6 Settembre (2022): inizio della NOVENA PER LA FESTA DEI DOLORI DELLA SS. VERGINE MARIA

6 Settembre, inizio della

NOVENA PER LA FESTA DEI DOLORI

(Venerdì di Passione e 15 Settembre)

(Giuseppe Riva: Manuale di Filotea, XXX Edizione, 1888, Milano- libr. edit. Serafino Majocchi)

La partecipazione di Maria alla passione di Cristo per cooperare con Lui all’universale Redenzione insinuò sempre come doverosissima una speciale devozione ai dolori per noi sofferti da questa divina Madre che Cristo medesimo dichiarò Madre nostra. Questa devozione però notabilmente aumentossi tra i fedeli dopo che i sette Beati Fondatori dell’Ordine dei Serviti, cioè Servi di Maria, fecero oggetto speciale del loro Ordine la propagazione del culto a Maria Addolorata, il che avvenne nel 1233. Quindi la Chiesa ne istituì una festa speciale nel Venerdì di Passione  e nella III Domenica di Settembre (poi 15 Settembre). La predilezione poi spiegata da Pio VII per questa devozione servì non poco a renderla sempre più cara a tutti i veri fedeli, siccome quella per la cui intercessione il Papa, dopo cinque anni d’esilio riuscì a tornare trionfante nella sua Roma, mentre il suo prepotente nemico Napoleone I era condannato  ad esiglio perpetuo in una lontanissima isola dell’Oceano, cioè S. Elena, il cui più vicino continente è distante non meno di 600 miglia, dove morì il 5 maggio 1821, mentre Pio VII continuò a regnare pacifico nella sua sede fino al 1823, dopo 23 anni e mezzi di gloriosissimo Pontificato.

[Il Pusillus grex cattolico è chiamato a sostenere oggi, con l’ausilio di questa novena ed invocando l’intervento e l’intercessione della Vergine, l’esilio del Sommo Pontefice S.S. Gregorio XVIII – ndr.].

I. Per quel sommo dolore che provaste, o gran Vergine, quando udiste l’amarissimo presagio che del vostro Figlio vi fece il santo vecchio Simeone, ottenete anche a noi di ricevere con ogni rassegnazione qualunque ancor e più triste annunzio, tutto riconoscendo da Dio a nostro maggior bene, e di consolare il vostro cuore coll’essere sempre non vostri persecutori, ma seguaci e adoratori fedeli del vostro Figlio Gesù. Ave

II. Per quel gran dolore che l’anima vi trafisse, o Maria, quando doveste fuggire in Egitto per sottrarre il vostro Figlio alla persecuzione di Erode, impetrate a noi pure di difendere e salvare l’onore dello stesso vostro Figlio, allorché lo vedessimo dai peccatori insultato e di vivere in mezzo alla gente non santa ed agli uomini iniqui, tra i quali ci trovassimo, con quella prudenza, esemplarità e religione con la quale anche Voi dimoraste tra gli Egiziani. Ave

III. Per quel dolore acerbissimo da cui foste travagliata, o Vergine santa, allorché al tempo della Pasqua, perdeste vostro Figlio, otteneteci di non perdere giammai, né col peccato, né colla tiepida vita, il divin vostro Bene che è pure il nostro; e se mai, per misera sorte lo perdessimo, di ricercarlo con quelle sante cure, vigilie e lacrime con cui lo cercaste Voi stessa, e così, a vostra imitazione, ci venga fatto di ritrovarlo. Ave

IV. Per quell’intenso dolore che il cuore vi oppresse, o Vergine pietosissima, nel presentarvi al vostro Figlio, quando, carico del doloroso legno, s’incamminava a morir sul Calvario, ottenete anche a noi di presentarci con viva fede, quando Egli a sé ci invita al grande memoriale di sua Passione, l’Eucaristia, e di usargli tutti quegli atti di tenerezza e di amor santo che Voi, in ogni circostanza usaste verso di Lui. Ave

V. Per quell’immenso dolore che il cuore vi inondò, o Regina dei Martiri, allorché vedeste tra mille spasimi e tormenti morir sulla croce in mezzo a due ladri il vostro dilettissimo Figlio, a noi pure impetrate di santamente affliggerci a sì tragico spettacolo, e di morire al peccato, per poter vivere una vita tutta nascosta e santa con Cristo in Dio. Ave

VI. Per quell’inesplicabil dolore che l’anima vi ferì ed impiagò mortalmente, o Vergine desolatissima, quando dalla croce vi fu deposto in seno l’esangue spoglia del vostro Unigenito, e conosceste quanti strazi e quante pene aveva Egli sofferto, a noi ancora ottenete di fermare spesso i nostri pensieri sul piagato e morto nostro divin Mediatore per poterci eccitare al più vivo dolore dei nostri peccati e al più acceso amore verso di Lui. Ave

VII. Per quel dolore amarissimo che quasi all’agonia vi ridusse, o Vergine inconsolabile, allorché doveste rendere a Nicodemo l’unico oggetto dei vostri amori, onde venisse imbalsamato e sepolto, fate che anche noi onoriamo continuamente il caro vostro Figlio coi preziosi aromi della penitenza e della mortificazione, e che, morti e consepolti con Gesù Cristo, risorgiamo con esso Lui a nuova vita di grazia per poter poi con Esso risorgere alla gloria immortale del Paradiso. Ave

Orazione

Æterne omnipotens Pater, qui Unigeniti Filii tui passioni dilectissima ejus Mater adstare voluisti, preces populorom tuorum popitiatus exaudi, et quos ad ipsius beatæ Mariæ virginis transfixionem devote recolendam evocasti, ejusdem gaudorium tribuas esse consortes, per eundem Dom…etc.

[Padre onnipotente ed eterno, che volesti sostenere la passione del tuo Figlio unigenito e della sua amata Madre, esaudisci propizio le preghiere del tuo popolo, e a coloro che hai chiamato a ricordare devotamente la trasfissione della beata Vergine Maria, concedi di poter condividere le stesse gioie. Per lo stesso nostro Signore … etc.]

LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (19)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (19)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO OTTAVO

I doni dello Spirito Santo (3)

5) Il dono del consiglio è per eccellenza un dono di governo. Ora, suor Elisabetta della Trinità non fu Priora né in alcun modo incaricata delle anime; l’intera sua vita religiosa trascorse dal noviziato all’infermeria. E tuttavia possedette in sommo grado questo Spirito di Dio. Il dono del consiglio, del resto, se è più manifesto in chi è investito di autorità, non è meno necessario a tutte le anime per il perfetto orientamento della loro vita secondo i disegni di Dio… Nei superiori, assume la forma di una direzione prudente e soprannaturale che, anche nella organizzazione delle cose materiali, cura innanzi tutto il bene spirituale delle anime e si preoccupa di dare a Dio la più grande gloria; negli inferiori, insinua una docilità vigilante nel sottomettersi a tutti i voleri del Signore manifestati dai suoi legittimi rappresentanti; perché, prescindendo dai loro pregi o dai loro difetti, Dio solo parla in essi, e in essi merita di essere ascoltato. Il dono del consiglio si mostrò, in suor Elisabetta della Trinità, dapprima sotto questa forma di pronta docilità al suo direttore spirituale; giovinetta, lo consultava su tutto quello che concerneva il bene dell’anima sua, e si atteneva fedelmente a quanto egli aveva deciso; novizia, ricorreva in ogni occasione alla sua Priora, qualche volta anche per dei nonnulla, tanto bramava di essere interamente nella linea della divina volontà. Un testimonio afferma: « Bastava accennarle: — L’ha detto la reverenda Madre —; per farla andare in capo al mondo ». Lo Spirito di consiglio, infatti, non solo conduce le anime con ispirazioni individuali e segrete, ma le induce anche a lasciarsi dirigere e guidare. Più tardi, questo stesso dono prese in lei un’altra forma, più elevata. Leggendo la sua corrispondenza, si resta sorpresi e ammirati nel vedere con quale disinvolta agilità va ad adattarsi alla varietà straordinaria delle sue relazioni: membri della sua famiglia, bambine, giovinette, persone del mondo nelle situazioni più diverse, anime sacerdotali: alcune attendevano da lei la parola decisiva che le avrebbe orientate verso l’unione con Dio. Eppure, non vi è corrispondenza epistolare più spontanea e meno convenzionale di questa. Nulla di pedante e che sappia di predica o di lezione morale; ma sempre un grande spirito di discrezione, un tatto squisito, un senso perfetto delle situazioni. Sa aspettare degli anni, se è necessario, prima di insinuare delicatamente la parola di rimprovero che sconcerterà un’anima. « Addio! Quando sarò lassù, vorrai permettermi di aiutarti, di rimproverarti, anche, se vedrò che non darai tutto al Maestro divino; e questo, perché ti amo. Che Egli ti custodisca interamente sua, perfettamente fedele; in Lui, io sarò tua per sempre» (Ad un’amica). I lumi più sublimi sulla « lode di gloria » o sul mistero della Trinità sono messi alla portata di tutte le anime, espressi in forma chiara e di una semplicità così luminosa e serena, che conferisce alla sua spiritualità una nota singolare di equilibrio e di precisione dottrinale. E quante anime, proprio per questo, hanno fatto degli scritti di suor Elisabetta della Trinità la loro lettura più intima e cara! Questa facilità di trasposizione e di adattamento dipende direttamente dal dono del consiglio, il quale inclina le anime, dopo aver consultato le ragioni supreme della Sapienza del Verbo, a discernere i mezzi pratici più semplici e più rapidi per giungere alla sommità della unione divina attraverso le difficoltà innumerevoli della vita. E proprio questa è la forma caratteristica che prese in lei lo Spirito di consiglio. La sua missione non era di dirigere una comunità, ma di condurre una moltitudine di anime verso le profondità della vita trinitaria per il sentiero dello spogliamento assoluto e dell’oblio di sé, « fino al grande silenzio interiore che permette a Dio di imprimersi in esse, di trasformarle in Sé » (Lettera a suor Odilia – Ottobre 1906.

6) Con i doni della scienza, dell’intelletto, della sapienza, penetriamo nella psicologia più profonda dell’anima dei Santi. L’azione di questi doni superiori ci consente di sorprendere il loro atteggiamento più intimo e segreto di fronte al «nulla » della creatura e al « Tutto » di Dio. Di qui, la loro primordiale importanza nello studio di un’anima contemplativa. In suor Elisabetta della Trinità, ci danno la chiave della sua vita spirituale e della sua dottrina mistica. Lo Spirito di scienza dà l’esperienza delle creature alla luce della carità; dà la capacità di giudicarle secondo le loro proprietà contingenti e temporali, e anche di elevarsi, per esse, fino a Dio. – Sotto il suo impulso, un duplice movimento si determina nell’anima: da un lato, l’esperienza del vuoto della creatura, del suo nulla; dall’altro, la rivelazione, nel creato, dell’orma di Dio. Questo medesimo dono della scienza strappava lacrime a san Domenico quando considerava la sorte dei poveri peccatori, mentre ispirava a san Francesco di Assisi il suo magnifico « Cantico al sole », dinanzi allo spettacolo della natura. Entrambi questi sentimenti si trovano espressi in quel noto passo del « Cantico spirituale » di san Giovanni della Croce, in cui descrive il conforto e insieme il tormento dell’anima mistica dinanzi al creato, perché le cose tutte dell’universo le rivelano il passaggio del Diletto, mentre Lui si è involato e si cela, invisibile, fino a che l’anima, in Lui trasformata, Lo incontrerà nella visione beatifica. – Nei grandi convertiti — in sant’Agostino, per esempio, nelle sue Confessioni — questo dono riveste l’espressione di una dolorosa esperienza del peccato. Ma l’anima verginale di suor Elisabetta della Trinità non provò mai in questa forma acuta e tragica gli effetti del dono della scienza. Secondo il ritmo soave della sua anima contemplativa, esso tendeva piuttosto a divenire in lei un potente stimolo allo spogliamento ed alla perfezione. Le creature sono fallaci ed oppongono ostacolo alla pienezza della vita divina: bisogna considerare tutte le cose della terra come rifiuti per possedere Cristo; e in Lui bisogna tutto dimenticare. È il «nescivi» dell’ultimo « Ritiro ». L’anima sua vuole attraversare le creature senza vederle, per non fermarsi che nel Cristo. Tutta l’ascesi del silenzio si spiega e si comprende a questa luce: le cose create, tutte quante, valgono mai la pena di uno sguardo per chi, fosse pure una volta sola, ha sentito il Signore? Il dono della scienza presenta un’altra forma positiva, nei Santi: lo spettacolo delle creature, come un tempo nello stato di innocenza, le porta irresistibilmente a Dio. La voce possente del concerto della creazione esercitava a volte, in alcune anime contemplative, una tale forza di rimprovero, che si sentivano mormorare ai cieli e ai fiori: — Tacete, oh, tacete! Sotto la mozione dello Spirito di scienza, il salmista. cantava: « Cœli enarrant gloriam Dei. I cieli narrano la gloria di Dio » (Ps. XVIII, 2). A questo secondo aspetto piuttosto che all’altro bisognerebbe ricollegare i movimenti della grazia che suor suor Elisabetta della Trinità provava abitualmente dinanzi alle bellezze del creato; come per tutti i Santi, la natura era per lei il gran « libro di Dio ». Da fanciulla aveva amato i vasti boschi solitari, la maestosità selvaggia dei Pirenei, l’immensità dell’Oceano; aveva amato soprattutto gli spazi sconfinati di una notte stellata; allora il senso dell’infinito la soggiogava e il contatto della natura le dava intensamente il suo Dio. – A mano a mano che procederà nella vita, questi due sentimenti del dono della scienza si confonderanno in lei in un sentimento unico. La miseria della creatura e la coscienza del suo proprio nulla la risospingeranno in Dio solo. « Se guardo dal lato della terra, vedo la solitudine ed anche il vuoto, perché non posso dire che il mio cuore non abbia sofferto » (Lettera al Canonico A… – 4 gennaio 1904). « Come fa bene, allorché si sente la propria miseria, andare a farsi salvare da Lui! » (Lettera alla signora A… – 24 novembre 1905.). « Quando si considera il mondo divino che ci avvolge fin d’ora, nell’esilio, quel mondo in cui possiamo vivere e agire, come svaniscono le cose di quaggiù! Esse sono ciò che non è, sono meno che niente ». « I Santi, quelli sì, avevano capito la vera scienza, la scienza che ci separa da tutto e da noi stessi, per slanciarsi in Dio e non farci vivere che di Lui!» (Lettera alla signora A… – 24 novembre 1904.) Così si manifestava all’anima sua quella conoscenza rivelatrice del «nulla» della creatura e del «Tutto » di Dio, che lo Spirito di Gesù comunica a coloro che Lo amano e che la sacra Scrittura chiama la « scienza dei santi » (Sapienza, X-10.).

7) I grandi contemplativi, come le aquile, puntano i loro sguardi sulle eccelse vette. Essi sanno che il più debole lume intorno alla Trinità è infinitamente più delizioso della conoscenza dell’intero universo. Che cos’è infatti tutto il movimento degli atomi e delle creature uscite dalle mani di Dio, di fronte alla silente ed eterna generazione del Verbo che si cela nel Suo seno? Introdurci nelle profondità di questi abissi trinitari, è il compito dei doni contemplativi. A questa luce tutta deiforme, l’anima vede le cose con lo sguardo stesso di Dio; e san Giovanni della Croce osa dire che l’anima, giunta a questo grado di unione trasformante, partecipa al mistero delle processioni divine: della generazione del Verbo, della spirazione dell’Amore. Mediante la fede e la carità, irradiata da questa luce altissima dei doni, essa compie degli atti riservati a Dio e propri delle divine Persone. È, secondo la promessa di Gesù, « la consumazione nella unità » (San Giovanni, VII-23). Il concetto di « partecipazione » indica, nello stesso tempo, la distanza infinita — che rimane sempre fra Dio e la sua creatura — e una vera comunicazione, per grazia, della vita trinitaria. L’anima partecipa alla luce del Verbo e al movimento dell’Amore increato. « Particeps Verbi, particeps Amoris » (I q. XXXVIII, a. 1, in corpore), secondo l’audace formula di sanTommaso, così scrupoloso nell’esattezza dottrinale e sempre così misurato nei suoi termini.L’effetto essenziale del dono dell’Intelletto è proprioquello di far penetrare, quanto più profondamente è possibile,nell’intimo delle verità soprannaturali alle quali lafede invece si accontenta di aderire su semplice testimonianzaesteriore.Questa penetrazione amante e saporosa delle più alteverità divine, soprattutto del mistero trinitario che è l’oggettodelle sue predilezioni, non dipende dall’acutezza intellettualedel soggetto, ma dal suo grado di amore e dallasua docilità perfetta al soffio dello Spirito. I tocchi piùsegreti di questo Spirito non potremo afferrarli mai, sullaterra; sempre essi sfuggiranno alle nostre indagini, comeciò che vi ha di più ineffabile e divino nella vita dei Santi.Le tracce che ne possiamo sorprendere in suor Elisabettadella Trinità ci dicono come l’attività dello Spiritod’intellettonon ebbe in lei tutto il suo ampio respiro senon dopo l’entrata al Carmelo, a contatto con la teologiamistica di san Giovanni della Croce e nella lettura di sanPaolo, dopo le supreme purificazioni della sua vita di fede. Si possono ridurre gli effetti del dono dell’intelletto asei principali; una realtà divina, infatti, può celarsi: sottogli accidenti, sotto le parole, sotto le figure o le analogie.sotto le cose sensibili, nelle sue cause, nei suoi effetti.È chiaro che questo Spirito si manifesta in maniera differentissimasecondo le circostanze, le indoli diverse deiSanti e la loro missione; dona, ad alcuni, una intelligenzapenetrante delle sacre Scritture, ad altri il discernimentodel divino nelle anime, oppure una conoscenza particolaredell’anima di Cristo o del mistero di Maria, il senso dellaRedenzione, della Provvidenza, di questo o di quell’attributodivino, della Unità nella Trinità. Non si finirebbepiù se si volessero specificare i modi innumerevoli e variin cui questo Spirito d’intelletto essenzialmente multiformepuò comunicarsi agli uomini ed agli Angeli, secondo chepiace a Dio, per sua bontà, di rivelarci la sua gloria.In suor Elisabetta della Trinità, i doni dello Spirito Santo, come gli aspetti della sua vita spirituale, presero normalmente una forma Carmelitana. Nei suoi scritti, nella sua vita luminosa, si possono raccogliere tante prove rivelatrici dell’azione dello Spirito di intelletto. Il suo sguardo contemplativo si fissava a lungo, adorante, nella anima di Cristo nascosto nel tabernacolo sotto le apparenze eucaristiche. « Noi possediamo — diceva — la visione in sostanza, sotto il velo dell’ostia » (A Don Ch… – 14 giugno 1903). Il dono dell’intelletto le apre il libro delle sacre Scritture e gliene svela i reconditi sensi; manifestazione, questa, singolarmente evidente della azione dello Spirito di Dio nell’anima sua. Il suo modo di procedere più abituale è la parafrasi mistica condotta con una rara penetrazione. Senza costringere o svisare il senso letterale, ne trae la sua ammirabile dottrina spirituale; le frasi ispirate le servono come punto di partenza, come motivo per delle magnifiche elevazioni contemplative in cui la sua anima di Carmelitana trova diletto. Talvolta una sola parola della Scrittura le dona, per anni interi, « la luce di vita » (San Giovanni, VIII-12.). San Paolo le svela il « nome nuovo » che le indica da parte di Dio, quale sarà il suo ufficio per l’eternità, l’ufficio che deve però già iniziare nel tempo: « l’incessante lode di gloria alla Trinità ». Nell’ultima fase della sua vita, è ancora san Paolo che viene a definire, in una formula che le reca tanta grazia nell’anima, il suo programma supremo di trasformazione in Cristo: « la conformità alla di Lui morte » (Filippesi, III-10.). Basta, a volte, un semplice accostamento di testi, perché ne scaturisca luce divina nell’anima sua. « Siamo stati predestinati, per decreto di Colui che compie ogni cosa secondo il consiglio della sua volontà, affinché siamo la lode della sua gloria… Dio ci ha eletti in sé prima della creazione, perché siamo immacolati e santi al suo cospetto, nella carità ». Se accosto fra loro queste due enunciazioni del piano di Dio « eternamente immutabile », posso concludere che, per compiere degnamente il mio di « laudem gloriæ », devo tenermi, in mezzo a tutto e nonostante tutto, « alla presenza di Dio »; anzi, l’Apostolo ci dice: « in caritate », cioè in Dio; « Deus caritas est »: e il contatto con l’Essere divino mi renderà « immacolata e santa ai suoi sguardi » (Ultimo ritiro, II.). Essere lode di gloria con l’esercizio continuo della presenza di Dio; ecco l’essenza della sua vocazione; e l’ha colta in san Paolo, con un solo sguardo. Ma un secondo movimento del dono dell’intelletto possiamo discernere in suor Elisabetta, movimento familiare alle anime pure e contemplative per le quali le minime cose sono, simbolicamente o per analogia, un richiamo alla divina presenza. « Quando vedo il sole penetrare e diffondersi nei nostri chiostri, penso che Dio invade così, come i raggi del sole trionfante, l’anima che non cerca che Lui » (Lettera a G. de G… – 14 settembre 1902). – Tutto l’universo visibile assume, nelle anime dei Santi, un senso spirituale che le eleva a Dio; il loro sguardo rivolge sempre al volto mistico delle cose. Una santa Caterina De Ricci non poteva vedere una rosa senza pensar al sangue redentore; e suor Elisabetta apparteneva alla stirpe di quelle anime verginali che sembrano aver ritrovato lo stato d’innocenza e leggono Dio nel libro del creato. Fino dalla sua entrata al Carmelo, essa Lo scopre negli infimi particolari della sua vita: « Qui — scrive — tutto parla di Lui » (A_M. L. M… – 26 ottobre 1902). « Al Carmelo, dappertutto c’è il Signore ». (Alla sorella, 1901). « Il Maestro è così presente, che si crederebbe sia lì lì per comparire nei lunghi viali solitari » (Alla zia – Pasqua 1903). Appena le viene annunciata la nascita di una nipotina, si informa della data del battesimo, perché vuole essere presente in ispirito nel momento in cui la Trinità santa scenderà in quell’anima, sotto i segni della rigenerazione cristiana. È il fiorire del simbolismo mistico: «Ogni cosa è un sacramento che le dona Dio » (Lettera alla signora A… – 1906). Vi è un altro aspetto del dono dell’intelligenza, particolarmente sensibile nei teologi contemplativi. Dopo le dure fatiche della scienza umana, d’un tratto, sotto un forte impulso dello Spirito, tutto si illumina: ed ecco che un mondo nuovo appare in un principio o in una causa universale: quali ad esempio, Cristo-Sacerdote, unico mediatore fra il cielo e la terra; oppure il mistero della Vergine Corredentrice che porta spiritualmente nel suo seno tutti i membri del Corpo mistico: o ancora il mistero dell’identificazione degli innumerevoli attributi di Dio nella sua sovrana semplicità e la conciliazione della Unità d’essenza con la Trinità delle Persone, in una Deità che oltrepassa all’infinito le indagini più acute e profonde di tutti gli sguardi creati. Ecco altrettante verità che il dono dell’intelletto approfondisce senza sforzo, saporosamente, nella gioia beatificante di una «vita eterna iniziata sulla terra », alla luce stessa di Dio. Due princìpi soprattutto attirarono e fissarono lo sguardo contemplativo di suor Elisabetta: l’influenza universale della Trinità che dimora nell’intimo dell’anima per santificarla e custodirla « immobile e in pace », sotto la sua azione creatrice; e l’attività redentrice di Cristo presente sempre in lei per purificarla e per divinizzarla: due punti cardinali della sua spiritualità. – In senso inverso, il dono dell’intelletto rivela Dio e la sua onnipotente causalità negli effetti, senza bisogno dei lunghi raggiri discorsivi del pensiero umano abbandonato alle proprie forze, ma con un semplice sguardo comparativo e per intuizione « alla maniera di Dio ». Negli indizi più impercettibili, nei minimi avvenimenti della sua vita, un’anima attenta allo Spirito Santo scopre d’un tratto tutto il piano della Provvidenza a suo riguardo. Senza ragionamento dialettico sulle cause, la semplice vista degli effetti della giustizia o della misericordia di Dio le fa intravedere tutto il mistero della predestinazione divina, del « troppo grande amore » (Efesini, II-4) che insegue, instancabile le anime per unirle alla beatificante Trinità. Attraverso a tutto, Dio conduce a Dio. – Quando si pensa alla limitata cultura religiosa di suor Elisabetta della Trinità, si resta stupiti delle pagine così profonde e luminose che ci ha lasciate sul mistero della Vergine e di Cristo, sull’abitazione di Dio nelle anime dei giusti, sulla lode di gloria che deve elevarsi, incessante, verso la Trinità adorabile. Il teologo attento deve concludere che tale conoscenza sopratecnica non può spiegarsi in quest’anima se non con l’esperienza di quella sapienza incomunicabile che Dio riserba « ai cuori puri» (S. Matteo, V-8.).