MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -IX- di mons. J. J. Gaume [capp. XXX-XXXI]

CAPITOLO XXX

L’AMERICA DEL SUD. —PERÙ.

I.

All’epoca della scoperta spagnola, l’America del Sud presentava presso a poco, sotto il rapporto del sacrificio umano e dell’antropofagia, il medesimo spettacolo dell’America del Nord. Verso l’anno 1540, l’imperatore Carlo V volle dagl’indigeni, sottomessi al suo impero, che rinunziassero all’orribile uso di nutrirsi di carne umana.

II.

Il suo capitano generale, Don Alvaro riunì i carichi, e notificò loro l’ordine del principe: tutti promisero d’obbedire. Inoltre li costrinse a bruciare i loro idoli: la qual cosa fecero essi a malincuore, perché temevano di essere maltrattati dai demoni. Fatto questo, Don Alvaro, eresse una croce, e fabbricò una cappella, in cui fu cantata la messa con grande solennità, il che rassicurò d’assai gì’indigeni.

III.

Il pio e coraggioso capitano, dirìgendosi verso l’occidente, trovò, non lungi dalle frontiere del Perù, una borgata dove si contavano otto mila casupole, nel mezzo delle quali s’innalzava una torre costruita con grandi pezzi di legno, e terminata a piramide, il tutto ricoperto di scorze di palma. Questa torre, dice Charlevoix, era la dimora e il tempio d’un serpente mostruoso, di cui gli abitanti avevano fatto la loro divinità, e che nutrivano di carne umana. Esso era della grossezza d’un bue, ed aveva 27 piedi di lunghezza, la testa estremamente grossa, gli occhi piccoli di molto sfavillanti, e quando apriva la bocca, gli si vedevano due ordini di acuti denti. La pelle della sua coda era liscia; grandi scaglie rotonde coprivano il resto del corpo, e gl’Indiani vollero persuadere agli Spagnoli che rendesse oracoli. – « Egli è vero che alla prima vista di questo mostro, furono essi assaliti da spavento; che crebbe ancora quando un di loro, avendogli tirato un colpo d’archibugio, mise un grido simile al ruggito del leone, e con un movimento di coda, fece tremar la torre. Nondimeno l’ammazzarono facilmente. » [Hist. du Paraguay, t. I, p. 83]. Questo accadeva nel Perù prima della predicazione del clericalismo! E oggi vogliono sterminare il clericalismo! E dicon che tutte le religioni sono egualmente buone!

IV.

Circa un secolo fa, tutti i discepoli di Voltaire si sarebbero stretti nelle spalle, al racconto di Charlevoix, ed avrebbero trattato l’autore siccome impostore o visionario. La scienza attuale li ha convinti d’ignoranza. Le scoperte di Cuvier, di Zimmermann e d’altri naturalisti, han provata l’esistenza di questi giganteschi serpenti, i cui fossili si trovano in Francia, in Inghilterra, in Alemagna. Uno dei più mostruosi, poiché conta più di cento piedi di lunghezza, è stato recentemente scoperto nello scavare una fossa per la ferrovia, presso Saint-Lottin, nel Giura.

V.

Tali scoperte hanno questo d’importante, che esse giustificano non solamente il racconto del padre Charlevoix, ma ancora la storia dei nostri primi predicatori evangelici. Quando vennero la prima volta nelle nostre contrade pagane, dovettero molto combattere contro mostruosi dragoni, formidabili divinità degli abitanti. V’ha delle riviere, e perfino delle città che ne conservano il nome: come il Drac e il Draguignan.

VI.

Tutte le provincie dell’America del Sud si abbandonavano, come il Perù, ai sacrifìci umani ed all’antropofagia. Ne abbiamo una prova nella bolla di san Pio V, con la quale il Papa prescrive ai missionari d’obbligare gl’indigeni a vivere almeno secondo la legge naturale, evitando tutto ciò che degrada l’umanità, come i sacrifici sanguinosi di vittime umane, che si perpetuavano nelle contrade più recondite e meno conosciute, al di là della linea equinoziale [Touron, Hist, gen. de l’Amerique, t. X, p. 133].

VII.

Nel numero delle ricche contrade dell’America del Sud, conquistate dagli Spagnoli, risplende sopra tutte la Nuova Granata. Era molto tempo che questo bel paese gemeva sotto l’impero di satana, che l’inondava di sangue umano e lo bruttava d’indicibili turpitudini. Ma finalmente, nel mese di gennaio 1590, il demonio fu espulso dalla sua cittadella.

VIII.

La tribù di Ramiriqui, non ha guari evangelizzata dal domenicano Pietro Duran, era allora affidata alle cure del padre Diego Manura. Il buon missionario si lusingava d’avere ritratto questo popolo dalle favole dell’idolatria, quando riconobbe d’essersi ingannato. Gli venne infatti a notizia, che nei dintorni della città di Ramiriqui esisteva un luogo segreto, nel quale i principali indigeni si riunivano con non poca precauzione, continuando ad onorarvi i loro idoli con ricche offerte d’oro, di smeraldo, e d’ altri oggetti preziosi, e fino con vittime umane.

IX.

Il luogo dove queste abominazioni si praticavano, era nella cavità d’una gran roccia, il cui piccolo ingresso, chiuso ben bene da una pietra piana e quadrata, non permetteva all’occhio di veder dentro. Al fondo d’una sala spaziosissima era posto il grande idolo. Era un pezzo di legno tagliato in forma d’uccello, d’una grandezza smisurata e coperto di penne d’una varietà ammirabile. Da secoli gli schiavi del demonio adoravano questo simulacro, senza levare il minor dubbio sulla sua divinità, né sulla verità delle cose che, per suo organo, lo spirito delle tenebre annunziava. Si sacrificavano a lui de’fanciulli; giovani vergini consacrate al suo culto abitavano giorno e notte la caverna tenebrosa.

X.

Cristiani di nome, ma idolatri di fatto, una folla d’indigeni, che assistevano la mattina alle riunioni de’ fedeli nelle chiese, accorreva la sera a prender parte a sanguinari sacrifìci in questa grotta remota. Coloro che erano sinceramente convertiti non osavano denunziare l’apostasia segreta degli ipocriti. Tuttavia una vecchia indigena, coraggiosa serva di Gesù Cristo, n’avverti con pericolo della sua vita il padre Manura. Ella gl’indicò il luogo, l’ora delle radunanze, le abominazioni che vi si commettevano, fino il nome dei principali colpevoli.

XI.

Il missionario andò a consultare a Tunja il suo provinciale. Questi gli raccomandò di verificar da se stesso il mistero d’iniquità, e fece pregare tutta la comunità pel successo dell’impresa. Il missionario si veste da borghese, e recasi una notte in mezzo all’assemblea, pensando che col favore dell’oscurità e della folla, potrebbe ritirarsi senza essere riconosciuto. Già era stato testimone delle cerimonie, dei sacrifica umani e d’alcune altre abominazioni, allorché Iddio permise che il demonio, per la bocca dell’idolo, facesse udire queste parole: Cacciate di qui quel frate. Gl’indigeni, sorpresi e trasportati dalla collera, misero grandi grida, chiedendo dove fosse il religioso, affine d’immolarlo immantinente.

XII.

Il trambusto della riunione facilita al missionario il modo di fuggire. All’indomani, accompagnato da altri missionari e da una scorta armata, ritorna alla fatale rupe. I soldati s’impadroniscono del grande uccello e d’una parte dei piccoli idoli, posti in ordine attorno ad esso. Il padre Manura fa trasportare questi simulacri sulla piazza pubblica di Ramiriqui, dove un gran fuoco li consuma all’istante.

XIII.

In quel momento gli apostati montano in furore. Gli uni prorompono in minacce, altri corrono alle armi, ma la presenza delle truppe spagnole li ritiene. I ribelli impauriti si riservano di vendicare in segreto col sangue del missionario l’ingiuria fatta ai loro dèi. Il ministro di Gesù Cristo, lungi dal nascondersi, si presenta loro intrepidamente. Lo Spirito Santo mette nella sua bocca parole sì persuasive, che i più irritati prorompono in pianto e corrono alla grotta, donde tolgono via il resto dei piccoli idoli e li gettano nel fuoco, che aveva consumati i primi. Di più, indicano ai missionari altre caverne, nelle quali si trovavano ancora degl’idoli, e si commettevano somiglianti orrori [Hist. gen. des miss., t. Il, part. 1, p. 122]. Ecco quel che accadeva nel regno della Nuova Granata, prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

CAPITOLO XXXI

L’AMERICA DEL SUD.

(Continuazione)

I.

Prima d’arrivare ai Mussi, popoli anch’essi dell’America meridionale, passiamo a Cartagena, dove nel 1589 fecesi un’importante scoperta. Avendo l’arcivescovo di questa nuova città permesso ai religiosi riformati di San Francesco ed agli eremiti di Sant’Agostino fondar dei conventi, il padre Alfonso, eremita di Sant’Agostino, desiderò che il suo fosse fabbricato in forma di romitaggio, sopra un’alta collina rivestita di alberi.

II.

Scavandosi le fondamenta dell’edificio si trovò un sotterraneo ripieno d’idoli, dove alcuni indigeni tenevano ancora delle riunioni clandestine, e offrivano vittime umane al demonio. Questi idoli furono quali bruciati quali ridotti in pezzi, e la cappella che il padre Alfonso innalzò sul luogo stesso, per tanto tempo profanato, divenne celebre pel concorso e la venerazione dei fedeli [Touron, Hist., t. XIII, p. 463].

III.

Dopo l’apparizione degli Spagnoli nel paese che più tardi formò il governo di Santa Marta, furono scoperti i Mussi, popoli quanto feroci altrettanto corrotti, i quali si nutrivano di carne umana cruda, sovente tagliata su di un uomo tuttora vivo. Questi esseri, sì profondamente corrotti, abitavano le foreste ed alcune montagne fra il paese di Venezuela, e l’estrema frontiera del nuovo regno di Granata.

IV.

Non si vedevano presso questi antropofagi né tempi, né altari, né idoli; due piramidi, molto discoste l’una dall’altra, erano l’unico oggetto del loro culto; piramidi sì alte che la loro sommità sembrava perdersi nelle nuvole, e la cui base occupava almeno un quarto di lega. Una di queste piramidi esisteva ancora intera al decimosettimo secolo; ma la sommità dell’ altra era stata portata via da un vento impetuoso. Quei popoli davano all’una il nome di Dea madre, ed all’altra quello di Dea figlia. Ai piedi di queste ridicole divinità sgozzavano vittime umane, di cui spargevano il sangue e divoravano i brani più grati al loro gusto, prima che tali vittime avessero dato l’ultimo respiro. [Tuuron, Hist. t. XIV, p. 241,].

V.

A somiglianza della maggior parte de’popoli dell’Europa pagana, i Mussi trattavano da nemici tutti gli stranieri che osavano associarsi agli omaggi resi alle loro piramidi, che chiamavano loro divinità tutelari. Alcuni dei più superstiziosi fra i loro vicini, azzardavano talora questo pericoloso pellegrinaggio; ma essi avevano cura di circondarsi di mistero; sapendo che, sorpresi nei loro tentativi, sarebbero mangiati vivi.

VI.

I Mussi erano particolarmente formidabili per le loro armi, le quali erano avvelenate col veleno mortale dell’aspide. Essi tuffavano in questo veleno micidiale non pure le frecce, ma anche le spine che spargevano ovunque traessero i loro avversari. Chiunque si trovava ferito, leggiera che si fosse la piaga, non tardava a vedere le sue carni cadere a brani.

VII.

L’orgoglio di questi cannibali eguagliava la loro ignoranza, la loro ferocia e la loro depravazione. Caduti nell’ultimo grado dell’umanità, si credevano essi i più saggi, i più nobili ed i più fortunati degli uomini. Di qui il loro grande disprezzo per ogni istruzione, e per chiunque volesse istruirli. Questa folle presunzione, congiunta alla più brutale ferocia, avrebbe fatto disperare di loro conversione, se la grazia divina non fosse stata capace di suscitar dalle pietre stesse figliuoli ad Abramo.

VIII.

Molti missionarii diedero la vita nella coraggiosa impresa di cacciar satana da questo covile, che pareva impenetrabile. Cosi il sangue de martiri fecondò questa terra ingrata, e dodici popoli che l’abitavano, richiamati dall’estremo della barbarie alla dignità umana, furono inalzati fino al carattere di cristiano [Touron, Hist. t. XIV, p. 241]. Ecco quel che accadeva presso i Mussi prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

IX.

Per rapporto ai costumi, era vi molta analogia fra i Mussi e i Picaos loro vicini. Questi avevano pure un carattere particolare di ferocia. Usi a vivere da animali carnivori, si nutrivano di carne umana, di cui avevano pubblici macelli. Le loro frecce erano come quelle de’ Mussi avvelenate; e ne avevano altre che mettevano fuoco a qualunque combustibile toccassero. Armi funeste, con le quali portavano il terrore in tutte le tribù vicine. Allorché nel 1605, il presidente della Nuova Granata assali i Picaos nel proprio territorio, le frecce del nemico volarono fino al campo degli Spagnuoli, e ne bruciarono le tende, i bagagli e i viveri. Nondimeno, questi terribili selvaggi subirono l’influenza del Clericalismo e divennero dolci siccome agnelli. L’eccellente padre Mancera rallegravasi in Dio del successo che veniva ottenendo in una delle provincie del regno della Nuova Granata. Volando a nuove conquiste, arrivò nella provincia di Guacheta; vi predicò e vi guadagnò un certo numero di anime.

X.

Passeggiando un giorno per la campagna, incontrò un ecclesiastico che gli diede le seguenti informazioni: « In certe epoche dell’anno, gli disse, i Guachetani ed una tribù vicina si recano a truppa in un medesimo luogo, ed ivi si danno ad un preteso giuoco appellato mona, ma che è un vero combattimento dove i vincitori e i vinti spargono moltissimo sangue, e che termina con sacrifici umani. »

XI.

Il padre Mancera fu egli stesso testimone oculare della sanguinosa abominazione. Pregato d’andare a conferire il Battesimo ad un piccolo fanciullo in pericolo di morte, vi si portò con tutta fretta, accompagnato dal medesimo ecclesiastico. Amministrato il battesimo, i due missionari passeggiavano su di un’altura, donde scorsero le due popolazioni venire alle mani in una vasta pianura. Prendendo la via che menava al campo di battaglia, s’imbatterono in un idolo gigantesco e mostruoso, piantato sopra un piedistallo che era tutto insanguinato. E compresero essersi su quell’altare immolate vittime umane al demonio.

XII.

Invece di slanciarsi inutilmente in mezzo all’accanito combattimento, il padre Mancera, col cuore trafitto dal dolore, va diritto a Guacheta. Appena riunitisi come eran soliti attorno a lui quei cittadini, ei parla con fuoco su quanto aveva veduto. Commossi fino alle lacrime, i suoi uditori convengono non solo sulla realtà del delitto, ma aggiungono che in ciascuna settimana era scannnato sul piedistallo un innocente garzone di quattordici anni. Il missionario, profittando delle buone disposizioni dell’uditorio, ordina che coloro i quali vogliono essere riconosciuti per cristiani, lo seguano all’istante per eseguir quanto egli loro prescriverà. Si conduce dinanzi all’idolo, e lo fa rovesciare e trasportare sulla piazza pubblica di Guacheta.

XIII.

Intanto i combattenti nella pianura, informati del rapimento del loro dio, accorrono per riprenderlo e vendicarlo. Vedendoli approssimare accesi di collera, il padre non prova la minima emozione. La sua parola inspirata li rende immobili. Senza dire una parola, essi lo vedono sputare all’idolo, calpestarlo e ridurlo in fiamme. Confusi allora dall’impotenza della loro divinità, confessano altamente d’essere stati ingannati, siccome i padri loro, ed abbracciano sinceramente il Cristianesimo. Ecco quel che accadeva a Guacheta prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone! [Continua …]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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