LA VITA INTERIORE (4)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (4)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna – Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

L’ORAZIONE MENTALE (1)

(1) [Intendiamo, qui, indicare, precisamente la meditazione discorsiva, ch’è necessaria, come tutti sappiamo, per acquistare, o fortificare, le convinzioni. Nell’occasione, ricordiamo che la meditazione discorsiva verrà, in seguito, e a poco a poco, sostituita dall’orazione affettiva. Per quest’ultima poi, non potendo trattarne espressamente, raccomandiamo i tre metodi che S. Ignazio suggerisce, e cioè: – 1) la contemplazione; – 2) l’applicazione dei sensi; – 3) la seconda maniera di pregare.

Ci permettiamo anche di suggerire una formula d’esame della meditazione fatta.

1° Se mi sono messo alla presenza di Dio.

2° Se ho chiesto al Signore che tutte le mie intenzioni, azioni e operazioni siano puramente ordinate a servizio e lode di Sua Divina Maestà.

3° Se ho fatto il preludio detto « composizione di luogo ».

4° Se ho chiesto a Dio la grazia di ricavare dalla meditazione il frutto proprio.

5° Se ho preso la positura più conveniente.

6° Se ho esercitato la memoria riducendomi in mente la materia da meditare.

7° Se ho esercitato l’intelletto discorrendo posatamente intorno alla medesima.

8° Se ho applicato a me stesso quanto poteva fare per me.

9° Se mi sono tenuta in colloquii ed affetti proporzionati.

10° Se ho patito distrazioni e ne cercai la causa.

11° Se ho ricevuto consolazioni o cognizioni più chiare e quali.

12° Se ho speso tutto il tempo segnato.]

I MEZZI

Per riuscire a vivere in Gesù, per Gesù e con Gesù, cioè per vivere la vita interiore, è necessario rimuovere alcuni ostacoli che l’impediscono, e scegliere ed adoperare alcuni mezzi, senza de’ quali nulla si può fare. E, anzitutto, ricercare i mezzi adatti. Tra di essi, il più importante, il più efficace, è la preghiera. Essa, come abbiamo detto, può essere vocale o mentale. Quest’ultima prende il nome di meditazione. – Pochi anni or sono, si riteneva, comunemente, che la meditazione fosse cosa riserbata ai frati e alle monache. Si pensava fosse cosa molto difficile, che non avesse a che fare coi dieci comandamenti… Oggi, invece, grazie alla più estesa cultura religiosa e, in modo tutto particolare, all’Azione Cattolica che tra la gioventù femminile e tra quella maschile s’è rapidamente propagata, la meditazione è diventata una delle migliori soddisfazioni dello spirito, uno de’ nutrimenti più sostanziosi per moltissime anime in quell’età così esposta ai pericoli e così facile preda del nemico delle anime.

CHE COS’È?

Semplicemente, più che sia possibile, diremo ch’è una conversazione fra la nostra anima e Dio. Una conversazione intima. Così era solita a esprimersi santa Teresa: « La meditazione, è una cristiana relazione di amicizia nella quale l’anima s’intrattiene da sola a sola con Dio, senza stancarsi d’esprimere il suo amore a Colui dal quale sa di essere amata ». Parlandone ai giovani si può dire ch’è una sintesi, mentale, non scritta, di quelle righe, di quella pagina che si è letto. Come nelle scuole primarie s’impara a fare sui testi elementari, cioè a sintetizzare così si può fare e tanto più, in seguito, sui libri di pietà. Ai giovani, e a tutti, si potrà ricordare con vantaggio gli esempi di San Tommaso d’Aquino, di San Luigi Gonzaga, del ven. Domenico Savio. Si può aggiungere, pei giovani e pei non giovani, che, come si parla cogli uomini, così nella meditazione possiamo — e dobbiamo — parlare con Dio. In questa conversazione, Dio è il maestro e noi siamo gli scolari. Perciò noi saremo istruiti da Gesù e impareremo… a vivere solo con Gesù, poiché Egli è il vero amore, l’unica felicità, l’unica realtà.

È UTILISSIMA… ANZI, NECESSARIA.

Non si medita, forse, dappertutto e riguardo a tutto, in questa povera vita? Dagli scolari che nelle scuole si lambiccano — è la verità — il cervello, per stillate poche righe di componimento o risolvere il problema che li fa andare matti, ai banchieri, ai borsisti, che cercano di sfruttare le occasioni…, agli avvocati che combinano le linee della difesa e dell’accusa; agli architetti che triangolano il terreno per costruirvi un palazzo; ai ladri che preparano il… colpo e… via dicendo; tutti riflettono sul modo e sui mezzi migliori per riuscire ne’ propri intenti. Nessuna meraviglia, quindi, se noi vogliamo suggerire: essere necessario per la nostra anima che facciamo, almeno, quanto da tutti si fa per il felice esito degli affari materiali. – Si afferma, e non fa meraviglia; che i saggi del paganesimo meditassero. « Pitagora, infatti, aveva diviso la giornata de’ suoi discepoli di filosofia in tre parti: la prima per Dio nella preghiera; la seconda per Dio nella preghiera e nella meditazione; la terza per gli affari ». Se non che, noi abbiamo degli insegnamenti assai migliori. Anzitutto la parola dello Spirito Santo: « Un’orribile desolazione ha invaso la terra, perché non vi è chi rifletta nel suo cuore » (GER., 12-11). Ancora: l’esempio e l’insegnamento dei Santi. Santa Teresa così lasciò scritto: « L’anima che trascura la meditazione delle cose divine non ha bisogno di demonio per dannarsi… ella da se stessa si mette nell’inferno ». Ed era egualmente solita a ripetere: « Promettetemi di fare ogni giorno un quarto d’ora di orazione mentale, ed io, in nome di Gesù Cristo, vi prometto il Paradiso ». – S. Filippo Neri aggiunge per conto suo: « Un religioso o un  Sacerdote senza meditazione, è un religioso o un Sacerdote senza ragione; e così anche per i semplici fedeli ». – S. Alfonso, poi, dice con insistenza: « Il peccato può stare assieme alle altre opere di pietà, ma non con la meditazione. Tutti i Santi divennero tali per l’orazione mentale ». – Dunque, il timore e la fuga del peccato vengono spontanei in noi per mezzo della meditazione. Fuggendo e temendo il peccato, ci avviciniamo a Dio, lo invochiamo, ci abbandoniamo in Lui… e viviamo di Lui e del suo amore. Come, adunque, non imitare il ven. Contardo Ferrini che, studente nelle prime classi del ginnasio, già procurava di non lasciar passare giorno senza la meditazione? Come non ricordare con grande ammirazione il valoroso Giosuè Borsi che scrisse i suoi Colloqui, o meditazioni, proprio nel tempo che meno può sembrare propizio, e cioè durante la guerra?

METODO PER FARE LA MEDITAZIONE.

Non v’è metodo, ma vi sono moltissimi metodi. Vorrei dire che sono tanti e tutti diversi, quante sono diverse le anime che desiderano parlare con Dio, trattenersi intimamente con Lui. Ciascuno ha i suoi gusti, il suo grado di istruzione, il suo carattere. Tuttavia, c’è ugualmente modo di dare qualche suggerimento in proposito. Prima di tutto, per il buon esito della meditazione, è necessaria una preparazione. Essa si fa con un po’ di raccoglimento, lasciando ogni altro pensiero e ogni divagazione; con il ricordo che noi siamo alla presenza di Dio col quale vogliamo parlare; invocando la luce o l’aiuto dello Spirito Santo e raccomandandoci a Maria Ausiliatrice. Tutto questo è più presto fatto che detto. Fatta la preparazione, presentiamo all’anima l’argomento della meditazione. Questo, ordinariamente, trovasi su libri preparati apposta. Ma può anche consistere in un ricordo spirituale, in un consiglio ascetico che ci venne dato, in un passo, o versetto, del Vangelo, e, a secondo dei casi, occorre leggere adagio e attentamente il punto che ci siamo scelti per meditare. Se qualche pensiero, o ispirazione, ci si presenta spontaneamente, fermiamoci a gustarla. Altrimenti, leggiamo sino al termine, punto per punto, e procuriamo di ripetere con la mente quanto abbiamo letto, immaginandoci di doverlo ripetere a qualche altra anima. – In una parola: attingiamo idee nel libro, o dall’argomento scelto, e facciamo scaturire sentimenti dal cuore. La durata di questo esercizio è varia: a seconda del tempo, della volontà nostra, delle nostre condizioni. Fin qui abbiamo occupato la mente, l’intelligenza cioè, e il cuore; ora occorrerà occupare la volontà nel trarre le conclusioni e nel fermare i buoni propositi, o, almeno, un buon proposito, mentre ringrazieremo il Signore per la luce spirituale avuta, la Madonna per la sua assistenza, e chiederemo a Gesù e a Maria l’aiuto per mettere in pratica il proposito scelto che cercheremo di ricordare durante il giorno.

GRANDI VANTAGGI.

1) Anzitutto una maggiore destrezza ed energia nel nostro spirito, che si abitua ad osservare e a riflettere.

2) Poi una maggiore stima della virtù e, quindi, uno sforzo più intenso per praticarla; un maggior odio al peccato e perciò un impegno più vigile nel fuggirlo. La conversione di S. Agostino si deve, precisamente, alla lettura meditata d’un brano delle epistole di S. Paolo.

3) La meditazione procura all’anima una grande gioia. Per questo San Francesco di Sales poté dire: «La meditazione è ciò che mi è più utile e più dolce: con questa comunicazione del cuore io imparo ogni volta qualche cosa di buono da applicare a me stesso). – Facendo eco a queste parole, la Chantal diceva: « Tutta la felicità di questo mondo consiste nel meditare ».

4) Infine, il vantaggio per eccellenza, è una maggiore, più ampia, più ricca conoscenza di Gesù, di Dio, della vita eterna e, perciò, un più intenso amore per questo nostro Dio, amore che ci deve portare al desiderio dell’unione completa in Lui e con Lui.

L’ESEMPIO DI S. GIOVANNI BOSCO.

Ci limiteremo a ricordare un proposito che don Bosco fece appena undicenne alla scuola di don Calosso, e lo diremo con le parole del Ceria (Don Bosco con Dio, cap. I, 21): « Fanciullo undicenne, Giovannino ebbe uno di quei lampi rivelatori. Per arcane inclinazioni del cuore affezionatosi a un degno sacerdote e messosi con filiale confidenza nelle sue mani, da quella scuola di corta durata riportò un prezioso insegnamento: capì essere buono per l’anima fare ogni giorno una breve meditazione. Due frutti colse all’istante da questa chiara visione: gustare che cosa sia vita spirituale e non agire più «come macchina che fa una cosa senza saperne la ragione ».

L’ESEMPIO DEL SERVO DI DIO DON MICHELE RUA.

Il servo di Dio don Michele Rua, successore di don Bosco, la mattina del 5 aprile 1910, poche. ore prima di entrare in agonia, volle che gli si leggesse la meditazione del giorno. L’infermiere fece ragionevolmente osservare che non era il caso, poiché la sua mente era nell’impossibilità di fare uno sforzo. « Allora, supplicò egli, leggetemi almeno il sommario dei due punti ». E così, fino all’ultimo giorno di sua vita, (morì la mattina del 6 aprile) si mantenne fedele a questa pratica di pietà ch’è il mezzo più efficace per sentire Dio e vivere con Lui. Pratica che, di per sé sola, comprende e rende vitali tutte le altre. Bene fu detto di essa in una lettera dell’episcopato lombardo per la Pentecoste del 1927: « La meditazione è la pratica fondamentale della vita spirituale, poiché è quella che suggerisce e rende attive tutte le altre: l’esame di coscienza, la lettura spirituale, la visita al SS. Sacramento, il santo Rosario, la confessione frequente, i ritiri spirituali ». Più preciso ancora il Padre Chautard: «Se faccio meditazione, sono come rivestito d’un’armatura d’acciaio e invulnerabile ai dardi del nemico. Ma senza la meditazione essi mi coglieranno certamente… O meditazione, o grandissimo rischio di dannazione… ».

DUE COLONNE: LA MEDITAZIONE E L’ESAME DI COSCIENZA.

Dovrebbe, adunque, essere sufficiente questo primo efficacissimo mezzo. Tuttavia, poiché alla meditazione occorre la materia da elaborare, per questo rifornimento è necessario l’esame di coscienza. L’uno serve all’altra, e tutti e due sono come due colonne della vita cristiana. La meditazione accende il fuoco santo; l’esame di coscienza secerne, divide, sviscera; rivela noi a noi stessi, e ci suggerisce il modo e i mezzi per correggerci. Scopo dell’esame non è quello di riaprir delle ferite per inasprirle, non è quello di avvilirsi, ma di rialzarsi, col pentimento delle male opere e col proposito di farne delle migliori per il dì seguente. Per le anime cristiane l’esame è un diletto, un conforto. Dice I. Pindemonte: “La notte bruna – stilla il diletto – del meditar”. Seneca, pagano, scrisse: La mattina ti devi dare al pensiero delle cose che son da fare, la sera all’esame delle fatte. Lo stesso Seneca dice che il filosofo Sessio ogni sera interrogava la sua anima: Di qual difetto ti sei oggi guarita? Qual passione hai combattuta? In che divenisti migliore? Bellissima abitudine questa, segue Seneca, di riandar la giornata! Bel sonno quel che succede a questa rivista di sé medesimo! Come è calmo, profondo e libero, quando l’anima ha ricevuto la sua parte di lode o di biasimo, e che, sottoposta al proprio scrutinio, proceda segretamente contro se stessa! Così faccio io, e da testimonio e da giudice mi cito al mio tribunale. Spento il lume… comincio un’investigazione su tutta la mia giornata, rincorro tutte le azioni e parole mie; nulla mi dissimulo, nulla mi taccio. O perché temerei di riconoscere un solo de’ miei peccati, quando posso dirmi: Guardati dal ricominciare; per oggi ti perdono? (Seneca, De ira, 1. II, 36 – Confr. CANTÙ, Attenzione, XXXII). – « Questo scendere nell’intimità del cuore (Bossuet) è il conosci te stesso ch’era scritto sul tempio di Delfo. La coscienza è come uno specchio; facilmente s’impolvera e offusca, onde bisogna spesso ripulirlo, o si corre il rischio di non riconoscersi più » (CANTÙ, L. c.). – Se dei filosofi pagani hanno giudicato tanto utile l’esame di coscienza e lo praticarono con tanta diligenza, non dovranno apprezzarlo anche i Cristiani, che hanno della vita presente e della futura, per divina rivelazione, un concetto assai più reale e profondo? – Tutti i santi e tutti i maestri della vita spirituale sono unanimi nel dire che l’esame quotidiano della propria coscienza, (non intendiamo, qui, accennare all’esame che si deve fare prima della confessione sacramentale) è un mezzo efficacissimo per correggerci dei nostri difetti e per avanzare nella virtù. Avviene, infatti, in noi, nel nostro spirito, quanto suole accadere negli affari materiali, nella cura degli interessi, nella coltivazione di un appezzato di terreno. Ve ne prendete pensiero? Ecco: essi progrediscono e moltiplicano il capitale impegnato. Li trascurate? Sono poco redditizi, anzi, sono passivi e in breve costringono alla rovina, alla miseria. Così è delle nostre anime. Abbandonate a sé, sono presto un semenzaio di rovi e spine. Accudite per mezzo degli esami di coscienza, vengono a conoscere e ad amare l’umiltà; allontanano la protervia e la presunzione, accettano le mortificazioni anche se loro inferte ingiustamente, chiedono perdono a Dio, formulano seri e forti propositi di vita migliore, crescono di fiducia e di abbandono in Dio, ed ecco, di conseguenza, l’unione con Dio e la pratica della vita cristiana. Dobbiamo però dire, gli esami, e non esame, soltanto, di coscienza. Noi infatti diremo, nel capitolo seguente: 1) dell’esame di previdenza; 2) dell’esame particolare; 3) dell’esame generale.

LA VITA INTERIORE (5)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.