DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2022)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Come Domenica scorsa, la lettura dell’Uffizio divino coincide spesso in questo giorno con quella del libro di Giobbe che si suol fare nella 1a e nella 2a Domenica di Settembre. – Continuiamo quindi a leggere i testi del Messale in corrispondenza con quelli del Breviario. Giobbe è la figura del giusto, che il demonio superbo cerca di umiliare profondamente, affinché si rivolti contro Dio. « Lascia che io lo provi, dichiarò satana all’Altissimo, egli ti bestemmierà ». E Jahvè glielo permise, per fare di Giobbe il modello dell’anima che proclama il supremo dominio di Dio e si sottomette interamente alla sua volontà divina. La gelosia del demonio non conobbe allora più freno e fece piombare sullo sventurato Giobbe, con gradazione sapiente, tutte le calamità che ebbero potuto abbatterlo. Pure, benché privo di tutto e coricato sul letamaio, Giobbe non maledisse la mano onnipotente di Dio, che permetteva al demonio di accanirsi contro di lui, ma la baciò umilmente. Il Salmo dell’Introito rende mirabilmente la sua preghiera. « Abbi pietà di me, o Signore, porgi, o Signore, il tuo orecchio, poiché sono misero e povero ». Il Salmo del Graduale è anch’esso « la preghiera del povero quando è nell’afflizione », e i Versetti da 3 a 6: « Sono stato colpito come l’erba, a forza di gemere le ossa mi si sono attaccate alla pelle », sembrano l’eco delle parole di Giobbe che dice: « Le mie ossa si sono attaccare alla pelle, non mi restano che le labbra intorno ai denti » (Vers. 19, 20). Il Salmo dell’Offertorio parla anch’esso «del povero e dell’indigente» che supplica Iddio: « Non allontanare da me le tue misericordie, o Signore, poiché mali senza numero mi hanno circondato. Siano svergognati coloro che insidiano la vita mia » (Versetti 12-14). Infine, l’antifona della Comunione dice: « Piega, o Signore, verso di me, il tuo orecchio! Quante numerose e crudeli tribolazioni mi facesti provare! La mia lingua proclamerà dovunque soltanto la tua giustizia, e questa giustizia mi renderai quando coloro che cercano il mio danno saranno coperti di confusione e di vergogna » (Vers. 2, 20 e 24). Iddio, dicono infatti gli amici di Giobbe, esalta coloro che si sono abbassati, rialza e guarisce gli afflitti. La gloria degli empi è breve e la gioia dell’ipocrita non dura che un momento. Quando anche il suo orgoglio si innalzasse fino al cielo e la sua testa toccasse le nuvole, alla fine egli perirà. Tale è il retaggio che Dio serba agli empi. Essi si sono innalzati per un momento e saranno umiliati. – E Giobbe aggiunge: « Iddio ritirerà il povero dall’angoscia. Dio è sublime nella sua potenza. Chi può dirgli: Hai commesso un’ingiustizia? L’uomo che discute con Dio non sarà giustificato ». Infatti, commenta S. Gregorio, chiunque discute con Dio si mette alla pari con l’Autore di ogni bene; attribuisce a se stesso il merito della virtù, che ha ricevuta, e lotta contro Dio con gli stessi beni di Lui.. È quindi giusto che « l’orgoglioso sia abbattuto e l’umile innalzato » (2° Notturno, 2a Domenica di Settembre). « Chiunque si innalza sarà abbassato e chiunque si umilia sarà rialzato », dice anche il Vangelo di questo giorno. Dio, infatti, dopo aver umiliato Giobbe, lo rialzò, rendendogli il doppio di quanto prima possedeva. Giobbe è una figura di Gesù Cristo, che, dopo essersi profondamente abbassato, è stato esaltato meravigliosamente; è anche figura di tutti i Cristiani, ai quali Iddio darà un posto di onore al banchetto celeste se di tutto cuore avranno praticato la virtù dell’umiltà sulla terra. L’orgoglio, dice S. Tommaso, è un vizio per il quale l’uomo cerca, contro la retta ragione, di innalzarsi al disopra di quello che egli è in realtà; l’orgoglio è quindi fondato sull’errore e l’illusione; l’umiltà, ha, al contrario, il suo fondamento nella verità, ed è una virtù che tempera e frena l’anima, affinché questa non si innalzi al disopra, super, di quello che è realmente (donde il nome di superbia dato all’orgoglio). L’anima umile accetta in piena sottomissione il posto che ad essa si conviene; quel qualsiasi posto che da Dio, verità suprema ed infallibile, le è assegnato. Umiltà nelle parole, umiltà nelle azioni, umiltà nel sopportare le prove e le contraddizioni, è la virtù che Giobbe ci insegna durante tutta la sua vita e che Gesù Cristo ci raccomanda nel Vangelo della Messa di oggi. « Dopo aver guarito l’idropico, dice S. Ambrogio, Gesù dà una lezione di umiltà » (3° Notturno). Vedendo come i Farisei scegliessero sempre i posti migliori, Egli volle farli accorti della loro malattia spirituale e spingerli a cercarne la guarigione; a questo scopo guarì dapprima uno sventurato, che la malattia aveva fatto gonfiare, e cercò quindi, velando la lezione sotto una parabola, di guarire la spirituale enfiagione che affliggeva i convitati presenti e che purtroppo affligge anche la maggior parte degli uomini. – Il mondo è in balìa di tutte le esaltazioni e di tutte le infatuazioni dell’orgoglio, mentre l’umiltà è la condizione assoluta per entrar nel regno dei cieli, ed è questa la virtù che la Chiesa ci inculca nell’Orazione ove dice che la grazia di Dio deve sempre prevenire ed accompagnarci, e che S. Paolo insegna con energia ai Cristiani nell’Epistola di questo giorno. Senza merito alcuno da parte nostra, spiega l’Apostolo agli Efesini, ma unicamente perché serviamo di strumento di lode alla sua gloria, Dio ci ha eletti in Cristo. Allorché eravamo figli della collera, l’Onnipotente, che è ricco di misericordia, ci ha reso la vita in Gesù Cristo, per l’amore immenso che ci porta. Noi tutti, pagani ed estranei alle alleanze conchiuse da Dio col popolo di Israele, siamo stati riavvicinati e riuniti nel Sangue del Redentore, poiché Egli è la nostra pace, Egli che di due popoli ne ha fatto uno solo e per il quale abbiamo, gli unì e gli altri accesso presso il Padre, in un medesimo Spirito. Non siamo più dunque degli estranei, ma dei membri della famiglia divina. E questo non è opera nostra, ma di Dio, affinché nessuno glorifichi se stesso. Gettiamoci dunque ai piedi del Padre nostro, di nostro Signore Gesù Cristo, che è anche Padre nostro, affinché, attingendo nei tesori della sua divinità, sempre di più ci mandi lo Spirito Santo che ha effuso sulla Chiesa nella festa di Pentecoste e che nella fede e nell’amore ci unisce a Gesù, in modo che noi siamo colmati della pienezza di Dio. E chi potrà mai misurare questa carità sconfinata che iddio ci ha manifestata per mezzo del Figlio Suo? Questo amore del Padre per i suoi figli sorpassa infinitamente tatto quello che noi potremmo concepire e domandare a Dio. – A Lui dunque sia gloria in Gesù Cristo e nella Chiesa per tutti i secoli. « Cantiamo al Signore un cantico nuovo, poiché Egli ha operato prodigi » (Alleluia). « Tutte le nazioni temano il nome del Signore, tutti i re della terra annunzino la gloria sua », perché  Dio ha stabilito il suo popolo nella celeste Gerusalemme (Graduale). E questo  popolo che prenderà parte al gran banchetto della visione beatifica, sarà formato di tutti quelli che, rifuggendo da un’orgogliosa ambizione, saranno sempre stati umili sulla terra: Dio li esalterà nella stessa misura in cui essi si saranno con buon volere sottomessi alla sua santa volontà. S. Paolo ha ricevuto da Dio la missione di annunziare ai Gentili che essi, ai pari dei Giudei, sono eletti a far parte del popolo di Dio: elezione gratuita che deve riempirli di un’umile riconoscenza verso il Signore e premunirli contro lo scoraggiamento che è una forma di orgoglio. Per non lasciare un asino o un bue annegare in fondo ad un pozzo, i Giudei non esitavano a fare tutto quello che era necessario per ritirarneli, non ostante il giorno di Sabato in cui ogni opera servile era proibita. Perché dunque il Redentore non doveva poter guarire un ammalato in quel giorno? – « Va, mettiti all’ultimo posto » non vuol dire che il Superiore debba mettersi al di sotto dei suoi subordinati, né esporre la sua dignità al disprezzo; ma egli deve ricordare queste parole dei Sacri Libri: « Quanto più sei grande, tanto più devi mostrarti umile in tutte le cose e troverai grazia davanti a Dio » (Eccl. III, 20).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.

R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.

M. Misereátur nobis omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.

S. Amen.

S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.

R. Amen.

Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXXV: 3; 5
Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].


Ps LXXXV: 1
Inclína, Dómine, aurem tuam mihi, et exáudi me: quóniam inops, et pauper sum ego.

[Porgi l’orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi, perché sono misero e povero].

Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Tua nos, quǽsumus, Dómine, grátia semper et prævéniat et sequátur: ac bonis opéribus júgiter præstet esse inténtos.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios
Ephes III: 13-21

Fratres: Obsecro vos, ne deficiátis in tribulatiónibus meis pro vobis: quæ est glória vestra. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis et in terra nominátur, ut det vobis secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo et sublímitas et profúndum: scire etiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei. Ei autem, qui potens est ómnia fácere superabundánter, quam pétimus aut intellégimus, secúndum virtútem, quæ operátur in nobis: ipsi glória in Ecclésia et in Christo Jesu, in omnes generatiónes sæculi sæculórum. Amen.

[“Fratelli: Vi scongiuro di non perdervi di coraggio a motivo delle tabulazioni che io soffro per voi. Esse sono la vostra gloria. Perciò io piego i ginocchi davanti al Padre del Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale prende nome ogni famiglia, in cielo e in terra, affinché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, d’essere fortemente corroborati, mediante il suo spirito, nell’uomo interiore: che Cristo per mezzo della fede abiti nei vostri cuori, affinché, profondamente radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità; e d’intendere anche quell’amore di Cristo che sorpassa ogni coscienza, di modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. A Lui che, secondo la possanza che opera in noi, può tutto infinitamente di là di quanto noi domandiamo e pensiamo: a Lui sia gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni di tutti i secoli”.]

PIENI DI DIO IN GESU’ CRISTO.

Una delle cose più stupende, e, se volete anche strane, quando ci facciamo a studiare bene l’uomo, è la sua estrema elasticità. Gli animali sono quel che sono, tutti: i buoi tutti lenti, gravi; i cervi tutti veloci; i leoni tutti crudeli, e gli agnelli tutti mansueti. Ma l’uomo… l’uomo è capace di assumere gli atteggiamenti più diversi, più contrari. Può andare da un estremo all’altro. Un trasformismo fenomenale. Possiamo purtroppo abbrutirci, e quanti uomini si abbrutiscono! Potrebbero essere degli uomini e diventano animali e peggio. S. Paolo l’afferma nettamente l’esistenza di questo « animalis homo.» E’ l’uomo che discende la scala dell’abisso. Si abbrutisce nel pensiero, che non è più pensiero, ricerca faticosa, conquista umile della verità, ma schiavitù dei sensi, superficialismo di impressioni molteplici e varie. Pensa e ragiona come una bestia: cioè non pensa, non ragiona più; urla, non parla. Si abbrutisce l’animalis homo, nel cuore corrotto e violento. Nessun battito generoso più, ma bramiti come di belva. Sogni, compiacenze voluttuose: il fango. Oppure la crudeltà: la belva accanto al bruto; col fango il sangue. La guerra e il dopoguerra hanno moltiplicate queste dolorose esperienze di crudeltà feroce, di ferocia bestiale. Abbiam visti uomini capaci di far paura alla bestia. Artigli, zanne, occhi iniettati di sangue. E per queste vie trionfali di discesa, si direbbe non ci sia limite. Si può andare, e si va sempre più in giù, e ci si abbrutisce sempre più. Tutto questo bisognava ricordare, bisogna meditare per comprendere l’altro moto diametralmente contrario. L’uomo può angelicarsi, mi direte voi. Ciò, vi dico con San Paolo, è ancora poco, troppo poco per il Cristiano, il quale, invece, può e deve divinizzarsi. Dal fango a Dio. Sicuro, è il programma del Cristianesimo, di quel Cristianesimo che davvero atterra e suscita questa povera umanità. L’atterra nella polvere davanti a Dio, la umilia profondamente, ci proclama peccatori, guasti; corrotti, figli di ira, vuole che ci mettiamo in ginocchio, che ci mostriamo davanti a Lui. « Venite adoremus. » Ma ci esalta, perché ci scopre la nostra origine e razza divina, ci dà il diritto di chiamarci, e il potere di diventare figli di Dio, di divinizzarci. Meditiamo pure bene, meditiamo spesso questi contrasti. L’umanità è cattiva, peccatrice, ci insegna il Cristianesimo, ed eccoci nella polvere della abbiezione. E, a parte che dobbiamo stare in ginocchio, colla faccia a terra, perché siamo peccatori, dovremmo starci ginocchioni così, prostrati così davanti a Dio, perché siamo uomini, povere creature di Dio, scintille davanti a un incendio, gocce di fronte al mare. È questo il preludio del dramma, non è il dramma. Il dramma è l’esaltazione sino a Dio. L’eritis sicut Dei, che suonò audace bestemmia sulle labbra del demone, suona dolce invito sulle labbra di Gesù Cristo. « Estote perfectì sicut Pater vester coelestis perfectus est. » Gesù non invita all’impossibile; se mai, ci invita all’impossibile, rendendolo possibile. Dobbiamo diventare come Dio in ciò che Dio ha di più tipico, di più suo, di più caratteristico: la bontà.«Nemo bonus nisi unus Deus:» ma anche noi dobbiamo diventare buoni, anzi perfettamente buoni (estote perfecti), come Lui, come Dio. Non si può andare più in là, più in su. Ma San Paolo adopera un linguaggio ancor più espressivo, più enfatico, direi, se la parola enfasi non portasse con sé l’idea della esagerazione. Paolo vuole che ci riempiamo noi Cristiani, ci riempiamo di Dio, anzi, per usare proprio la sua frase, d’ogni pienezza divina.Quanti sono i Cristiani pieni di Dio? Ne conosco tanti pieni di ben altre cose, di vanità, d’orgoglio, di avarizia, di viltà, di invidia… ma pieni di Dio! Cerchiamo di fare noi questo miracolo in noi stessi, coll’aiuto di Dio, nel nome di Cristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua.

[Poiché il Signore ha edificato Sion e sarà veduto nella sua maestà.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit Dóminus. Allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché Egli fece meraviglie. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIV: 1-11
In illo témpore: Cum intráret Jesus in domum cujúsdam príncipis pharisæórum sábbato manducáre panem, et ipsi observábant eum. Et ecce, homo quidam hydrópicus erat ante illum. Et respóndens Jesus dixit ad legisperítos et pharisæos, dicens: Si licet sábbato curáre? At illi tacuérunt. Ipse vero apprehénsum sanávit eum ac dimísit. Et respóndens ad illos, dixit: Cujus vestrum ásinus aut bos in púteum cadet, et non contínuo éxtrahet illum die sábbati? Et non póterant ad hæc respóndere illi. Dicebat autem et ad invitátos parábolam, inténdens, quómodo primos accúbitus elígerent, dicens ad illos: Cum invitátus fúeris ad núptias, non discúmbas in primo loco, ne forte honorátior te sit invitátus ab illo, et véniens is, qui te et illum vocávit, dicat tibi: Da huic locum: et tunc incípias cum rubóre novíssimum locum tenére. Sed cum vocátus fúeris, vade, recúmbe in novíssimo loco: ut, cum vénerit, qui te invitávit, dicat tibi: Amíce, ascénde supérius. Tunc erit tibi glória coram simul discumbéntibus: quia omnis, qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.

[“In quel tempo Gesù entrato in giorno di sabato nella casa di uno de’ principali Farisei per ristorarsi, questi gli tenevano gli occhi addosso. Ed eccoti che un certo uomo idropico se gli pose davanti. E Gesù rispondendo prese a dire ai dottori della legge e ai Farisei: È egli lecito di risanare in giorno di sabato? Ma quelli si tacquero. Ed egli toccandolo lo risanò, e lo rimandò. E soggiunse, e disse loro: Chi di voi, se gli è caduto l’asino o il bue nel pozzo, non lo trae subito fuori in giorno di sabato? Né a tali cose poterono replicargli. Disse ancora ai convitati una parabola, osservando com’ei si pigliavano i primi posti dicendo loro: Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere a sedere nel primo posto, perché a sorte non sia stato invitato da lui qualcheduno più degno di te: e quegli che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedi a questo il luogo; onde allora tu cominci a star con vergogna nell’ultimo posto. Ma quando sarai invitato va a metterti nell’ultimo luogo, affinché venendo chi ti ha invitato, ti dica: Amico, vieni più in su. Ciò allora ti fia d’onore presso tutti i convitati. Imperocché chiunque si innalza, sarà umiliato; e chi si umilia sarà innalzato”.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

IL MANSUETO

Con tutta probabilità, l’invito a pranzo che, in quel sabato, i Farisei offersero a Gesù era un ignobile tranello. Infatti, entrato nella sala, si trovò davanti a un poveretto, ammalato d’insanabile idropisia: Gesù s’accorse che il capoccia e gli altri commensali gli tenevano gli occhi addosso. Nelle loro pupille bieche traspariva la malvagia disposizione dell’interno del cuore: guarire una malattia generalmente tenuta per incurabile non era la cosa più facile; dato poi il caso che riuscisse a guarirla, quello era giorno di sabato, e allora l’avrebbero accusato come un violatore della gran legge del riposo. Che razza d’abbietti! usare della miseria e della vergogna umana per una segreta e bassa mira! Perché Iddio non li ha travolti con un vento furioso? Perché non li ha sbranati come un leone? Per insegnarci che non è gloria per il leone sbranare un branco d’agnelli, ma gloria è per un agnello trionfare di un branco di leoni. Ecco perché il mansueto Figlio di Dio si rivolse a loro che sapevano a memoria il codice mosaico e disse: « Ditemi, per piacere, è lecito o no curare gli ammalati in sabato? ». Silenzio perfetto. Di quei dottoroni nessuno rispose. Gesù allora prese dolcemente nella sua la mano del sofferente e lo guarì. Mentre il miracolato se ne andava lietissimo, riprese a domandare: « Se un vostro asino o un vostro bue in sabato cadesse nel pozzo, chi di voi lo lascerebbe affogare dentro? ». Ancora silenzio perfetto. Di quei dottoroni nessuno poteva rispondere, senza tirarsi la zappa sui piedi. Intanto era venuto il momento di mettersi a tavola, e Gesù osservava come alcuni s’affannavano per sospingersi ai posti d’onore. Ne approfittò per contare la succosa paraboletta di un certo invitato a nozze che s’era messo al primo posto, ma al sopraggiungere di un personaggio altolocato fu costretto dal padrone, a tirarsi indietro, così dovette finire pien di vergogna dopo tutti. Di tre cose parla dunque il brano evangelico di questa domenica: del sabato, dell’idropico, dell’invitato a nozze. Ebbene da ognuna di esse possiamo ricavare il medesimo insegnamento: la mansuetudine. Attendete. Non fu tutto mansuetudine il contegno di Gesù coi maligni Farisei nella subdola questione del riposo sabbatico? E l’idropsia che gonfia le vene, il corpo e fa tumultuoso il battito del cuore, non è simile all’ira che gonfia l’anima e getta in tumulto il nostro intimo? Perché il miracolo dell’idropico guarito è un invito a guarire dall’ira. Infine la paraboletta di chi volle occupare il primo posto e fu mandato all’ultimo, indirettamente, con l’invito all’umiltà, non essa pure c’inculca la mansuetudine? Infatti, la dolcezza e l’umiltà sono sorelle mai l’una dall’altra disgiunte, come pure la collera è sorella della superbia. Non c’è uomo dolce, se in cuor suo non tace la passione dell’alterigia, come non c’è bonaccia in mare se il vento non posa. Allora lasciate ch’io condensi tutta l’esortazione pratica di stavolta in quelle parole dell’Agnello divino: « Imparate da me che sono umile e mite di cuore ». Cristiani, due pensieri adunque vi proporrò: non adiratevi! non provocate all’ira. – 1. NON ADIRATEVI. Un famoso medico pagano di nome Galeno vide sulla soglia d’una casa un uomo iroso, proprio nella raffica della sua passione. Aveva gli occhi sanguigni e stralunati, agitava tutta la persona come un epilettico, e con labbra livide e tremante vomitava contro il cielo una grandinata d’orribili giuramenti e di bestemmie atroci. Di tanto in tanto taceva, ma la sua bocca era convulsa e il suo petto mandava gemiti come di un toro ferito. Galeno fu preso da un tremito d’orrore poiché gli sembrava che quello non era più uomo ma una bestia selvaggia, e concepì tale avversione per la collera che in tutta la sua vita non gli sfuggì uno scatto d’ira. Se la ragione è ciò che distingue gli uomini dalle bestie, dobbiamo conchiudere proprio che l’ira ci trasforma in bestie poiché appunto ci priva della ragione. E magari per una vera inezia. Il collerico si mette a scrivere: la penna scricchiola e non lascia inchiostro. Niente di straordinario, eppure già è diventato rosso come una fragola, già trema, già tutto va per aria, foglio penna e calamaio. Il collerico apre un uscio: la chiave s’intoppa e non gira. Niente di straordinario, eppure digrigna i denti stizzosamente, picchia i piedi, si slancia da forsennato contro la porta, la batte coi pugni. Il collerico siede a tavola: alla prima cucchiaiata s’accorge che la minestra è insipida. Una sbadataggine della moglie, ma presto rimediabile; basterebbe aspergerla con sale raffinato. Invece è una cateratta di parole ingiuriose, d’imprecazioni, di bestemmie ed infine, come conclusione, scaglia la scodella contro la parete e la posate sul pavimento. I bambini impauriti si sono rifugiati dietro la porta e piangono. Basta di questi incresciosi episodi: intanto pensiamo che vita penosa nella case del collerico! Se poi di carattere furioso è la donna, allora ha ragione lo Spirito Santo che è meglio scappare nel deserto. Melius est habitare in terra deserta, quam cum muliere rixosa et iracunda (Prov., XXI, 19). Intanto pensiamo ai mali esempi, ai danni materiali, alle inimicizie, ai disordini che provengono dall’ira. Pensiamo soltanto alle infinite bestemmie che ogni giorno salgono a provocare la vendetta di Dio, le quali tutte sono male erbe nate nel campo dell’iroso. Prevengo un’obbiezione. « Capisco che non vado bene — dice il collerico — ma io son fatto così ». « Sei fatto così, ma devi correggerti ». « È impossibile!… ». « Non è vero; altri più di te infelici nel carattere sono diventati mansuetissimi, quindi anche tu, se vuoi, puoi modificarti. E se lo vuoi veramente usa questi tre mezzi: la preghiera, perché niente di buono possiamo compiere senza l’aiuto dall’Alto; lo sforzo quotidiano ed energico per dominare te stesso, perché il Cielo t’aiuta se t’aiuti; infine, la frequente Confessione, la quale t’obbligherà a ripensare le tue mancanze e a detestarle e t’infonderà nuovo coraggio. E poi aggiungo un consiglio indispensabile! non dire né fare nulla mentre sei agitato dall’ira, perché quando il sangue bolle l’occhio è turbato, la mente è nuvolosa e non parleresti né agiresti con assennatezza. Archita, filosofo di Taranto, rincasando una sera udì dal fattore i malestri compiuti da alcuni servi e montò sulle furie. « Che debbo fare? » chiese il fattore. « Se non fossi adirato, — soggiunse il filosofo — li farei battere tutti a sangue. Ma torna domattina, e ti darò gli ordini opportuni ». Saggia risposta! Ed ancora state attenti di non sgridare, né castigare i vostri figliuoli nei momenti di furia: non sapreste conservare il giusto mezzo, e la riprensione non otterrebbe lo scopo. Lasciate sbollire la collera, poi vedrete meglio l’entità dello sbaglio e il castigo adatto a punirlo. Racconta Seneca che Platone, una volta, si lasciò sorprendere da un colpo di rabbia contro il suo schiavo ed afferrò lo staffile. Ma come s’accorse d’essere adirato, rimase con la mano sospesa in atto di colpire ma immobile come una statua. Proprio in quel momento gli capitò in casa un amico: « Che fai?» gli disse meravigliato. « Sto aspettando che mi passi la rabbia » rispose Platone (De ira; lib. III, cap. 12). – 2. NON PROVOCATE ALL’IRA. Quando le palle di cannone incontrano il soffice non esplodono e si fermano innocue. Ecco perché durante la guerra con imbottiture di lana e con sacchetti di sabbia si difendono i monumenti d’arte dagli obici degli avversari. Non diversamente è nella vita: se voi circondate l’uomo collerico con la vostra dolcezza, egli è disarmato ed innocuo. Aggiungerò un’altra similitudine. Quando Davide vedeva il re Saul in preda a furore come un indemoniato, in silenzio, in quiete prendeva l’arpa e ne traeva dolcissimi accordi. Man mano le note s’alzavano tremule nell’aria, Saul le sentiva come gocce di rugiada cadere sull’arsura della sua anima, le sentiva come gocce di balsamo diffondersi in lenimento de’ suoi bruciori. Non diversamente è nella vita: se nella vostra casa, se nel vostro vicinato, se nella vostra officina c’è un carattere furioso, placatelo con la soave musica della vostra dolcezza: È dolcezza mantenere con tutti la bontà del cuore e delle azioni; non porgere stimoli all’ira altrui con risposte scortesi o maligne; soffrire con pazienza le ingiurie; e soprattutto tacere, tacere, tacere. Un gentiluomo di Ginevra l’aveva a morte col Vescovo della città, S. Francesco di Sales, e non sapeva ormai che cosa inventare a sfogo della sua verde bile. Un giorno corse al vescovado con tutti i suoi cani e i servitori, gli uni perché abbaiassero e gli altri perché insultassero. Fu un baccano d’inferno, ma nessuno venne alla finestra. Allora egli stesso, salì in camera del santo e vomitò contro di lui ogni più barbara specie d’ingiurie. Il Vescovo l’ascoltava senza far querela; ma il suo nemico interpretando quel silenzio per disprezzo raddoppiò la foga, e non potendone più se ne venne via. Gli amici di S. Francesco, che avevano assistito alla scenata, gli chiesero come avesse potuto tacere. Rispose il santo: « Abbiam fatto un patto, la mia lingua ed io: si è convenuto che fin tanto che il cuore è agitato dalla bocca non esca verbo ». Questo medesimo patto devono concluderlo tutte le donne che hanno il marito iroso; tutti gli uomini che hanno la moglie collerica; tutti quelli che hanno in casa una suocera o una nuora, un cognato o una cognata facili all’ira. E poiché siamo tutti — più o meno — suscettibili d’iracondia, tutti dobbiamo fare il patto che San Francesco fece con la sua lingua: saper tacere. Allora, o Cristiani, in ogni nostra famiglia avverranno quei miracoli di trasformazione che S. Agostino dice avvenuti nella sua famiglia per opera di Monica sua madre. Si era Monica sposata con Patrizio, di religione infedele, di professione soldato, di costume barbaro. Oltre ad alcuni bei difettucci, il padre di S. Agostino era un tipo collerico. « E Monica al vederlo in furia cedevagli, e né con fatto né con parola contrastava alla sua ira. E se in collera fosse montato a torto, lasciatolo calmare, coglieva il destro opportuno per ammonirlo del suo modo di fare. « Accadeva talvolta che molte signore, che pur avevano mariti più discreti, imbattendosi a discorrere insieme, si querelavano in confidenza dei mali trattamenti dei mariti loro, e documentavano la verità mostrando il volto ammaccato da battiture. E Monica, benché scherzevole in sembianti, con serietà le avvisava: « Tal sia di voi; è la vostra lingua che ve le tira… ». « Monica ebbe anche a fare colla suocera, la quale messa su dalle serve, era intrattabile e faceva dispetti e scenate ad ogni cosa di lei. Ma la buona nuora tutto in silenzio in mansuetudine sopportava, e tanto le si pose intorno con ossequio e cortesia, che alla fine se la rese amica. « D’altra bella qualità tu, o Signore, avevi fornita quella buona ancella di mia madre, cioè il metter pace da per tutto ovunque lo potesse. Interveniva spesso che delle donne rissose venivano a lei; e l’una, assente l’altra, garriva e gettava fuori le più nere calunnie contro l’avversaria, quali appunto sa far vomitare la stizza e  discordia sobbollita. E Monica prudentissima non ne manifestava all’altra se non quanto valesse a ricomporre gli animi e a ritornare la pace. Questo io non lo avrei a gran merito, se con molto dolore, non mi toccasse tutto di vedere gente senza numero, presa da malignità pestilente e rovinosa, non solo rapportare male dall’uno all’altro, ma aggiungervi anche a bella posta cattivezze e tristizie, per fare maggior ira. Orrenda cosa e contraria alla natura!» (Le confessioni, lib. IX, Cap. IX). – Non v’è ignota lo storia di Giuseppe ebreo, quello che fu venduto ai mercanti d’Egitto, e divenne vicerè. Poi che i suoi fratelli sospinti dalla carestia andarono in terra egiziana a comprare frumento, egli dopo averli messi alla prova, li colmò di doni e li rimandò alla casa del vecchio padre con queste parole: «Non adiratevi lungo il viaggio » Ne irascamini in via. Anche Gesù, o Cristiani, oggi vi dice lo stesso. Questo viaggio non è che la mia strada che dobbiamo fare per giungere alla casa dell’eterno nostro Padre, il Cielo. Non adiriamoci dunque gli uni contro gli altri nel cammino della vita, ma tutti uniti nel vincolo della fede e dell’amore, andiamo in pace verso la beata eternità.Nella sala del convito erano rimasti in piedi, con gli occhi sbarrati sul nuovo miracolo che Gesù aveva operato. Un povero idropico gli si era messo davanti sulla soglia invocando la guarigione: il Salvatore l’aveva toccato e sanato in un attimo. Passato il primo stupore, tutti pensarono al banchetto ed ecco molti affannarsi per correre a sedere nei posti migliori. Gesù li osservava. Poi, non tanto per insegnare una regola di civiltà esteriore, quanto per inculcare a’ suoi fedeli la fuga dell’ambizione ed esortali, non solo a star contenti degli ultimi posti, ma ad amarli e preferirli con sincera umiltà, disse questa parabola: « Se mai ti capiterà la fortuna di essere invitato a un pranzo di nozze, non correre a sedere nel primo posto. Può darsi che sia già stato invitato qualcuno più degno di te; e quegli che ha invitato te e lui venga a dirti: — Ritirati indietro. — Che figura allora per te dover lasciare in faccia a tutti il primo posto e andare a sedere in uno degli ultimi! Meglio allora, se t’avverrà d’andare a nozze, che tu ti metta a sedere all’ultimo posto. Il padrone, scorgendoti in luogo umile, ti dirà: — Amico, vieni più in su. — Che onore allora per te, esser condotto dallo stesso padrone, in faccia a tutti, a sedere al primo posto! « Chiunque s’innalza sarà abbassato, concluse Gesù, e chiunque s’abbassa sarà innalzato ». Questa non è soltanto la conclusione della parabola, ma può stare a conclusione di tutto il Vangelo. – La rovina degli uomini venne dalla superbia, quando Adamo in una follìa, che solo il demonio poteva rendere credibile, accettò il frutto proibito sperando di diventar uguale a Dio. La nostra salvezza, dunque, non ci poteva venire che dall’umiltà. Di umiltà fu il primo atto di redenzione: Dio che si fa uomo. Di umiltà la prima parola di Gesù quando dalla montagna promulgò la legge nuova: « Beati i poveri di spirito perché il regno dei cielo è loro ». Di umiltà è il modello che dobbiamo seguire: « Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore ». Non disse, come osserva S. Agostino, imparate da me a fabbricare i cieli e la terra; imparate da me a non mangiare né bere per quaranta giorni; imparate da me a risanar gli infermi, a scacciare i demoni, a risuscitare i morti, o far altre cose prodigiose; ma imparate, disse, da me ad essere mansueti ed umili di cuore. Discite a me quia mitis sum et humilis corde (Mt., XI, 29). Si può fare miracoli, e finire all’inferno; ma nessun umile di cuore verrà escluso dal paradiso, perché il paradiso è dei piccoli. Ma non è della bellezza dell’umiltà, non è de’ suoi vantaggi che io voglio parlarvi; ma è soltanto di alcune contingenze pratiche della vita in cui si distingue chi è umile, da chi è superbo. – 1. VINCERE IL RISPETTO UMANO. A Pollone, paese del Piemonte, durante una Messa festiva, mancando il sacrestano, era passato tra la folla un giovane distintissimo, figlio d’un senatore, studente universitario, con la borsetta a ritirar l’elemosina. Nell’uscir dalla chiesa, mentre i fedeli sfollavano, qualcuno gli si avvicinò e gli disse: « Oh, Pier Giorgio, sei diventato un bigotto! » E quel giovane, che è morto nel fior della vita e nel profumo delle santità, rispose semplicemente: « Non sono diventato niente. Sono rimasto quel che ero: un Cristiano ». Che cosa siamo noi? Ricchi e poveri, sapienti e ignoranti, re e sudditi, tutti siamo creature di Dio. Perché dobbiamo aver vergogna di umiliarci davanti a Lui che ci creò, perché dobbiamo aver rossore di compiere per Lui, anche i più umili uffici? Quei che si lasciano vincere dal rispetto umano sono superbi: ci tengono al giudizio della gente, hanno paura di essere presi come bigotti, come ignoranti, come persone di poco spirito. Per me, Davide non riesce mai così simpatico come quando me lo immagino danzare davanti all’Arca. Si doveva condurre l’Arca dalla casa di Obededon levita fino a Gerusalemme, e Davide organizzò un ingresso trionfale. Sette cori cantavano inni di lode, e ad ogni sei passi dal s’immolava un bue e un montone. Intanto davanti all’Arca Davide il re, deposte le insegne regali e vestito di un ephod di lino, saltava con tutte le sue forze come un fanciullo. Et David saltabat totis viribus ante Dominum (II Re VI, 14). Quando ritornò a casa, Michol, che l’aveva spiato dalla finestra, gli disse con pungente disprezzo: « Come stava bene oggi il re, danzante in faccia ai suoi sudditi come un buffone! » Ed il re le rispose fieramente: « Al cospetto del Signore, il quale elesse me piuttosto che tuo padre a capo d’Israele, io danzerò ancora di più; ancora di più mi avvilirò e sarò umile! ». Dei Cristiani che ragionano come Michol, ve ne sono ancora. Quanti non vogliono inscriversi alle associazioni e nelle confraternite, per non portare la candela nella processione, per non rivestire la divisa benedetta! Siamo umili, Cristiani! Il mondo ci chiami pure buffoni « Unus de scurris ». Davanti a Dio è gloriosissimo essere anche buffoni. – 2. ACCETTARE LE CORREZIONI. Serapio, il famoso santo del deserto si vide un giorno comparire un certo monaco che quasi ad ogni parola si chiamava peccatore. Il santo allora, dopo averlo fatto sedere alla sua mensa ospitale, si permise di fargli alcune osservazioni per il bene della sua anima. « Figliuolo — gli disse con grande dolcezza e carità — sei sulla via giusta. Però se vuoi progredire nella perfezione, non andar troppo in giro di qua e di là: rimani ritirato nella tua cella, attendendo all’orazione, al lavoro, al raccoglimento interno, altrimenti… ». Non poté finire, perché il monaco s’era fatto cupo, e tentava di rispondere malamente come fosse stato insultato. « Fratello mio, — disse al monaco — ti manca tutta l’umiltà ». Provate voi, a far la medesima correzione, a una donna, a una fanciulla: « Anima del Signore, sei sempre fuori di casa: di mattina, di mezzogiorno, di sera, sprechi ore e ore oziando, cianciando inutilmente… ». Basta un’osservazione di queste per suscitare una lite in tutta la contrada. Per essere umili non basta aver il coraggio, e ce ne vuol poco in questo caso, di manifestar alcuni nostri difetti, ma bisogna aver il coraggio di sentirseli dire dagli altri, e senza perdere la pazienza, ma con animo tranquillo, anzi riconoscente. Mancano quindi d’umiltà quei Cristiani che, quando il prete fa delle osservazioni nelle prediche, per tutto il giorno e per altri ancora, non fanno che mormorare. Mancano d’umiltà quelle mogli che non accettano correzioni dal marito; quelle nuore che non le accettano dalla suocera. Mancano d’umiltà quei figli, e quelle figlie anche, che, ai genitori che li avvisano in bene, hanno la sfrontatezza di rispondere: « I vostri consigli teneteli per voi, ho la mia età ». – 3. PERDONARE FACILMENTE. Al cominciar della quaresima del 1076, come in tutti gli anni in quel tempo, il papa Gregorio VII teneva un sinodo. Erano convenuti moltissimi perché si dovevano trattare affari importanti e prendere urgenti deliberazioni contro l’imperatore Enrico IV che perfidamente angariava la Chiesa. Mentre tutti già erano adunati, entrò un messo dell’imperatore, Rolando. Costui aveva offeso più volte e crudelmente il cuore del Papa: lo aveva chiamato odioso tiranno, aveva sparso nel popolo la voce ch’egli non era il sommo pastore di Cristo, ma il lupo feroce. Come lo videro comparire, i presenti, indignati, scattarono e con le spade e i pugnali si lanciarono sopra quel tristo per trafiggerlo: ma il Papa, ch’era un santo, in una mossa fulminea era disceso dal trono e si mise tra le spade e il colpevole, coprendolo con la sua persona. « Rolando » gli diceva in mezzo al tumulto, « son io che ti salvo e ti perdono. E tu pentiti, che ti possa perdonare anche Iddio ». Quanta umiltà d’animo! Il papa Gregorio VII era stato offeso nel modo più atroce e nel modo più ingiusto: eppure non aspetta che l’altro domandi perdono, è lui il primo che spontaneamente glielo concede, e lo salva dalla morte. Eppure, ci sono moltissimi Cristiani che vivono per anni ed anni, covando in cuore un odio terribile, e desiderando l’ora della vendetta. — Io non posso perdonare, il mio onore non me lo permette — rispondono alcuni. — Ma se perdona anche Iddio? dunque voi vi credete più in alto che Dio stesso. — Ma l’offesa che m’ha fatto è troppo grave. — Considerate con occhi d’umiltà questa vostra offesa, e vedrete che il Signore ne ha perdonato a voi di ben più gravi. È la vostra superbia che vi gonfia come un pallone un torto da nulla. — Sì, io gli perdono, ma deve venire a domandarmi scusa in ginocchio… — Ma questo è un perdono che tutti sanno dare; anche i pagani sanno perdonare così. — Sì, io perdono; ma però il torto che m’ha fatto non lo dimenticherò mai; non avrà più da me una parola. — Tutta superbia: le anime umili perdonano facilmente, dimenticano subito le offese, e beneficano di preferenza quelli da cui ricevettero qualche male. – 4. PREGARE CONTINUAMENTE. Dio è tutto. Noi siamo nulla. Quando Sansone, cedendo alle insidie d’una donna, perse coi capelli la grazie di Dio, divenne debole come un bambino, ed i fanciulli stessi se ne facevano ludibrio. Talvolta lo sorprendevano a dormire, o assorto nel dolore della sua abbiezione, e improvvisamente gridavano: « Sansone, levati! levati! ti sono sopra i Filistei. » Egli si levava, imponente come una torre, credeva di abbatterli tutti con un pugno gli eserciti dei Filistei, e invece s’accorgeva che tutta la sua forza lo aveva abbandonato, e non avrebbe più saputo far male a un passero. E tornava ad accasciarsi disperatamente. Come mai, giovanetto ancora, s’era avventato sopra un leone, e afferrandolo per la gola l’aveva squartato in un colpo? Come mai con un osso d’asino era riuscito a sgominare un esercito armato di spada e di scudo? Come mai un mattino, da solo, aveva sconficcato dai cardini le porte di Gaza e con quelle era corso sul monte? Per la grazia di Dio. E senza la grazia di Dio? Non ha potuto far nulla. Così anche noi, Cristiani. Tutto quello di buono che siamo o che facciamo è solo per la grazia di Dio. Dunque, bisogna continuamente invocarla questa grazia: ogni mattina, ogni sera; quando lavoriamo, quando mangiamo; mentre godiamo, mentre soffriamo; nella preghiera e nella tentazione. – Gesù camminava davanti, solo: forse pregava. Intanto dietro gli Apostoli litigavano, discutendo chi di loro doveva essere il primo nel regno dei cieli. Forse Giovanni, il prediletto, ch’era il più giovane? Forse Andrea che fu uno dei primi a seguire Gesù? Forse Pietro ch’era costituito capo dei dodici? Forse Giuda che teneva il danaro per tutti? Gesù li sentì, e volgendosi disse: « Gli ultimi saranno i primi ». O Cristiani! chi di noi ascenderà più in alto in paradiso? chi di noi sarà il primo nel regno dei cieli? Non il più ricco, non il più sapiente, non il più bello, ma il più umile: l’ultimo.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 14; 15
Dómine, in auxílium meum réspice: confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam: Dómine, in auxílium meum réspice.

[Signore, vieni in mio aiuto: siano confusi e svergognati quelli che insidiano la mia vita per rovinarla: Signore, vieni in mio aiuto.]

Secreta

Munda nos, quǽsumus, Dómine, sacrifícii præséntis efféctu: et pérfice miserátus in nobis; ut ejus mereámur esse partícipes.

[Purificaci, Te ne preghiamo, o Signore, in virtù del presente Sacrificio, e, nella tua misericordia, fa sì che meritiamo di esserne partecipi].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei,

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXX: 16-17;18
Dómine, memorábor justítiæ tuæ solíus: Deus, docuísti me a juventúte mea: et usque in senéctam et sénium, Deus, ne derelínquas me.

[O Signore, celebrerò la giustizia che è propria solo a Te. O Dio, che mi hai istruito fin dalla giovinezza, non mi abbandonare nell’estrema vecchiaia.]

Postcommunio

Orémus.
Purífica, quǽsumus, Dómine, mentes nostras benígnus, et rénova coeléstibus sacraméntis: ut consequénter et córporum præsens páriter et futúrum capiámus auxílium.

[O Signore, Te ne preghiamo, purifica benigno le nostre anime con questi sacramenti, affinché, di conseguenza, anche i nostri corpi ne traggano aiuto per il presente e per il futuro].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (221)

LO SCUDO DELLA FEDE (221)

MEDITAZIONI AI POPOLI (IX)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. e libr. Sales. 1883

MEDITAZIONE IX

Appello ad arruolarsi senza rispetto umano sotto lo stendardo di Gesù Cristo

Che momento solenne è mai questo! Siamo qui per stringere un patto nuovo di fedeltà col Signore Dio nostro. Benedetti voi, o giovani, che correte coll’ardore della vostra età sotto lo stendardo di Gesù Cristo! Quale arringo vi si apre per la vostra età ventura! quanto bel tempo di far del bene e campo a conquistare vittorie, che vi faranno consolata tutta la vita! Bravi voi, che combattete sempre fedeli sotto la scorta e la guardia del divin Salvatore, e che riposando sopra tante palme raccolte nei passati combattimenti, pigliate conforto a nuove battaglie pel trionfo della eterna gloria! Coraggio a voi convertiti, i quali rimpiangendo un tempo perduto, lo potrete riguadagnare col fervore nel servire a Dio. Pace anche a voi, i quali finalmente, stancati dalle vostre passioni, cercate e troverete riposo tra le braccia del perdono di Dio. Formiamo adunque un popolo di fervorosi che vogliamo essere un esercito di bravi e fedeli soldati di Dio, fino alla morte: tutti insieme siamo la crociata guidata da Gesù Cristo al conquisto del regno eterno. In questa missione io ho fatto come il profeta Samuele. Egli, radunato in massa tutto il popolo di Dio, gli rinfacciò le colpe; per cui aveva meritato tanti castighi; e quel popolo rispondendogli colle strida del più acuto dolore, giurarono insieme nuova fedeltà al Signore: così formossi consolidato il regno d’Israele. Anch’io nella presente missione vi gridai: ritornate al Signore, e voi correste tutti a gittarvi tra le braccia della sua bontà. Oh siamo adunque qui tutti, proprio ancor tutti salvi!… Anche quei nostri amati fratelli, che ci facevano tanto spavento, perché erano già, meschinetti! sopra l’abisso dell’inferno che minacciava d’ingoiarli!… Dio della misericordia! abbracciamoci scampati, come chi per miracolo fuor di naufragio si volta e guata il mare, da cui scappa atterrito. Corriamo tutti al Salvatore nostro Gesù, e serriamoci intorno a Lui, decisi di combattere sotto il suo stendardo fino alla morte. Ecco una società di empii che pretendono di cacciar Dio dal suo regno in terra, e regnarvi essi come fossero déi. Ferve la guerra tutta contro a Gesù accanitissima, perché Egli è Figliuolo di Dio. Se in altri tempi fingevano almeno d’inchinarsi davanti a Lui, acclamandolo il benefattore più grande dell’umanità, e se volevano, ipocriti! Comparire Cristiani, era per loro la religione un affare di convenienza, e la moderazione di quei mondani onorati era la maschera di un vile egoismo. Ora l’attacco è smascherato. Giù giù la maschera, oprudenti del secolo: o con noi e con Gesù; se no, noi contro di voi. Noi combatteremo a visiera alzata: noi colla irrevocabile decisione del martire; noi colla fiducia del trionfatore sulla fronte; noi col grido, terror dei nemici di Dio: Emanuele Gesù è Dio con noi: noi seguendo Gesù fino al paradiso avremo fino all’ultimo nostro sospiro la parola d’ordine: Adveniat regnum tuum! O Gesù Cristo, eterno trionfatore de’ vostri e dei nostri nemici, toglieteci questa vita, se mai tentassimo disertare. O Maria, ausiliatrice al tempo opportuno, terribile come mille schiere ordinate, proteggeteci voi in mezzo a tutte prove, e raccoglieteci in seno a voi fino a quando vi spireremo in seno, coll’anelito del cuore e col labbro in sorriso ripetendo i cari nomi « Gesù e Maria! » Bravi voi, miei cari, che udiste l’appello: siete qui adunque tutti per arruolarvi nell’esercito dei santi combattenti con Gesù Cristo in terra per la conquista del suo regno. Ora ci ordineremo in drappelli. Il primo drappello è dei giovani, e fin dei fanciulli: il secondo drappello è delle persone di una certa età che son già bravi, distinti per l’esperienza nelle prove della vita; ai quali stanno congiunti tutti convertiti d’ogni condizione, ma tutti rinati a vita nuova. Cominceremo adunque col riordinarci e comunicarci, come si dice, l’ordine del giorno per le battaglie. – Ora il primo drappello siete voi, o giovani, fiore delle nostre speranze: Dio benedetto vi vuole proprio salvi; Egli vi elesse con tanto amore. Per non lasciarvi perdere neppure un poco della vostra vita tanto preziosa, vi affidò alle più tenere cure dei genitori cattolici. Vi fece nascere tra le braccia di una madre cristiana; e la madre cristiana per istinto d’amore materno si fece subito interprete del disegno che ha per voi la bontà divina. Ella, dimentica fino di se stessa, vi avrebbe versato il cuore suo nella vostra personcina: vi vegliava alla culla; e quando vi svegliavate, la vedeste cogli occhi allargati negli occhietti di voi, collo sguardo al cielo, che la vi accennava subito una qualche cosa in alto di più del soffitto della vostra stanzetta. Colla materna parola vi svegliava l’anima a ragionare, vi rivelava un mondo invisibile; vi parlava insomma di Dio. Per farvelo conoscere nella sua bontà questo Dio, che ci ama come figliuoli del suo Sangue, ella vi faceva guardare appeso al muro al di sopra della culla il Crocifisso suo Figliuolo; e sotto al Crocifisso sempre la Madonnina, per cagion di dirvi: figliuolo delle viscere mie, ecco chi ti ha da condurre salvo in paradiso: vedi, è Gesù Cristo; e la sua Madre, che è pur Madre nostra, ti tirerà per mano appresso a Lui. Su di’ adunque con me: Gesù e Maria! e di’ con Gesù, che fu anch’egli Bambino, a Dio in cielo: O Padre nostro, vi voglio tanto bene; e voletemi anche Voi tanto bene col Figliuol vostro Gesù. Così la madre vostra vi faceva dire le orazioni sul petto suo. Oh figliuoli, quanto sarete contenti di aver sempre continuata la vita, come l’avete cominciata insieme colla madre vostra cristiana! Colla vostra madre terrena si accordò la madre Chiesa subito subito. Per noi appena nati mandò il Sacerdote sulla porta della parrocchia, in cui risiede sempre Gesù nostro in persona, come sul campo delle battaglie sta nella tenda il capitano. E il prete, avutici tra le braccia, da noi cacciò via il demonio che già ci rondava d’intorno: ci mise al coperto sotto le sue benedizioni; e, portatici alla fonte battesimale, ci aprì sul capo la porta del paradiso. Egli ci disse: io ti battezzo nel Nome del Padre, e volle dirci: bimbo mio, Dio Creatore onnipotente ti adotta in suo figlio, e ti ha per figliuolo del Sangue del suo Gesù: chiamalo pur col nome di Padre, ché Egli ti prepara l’eredità del paradiso in cielo. Nel Nome del Figlio. Dio te lo mandò il Figliuolo suo dal suo proprio seno; ed il Figliuol suo ti salvò: su con Lui a meritarti di qui il paradiso. Nel Nome dello Spirito Santo. Si, a Lui, a Lui bontà di Dio il confortarti nelle prove della vita: Egli ti infonderà il valore a combattere, ti ravvolgerà nel seno della sua bontà per portarti a beatitudine nell’eterno amore in cielo. Poi il buon prete ci scrisse nel libro dei battezzati, vogliam dire nel libro degli eletti pel cielo, come nel registro dei coscritti i quali debbono diventare soldati di Gesù Cristo. Spiegherò qui il pensiero con un fatto. Udite. Quando le nazioni Cristiane per l’unità della fede si erano collegate nel Sacro Impero a fine di combattere contra la Turchia che minacciava la Religione e la civiltà in Europa, esse avevano stabiliti sul lembo dell’Austria i così detti confini militari. In quei paesi, appena nasceva un bambino, veniva subito fatto iscrivere nei registri della Comunità, e restava arruolato come soldatello. Da quell’istante correva per lui il soldo dello stipendio, e gli si passava la razione da mantenerlo, a cui partecipavano i genitori in famiglia. Ma i genitori si facevano un dovere di coscienza di allevarlo, mano mano che cresceva, agli esercizi della soldatesca disciplina; e poi lo menavano tratto tratto al municipio a render conto del profitto fatto nella militare scuola domestica. Affinché poi niente andasse perduto di quella vita sacra alla difesa della Religione e della patria (come avviene nei fanciulli nabissi svagati), la madre, appena il bimbo le giocherellava alle ginocchia, a mostrargli la spada del padre ucciso nel battersi nella conquista del santo Sepolcro, e a ripetergli: vedi! tu hai da combattere sempre per Gesù e pel nostro paese. In simil modo la Chiesa fa cresimare i fanciulli, collo intendimento di farne subito dei soldatelli per Gesù Cristo. Quando li vede frequentare assidui il catechismo, e pendere la bocca aperta alla parola della dottrina cristiana, come i fiori al tepore di primavera si aprono a bere la rugiada del cielo; e in quei vispatelli s’accorge che già il demonio con certi sussulti li stimola a gittarsi coi monelli disgraziati che si avvoltolano nel fango dei vizi, la Chiesa li chiama fuori della compagnia dei tristanzuoli, e tiratisili in seno, fa loro intendere come gl’inviti Gesù: fa loro conoscere il dover di combattere; ed essi tutti in festa ad offrirsi de miglior cuore. Allora li cresima, cioè gli arruola come soldatelli per le battaglie del Signore; e per vestirli dell’uniforme, stampa loro in fronte il segno della santa croce. Ora dunque, o bravi giovanetti, voi siete già arruolati, e formate il bel drappello da mandare come i più arditi, e, come si direbbe adesso, i piccoli bersaglieri da scorrere innanzi a tutti. Senza paura voi siete, e spensieratelli, inesperti di tutte cose del mondo, senza conoscere affatto il rispetto umano, arditi e franchi vi fate in faccia a tutti. Ecco in qual maniera si formavano nei primi secoli del Cristianesimo quei miracoli di giovanetti, e fin di bambini. Parlo dei fanciulli martiri. No no, nessuna nazione del mondo pagano, tuttoché si vanti di aver avuto uomini del più grande valore, non può mostrare un esercito di giovincelli capaci di versar il sangue da grandi eroi, come i martiri fanciulli della Chiesa primitiva. Essi la gloria più bella, e più attraente della Chiesa Cattolica. Essa sola, battezzati e cresciuti ì giovanetti, li raccoglieva a maniera di soldatelli tutte notti nei sotterranei: nella santa Comunione in tutte le Messe loro distribuiva il santissimo Pane dei forti, e faceva loro girare attorno il calice del Sangue di Gesù Cristo, che ingenera l’eroismo santo. E mandava poi fuori talvolta quei vispatelli affidati alla guardia di Gesù Cristo, cui portavano sul petto, a portare il Santissimo Sacramento in conforto dei fratelli che erano lontani durante il tempo delle persecuzioni. Eglino inosservati scivolavano dentro in mezzo alle guardie vestite di ferro nelle prigioni. In tal maniera uscivano fuori da quelle caverne fieri come leoncelli, colla lor croce in sulla fronte, colla decisione e col desiderio di morir martiri in cuore. Piccoli, ma invincibili questi eroi alle prove di inauditi tormenti, facevano restar storditi i Romani vincitori del mondo. Allor Giusto e Pastore, che venivano dalle scuolette, veduto sulla piazza tagliar la testa ai Cristiani, dimenticano scuola e lezione, casa e parenti, e buttati via i libri, che avevan sotto l’ascella, si dan la mano e gridan, correndo in mezzo ai carnefici: Viva Gesù! anche noi siamo Cristiani, noi! Ed i manigoldi: dunque anche a voi taglieremo la testa; e caddero decapitati sui martiri ammucchiati. Allora s. Cirillo, d’undici anni appena, agli sgherri che gli mostravano in aria i bastoni armati di piombo se non rinunciava a Gesù Cristo: giù giù, gridava, battete pure…. Oh Gesù mio! Cadeva cogli ossicini infranti sotto dei colpi. Agapito, in sui quattordici anni guardava la scure in aria, gridando: evviva Gesù; e la sua testa ricciutella trabalzava sul palco. Venanzio, alla stessa età stendeva prontamente il piede, a fine di esser legato alla coda d’un cavallo, per dire agli sgherri: via via, battete pure questo furioso puledro, ché io, lasciate le membricciole tra gli steppi de’ campi, volerò più presto al paradiso. Pancrazio di pie’fermo aspetta la pantera che lo acceffa nel petto; e stringendole l’orrida testa, grida: grazie a Dio, oh! la mi manda al cielo… Agata, Lucia, Blandina, e fino Agnese ancor fanciulletta, con cento e cento altre vergini, le braccioline in croce sul petto, gli occhi al cielo, sporgono la gola a dire: Taglia pure, o carnefice, la gola; noi saliamo in cielo, pregando per te. Correvano quasi a festa sulle piazze in mezzo ai patiboli, e cadevano sotto le mannaie di quei manigoldi le lor bionde testoline, come cadono i fiori sotto la falce del mietitore ridenti di rugiada verso del cielo, e morivano in ripetendo col sorriso sul labbro il nome di Gesù. No no, lo predicherò ad alta voce, per gloria vostra, o fanciulli, o giovani che mi udite: il mondo intiero di tutte le nazioni pagane non ebbe in nessun tempo un esercito dì bimbi, di fanciulli e di giovani; laddove i giovanetti cristiani non mancarono mai di darci un gran contingente di soldatelli ancor piccoli della personcina, ma di grandi eroi in coraggio e santità. Vedemmo ancor nel Giappone, molti secoli dopo, il bambino Carlo nascosto sotto il manto della dama sua madre, che si voleva menar al patibolo, sporgere in fuori la testolina, e mettere un grido son anch’io Cristiano, e voglio morire per Gesù Cristo! Fanciulli e fanciullette in quella carneficina universale dei Cristiani per tutto quel regno, quando udivano la sbirraglia chiamar al martirio questo o quest’altro per nome, rispondevano essi all’appello per andare a morire: eh, son qui io, mi chiamo io con tal nome. Via via, faceva ribrezzo fino a quei mostri il vedere fanciulletti alle fiamme dei roghi, in cui abbruciavano legati ai pali le loro madri, vederli dico colle vampe alle testoline, battendo la manina a gioia col vivace Aleluia, correre a gettarsi sulle ginocchia a quelle, e restare carboncini anche essi insieme a lor abbruciate. – No, no, lo predicherò ad alta voce per consolazione a gloria nostra, e massime di voi, o fanciulletti; quelli della vostra età, anche pei primi, non mancarono mai di rispondere all’appello nei maggiori pericoli a tutte prove. Quando si faceva appello ai Cristiani per le crociate, e i Cristiani correvano a mille a mille generosi appiè de’ Vescovi a fine di pigliare la croce sul petto, ed ire a combattere contro i turchi e liberare la Terra Santa, tra quella folla in ginocchio si vedevano saltar fuori di sotto le testoline dei giovinetti, per farsi mettere la croce dei combattenti sul piccol petto anch’ essi. Poiché, dicevano essi fino piangenti: anche noi, anche noi vigliamo andare a scacciare quei brutti figlioli dei turchi dalla grotta di Betlemme, dalla casa di Nazaret dove stava fanciullo Gesù. – Eh, i giovanetti sono sempre gli stessi, sempre pronti a correre i primi. Lì avete veduti in questa missione. Gli invitai venissero alle predichine, e dissi loro ciò che aveva nel cuore. Essi corsero allegri e bevvero fino cogli occhietti negli occhi miei le mie parole; e se le portarono via vive vive, più che scolpite nel petto. Eh, quando loro gridai: chi vuol seguire Gesù, ma sempre, ma fino alla morte? Essi tutti colle braccia innalzate a prometterlo. Stesero tutti alla fonte battesimale le loro manine gridando la loro promessa. Noi, tanti quanti siamo, abbiamo pianto, forse perché non eravamo più fanciulli con essi a ricominciare una vita tutta santa. – Adunque il primo drappello è formato. Padri e madri, ora li consegniamo in guardia a voi. Le vostre case debbono essere le tende, dove incominciar subito ad esercitarli alla vita cristiana. A voi si addice vegliare alla loro custodia, e, come l’Angelo colla spada di fuoco sulla porta, voi dovete tener lontano i perfidi che vorrebbero tirarseli al diavolo. Voi tutti i dì far dire ad essi le orazioni, raccoglieteli a piè della croce sotto Gesù tutti i dì, e far loro promettere di ricordarsi che Dio li porta in braccio sempre; e dovete ammonirli che sotto gli occhi suoi benedetti non si lascino andare mai coi cattivi. Loro mostrando inchiodato in croce pei nostri peccati Gesù, fatevi promettere che essi non peccheranno mai, n’andasse la vita. La Regina Bianca di Francia quotidianamente questo si faceva promettere dal suo Luigino; e il suo Luigino, giurandole tutte mattine che non peccherebbe mai, sempre innocente pur in mezzo a tante battaglie, per tanto tempo, fino in mezzo ai Turchi conservossi sempre il gran Re s. Luigi. Padri e madri, intanto pensate come, più presto che io non vel dica, vi cresceranno in gioventù i figliuoli Allora, padri, in modo particolare a voi è imposto sostenere i giovincelli colla potenza del vostro autorevole esempio: voi, i quali colla forse dolorosa esperienza del mondo ne conoscete i pericoli, dovete far della famiglia come il quartiere in cui renderli agguerriti: dovete farne l’arringo, dove esercitarli mano mano. Mettendoli a parte dei lavori in cui vi adoperate per loro, avete campo da dare buone lezioni di vita in pratica. Mostrate in voi stessi come si possano con disinvoltura trattare i negozi coi mondani, e con franca lealtà uno abbia a diportarsi da fedel seguace di Gesù Cristo; e come noi che siamo Cristiani in casa ed in chiesa, dobbiamo porgerci Cristiani in piazza, nelle botteghe, nelle adunanze, in faccia a tutti mostrando sempre il più deciso carattere di Cattolico fedele al Papa. Menateli poi con esso voi alle prove; con voi usino alla parrocchia, alle prediche, ai Sacramenti, e presentinsi in vostra compagnia alla Comunione a pieno popolo. Così questi onorati giovani, a tutti in rispetto, lontani sempre dai malvagi, cresceranno siccome angioli che ignorano il male; ma pronti sempre come angioli delle battaglie a difender l’onore di Dio. Qual consolazione sarà la vostra, quando li distinguerete in coro colle brillanti loro voci fare eco ai beati in cielo; quando li vedrete nelle compagnie in processioni far da guardia nobile a Gesù in Sacramento! Noti a tutti, come i più buoni, anche i mondani in veggendoli si diranno in cuore: fossero anche i nostri, come sono questi! Così si forma il drappello della bella gioventù. Ora a voi, o giovani nel più bel fior della vita, ecco l’appello e l’ordine del giorno per la battaglia sotto lo stendardo di Gesù contra gli abbietti che sono la sequela del diavolo. Ben formati nelle pratiche della divozione alla militare santa disciplina per il conquisto del regno celeste, voi uscirete dalle case vostre e dalle chiese, che son le tende del Signore, a fine di combattere nella milizia della vita umana. Franchi della vostra risoluzione di porgervi sempre buoni Cristiani in tutte le occasioni, fieri del giovanile coraggio, colla irrevocabile decisione dell’eroe in cuore, voi iscorgete la ciurmaglia degli schiavi del demonio incatenati nei vizi diventare vile al vostro cospetto; e gli uomini più onorati del mondo, il quale pur non si degna di questi suoi, avere per voi sempre un rispettoso saluto col sorriso dell’amore sul labbro. Gli è perché vi traspira sul volto il fervore della vita che cresce bollendo in petto, e vi spinge a far bene; è perché l’onestà del vostro costume a voi splende sui volti aperti; è perché fin dagli occhi vi si spandono i palpiti del vostro buon cuore; è perchè l’aureola della pietà fa brillare in voi tutti un bellezza attraente, come una bella armatura d’argento nel drappello dei più prodi soldati della guardia d’onore, che sì eleggono i sovrani a difesa e a decoro della lor maestà. Però vi debbo porre in sull’avviso che al primo presentarvi nel mondo vi verrà intorno una marmaglia di giovinastri cresciuti nelle tane dei peccatori sulla rovina totale dell’onestà, corrotti fino al midollo, per farvi, come cagnuzzi, moine schifose; per volgervi brutti discorsi e fino adoperare stomachevoli tratti, coll’intendimento di attirarvi fra l’accozzaglia dei peccatori. Che volete! Vedete anche bene voi come fino presso all’usignolo il mattino, quando scende dal nido in sul cespuglio, gracidan sotto dal fosso ranocchi da schifo. Ma l’usignolo che imparò dalla madre a cantare e a volare, fa la svolta, e via battendo l’aletta nell’atmosfera colore di rosa, sospira e trilla in faccia al sol d’oriente; mentre quei bavosi nel fango ad ingozzare si stanno la melma e ad essere dalle serpi divorati. Adunque, o giovani, la vostra casa debbe sempre essere il caro nido paterno, dove ripararvi a riposare in seno ai vostri buoni; e la chiesa sempre la tenda e il campo, dove respirare un’atmosfera più pura a rinfrancarvi di valore sempre nuovo. Quindi per tutto il ben che vi voglio, giovani, non lasciatevi dalla bordaglia staccar dalla famiglia e dalla chiesa. Se il soldatello non ancor provato nelle pugne va all’abbandonata solo verso il campo nemico, gl’irrompe alla vita la turma dei nemici che l’aspettavano nell’imboscata, e resta così fatto prigioniere. Guai se, abbandonata fa casa, tutte le lunghe sere ai caffè, vi fermate ai gabinetti di lettura a legger cattive gazzette; guai se nelle feste, più che alle funzioni, andate a zonzo coi compagnoni da buon tempo; guai se, più che alle prediche, sarete assidui alle partite di giuochi; guai se, più che ai Sacramenti, interverrete ai conviti, e fino ai bagordi, ai balli, poi ai godimenti! Voi sareste sorpresi da perfidi, arreticati da gente che han l’anima venduta al diavolo per far reclute di nemici da combattere contro di Dio. Fanno costoro come quel gran malvagio, chiamato il vecchio della Montagna. Udite, udite. Quel tristo Turco faceva rapinare tutti i giovani che trovava sguinzagliati nei vizi, e li gittava ubbriachi in un giardino di piaceri, dove sviatisi nel delirio della voluttà venivano incatenati con ghirlande di rose da sozze maghe, e tradotti appiè del tiranno per legarsi a lui coi più terribili giuramenti di restare schiavi ai suoi voleri. Così quel ribaldo si faceva l’esercito dei venduti a’ suoi delitti. Anch’io tremo per che nelle amicizie cogli empi non restiate legati in quelle società d’Internazionali, di… Che Dio ve ne scampi! Ah fratelli, io grido forte, per avvisarvi che il demonio manda uomini con lui perduti a fare le sue reclute! E sapete dove i perfidi arruolano i coscritti? Essi appostano i poveri popolani nelle osterie tenute aperte all’ora delle funzioni, li attendono nelle compagnie dei panciardi in goderia, e alla notte negli antri di tutti i vizi. I giovani più eleganti poi sono aspettati là nei ridotti dei giuochi, in certi caffè, dove gli arruolatori si danno l’aria di saputi politici, e colle gazzette in mano van calunniando il Papa, vantandosi maestri di moralità di moderazione politica; laddove sono astutissimi maestri di perdizione. In quei luoghi, gettati via gli avanzi di religione delle loro famiglie, spogliati d’ogni ben di Dio, vestono l’uniforme dell’empietà. Arruolati che li abbiano così, le istruzioni di strategica infernale vengono date agli adepti nei libri dell’empietà, e nei romanzi, dove è disegnata la via di correre a tutti i delitti. Il resto poi lo faranno le generose lupe, quando i melanconici sentimentalisti cadranno tra i diabolici loro artigli, e le rinfocate passioni che li consumano avranno in essi spento ogni buon lume di ragione. Ecco pur troppo come va perduto un povero giovane che ha abbandonata la famiglia e la Chiesa. – Alla casa torna egli ancora (alla chiesa no; non vi torna più, perché ora guarda come un nemico il prete, in cui trovò per tutti i suoi anni più belli l’amico del conforto e del buon consiglio; e per poterlo odiare, ha già imparato a calunniarlo!): sì, torna ancora alla casa, nella quale a notte inoltrata la madre coi sospiri lo aspetta. Ahi la buona madre con melanconica tenerezza ben gli porge tutto con tanto amor preparato pei suoi bisogni; ma collo sguardo indagatore ella scorge pur troppo che non è più egli il figliuol suo; e nasconde una lacrima!… Il padre mormora tristo, chè il grande suo fastidio è il figlio; e sta sempre trepidante, in paura incerta che non abbia da udire un qualche suo delitto. Poveri papà, povere mamme! Si assottigliarono la vita col sudore e col sangue per mantenerlo agli studi: e’ speravano di tirarsi su un figliuolo fortunato; in quella vece si allevarono un tristo, terrore di loro e nemico di Dio… Entra il disgraziato cupo cupo la notte nella sua stanza, e stanco della grama vita, si butta sul letto: guarda malcontento il crocifisso appeso al muro; ma egli non l’ha più nel cuore!… Oh povero giovane! Senza amor di famiglia, scontento di sé, e nemico a Dio; dove andrà a finire?… Mi manca il cuore solo a pensarlo. Cari miei giovanetti, vi voglio dare ancora un avviso. Giacché sono i cattivi compagni che incamminano quei della vostra età alla perdizione, per difendervi da loro, cercatevi un buon compagno; entrate, dichiarandovi senza rispetto umano, nelle congregazioni, nelle compagnie dei buoni…. Un buon compagno di pietà resta un grande sostegno per istar fermo in mezzo ai cattivi. Non so se ricorderete un fatto celebre, che deve dare tanto coraggio ai giovani, i quali vivono in santa amicizia e si confortano nei cimenti contra i cattivi. Frequentavano la famosa scuola d’Atene quei due bravi giovani studenti forniti di belle doti di ingegno e di gran fortuna nel mondo, i quali riuscirono poi due grandi uomini, luminari del loro secolo: io dico s. Basilio il Grande e s. Gregorio. Per sostenersi insieme contra le sfacciate angherie ed i vili insulti di Giuliano, cristiano apostata, crudele tiranno, quando quello sciagurato tentava schernirli svergognatamente in faccia a tutta la gioventù, eglino per tutta risposta gli domandarono: E che mai tu pretendi da noi? che diventiamo, quale tu prepari ad essere, un gran mostro cioè d’infamia dell’umanità? Anche voi potreste franchi domandare alla ribaldaglia dei giovani che crescono pur troppo a tutti i delitti: e che pretendete da noi in nome della vostra libertà? Che noi diventiamo vostri cagnotti da corrervi appresso a fine di render infame la nostra gioventù? Che noi, come voi fate, un giorno facciamo morire di crepacuore le povere madri? Che, imitandovi, veniamo a disonorare la famiglia, facciamo vegliare i padri di notte trepidanti pei pericoli? Voi ci vorreste ai ridotti, ai bagordi, a consumare la vita, dentro i teatri per applaudire delitti esecrati? Ai giuochi che gettano tanti a disperazione? Noi no; vogliam consolarci nelle nostre case coi buoni delle nostre famiglie i quali si confortano delle nostre speranze. Voi in compagnia degli empi e sfaccendati tutto il di a berle giù grosse in quelle gazzette scritte dai giornalisti quotidiani al soldo di chi più paga per farvi ingannare? Ebbene, noi no: noi in chiesa tutte le domeniche ad ascoltare la parola immutabile come la verità eterna dell’Evangelo che liberò gli schiavi, francò dalla barbarie la civiltà. Noi andare, come alcuni, a prostituirsi in mali costumi? Noi piuttosto nelle società dei caritatevoli a visitare i poveri, a consolare i disgraziati, a salvar gl’innocenti. Ditecelo chiaro: voi vorreste dunque strascinarci nelle tane a farci divorare dalle lupe la vita?… Ah no no! Noi, come spaventati dalle lupe, vi rispondiamo chiaro che vogliamo andare nelle chiese a comunicare con Dio. Vel diciamo altamente, vorremmo salvi anche voi con Gesù Cristo Salvator del mondo. Però, miei cari giovanetti, voi dovete pigliare animo, lasciatemi dire, fino dalla loro debolezza. Poiché giova osservare, o buoni, che i figliuoli così perdutamente guasti sono pochi; e che i molti compaiono tristi solo perché sono paurosi. Ai pochi così profondamente malvagi, col solo mostrarvi fieri del giovanile coraggio, voi agevolmente potrete fare il viso dell’armi, ed isgagliardire i vili; e ad un tempo nei molti ridestare quel resto di bontà che conservano tuttavia ì giovani nascosta in cuore per la paura dei tristi. Questo mondo è sempre di chi se lo piglia, voi lo sapete; e alle prese la vincono i più arditi, perchè l’accozzaglia dei molti è timida e mogia sempre. Un bravo giovane, deciso come un eroe, fa ognora grande impressione nel cuor dei compagni, ed io qui ve lo voglio mostrare con un esempio tolto dall’antichissima poesia. Ascoltate. Era nato, dice il mitologico racconto, un bambino tutto fuoco ad una timida madre; e la paurosa, a fine di toglierlo a tutti i guerreschi cimenti se l’ebbe nascosto tra le donne da allevare in femminile costume. Veniva su il bel giovanetto azzimato di narciso come una damigella: aveva sulla profumata testa spartiti i capelli, e le bionde chiome già sulle spalle inanellate, intanto che sotto i nonnulla donneschi restava soffocata l’indole sua generosa. Quand’ecco! un valoroso che lo cercava per la guerra, l’ebbe scoperto. Questi per dirgli tutto, gli presenta in faccia, quasi specchio, lo scudo di forbito acciaio, e: Achille!; Achille!… guardati qui… Achille guarda in ispecchio se stesso… guarda il guerriero a tutto punto armato di ferro; e stracciando le chiome, le pugna per vergogna si morde. Slanciasi al guerriero, e urlando: anche a me, anche a me un brando; e; diventò il più terribil campione dei Greci. Con questo io voglio dire, che può tanto per suo ascendente: il coraggioso esempio di un bravo giovane sul cuore; dei compagni. Su su dunque da bravi tutti a vincere il rispetto umano… Oh che dico io mai? Con voi, o bravi, non si debbe usare la parola rispetto umano, quasi meritasse rispetto la bordaglia in vilume. No no: tra voi e quèi vigliacchi la timidità non sarebbe rispetto a persone umane, ma si è pecorile paura di grami indegna di voi. Sol che vi dichiariate apertamente, il drappello è formato, il drappello s’ingrossa tutti i dì alla battaglia, anzi alla vittoria del Signore, il quale è con voi. Ora a voi tutti, a voi, buon popolo cristiano, che siete la gran massa, di cui poi è formato il grosso dell’esercito. A voi dunque è affidata |a rivista e l’ordine del giorno. Fatevi innanzi a tutti, voi brava gente, uomini e donne che siete sempre costanti nel far il bene. Ah quante derisioni e calunnie! È vero; ma passarono come il villano insulto di un soffio d’aria di cattivo odore sul volto abbronzito di un fiero soldato. Quanti patimenti, e forse quanti danni a voi, ed anche alle vostre famiglie fecero soffrire tiranni malvagi nell’ora della lor prepotenza. Povere donne! quante lacrime sprezzate dal mondo avete versate sul Cuor di Gesù! quante virtù esercitate a Dio solo note! Ve lo voglio dire altamente: soventi volte in quelle povere donnicciole batte un cuor grande, e sono nascoste vere anime sante. Quelle prove passarono, come da qui un momento tutto è passato. Oh valorose, noi vi salutiamo con un evviva! Un evviva eziandio a voi che vi siete sempre mantenuti buoni Cristiani anche nei tempi più cattivi. Vorrei mostrarvi ad uno ad uno in faccia al popolo come veterani, i quali non deste mai indietro in nessun combattimento. Voi fermi sul campo come rocca che non crolla al soffiar dei venti mostrate i vostri splendidi esempi delle virtù combattute, siccome le antiche torri guerriere mostravano pendenti gli scudi d’argento ad ornamento e difesa. Voi siete come quei bravi valorosi, che si guardano sul petto le medaglie guadagnate in tante vittorie, e rivivono della bella vita passata; e vi consolate. Bene sta; e noi con voi ringraziamo il Signore che prepara la corona alla vostra perseveranza. Diciamo tutti gloria a Gesù, perché coloro che combattono per Lui, guadagnano sempre. E mentre aspettiamo di vederceli tutti innanzi, come ce lo promette lo Spirito Santo, alla destra del Salvatore nostro Gesù nel secondo finale giudizio, essi perseveranti sono già giudicati nel primo giudizio di Dio. Poiché il primo giudizio di Dio è la voce di tutto il popolo che riconosce coloro i quali furono sempre buoni, e li proclama, come le persone più degne, di onore. Così resta a voi aggiudicata la prima corona. Intanto voi fate a guisa del guerriero invecchiato nelle battaglie che riposa sulle palme conquistate. Esso, quando ode lo squillo della tromba chiamare i prodi alla guerra, rimbalza ringiovanito col brando in mano, cui non depose dal fianco mai; e corre alla testa delle nuove reclute che lo salutano col lampo delle loro spade. Non altrimenti voi freschi di forze, rinfervorati nella pietà, confortati dal Pane dei forti nelle ripetute Comunioni, voi mettetevi alla testa di tutto il popolo cristiano; e per dirigere ed incoraggiare le file il migliore ordine del giorno sia la Vostra esperienza. Adunque ad incoraggiare tutto il popolo cristiano, lo primamente a voi faccio appello. Dite, dite se non siete contenti di essere sempre stati fedeli a Dio col testimonio della vostra coscienza, senza rimorsi, nella serenità della mente vostra che guarda a speranze eterne in un avvenire che ha termine in Dio. È vero o no, che sentite compassione dei poveri peccatori, i quali lacerati da rimorsi, cercano folleggiando di coronarsi di rose, di godere, arrabbiati di brame, piaceri che loro sfuggono colla rapidità del baleno? Su su, anche voi che foste sempre costanti a Dio, anche voi i più tribolati tra gli uomini, anche voi le più meschine delle donne che nascondete le vostre lacrime sprezzate dai mondani in seno solo di Gesù Cristo, fatemi testimonianza. Voi potete dire: anni di disgrazie, di malattie che consumaron la nostra vita, siete pure passati. Vedete: alla morte anche Filippo re di Spagna confessava piangendo che sarebbe stato contento di aver passata la vita deriso e sofferente anzi che d’esser vissuto nello splendore del trono. Intanto fino da quest’ora voi vi trovate contenti di aver fatto del bene. Di aver fatto del male tutti alla fin fine si pentono, e n’han da piangere assai; laddove chi è sempre vissuto da fervoroso Cristiano non vorrebbe, no certo, cambiar la vita coi godimondi, fossero pure godimenti di re e di regine. –  Ma fatevi appresso, coraggio, anche voi che vi siete convertiti in questa missione. Perocché, che cosa vuol dire insomma fare, come abbiam fatto, una missione? Vuol dire: che io venni mandato da Dio per richiamarvi tutti a Gesù a conquistare il paradiso. Io trovai in voi le persone del più buon cuore che mai esser possano nel mondo. Colla più semplice parola di Dio io non feci altro che correre ad abbracciarvi; colla confidenza di un padre vi strinsi, per dir così, la vostra testa fra le mie mani, e vi dissi coi palpiti: Cari miei, siam creati da Dio, abbiam da andare in paradiso; gettiamoci in braccio a Gesù qui con noi che ci conduce sicuramente. Subito ci siamo trovati quasi amici d’antica data, d’accordo tutti in queste grandi verità che ci tengono uniti nella cristiana famiglia. Oh! se siete buoni: alcune ore sole lontani dagli strepiti del mondo, e la nostra ragione in voi fece tosto sentire i suoi diritti, la vostra coscienza vi fece sentire i suoi lamenti, e voi come probe persone che siete, avete detto: provvediamo subito: e che? non aspettiamo l’incerto dimani. Ora il primo nostro dovere è di giurare nuova fedeltà al Re del cielo, risoluti di seguir il Salvatore nostro Dio combattendo fino alla morte. –  Finalmente eccoci qui anche noi che ad una certa età siam già forse per entrar presto nella gloria, nel gaudio del Signore. Vecchi, per noi il mondo non ha più attrattive, eh no! Lo guardiamo anzi con ribrezzo e con isdegno come un perfido che ci fece tradire i nostri doveri. Là via! Che un giovane nel fuoco della bollente sua età sia stato travolto nel vortice delle passioni; che i tristi che lo volevano al servizio del loro egoismo, lo abbiano tradito fingendosi innamorati della cara patria e fino della Religione, è da piangere nel compatirli: ma ora noi lo conosciamo per esperienza propria che quelle sirene erano maghe le quali cambiavano gli amatori in ciacchi!… Viva Gesù, siamo qui anche noi convertiti: tardi, è vero, ma pur in tempo ancora siamo incorporati anche poi coi prodi nell’esercito della crociata per il conquisto del regno del cielo. – Eh, sarebbe troppa vergogna, che noi dai mondani, i quali ci vogliono al servizio del diavolo, ci fossimo lasciati ancor ingannare. Che un uomo serio e di giudizio, così prudente in trattare affari, attento ai doveri dell’uom onorato e del fedele Cristiano preferisse ancora le baie degli spensierati, e avesse continuato a fare ciò che non vorrebbe che facessero i suoi figli: che una testa calva avesse voluto mettersi sul cranio nudo le corone di rose e folleggiare coi vani del mondo, sarebbe stato cosa da vergogna e da scherno. Via; noi rispettiamo la nostra età. Però se mai fossimo tentati di dare indietro, guardiamoci innanzi, ché già ci aspetta la tomba. Sentite i colpi della zappa che scava la nostra fossa vicino agli amici, la cui memoria forse manda un fetore orribile come i loro cadaveri nel sepolcro imputriditi… Ah fortunati anche noi vecchi i quali ci troviamo convertiti in braccio alla madre Chiesa, la quale sola medica senza ribrezzo le piaghe nostre, anche le più incancrenite, e le guarisce col balsamo del Sangue di Gesù Cristo nei Sacramenti. – Certamente noi siamo ritornati a Dio un po’ troppo tardi; ma, coraggio, abbiam da fare con Gesù Cristo, col gran Padrone dell’Evangelo, il quale per la sola sua bontà dà intiera la ricompensa anche a chi venne a Lui l’ultima ora del giorno. Coraggio adunque, lo ripeto. Voi vi ricorderete del più gran capitano dei tempi moderni il quale, dopo di aver perduto quasi in tutta la giornata, stavasi colle braccia incrociate sul petto guardando tristo il mucchio di cadaveri menati da lui alla morte sul campo. Quando ecco gli giunse un corpo fresco di armati. Guardò l’orologio, e mise un grido cui ascoltarono anche i fuggenti in rotta: prodi miei, ecco qui, ecco qui forze ancora fresche; abbiamo un’ora di giorno ancora, prodi e cari miei: abbiam perduto una battaglia in questo giorno, su, su, ne vinceremo un’altra. Voi vi commovete? Aveva dunque ragione di dirvi fino dal principio, che sol per vedervi ricevere tutti Gesù mi trovava già consolato. Egli è perché vi amo d’amor di madre, sapete. Figliuoli del nostro Sangue di Gesù, che in tutti scalda la nostra vita, stendete le mani a Maria; tra le sue braccia ponetevi al sicuro, riparandovi nel Cuor di Gesù. Vita vestra abscondita cum Christo (Col. III, 3): voi vi troverete franchi non altrimenti che il bimbo in grembo alla mamma. E siccome quando il bambino balzato dalle sue ginocchia si allontana per poco e sente rumor che lo spaventi, egli corre subito ancor alla mamma; così voi ad ogni vento di tentazione, ad ogni pensiero che vi spaventi. Su adunque fanciulli bravini e giovani ardenti, su o prodi sempre fedeli; su buoni convertiti, su venerandi vecchi: tutti abbiamo ancora un’ora di tempo; stringiamoci intorno a Gesù, e giuriamo di volere seguirlo fino alla morte. Su adunque fanciulle, donne, tutti stringiamoci intorno a Gesù, giuriamo tutti di esser fermi nel seguirlo fino alla morte. Abbiamo ancora un’ora di tempo a conseguir la vittoria, a guadagnarci il paradiso; e chi combatte con Gesù trionfa sicuramente. Vedrete una turma di vigliacchi che abbandonarono Gesù per paura dei mondani. Disgraziati! una volta si dicevano anch’essi Cristiani, ma erano soldati da marmitte; erano del grosso partito del pan da mangiare. I vili che andavano in chiesa, e ricevevano i sacramenti quando conveniva al loro interesse. A noi, a noi in mezzo a questi vili si addice mostrare il viso dell’armi. Essi hanno vergogna a far la Pasqua, e noi, sì faremo pubblicamente a chiesa piena la Comunione frequentemente. Miserabili che sono, essi van colla bordaglia dei cattivi uomini, la festa a tuffarsi nei vizi; e noi colle nostre famiglie onorate alle funzioni della Chiesa: essi a sentire a bocca aperta o a leggere le gazzette stampate da quei miserabili che hanno un tanto al giorno per studiare di darla ad intendere: dessi beversele su, e credere a’ malvagi onorati, e noi a sentir la parola di Dio. Ma padre, mi direte, il numero dei nemici di Dio va crescendo tutti i dì; molti, che erano con noi, disertano come grami soldati. Coraggio! è l’ora questa della prova più grande, è l’ora di mostrarci più buoni fedeli. Quando al crescere dei nemici i vili disertano e fuggono dalla battaglia, eglino, i buoni, si serrano intorno alla bandiera, e se vedessero mancare e perire tutto, quel sol che resta si ravvolge dentro la cara bandiera, si tien l’asta stretta sul petto e si muor combattendo con la spada nell’altra mano. Moriremo! Che dico? non moriremo, ma voleremo a ricevere in paradiso la corona dalla mano di Gesù Cristo.

MADONNA DELLA MERCEDE (24 Settembre)


Fondazione dell’Ordine della Mercede

Fino dal 416, la Spagna fu_travagliata dai Vandali e dai Goti che, cessato il Romano Impero, se ne resero padroni. Vinto però ed ucciso da Giuliano conte di Ceuta stabilito nell’Africa l’ultimo Re dei Goti Roderico nel 713, la Spagna fu invasa dai Saraceni venuti d’Africa, i quali, essendo Maomettani, perseguitavano in ogni maniera , oltre il trattare da schiavi tutti i Cristiani del regno: il che continuò fino al principio del XIII, cioè circa 600 anni. Maria Santissima, a cui istantemente raccomandavansi tutti i buoni, apparve la notte del 10 agosto 1218 al piissimo e ricchissimo signore San Pietro Nolasco, che contava allora 29 anni, ed era a tutti oggetto di speciale edificazione, e gli comando di instituire un nuovo Ordine Religioso denominato della Mercede, il cui scopo doveva esser quello di adoperarsi con tutti i mezzi possibili a redimere i Cristiani dalla schiavitù degli infedeli. Alla mattina egli conferì l’avuta visione col suo confessore, che era San Raimondo di Pegnafort, e con gran gioja senti che a lui pure era apparsa Maria, e aveva fatta la stessa intimazione. Entrambi si recarono per partecipare il proprio disegno al Re Giacomo, il quale dominava in Aragona quella parte di Spagna che, fin dal 778, era stata da Carlo Magno tolta ai Mori. E quale non fu la loro sorpresa in sentire che anche al Re Giacomo era apparsa Maria, e gli aveva fatta la stessa ingiunzione! Cerziorati tutti e tre della volontà divina, non si frappose più indugio alla nuova Istituzione, per cui nel giorno medesimo, nella Cattedrale di Barcellona dal Vescovo del luogo, Berengario della Palù, San Pietro Nolasco ricevette la veste bianca e lo scapolare distintivo del nuovo Ordine, e ai soliti tre voti
aggiunse quello di dare, occorrendo, anche la vita per la Redenzione degli Schiavi, e Re Giacomo gli cedette per prima casa del nuovo Istituto la maggior parte del proprio palazzo. Cosi principiò il grand’Ordine che ben tosto dilatossi in fogni parte, e recò immensi vantaggi alla Cristianità, l’Ordine della Redenzione degli Schiavi, e Maria sotto il titolo della Mercede acquisto nuovi titoli alla comune riconoscenza, essendo ELla stata la institutrice di un Ordine cosi benemerito della Religione e della Società.

MADONNA DELLA MERCEDE (24 settembre).
ossia della Redenzione degli Schiavi.

I.

Amabilissima Vergine Maria, che non contenta di avere così efficacemente cooperato alla liberazione delle anime nostre dalla schiavitù del peccato allora quando, col sacrificio del vostro Cuore, rendeste più compito e più abbondante
quel Sacrificio divino che della propria persona faceva là sul Calvario il vostro divin Figliuolo, voleste ancora diventare la Redentrice dei nostri corpi, ordinando ai vostri divoti d’instituire sotto i vostri auspicj il santissimo Ordine della Mercede per riscattare i Cristiani dalle barbare mani degli infedeli, ottenete a noi tutti la grazia di riguardarvi mai sempre come la nostra più generosa benefattrice, e di travagliare continuamente, a vostra imitazione per la salute così spirituale come corporale dei nostri prossimi. Ave.
II.
Amabilissima vergine Maria, che, per liberare dalla tirannia dei Saraceni dominatori della Spagna tutti i Cristiani che venivano da quegli empj condotti in durissima schiavitù, vi degnaste di comparire nella medesima notte a S. Pietro Nolasco e a S. Raimondo di Pegnafort, non che a Giacomo Re d’Aragona, affinché, animati dalla vostra protezione, si applicassero immediatamente all’istituzione dell’Ordine tanto benefico della Mercede, impetrate a noi tutti la grazia di avere a vostra imitazione
una compassione tenera ed efficace per tutti i travagli del nostro prossimo, e di viver sempre in maniera da meritare le vostre particolari illustrazioni per procurargli costantemente il miglior bene. Ave.

III.

Amabilissima vergine Maria, che, ad ottenere efficacissima la redenzione degli schiavi, mediante l’Ordine santissimo della Mercede da Voi medesima instituito, ora infondeste nei facoltosi una generosità tutta nuova perché largheggiassero nelle elemosine, ora moltiplicaste il denaro nelle mani dei Religiosi quando mancavano del
necessario al riscatto dei loro fratelli, ora con aperti miracoli sottraeste alle mani dei barbari gli schiavi vostri divoti, ottenete a noi tutti la grazia di non perdere mai la libertà di figli adottivi di Dio, e di essere subito liberati dalla schiavitù del demonio, quando con qualche peccato ci fossimo a lui venduti spontaneamente, onde, dopo avervi servita come nostra padrona qui in terra, passiamo a ringraziarvi per tutti i secoli quale nostra ‘correndentrice‘ su in Cielo. Ave, Gloria.
ORAZIONE.
Deus, qui per gloriosissimam Filii tui Matrem, ad liberandos Christi fideles a potestate Paganorum, nova Ecclesiam tuam prole amplificare dignatus es,
præsta, quæsumus: ut quam pie veneramur tanti Operis institutricem,
ejus pariter meritis et intercessione a peccatis omnibus et captivitat dæmonis liberem eumdem Dominum, etc…

[G. RIVA: Manuale di Filotea, XXX ed. Milano 1888]