LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (1)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Tu puoi credere alla mia dottrina, perché non è mia

(alla mamma, giugno 1906)

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

DICHIARAZIONE

Autore ed editore dichiarano di sottomettersi pienamente ai decreti d’Urbano VIII del 13 marzo 1624 e 4 giugno 1631, e di non volere prevenire, in qualsiasi modo, il giudizio della Chiesa.

Nihil obstat: Sac. Tullus Goffi Can. Brixiæ, 22-XI-1956

Imprimatur: Angelus Bertelli, V. G. Brixiæ, 4-XII-1956

Tipografia Editrice « Morcelliana » – Brescia

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A JANUA CŒLI «PORTA DEL CIELO » PER LA QUALE CONTINUA L’ASCESA DELLE ANIME VERSO LA TRINITA’

OMAGGIO FILIALE

« Questo mistero dell’abitazione della SS. Trinità nel più intimo del suo essere, fu la grande realtà della sua vita interiore ».

R. GARRIGOU LAGRANGE

Le verità più elementari della fede, come quelle espresse nel Pater, ci appaiono le più profonde, quando si sono meditate a lungo, con amore, quando si sono vissute portando la croce, per lunghi anni, così che sono divenute oggetto di una contemplazione quasi ininterrotta. Basterebbe ad un’anima vivere profondamente una di queste verità della nostra fede, per essere condotta fino alle vette della santità. – Fra queste verità, bisogna mettere in prima linea quella della presenza particolare di Dio nell’anima dei giusti, secondo la parola di Gesù: « Se alcuno mi ama, osserverà i miei comandamenti; e il Padre mio l’amerà; e noi verremo in lui, e porremo in lui la nostra dimora » (Giov. XIV, 23). Con queste parole, e promettendo di inviarci lo Spirito Santo, nostro Signore ci ha insegnato che la vocazione più fondamentale di ogni anima battezzata, è di vivere in società con le Persone stesse della Trinità santa. Allora realmente si può dire, secondo la espressione sovente ripetuta da san Tommaso, che la vita cristiana è, fin dalla terra, in un certo senso, la vita eterna incominciata: « Quædam inchoatio vitæ aeternæ ». La grazia del battesimo ci dona una vera partecipazione alla natura divina, quale sussiste in seno alla Trinità. Dio ci ha amati nel Figlio suo, fino a volerci partecipi del principio stesso della sua vita intima, del principio della visione immediata che Egli ha di Se stesso, e che comunica al Verbo e allo Spirito Santo. In tal modo, i  giusti entrano nella famiglia di Dio e nel ciclo della vita trinitaria. – La fede viva, illuminata dal dono della sapienza, li assimila alla luce del Verbo; la carità infusa li assimila allo Spirito Santo. Il Padre genera in essi il suo Verbo, in essi il Padre e il Figlio spirano l’Amore sostanziale che li unisce. In ciascuno dei giusti, la Trinità abita come in un tempio vivente; in un tempio oscuro quaggiù; in una luce senz’ombre e in un amore senza fine in cielo. – La serva di Dio Elisabetta della Trinità fu una di queste anime luminose ed eroiche che sanno attaccarsi fortemente ad una delle grandi verità della fede, le più semplici e le più vitali e, sotto le apparenze di una vita ordinaria, sanno trovarvi il segreto di una profonda unione con Dio. – Questo mistero dell’abitazione della Trinità santa nel più intimo del suo essere, fu la grande realtà della sua vita interiore. Non diceva ella stessa: « La Trinità! Ecco la nostra dimora, la nostra cara intimità, la casa nostra paterna donde non bisogna uscire mai… Ho trovato il mio cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nell’anima mia. Il giorno in cui l’ho compreso, tutto si è illuminato in me… » ? – Il pernio di questa vita soprannaturale è chiaro che si trova nell’esercizio delle virtù teologali. La fede è la luce soprannaturale che ci rende atti a ricevere la rivelazione del mondo divino. La speranza, appoggiandosi sull’onnipotenza soccoritrice di Dio, ci fa tendere con intima certezza verso l’eterna beatitudine. La carità ci stabilisce immutabilmente nell’amicizia e nella società delle divine Persone, secondo la dottrina dell’apostolo san Giovanni: « Dio è amore. Chi rimane nell’amore, rimane in Dio, e Dio in lui ». In fondo, è la stessa vita soprannaturale che comincia sulla terra col battesimo, e fiorirà in cielo, nella visione beatifica. – La fede è alla base di tutta questa attività nuova; è la «sostanza », il principio, il germe « delle cose che speriamo » e che contempleremo un giorno svelatamente. Il minimo raggio di fede è dunque infinitamente superiore alle intuizioni naturali dei più grandi genî e degli stessi Angeli più sublimi; e del medesimo ordine della visione beatifica, ordine essenzialmente soprannaturale; perciò, la fede viva, illuminata dai doni dell’intelletto e della sapienza, è la sola luce proporzionata a questa vita d’intimità con le Persone divine. – Così, suor Elisabetta della Trinità ci si manifesta innanzi tutto come un’anima di fede, in comunione sempre più intima col mondo invisibile, a misura che, sotto la mano di Dio, le purificazioni dei sensi e dello spirito si susseguono, attraverso gli avvenimenti della sua esistenza. Da vera figlia di san Giovanni della Croce, si rendeva conto della parte importantissima che ha la fede nell’ordine soprannaturale. « Per avvicinarsi a Dio —. scriveva — bisogna credere ». « La fede è sostanza delle cose che dobbiamo sperare e convinzione di quelle che non ci è dato vedere ». San Giovanni della Croce dice che « la fede è per noi il piede che ci porta a Dio; anzi, è il possesso di Dio nell’oscurità. Soltanto la fede può darci lumi sicuri su Colui che amiamo; e l’anima nostra deve sceglierla come il mezzo per giungere all’unione beatifica ». Senza trascurare la pratica delle virtù morali, si applicò con sempre maggior diligenza all’attività interiore delle virtù teologali. « La mia sola occupazione è rientrare nell’intimo mio e perdermi in Coloro che vi abitano ». – Ma la fede, la speranza e la carità non possono raggiungere la loro pienezza senza una speciale assistenza di Dio; e la via mistica è caratterizzata appunto dall’azione sempre crescente e predominante dei doni dello Spirito Santo. Le virtù teologali, infatti, quantunque superiori ai doni che le accompagnano, ricevono da questi una perfezione nuova, come l’albero è più perfetto coi suoi frutti che privo di essi. San Tommaso insegna che colui il quale non possiede ancora se non imperfettamente un principio di azione, non può agire come sì conviene, senza essere aiutato da un agente superiore. Nella vita spirituale, il principiante ha bisogno di avere vicino a sé un maestro esperto, proprio come lo studente in medicina o in chirurgia ha bisogno di essere diretto dal maestro che lo forma. Ora l’anima del giusto, pur possedendo le virtù teologali e morali, non possiede però ancora se non imperfettamente quella vita divina della grazia che la introduce nella famiglia della Trinità. Bisogna dunque che le divine Persone stesse vengano ad aiutarla, secondo le parole di san Paolo ai Romani: « Tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio » (Rom. VIII, 14). Bisogna vivere nell’intimità delle divine Persone, non alla maniera di creatura umana, ma alla maniera di Dio, per essere « perfetti come il Padre celeste che è perfetto ». Come giudicare delle cose tutte, divine ed umane, nel modo in cui le giudica Dio stesso, senza una comunicazione speciale della scienza e della sapienza divina? Come, in mezzo alle situazioni spesso inestricabili della vita quotidiana, prendere una decisione rapida che coincida col piano della Provvidenza, senza una speciale mozione del dono del Consiglio? Come, infine, restare indissolubilmente uniti alla divina volontà, tra le difficoltà a volte tremende della vita, senza un’assistenza speciale della forza stessa di Dio, sola capace di trionfare di tutte le potenze del male? – Questi doni dello Spirito Santo, poi, si manifestano con infinita varietà nel mondo delle anime, secondo le circostanze in cui Dio le pone e secondo la loro missione. In alcune si notano maggiormente i doni intellettuali, in altre quelli del timore, della pietà, della forza; e la loro azione ha toni e sfumature infinite. Inoltre, uno stesso dono assume forme diverse secondo i santi. Negli uni, come in un sant’Agostino, la sapienza si manifesta prevalentemente in forma contemplativa; in altri, come in un san Vincenzo De Paoli, in forma pratica, tutta orientata verso le opere di misericordia. Ai primi lo Spirito concede di penetrare nelle profondità di Dio gustandole ineffabilmente, e di luminosamente esprimerle; agli altri fa vedere, quasi sotto una luce diffusa, le membra sofferenti di Cristo e ispira come dedicarsi efficacemente alla loro salvezza. Nella Serva di Dio di cui si parla in queste pagine, colpisce il grado elevato dei doni dell’intelletto e della sapienza che le danno una così grande penetrazione del mistero della Trinità e glielo fanno così profondamente gustare, in maniera quasi continua. – Anche prima della sua entrata al Carmelo, era tutta compresa della presenza delle divine Persone nel profondo dell’anima sua. Al termine della vita, nella festa dell’Ascensione, l’ultima che passò sulla terra, a tal punto sentì che la Trinità santa prendeva possesso dell’anima sua, che intravide le tre Persone divine tenere in lei il loro consiglio d’amore; e da quel giorno, quando le veniva raccomandata qualche particolare intenzione, rispondeva: « Ne parlo subito al mio onnipotente Consiglio ». La vigilia della sua morte, ella poteva scrivere in tutta verità: « Credere che un Essere che si chiama l’Amore, abita in noi tutti gl’istanti del giorno e della notte e ci chiede di vivere in società con Lui, è, ve lo confido, ciò che ha fatto della mia vita un Paradiso anticipato ». – Restiamo pure ammirati nel vedere a quale grado ella ricevette il dono della forza. Si può constatarlo ad ogni passo, nella fermezza con la quale la Serva di Dio accettava le più dure prove, particolarmente durante la sua malattia. Non potendo darsi alle mortificazioni straordinarie che l’obbedienza alla sua superiora le proibì sempre, ella passò coraggiosamente, senza piegare mai, durante tutto un lungo e penoso anno di noviziato, attraverso alle dolorose e inevitabili purificazioni passive di una sensibilità ancora troppo viva. Percorse valorosamente il cammino della notte oscura, sempre più rifugiandosi nella nuda fede, non cessando di elevarsi a Dio, al di sopra di tutte le sue grazie e di tutti i suoi doni. Ma soprattutto nel corso dell’ultima malattia, si rivelò stupendamente in lei il dono della fortezza. Mentre tutto il suo essere andava consumandosi, l’anima rimaneva immutabile, sotto le purificazioni divine più crocifiggenti, immobile al di sopra della stessa sofferenza, per non pensare, in ogni gioia ed in ogni dolore, che al suo ufficio di « lode di gloria della Trinità ». Ella ricorda con quale divina maestà Cristo Re coronato di spine ha salito il Calvario; e proprio un riflesso di tale maestà si ritrova in questa coraggiosa sposa del Salvatore che ha lavorato con Lui, in Lui, per Lui, con gli stessi mezzi usati da Lui, per la salvezza delle anime. Dio ha veramente esaudito il suo supremo desiderio: « Morire, non solo pura come un Angelo, ma trasformata in Gesù Crocifisso ». – Finalmente, una delle note più caratteristiche della fisionomia spirituale di suor Elisabetta della Trinità è certamente il suo senso dottrinale, alimentato alle migliori sorgenti del pensiero cristiano, nei suoi due Maestri preferiti: san Paolo, l’apostolo del mistero di Cristo, e san Giovanni della Croce, il dottore mistico del Carmelo. Senza essere teologo nel senso formale della parola, essa, la vera figlia di santa Teresa, aveva il gusto della soda dottrina; e sapeva farne l’alimento sostanziale della sua vita interiore, assaporando, nel silenzio e nell’orazione, le grandi verità della fede, sotto la luce di vita che cresce in noi con l’amore di Dio e delle anime. Occorreva dunque rilevare, alla luce dei principî direttivi della teologia mistica, i movimenti essenziali di questa anima contemplativa, e discernere le verità fondamentali di cui ha vissuto la serva di Dio, secondo la sua grazia personale, in una forma carmelitana. Dopo aver segnato le tappe principali della sua ascesa, era di sommo interesse mettere in risalto i punti della dottrina di cui la sua vita spirituale si era specialmente nutrita: l’ascesi del silenzio, l’inabitazione della Trinità, la lode di gloria, la conformità al Cristo; come pure la sua devozione tutta personale alla Vergine della Incarnazione, l’azione dei doni dello Spirito Santo in lei, il senso profondo della sua preghiera divenuta celebre, e della sua missione.

Il Padre Maria-Michele Philipon ha scritto queste pagine dopo avere a lungo meditato la vita e gli scritti di suor Elisabetta della Trinità. Se ne è veramente compenetrato per molti anni, e ha cercato di spiegarli alla luce dei principî della teologia, quali sono formulati da san Tommaso e applicati alla direzione delle anime contemplative da san Giovanni della Croce. Egli ha compiuto questo lavoro con una grande pietà e un senso dottrinale che gli hanno permesso di mantenere lo slancio soprannaturale e insieme la giusta misura, l’equilibrio, in questi problemi così delicati, specialmente dove la serva di Dio ha dovuto praticare simultaneamente virtù in apparenza contrarie: la forza e la dolcezza, la prudenza e la semplicità, la compassione per gli erranti e i peccatori e insieme lo zelo ardente per la gloria di Dio.

Sarà letto con grande profitto, questo studio illuminato e profondo, in cui la teologia « della grazia delle virtù e dei doni » si manifesta in maniera concreta e vivente, svelando le ricchezze in essa contenute. Possa la SS. Trinità ricevere da questo libro un nuovo raggio di gloria! E le anime che lo leggeranno vi attingano la vera umiltà così intimamente connessa con le virtù teologali che ci danno il senso delle alte cime. Quanti poveri esseri umani, fatti per la vita immortale e per la società con le divine Persone, si trascinano nella agitazione sterile di un mondo disorientato! Si degni, il Signore, far trovare a molti, in queste pagine, l’orientamento per dirigersi e riconquistare la via della verità che conduce all’intimità divina, alla « luce di vita » che mostrandoci «l’unico necessario » tutto illumina dall’alto.

Roma-Angelico, 12 luglio 1937.

Fr. Recinaldo Garrigou-Lagrange, O. P.

LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (2)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.

2 pensieri riguardo “LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (1)”

  1. Egregia lettrice la ringraziamo per il suo commento. Intanto vogliamo solo ricordarle che la chiesa del V. II (falsa eclissante la vera unica Chiesa di Cristo, Sposa senza ruga e senza macchia e luce dei popoli) non è un “tantino” eretica, essa è totalmente eretica, ben oltre l’apostasia. Che se poi il vescovo (sicuramente un falso prelato ordinato secondo l’invalido rito montiniano del 1968) vi abbia vietato la celebrazione della Messa cattolica di S. Pio V e successori, dovete ringraziarne il Signore con estrema gratitudine, perché eviterete di commettere orribili sacrilegi agli occhi di Dio. Ci spieghiamo meglio: la Messa “vera” per essere valida e apportatrice di grazie, deve essere celebrata da un vero Sacerdote Cattolico, con missione canonica concessa dall’Ordinario del luogo (cioè il Vescovo) a sua volta con Giurisdizione,canonicamente e validamente ordinato con la forma definita “irreformabile” di S. S. Pio XII (Sacramentum ordinis 1947) e che sia “una cum” col Pontefice Romano (cioè il Papa vero Gregorio XVIII). Anche se la Messa dovesse essere celebrata secondo il Messale e le rubriche di S. Pio V e successori, non essendo il celebrante canonicamente valido, il rito è sacrilego. Tutte le celebrazioni “una cum Francisco” sono un sacrilego abominio perché fuori dal Corpo mistico di Cristo che comprende unicamente coloro che appartengono alla vera Chiesa governata dal Santo Padre, il Vicario in terra del Salvatore. Chi non appartiene al Corpo mistico di Cristo è fuori dalla Chiesa Cattolica, lungi dal canale di grazia e destinato, salvo grazia speciale del Signore o il ritorno tempestivo alla vera Chiesa, al fuoco eterno. Chi non appartiene al Corpo mistico non ha la carità di Dio e, secondo l’Apostolo, nulla gli gioverà per la salvezza (1 Cor. XIII), né la fede che trasporta le montagne, né il dare il proprio corpo alle fiamme da martire, né il partecipare a riti falsi e sacrileghi anche se apparentemente veri, etc. etc. Quindi l’appartenenza alla vera Chiesa, cioè al Corpo mistico di Cristo, non è questione di lana caprina, o una ideologia snob ed elitaria, ma la condizione assolutamente preliminare ed indispensabile per poter compiere il cammino di salvezza. Questo è quanto la Chiesa ci ha da sempre insegnato: extra Ecclesiam NULLUS ominino salvatur. Seguire un falso rito officiato da un eretico apostata, o semplicemente da un falso prete, cioè da un laico, pur pregando in latino secondo le formule ecclesiastiche, è un ulteriore sacrilegio. Quindi ringraziate (si fa per dire!) il servo dell’anticristo (Il Signore si serve anche degli “angelos malos” – salmo LXXVII, 49 -) che vi ha impedito di commettere altri sacrilegi con la partecipazione a riti invalidi officiati da laici mascherati, e soprattutto ringraziate il Signore che vi sta indicando la vera via della salvezza: uscire dalla setta eretica nella quale, pur non volendo, vi trovate ed entrare sia pure solo di DESIDERIO nella vera Chiesa Cattolica che è eclissata, ma c’è … trasportata nel deserto (Apoc. XII) a sua e nostra salvezza. Il Magistero ecclesiastico ha prevenuto anche questi tempi indicandoci come comportarci. Un saluto fraterno e lode a Dio che chiama ancora alla sua vera Chiesa. Seguitelo o un giorno … ve ne pentirete, ma sarà troppo tardi! Viva Cristo Re e Maria Regina.

  2. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i “cani sciolti” autoreferenti falsi profeti, non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog.

    Dopo aver letto la vostra introduzione, voglio congratularmi con voi. Io abito a Brescia e conosco l’editrice Morcelliana. Purtroppo oggi viviamo una Chiesa apostata e un tantino eretica, il Concilio VII poi, l’hanno fatto diventare il dogma assoluto che sembra superare persino quello dell’Eucarestia visto come viene trattato ancor oggi Gesù nell’Ostia. A Brescia avevamo la possibilità di celebrazioni in Vetus Ordo, ma al Vescovo pare non piacciano, e poi c’è da seguire Francesco che ha messo ko questa Messa.
    Io ho imparato a soffrire e ad offrire a Gesù questo dolore, e vivo la Messa con lo spirito rivolto alla vera liturgia, rispondendo in latino e pregando in latino.
    Anche questo tempo credo finirà, e allora dobbiamo vivere uniti a Gesù andando al vero Magistero e invocando Maria e i santi in Paradiso.
    Grazie di cuore, e poco per volta leggerò i vostri scritti. Vi ho trovati per caso, ma anche se sembra un caso non lo è. Queste si chiamano: Dio-incidenze
    Un saluto caro e DviB con la Vergine Maria
    Enza

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