DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2022).

Semidoppio.- Paramenti verdi.

Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli» (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La tua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con Lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Queste è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Cosi l’Offertorio ci mostra come Mosè dovette Intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova Legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossima delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali dicui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) . « Gesù, dice S. Beda il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.). – La gloria dei ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica. – « Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, è lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo su la Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Introitus

Ps 33:12
Veníte, fílii, audíte me: timorem Dómini docébo vos.
Ps 33:2
Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Veníte, fílii, audíte me: timorem Dómini docébo
vos.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].

TUTTO E NIENTE.

Alessandro Manzoni ha colto ancora una volta perfettamente nel segno quando parlando di Dio, come ce Lo ha rivelato N. S. Gesù Cristo, come noi Lo conosciamo alla sua scuola, ha detto che Egli atterra e suscita; due gesti contradditori, all’apparenza, ed entrambi radicali. Quando fa le cose sue, Dio non le fa a mezzo: se butta giù, atterra, inabissa; e se tira su, suscita, sublima: a questo radicalismo, e a questa completezza d’azione divina corrisponde anche quello che s. Paolo dice nella lettera d’oggi, messo a riscontro di ciò che afferma altrove. Ecco qua: oggi San Paolo dice ciò che è verissimo che, cioè, noi da soli siam buoni a nulla: neanche a formare un piccolo pensiero. Nel concetto di San Paolo e di tutti, è la cosa a noi più facile, assai più facile volere che fare. Il pensiero è il primo gradino della scala, il più ovvio, il più semplice. Non importa: neanche quello scalino l’uomo può fare da sé, proprio da sé, ci vuole l’aiuto di Dio. Il quale dunque, è tutto Lui e noi di fronte a Lui siamo un bel niente, uno zero. È un fiero e giusto colpo assestato al nostro orgoglio che ci fa credere di essere un gran che e di potere fare noi, proprio noi, chi sa che cosa. L’uomo ha degli istinti orgogliosamente, dinamicamente, mefistofelici. Noi vorremmo essere tutto: noi ci illudiamo di poter fare tutto. E invece ogni nostra capacità viene da Dio: « sufficientia nostra ex Deo est. » Il che non vuol dire che questa capacità (sufficientia) non ci sia. C’è ricollegata con Dio. E allora San Paolo appoggiato a Dio, immerso nell’umile fiducia in Lui, tiene un tutt’altro linguaggio, che par una negazione ed è invece un’integrazione del precedente. « Omnia possum in Eo qui me confortat » io posso tuto in Colui che mi conforta; dal niente siamo passati al tutto. Lo stesso radicalismo. Prima, nessuna possibilità e adesso nessuna impossibilità. Prima l’uomo buttato a terra, proprio umiliato (humus, vuol dire terra), adesso esaltato fino alle stelle, proclamato in qualche modo onnipotente. La contradizione non c’è perché chi dice così non è lo stesso uomo che viene considerato, non è lo stesso uomo di cui si parla. L’uomo che non può tutto, che è la stessa impotenza, è l’uomo solo o piuttosto l’uomo isolato da Dio, lontano effettivamente ed affettivamente da Lui: ramo reciso dal tronco, tralcio separato dalla vite, ruscello a cui è stata tolta la comunicazione colla sorgente e che perciò non ha più acqua. L’uomo isolato così è sterile, infecondo nel bene, può scendere, non può salire. Ma riattaccatelo a Dio, mettetelo in comunicazione viva, piena, conscia, voluta, e la situazione si modifica dalla notte al giorno. L’anima che sente questo contatto nuovo, sente un rifluire in se stessa di nuove, sante, inesauste energie. Non poteva nulla senza il suo Dio, adesso può tutto unita a Lui. « Omnia possum in Eo quì me confortat. » E’ il grido magnanimo e non ribelle dei Santi, appunto perché la loro onnipotenza la ripetono da Dio, tutta e solo da Lui. Solo realizzando spiritualmente quel niente e quel tutto, solo vivendo tutta quella umiltà e tutta questa fede, si raggiunge l’equilibrio tra la sfiducia e la presunzione.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.

[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]

V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.

[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.

[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétiæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, e con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

AMA IL PROSSIMO COME HANNO FATTO GESÙ E I SANTI

Per salvarsi è necessario amare il Signore con tutto il cuore e sopra tutti gli interessi del mondo. Ma nessuno s’illuda di amare il Signore con tutto il cuore, se nel medesimo tempo non ama il suo prossimo come se stesso. Un dottore della legge si levò allora a domandare a Gesù: « Chi è il mio prossimo? ». Il Maestro divino, che vede nel cuore di tutti, vide in quello del dottore che l’interrogava la malizia di metterlo in imbarazzo, perciò gli rispose facendogli una domanda, in un modo che equivale a questo: « Se ti trovassi abbattuto sopra una strada deserta, ferito e lì lì per morire dissanguato, da chi vorresti essere soccorso? » « Da tutti: dal primo che passa ». – «Anche se fosse uno sconosciuto? ». « Si ». « Anche da uno straniero, da un nemico politico, da un nemico personale? ». « Da chiunque ». « Ebbene — concluse Gesù — va: e tu pure fa così. Chiunque ha bisogno di te, parente o conoscente, connazionale o straniero, amico e nemico, quegli è il tuo prossimo ». E perché il dottore della legge non dimenticasse mai più il precetto dell’amore del prossimo, narrò di un uomo aggredito dai ladri, sulla strada che da Gerusalemme discende a Gerico. Eccolo dunque, il povero uomo, bastonato e tramortito sul margine brullo e arrossato dal suo sangue. Passò un sacerdote e poi un levita: ma né l’uno né l’altro gli volsero la testa. Passò finalmente uno straniero, un Samaritano che n’ebbe misericordia; gli fasciò le piaghe dopo averle lavate con olio e vino; lo sollevò sulla sua cavalcatura; lo trasportò all’albergo più vicino dove lo assisté per tutta la notte. Il domani, diede all’oste un anticipo, dicendogli: « Non lesinare: se ci sarà da aggiungere, al mio ritorno sarai soddisfatto ». Ma la morale della parabola tocca anche ciascuno di noi, non appena quel dottore della legge: Et tu fac similiter: « anche tu devi fare lo stesso ». Tra quanti ci diciamo Cristiani, chi si sente il coraggio di praticare ogni giorno il Vangelo così? Intorno a noi, sulla nostra strada, ci sono persone che hanno bisogno, che soffrono: come il sacerdote e come il levita della parabola, noi passiamo oltre, tranquillando la coscienza con interessati e comodi pretesti. Così dietro a noi, per causa nostra, molti maledicono la Religione, perché la vedono deformata nella nostra condotta egoistica. Ci siamo fabbricati un Cristianesimo, come un vestito su misura: e la misura sono i nostri comodi e i nostri interessi. Non è questo il Cristianesimo che salva, ma quello di Gesù Cristo e dei Santi. Bisogna, (per quanto concerne il Vangelo di oggi), amare il prossimo come hanno fatto e insegnato i Santi. – 1. COME GESÙ. La grazia più bella che possiamo chiedere è quella che S. Paolo augurava ai Cristiani di Efeso: « Che voi possiate comprendere quale sia la larghezza e altezza e profondità dell’amore di Cristo! Possiate conoscere come esso sorpassi ogni idea che ce ne possiamo formare! » (Ef., III, 18). – Nessun atteggiamento ci fa comprendere meglio i sentimenti di Cristo verso il prossimo di quello che prese nell’ultima cena in ginocchio per lavare i piedi agli Apostoli: l’amore del prossimo è una così bella e così buona cosa che bisognerebbe pregare il prossimo di lasciarsi servire, di lasciarsi lavare i piedi. a) Ricordiamo alcuni detti del Signore. « Il mio precetto è questo: che vi amiate tra di voi » ( Giov., XV, 12). Un solo comandamento ha dunque chiamato suo, ed è quello dell’amor del prossimo. Ed ha aggiunto che riconoscerà per suoi discepoli soltanto quelli che l’eseguiranno fedelmente. Non appena ci diede il precetto, ma ne ha pure accennato l’applicazione e l’estensione. « Chi ha due vesti, ne doni una a chi non ne ha; similmente faccia per il cibo ». « Fate del bene anche a quelli che vi odiano, si perseguitano, vi calunniano ». Ci ha pure spiegato il motivo profondo del nostro amore per il prossimo: « Qualunque cosa avrete fatto per il più oscuro degli uomini, sarà come se l’aveste fatta a me ». Bisogna vedere Dio nel bisognoso: soccorrerlo per amor di Dio, nonostante i suoi possibili torti o indegnità. Ci ha fatto anche balenare la grande ricompensa riserbata agli esecutori del suo ordine d’amore: «Venite, o benedetti dal Padre mio, voi mi avete amato nel prossimo: venite nel Regno che vi è stato preparato » (Mt., XXV, 34). b) Ricordiamo ora alcuni fatti del Signore. Ama i bambini, rimprovera chi glieli allontana; maledice chi li scandalizza; li propone a modello per il loro ingenuo e umile candore. Ama i poveri, di essi si circonda, e non si rifiuta mai alle loro richieste; non avanza tempo neanche per prendersi un boccone, neanche per pregare come vorrebbe. Ama gli ammalati: si commuove davanti alle loro piaghe: trema in cuore ascoltando i loro gemiti; per loro compie quasi tutti i miracoli. Ama gli stranieri: guarisce il servo del Centurione di Cafarnao: la figlia della Cananea; il Samaritano lebbroso. Ama i peccatori e si paragona al buon pastore in cerca della pecorella smarrita, al vecchio padre che aspetta il ritorno del figlio prodigo. Entra in casa di Zaccheo e lo converte: siede sull’orlo del pozzo attendendo la Samaritana: non lascia lapidare la disgraziata adultera. Ama il suo traditore: a tavola gli dà il boccone della preferenza; sì lascia baciare da lui, sapendo già tutto; lo chiama amico mentre è fatto da lui imprigionare. Ama i suoi crocifissori, li scusa per la loro ignoranza, prega per loro, muore per loro. Ha dato la vita per ciascuno di noi che tante volte l’abbiamo crocifisso coi nostri peccati; è morto in vece nostra che gli eravamo nemici; e per questo amore ci ha colmati di ogni benedizione. – 2. COME I SANTI. Quando vogliamo intendere bene il Vangelo, guardiamo alla vita dei Santi.  Guardiamo dunque ai Santi per capire il precetto dell’amore al prossimo. Cominciamo dalla Madonna. Che fece quando seppe di sua cugina la quale si trovava in condizioni speciali? corse a servirla per tre mesi. Che fece quando si accorse della figura che avrebbero fatto nel banchetto di nozze due sposi di Cana, venendo a mancare il vino? tanto pregò che ottenne un miracolo. Un poco almeno di squisita carità ella doveva averla imparata dai suoi genitori, i santi Gioachino ed Anna, i quali dividevano i loro beni in tre parti: la prima era per i poveri; la seconda era destinata ai bisogni del tempio ; la terza se la tenevano per il sostentamento della famiglia. S. Paolo: « Fede, speranza, carità, tre cose: ma la carità è più grande ». Per ciò egli si faceva tutto a tutti. S. Francesco d’Assisi baciò un lebbroso sulla piaga, dopo averlo beneficato; regalò il vestito che aveva indosso a un povero; vendette per i poveri in una chiesa il libro del Vangelo, perché val più metterlo in pratica che saperlo a memoria. S. Vincenzo de’ Paoli, vinto dalla tenerezza del suo cuore alla vista di un giovane forzato, si pose al suo posto e lasciò che quello andasse in libertà. Per alcune settimane stette al banco dei galeotti, legato ai polsi e alle caviglie con catene che gli lasciarono il segno finché campò. Potrei ricordare infiniti altri esempi e del Cottolengo e di Don Bosco, ma preferisco lasciare la parola al S. Curato d’Ars che aveva venduto perfino le lenzuola per i poveri che, se un povero picchiava alla porta, non s’accontentava di mandargli un tozzo di pane, ma usciva per vederlo, confortarlo, accarezzarlo. Il Santo Curato disapprovava l’orgoglio di certi benefattori i quali fanno elemosina per amor del mondo e non per amor di Dio. Diceva: « Molti non fanno elemosina che per essere veduti, lodati, ammirati. Altri si lamentano di non essere mai ringraziati abbastanza. Non istà bene: se fate carità per amor di Dio, vi sì dice grazie o no, poco importa ». Il Santo Curato insegnava a vedere nel prossimo bisognoso il Signore. Diceva: « Molte volte crediamo recare sollievo a un povero, e si trova che quegli è il Signore Nostro. Vedete S. Giovanni di Dio: soleva egli lavare i piedi ai poveri prima di porli a mangiare. Un dì chinandosi sui piedi di un povero, li vide trafitti. Levò il capo commosso a quella vista e gridò: — Siete Voi dunque, o Signore! — E Nostro Signore gli rispose: — Giovanni, io mi compiaccio vedendo come tu hai cura dei miei poverelli. — E disparve ». – Il Santo Curato non voleva sentire che si sparlasse dei poveri. Diceva: « Non si devono mai disprezzare i poveri, perché questo disprezzo ricade su Dio. V’ha chi dice: — Oh questo povero non merita soccorso, perché usa male dell’elemosina che riceve. — Ne faccia pure quell’uso che vuole: il povero sarà giudicato sull’uso che avrà fatto della vostra elemosina; ma voi sarete giudicati sull’elemosina che avreste potuto fare e non avete fatto ». – Pietro I, re di Portogallo, disse: « In quel giorno in cui il re non dona nulla, egli non merita d’essere chiamato re ». E noi diciamo: « Nel giorno in cui il Cristiano non presta alcun aiuto, non compie alcun bene, per il suo prossimo non merita d’essere chiamato Cristiano ». Infatti, quando aveva bisogno d’esser nutrito, Cristo gli ha dato la sua Carne; quando aveva bisogno d’essere dissetato, Cristo gli ha offerto il suo Sangue; quando indebitato fino al collo aveva bisogno di condono, Cristo l’ha assolto. Come qualcuno può credersi Cristiano, se in cambio di questi beni celesti non sa distaccarsi per amor di Dio dai piccoli e passeggeri beni terrestri? « È più felice chi dà, che chi riceve » ha detto il Signore. — IL VERO AMORE DEL PROSSIMO. Gesù istruiva. Lontano sullo sfondo verde biancheggiava al sole la strada che da Gerico ascende a Gerusalemme. Magister, quid faciendo vitam æternam possidebo? Per aver vita eterna, chi non lo sa, bisogna amar Dio. Ma volete sapere se amate veramente Dio? guardate se amate il prossimo. Gesù Cristo ha fuso i due precetti e ne ha fatto uno solo, uno nuovo, che è tutta l’essenza del Cristianesimo: la carità cristiana. Perciò dice S. Paolo: Si charitatem non habuero nihil sum (I Cor. XIII, 2).1. NON OGNI AMORE È CARITÀ. S. Francesco, in uno dei capitoli generali in cui si raccoglievano i frati del terz’ordine per formare la regola, propose che i suoi frati dovessero farsi obbligo di raccogliere da terra e custodire sul cuore tutti i pezzi di carta, o qualsiasi oggetto su cui erano scritte le parole della Consacrazione, o anche i nomi di Dio e del Signore. I nuovi dell’Ordine però non vollero trasmettere ai frati questa espressione, così delicata, di una pietà che non poteva rassegnarsi a vedere le parole sante profanate, e rispose a Francesco che l’adempimento di una tale regola sarebbe troppo incomodo per i frati. Allora fu visto il giullare di Dio, il fratello di Madonna Letizia, farsi triste in volto ed ingoiare un amaro singhiozzo. E da quel momento, come disse l’amico al suo fedele Leone, non fu più che un uomo malato e ferito a morte. Vi sono degli altri oggetti, ben più preziosi dei pezzi di carta, su cui sta scritto non solo il Nome di Dio, ma tutta l’immagine di Dio: il nostro prossimo che soffre. I poveri, gli ammalati, i tribulati, non sono i brandelli di umanità, attraverso alle cui carni martoriate traluce l’immagine di Dio? Ecco perché noi dobbiamo amare il prossimo: e questa intenzione di amare in lui l’immagine di Dio trasforma il nostro amore in carità. Se alcuno amasse una persona perché gli è simpatica, il suo amore non è carità, ma è istinto che guida anche le bestie. Se alcuno amasse una persona solo perché ha ricevuto dei benefici, il suo amore non è carità, ma è riconoscenza. Anche il leone feroce sentì questo affetto, dice la favola, verso la scimmia che gli aveva levato la spina. Se alcuno amasse una persona perché ricca e potente, e comunque perché capace di soccorrerla e proteggerla, il suo amore non è carità, ma è interesse: Charitas non quærit quæ sua sunt (I Cor., XIII, 5). Amor di carità era quello di santa Giovanna di Chantal che curava gli ammalati, li portava nella sua casa, e baciava le loro piaghe.« Ma che cosa fate?! »  le osservarono un giorno.« Io bacio le piaghe di Cristo ».Tutte queste parole non sono altro che una amplificazione di una riga di catechismoche forse avevamo dimenticata: carità è… amare il prossimo come se stessi per amor di Dio.2. NON OGNI CARITÀ È CARITÀ CRISTIANA. Gesù Cristo, imponendoci il precetto dell’amore, disse: Mandatum novum do vobis. Eppure anche in antico si amava il prossimo: ma era un amore secondo la carne o secondo il mondo, e non era l’amore secondo Cristo. « Voglio che vi amiate, dice Gesù, come io ho amato voi ». Sicut dilexi vos. Amar il prossimo, come siamo stati amati da Cristo: ecco la carità cristiana. Ma il divin Maestro ci ha amati fino a sacrificare per noi tutti i suoi interessi, fino al sacrificio completo di sé. Egli, per nostro amore, da ricco si è fatto povero sulla terra brulla: ecco il sacrificiodei suoi beni. Egli da padrone si è fatto schiavo: ecco il sacrificio della sua libertà. Egli dallo splendore del cielo è sceso nello squallore di una stalla, e rimane annichilito in un piccolo tabernacolo: ecco sacrificato l’interesse della sua gloria. E sulla croce, sanguinante e spasimante, non ha sacrificato per noi tutta la sua vita? Ut diligatis invicem sicut dilexi vos (Giov., XIII, 34). Se vogliamo essere Cristiani, così dobbiamo amare il nostro prossimo. Non già come il sacerdote e il levita che passarono accanto al trafitto e gli diedero soltanto una sterile occhiata di compassione, ma come il samaritano che non guardò alla premura dei suoi affari, alla fatica, ai danari; non guardò nemmeno ch’era un suo nemico, un cane di Giudeo. Carità cristiana è carità pronta, ad ogni disinteresse e sacrificio; sacrificio di danaro: quod superest date; sacrificio di onori; e perfino sacrificio della propria vita: et nos debemus pro fratribus animas ponere (I Giov., III, 16). Così il missionario, così la suora che, per amor di Cristo, assistono gli ammalati contagiosi.C’era un buon uomo che ogni mattina alzandosi guardava il crocifisso appeso al suo letto con una sguardo ineffabile, e si faceva questa domanda: « A chi posso essere utile oggi, o Signore? ». Fatevi tutti questa domanda! Fanciulli che vivete ancora nella vostra casa, con la vostra mamma, con vostro padre, coi vostri fratelli; uomini che passate la giornata nelle botteghe o negli uffici; buone donne che conoscete tante sventure, fatevi questa domanda, ogni mattina, mentre vi alzate guardando il crocifisso: « A chi posso essere utile oggi, o Signore? ». Non capite che la vita non ha ragione d’essere se non si fa del bene? Non sentite voi la sera che la nostra giornata è perduta, e perduta per sempre se in essa, nemmeno un poco, siamo stati utili al nostro prossimo? Non sentite voi un’amarezza dopo una giornata d’egoismo, in cui non abbiamo pensato che a noi, non abbiamo vissuto che per noi? Ogni giorno fissiamoci un bene da compiere, secondo il nostro stato e le nostre forze, designiamo la persona che ha bisogno di noi; cerchiamo la maniera più delicata per farle quel po’ di bene di cui ha tanta necessità. Oh, come il buon Dio, così buono, ci sorriderà!LA CORREZIONE Fraterna. Non appena al dottore della legge, il Maestro ha imposto il suo comandamento d’amore: vade et tu fac similiter, ma anche a ciascuno di noi. Non appena per colui che incappa nei ladri di danaro, per colui che ha le piaghe nella carne dobbiamo usare misericordia, ma anche e specialmente per colui che incappa nei ladri di anime, per colui che ha piaghe nello spirito. È sopra queste piaghe che io vorrei insegnarvi a versare olio e vino. Purtroppo, l’egoismo e l’indifferenza ha reso gretto il cuore nostro. E non è raro di udire dalla bocca dei Cristiani la disumana parola di Caino: « Num custos fratris mei ego sum? « Sono io forse il custode del mio prossimo? ». Anima sua, borsa sua; s’arrangi. Chi vuol traviare travii; chi si vuol perdere, si perda: che importa a me? Non m’interessano gli altri, è già fin troppo se bado a me. « Che importa a voi? a voi non interessa? — grida S. Giovanni Crisostomo. — Egli è il fratello vostro, figlio come voi di quel Padre che avete in cielo; rigenerato ancor egli di quel sangue che fu il vostro riscatto; rinato ancor egli da quel fonte, da cui traeste vita di grazia; educato da quella Chiesa che riconoscete per Madre; pasciuto da quella mensa che Cristo vi ha imbandito con la sua carne; destinato egli pure a quell’eredità che sopra le stelle v’aspetta… E avete cuore di dire che a voi non importa, che a voi non interessa? Oh indolenza degna di mille fulmini! » Mille fulminibus vindicanda. Dopo queste parole, non occorre più ch’io vi dimostri la necessità di aiutare il prossimo a salvare l’anima, a risorgere dai peccati, a correggersi dai difetti. Solo resta che della correzione fraterna si esponga chi la deve fare, e come la si deve fare e come la si deve ricevere.1. CHI DEVE FARE LE CORREZIONE. Il profeta Geremia un giorno esclamò: « Io vedo nell’orto un segno misterioso una verga ritta con su la cima come un occhio che vigila » Virgam Vigilantem video (Ger., I, 11). Se nell’orto della parrocchia, della famiglia, dell’officina, dell’anima ci fosse sempre una verga vigilante, pronta a curvarsi e a fermare chi sbaglia! Poiché se tutti sono dall’amore vicendevole obbligati a correggere, alcune persone hanno un obbligo speciale che deriva dall’ufficio e dal posto che tengono. Tra questi, i primi sono i pastori d’anime, i quali devono con ogni sforzo impedire ai fedeli affidati alla loro cura spirituale di cadere nell’abisso del peccato e dell’inferno. Guai al sacerdote che per timore, per vergogna, per compiacenza, non alza la voce. Guai a me, se starò muto davanti alla vostra rovina! Insta opportune, importune, argue, obsecra increpa în omni patientia et doctrina (II Tim., IV, 2). Poi vengono i genitori, che devono considerare uno dei loro più sacri doverì, ed una delle loro più temibili responsabilità, quella di formare la mente e il cuore dei loro figliuoli. Se per troppa debolezza li lasceranno crescere capricciosamente, un giorno la loro memoria sarà maledetta. Non raramente s’incontrano persone che dicono, singhiozzando: « Oh se mio padre fosse stato più severo! Oh se mia madre si fosse curata più attentamente di me… ora è troppo tardi ». Perciò San Paolo inculca: « Educate illos in disciplina et in correptione Domini » (Ef., VI, 4). Ci sono inoltre i padroni, i quali devono dare ai loro domestici ed operai non solo la ricompensa materiale, ma pure l’esempio delle virtù cristiane, ed impegnarsi coi loro buoni consigli e rimproveri a farli camminare per la strada del retto, del giusto, dell’onesto. Infine, dirò che anche gli amici hanno uno speciale obbligo nella correzione. Altrimenti, a che gioverebbe l’amicizia? altrimenti cosa significherebbe il detto santo: chi trova un amico, trova un tesoro? — Sovente la parola di una persona che si ama ci fa più impressione, e s’insinua meglio nel cuore nostro. – 2. COME SI DEVE CORREGGERE. Ma come costoro debbono correggere, per riuscire a far del bene? 1) Con la preghiera. — Salvare un’anima, distogliere dal male, sollevare dal peccato, non sono cose a cui bastano le nostre forze. Io so di alcune mamme che non comandano mai nulla di importante ai loro figli, e non fanno a loro nessun rimprovero vero senza aver prima pregato il loro Angelo custode. 2) Con la prudenza. — E la prima cosa che prudenza vuole è che il correttore sia scevro di quel difetto che riprende negli altri. Con le mani unte non si tolgono le macchie. Se un padre è un bestemmiatore non avrà certo efficacia quando corregge suo figlio a non bestemmiare. Un avaro è ridicolo quando raccomanda la generosità. Hypocrita! Ejice primum trabem de oculo tuo (Mt., VII, 5). La prudenza vuole ancora che si studi il modo più adatto alla persona che sbaglia. È passato in proverbio un medico che si metteva in tasca varie ricette, già scritte per molte sorta di malattie. Al momento opportuno cacciava la mano in tasca, e tirando fuori la prima che ne veniva, la porgeva al malato dicendo: « Dio te la mandi buona ». Non si medicano, né si correggono tutti a una maniera. Per alcuni è necessario una correzione aspra, altri non sopportano che quelle lievi. Talvolta bisognerà versare vino che bruci e disinfetti, talvolta olio che lenisca. Infine, la prudenza vuole ancora che la correzione non sia fatta in pubblico, per son umiliare, ma in segreto; ma con amore. 3) Con fortezza. — Guai al chirurgo che si lascia impietosire dai gemiti del paziente! Ma guai anche a quelli che, costretti dal loro ufficio, hanno timore a correggere! Ricordate S. Ambrogio che non tremò davanti all’Imperatore Teodosio, ma fermandolo sulla soglia del duomo di Milano gli disse: « Così non potete entrare nel tempio di Dio! fate prima penitenza ». Ricordate il profeta Natan, che non temé di entrare nella reggia di Davide a dirgli: Tu es ille vir! Ricordate Giovanni il Battista che ci rimise la testa, ma non balbettò a dire all’adultero monarca: Non licet! – 3. COME RICEVERE LE CORREZIONI. Taide, donna famosa nell’antichità per le sue scorrettezze, invecchiata già e sparuta, si presentò allo specchio, e vedutasi qual non voleva vedersi rugosa e sfiorita, infranse tutti gli specchi della casa e non volle più vederne uno. La correzione veritiera è come uno specchio piano che mostra noi a noi, che mette davanti alle nostre pupille le nostre deformità. Chi odia lo specchio è perché vuole rimanere sporco, chi non ama la correzione è perché vuole rimanere nel vizio. La correzione invece si deve accogliere: 1) Con umiltà: non scusare il proprio fallo, ma sinceramente ammetterlo, poiché Salomone dice che il giusto è il primo ad accusar se stesso. Justus prior est accustor sui (Prov., XVIII, 17). 2) Con docilità. — Non basta accogliere gli avvisi, bisogna poi studiarsi di metterli in pratica. Un giorno Dio ci domanderà conto di tutte le correzioni che ci furono date. 3) Con riconoscenza. — Serbiamo riconoscenza al medico che guarisce il corpo se pure con operazioni dolorose, serbiamo riconoscenza al maestro che ci corregge i compiti e le parole nostre, serbiamo riconoscenza anche al bambino che ci indica la vera strada quando ci troviamo sulla falsa: perché riconoscenza non serberemo anche per chi ci cura i mali dell’anima, per chi corregge gli errori del cuore, per chi c’insegna la dritta via del cielo? Se voi aveste sul volto una macchia che vi rendesse ridicoli, non sareste contenti che qualcuno vi avvisasse? Ma quanto è raro trovare uomini che amino d’essere ripresi! Argue sapientem et diligit te (Prov., IX, 8). –  Ritorniamo alla parabola. « Abbi cura di lui: — disse il samaritano all’oste, porgendogli due danari. — E quanto spenderai di più te lo pagherò al mio ritorno ». Pagare per guarire un altro. Questa carità squisita è fatta da molte anime nell’ordine spirituale. Quando ogni correzione sembra infruttuosa, si fanno avanti queste generose e promettono a Dio, divino albergatore, di pagare a costo di sacrifici tutte le grazie che Egli si degnerà di elargire all’anima traviata. Buone mamme che offrono i loro mali e la loro vita per la conversione dei loro figli; buone spose e sante sorelle che liete sopportano lunghe giornate di patimento per la salvezza dello sposo o del fratello. Candide suore dei conventi di clausura che soffrono e scontano i peccati di gente che non conoscono nemmeno!… Costoro sono i più somiglianti al samaritano. Vade et tu fac similiter.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo.

[Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Communis
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessione dicéntes:

(È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le Potenze ti venerano con tremore. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode:)


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.

[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (217)

LO SCUDO DELLA FEDE (217)

MEDITAZIONI AI POPOLI (V)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. e libr. Sales. 1883

MEDITAZIONE V.

Il pericolo di morire in peccato.

Io vado, dice Gesù, mi cercherete.., e morirete nel vostro peccato. Ego vado, quæretis me.., in Peccato vestro moriemini (Joan. VIII). Grande Iddio! GesùSalvatore! e queste tremende parole dalla vostrabocca delle misericordie?,.. E quali sono coloro cheminacciate di abbandonare a morire nel propriopeccato?… E a me, mandato che sono per chiamare tutti i vostri figli a salvarsi, affidate questa paurosa incombenza d’intimar loro la terribile minaccia di lasciarli morire nel peccato?… Ma io già sulla vostra parola ho promesso a tutti il perdono e il paradiso conquistato col vostro Sangue! — Miei fratelli, in questo Spavento mi aprirò del cuore con voi, e confesserovvi, che nella vivezza del mio amore per voi vi consolai con parole forse di troppo facile carità. Però non mi chiamo in colpa. In questi poveri tempi, in cui il mondo con tutte le arti più lusinghiere cerca di rapirci dalle nostre braccia i figli, io sono come una madre, che corre appresso al figliuolo, il quale minaccia di andarsi a perdere; lo chiama colla parola della tenerezza, e per rimprovero gli grida dietro: Figliuol mio, ti hai da salvare! — Vel confesso che io cerco di presentarvi aggraziate delle lor forme più amabili le verità della Religione, che è sommo amore; ma forse spogliando in parte dei suoi terrori la parola di Dio, l’avrei per avventura resa meno efficace? Mi dorrebbe l’animo! Al tutto non voglio essere però con voi l’uomo che lusinga, ma il padre che vi vuol salvare; e come s. Giovanni l’Apostolo, dopo di aver assorbita sul petto di Gesù la carità, dopo d’aver assistito a Gesù, quando moriva per salvar tutti, tuonava poi al mondo le più terribili minacce, guai alla città dei peccatori; così io, che ho messo la bocca al Costato di Gesù, ed ho assistito nella Messa al Sacrificio delle sue misericordie, ora anch’io con parola infuocata dal suo amore griderò: guai a voi, se non vi convertite oggi che vi chiama Iddio, cari miei figliuoli; io vi supplico a pensare seriamente questa sera che, non volendoci convertire oggi, forse non ci convertiremo mai più, 1° perché non vorremo convertirci neppure alla morte, 2° perché, anche volendo convertirci alla morte, non lo potremo. Ce lo minaccia Gesù, dicendo: io me ne vado; mi cercherete e morrete nel vostro peccato! Minaccia Dio, il quale solo ci può dare la grazia della conversione alla morte; ed Egli ci fa sapere, ci manda a dire, che forse non ve la darà: minaccia Dio, il quale conosce gli effetti nelle loro cause; d Egli prevede che una vita durata in peccato dovrà poi condurci all’impenitenza finale. Ah siete voi, Gesù Cristo, che minacciate? Ma noi vedendovi colle braccia, col Cuor aperto, noi, si, nel terrore di andare dannati, a fine di cercare uno scampo, ci getteremo in braccio a Voi, né questa sera partiremo di qui senza esserci convertiti. Voi, Maria Santissima, pietosa nostra Madre, mettetemi sul labbro la materna vostra parola, per avvisare i vostri figli che non tardino di far ritorno a Dio, che quest’oggi li chiama ancora: aiutatemi a gridar forte, a gridar tanto forte, finché non si fermino, fossero pure sull’orlo del precipizio. Ah no no, Madre; nessuno si ha da perdere! e Voi dovete metterci tra le braccia del perdono di Dio questa sera, dimodoché nell’ore dell’agonia ci troviamo scampati dal pericolo di una cattiva morte: risolvendo di convertirci adesso per trovarci convertiti nell’ultima ora (Ave Maria). – Meditiamo in prima che non volendoci convertire adesso, forse non ci vorremo convertire neppure alla morte. Non vi aspettate che io voglia atterrirvi coll’orrendo spettacolo di pochi che muoiono ostinatamente dannati. Infelicissimi! che in tutta la loro povera vita fecero guerra a Dio, alla Religione sua santa, e poi finiscono col rifiutare in morte i santi sacramenti che soli li possono salvare. Non le lagrime dell’angosciata consorte, non le preghiere dei figli atterriti, non gli sforzi di tutti i conoscenti spaventati intorno al letto li possono cavare di bocca all’inferno. Essi impenitenti fino all’incredibile, ostinati come i demoni ricusano di confessarsi ed esalano l’ultimo fiato in disperazione. Queste orrende morti si lasciano addietro, come il rimbombo del tuono, tremendo oggetto di scandalo che fa orrore a tutti. Via! gettiamo una manata di terra non consagrata sull’orrido cadavere, tizzone d’inferno, e sepelliamolo nell’eterna dimenticanza. Sono pochi i quali muoiono disperati così, per grazia di Dio, fin ora; ma ci piomba sul cuore, pur troppo, un tristo presentimento che queste morti esecrate, più che nel passato, abbiano a diventare frequenti ai nostri di. Poiché i giovani educati in seno alle famiglie cristiane erano fin nel mattino della vita dalla Religione illuminati; sicché la loro fede, venissero pure le nebbie della fosca incredulità ad ottenebrarla, poteva essere sopita, ma spenta non mai. Restava essa come scintilla nascosta sotto la cenere la quale venendo scossa nella caduta d’una malattia mandava luce vivissima. L’avviso poi della morte era per loro come uno scroscio di tuono in negra burrasca; e al baleno di quel lampo le verità eterne, Dio, il suo giudizio, l’inferno, apparivano nella tremenda loro grandezza. In quel terrore era una grazia il vedersi comparire quasi là in un canto la Religione, come un antico amico della gioventù, a pregarli di cercare uno scampo in seno alla Chiesa, a questa madre nostra fortunata, che salva ancora dei figli da tutti riputati perduti! Di fatto perfino Voltaire, Voltaire sforzandosi dar indietro dall’inferno, che già l’ingoiava sopra morte, urlava: Confessione! Confessione!… — Egli era stato educato cristianamente. Ma tristi a noi! in certe famiglie i nostri poveri figli, senza che una stilla di pietà consoli il fiore della lor vita crescente, essi vengono dal seno materno buttati nei vortici di questo mondo in rivolta, balzati in ogni incontro sempre più lontani dal Signore! Or crederemmo che questi vorranno cercar di gettarsi nelle braccia della misericordia di Dio alla morte?…. Ma se guardarono sempre Dio come un nemico, il quale loro disputava le agognate soddisfazioni!… Vorranno sentirsi volentieri parlar di anima, di eternità? Ma queste verità debbono apparire loro come fantasmi paurosi al letto di morte; ond’essi respingeranno con rabbia anche le più care persone che loro le ricordano, quasi fossero in lega coi Sacerdoti per atterrirli in quell’ora di abbattimento! Faranno quindi riottosi l’ultimo sforzo per battersi, quasi contro aborriti nemici, contro i buoni parenti, contro i Sacerdoti, contro di Dio stesso.  Perciò dobbiam noi paventare che troppo debba crescere il numero di coloro che colla bestemmia in bocca moriranno nel loro peccato: in peccato vestro moriemini! – Ora parlando del morir in peccato non accenniamo a quelle morti fragorose che gettano il terrore su tutti; ma di morti che sembrano buone agli occhi degli uomini, eppure, dice s. Agostino, innanzi a Dio sono egualmente perdute. Parliamo di coloro che si preparano la mala morte alla quieta in due maniere, che dimostrano in se stesse due tremende ragioni. La prima è, che ributtata indegnamente la prima chiamata di Dio particolare anzi solenne, con cui Egli gli invita a salvarsi nella gioventù, si buttano all’abbandonata agl’inviti del mondo: e sempre più poi ingolfandosi negl’impegni e negli affari suoi, si trovano come aggirati nel vortice dei mondani avvolgimenti fino alla morte. La seconda, perché in questo stato non vogliono convertirsi per accecamento dell’intelletto, per la forza dei mali abiti, per indurimento di cuore. Accompagnatemi, o fratelli, e vi vedrete, come sotto gli occhi aperta la via per cui molti vanno alla rotta a dannarsi, nelle accennate due maniere. – Prima di tutto vi debbo mettere sull’avviso, come viene per tutti un terribile momento, forse da molti non avvertito, perché i più in sul cominciar della vita vanno sbadati ad affidarsi al mondo il quale li tradisce allegramente. È un fatto. Al giovane, quando comincia pensare da sé, vien messo dinanzi (secondo l’espressione dello Spirito Santo) la vita e la morte: ed è in quel momento (che appunto noi ancora vogliamo dire terribile), che il giovane, in quanto è da lui, dà la sentenza all’anima sua, se debba salvarsi, o se debba andare dannata. State attenti. In un momento di calma, quando il giovane si trova solo con se stesso, si presenta alla coscienza di lui Iddio con tutte le sue promesse e i suoi diritti di essere servito in tutta la vita. Se il giovane l’ascolta e vuol essere giusto con Dio, e a Dio fa omaggio di tutto se stesso, egli compie la prima giustizia, ch’è il principio dell’eterna salute. Se quindi non guasta l’opera della grazia di Dio, egli troverà in Dio tutto il suo bene che sospira. Ma a questo giovane eziandio, nel paradiso terrestre della fiorente età, si presenta il demonio colle sue lusinghe, con tutti gli allettamenti del piacere: l’invita a goder in terra, e a liberarsi, come da noiosa gente dai buoni, che gli parlan di Dio e dei suoi doveri. Se il giovane in quell’istante a Dio prepone il demonio, se a Dio volta orrendamente le spalle, quasi col dirgli: non mi curo per ora di Voi! ho troppi altri oggetti che mi sono più cari, — commette la più indegna ingiustizia: ingiustizia che vorremo dire fondamentale, perché sopra essa si fabbrica tutta la vita mondana a perdizione eterna. Così, è allora appunto che si mette dalla parte dei reprobi, e va con loro a perdersi, ove Dio non lo salvi ancora. Ributtato così orribilmente Iddio, è fatto dal giovane il primo pericolosissimo passo verso la perdizione! Venite ora a vedere come va la povera gioventù a perdersi negli inganni preparati nella nostra moderna società, in cui si cimenta: e vi resta nella vita mondana terribilmente impegnata fino alla morte! – Ai giovani leggieri, che si buttano folleggiando sbadatamente in cerca di piaceri (e sono i più), s’apre dinanzi un avvenire a mille colori storiato, quasi ampio e fiorito giardino, dove e’ si immaginano e prati e rose e boschetti e delizie. Colla foga di cuori ardenti di brame corrono a disfreno, come lascivi puledri pur calpestando ogni fior d’innocenza, e giù per la china fangosa vanno a tuffarsi perdutamente a gola in ogni pantano di vizi. Intanto al giovane più altero dell’animo s’apre dinanzi l’aringo degli onori. Egli guarda il mondo come un campo da gettarvisi dentro o a far trionfare la propria ambizione. L’accorto comprende che il mondo è sempre di chi sa pigliarselo, e che i più audaci in parole (massime ai nostri dì) se ne fanno padroni; ond’esso si presenta col linguaggio alla moda venditore di ciance nelle adunanze di società: encomia i pregiudizi in voga, lusinga le passioni dell’accozzaglia di piazza, serpeggia in basso fino ai cenni degli onorati malvagi, che sono potenti di alto locarlo per serbarlo cagnotto al proprio servizio. Per tutti poi in questa nostra società tutta nel calcolo, il gran movente è il danaro; e i godenti e le godenti insieme, anche in mezzo al fango delle più abbiette passioni, cercano le pagliuzze dell’oro; e chi è giunto in altezza di grado vuole che il sudato onore gli frutti danaro. Così quasi tutti guardano la società come un grande mercato, il mondo come una miniera da scavarne tesori. A questa fatta d’uomini già nella foia di così vive passioni se alcuno ardisce parlare di Dio, dei beni dell’anima, del Paradiso; ed eglino scioperati che sono in vita molle, s’arrabbiano contro l’importuno che li inquieta nei godimenti, e fanno come i ciacchi sozzi ì quali, mentre stan grufolando se altri li scuote mostrando loro una collana di perle, alzano il grifo, grugniscono arrabbiati e si rintuffano in brago: sus lota in volutabro luti. Agli adoratori d’ogni soleche spunta, alle banderuole politiche che varianogli andamenti col variare del vento in piazza, vorrestevoi parlare di santità di principi?! Eh diteloro che la legge di Dio non muta col mutarsi delleleggi umane; che si debba più obbedire a Dio cheagli uomini, avvegnaché potenti, ed eglino grideranno:la croce addosso ai nemici del nostro progresso!Come poi sono tutti in far danaro, se parlatedi Sacramenti, della dolcezza della pietà; sedite che fare carità ai poverelli è fare imprestito aDio medesimo; questi adoratori della bestia d’oro,per questo che l’amore assimila all’oggetto amato,hanno viscere di metallo, né si commuovono cheal tintinnio dei soldi. Intanto s’impigliano negliaffari del mondo; e gli affari del mondo sono unacatena, dice sant’Eucherio, i cui anelli si avvolgonopiù intralciati, e sempre più stringono alla vita, sinoa quell’ora in cui abbiamo bisogno di trovarci l’animasciolta pel paradiso. A siffatti impegni aggiungansile relazioni di famiglia, gli obblighi di società,certi vizi che snervano il vigore, con un cuore poiin petto che è diventato nient’altro che un pezzodi carne che vibra solo nei godimenti sensibili: evoler pretendere che (senza una grazia particolare) costoro si dien pensiero di servir Dio e di salvarsi, sarebbe lo stesso che pretendere che non fosse vera la parola di Dio, la quale dice, che è impossibil cosa il servire a due padroni: Nemo potest duobus dominis servire. E dunque troppo vero che i giovanisi preparano a morir male col gettarsi all’abbandonatanei pericoli e negli impegni del mondo.Oh ma costoro, gregge dei moderati, sono uomini del giustomezzo! Ammettono bene la Religione come una convenienza: si veramente però che la Religione non abbia adisturbarli nei loro godimenti; non attraversare le mire dell’ambizione; né inquietare l’animo loro, quando sono tuttinell’arricchire senza scrupoli, e nel voler farsi ricchi si cimentanoin tutte tentazioni di commetter qualunque peccato.Cotesta gente si forma una religione a seconda delleloro passioni, e la ripone come una statuina morta fuoridegli usi della vita, a cui dar qualche segno d’omaggio,quando il mondo padrone lo permetta. Costoro pretendonodi venire a patti con Dio, quasi Dio debba transigere conessi ed Egli accontentarsi dei ritagli che gli vorran dare della vita tutta dedita alle proprie soddisfazioni. Con Dio fanno come certi mariti infedeli colla sposa forse amata un dì, i quali per tradirla più perfidamente, senza essere da lei inquietati, le riserbano certe dimostrazioni come d’amore passato, che non sono altro che noiose moine, mentre poi prostituiscono il cuore ad altro oggetto indegnamente amato. Su via! questi uomini del gran mondo daranno a Dio una mezz’ora di noia nella Messa festiva: si accontenti il Signore; ché essi per tutto il resto del giorno santo hanno interessi di maggior importanza: convegni alle campagne, partite alla bettola, viaggi, e lauti desinari. E poi… e poi?… e poi hanno tutt’altro da fare, che servire a Dio!.. Hanno serbato questo giorno a trattare con quelle persone, a trovarsi a quel convegno, a scapricciarsi in quella città, in quel modo… che non vi dico io… Anche la signora con ogni più fina cura tutta la mattina impiega della domenica per mettersi alla parata e volteggiar a pompa con grazia nella chiesa all’ultima Messa, a cui concorrono tutti gli occupati del molle far nulla; ché non parliamo di coloro che hanno doveri che loro disputan la vita. E tutto il resto del dì passa nelle visite, nella passeggiata colla damigella, come le merci in mostra, e nei galanti trattenimenti nelle serate. Che se avvolta in gran modestia di veli, s’accosterà ai Sacramenti in certe solennità, non mancherà però al teatro alla sera, elegante alle feste da ballo e in tale miseria di vesti che…. Signori! e Messe e feste e Sacramenti non sono che moine… Si farà anche la Pasqua qualche volta; ma non sarà poi mai la Pasqua che muti la loro vita. Anzi nel coricarsi la notte ancora un segno di croce, ma alla sfuggita, quasi guardandosi indietro che nessuno si accorga che si è debole tanto. Eh che la Pasqua e il pregare in tal modo non sono che moine, con cui sì può forse lusingare la nostra coscienza, ma non s’inganna Iddio, no, il quale vede il cuor nostro troppo da Lui lontano: cor autem eorum longe est a me, e protesta di gettarci in volto certe false dimostrazioni siccome immondezze da lui troppo aborrite: projiciam super facies vestras stercus solemnitatum vestrarum. Così, quando un mondano si dedica a tutt’uomo agli affari della vita presente, resta travolto da essi quasi da un vortice in perdizione, perché ha fino la sfrontatezza di dire che non ha più tempo a pensare e che non vuol convertirsi fino all’ora della morte. – Ma il Signore con una pazienza infinita, perché è pazienza di Dio, riserba certi suoi colpi nelle ore della sua misericordia. Questi colpi combattevano ben di spesso e gettavano vinti a terra i peccatori più fieri, nei tempi in cui i Cristiani non erano scaduti in tanto sfinimento di costumi svenevoli; ma erano di caratteri energici, così che, se erano stati grandi peccatori, davan però sovente spettacoli di conversioni clamorose. Così avvenne al signor di Rancé. Udite. Egli fior di giovane principe, tra gli impegni del più bello, del più gran mondo, in mezzo alla splendida corte di Francia, vicino al trono, dal monarca ricolmo di onorificenze e di immensi favori (troppe fortune!), si lasciò impigliare in un laccio dei più fatali; io dico nell’amor di una giovine dama, invidia delle vane di quei dì. Dio d’un colpo troncò quella vergognosa catena, fece cader morta la bellissima in mezzo a’ suoi trionfi. Terribilmente colpito il cavaliere non si poteva staccar dalla tomba dell’avvenente, nella frenesia del dolore apre, dicesi, la tomba, stringe con fremito la testina della morta sul proprio cuore, fisso su di essa la guarda. Dio santo! era un teschio annerito, da cui cadevano intorno colle carni sfasciate i biondi capelli!… Questa testina da morto gli resta fitta nel cuore…: Rancé ha un bel frequentare la reggia e mostrarsi intrepido sfoggiando in splendidezze di lusso ai ricevimenti di corte: pur in mezzo a quelle splendide feste in cuor suo sta fitta la testina della dama! Rancé la sciala negli inviti a palazzo, ma tra il banchettare sontuoso la testina della dama! Rancé getta l’oro a manate nelle partite di giuoco delle grandi società; ma pur al tavoliere la testina della dama!….. Rancé non ne può più: scappa via di mezzo di un gran festino, sì chiude nell’appartamento; in quella battaglia affranto si getta sopra un sofà… Pendeva dalla parete della camera un Crocifisso prezioso (ché la moda d’allora non esigeva si scacciasse il Crocifisso, come dai nostri salotti pieni alla men trista di preziose nullità); la lucerna del tavolo pioveva sopra esso una luce velata la quale dava risalto appiè della croce ad una testolina da morto di pallido argento. « Ah! la testina della dama…. » grida balzando in piedi Rancé; e resta muto…. cogli occhi inarcati sulla testolina d’argento…. e poi sul Crocifisso…. Silenzio!…. è il momento del mistero della grazia in quel cuor che martella…. Colle mani serrate sul cuore poco appresso manda questo sospiro: Gesù Cristo! non m’ingannate Voi; no…. Voi siete Dio! dunque m’inganna il mondo…. e questa mia vita è la vita di un reprobo…; e così vado a dannarmi. — Rancé prese una di quelle risoluzioni, che gli snervati nostri direbbero incredibili; andò a seppellirsi in gola ad orride montagne, dove in breve lo raggiunsero cavalieri e uomini grandi ad espiare i godimenti della loro miserabile vita colle penitenze più spaventose alla mollezza nostra. Egli è poi questi l’abate Rancé, il quale fondò la congregazione della Trappa. – Ah signori! per convertirsi quell’uom del gran mondo dovrebbe fermarsi in mezzo alle sue goderie, e dire a se stesso: Io pasciuto sono di tutti i più raffinati pensieri: la mia occupazione ordinaria è divertirmi; non mi niego mai una soddisfazione, sia pur un qualunque peccato. Lauta la mia mensa, in questo sfarzo di casa; ed il mondo mi può ben chiamar fortunato: ma Gesù non m’inganna; se muoio sono un ricco sepolto in inferno: mortuus dives sepultus in inferno. — Quell’uomo d’affari, in quel mar d’interessi dimenticata l’anima affatto, dovrebbe dire: Le campagne, è vero, mi rendono; crescono i miei capitali; che che ne dicano i preti, in quest’impiego nessun può farmi i conti, posso pigliar a man salva, perché il mondo mi tiene in conto di uom d’onore; ma Gesù Cristo mi dice: Stolto! che ti varran le tue ricchezze in fondo all’inferno? — Insomma per convertirsi bisogna dire: Lungi da me, malaugurate soddisfazioni; lungi da me, creature di peccato: voglio riparar le ingiustizie, mortificar la carne che mi tradisce, usare ai Sacramenti, redimere le mie cattive azioni con opere di carità. Ah! che dei godenti ne vedete molti, i quali scialano per una festa da ballo, per una favorita, per una pariglia di cavalli somme, che basterebbero ad isfamare in una carestia tante povere famiglie, dove sono que’ vecchi smunti, sonvi que’ fanciulli ingialliti che basiscono; ma di questi epuloni quanti ne vedete voi far penitenza prima di morire? Muoiono adunque nei loro peccati: in peccato vestro moriemini. – Voi bisognosi sospirate nascostamente quando vedete che le usure dei signori avari vi succhiano il sangue, quando pensate che la vigna, il tugurio, il letticiuolo andrà all’incanto; che là si arraffa negli impieghi, qui si truffa nei contratti, da tutti sì mangia sulla vita della povera gente. Ma di questi ladri ben educati quanti ne vedete fare restituzione per prepararsi al giorno improvviso del giudizio dell’eterna giustizia, al rendiconto con Dio? Eh via che i mondani del nostro tempo condannano anzi fieri la severità del Vangelo, come esagerazioni fanatiche; e trovano mille pretesti per mettere al coperto i loro vizi, per palliare le molte ingiustizie. – Poi anche si gode una segreta compiacenza che sia combattuta la Chiesa, come un malvagio figliuolo gode che sia mortificata la madre, la quale del continuo avvisalo di non andarsi a perdere. Si ruba alla Chiesa, si ride delle scomuniche come di una celia; e per tutte ragioni si ripete: Eh a questi  tempi fanno tutti così! quasi il numero dei ribelli sempre crescente debba imporre a Dio medesimo! Che se la coscienza martella, per soffocare i suoi sospiri si piglia una proroga, Sì rimanda ad altro tempo lo acconciarsi dell’anima, il togliersi via quel peso che l’angustia, e far la pace con Dio. Ma quando? ad un tempo… che non verrà forse mai; quasi per noi si possa disporre delle grazie e del tempo di Dio. Mentre, oh Dio Santo! non vi è forse peccato che metta un maggior caos di separazione tra il peccatore e il vostro perdono, che questo di contarvi le grazie in mano da disporne a volontà, e fare noi da padroni del tempo! – Ma bisogna dar gloria alla bontà di Dio, che lo vuole salvo ancora col mandare a quest’uomo del mondo la più addattata misericordia, nell’ultima e lunga sua malattia. Con essa ferisce il peccatore, come una fiera che fugge; e getta a terra, diremo, sul campo del. combattimento il nemico che ama; e gli offre il perdono, sol che si arrenda. L’ultima misericordia di Dio! chetempo prezioso per riparare ad una vita ormai tutta perduta! che grazia grande conceduta per salvar l’anima ancora! Allora cessati per necessità i tanti affari che si disputarono questa povera vita, nel silenzio della camera, nelle tante buone ore di calma del male, la coscienza la quale si ridesta, il buon Angelo compagno che l’ha come raggiunto finalmente, dopo d’avergli corso appresso piangendo in tutti gli errori della vita, il rimorso, che si fa sentire, come il rincrudir del dolore di una piaga vecchia che era ormai incancrenita, e la grazia di Dio, che inquieta ed agita, tutto è disposto dalla provvidenza di Dio per lasciargli quel po’ di ultimo tempo a salvarsi. Ma il demonio allora gli manda intorno e parenti e gli amici a far che non pensi, affinché non gli scappi dagli artigli. Gli è ben vero che si sente come a dire, che il buon parroco manda a prender notizie, e che gira forse intorno alla casa, si sa che è zelante… che fa intendere se potrebbe visitarlo…; Ma: Profeta di sciagure! che vuol costui?… nessuno ha da disturbare l’ammalato… — Ma però gli si parla d’affari… vuol essere di tutto in- formato… mostra di esser ben grato a chi gli vien a rubare i pensieri, affinché non provveda a salvarsi…; da letto provvede a tutto… E per l’anima?… proprio non un pensiero!… Intanto la malattia progredisce alla rotta: mancano le latenti forze della natura: si osserva un cader lento: in volto ai cari intorno al letto si vede il terrore. …., Dunque è da pensare all’anima… Eh! no, non è ancor tempo!… È che non vuol anche allor convertirsi!…- Ma se già comincia a vacillare, e stirati i lineamenti della faccia…. appaiono i tratti del cadavere?… Ah! egli è alle prese colla morte che già l’abbranca: egli tenta invano di disvincolarsi… Finalmente anche i suoi più cari cessano di tra- dirlo. Col cuor che scoppia dagli occhi, con mezze parole gli fanno intendere, che una visita del Parroco… Egli risponde: domani ci penserò. — È che non vuol convertirsi! Grande Iddio, fin quando la vostra giustizia sta già in atto di colpire il peccatore, ed egli non alzare una mano per chiedere l’ultimo istante per combattere ancora contro la vostra bontà? Mentre gli fate battere il cuore, affinché negli ultimi palpiti si slanci in seno alla vostra misericordia; ed egli fin negli ultimi aneliti non curarsi di Voi? Non è questo un voler morire nel peccato? In peccato vestro moriemini? Ahi che è troppo vero quando il Cristiano in sul cominciar della vita non si cura di servir Dio in quel fior dell’età, e si getta all’abbandonata negli impegni col mondo, gl’impegni del mondo diventano sempre più tenaci, l’amore lo attacca vivamente e lo assimila agli oggetti dei peccati: sprofondato in quei godimenti non sa più distaccarsene, non vive più che in essi; senza mai un pensiero per l’anima, non gusta che piaceri di carne: insensibile ai movimenti della grazia, si precipita a dannarsi, perché non vuole convertirsi per accecamento dell’intelletto; per la forza degli abiti; per indurimento di cuore. Diciamo per accecamento d’intelletto; e questo avvien pur troppo ai nostri giorni più che per lo passato. Fu già notato che la tomba ricorda la culla. Perché i peccatori, anche più superbi, in fondo non sono che uomini anch’essi; e nell’abbandono delle forze sopra morte sentono un bisogno che lor fa sospirare la madre. L’idea poi della madre ridesta il sentimento della bontà di Dio che gustarono in seno a lei; almeno in quel tempo, quando le madri non erano le dottoresse invero; ma donne devote che parlavan di Dio. Ora troppo sovente le madri sono sapute, spregiudicate, anziché devotuccie: leggono i giornali, anche empi, i romanzi di passioni più calde, e li tengono sul tavoliere esposti ai fanciulli: i quali possono edificarsi almen nelle stampe contemplando per ore le più sguaiate figure. Poiché dicono: è bene che i fanciulli sappiano tutto. (Nuovo metodo di fare buon sangue: dare il veleno ai figlioletti nello svilupparsi della loro vita). Questi poi dalle famiglie via alle scuole; ed io non so quali, ma so che certo non innamorano troppo di Dio. Così anche senza molta dottrina cristiana, han la religione bella e formata.. Se pur la religione è ancora per loro tanto importante da doverne aver alcuna. Almeno si vantan esse con boria di avere tagliuzzata una religione a modo della loro testa, in cui per dogmi stanno le proprie sventatezze, per leggi le passioni, per precetti di vivere i pregiudizi in voga. Siffatta educazione basta: il resto lo faran poi le passioni. Vengono certi momenti in cui la verità eterna di Dio fa sentire la sua potenza. Un amico che si converta, un redattor di giornali che faccia ritrattazioni, un colpo di morte improvvisa in circostanze che fanno restare storditi, una predica in una missione, certi lampi di verità e di grazia da scuotere anche i più assopiti, fanno sentire il bisogno di mutar vita, e di tornare a Dio. Ma il peccatore si riscuote, e quasi si rimprovera. — Eh via, dice, sono avanzi di pregiudizi vecchi cotesti…; ora siamo illuminati noi, e sappiam regolarci. — Per tal modo vengono a dire: allontanatevi, o Signore, che i vostri lumi ci disturbano troppo: Recede a nobis, scientiam viarum tuarum nolumus. (Iob. XXIV, 144). Sono adunque peccatori illuminati; e i peccatori illuminati, senza un miracolo di Dio, sono peccatori perduti, che non vogliono convertirsi, neppure alla morte, per accecamento nelle vie del Signore; ma si danno al reprobo senso, si sprofondano nelle fogne di vizi, e il mal abito del peccato diventa natura. E in vero, quando dissennatamente da giovane si cominciarono a guardare i disonesti costumi come leggerezze convenienti all’età, i disordini continuati della gioventù lasciano un fondo di debolezza che consuma ogni nerbo; tutte le occasioni diventano cadute, e lo stato abituale di tali giovani infelici, più che una lagrimevole fragilità, è la più indegna corruzione. Usi a pascolare la carne dei piaceri, i peccati diventano quasi necessari non altrimenti che il pane d’ogni dì. Ora pretendere che chi si sbrama di carne tutta la vita, alla morte sospiri il ben di Dio; pretendere che questi fracidi sepolti in invecchiata carnalità risorgano come anime ansiose di volar con Dio in paradiso alla morte, è un pretendere che la carne marcia diventi spirito, è un pretendere che dalla natura umana si faccia il più gran miracolo di forza nell’ora del più spaventoso abbattimento. Ah! che l’abito trascina quasi con irresistibile forza a morire in peccato. E gli sciagurati che si lasciano andare disfatti in brutali stemperamenti di lascivie, che si ingolfano in bagordi continui diventano simili a quei luridi Cinesi abituati a fumare l’oppio, i quali si sentono macchinalmente trascinare nella tana dei fumatori: là si buttano al bragiere ed assorbono a gonfie guance il velenoso profumo. Fan ribrezzo al vederli! Si annebbiano gli occhi incantati, tremolano tutte le membra, e fumano ancora: barcollano….. e infine cadono nel più pauroso assopimento, fatti oggetti agli osceni scherni della bordaglia. Così il bettoliere, che s’abbandona senza ritegno a villano stemperamento di ubriachezze, ancora nell’ultima malattia agogna tuffarsi nel vino. Così la donna solita a mettersi in vanità per suscitar seduzioni, anche nel letto di morte coltiva un avanzo di bellezza schifosa in un cadavere che infracidisce. Così l’avaro col cuor sempre attaccato al suo tesoro di metallo muore rivolgendosi al danaro, che la man di Dio gli strappa dalle viscere. E chi ne’ suoi trasporti squarcia la bocca alla bestemmia, fino negli ultimi aneliti della morte, quando già lo strozza l’agonia, se sente un acuto dolore, bestemmia Cristo oggi; e dimani e’ sì trova tradotto al tribunale di Cristo. E infine chi vive da anni con la creatura di peccato in casa, là sulla sponda della bara muore giurando un’abbominevole fedeltà; ché l’abito riduce all’induramento del cuore. Terribile è lo stato a cui conduce l’accecamento dell’intelletto e l’abuso delle grazie nel continuo peccare. Allora pel peccatore indurato nel male, niente fa più spavento; e le verità più tremende hanno perduto la loro forza: onde ei si ride persino della morte e dell’inferno. Noi abbiam potuto sentirne come molti di questi peccatori dal cuor di pietra, rappresentandosi in quelle orge dei loro teatri l’inferno cogli orrori che spaventano fin il pensiero, battessero le mani esclamando: oh bello l’inferno! replica l’inferno! » Soliti a resistere a tutte le inspirazioni della grazia, sono diventati battaglieri agguerriti nel resistere a tutti i colpi. Li visiti pure un pio Sacerdote per convertirli al letto di morte; ed essi, che deridevano le cose di Dio in vita, con orribili facezie sopra morte mettono in ridicolo per anco le tenerezze dello zelo dell’uomo di Dio. Giri pure intorno al morente il santo uomo; il peccatore indurito è come una pianta morta, un arido tronco che, per coltivare che si faccia, non mette fuori un fil di verde di buona speranza: è un duro macigno che, per percuoterlo che si faccia colla verga della parola, non dà una stilla di consolazione; e se Dio stesso lo vuol salvare, deve fare il più gran miracolo della sua onnipotente misericordia: creargli dentro un cuor di carne, in luogo di quel suo cuor di macigno. – Senza questo miracolo, aspettare che si converta é come aspettare che una rupe di granito si ammollisca in olio; è un aspettare che la malizia umana ridotta alla diabolica pertinacia si assimili alla bontà di Dio. Pur troppo ci dobbiamo aspettare che costoro muoiano nel loro peccato: In peccato vestro moriemini! – Dunque questo povero uomo peccatore, che pur troppo ributtò Dio fino dalla gioventù sprofondandosi nelle vie della carne, e dandosi a cercar tutto il suo bene nel mondo, si attacca alle cose del mondo furiosamente fino alla morte, e non vuol convertirsi a Dio neppure alla morte. – Ma però spaventa ancora più il pensare, nel secondo punto, che, anche volendosi convertire presso alla morte, forse non lo potrà. – Si, il peccatore che fa conto di convertirsi alla morte, forse non lo potrà fare. Il Vangelo, questo gran libro delle verità che hanno da salvarci, mira a farcene avveduti, insegnandoci di star preparati a morire ad ogni istante, con una parabola di ammiranda semplicità, e sublime come l’eloquenza di uno splendido vero. Di dieci vergini, dice il Salvatore nostro Gesù, cinque erano prudenti, e cinque fatue, Ma però, a fine di comprendere la parabola, la quale troppo sovente diventa un fatto, giova ricordare il costume degli Ebrei, quando menavano sposa. Essi la conducevano a casa di notte; e per quell’ora invitavano le giovanette del paese, che si radunavano bianco vestite, inghirlandate di fiori, colle loro fiaccole pronte per andare incontro a festeggiare gli sposi, cui poscia in bel corteo accompagnavano in casa. Qui si chiudeva allora la porta, si apriva lautamente il convito, e le vergini in fine ricevevano dallo sposo i bei regali. Ora, dice Gesù Salvatore, tardando l’arrivo dello sposo, le dieci vergini raccolte là dormicchiavano alquanto, e poi attaccarono a dormire della grossa; quand’ecco a mezza notte risuonar l’aere delle liete grida. Lo sposo viene! su, su a fare evviva agli sposi! Sorsero le cinque prudenti; diedero presto mano alle loro lucerne, ed accesele, così allestite furono in sulle mosse. Sorsero anche le fatue, presero le loro lucerne, e lì per accenderle. Oh le senza testa! Non avevano preparato l’olio… Allora: dateci, dateci dell’olio vostro, o sorelle! Ma sì, le prudenti non ne avevano che per loro! Uscirono le sprovvedute alla cerca, e ritornarono; se non che l’ora era già tarda; la porta era chiusa, ed elleno restarono là nell’oscuro di fuori a battere i denti asciutti. Ora, o fratelli, fermiamoci sopra il pensiero, ed osserviamo com’erano vergini quelle che aspettavano lo sposo, e come lo sposo venne di notte, quando non ci pensavano. Dite voi: se quelle erano vergini, che sarà di noi, che non siamo vergini, non senza impegni, non pronti a far festa allo sposo; di noi che abbiamo tanti legami contratti col mondo, in cui tanti affari ci rubano tutta la vita; sicché non ci resterà tempo neppur quando ci verrà sopra la morte? Che sarà di noi, i quali, ben lungi dal sospirare come anima vergine il Signore, che l’invita alle nozze immacolate, adulterammo perduti in amore colle creature? Che sarà di noi, se lo sposo viene di notte, allorché dormiamo i più stupidi sonni in una vita sepolta in peccati? E notate ancora che lo sposo venne proprio quando quelle addormentate tranquillamente non sel pensavano neppur in sogno; e quand’è che l’uom pensa a tutt’altro che d’aspettare il Signore nella morte;… quando l’uom pecca…. Giusto Iddio! E proprio quando l’uomo pecca, Voi lo potete mandare alla morte, sicché cominci il peccato e prima di compirlo piombi in inferno!… Sì veramente! e chi vi assicura, mio caro giovane, che non cadrete morto li, quando vi stemprate In peccato? nessuno, nessuno. Anzi lo Spirito Santo vi dice, che anche il povero Onano accontentava la carne, quando lo sdegno di Dio in quell’istante lo percosse di un colpo, lo gettò nell’inferno, morto nel suo peccato. Chi vi assicura o donna, che ad arte vestita e ad arte non vestita in quella festa attirate gli sguardi, e seducete il cuore di tanti, chi vi assicura che non cadiate morta proprio in quel festino? Nessuno, nessuno! Anche Gezabella faceva la vana là sul balcone; e Gezabella fu dal balcone in quell’istante precipitata, e restò abbasso subito divorata dai cani. Chi vi assicura, o libertino, che non cadrete morto in una bettola tra le gozzoviglie, o in quella che squarciate la bocca alla bestemmia? Ah chi vi entra mallevadore che, colla gazzetta in mano là nel caffè maledicendo al Papa, non moriate scomunicato in sul momento? Nessuno, nessuno! Anche Baldassarre cioncava e ribeveva coi vasi rapinati nel tempio; ed oh che è mai? Gli si rizzano i capelli in testa ,… guarda cogli occhi inarcati, trema in tutte le membra :… e perché?… Ve’ una mano spaventosa che scrive sulla parete dirimpetto al re: « questa notte perderai il regno e la vita. « E Baldassarre fu trucidato in quella notte! Chi vi assicura che non cadrete morto d’un colpo in quella notte in cui girate da una casa all’altra per cercar di peccare, come va in cerca di carne l’immondo gufo? nessuno, nessuno! Anche Oloferne teneva chiusa nella tenda Giuditta; ma in quella che sognava piaceri, addormentato sul letto, il colpo di spada gli fece cadere la testa per terra, sì che dal sogno del piacere fu buttata l’anima sua nell’inferno! Ah che bene ci grida Gesù: « state preparati, perché la morte vi viene come il ladro alla vita. » E noi lo vediamo tutti i di nelle morti improvvise, nelle morti non improvvise, ma accelerate e non benpreparate, e finalmente lo vediamo nelle morti cattive. – Ho detto nelle morti improvvise. Eh fa d’uopo che io ve lo dimostri? Non siete voi anzi storditi all’intronare di tanti colpi di morti improvvise? Ahi sentesi un grido di terrore: Ah Signore! è morto qui adesso un nostro caro all’improvviso! Dall’altra parte si piange forte: Poveri noi, il nostro papà l’abbiamo trovato morto stamattina nel letto. E perché corre gente colà? Ah padre! li sulla strada è caduto un ubbriaco… morto! Là nell’osteria si è infuriato in un giuoco e vi restò morto quel tale! Quella dama nella saletta: quella signora là nel far pompa di bello spirito, cadde morta in mezzo ai signori; e quel tale seduto al tavoletto nel caffè restossi cadavere colla gazzetta scomunicata in mano!….. Ahi! Ahi! qui, e qua, dappertutto fulminano i colpi di morte improvvisa, quali lampi del furore di Dio, che lasciano intorno un fetor di zolfo d’inferno in certi luoghi!… – Vive ancora, ve lo voglio contare, vive ancora oggi in un ritiro di donne penitenti una povera figlia sempre in singulti di dolore, inconsolabile. Essendosi un pio sacerdote fatto venire, a fine di consolarla, mentre il buon prete le andava dicendo: figliuola, gettatevi nel vostro dolore ai piedi di Gesù e consolatevi nella sua misericordia, come la Maddalena! ella risposegli: no, non posso consolarmi più; ed alzando la faccia ingiallita, colle mani nei capelli, cogli occhi gonfi che pareva sanguinassero, con rotti singhiozzi, mandò un urlo con queste parole: « Ah… proprio là in quella casa… in quella tana di peccati, o in quella bocca d’inferno mi vidi appresso strozzato dalla morte negro, ah l’ho ancor su gli occhi;…. li negro come un carbone, l’orrido uom del peccato…. » Deh figliuoli, abbracciamo atterriti le ginocchia a Gesù nel Sacramento: ripariamo dai colpi della morte in petto a lui nel Sacramento, e gridiamogli nel suo Cuor ch’è nostro: « A morte improvisa: libera nos, Domine! » – Ma vi hanno delle morti che mandano all’inferno alla quieta, perché, quantunque non improvvise, non sono però preparate e, se non fan rumore agli orecchi degli uomini, sono però morti egualmente di perduti dinanzi a Dio. Non si è spenta all’improvviso quella persona, ma le venne uno svenimento … accorre il medico… e dichiara che è un accidente di apoplessia. Presto dunque, si chiami un prete… Cento preti son sempre pronti in città; in quell’istante non se ne trova alcuno….. Là, che giunge tutto affannato, mezz’ora dopo….. « Padre, singhiozzava or ora;… adesso è assopito.., Ahi il cuore non batte più :…. non ci resta che piangere!…. » Castigo di Dio: costui era solito di dire: di preti ve ne ha troppi. » Non è morta all’improvviso quella donna; ma un parossismo di febbre l’assale, la getta irrigidita sul letto. Aspettiamo che ritorni in sé: ora è in lotta colla febbre… No, no, è in lotta colla morte che già l’uccide!… Corre il sacerdote e trova un cadavere che ancor respira; l’assolve subito; ma, eh no che non giugne ad assolverla, quell’anima è già nella eternità!… Non è morto all’improvviso quell’uomo; un colpo di sole in campagna lo colse: ha un afflusso di sangue al cervello, e son due giorni che smania infuocato in furore. Il buon sacerdote gli gira intorno con carità, stringe colle proprie mani le mani al frenetico: ma tocca forse il cuore a quel meschino? Gli fa ripetere: « Gesù e Maria!» cari Nomi, nostre speranze … ma sbuffando in furor quel meschino rompe in questi Nomi in tal orribile modo, che il sacerdote resta incerto, se quegli preghi o bestemmi. Lo assolve atterrito, e lo vede morir così mal preparato, che no, non può dir con tanto buon cuore a coloro che restano nello spavento: confidate che egli è salvo in paradiso. Abbiam detto: nelle cattive morti. Poiché, o signori, intendete questa tremenda verità: ciò è che Dio com’è infinito nella sua misericordia, ha pure infinitala sua giustizia; e se dal peccatore indurato fu continuamente attaccato, anzi come colpito nella sua santità, poi finalmente provocato a sdegno con tante ribalderie debbe aver il tempo per la sua vendetta. E lo ha! Tremiamo, perché Egli dice proprio, che nella tetra ora del suo sdegno, manderà il colpo del suo furore! che farà scherno al peccatore abbattuto nell’ora della perdizione, e che bagnerà nel sangue del peccatore la saetta del suo furore!… (Deh ce ne scampi Gesù Salvator nostro!) Via, ecco che quest’ora è venuta, in cui l’uom dell’orgoglio è abbattuto per terra; egli ha da morire! Che se è ostinato come un demonio egli, almeno gli altri chiamino il sacerdote e glielo mandino intorno per forza, affinchè; vorrei dire contro sua voglia, lo pigli tra le sue braccia e lo strappi via dalla bocca d’inferno… Un sacerdote?… Eh! Ricordatevi che il sacerdote fu respinto le tante volte; fu perseguitato;… al sacerdote fu troncato il nerbo della sua potenza. Egli fu cacciato via come vil ributto da questa società che non vuole più Dio; e resta ora il prete, come un uom sepolto nel mondo. In quest’ora ad evocarlo si farebbe quello che fu fatto, quando fu evocato dal sepolcro il profeta Samuele, la cui anima dal tenebror della morte fu mandata a fulminar il tremendo castigo di Dio. State attenti. Re Saulle, dopo un esecrato abuso di grazia di Dio, era caduto in mano della sua vendetta. Stava nel frangente d’attaccare la battaglia, che gli minacciava orrenda rotta; di che forte agitato per terror del cimento, recossi a consultare la pitonessa, terribile donna che comunicava tra cupi misteri colle anime dei morti. Là nella spaventosa caverna Saulle le intima: Pitonessa, chiamami qui l’anima di Samuele — La pitonessa balza sul tripode, getta una manata di sacrilego incenso sui carboni ardenti; in quella oscurità, al riverbero della vampa tutta di fuoco, fa terribili scongiuri, si contorce in tormini come invasata, gonfia i fianchi, si morde le labbra, getta in aria con furore le trecce, e colla schiuma alla bocca, cogli occhi a maniera di vetro rovente, manda un urlo tremendamente, e: Saulle! Saulle! L’anima di Samuele è qui! parlale tu… tu… Saulle si ripara alle spalle dell’orrida donna e dice tremando: Samuele!… dimmi, che sarà dimani di me!…. E Samuele a lui: Re disgraziato! a che mi chiami in quest’ora?…. allora era tempo di ascoltarmi, quando ti scongiurava le tante volte di ritornar a Dio!… Tu mi ributtasti;…. ed io a piangere per te!… Ora non ho per te che minacce e guai…. Dimani, rotto nel campo in battaglia, cadrai scannato sul tuo stesso brando;…. e i cavalli dei Filistei irrompendo nel furore della lotta a galoppo, e tu….. resterai sotto i lor piè stritolato!… In quel rombar di minacce Samuele disparve…… Signori, anco il sacerdote dovrebbe gridare: Oh! che mi chiamate voi al fianco di quel riprovato? Sono io forse destinato ad essere testimonio della vendetta di Dio, che cerco sempre di scongiurare? Io fatto ministro di misericordia lo invitai le tante volte, lo pregai, gli gridai appresso piangendo, rassicurandolo che, se avessi potuto avermelo tra le braccia, lo avrei portato tra le braccia del perdono di Dio, e messo in sicuro nel Cuor di Gesù! … Ora lasciatemi piangere appiè di Gesù Crocifisso, sprofondato nel dolore per la perdizione. di quell’anima….. Ah, fratelli, fratelli, mi manca il cuore… Ma… ah! palpito in questo istante. O Gesù!… Gesù mio!… siete voi che mi fate battere il cuor così!… Siete voi sì, che voleste salvo il ladro nel momento della sua e della vostra agonia!… Sì, Gesù, il mio buon Salvatore, il Salvatore di tutti! Miei figliuoli, ve lo dico tremando sul Cuor di Gesù…. Saulle moriva abbandonato; ma allora non era ancor morto crocifisso questo nostro Gesù!… allora non avevamo ancora una madre, come Maria, ad assisterci nella nostra agonia; allora non era ancor qui con noi in terra Gesù col cuore aperto e colle braccia e le mani piene di Sangue nel Sacramento, che vuol tutti salvi… Vedete un povero peccator nostro figlio, che par che non possa convertirsi in lotta col demonio!… Ebbene correte a chiamarci: ci troverete; noi siam col cuore nel Cuor di Gesù! Oh sì! noi voleremo subito con Gesù che teniamo sempre in cuore; e se cì sarà dattorno il diavolo che ci contrasta, exorcizo te, cruenta bestia (grideremo): demonio omicida, va all’inferno! Noi chiuderemo l’inferno col metterci sopra il Crocifisso, ed abbracciando il peccatore nell’agonia, riceveremo l’anima figliuola del Sangue di Gesù, la quale egli spirerà in questo petto nostro; e qui dentro la metteremo nel Cuor di Gesù, non potrà precipitar nell’inferno, volerà al paradiso… Qui son ridotto ad esclamare: oh figliuoli! poveri noi in che tristi tempi noi siamo ridotti!… Ahi mi sento soffocare il respiro:… ho paura di dirlo; ma ve lo dico tremando;…. se alcuno non si vuol proprio convertire adesso, misero a lui… forse non sì vorrà convertire più mai: forse non si vorrà convertire alla morte, o forse, anche volendolo alla morte, non lo potrà!… Poveri noi, che cattivi tempi! lo ripeto… ho paura di dirlo; ma pure ve lo voglio dire…. Però, se mai durasse un peccator ostinato fino alla morte… chiamateci, se giungiam in tempo, gli diremo le più care cose, piangeremo per lui, lo abbracceremo, oh speriamo, si convertirà, allora lo strapperemo colla potenza dell’amor di Gesù di bocca all’inferno… Sì, se arriveremo a tempo…. Che se non arriveremo a tempo, egli è dannato! Gesù mio, misericordia! O Maria, ve li raccomandiamo i peccatori più ostinati ora e per l’ora della morte: Sancta Maria Mater……. etc. nunc et in hora mortis nostræ!