DOMENICA DI PENTECOSTE

Introitus

Sap 1:7. Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja [Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps LXVII:2 Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus. [Sorga il Signore, e siano dispersi i suoi nemici: e coloro che lo òdiano fuggano dal suo cospetto]. V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen

Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja [Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo.

Orémus. Deus, qui hodiérna die corda fidélium Sancti Spíritus illustratióne docuísti: da nobis in eódem Spíritu recta sápere; et de ejus semper consolatióne gaudére.[O Dio, che in questo giorno hai ammaestrato i tuoi fedeli con la luce dello Spirito Santo, concédici di sentire correttamente nello stesso Spirito, e di godere sempre della sua consolazione.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Actuum Apostolórum.

Acts II:1-11

“Cum compleréntur dies Pentecóstes, erant omnes discípuli pariter in eódem loco: et factus est repéente de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis: et replévit totam domum, ubi erant sedentes. Et apparuérunt illis dispertítæ linguæ tamquam ignis, sedítque supra síngulos eórum: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, et coepérunt loqui váriis linguis, prout Spíritus Sanctus dabat éloqui illis. Erant autem in Jerúsalem habitántes Judaei, viri religiósi ex omni natióne, quæ sub coelo est. Facta autem hac voce, convénit multitúdo, et mente confúsa est, quóniam audiébat unusquísque lingua sua illos loquéntes. Stupébant autem omnes et mirabántur, dicéntes: Nonne ecce omnes isti, qui loquúntur, Galilaei sunt? Et quómodo nos audívimus unusquísque linguam nostram, in qua nati sumus? Parthi et Medi et Ælamítæ et qui hábitant Mesopotámiam, Judaeam et Cappadóciam, Pontum et Asiam, Phrýgiam et Pamphýliam, Ægýptum et partes Líbyæ, quæ est circa Cyrénen, et ádvenæ Románi, Judaei quoque et Prosélyti, Cretes et Arabes: audívimus eos loquéntes nostris linguis magnália Dei.” [Giunto il giorno di Pentecoste, tutti i discepoli stavano insieme nello stesso luogo: e improvvisamente si sentí un suono, come di un violento colpo di vento: che riempí tutta la casa ove erano seduti. Ed apparvero loro delle lingue come di fuoco, che, divise, si posarono su ciascuno di essi, cosicché furono tutti ripieni di Spirito Santo e incominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito concedeva loro. Soggiornavano allora in Gerusalemme molti Giudei, uomini religiosi di tutte le nazioni della terra. A tale suono si radunò molta gente, e rimase attònita, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. E si stupivano tutti, e si meravigliavano, dicendo: Costoro che parlano, non sono tutti Galilei? E come mai ciascuno di noi ha udito il suo linguaggio natio? Parti, Medi ed Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia, della Panfilia, dell’Egitto e della Libia, che è intorno a Cirene, e pellegrini Romani, tanto Giudei come proseliti, Cretesi ed Arabi: come mai abbiamo udito costoro discorrere nelle nostre lingue delle grandezze di Dio?]

Deo gratias.

 Alleluja Allelúja, allelúja

Ps CIII:30 Emítte Spíritum tuum, et creabúntur, et renovábis fáciem terræ. Allelúja. Hic genuflectitur.

Veni, Sancte Spíritus, reple tuórum corda fidélium: et tui amóris in eis ignem accénde.

Sequentia

Veni, Sancte Spíritus, et emítte cælitus lucis tuæ rádium. Veni, pater páuperum; veni, dator múnerum; veni, lumen córdium. Consolátor óptime, dulcis hospes ánimæ, dulce refrigérium. In labóre réquies, in æstu tempéries, in fletu solácium. O lux beatíssima, reple cordis íntima tuórum fidélium. Sine tuo númine nihil est in hómine, nihil est innóxium. Lava quod est sórdidum, riga quod est áridum, sana quod est sáucium. Flecte quod est rígidum, fove quod est frígidum, rege quod est dévium. Da tuis fidélibus, in te confidéntibus, sacrum septenárium. Da virtútis méritum, da salútis éxitum, da perénne gáudium. Amen. Allelúja.

Evangelium

 Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Gloria tibi, Domine!

Joannes XIV:23-31

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Si quis díligit me, sermónem meum servábit, et Pater meus díliget eum, et ad eum veniémus et mansiónem apud eum faciémus: qui non díligit me, sermónes meos non servat. Et sermónem quem audístis, non est meus: sed ejus, qui misit me, Patris. Hæc locútus sum vobis, apud vos manens. Paráclitus autem Spíritus Sanctus, quem mittet Pater in nómine meo, ille vos docébit ómnia et súggeret vobis ómnia, quæcúmque díxero vobis. Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: non quómodo mundus dat, ego do vobis. Non turbátur cor vestrum neque formídet. Audístis, quia ego dixi vobis: Vado et vénio ad vos. Si diligere tis me, gaudere tis utique, quia vado ad Patrem: quia Pater major me est. Et nunc dixi vobis, priúsquam fiat: ut, cum factum fúerit, credátis. Jam non multa loquar vobíscum. Venit enim princeps mundi hujus, et in me non habet quidquam. Sed ut cognóscat mundus, quia díligo Patrem, et sicut mandátum dedit mihi Pater, sic fácio.”  [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Chiunque mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo da lui, e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole. E la parola che udiste non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto mentre vivevo con voi. Il Paràclito, poi, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, insegnerà a voi ogni cosa, e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi dò la mia pace: ve la dò non come la dà il mondo. Non si turbi il vostro cuore, né si impaurisca. Avete udito che vi ho detto: Vado e vengo a voi. Se voi mi amaste, vi rallegrereste certamente che io vado al Padre, perché il Padre è maggiore di me. Ve l’ho detto adesso, prima che succeda: affinché quando ciò sia avvenuto crediate. Non parlerò ancora molto con voi. Viene il príncipe di questo mondo e non ha alcun potere su di me; ma bisogna che il mondo sappia che amo il Padre e agisco conformemente al mandato che il Padre mi ha dato.]

Laus tibi, Christe!

Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

 

OMELIA

della Domenica della Pentecoste

[“Omelie”, del Canonico G.B. Musso, I vol. 1851-impr.]

Ispirazioni

È questo il memorabile giorno in cui lo Spirito Santo disceso in forma di fuoco sopra i discepoli, con Maria Vergine nel Cenacolo congregati. Se mi chiedete, uditori umanissimi, perché venne in questa forma di fuoco? Io vi rispondo con l’angelico dottor S. Tommaso (3 P, q. 39. A. 7.) che lo Spirito Santo prese “forma sensibile di questo elemento per significare ch’Egli produce nell’anime nostre quegli effetti, che sono propri del fuoco. Il fuoco illumina, purifica, consuma. Lo Spirito Santo illumina la mente, purifica il cuore, consuma le viziose abitudini: “Deus noster ignis conmmens est” (ad. Ebr. XII, 29). Ma perché in noi produca questi salutevoli effetti, è necessario aprirgli la strada con accogliere e mettere in pratica le sue sante ispirazioni. Si verificherà allora ciò che Gesù Cristo ha promesso nell’odierno Vangelo, che lo Spirito Santo c’insegnerà e ci suggerirà ogni cosa appartenente alla nostra eterna salute: “Ille docebit vos omnia, et suggeret vobis omnia”. Ma come potrà insegnare, se chiudiamo le orecchie alle sue voci? Come potrà suggerirci i mezzi e la via da tenere per andar salvi, se chiudiamo gli occhi alla sua luce? È dunque della somma importa importanza, anzi della massima necessità, il profittare della sua luce, l’ascoltare la sua voce, il seguire le sue sante ispirazioni. Ispirazioni, notate bene quel che mi accingo a dimostrarvi, ispirazioni, dall’accogliménto, o rifiuto delle quali può dipendere la nostra eterna salvezza, o la nostra eterna perdizione. Uditemi cortesemente! – Noi siamo pellegrini su questa terra: peregrinamur a Domino” (2 Cor. V, 6). In questa nostra pellegrinazione, i nostri passi sono indirizzati alla casa dell’eternitàIbit homo in domum æternitatis suæ” (Prov. XVI, 5), e di quella eternità felice, o sventurata a cui l’uomo viatore avrà diretti i suoi passi,in domum æternitatis suæ”. Posto ciò, egli è certo che in qualità di viatori o di pellegrini ci troviamo sovente ad un bivio, in capo a due strade, l’una a destra, l’altra a sinistra, una che al bene ci porta, l’altra al male, una di salute, l’altra di perdizione. Tutto il punto sta a metter bene il primo piede, a dar il primo passo nella buona strada. Si chiama dallo Spirito Santo un tal passo: “initium viæ bonæ, principio di buon sentiero, che sul cominciare da una ispirazione, la quale ci suggerisce una limosina o una preghiera, una confessione da farsi, o un vizio da emendarsi, un’occasione da fuggire, o una virtù da praticare; alla quale ispirazione secondata vien poi dietro una serie non interrotta d’altri passi virtuosi, che dirittamente ci conducono fino all’ultima meta, fino alla beata eternità. – La predestinazione degli eletti, come con i santi Agostino e Tommaso insegnano, e i teologi, altro non è che la divina prescienza, e l’ordinazione dei mezzi valevoli a condurre i predestinati all’eterna beatitudine; onde siccome la sua provvidenza ha disposto di darci l’esistenza e la vita, così la sua bontà ha decretato di farci sentire nel tal tempo, nella tal circostanza quella santa ispirazione, la quale se prontamente si accoglie e s’eseguisce, come il primo anello di ben contesta catena, trae seco l’altre grazie, gli altri lumi, gli altri mezzi, che facilmente conducono all’ultimo beato fine. Vediamolo in pratica. Dove cominciò la predestinazione, la santità di tanti eroi, che veneriamo sugli altari? Da un’occasione per essi fortuita, ma dallo Spirito Santo diretta a commuoverli, accompagnata dall’impulso della sua grazia, e da un raggio della superna sua luce. Entra a caso in una Chiesa S. Antonio Abate ancor giovanetto, mentre si legge il santo Vangelo, ciò che sente lo crede detto a se stesso, e sull’istante vende tutto ciò che possiede, lo dà ai poveri, fugge dal mondo, si nasconde in un deserto, diviene Patriarca di monaci, caro a Dio, terribile ai demóni. Una limosina prima negata, e poi per commovente ispirazione concessa, innalzò alla più gran santità un Francesco d’Assisi. Giunge casualmente alle mani d’Ignazio di Loyola un libro devoto, comincia a leggerlo per rompere l’ozio; ma leggendo, lo Spirito del Signore lo illumina, profitta di questo lume, rompe i legami, del mondo, e si fa uno dei più zelanti promotori della gloria di Dio. La vista del contraffatto cadavere del complice dei suoi disordini, congiunta con una luce alla mente e con un tocco al cuore, converte sul momento la peccatrice Margherita da Cortona in una fervidissima penitente. Un avviso della propria madre ben accolto da Andrea Corsini lo cangia di lupo in agnello in un chiostro del Carmelo, e lo fa un Vescovo santissimo! Ditemi ora, uditori, se questi santi, e tanti altri di cui son piene l’ecclesiastiche storie, avessero disprezzata quell’ispirazione, negletta quella chiamata, ributtata quella grazia, volete dire che, rifiutato il primo passo, avrebbero poi potuto più metter piede in quella virtuosa carriera, che li portò all’onore degli altari, ed alla patria dei beati? V’è molto a dubitarne. L’occasione è calva, diceva un antico-uomo di senno, una volta che sia passata non si può più tenere per i capelli. Gesù Cristo chiamò i suoi discepoli a seguitarLo, e li chiamò passando, “cum pertranserit, e li chiamò una sola volta, e sull’istante Simon Pietro abbandonò la sua barca, Matteo il suo banco, i figli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo, le loro reti, e cominciarono così la carriera dell’apostolato, che li rese tanto accetti a Dio, e tanto benemeriti della sua Chiesa. – Per l’opposto quei due seguaci della legge di Mosè, invitati dal Redentore a seguirLo, perché trovarono scuse, uno per assistere al funerale del padre, l’altro per spedire gli affari domestici, perdettero la bella sorte d’essere annoverati fra i suoi discepoli, e S. Agostino li piange come perduti. Ah, diceva pertanto lo stesso Agostino, fratelli miei, osservo nel santo Vangelo che Gesù dispensa i suoi benefici come lampi fuggitivi, e via passando, “pertransit benefaciendo”, e vi confesso apertamente, e v’assicuro, che mi riempie di timore Gesù che passa. “Fratres mei, dico, et aperte dico, timeo Jesum transenuntem(Serm. 18 de verb. Dom.). La sua chiamata è una luce che balena alla mente: chi non profitta di questa luce resterà al buio, camminerà fra le tenebre, incontrerà inciampi e precipizi; e perciò il Redentore ci avvisa a camminare al favor di questa luce acciò non ci sorprendano tenebre per noi fatali: “Ambulate dum lucem habetis, ne vos tenebræ comprehendant” (Jo. XII, 33). – È vero che talora rinnova le sue chiamate, Iddio pietoso, e fa di nuovo risplendere la sua luce, anche a chi chiuse gli occhi per non vederla; ma di qui appunto nasce il pericolo per l’uomo caparbio, che ostinato nelle sue ripulse vie più si indura, come una incudine al dir di Giobbe (Giob. XLI, 15), sotto i colpi di grave martello. Non vi fu anima tanto dalla divina grazia amorevolmente assediata con replicate ispirazioni, quanto quella di Giuda. Osservate la traccia amorosa tenuta dal divino maestro per espugnare il cuore di questo suo discepolo traditore. Gesù scopre, e comincia a dargli indizio d’avere scoperto il suo iniquo disegno. Voi siete, dice ai suoi discepoli, per purezza di cuore costituiti in grazia e mondi; ma tutti non lo siete Vos mundi estis, sed non omnes(Jo. XIII, 10). Poteva Giuda conoscere l’infelice suo stato, e sentirne rimorso, ma non si muove. Replica Gesù e con più forza gli mette innanzi l’enormità del suo delitto con dire: Uno fra voi è per malizia un vero Demonio: “Ex vobis unus diabolus est”, e Giuda non inorridisce. Passa ad intimargli l’atrocità della pena che va ad incorrere, pena per la quale sarebbe meglio per lui che mai veduta avesse la luce del giorno: “Bonum erat ei si non fuisset homo ille” (Mat. XXVI, 24); e Giuda è insensibile. Parla Gesù in genere finora, e non lo nomina per lasciargli un segreto ritiro a ravvedersi, ma nulla giova. Torna alle prese il buon Salvatore, e alquanto più chiaro: un di voi, o miei discepoli, un di voi mi tradirà: “Unus ex vobis tradet me, e Giuda dissimula. Più chiaro ancora: La mano del traditore è meco su questa mensa. “Manus tradentis me mecum est in mensa” (Luc. XXII, 21): assai più chiaro: Chi meco in questo piatto pone la mano, desso è colui che mi tradirà: “Qui mecum intingit manum in paropside, hic me tradet” (Mat. XXVI, 23), e Giuda fa il sordo, e tutto disprezza. E via, finalmente gli dice Gesù, vanne pure, ed il reo attentato che volgi in mente affrettati ad eseguirlo. “Quod facis, fac citius” (Jo. XII, 21). Non fu già questo un precetto, dice qui il Crisostomo, non comanda Iddio un’azione sì indegna, un tradimento, “non est vox praecipientis”. Non fu consiglio, una somma bontà non può consigliare un eccesso cotanto esecrabile, “non est vox consulentis”. Che dunque volle significare Cristo con quelle parole? Volle dimostrare il giusto e tremendo abbandono ch’Egli faceva di quel cuore indurito, come non più capace di ravvedimento e di emenda. “Cum Judas, conchiude il citato Dottore, esset inemendabilis, dimisit eum Christus” (Hom. 73 in Io.). Ma pure Giuda dà qualche segno di penitenza, restituisce il danaro ai sacerdoti, rende la fama al suo divino Maestro, si ritratta, confessa d’aver tradito il sangue d’un giusto. Ahimè nulla giova, movimenti sono questi d’un disperato, non d’un convertito. Dio vi guardi, miei cari, dall’imitare nel rifiuto delle divine ispirazioni questo discepolo prevaricatore, incontrerete la stessa sorte. Farete forse come Giuda qualche opera apparentemente buona, ma non vi gioverà ad uscire da quel precipizio, che dopo tanti avvisi non avete voluto schivare. – Potete forse lagnarvi che Iddio non v’abbia parlato? Dio vi parlò quando vi trovaste in quella malattia, quando per lo spavento di morte temporale ed eterna vi fece conoscere lo stato deplorabile dell’anima vostra: prometteste allora, se Dio vi accordava grazia d’uscirne, di cangiar vita, Egli vi esaudì, e voi non adempiste la fatta promessa. Vedeste esposto in Chiesa, o condotto al sepolcro il cadavere di quella donna, colpita nel fior dell’età, foste presente al funerale di quel facoltoso, ed una voce vi disse al cuore: “ecco dove va a finire la beltà e la ricchezza”. La vanità delle terrene cose disingannò in quel momento il vostro intelletto, ma la volontà non si arrese a romperne il colpevole attacco. Quel rimorso, fratello mio, quel rimorso, che vi lacera il cuore, è una grazia da voi non conosciuta, con cui Iddio pietoso vi stimola ad emendar costume, a troncare quella scandalosa corrispondenza; che conto ne fate? Vi avvisa per mezzo di quel congiunto, di quell’amico, di quel buon cristiano a ritirarvi da quella licenziosa conversazione, a lasciare quel giuoco, quel ridotto, quel malvagio compagno, che ascolto gli date? “Figlio, dice a più d’uno di noi, se non paghi gli operai, se non soddisfi quel debito, se non dismetti quella lite ingiusta, se non adempi quel pio legato, non sperare salute.” – “Figlio, dice a quell’altro, le partite di tua coscienza son mal in ordine, datti fretta d’aggiustarle con una generale confessione: fa’ al presente quel che desidererai voler fare in punto di morte”. Tutte queste e simili voci, pensieri, sentimenti, ispirazioni, rimorsi, sono chiamate di Dio, sollecito del vostro bene; se chiudete l’orecchie, come un aspide sordo, Iddio offeso, Iddio disprezzato tratterà voi come da voi venne trattato. Così Egli si esprime e minaccia: “Vocavi, et renuistis, ego quoque in interitu vestro ridebo(Prov. I, 24. 26). Ponderate bene, peccatori fratelli miei, queste tremende divine parole. “Vocavi”, ch’Io vi abbia più volte chiamati, e tuttora vi chiami, non potete negarlo. Vi ho chiamati per bocca dei miei sacri ministri colla predicazione, per bocca dei vostri parenti con le ammonizioni, per mezzo di quelle disgrazie, di quelle infermità, con l’esempio dei buoni, col castigo dei malvagi: “Vocavi, et renuistis”, che abbiate ricusato di ascoltarmi, dovete confessarlo, ve ne convince la propria coscienza. Che cosa dunque potete aspettarvi? “Ego quoque”, che Dio cioè vi renda la pariglia, e nel maggior dei vostri affanni si rida di voi,in interitu vestro ridebo”. Miei cari, se si può dire di voi che fate continua resistenza agl’impulsi dello Spirito Santo, come ai contumaci Ebrei rinfacciò lo zelante Levita S. Stefano, “vos semper Spiritui Sancto resistitis(Act. VII, 51) , voi siete perduti. Sarete come una casa che minaccia ruina, che perciò si lascia vuota e abbandonata.Ecce relinquetur vobis domus vestra deserta( Mat. XXIII, 38): abbandono, segno fatale d’eterna riprovazione. Che Dio vi guardi!

Credo …

Offertorium

Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus Ps LXVII:29-30 Confírma hoc, Deus, quod operátus es in nobis: a templo tuo, quod est in Jerúsalem, tibi ófferent reges múnera, allelúja. [Conferma, o Dio, quanto hai operato in noi: i re Ti offriranno doni per il tuo tempio che è in Gerusalemme, allelúia].

Secreta

Múnera, quaesumus, Dómine, obláta sanctífica: et corda nostra Sancti Spíritus illustratióne emúnda. [Santifica, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che Ti vengono offerti, e monda i nostri cuori con la luce dello Spirito Santo]. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen

Communio Acts II:2; II:4 Factus est repénte de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis, ubi erant sedéntes, allelúja: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, loquéntes magnália Dei, allelúja, allelúja. [Improvvisamente, nel luogo ove si trovavano, venne dal cielo un suono come di un vento impetuoso, allelúia: e furono ripieni di Spirito Santo, e decantavano le meraviglie del Signore, alleluja, alleluja.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus. Sancti Spíritus, Dómine, corda nostra mundet infúsio: et sui roris íntima aspersióne fecúndet. [Fa, o Signore, che l’infusione dello Spirito Santo purifichi i nostri cuori, e li fecondi con l’intima aspersione della sua grazia.] – Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

PENTECOSTE

PENTECOSTE

[J.-J. Gaume: “Catechismo di perseveranza”, vol. IV, Torino, 1881]

Pentecoste, — Vigilia della Pentecoste. — Grandezza della festa della Pentecoste. — Sua storia-, differenza della Legge antica e della Legge nuova. — Effetti dello Spirito Santo negli Apostoli; doppio miracolo. — Effetti ch’ei produce in noi. — Quello che bisogna fare per rendercene degni.

 Pentecoste. — Un abile architetto ama sovente che si giunga al palazzo traversando lunghi viali, e la madre assennata ha lungo tempo aspettare al figlio la ricompensa che deve coronarne le giovani virtù: così la Chiesa vuole che le sue grandi solennità siano precedute da lunghi preparativi; e in ciò mostra una grande cognizione del cuore umano. L’Avvento ci prepara a Natale, la Quaresima a Pasqua, I tempo Pasquale a Pentecoste. «Noi ci prepariamo , dice Eusebio, alla festa di Pasqua con quaranta giorni di digiuno, e ci disponiamo alla Pentecoste con cinquanta giorni d’una santa allegrezza ». Perché dunque siffatta allegrezza? Lo Stesso storico ce lo dice. « A Pasqua, egli continua, riceviamo il battesimo; a Pentecoste riceviamo lo Spirito Santo che è la perfezione del Battesimo. La risurrezione di Gesù Cristo fortificò gli Apostoli; la Pentecoste consumò la loro carità e li rese invincibili. In quel giorno lo Spirito Santo fu dato con quella necessaria pienezza alla Chiesa per soggiogare l’universo; perciò io riguardo la Pentecoste come la maggiore di tutte le feste ». I dieci giorni che la precedono sono da ogni divoto cristiano consacrati al raccoglimento ed alla preghiera. Essi si chiudono nel cenacolo insieme con la santa Vergine e con gli Apostoli per disporsi a ricevere lo Spirito Santo nell’abbondanza dei suoi doni.

Vigilia di Pentecoste. — Tuttavia non sembra che questi preparativi bastino alla Chiesa, tanto è grande il suo desiderio di renderci degni de’ favori del divino suo Sposo. Ella ha istituito per la Pentecoste una vigilia solennissima l’uffizio della quale ha molta somiglianza con quello della vigilia di Pasqua. È facile comprenderne la ragione; in quelle due notti memorande era amministrato ai catecumeni il Sacramento della rigenerazione. Nei primi secoli l’uffizio cominciava da dodici lezioni, che, come quelle del Sabato santo, avevano per scopo l’istruzione de’ catecumeni. Oggi non se ne dicono che quattro, che hanno ancora rapporto al battesimo e alla legge di grazia. Nella prima si rammenta la promessa che Dio fece ad Abramo di benedire nella sua schiatta tutte le nazioni della terra; ora nel giorno della Pentecoste questa promessa riceve il suo perfetto compimento per l’effusione dello Spirito Santo che Gesù, figlio d’Abramo secondo la carne, invia nel mondo. – La seconda tratta della legge data da Mose, simbolo della legge nuova, promulgata nel giorno della Pentecoste, e di cui il Battesimo è l’ingresso. – La terza rappresenta la visione d’Ezechiello, e ci mostra quelle vaste campagne coperte d’ossa umane; e poi quell’ossa che si muovono e si riuniscono, ricomponendo corpi d’uomini; e quegli uomini che rivivono al soffio dello Spirito, immagine viva del genere umano alla nascita del Vangelo e della vita nuova che lo Spirito Santo gli comunica. – La quarta ha per scopo di manifestarci gli effetti dello Spirito Santo nelle anime, e la differenza che distingue quelli che ne sono animati, e quelli che vivono dello spirito del vecchio uomo. Nulla di più magnifico di queste lezioni, nulla di più grande delle istruzioni ch’esse racchiudono Seguono poi la processione, la benedizione dei sacri fonti, la Messa senza Introito come nel Sabato santo. La vigilia della Pentecoste è accompagnata da un digiuno, che era già in uso nell’ottavo secolo.

III. Grandezza della festa. — Tutti questi preparativi alla Pentecoste cattolica nulla hanno di esagerato, se riflettiamo all’eccellenza di questa festa. E primieramente per la grandezza del suo scopo essa lascia a molta distanza dietro di sé tutte le feste profane, e di tanto ella sorpassa la Pentecoste Giudaica di quanto la legge di grazia sorpassa la legge di timore, e il compimento del mistero della nostra redenzione i tipi e le figure che lo annunziavano. La terza Persona dell’augusta Trinità che discende sull’universo per rigenerarlo, come era scesa nel giorno della creazione sul caos per fecondarlo; il divino Redentore che pone l’ultima mano alla grand’opera ch’era l’oggetto di tutti i suoi misteri; un nuovo popolo destinato ad adorare Dio in spirito e in verità dall’aurora fino al tramonto; la faccia del mondo rinnovata; il Giudaismo annientato ; il Paganesimo percosso a morte; l’alleanza universale di Dio con gli uomini promessa da quaranta secoli e finalmente realizzata; tali sono le meraviglie e i soggetti di lode e di meditazione contenuti nella festa della Pentecoste. E voi volete che la Chiesa cattolica non esulti di giubilo nel celebrarla? Ma fa di mestieri essere stupido come l’indifferente per non sentirsi palpitare il cuore di riconoscenza e di gioia al ritorno di questa memorabile giornata. Forse che la Pentecoste non è la festa dell’incivilimento? Dite, o popoli cristiani, da qual epoca prendono origine i lumi, le costumanze, le istituzioni, le idee nuove che hanno cangiata la faccia dell’universo e istituita la legge di carità al diritto brutale del più forte, e vi hanno fatto quelli che siete? Se voi, o ingrati, fate mostra di obliarlo, la Chiesa cattolica ha cura di ripetervelo, come lo ripeté alle generazioni che vi precedettero, e come lo ripeterà alle generazioni che vi succederanno. Da diciotto secoli ella celebra la festa della Pentecoste, e voi dovreste, ricchi e poveri, monarchi e popoli, unirvi a lei per festeggiare questo giorno come festeggiate l’anniversario della vostra nascita; perché amo ripetervelo, il cenacolo fu la vostra cuna, e di là è derivata quella superiorità intellettuale e morale di cui andate sì orgogliosi.

Storia della festa. — Ora riduciamoci a memoria le circostanze meravigliose in mezzo alle quali si compì questo mistero. Dopo l’Ascensione del loro divino Maestro, gli Apostoli erano tornati a Gerusalemme ove attendevano gli effetti della sua promessa. Stavano essi adunati in m cenacolo, vale a dire in una camera alta, separata dal resto degli appartamenti siccome i tetti delle fabbriche della Palestina erano piuttosto schiacciati, la stanza la più alta era altresì la più grande e quindi la più appartata, e in essa i Giudei avevano i loro oratori particolari È opinione che gli Apostoli stessero adunati nella casa di Maria, madre di Giovan-Marco, quello zelante discepolo di cui parla san Luca. Ma qualunque fosse il luogo della loro riunione, essi rappresentavano la Chiesa universale. Erano colà in aspettativa delle promesse del loro divino Maestro, quando nel decimo giorno dopo l’ascensione e cinquantesimo dopo la risurrezione di Lui, lo Spirito Santo scese sopra di essi. Era una domenica, giorno di Pentecoste dei Giudei, affinché la nuova legge fosse pubblicata nel giorno medesimo in cui l’antica, che doveva essere soppiantata, era stata data sul monte Sinai. – Ma qual differenza! L’antica legge era stata promulgata in mezzo ai tuoni ed ai lampi e al suono delle trombe. Ella minava di morte i prevaricatori; essa era sopra tavole di pietra, ed aggravanti anziché no per la molteplicità dei comandamenti e degli esercizi ai quali doveva assoggettarsi un popolo ignorante e rozzo, che bisognava piegare alla obbedienza più per via del terrore che dell’amore. La nuova legge all’incontro è una legge non di terrore ma di grazia, destinata ad essere scritta non sulla pietra, ma nel cuore degli uomini. Figlia dello Spirito Santo, principio di consolazione, di dolcezza e di amore, non poteva essere promulgata col mezzo di un apparato spaventevole, né di minacce, come era stata accompagnata la pubblicazione della legge mosaica. Per molto tempo Iddio aveva avuto degli schiavi, Ei voleva ora avere dei figli. La domenica dunque, giorno di Pentecoste, verso le ore nove di mattina, mentre i discepoli erano tutti riuniti, odono improvvisamente un rumore simile a quello di vento gagliardo che viene dal cielo e che empie tutta la casa in cui sono rinchiusi. Questo segnale della venuta dello Spirito Santo è destinato a risvegliare la loro attenzione; esso è pieno di misteri. Quel vento che viene dall’alto, messaggero delle sante inspirazioni, è il soffio della grazia divina che sostiene nelle anime nostre la vita spirituale, come l’aria atmosferica sostiene la nostra esistenza fisica. La sua veemenza indica il potere della grazia sui cuori per cangiarli e vivificarli; s’Ei riempie tutta la casa, ciò è perché lo Spirito Santo presenta i suoi doni agli individui d’ogni paese, che ei trasforma in altri esseri, e che penetra tutte le nostre facoltà. A questo primo prodigio ne succede un altro. Ecco giungere delle lingue bipartite come di fuoco, che si posano sopra la testa di ciascuno de’ membri della fortunata adunanza. Egli è lo Spirito Santo medesimo che si compiace assumere forme esteriori, simboli dei sorprendenti effetti ch’Ei produce interiormente nelle anime. Al battesimo del Salvatore, esso apparisce sotto forma di una colomba per indicare l’innocenza e l’abbondanza delle opere sante, che sono il frutto del sacramento della rigenerazione. Oggi la sua presenza si manifesta sotto la forma di lingue di fuoco, emblema eloquente dell’unità di credenza e di amore che stava per fare di tutti gli uomini un solo popolo di fratelli. Il fuoco illumina, solleva, trasforma in sé tutto ciò che egli incendia; simili sono gli effetti che lo Spirito Santo produce nelle anime nostre. Il fuoco si mostra sotto la forma di lingue piuttosto che sotto la forma di cuori, per far comprendere che i doni dello Spirito Santo sono sparsi sopra gli Apostoli non solamente perché amino Dio, ma anche perché facciano che altri Lo amino, comunicando loro per mezzo della parola il fuoco della propria carità. Questa forma annunzia anche il dono delle lingue, che deve mettere gli Apostoli in grado di comunicare con le diverse nazioni, onde predicar loro la dottrina del divino Maestro [Si crede che il giorno della Pentecoste immediatamente dopo il miracolo della discesa dello Spirito Santo, il quale, dando nascita alla Chiesa, aboliva la Sinagoga, in tal giorno, io dico, si crede che san Pietro celebrasse la prima Messa per inaugurare solennemente il Cristianesimo]. Osservate qui il Salvatore che ripara alle ultime conseguenze del peccato. Avendo i discendenti di Noè voluto edificare la torre di Babele, furono dispersi dalla confusione delle favelle. Come castigo del loro orgoglio, quella confusione delle favelle cagionò la confusione delle idee, l’oblio delle sante tradizioni, e produsse odi ed eterne divisioni tra i popoli. Il dono delle lingue nella predicazione del Vangelo è il felice presagio della prossima riunione di tutte le nazioni nell’unità di credenza e di amore, per non più formare che una grande famiglia che pubblica la gloria del Signore da oriente a occidente.

Effetti dello Spirito Santo. — La discesa dello Spirito Santo operò sul momento negli Apostoli un doppio miracolo; miracolo interiore e miracolo esteriore. Miracolo interiore; tutte le loro facoltà furono arricchite dai doni di Dio. Il loro intelletto, rischiarato da una luce divina, penetrò senza fatica il senso delle antiche profezie e dei libri sacri, egualmente che i misteri della fede e tutte le verità rivelate. – La magnifica economia del Cristianesimo, il suo scopo, i suoi mezzi, il suo fine, la dolcezza sorprendente del loro Maestro, l’eccesso del suo amore per gli uomini, la profondità dei consigli di Dio, e il suo potere illimitato nelle diverse elargizioni della sua grazia, tutti questi abissi impenetrabili alle più perfette creature cessarono di essere oscuri per gli Apostoli. Quanto al loro cuore l’amor divino lo penetrò talmente che ne bandì tutto ciò che poteva esservi rimasto d’impuro, e lo riempi delle più abbondanti grazie e delle più sublimi virtù. Per dire tutto in una parola, lo Spirito Santo cangiò gli Apostoli in uomini nuovi. La prova autentica di questo cambiamento interiore è il miracolo esteriore della loro condotta. Udite voi quei dodici Galilei, quei pescatori incolti e illetterati che parlano tutti e scrivono con una eloquenza, una dignità, una profondità che produce l’ammirazione, e che citano al bisogno con aggiustatezza, e applicano con perfetta sagacia i passi i più difficili e a più astrusi dei libri santi? Tutto ciò dimostrava evidentemente ai più increduli, che essi non parlavano per virtù propria. Ugualmente incontrastabile era la prova che presentava il loro coraggio e il loro zelo per la gloria di Dio. Singolare spettacolo! Ecco dodici pescatori, il più audace dei quali, sono pochi giorni, rinnegò il proprio Maestro, sbigottito dalla voce di un’ancella, ecco, io li vedo affrontare i magistrati, i regnanti, la terra intera congiurata contro di loro: « Mirate, dice san Crisostomo, con quale intrepidezza essi procedono! Ecco trionfano di tutti gli ostacoli, come il fuoco trionfa della paglia in cui s’incontra. Città intere insorgono contro di loro, nazioni si collegano per distruggerli, guerre, fiere, ferro, fuoco li minacciano, ma indarno! Non si commuovono alla vista di questi pericoli più che se fossero sogni o nemici in pittura. Sono disarmati e fanno fronte a legioni armate. Uomini ignoranti osano entrare in arringo con una moltitudine di oratori, di sofisti, di filosofi, e li confondono. Paolo fiacca egli solo l’orgoglio dell’Accademia, del Liceo e del Portico; i discepoli di Platone, d’Aristotele e di Zenone ammutoliscono in faccia a lui » [Omel. IV in Act.]. – E affine di rendere dinanzi a tutti i secoli una testimonianza autentica di questo doppio miracolo compiuto negli Apostoli, ecco che il Giudaismo e il Paganesimo cadono, mentre il Cristianesimo si innalza sulle loro rovine. Ripeto che è la Pentecoste, intendete bene, che assegna l’epoca a questa rivoluzione morale, la più sorprendente di cui la storia conservi la ricordanza. E questo avvenimento sussiste tuttavia sempre vivo, sempre parlante, consolando la fede degli uni, mettendo alla disperazione l’incredulità degli altri, predicando a tutti l’amore d’una religione che ha cangiato la faccia della terra. – Queste meraviglie che lo Spirito Santo operò nel giorno memorabile della sua venuta, Ei le opera tuttora nelle anime ben disposte. I doni esteriori sono cessati, è vero, perché non sono più necessari; ma sono i doni interiori che possiamo ottenere. La Chiesa c’invita a domandarli, specialmente nel giorno della Pentecoste: e la Chiesa ha ragione; noi e la società intera con noi, ne sentiamo il bisogno più che mai. Perciò nell’uffizio di questo gran giorno l’affettuosa madre de’ cristiani, la protettrice della società, la Chiesa Cattolica, pone sulle labbra de’ suoi figli e canta con essi quell’inno sì efficace a chiamare lo Spirito Santo nei nostri cuori. “Veni, sancte Spiritus, et emitte coelitus Iucis tuæ radium”. Vieni, o Spirito Santo, c’illumina sempre di più, e fa che continuamente splendano agli occhi nostri i raggi della tua luce celeste. Veni, pater pauperum, veni dator munerum, veni lumen córdium. Vieni, tu sei il padre dei poveri, ed ahi! noi siamo poveri, tanto dei beni di questa vita, quanto dei beni della vita avvenire. A questo titolo noi siamo doppiamente meritevoli e della tua compassione e delle tue elargizioni. Deh! le prodiga a noi benefico, Tu che sei la luce dei cuori e il distributore di tutti i doni! “Consolator optime, dulcis hospes animæ, dulce rifrigerium”. Noi trasciniamo una vita miserabile nelle angosce, nella tristezza e nelle amarezze; invano cercheremmo tra gli uomini il nostro conforto. Noi non troviamo in essi che dei consolatori onerosi, che inaspriscono i nostri mali, o che ci lasciano nell’oppressione e nel dolore. Spirito consolatore, Tu sei il migliore amico, il solo che presenti un dolce refrigerio ad un’anima afflitta, il solo che le procacci un refrigerio gradevole. “In labore requies, in æstu temperies, in fletu solatium”. Noi troviamo in Te un riposo tranquillo dopo le nostre fatiche, un’ombra fresca nei calori dell’estate, una moderazione nell’ardore delle nostre passioni; tu asciughi le lacrime di cui solchiamo questo tristo passaggio dalla vita all’eternità. “O lux beatissima, reple cordis intima tuorum fidelium”. – Oh! luce piacevole e confortatrice, vieni a spargere dolce serenità nelle anime che ti sono fedeli: una penosa oscurità le circonda in certi momenti nubilosi; le riempi dunque di letizia che Ti accompagna. “Sine tuo numine, nihìl est in homine, nihil est innoxium”. Senza il tuo divino soccorso noi nulla abbiamo, nulla possiamo, nulla siamo; tutto in noi è sola debolezza, miseria, infermità. “Lava quod est sordidum , riga quod est aridum, sana quod est saucium.” – Purifica in noi tutto ciò che vi troverai d’immondo e d’iniquo; irrora questo cuore arido e disseccato; guarisci le piaghe dell’anima mia applicandole rimedi efficaci e salutari. “Flecte quod est rigidum , fove quod est frigidum, rege quod est devium.” Piega questo cuore ribelle e indocile, trionfa delle sue resistenze e della sua ostinazione; rendilo pieghevole alle tue inspirazioni persuasive; struggi quel ghiaccio, che lo rende sì freddo per gli oggetti che dovrebbero infiammarlo d’amore. Ohimè! s’ei si smarrisce nelle vie dell’iniquità, riconducilo nei sentieri della giustizia. “Da tuis fidelibus in te confidentibus sacrum septenarium.” Noi ponemmo in te tutta la nostra fiducia. E su chi dovremmo porla? Concedi a tutti i tuoi servi i doni preziosi che tu rechi dal cielo, cioè la sapienza, l’intelligenza, il consiglio, la forza, la scienza, la pietà, il timore di Dio, tutte le grazie di cui abbiamo un bisogno sì grande. “Da virtutis meritum, da salutis exitum, da perenne gaudium”. Adorna l’anima nostra di virtù solide e cristiane, che sole hanno merito ai tuoi occhi; conducine alla felice meta della salute, a quella gloria, a quelle delizie che non mai finiranno. Amen. Cosi sia * [Catechismo di Couturier; t. 1. Si crede generalmente Papa Innocenzo III, morto nel 1216, autore di quest’inno. Altri ne danno gloria al B. Hermann Contractus, monaco di Mezrow, morto nel 1505. Vedi Benedetto XIV, De festis Cttristi]. Non è d’uopo aggiungere che la festa della Pentecoste risale ai tempi Apostolici, e che in ogni tempo fu celebrata con la massima pompa. Diremo soltanto che nei secoli del medio evo, secoli incomprensibili per la presente nostra epoca d’indifferenza glaciale, esisteva nel giorno di Pentecoste un uso rituale che aveva alcun che di dramma sacro. Nel momento in cui il coro intonava l’inno ammirabile che abbiamo spiegato, uno strepito di trombe echeggiava per tutta la Chiesa, ad imitazione del veemente strepito di cui si parla nella narrazione di san Luca. Nel tempo stesso dall’alto della volta piovevano scintille mescolate con fiori d’ogni sorta, ma specialmente di foglie di rose rosse, simbolo della gioia e della diversità delle lingue, parlate dagli Apostoli alle diverse nazioni. Finalmente colombe a tal fine disciolte svolazzavano per tutta la chiesa, commoventi immagini di quello Spirito che è la forza e la dolcezza. Immaginiamoci dunque una riunione di fedeli adunati in una vasta navata, nel punto in cui al canto unanime della bella sequenza si accoppiava il suono fragoroso delle trombe e una pioggia di fiori e di fuoco in scintille che si smorzavano al di sopra delle teste e l’oscillare del volo delle colombe. Dicemmo che quell’anime dalla fede ardente s’identificavano deliziosamente, retrocedendo di qualche secolo, con quei discepoli, con quegli Apostoli, con quelle sante donne, e con Maria madre di Gesù nel cenacolo di Gerusalemme. Può egli immaginarsi di qual prodigi di devozione e di sacrificio fossero capaci anime così commosse, così vivificate? In quel momento di santa esaltazione, il cristiano del decimo terzo secolo non trovava cosa alcuna impossibile all’amor suo. Le Crociate, le istituzioni religiose, le cattedrali gotiche erette sono testimoni irrefragabili della costanza dell’amor suo; donde noi possiamo qui esclamare coll’autor-poeta della divina Salmodia, il santo cardinal Bona: « Colà si vede l’amore, quell’amore che dal cielo scendendo sopra la terra in fuochi che sono proprii di lui, scaglia nel tempo stesso i suoi pacifici fulmini ». [Scilicet hic amor est proprios effusus in ignes placido qui fulminat ictu?L’Univers; 2 giugno 1840]

Disposizioni alla Pentecoste. — Terminiamo con una riflessione utile al regolamento della nostra condotta. Un ardente desiderio di ricevere lo Spirito Santo, e specialmente una rinunzia ad ogni affezione smodata per le creature, sono i due mezzi essenziali per attrarlo al nostro cuore. Vedete fin dove questo divino Spirito spinge la gelosia! Certo, nessun sensibile attaccamento poteva essere più legittimo, più santo di quello dei discepoli, verso la presenza corporea del loro divino Maestro. Tuttavia quell’attaccamento doveva essere in certa maniera bandito dall’anima loro, affinché lo Spirito Santo andasse a prenderne possesso, e a riempirla: “Se Io non me ne vo – diceva loro il Salvatore – non verrà a voi il Paracleto” (Giov. XVI, 8). Se dunque è certo che il troppo grande attaccamento degli Apostoli alla presenza sensibile dell’umanità di Gesù Cristo fu un ostacolo alla discesa dello Spirito Santo in loro, chi sarà sì presuntuoso da lusingarsi di ricevere la visita del divino Paàcleto finché rimarrà schiavo del proprio corpo? Persuadersi che questa dolcezza celeste possa allignare coi piaceri de’ sensi, che questo balsamo divino possa mescolarsi con il veleno, i lumi dello Spirito Santo con le tenebre del secolo, sarebbe uno strano errore. Qual rapporto può esistere tra la verità e la menzogna, tra il fuoco della carità e il ghiaccio degli affetti mondani? No, no; più l’uomo diventa carnale, più lo spirito di Dio si allontana da lui. Ecco perché il Cristianesimo si distacca oggi giorno dagli individui e dalle nazioni. Ed essi da stolti dicono: il Cristianesimo è vecchio!! Oh insensati! Voi, sì, siete vecchi, siete indegni del Cristianesimo.

Preghiera.

O mio Dio che siete, tutto amore, io vi ringrazio che abbiate inviato lo Spirito Santo sopra gli Apostoli, e per mezzo di loro sopra tutta la terra; non permettete ch’io contristi mai in me questo Spirito divino. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio, e in prova di questo amore io temerò sempre di resistere alle inspirazioni della grazia.