LE VIRTÙ CRISTIANE (14)
S. E. ALFONSO CAPECELATRO – Card. Arcivescovo di Capua
Tipografia liturgica di S. Giovanni Desclée e Lefebre e. C. – Roma – Tournay
MDCCCXCVIII
PARTE IIIa
CAPO III.
LA SECONDA BEATITUDINE.
La virtù della mansuetudine.
Le prime parole, dette da Gesù sul monte delle beatitudini, già ci hanno aperta la mente a considerare giustamente il valore delle ricchezze, e anche i pregi e i difetti dell’umana natura, È questo retto giudizio delle ricchezze e della natura umana è il primo seme, onde nascono nell’animo le due virtù, delle quali più avanti s’è parlato, la povertà in ispirito e l’umiltà. Esse sono indubbiamente due nobili virtù ed eminentemente cristiane; ma non bastano, né vivono mai lietamente, se non siano accompagnate dalle altre virtù, con le quali, come le varie note della musica, fanno armonia. Ecco però che il divino Maestro, accostandosi di nuovo all’intimo dell’uomo, mira, con pietosa bontà, un’altra propensione di lui, corrotta dal peccato, e le si oppone dicendo: Beati i mansueti; perciocché essi erediteranno la terra. La propensione, a cui accenno, è quella, che dicesi irascibilità. Or l’irascibilità, considerata nella sua natura, è la facoltà di eccitarsi contro il male o gli ostacoli, che le persone o talvolta anche le cose ci oppongono. Questa facoltà, come tutte le facoltà umane, ci fu data da Dio, ed è di per sé buona e ordinata al bene, Vi ha dunque nell’uomo un’ira, o, è meglio detto, uno sdegno lodevole; ma d’ordinario l’ira trascende, s’infiamma e bolle nell’animo umano contro l’ordine della ragione; e però nel comune linguaggio basta dire ira per intendere l’ira peccaminosa. In vero lo sdegno lodevole si ha quando l’animo ordintamente e con giusta misura, allontanati gli ostacoli, si commuove per difesa e vendetta dell’onesto o per punizione di malvagità o di malvagi. In questo senso è detto nella Bibbia che Iddio si adira contro gli uomini peccatori, o anche contro le nazioni peccatrici; e in questo medesimo senso si adirano anche i buoni figliuoli di Dio, e molto più i Santi, secondo che accade di leggere nelle loro vite. Lo zelo del bene e l’odio del male, l’amore della giustizia, e il desiderio che il male sia punito e le punizioni riescano in vantaggio degli stessi rei, alimentano questo santo sdegno, e non che avvilire, nobilitano il cuore umano. A chi mai non parrebbe lodevole e nobile lo sdegno, onde s’infiamma l’animo di colui, che vede crudelmente opprimere l’innocenza ed esaltare e premiare la malvagità? Questo santo sdegno è anzi indizio di profondi convincimenti, di una chiara comprensione del bene e del male, e soprattutto di animo forte e magnanimo. Che se oggidì riesce tanto raro, gli è perché, in generale, gli animi sono fiacchi e servili; e però intendono bene lo sdegnarsi per passione, ma stimano lo sdegnarsi per la giustizia e la verità una pinzoccheria di pusilli. Sicché è bene avvertire che lo sdegno, per amore di giustizia, ha certe forme tutte sue proprie, dignitose, serene, nobili e tali, che da esse traspare un grande amore del bene e una grande e caritatevole compassione dei proprj fratelli. Colui, sia pure zelantissimo della giustizia e del bene, che nello sdegnarsi non sa far trasparire di fuori nobili sentimenti, resti piuttosto cheto, e preghi il Signore. Se lo sdegno suo sembrerà passionato, torbido e violento, avvelenerà, come tossico, le sue parole, e non gioverà. L’ira peccaminosa, o come la chiama Dante, l’ira mala, è un movimento disordinato dell’animo, onde siamo violentemente eccitati contro le persone, che c’ingiuriano o comunque ci si oppongono, e talvolta anche contro le cose che ci fanno ostacolo. Chi potrebbe mai dire quanto sia possente nella nostra corrotta natura questa malaugurata passione dell’ira? Allorché l’uomo s’accende in fuoco d’ira, l’ira acceca la mente, sconvolge e talvolta attutisce il libero arbitrio, rimescola il sangue, arde nel sembiante e lo deturpa, infiamma lo sguardo, insomma imbestia tutto l’uomo. Or questo stato terribilmente violento degl’irosi, ci pàr di vederlo nel legger Dante, che nel VII del l’Inferno, scorge gl’iracondi che si percuotono. … non pur con mano, / Ma con la testa, col petto e co’ piedi, / Troncandosi co’ denti a brano a brano. – Gli effetti poi, che procedono dall’ira, sono veramente degni di pianto. Quasi sempre le bestemmie, le risse, le ingiurie, le vendette, le violenti uccisioni, e sino le stragi delle guerre derivano dall’ira. Contro questa pessima e bestiale passione Gesù benedetto, nel suo sermone della montagna, pose la virtù della mansuetudine cristiana. La quale ben si può definire una disposizione abituale dell’animo contro gl’impeti dell’ira. Non è già che nel mansueto si spegna assolutamente quella irascibilità naturale, da cui, per accecamento d’’intelletto e per disordinate passioni, rampolla l’ira. Ciò non è; e, quando fosse, non sarebbe punto un bene; perché l’irascibilità ci fu data da Dio per eccitare in noi, secondo ragione e temperatamente, i santi sdegni della giustizia. Ed oltre a ciò è da notare che la redenzione di Cristo, come non distrusse la concupiscenza, che è la corruzione di un inchinamento onesto; così non distrusse la irascibilità, anch’essa pel peccato d’origine disordinata e propensa a trascendere. L’una e l’altra Gesù Cristo poteva ben distruggere o mutare; ma le ha rimaste in noi affinché ci riescano occasione di merito, come è più ampiamente detto nelle Teologie dommatiche, ed anche nella mia Dottrina Cattolica. – La virtù della mansuetudine non fu ignota ai Pagani, ma fu assai rara tra loro, opponendosi soprattutto ad essa l’orgoglio, che faceva agevolmente confondere la nobilissima virtù della mansuetudine con la viltà e la fiacchezza dell’animo. Però questo medesimo pregiudizio, onde l’uomo mansueto si confonde e s’immedesima col fiacco e dappoco, lo abbiam veduto ripullulare anche tra noi, ora che i tempi sono in gran parte paganeggianti. Tra il popolo di Dio la mansuetudine fu in onore, come si vede nei Libri dell’antico Testamento, e particolarmente nei Salmi e nei Libri sapienziali. Esempio poi ammirabile di questa virtù fu, tra gli antichi, Mosè, detto nei Numeri il mansuetissimo sopra tutti gli uomini. Nondimeno la legge giudaica dura e assai meno perfetta, che non fosse l’evangelica, e anche i costumi meno civili del tempo, in cui visse il popolo Israelitico, non permisero alla virtù della mansuetudine di diffondersi molto e universalmente tra i Giudei. La mansuetudine, nel modo ampio e perfetto, onde la intendiamo noi Cattolici, è una virtù assolutamente cristiana, piena di dolcezze, e raggiante di quella luce che le comunicò Gesù benedetto. Ci fu insegnata da Gesù sul monte delle beatitudini, e parecchie altre volte, massimamente poi il dì che disse: “Imparate da me che sono mansueto e umile nel cuore.” Ebbe poi un simbolo assai parlante nell’ agnello, che fu figura di Cristo; e il simbolo dell’agnello lo vediamo annunziato dai profeti, che pietosamente chiedevano al Signore: Mandasse l’ Agnello dominatore della terra. (Isai. XVI, 1). Indi questo medesimo simbolo, suggellato dal Battista, che salutò il Redentore dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo, (Joann. 1, 23, 36), fu reso immortale ed eterno dal medesimo san Giovanni nell’Apocalisse, nella quale il divino Agnello ei lo vide incoronato e seduto sul trono, che riceve le adorazioni dagli Angeli e dai santi. (Apoc. VII, 17. — Nell’Apocalisse Gesù Cristo è chiamato moltissime volte Agnello). – Infine la mansuetudine, annunziata da Gesù sul monte delle beatitudini, è una virtù eminentemente cristiana, sia perché la si vede in piena armonia con la soavità della legge evangelica, e con moltissimi altri precetti datici da Cristo, sia perché la Passione del Signore, dall’orazione ch’ei fece sul monte degli Ulivi, sino al perdono che dalla Croce accordò ai suoi crocifissori, è tutta un miracolo di mansuetudine. – La virtù della mansuetudine, annunziataci da Gesù sul monte, dopo le due virtù della povertà in ispirito e dell’umiltà, non è senza intimi rapporti con esse. Non solo vivono amichevolmente l’una con le altre, ma si ajutano a vicenda: anzi la povertà in ispirito e l’umiltà è giusto stimarle quasi un avviamento e un seme della mansuetudine. In vero, come il mare non posa mai tranquillo, sino a che vi soffi sopra il vento; e come pure nessun fuoco si estingue, prima che si allontani la materia combustibile; così l’ira nell’anima umana non si accheta e non si smorza mai, prima che siano vinti l’amore delle ricchezze e l’orgoglio. Quando poi la mansuetudine cristiana, per effetto della grazia celeste, sia entrata in un’anima, allora dipende da noi, che essa cresca di grado in grado, e ci conduca alla perfezione. A ciò si richiede un possente sforzo di volontà; ma l’uomo fece mai al mondo nulla di veramente nobile e grande e bello e virtuoso, senza una fortissima e indomabile volontà, che atterri tutti gli ostacoli, e vinca tutte le esitazioni? Consideriamo un tratto i diversi passi che l’uomo fa in questa nobile virtù della mansuetudine, i quali sono quasi come i gradini d’una scala che ci conduce in alto. Mettiamoci dunque avanti allo sguardo un Cristiano, a cui il Signore fece grazia d’intendere la sentenza di Gesù: beati i mansueti. Poniamo che costui non si appaghi di conoscere intellettualmente la bellezza della mansuetudine, ma che voglia muover, sempre che può, il passo avanti per far suo questo tesoro. Il primo passo che naturalmente ei moverà, sarà questo, di sedare le tempeste e i bollori dell’animo; e, fatta nascere la mansuetudine nel proprio cuore, ei converserà benignamente e mansuetamente con tutti, siano eguali o inferiori, buoni o malvagi, gentili o rozzi, piacenti o nojosi. Onde nell’Imitazione di Cristo è detto: “Non ci vuol tanto a conversare co’ buoni e co’ mansueti, ché questo naturalmente piace a tutti; ma il saper vivere co’ duri e i perversi, con gl’indisciplinati e con quelli che ci contrariano, è grazia grande, e maschia virtù degna di lode infinita.” (Imit. II, 2). In vero la parola del Cristiano mansueto ha attraimenti invincibili, e spesso con la sua soavità dispone l’anima al bene. Quante volte una parola mansueta seda le non vedute tempeste del cuore altrui, e vince i più invecchiati pregiudizj della mente! Il mansueto muove ancora un altro passo avanti. Con l’efficacia della sua virtù e con da dolcezza della sua parola, si fa incontro all’ira altrui, e la smorza e la seda: talora fa sino arrossire l’iroso della propria ira. Non pago di ciò il mansueto si accorge di dover fare ancora un altro passo avanti, e questo non facile. Ma nondimeno, ajutato dalla grazia di Dio, e dal buon volere proprio, lo fa. Mentre che l’iroso sbuffa, s’infiamma e trascende per ogni leggera ferita al suo amor proprio; il mansueto, che è sempre veramente forte di animo, soffre con quiete interna ed esterna le ingiurie che altri gli faccia, e sino le rapine altrui, senza scomporsi o dar segni d’ira, Che se il mansueto non contento di essere un Cristiano buono e mite, avesse anche vaghezza di salire alle cime del monte della cristiana perfezione; ed egli allora deve procurare di rallegrarsi nell’intimo dell’animo suo dell’ingiuria altrui, e altresì di vincere il malvolere dell’iracondo col beneficarlo, e con l’adoperarsi, se sia possibile, di amarlo come suo amico. Né questi due sforzi dell’animo umano si possono reputare poco ragionevoli, allorché si pensi che nel Cristiano essi sono ordinati ad imitar Gesù Cristo, e ad acquistare la piena e nobilissima signoria del volere e dell’arbitrio nostro su tutti quegli inchinamenti umani che, dopo il peccato d’origine, facilmente trascendono, e ripullulano, anche quando apparentemente pajono morti e sepolti. – A Gesù non bastò di dire: beati è mansuett; ma aggiunse la ragione che li fa beati, la quale è questa: perché erediteranno la terra. A prima giunta questa ragione pare oscura. Di qual terra si parla qui? Non certo della terra che noi calchiamo, e che è così bella a vedere pe’ suoi piani, pe’ suoi monti, e per gli alberi, i fiori e i frutti che la arricchiscono. Questa terra in vero alimenta buoni e cattivi, e buoni e cattivi egualmente la possiedono. Se volessimo notare qualche differenza, tra i possessori buoni o i cattivi, il vantaggio sarebbe tutto dei secondi. Ma leviamo la mente più in alto. La verità è che per i mansueti, e in generale per tutti gli uomini virtuosi, il Signore ha riserbato un luogo, che il più delle volte è detto cielo, e talvolta è anche detto terra; ma che in sustanza non è né questo cielo che vediamo, come ricco padiglione, sul nostro capo, né questa terra che calpestiamo co’ piedi e che ci dà il nutrimento. Esso è un luogo ineffabile, che nessun occhio umano mai vide, e nessun intelletto comprese appieno. Lo si chiama cielo; perché il cielo che apparentemente ci sta sul capo, è alto, è bello, è splendido, è ricco, è pieno di misteri, e ci dà facilmente immagine dell’infinito. A volte poi è detto nella Bibbia anche terra dei viventi. Però David in un Salmo canta così: “Io credo che vedrò i beni del Signore nella terra dei viventi,” e in un altro anche più poeticamente dice. Tu, o Signore, sei la mia speranza e la mia porzione nella terra dei viventi. (Psalm. XXVII: CXLI). Nella visione poi dell’Apocalisse san Giovanni vede il Paradiso come una città celestiale, fondata sopra pietre preziose, perfettamente ordinata, e la vede bella, come una sposa leggiadrissima, la quale si è abbigliata per il suo sposo. (Apoc. XXI, XXII). Paradiso è dunque anche una terra. Ma non creda alcuno che si tratti di una terra crassa, opaca, e dirò così terrestre, come la nostra. Il Signore aveva promesso, sin dai tempi d’Isaia, che avrebbe creato una terra nuova; (Isai. LXV, 17) e la promessa fu confermata nell’Apocalisse, nella seconda Lettera di san Pietro, e in quella di san Paolo agli Ebrei. La terra che sarà ereditata dai mansueti, è invece una terra sottile, lucida e celestiale; è un paradiso di rose, di gigli, di infinitamente diverse dalle nostre rose, dai nostri gigli e dalle nostre gemme, un paradiso olezzante di fragranza nuova, e splendente di luce soavissima. Insomma il paradiso promesso ai mansueti è un luogo spirituale e corporeo insieme, da cui zampilla un fiume d’infinita allegrezza per lo Spirito e per il corpo loro. – Da queste parole di Gesù, erediteranno la terra, si rileva che quel medesimo premio, il quale nella prima beatitudine è detto regno dei cieli, in questa seconda è chiamato terra. Come vedremo, nelle altre beatitudini, è sempre mutato il nome del premio, non perché quello di una virtù sia diverso da quello dell’altra, ma perché nessuna favella umana ha la parola per esprimere adeguatamente un premio che è di per sé infinito. L’umano intelletto lo mira, come può, ora da un lato e ora dall’altro, ed esprime imperfettamente e con successione di pensieri e di parole diverse, i diversi pregi, secondo che si affacciano alla sua mente, ma non proprio come sono in sé stessi. Intanto benché il significato principale delle parole di Gesù, erediteranno la ferra, sia quello che ho detto, non s’ ha da omettere che, secondo molti Padri Chiesa, Gesù Cristo intese allora anche alla vita presente. Volle dire che i mansueti hanno pur presente una certa signoria morale sopra gli uomini che abitano la terra, la quale perciò sembra quasi che sia una loro eredità. E la cosa è vera, e basterebbe a provarlo l’esperienza. Piuttosto qualche difficoltà o dubbiezza potrebbe sorgere nell’indicare il motivo di questa signoria. Forse il principale è che il mansueto, caro agli uomini, moralmente li domina, perché la natura umana, per quanto rifugga dell’assoggettarsi a coloro che fiaccamente servono alle loro passioni, altrettanto inclina ad assoggettarsi a chi maschiamente le domina, e mostra piena signoria di sé stesso. Poiché nell’animo umano l’irascibilità bolle così facilmente, e prorompe spesso in fuoco d’ira; ne segue che l’uomo mansueto apparisca ai non mansueti quasi come persona di una natura superiore, una persona dotata di una forza morale molto rara; e la forza morale (oh! quanto sarebbe bene che non ci sfuggisse mai dalla mente) è la sola che liberamente comanda, e a cui liberamente si obbedisce. È qui in fine del capitolo si dia pure un’occhiata ai tempi che viviamo, per venire a qualche utile conclusione. Come è detto avanti, ci ha un’ira buona e soggetta alla ragione, la quale ira ci commuove contro il reo, ed è compagna e amica della mansuetudine cristiana: e ci ha altresì un’ira mala, che ci commuove violentemente per passione, e che tiene per suo contrario la mansuetudine cristiana. Ora queste due ire hanno pure qualche rapporto tra loro. Quanto più l’uomo è disposto ad adirarsi passionatamente, tanto meno è capace dell’ira santa contro il male. E noi lo vediamo ai nostri giorni assai chiaramente. Il fuoco dell’ira passionata arde da per ogni dove, particolarmente nella parola parlata o scritta; ma in pari tempo è raro che alcuno nobilmente si adiri contro del male; e se taluno lo fa, ne è deriso e spesso ingiuriato. Oltre a ciò, poiché ci è anche il pericolo che le due ire, la buona e la mala, si confondano talvolta tra loro, e si scambino l’una con l’altra; ricordo qui alcune parole di san Gregorio Magno, che mi pajono belle, e che ci possono ajutare a non confondere la virtù dello sdegno buono con la passione dell’ira, siccome vediamo accadere agevolmente nell’età nostra. “La vera giustizia, ei dice, compatisce; la falsa si sdegna, benché anche i giusti sogliono sdegnarsi contro i peccatori. Ma altro è ciò, che si fa per effetto di superbia, altro ciò che proviene da zelo del bene. … Si ha da aver somma cura che l’ira, la quale taluno adopera come strumento di virtù, non domini l’animo. Invece l’ira buona sia come ancella, pronta all’ ossequio della ragione, e non si allontani mai dal suo fianco. Allora soltanto si eleverà robusta contro i vizj, quando sarà più completamente soggetta e più veramente ancella della ragione.” Quanti mai degl’irosi dei nostri tempi potrebbero in sicura coscienza applicare a sé medesimi queste nobilissime parole?