Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (10), capp. XVII-XIX

CAPITOLO XVII.

CARITÀ DEL BUON LADRONE.

Carità del Buon Ladrone grande quanto la sua fede e la sua speranza.— Amore del Buon Ladrone per Nostro Signore. — Egli dimentica totalmente se stesso per non pensare che a lui. — Bei passi di S. Gregorio Magno, di S. Bernardino da Siena, e del B. Amedeo. — L’amore lo fa parlare. — Coraggio eroico nelle sue parole. — Amore del Buon Ladrone pel suo compagno di supplizio. — Oggetto di eterna ammirazione. — Passo del venerabile Beda. La corona dell’edifizio è la carità.

Non meno della fede e della speranza questa virtù risplende di una luce incomparabile nel Buon Ladrone. La carità tende all’unione; amare non è che unire. Allorquando i pensieri di una persona son pure i nostri pensieri; le affezioni sue, nostre affezioni; nostri i suoi interessi, i suoi dolori, le sue gioie, le sue speranze, la sua vita, noi possiamo dire che l’amiamo. Ora la carità ha due braccia; con uno abbraccia Dio, e coll’altro il prossimo. Col primo si appoggia a Dio per innalzarsi fino a lui; col secondo si attacca al prossimo per innalzarlo fino a Dio, ultimo termine, riposo e premio di ogni amore. Con questa nobile operazione la carità conduce tutte le cose all’unità. Se, qual noi l’abbiamo definita, questa virtù brilla ad un tratto in un’anima; se ella si appalesa con opere che riecheggiano un coraggio eccezionale, un coraggio più forte che la morte, è dessa eroica. Sarà egli necessario aggiungere che la carità di s. Disma riveste questi gloriosi caratteri? Nessun viaggiatore raggiunge d’un salto la cima di un’alta montagna, né il sole spande in un tratto sul mondo i suoi torrenti di luce. Avviene il medesimo nel mondo morale: nessuno si innalza alla perfezione in un batter d’occhio: Nemo repente fit summus. La perfezione è prezzo di lunghi sforzi, e di duri combattimenti. Alcuna volta Iddio dispensa da questa legge provvidenziale, e si vede, benché raramente, qualche anima arrivare in breve tempo al colmo della perfezione. In prima fila di queste anime privilegiate dalla grazia figura il Buon Ladrone. Nel rapido corso di pochi momenti egli acquista ad un grado eroico la regina delle virtù, la carità. Ciò che in una gran macchina è la ruota maestra, la quale mette in movimento tutte le ruote secondarie; e ciò che in un ammasso di paglia è la scintilla ardente che consuma quanto può essere consumato, la carità lo fu nell’anima di Disma. – « I chiodi, dice s. Gregorio, gli teneano confitti alla croce i piedi e le mani, e non aveva di libero che il cuore e la lingua. Ispirato da Nostro Signore egli offre tutto ciò che ha di libero; il cuore per ottener la giustizia, la lingua per ottener la salute. Per sentenza dell’Apostolo, tre sopraeminenti virtù hanno sede nel cuor dei fedeli, la fede, la speranza e la carità; di tutte tre, una grazia subitanea ricolmò il Buon Ladrone, che le serbò sulla croce. » Gli altri Padri, e fra questi s. Bernardino da Siena, parlano come s, Gregorio. « Tutto ciò che il Buon Ladrone possiede, dice il serafico predicatore, lo consacra a Gesù, qual sacrificio di perfetto amore. Inchiodato alla croce, non può far uso né dei piedi, né delle mani; ma consacra a di lui servizio le due cose di cui può disporre, il cuore e la lingua. Il cuore come un profumo del più soave odore bruciato dal fuoco della carità; la lingua come organo del suo amore. » [Serm. in Parasce., 53, c. II.] – Che dirò io ancora ? « O fenice, esclama il beato Amedeo, più soavemente odorosa del cinnamomo, del balsamo, e del nardo; la sola tua vista è più grata al re che tutti i profumi. [Homil. In obit. Virg.]. La carità che consuma il cuore di Disma, fa muovere la sua lingua. E qui essa mostrasi, s’egli è possibile, anche più eroica. Dal momento che il Buon Ladrone ha riconosciuto la divinità e la innocenza di Nostro Signore, ha compreso la causa dei suoi patimenti. La ragione dei suoi dolori (egli dice a se stesso) è nei delitti de’ peccatori; e chi vi sarà più abominevole di me? Egli è per me che fino alla feccia beve 1’amaro calice; egli è per salvar me dalle eterne pene dell’inferno ch’è tutto coperto di piaghe; egli è per farmi felice con esso Lui che dà la sua vita. [S. Max. Homil. 1 De S. Latr.]. E il suo amore prorompe in parole eroicamente coraggiose. Dimenticando i suoi propri tormenti, Disma non vede che quelli di Gesù. La causa di lui diviene la sua. Egli si fa suo apologista, proclama altamente la sua innocenza, e per questo non teme di affrontar l’odio di tutta la Sinagoga.8 [S. Basil. Seleuc., Orat. in Bibl. PP.] – « No (grida egli) Gesù Nazareno non ha fatto alcun male: Hic autem nihil mali gessit. Anna, Caifa, pontefici, sacerdoti, seniori del popolo, Pilato, e voi tutti che lo avete condannato a morte, qual delitti avete a rimproverargli? È forse un misfatto l’avervi predicato l’amor di Dio e degli uomini? aver risanato i vostri infermi, risuscitato i vostri morti, convertito i peccatori, consolato gli afflitti, nutriti i poveri, liberati gli ossessi? Sarà egli per tutto questo che voi l’avete colmato di oltraggi, coperto di piaghe, di sputi, e condannato al più infame dei supplizi? Io ed il mio compagno siamo ben colpevoli, ma Gesù di Nazareth è innocente: Hic autem nihil mali gessit. » Tutte queste dure verità ed altre ancora sono compendiate in queste due parole: egli non è colpevole. – Tutti i secoli hanno ammirato il coraggio che fece dire quelle verità ad una Sinagoga fremente. « Esaminiamo attentamente, dice un dotto e pio cenobita, qual uomo fosse questo ladrone, per tema che ignorando noi la ragione della sua speranza, non avessimo a cadere nella presunzione. Tutti gli amici, i prossimi e i seguaci del Salvatore, i suoi parenti ed anche i suoi propri discepoli privilegiati tra tutti gii uomini, vedendolo sotto il peso di tanti strazi, di tante umiliazioni, di tanti obbrobri, si erano dispersi, come mandrie di pecore, delle quali sia scomparso il pastore. Il discepolo prediletto di Gesù egli pur era fuggito, e Pietro così ardente lo seguiva da lungi. Tutti avevano dimenticato i miracoli che tante volte avevano veduto operati dal loro Maestro, e la potenza di operarne eglino stessi. Ed ecco che questo Ladrone, in mezzo a tanti oltraggi e miserie, che dissi mai? in mezzo ai tormenti della croce e le angosce della morte, riconosce per suo Dio quello che non aveva mai conosciuto, e con piena fiducia domanda soccorso e pietà a Colui, che pareva averne per se medesimo sì gran bisogno. Quale mai fra gli Apostoli mostrò egual coraggio? Tutti fuggono da colui che vivo avevano confessato; ed il Ladrone che vivo lo aveva negato, moribondo lo confessa. » La carità, dicemmo poc’ anzi, ha due braccia. Con uno ha Disma abbracciato Nostro Signore; con l’altro egli cerca di prendere il suo compagno per darlo al Dio Redentore; e dopo averlo avuto complice dei suoi delitti, averlo compagno nell’eterna sua felicità. Disma si fa missionario. Siccome il timore è il principio della sapienza, sua prima cura è di risvegliarlo nell’anima del suo discepolo. « Nemmen tu, gli dice, temi Dio: Neque tu times Deum? Al pari di me, tu vai a morire, ed a tutti i nostri passati delitti, non temi di aggiungerne un nuovo, insultando questo giusto e bestemmiandolo? Tu dunque non temi quel Dio che tra pochi momenti ti giudicherà ? » Quindi lo prende dal lato del suo amor proprio. « Tu l’insulti trovandoti nello stesso supplizio? Qui in eadem damnatione es? Come mai non vedi che gli insulti che a lui rivolgi, cadono su te e su me, poiché siamo tutti tre nella medesima condizione? Non abbiamo noi pene abbastanza, alle quali non possiamo sottrarci, perché sia d’uopo aggiungerne altre ancora? Quando pure il nostro compagno di supplizio fosse colpevole, l’insultarlo sarebbe viltà; ma egli è innocente, e l’insultarlo è delitto. Anzi Egli e più che innocente; è la stessa innocenza, egli è Dio. Egli muore per te, come per me. Egli è pronto a perdonarti. Quale accecamento ti trattiene dai riconoscerlo? Rientra in te stesso, ed i patiboli che separano l’uno dall’altro i nostri corpi, riuniranno le nostre anime nella gloria. » [S. Chrys., De Cruce, apud P. Orilia, p. 179.]. – Sappiamo come profittasse il cattivo ladrone dell’ardente carità di Disma; la quale fu tanto più meritoria in quanto che non ricevé la sua ricompensa in questo mondo, e per esercitarla ebbe egli d’uopo di un coraggio eroico. Procurando di convertire il suo compagno, si faceva l’apologista di Nostro Signore, il predicatore della sua divinità, e il pubblico accusatore di tutta la Sinagoga. A qual raddoppiamento di oltraggi, di scherni e di tormenti lo esponeva un siffatto ardimento? Per comprenderlo, bisognerebbe avere piena conoscenza dell’odio profondo degli Ebrei per Nostro Signore. Checché ne sia, la tradizione ci fa sapere che per il suo coraggio ebbe Disma il privilegio, che a lui pel primo rompessero le gambe; sicuramente per ridurre più presto al silenzio quella voce accusatrice. « E chi dunque, esclama il venerabile Beda, potrà ritenersi dall’ammirare l’eroica carità del Buon Ladrone : Quis hujus latronis animum non miretur? » [In Luc., XXIII, c. VI.] Non ci basti di ammirarlo, ma ciascuno di noi, nella sua condizione, si sforzi di imitarlo.

CAPITOLO XVIII.

PRUDENZA E GIUSTIZIA DEL BUON LADRONE.

Virtù necessarie alla canonizzazione. — La prudenza. — Che cosa sia. — Essa fu eroica nel buon Ladrone. — Testimonianze di S. Gregorio Nisseno,diS. Giovanni Crisostomo, di S. Lorenzo Giustiniani. — Giustizia del buon Ladrone. — Giustizia rapporto a Dio, e rapporto al prossimo. — Parole dell’Ab. Goffredo di Vendome.

Fra tutti i santi, il cui numero vince quello delle stelle del firmamento, il Buon Ladrone è il solo che abbia la gloria di essere stato canonizzato ancor vivo, e canonizzato da Nostro Signore Gesù Cristo in persona. Oggi sarai meco in paradìso, tal si fu il decreto della sua canonizzazione. Un tal decreto suppone la pratica in grado eroico delle tre teologali virtù, fede, speranza, e carità, non che delle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza, e temperanza. Noi vedemmo già le tre prime risplendere in Disma di una luce tale da adombrare la fede, la speranza e la carità stessa degli Apostoli. Ma portò egli allo stesso grado di eroismo le quattro ultime? Si, è questa l’importante questione che ci resta da discutere. Secondo il principe della teologia, la prudenza è la buona consigliera di tutta la vita umana; della vita del tempo e della vita dell’eternità. [1. 2. q. 57, art. 4 ad 3.1]. Per esser buona, deve essa dirigere la vita del tempo alla vita dell’eternità, e far servir una all’acquisto dell’altra. Ogni altra prudenza è prudenza terrena, animale, diabolica; può ben diriger l’uomo a far acquisto di ricchezze e di terrene dignità, ma fomentando in lui il desiderio dei beni passeggeri, gli fa perder di vista il suo ultimo fine, e lo porta ad una irreparabile infelicità. Di questa falsa prudenza aveva Disma in tutta la sua vita seguito i biasimevoli consigli. Ancora un poco, e sarebbe caduto nel baratro che essa gli aveva scavato sotto i piedi. In un subito la vera prudenza discende nel convertito del Calvario, e noi la vediamo risplendere della stessa luce che la fede, la speranza, e la carità. Essa fa splendida mostra di sé nella resipiscenza per la quale rientra in se stesso, nella confessione dello sue colpe, e nella preghiera che volge ai Salvatore. Egli non può più illudersi: ben comprende che prossima è la sua fine, e vede che non gli restano se non pochi istanti di quella che volgarmente si chiama vita; ma che invece è una continua morte. Senza indugio ei rivolge il pensiero all’acquisto della vera vita, di quella che incomincia al di là del sepolcro. La divina prudenza che lo illumina, gli fa conoscere i mezzi onde conseguire il suo fine. « Tu ben lo sai, » gli dice; Colui che pende crocifisso al tuo fianco, è il Figlio di Dio, fatto uomo per redimere il genere umano. Chiedendogli la tua eterna salvezza, entri nelle sue vedute. Nè ti sgomentino i tuoi misfatti; perché per grandi che siano, la sua misericordia è ancora più grande. Vedi quant’è mai buono; ei prega pei suoi crocifissori, benché essi per nulla lo invochino. E potrà egli rigettare chi non 1’ha crocifisso, e lo invoca? Ricorri dunque a questo Dio eh’è la stessa bontà, e che ripone ogni sua gloria nel perdonare. » – Disma presta orecchio a sì consolante invito, e con un atto ben lontano da ogni regola di prudenza umana domanda la sua salvezza a quello cui bestemmiava poc’anzi. « L’accorto Ladrone, dice S. Gregorio Nisseno, vede un tesoro, e con sagacia profitta dell’occasione, ed afferra questo tesoro il quale è niente meno che la vita eterna. Nobilissimo e lodevolissimo uso dell’arte di rubare. » [Orat, de 40 Martyr].Né qui si arresta l’eroica prudenza del nostro santo. Egli ha conosciuto che innanzi di chieder grazia e misericordia, bisogna cominciare da dove è necessario che cominci ogni peccatore, che vuol esser perdonato, dall’umile confessione dei propri falli. « Egli è ben giusto, esso dice, che io sia inchiodato a questa croce; io non ho che quanto mi merito. » – Ascoltiamo il Bocca d’oro dell’Oriente, S. Giovanni Crisostomo, che esalta questo tratto di esimia prudenza. « Osservate la sua completa confessione. Nessuno lo spinge a far ciò, né vi è costretto; ma spontaneamente, e da se stesso egli pubblicamente confessa le sue iniquità dicendo: Il mio compagno ed io, giustamente siam condannati, e riceviamo il degno compenso dei nostri misfatti. Questi poi (Gesù) non ha fatto alcun male. Né osa dire al riconosciuto innocente: Sovvengati di me nel tuo regno, prima di essersi colla confessione scaricato del peso delle sue colpe. Quanto è grande il poter della confessione! Il Ladrone si confessa, e la confessione gli apre il paradiso. Ei si confessa, e tanta è la sua fiducia che, dopo una vita di masnadiere, non esita a chiedere un regno. » Ed il modo con cui lo domanda è un nuovo tratto della prudenza che lo ispira. Disma desiderava ardentemente la felicità del cielo; ma come domandarla? Con eroica umiltà invero erasi fatto suo proprio accusatore; e con egual coraggio, egli solo erasi fatto l’avvocato del Salvatore Gesù. Ma posso io perciò credere, diceva a se stesso, che dopo una vita d’iniquità, continuata fino a questo punto, mi sia dato il regno dei cieli per quelle mie poche parole? È forse Iddio sì prodigo del suo regno, che lo dia per sì poco? » Tali erano, è facile a comprendersi, i pensieri che ispiravano a Disma l’enormità dei suoi falli, e l’immensità del favore al quale agognava. La prudenza venne a porre un termine alle sue perplessità. « Chiedi poco, gli disse, ed otterrai molto. Il tuo Dio non e sì piccolo da rimeritare il poco col poco. Egli è magnanimo di cuore perché ha cuore di un Dio. Magnanimo, apre la mano, e dà colla generosità di Colui che tutto può: buono, Egli si compiace nel sorpassare i voti di coloro che lo invocano. » – Docile a questa voce, Disma chiede a Nostro Signore non più che un ricordo. Memento mei E qual domanda più modesta? « Non osa egli dire, osserva S. Lorenzo Giustiniani: dammi il cielo, fammi partecipe della tua gloria; ma dice solo: Ricordati di me. Egli peccatore, egli contaminato di delitti fino al fondo del cuore, egli ladro ed assassino si riconosceva indegno di entrare nel regno eterno, ove, per il lume della grazia, sapeva che Gesù andava trionfante a regnare. » – La speranza del Buon Ladrone non fu delusa. Or ora noi vedremo in qual magnifica ricompensa si trasformò il divino ricordo da esso implorato. Imitiamo pur noi una si prudente modestia. L’umiltà è il più sicuro mezzo di attirare sul nostro capo i più copiosi tesori della divina bontà. Fin qui abbiamo considerata la prudenza del buon Ladrone. Facciamoci ora a rilevare la sua giustizia. Questa seconda virtù cardinale comunemente vien definita: Una ferma volontà di rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto: a Dio, cui tutto è dovuto; al prossimo, cui pur molto è dovuto. Considerata sotto questo duplice punto di vista, la giustizia brilla del più vivo splendore negli ultimi atti dei Buon Ladrone. Relativamente a Dio, la vera e perfetta giustizia consiste nel rendergli i quattro omaggi che gli son dovuti: omaggio di lode a causa delle sue infinite perfezioni: omaggio di riconoscenza per i suoi benefizi; omaggio di soddisfazione per i peccati commessi; omaggio di dolore per le sue grazie neglette. – Dopo quello che abbiam detto, sarebbe superfluo il dimostrare come Disma adempisse a questi quattro grandi doveri. Nondimeno per affezione a questo santo, troppo poco conosciuto e troppo poco invocato, ne diremo qualche cosa. Conosciuta che egli ebbe appena la divinità del Salvatore, la proclama, la loda, la difende; si accusa spontaneamente, confessa di aver meritata la morte in espiazione dei delitti commessi: soffre senza mormorare i dolori atroci della crocifissione, riconosce Gesù per autore d’ogni bene, e lo prega con una fiducia imperturbabile. Or verso Dio, non ha il Buon Ladrone adempiuto a ogni giustizia? e considerate le circostanze di tempo e di luogo nelle quali trova vasi, non v’ha adempiuto con un eroismo che sarà l’ammirazione dei secoli? Rispetto al prossimo, la sua giustizia non fu meno perfetta. Ai Giudei che ingombravano il Calvario, ai pontefici, ai sacerdoti, ai seniori del popolo che insultando e crollando il capo passavano e ripassavano innanzi al crocifisso Signore, Disma era obbligato di dire la verità. E questa egli dice loro senza rispetto umano, ed a rischio di attirarsi un raddoppiamento di torture. Col proclamare la divinità di nostro Signore egli si sforza di farli rientrare in se stessi, convertirli, e di preservarli dalle pene di questo mondo e dai castighi dell’altro. Per quanto è in lui, procura di ritrarre dall’eterna perdizione il suo compagno, esercitando verso di lui la carità di un amico e di un fratello. Qual santo, qual martire, nei dolori della malattia, o nelle angosce della morte, ha mostrato maggiore zelo per la gloria di Dio e la salute del prossimo, maggior grandezza d’animo, e più grande eroismo?

CAPITOLO XIX.

FORTEZZA E TEMPERANZA DEL BUON LADRONE

La fortezza definita da S. Tommaso. — La Magnanimità, la Fiducia, la SiCurrezza, la Pazienza, la Perseveranza, la Longanimità, l’ Umiltà, la Mansuetudine figli e della Fortezza. — Tuttesi riuniscono nell’anima del Buon Ladrone. — ErOìsmo dei loro atti. — Ammirazione dei Padri della Chiesa.

Operare e soffrire è tutta la vita umana. Per l’una cosa e per l’altra, la fortezza è necessaria. E ben a ragione S. Tommaso la definisce: « Una disposizione dell’anima, che si tien salda nel bene, contro gli assalti delle passioni e contro le difficoltà dell’operare.» – Come tutte le altre virtù, la fortezza trae l’essere suo dalla carità, e per dir meglio, essa è la stessa carità, che per Dio soffre di buon grado le contraddizioni e i dolori. La misura della fortezza di Disma è quella appunto della sua carità. Or noi l’abbiam veduto, la sua carità fu eroica. Queste poche parole potrebbero bastare per l’elogio del nostro Santo. Ciò nondimeno esaminiamo qualcuno degli atti ammirabili con che fa egli conoscere qual sia la fortezza che lo avvalora, « La fortezza, dice s. Bonaventura, è madre di una bella e numerosa famiglia. Sono sue figlie la magnanimità, la fiducia, la sicurezza, la pazienza, la perseveranza, la longanimità, l’umiltà e la mansuetudine. » [De quat. Vir. Card., in fin.]. – La magnanimità. — La magnanimità suppone l’esistenza delle sue sorelle, ed essa è il loro ornamento, la loro gloria, il loro mantello reale. Nobile e generosa, essa dà loro la mano, e comunicando ad esse le sue qualità, fa loro intraprendere con coraggio, proseguire con calma, sopportare con fermezza, e compiere con una semplicità sublime le più ardue cose e le più contrarie alle inclinazioni della natura. La magnanimità brilla di un vivo splendore nel Buon Ladrone. Con un coraggio tranquillo, una costanza a tutta prova, ed una sublime semplicità che non si smentiscono un momento, egli intraprende, egli solo contro tutti, la difesa di Nostro Signore, la conversione dei Giudei, e la santificazione del suo sventurato compagno. Nelle stesse disposizioni, egli soffre, non solo i tormenti della croce, ma l’onta ancora,e la ignominia, necessarie conseguenze di quel barbaro genere di morte. Ma egli fa qual cosa anche di più eroico, se ciò che più costa all’amor proprio dell’uomo è il confessarsi colpevole. Se il mondo dell’età nostra si allontana ognor più dal Cristianesimo, non dobbiam attribuirlo né alla incredulità, né alla corruttela dei costumi, né alle iniquità che ne sono la conseguenza, sì bene all’abbandono del tribunale della penitenza. Ah! se tutti i peccatori volessero confessarsi, la faccia della terra sarebbe ben presto rinnovata. Ma che cosa mai impedisce il confessarsi? L’orgoglio. Abbiamola debolezza di peccare, ma non il coraggio di confessarci colpevoli. Qual grande esempio dà su tal punto il Buon Ladrone! Confessarsi a voce bassa, e non essere inteso da alcuno, fuorché da Nostro Signore non gli basta: calpestando l’orgoglio, e il rispetto umano, ad alta voce egli si confessa reo alla presenza di tutto un popolo. La fiducia e la sicurezza. — Che queste dolci figlie della Fortezza avessero scelto per lor santuario il cuore del nostro Santo, ne è prova la conoscenza che abbiamo di queste virtù. « La fiducia, dice s. Agostino, agogna a grandi cose, e le attende con una certezza che da nulla è scossa. » E s. Tommaso aggiunge: « La sicurezza è la perfetta quiete dell’anima, che ha dato bando ad ogni timore. » li perdono istantaneo di tutta una vita di brigantaggio materiale e morale; quindi il cielo per ricompensa di un pentimento di poche o re come mai misurar la grandezza di simili pretensioni? Aspettarsi questi incomprensibili favori con una sicurezza che già si rassomiglia al possesso, tanto è dessa inaccessibile al dubbio! non è questo l’eroismo della virtù? La pazienza. — « Al dire di s. Bonaventura, la pazienza è una virtù che fa sopportare senza alterarsi tutte le ingiurie e tutte le avversità. » Quanto l’’illustre difensore di Gesù crocifìsso tenevasi certo della felicità dell’altra vita, altrettanto ei mostravasi paziente in soffrir le pene di questa. La flagellazione aveva fatto a brani la sua carne; i chiodi gli avevano traforato mani e piedi; i dolori di Nostro Signore erano divenuti i suoi; egli soffriva al di là di quello che possa immaginarsi; nondimeno tace ogni lamento. Nel ricordarsi dei suoi passati trascorsi egli attingeva un’eroica pazienza, e si contentava di dire: 1’ho meritato. Nos quidem juste. Noi ammiriamo i martiri che lietamente morivano in mezzo ai tormenti; ma potevano dire almeno: Io non l’ho meritato. Immensa consolazione, la cui mancanza dà il maggior rilievo alla forza eccezionale della pazienza del Buon Ladrone. La perseveranza e la longanimità. — Conservare nel loro stato di perfezione le diverse virtù che siam venuti enumerando, e conservarle così fino al giorno indeterminato che deve coronarlo, e conservarle senza che l’anima perda per un solo istante la sua serenità, la sua calma: tale si è il compito di queste altre due figlie della fortezza, la perseveranza, e la longanimità. – Dal momento in cui Disma è entrato nella gloriosa carriera della santità, non si smentisce un sol istante; nulla lo arresta nella sua corsa. L’occhio e il cuore fissi al cielo, ei resta irremovibile Della eroica sua pazienza, nell’eroica sua fiducia, non fa alcun caso dalle pene che soffre, e ch’è disposto a soffrire fin che a Dio piaccia. Egli infatti le sopporta fino al momento, in cui la sua anima benedetta riceve la corona dei confessori e la palma dei martiri. L’umiltà e la mansuetudine. — Fin qui abbiam veduto le figlie primogenite della fortezza adornare l’anima del Buon Ladrone, imprimendole quel nobile carattere di grandezza che dà più alto rilievo a tutte le sue virtù. Or ecco le loro minori sorelle che vengono a dar l’ultima mano alla perfezione di quell’anima eletta. Nella santa Scrittura Nostro Signore, il modello divino dell’ umanità, è chiamato successivamente Leone della tribù di Giuda, Agnello di Dio. Come Leone, è la forza; come Agnello è la mansuetudine. La unione di queste due virtù fa la perfezione. Nella difesa del Salvatore, Disma si mostrò forte come un leone: or ecco che va a mostrarsi umile e mansueto come un agnello. Umile, ei si confessa reo e meritevole del supplizio: umile, ei non ha alcuna fiducia in se stesso, e tutto aspetta dall’infinita bontà del Dio delle misericordie, che muore al suo fianco: un semplice ricordo è tutto quello che osa domandargli. – Dolce come un agnello, esso è al macello. Già feroce, violento, crudele al di là di quanto può dirsi, sopporta senz’aprir la bocca ad alcun lamento, le ingiurie degli spettatori, la vergogna del suo supplizio, i dolori fisici e morali, la cui intensità non ha nome, perché non ha misura di confronto. Si direbbe che un altro soffre in sua vece; tanto è tranquillo, tanto pare insensibile. – Conchiudiamo con le parole di un gran Cardinale. « Volete voi vedere un miracolo della potenza divina? Venite a contemplare Disma nella maestà della sua fortezza. Tutto il Collegio Apostolico, il fior della grazia, abbandona smarrito il divino Maestro, e prende la fuga: solo il Buon Ladrone, in mezzo ai Giudei frementi e minacciosi, rimane impavido e dichiara la innocenza del Signore: prodigio di fortezza. Egli non arrossisce di confessarsi pubblicamente colpevole, e meritevole della gravissima pena che soffre: altro prodigio di fortezza. » [Godofr. Vindocin., card. S. Prisa.*, Serm, x, De S. Latr.] Ma riserbiamo una parte della nostra ammirazione per un’altra virtù del beato Disma. La temperanza. — Che cosa è un uomo temperante? S. Agostino risponde : « Uomo temperante è quegli che in mezzo alle coso caduche e passeggere di questa vita, segue la regola tracciata nell’ antico e nel nuovo Testameuto. Questa regola consiste nel non amare e non desiderare alcuna di quelle cose per se stessa, ma per usarne, quanto il riecheggiano i bisogni della vita, e l’adempimento del proprio dovere, colla moderazione di un usufruttuario, e non colla passione di un amante. » – Quindi è che moderare le passioni dell’anima tenendole egualmente lontane dal troppo e dal troppo poco, è in generale l’ufficio della temperanza. Suo principale esercizio si è di reprimere la più imperiosa delle passioni del cuore umano, l’orgoglio. Ora la esperienza c’insegna che l’orgoglio ondeggia sempre tra la presunzione e lo scoraggiamento. Per lunghi anni schiavo di questa passione, vedete ora come il nostro Santo se la pone sotto i piedi. Grande acume avrebbe colui che scoprisse la menoma traccia o di scoraggiamento o di presunzione nel convertito del Calvario. Egli è sul punto di morire; nel suo passato vede un’ intera vita di delitti meritevoli della pena capitale; davanti a se un giudice inesorabile che l’attende sulla soglia dell’eternità. Credete voi forse che questo doppio pensiero lo getti nella disperazione? Nulla affatto. Con l’umile confessione delle sue reità egli ha vinto l’orgoglio; ed il vinto orgoglio ha dato luogo nel suo cuore alla fiducia. Ma la coscienza del perdono non gl’ispira forse qualche sentimento di personale ambizione, non lo rende presuntuoso nelle sue parole e nelle sue pretensioni? Sarebbe errore il crederlo. L’amore perfetto di che è infiammato per nostro Signore ha bandito dal suo animo l’orgoglio, e l’orgoglio altro non è che egoismo. Vero è che Disma chiede il paradiso, ma ben più per la gloria di Gesù che per la sua propria. Il suo amore, già lo vedemmo, non è un amor mercenario. Egli è un amore talmente spoglio di ogni personale interesse che lo fa degno di entrare immediatamente nel soggiorno della beatitudine. Egli domanda il cielo, ma con una modestia che tutti i Padri della Chiesa han decantato, e che tutti i secoli ammirano: Memento mei! Ricordati di me! Il precedente saggio ci ha permesso di riconoscere nel Buon Ladrone le sette virtù, il cui eroismo è necessario per la canonizzazione dei santi. Ciò che ne rileva la singolarità luminosa, si è di vederle nascere in un batter d’occhio in quell’anima di masnadiere. La potenza della grazia e la bontà di Dio furono mai tanto ammirabili e degne di riconoscenza? Ammirabile è questo grande Iddio, quando nel primo giorno della creazione lo sentiamo dire: « Sia fatta la luce, e la luce fu fatta. » Ammirabile, quando ad ognuna delle sue parole vediamo piene di vita uscire dagli abissi del nulla le innumerevoli creature, che popolano la terra, l’ aria, il mare. Ammirabile in tutti i prodigi che nella vita del popolo Ebreo, manifestano con meraviglioso splendore la sua sovrana autorità su gli elementi. Ma quanto il mondo delle anime supera in dignità quello de’corpi, altrettanto le meraviglie di Dio nell’ordine della grazia, sono superiori alle sue meraviglie nell’ordine della natura. Se dunque le bellezze visibili ai nostri occhi corporei ci rendono estatici di ammirazione, e giungono talora a commuovere fino a delirio la mente ed il cuore, in qual estasi non debbono rapirci le bellezze che si fan visibili agli occhi della fede? Tra tutte, domanderemo noi, havvene forse una che star possa al confronto con la subitanea, radicale, eroica conversione del Buon Ladrone? Sappiamo dunque ammirarla, ed ammirandola amare quel Dio che la operò.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.