voi ciò che voi prima avete dato ad esso, piantandolo ed innestandolo: allorché lo specchio vi mostra il vostro volto, esso vi rende ciò che voi gli date, presentandogli il vostro volto; allorché i figli vi amano, o genitori, essi vi restituiscono un po’ di quell’amore, che voi spargeste nel loro cuore, amandoli e ricolmandoli di benefici. Dio ci ama pel primo e noi Lo riamiamo col suo stesso amore, né potremmo fare altrimenti. Ponete uno specchio lucido e pulito sotto i raggi del sole: che vedete voi? Quei raggi rimbalzano dritti pur su verso del sole; così i nostri cuori dovrebbero essere specchi tesissimi che rimandano a Dio i raggi dell’amor suo. E in quella vece assai volte che facciamo noi, o cari? Simili a quei corpi oscuri che ricevono e spengono in se stessi i raggi del sole, riceviamo l’amore di Dio in noi, lo soffochiamo in noi stessi o bruttamente lo rivolgiamo sopra le creature, profanando il massimo dei suoi doni. Ah! Carissimi figliuoli: Dio ci ama pel primo, Egli sì grande, sì santo, sì perfetto, sì buono: e noi riamiamolo, e allora il caldo raggio, che da Dio discende in noi, ritornerà a Lui e con esso ritorneremo noi pure e a Lui ci uniremo. Natura dell’amore è di legare gli amanti e di farne uno solo: ora come Dio e l’uomo si unirebbero insieme, se l’uomo ricevendo la fune dell’amore da Dio, che gliela porge, non la restituisse, tenendosi stretto ad essa? Dio pel primo ama noi e noi dobbiamo amare Lui: ma basta far questo? No, risponde ancora S. Giovanni: ” Carissimi, esclama il Santo con accento di tenerezza, se Dio ci ha amati così, noi pure dobbiamo amarci tra noi. „ L’amore di Dio verso di noi è infinito, perché è amore d’un essere infinito: ora l’amore nostro è necessariamente finito, come è finita la nostra natura, e S. Giovanni non intese per fermo che noi amiamo i fratelli nostri nella misura e perfezione, che Dio ama noi. L’Apostolo volle dire soltanto: Se Dio ama noi con tanto, sì cocente e sì operoso amore, Dio, che è sì grande, molto più noi, sì piccoli, dobbiamo amare i fratelli nostri, coi quali abbiamo comune la natura! Dio ama noi e qual sia l’amor suo per noi, lo provano gli innumerevoli benefici, dei quali ci ha ricolmati: ad amore dobbiamo amore, a benefici si risponde con benefici. Ma Dio non ha bisogno di noi: a Lui non possiamo fare beneficio di sorta: Egli li fa, non li riceve: non di meno, in qualche modo Dio ha bisogno di noi, e possiamo far benefici anche a Lui. Come? Non a Lui propriamente, ma a quelli, nella persona dei quali ama collocare se stesso, e sono i fratelli nostri, portando la sua immagine. Ecco perché S. Giovanni dice: ” Se Dio ci ha amati così, noi pure dobbiamo amarci tra noi: „ amando e beneficando i fratelli nostri, amiamo e benefichiamo Dio stesso, perché Gesù Cristo disse: “Ciò che farete ad uno di questi miei piccoli, l’avrò per fatto a me stesso. „ Gran cosa! o fratelli miei. Voi dite: Dio è padrone d’ogni cosa, di nulla abbisogna: è l’Essere assoluto: Egli dà e non riceve. Eppure Dio ha bisogno e grande, e noi possiamo aiutarlo e benericarlo. Come ciò? Egli si mette nella persona dei sofferenti e dei bisognosi e vi stende in essi le mani e vi chiede il soccorso: Gesù Cristo si fa povero nel povero, infermo nell’infermo, affamato nell’affamato: amando e soccorrendo questo, lo disse Egli stesso, amate e soccorrete Lui. Chi di voi rifiuterà di soccorere Gesù Cristo? Vi può esser onore e gloria maggiore che soccorrere l’Uomo-Dio? – E questo senso è chiaramente confermato dalla sentenza che segue: “Nessuno ha mai veduto Dio. „ Come se Giovanni dicesse: Noi non possiamo in modo esterno e visibile mostrare la nostra gratitudine e l’amor nostro a Dio, perché Egli non si vede, né si può vedere in terra, perché purissimo spirito: eppure abbiamo bisogno di mostrare esternante a Dio il nostro amore e la nostra riconoscenza. Ebbene: eccovi il modo facile e spedito per tutti: Dio si rende visibile negli uomini, sue immagini vive sulla terra: a questi prestiamo quegli uffici di carità che non possiamo prestare a Dio invisibile, e allora ameremo Lui e seconderemo il bisogno del nostro cuore; allora ameremo Dio e i fratelli, Dio invisibile nei fratelli visibili, Dio sarà con noi, la carità regnerà nelle anime nostre e sarà perfetta: Si diligìmus invicem, Deus in noìbis manet, et charìtas ejus in nobis manet et chiarita ejus in nobis perfecta est. Questa idea della carità, per la quale noi dimoriamo in Dio e Dio dimora in noi, sì famigliare a S. Giovanni, si ripete nel versetto seguente, quasi con le identiche parole. E qui non sarà fuori di proposito farvi intendere alcun poco questa verità, seguendo S. Tommaso. Per la carità Dio rimane in noi e noi in Dio: come ciò, o carissimi? Udite. Quando noi conosciamo una cosa qualunque, ponete, un albero, un monte, l’albero e il monte sono nella nostra mente e nell’anima nostra come la cosa conosciuta può stare nel conoscente: l’immagine, l’idea dell’albero e del monte sta nella nostra mente, non già l’albero e il monte stesso, che sarebbe cosa ridicola ed impossibile; e vista per modo, che noi diciamo: quell’albero, quel monte, li vedo, li tengo qui nella mente, benché forse siano lontanissimi. Le cose tutte, che conosciamo, si dicono nella nostra mente in quanto ché nella mente nostra sta la loro immagine ed idea. Ma noi possiamo avere nella mente l’idea o l’immagine d’una cosa senza averla nella nostra volontà, nel nostro amore. Noi possiamo avere nella mente l’immagine o l’idea, per ragione d’esempio, d’un serpente, del peccato, del demonio, ma certo noi non amiamo queste cose: ma più spesso quelle cose che conosciamo e perciò le abbiamo nella mente, se le apprendiamo come belle e buone, le amiamo. E allora che avviene? Quelle cose dalla mente discendono al cuore, dalla intelligenza passano nella volontà, ed essa, a cosi esprimermi, colle braccia dell’amore, quasi con dolci funi, le stringhe, le fa sue e con esse forma una sola cosa. Allora le cose non sono soltanto nella mente, ma sono altresì nella volontà o nell’amore, come possono essere nel volente e nell’amante. E perciò sono piene di verità e sapienza quelle espressioni delle persone amanti, che dicono alla persona amata: Io vi tengo qui, nel mio cuore: voi avete qui il vostro posto, qui voi regnate, ed altre somiglianti. Datemi due persone, che si amino davvero; io vi dico che l’una vive nell’altra, una nell’altra dimora, e questa dimora vicendevole è tanto più intima, profonda e durevole quanto è più intima, profonda e durevole la fiamma d’amore che le scalda. È un mistero, se volete, del cuore umano, dirò meglio, è un mistero d’amore, ma indubitato, evidente. Ora ciò avviene, o dilettissimi, tra Dio e l’anima che Lo ama. Dio ama l’anima, l’adorna della sua grazia, la tiene in sé, la vagheggia, la stringe al suo seno: l’anima dal suo canto lo tiene nella sua mente, lo tiene nel suo cuore, tutto a Lui si unisce, e così Dio dimora in essa ed essa in Lui, e a nostro modo d’intendere, di due si forma un solo spirito, una sola vita, come più volte insegna S. Paolo: ” Chi si unisce a Dio, fa un solo spirito: Vivo io, non più io, ma vive Cristo in me. „ E noi, soggiunge S. Giovanni, abbiamo un segno, una prova di questa dimora di Dio in noi, e di noi in Dio, ed è ” ch’Egli ci ha donato del suo spirito. „ Quando? Forse alla venuta visibile dello Spirito Santo, e forse intende parlare dello spirito di carità vicendevole, che si manifestava tra i cristiani in tutti i modi, spettacolo affatto nuovo sulla terra e prova innegabile, che lo Spirito di Dio era stato diffuso nei loro cuori. Alla mente dell’Apostolo, che ricorda la comunicazione dello Spirito Santo, fonte della carità, si affaccia naturalmente la prova massima dell’amore di Dio, e a costo di ripetere ciò che sopra (vers. 8) ha detto, scrive: ” E noi abbiamo visto e attestiamo, che il Padre ha mandato il Figlio, Salvatore del mondo. „ E questo il prodigio della carità di Dio, l’essere Egli stesso, il Figliuol suo, venuto in mezzo a noi, fatto uomo per salvarci: ” e noi, grida l’Apostolo quasi rapito in un’estasi di amore, noi l’abbiamo veduto, noi l’abbiamo udito, noi l’abbiamo toccato e lo annunziamo a voi. „ – Ricordato l’argomento fra tutti massimo dell’amore di Dio verso di noi, qual è l’Incarnazione, S. Giovanni coglie il destro di inculcare la fede nel grande mistero, e dice: ” Chi avrà confessato, che Gesù è il Figliuolo di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. „ E a sapere, che a quei tempi erano già sorti parecchi eretici, come i Cerintiani, gli Ebioniti ed altri, che negavano la divinità di Gesù Cristo, e affermavano, Lui non essere che un uomo, ricolmo dei doni celesti, sì, ma uomo: per combattere costoro, o prima, o dopo questa lettera, Giovanni scrisse il suo Vangelo. Sappiatelo bene, grida l’Apostolo, Gesù è il Figlio dell’eterno Padre, il Salvatore del mondo e dovete francamente e pubblicamente confessare questa verità colla lingua e colle in questa confessione avrete anche una prova d i quella carità, che vi inculco e unisce Dio a voi e voi a Dio. – Uno dei caratteri degli scritti di S. Giovanni è questo di ripetere sotto varie forme e talora con le stesse parole la stessa verità. Si direbbe che è un padre, tutto amore per i suoi figli, e che non si sazia di inculcare ad essi quelle cose, che maggiormente gli stanno a cuore, e perciò anche nel versetto che segue il santo apostolo ripete la sua frase prediletta: ” E noi abbiamo conosciuta e creduta la carità, che Dio ha verso di noi. Dio è carità, e chi rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui. „ – Passando sopra questa sentenza, già spiegata, fermiamo la nostra attenzione sui due versetti che seguono e nei quali S. Giovanni tocca una delle doti proprie della carità perfetta: “La carità di Dio si perfeziona in noi, per questo, che noi pigliamo sicurezza pel dì del giudizio, perché, com’Egli è, così noi pure siamo in questo mondo. „ Sentenza questa alquanto oscura, ma che si rischiara se la intendiamo in questo modo: A questo fine Iddio perfezionò, ossia diede fondo alla sua carità verso di noi, perché potessimo avere piena fiducia di esito felice nel giorno del giudizio: ossia, Dio fece tanto per noi, versò in noi senza misura i benefici della sua carità, perché nel gran dì del giudizio fossimo affrancati da ogni timore, e perché Egli, Gesù Cristo, è in questo mondo, cioè fu in questo mondo e vi è colle opere della sua carità, e spande su tutti le sue beneficenze, e noi pure siamo in questo mondo ed abbiamo bisogno di Lui e della sua carità continua; carità, che ci liberi dal timore del divino giudizio, perché “nella carità, così S. Giovanni, non è timore, ma la carità perfetta scaccia fuori il timore, poiché il timore è penoso, e perciò chi teme non è perfetto nella carità. „ La carità verso Dio ispira fiducia ed esclude il timore: ma è mestieri determinare il timore, che non si può comporre coll’amore. Quel timore, che ci porta alla diffidenza, che ci tiene sempre inquieti ed ansiosi sul perdono delle nostre colpe; quel timore, che guarda più al castigo, che al male del peccato, che reca pena: Timor pænam habet; questo timore non può stare colla perfetta carità: esso è una prova, che siamo più servi che figli di Dio. Ma quel timore che ha il figliuolo di offendere il padre ; quel timore, che viene dalla coscienza della propria debolezza e che porta a riporre ogni fiducia in Dio, questo è buono e santo, e può stare e deve stare con la carità perfetta e ne è parte, perché è figlio della ragione e dello stesso amore, e in questo senso S. Agostino diceva: ” Impari a temere chi non vuol temere. „ Dìscat timere qui non vult timere”. Il timore di offendere Dio ci conduce a servirLo ed amarLo, e più lo ameremo e meno lo temeremo, ed amandolo perfettamente, più non lo temeremo: Signum perfectionis, nullus timor. San Giovanni, conchiudendo, dice: ” Facciamo dunque di amare Dio, perché Dio pel primo ha amato noi. „ Motivo questo bellissimo e più sopra i mplicitamente toccato e sul quale perciò non spendo parole, ricordandovi solo, .. che un amore non corrisposto è una ferita crudele per chi ama, e che quaggiù sulla terra troppo spesso si tramuta in odio feroce e si lava talora col sangue, e Dio punisce coll’abbandono. Punizione giustissima e tremenda! – Ma S. Giovanni ricorre ancora una volta a quella verità, che sopra ha accennata, ed è l’unione inseparabile dell’amore di Dio dall’amore del prossimo, e prima di por fine alla sua dottrina ed esortazione sulla carità, la ribadisce con queste parole: ” Se alcuno dice di amare Dio ed odia il fratello, è bugiardo, perché se non ama il suo fratello, che vede, come mai potrà amare Dio che non vede? „ – L’amore porta a fare la volontà della persona amata, e chi la viola e calpesta, mostra di non amarla: ora Dio vuole che amiamo il prossimo, il fratello nostro: se noi non l’amiamo, calpestiamo la volontà di Dio, e perciò col fatto mostriamo di non amare Iddio. Perciò, chi ama una persona, ha cara la sua immagine e le cose tutte amate da quella: gli uomini sono immagini vive ed immortali di Dio, e Dio li ama fino a dar se stesso per loro: dunque non amare il prossimo è non amare Iddio, e chi crede di poter amare Dio, non amando il prossimo, inganna se stesso. Volete voi dunque, o carissimi, conoscere con tutta certezza, se amate Iddio, se siete suoi figli? Esaminatevi se amate colle parole e più colle opere i vostri fratelli: la prova infallibile dell’amore di Dio è l’a more del prossimo. E qui il pensiero corre naturalmente ad un fatto, che vorrei fosse raro. Accade di veder persone, che han fama di religiose, che usano spesso ai Sacramenti, che fanno lunghe orazioni, che osservano le leggi della Chiesa, che compiono opere di pietà non imposte, ma solo consigliate; persone insomma che si direbbero esemplari, ma che pel prossimo non sanno fare un lieve sacrificio, non sanno privarsi d’un passatempo, d’un obolo. È questa la carità comandata da Cristo e proclamata dall’apostolo Giovanni? Meno preghiere, meno pratiche di pietà e più carità verso del prossimo. Volete sapere con certezza se voi amate Dio? Vedete se amate il prossimo, e se lo amate, non colle parole e colla lingua, ma colle opere.
Graduale
Salmo XL: Ego dixi: Domine, miserere mei: sana animam meam , quia peccavi tibi.
V. Beatus qui intellegit sper egenum et pauperem. In die mala liberabit eum Dominus. [Io esclamai: Signore, pietà di me, guarisci l’anima mia, perché ho peccato contro di Te. V. Beato colui che ha pietà del bisognoso e del povero, poiché nel giorno della sventura il Signore lo libererà.]
Alleluja
Alleluia, alleluia. V. Verba mea auribus percipe, Domine: intellege clamorem meum. Alleluia. [Alleluia, alleluia. Signore, ascolta le mie parole, intendi le mie grida. Alleluia.]
Evangelium
V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.VI; 36-42 R. Gloria tibi, Domine!
“In illo tempore dixit Iesus discipulis suis: estote ergo misericordes sicut et Pater vester misericors est. Nolite judicare, et non judicabimini : nolite condemnare, et non condemnabimini. Dimitte, et dimittemini. Date, et dabitur vobis: mensuram bonam, et confertam, et coagitatam, et supereffluentem dabunt in sinum vestrum. Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remetietur vobis. Dicebat autem illis et similitudinem: Numquid potest caecus caecum ducere? nonne ambo in foveam cadunt? Non est discipulus super magistrum : perfectus autem omnis erit, si sit sicut magister ejus. Quid autem vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem, quae in oculo tuo est, non consideras? aut quomodo potes dicere fratri tuo: Frater, sine ejiciam festucam de oculo tuo: ipse in oculo tuo trabem non videns? Hypocrita, ejice primum trabem de oculo tuo: et tunc perspicies ut educas festucam de oculo fratris tui. [In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: <« Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, scossa, traboccante, vi sarà versata nel seno, poiché con la misura con la quale avrete misurato sarà rimisurato a voi ». Egli disse loro anche questa parabola: « Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno entrambi in un fosso? Non c’è discepolo che sia da più del suo maestro, ma ogni discepolo, giunto a perfezione, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non noti la trave che è nel tuo proprio occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio ” tu che non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello ».]
Omelia
Omelia della Domenica I dopo Pentecoste
[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]
Luc. VI, 36-42
-Giudizi temerari-
Siate imitatori, dice a tutti noi nell’odierno Vangelo il divino Salvatore, siate imitatori della misericordia del vostro Padre celeste, con esser misericordiosi ancor voi. Per essere tali, astenetevi dal giudicare i vostri fratelli con giudizio e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati: “Nolite iudicare, et non iudicabimini, nolite condemnare, et non condemnabimini”. Se un cieco guida un altro cieco, cadono ambedue nella fossa. La vostra volontà è una potenza cieca, la sua guida è l’intelletto. L’intelletto che non può conoscere il pensiero, l’intenzione dell’altrui mente, né l’interno del cuore altrui, anch’esso in questa parte è cieco. Se egli dunque si porti a formar sinistro giudizio de’ prossimi suoi, un cieco guiderà l’altro cieco, e cadranno entrambi in colpe di temerari giudizi e d’ingiuste condanne. “Numquid potest caecus caecum ducere? Nonne ambo in foveam cadunt? E poi con che coraggio scoprite negli occhi altrui una tenua festuca e non vi accorgete della grossa trave che sta negli occhi vostri? Ipocriti, il vostro zelo è una ingiustizia. Togliete prima dai vostri la trave, e penserete poi a togliere la pagliucola dall’occhio del vostro fratello. Ecco con quali energiche forme si esprime contro i giudizi temerari il nostro legislatore Cristo Gesù. A secondare i suoi divini comandi, i suoi amorevoli avvisi, diretti a preservarci da tanto male, io passo ancor più a dimostrarvi quanto sono fallaci, quanto sono ingiusti i giudizi degli uomini che temerari ardiscono erigersi in giudici degli altri uomini. La grazia di Dio e la vostra attenzione, o signori, renda profittevole la presente spiegazione.
I . “Mendaces Jilii hominum in stateris”. Bugiardi, dice il re Profeta, sono i figliuoli degli uomini nelle loro bilance. Queste bilance sono i giudizi che l’uomo fa dei suoi simili. Chi adopra queste bilance non è per l’ordinario la giustizia e la ragione, ma o un genio naturale o una viziosa passione. Il genio è un cristallo che fa vedere tutti gli oggetti tinti dello stesso colore. La passione è un peso che prepondera ad ogni buon senso, è un fumo che offusca la mente, è una benda che toglie la vista. Agli occhi di Gionata David, perché amico, è un oggetto di amore, agli occhi di Saul, perché lo teme suo successore nel regno, è un oggetto d’invidia e d’odio mortale. Giuditta,, che tutta spirante pompa e bellezza si porta al campo Assiro, desta in Ozia principe di Betulia stima, ammirazione e rispetto: eccita per l’opposto in Oloferne pensieri e sentimenti oltraggiosi alla di lei onestà. Tanto è vero che la disposizione dell’animo è la molla che agisce sui nostri concetti, e dà movimento ed impulso ai nostri giudizi. Ond’è che dall’altrui genio, e dall’altrui passione dipende il giudizio che si forma in noi. Ex alienis affectibus iudicainur (D. Anton. Ep.). Così la ragion persuade, così mostra l’esperienza. Guidato dunque da queste scorte ingannevoli, non può essere se non fallace il giudizio degli uomini. – Fallaci sono altresì gli umani giudizi, perché per lo più fondati sull’apparenza; perciò Gesù ci proibisce il giudicare secondo l’esteriore aspetto delle cose che si appresentano al nostro sguardo o alla nostra mente, “nolite judicare secundum faciem” (Jo. VII, 24). Chi avesse veduto il giovane Giuseppe fuggir dalla stanza della sua padrona, che col di lui mantello fra le mani gridava forte, tacciandolo di tentatore, l’avrebbe creduto colpevole, e si sarebbe ingannato. Chi avesse veduto Abramo alzar la spada in atto di uccidere l’innocente suo figlio, “padre crudele” avrebbe gridato tra sdegno e pietà, padre crudele! … e si sarebbe ingannato. E non si ingannò Eli credendo Anna, madre del Profeta Samuele ebbra, agitata dal vino, perché pregava con affannoso trasporto e straordinario fervore? E non s’ingannarono gl’isolani di Malta nel riputare S. Paolo uomo malvagio, perseguitato dall’ira di Dio in terra ed in mare, perché appena salvato dal naufragio lo videro morsicato da vipera velenosa? L’apparenza dunque non è regola di buon giudizio, ella anzi è la via dell’inganno. Lo disse anche un gentile, decipimur specie recti (Horat.). – Se dunque, io dico a voi, l’apparenza è un’ingannatrice, se non vorreste che altri formassero giudizio di voi dalla sola apparenza perché vi fate lecito per leggieri indizi dar corpo all’ombre, ammettere dubbi, fomentar sospetti, precipitar giudizi? Perché un saluto di convenienza, un sorriso d’urbanità stimarlo un segno di turpe amicizia? Perché la nuova veste di quella figlia che sarà frutto dei suoi lavori, o risparmio del suo sostentamento, la credete regalo di qualche seduttore ? Perché la pallidezza di quell’altra v’ingerisce sospetti ingiuriosi alla sua onestà? Perché coloro che coll’industria e col sudore si avanzano in acquisti ed in possessi, li giudicate ladri od usurai? Se non fate senno, se non cangiate costume, arriverà a voi ciò che si legge dei Moabiti. Il sole appena alzato all’orizzonte con i rossicci vapori coloriva l’acque stagnanti nel campo dei collegati col re d’Israele. Quel rosseggiante riverbero lo credettero sangue uscito dalle ferite dei loro nemici trucidati tra di loro; perciò ingannati si avvicinano al campo per rapirne le spoglie. Si avvidero dell’errore, ma troppo tardi, onde restarono vittime del proprio inganno, e pagarono col sangue vero un sangue apparente. Giudici per mere apparenze, i vostri giudizi sanguinosi dell’onore, della condotta, della fama dei vostri fratelli ricadranno sopra di voi. Giudicate? Sarete giudicati. Condannate? sarete condannati!
II. Né solamente sono fallaci gli umani giudizi perché basati sull’apparenza, ma ingiusti, perché mancanti d’autorità. Chi siete voi, v’interroga l’apostolo, che vi arrogate l’autorità di giudicare il vostro fratello? “Tu quis es, qui judicas fratrem tuum?” (Ad. Rom. XIV). Siete voi superiori, maestri, padri di famiglia? Se tali siete, dovete credere che quei vostri figli, quei vostri discepoli sieno morigerati, che vostra figlia sia cauta, sia costumata; ma per regola di buon governo invigilate sui loro andamenti, indagando, informandovi, con chi trattano, con chi si accompagnano, non vi fidate, temete, il cuor sempre vi batta su la loro condotta. Fuor di questo grado di superiorità, che vi autorizza ad ammetter dubbi e ragionevoli sospetti per impedire il male de’ vostri sudditi, non vi è permesso formar giudizi dei vostri eguali. A Dio soltanto supremo padrone delle sue creature, a Dio scrutatore dei cuori, cui nulla può esser celato, a Dio appartiene il giudicare di noi. Io, dic’Egli, sono il giudice e il testimonio di tutte le vostre azioni. “Ego sum iudex et testis, dicit Dominus” (Sem. XXIX, 23). Ella è dunque un intollerabile temerità che l’uomo si usurpi quel che a Dio solo compete. – Ingiusti sono altresì i nostri giudizi, perché formati senza cognizione di causa. Sapeva il sommo Iddio il peccato de’ nostri progenitori, ciò non di meno per nostra istruzione istituisce una forma di giudizio. Chiama a sé Adamo, interroga Eva, domanda il perché hanno trasgredito il suo precetto. Più: l’infame delitto di Sodoma, oltre la scandalosa pubblicità nei suoi contorni, era, secondo l’espressione del sacro Testo, salito fino al cielo a provocare la divina vendetta; pure, prima di venire alla condanna udite come Dio parlò: “discenderò dall’alto: ed in persona mi porterò sul luogo a vedere e a riconoscere di presenza il corpo di quel nefando misfatto. “Descendam, et videbo utrum clamorem, qui venit ad me, opere compleverint” (Gen. XVIII, 21). Aveva forse bisogno il Signore di una informazione locale a foggia umana? Tutto ciò sta così espresso per dare a noi lezione ed avviso; a noi che al primo indizio, ad una semplice ombra, subito fabbrichiamo sospetti e giudizi sul dorso dei nostri prossimi, e con tutta franchezza si taglia, si decide, si pronunzia prepotente quel ricco, usuraio quel mercante, sedotta quella figlia, infedele quella maritata, ipocrita quel divoto, ingiusto quel giudice, bugiardo quel povero uomo, strega quella povera vecchia. – Eh mio Dio! Sapete donde derivano siffatti giudizi che uccidono la carità e la giustizia? Dal cuore hanno la loro sorgente, e partono dal cuore, “de corde exeunt”, dice Gesù Cristo, “de corde exeunt cogitationes malæ” ( Matt. XV, 19). Un cuor maligno, un cuore infetto manda queste nere esalazioni alla mente, e i mali pensieri si accordano colle cattive affezioni del cuore. Datemi un cuor retto, in un cuor retto abita la carità, e la carità non ammette pensieri malvagi, “charitas non cogitat malum” (1 Ad Cor., XIII). Retto, rettissimo era il cuore di S. Giuseppe, e benché avesse sott’occhio la pregnezza della sua sposa, ben lontano dal concepirne sinistra idea, l’ammirava come uno specchio della più illibata onestà, e voleva ritirarsi per lasciarne a Dio il pensiero. Retto era il cuore di Valentiniano imperatore, che al riferir di S. Ambrogio, non sapeva pensar male de’ suoi sudditi, tuttoché delinquenti. Se giovani attribuiva la colpa all’ardor del sangue in quell’inesperta età, se vecchi, alla debolezza della mente, se poveri, alla necessità e alla miseria, se ricchi, alla forza della tentazione. In somma separava sempre l’intenzione dall’azion cattiva, e voleva più tosto ingannarsi col pensar bene, che far violenza al suo cuore pensando male. Così è un cuor ben fatto, un cuor innocente sarà la vittima dell’altrui malizia, piuttosto che pensar male dell’altrui condotta. – Tutto l’opposto per chi ha in seno un cuor mal affetto: per la rea sua disposizione vede colla fantasia quel che non si presenta alla vista, tutto interpreta in senso obliquo, studia, macchina sull’altrui conto, esamina, critica parole, azioni, costumi senza eccezion di persone, cerca il nodo nel giunco, e trova il suo gusto in pascersi di dubbi immaginari, idee chimeriche, d’aerei supposti, di temerari sospetti, di sinistri giudizi . Che occupazione pessima è questa mai! Quanto di danno all’anima, quanto d’ingiuria al prossimo, quanto di offesa a Dio! – Miei dilettissimi questi disordini son troppo contrari alla virtù non solo e alla divina legge, ma alla ragione pur anche ed al buon senso. Volete evitarli? Togliete dall’occhio vostro la trave, togliete cioè dal vostro animo la passione, la malignità, l’avversione, l’invidia che fan vedere negli occhi altrui le festuche, e le fan comparire legnami da fabbriche. Non giudicate dall’apparenza. La Maddalena appariva a Simone il lebbroso tuttavia peccatrice, ed era già giustificata e santa. Non giudicate sugli altrui rapporti quasi sempre falsi e calunniosi. Per questi la casta Susanna, creduta colpevole, fu prossima ad essere lapidata, se Dio pel profeta Daniele non avesse difesa la sua innocenza. Non giudicate in modo veruno, perché ignorando l’intenzione dell’operante, non potete avere cognizione di causa, né pur la Chiesa dell’interno. Non giudicate perché non avete autorità; a Dio solo spetta il giudizio, e non a voi. Il giudizio che farete del vostro prossimo formerà il processo del giudizio vostro al tribunale di Cristo giudice. La stessa misura che adopererete per gli altri, sarà quella con cui sarete voi misurati. “Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remitietur vobis”. Non giudicate, miei cari, e non sarete giudicati, “nolite iudicare et non iudicabimini”: non condannate, e non sarete condannati, “nolite condemnare, et non condemnabimini ”
Offertorium V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.
Orémus – Intende voci orationis meæ, Rex meus; quotiamo ad te orabo, Domine. [Ascolta la voce della mia preghiera, o mio Re e mio Dio, perché a Te io rivolgo la mia supplica, o Signore.]
Secreta
Hostias nostras, quæsumus, Domine, tibi dicatas placatus assume:et ad perpetuum nobis tribue prevenire sunsidium. Per …[Accetta rappacificato, o Signore, questo sacrificio a Te consacrato e concedi divenga che per noi un aiuto indefettibile. Per nostro Signore.]
Communio
Sal. IX; 2,3 Narrabo omnia mirabilia tua: lætabor et exsultabo in te: psallam nomini tuo, Altissime.[Racconterò tutte le tue meraviglie, gioirò ed esulterò in Te ; inneggerò al tuo nome, o Altissimo.]
Postcommunio
S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus.
Tantis, Domine, repleti muneribus; præsta, quæsumus; ut et salutaria dona capiamus, et a tua numquam laude cessemus, per.. [Tu, o Signore, ci hai ricolmati di inestimabili favori, fa’ che ne traiamo frutti di salvezza e mai desistiamo dal lodarti. Per nostro Signore.]