LO SCUDO DELLA FEDE (191)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXVII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. –

Torino 1944]

LIBRO QUINTO

I NOVISSIMI

II. — Il giudizio particolare.

D. Credi tu a un giudizio dell’anima dopo la morte?

R. Noi crediamo che subito dopo la morte, l’anima prende la direzione di vita che conviene ai suoi meriti.

D. Dove pensi che abbia luogo questo giudizio?

R. Là dov’è l’anima, là dov’è Dio, e ho già detto che questo non è un luogo materiale. Noi siamo sempre in Dio; non c’è bisogno di viaggio per raggiungerlo. La vita eterna è essenzialmente uno stato, non un luogo, e se essa è tale nella sua pienezza, tale è pure nel suo cominciamento.

D. È strano!

R. Sì, quale mistero, che uno possa immergere in Dio tutta la sua vita senza accorgersene, e quale risveglio, trovarsi tutt’a un tratto davanti a Lui nella piena luce!

D. Non vi è dunque tribunale?

R. È questa una metafora tolta dalla vita sociale.

D. Che cosa significa questa metafora?

R. Comparire al tribunale, per l’anima, è prendere davanti a Dio il sentimento di ciò che essa è, di ciò che vale, di ciò che ha fatto, di ciò che ha utilizzato o profanato, e di quello che ne segue per la sua sorte eterna.

D. Non vi è dunque sentenza, come non vi è tribunale?

R. Non vi è bisogno di sentenza. Il nostro bilancio interiore co’ suoi effetti: ecco la nostra sentenza. Sotto gli auspici della grazia, de’ suoi gradi o della sua assenza, la vita eterna è in noi sostanzialmente; ciascuno porta in sé il suo inferno o il suo cielo. Colui che fa il bene è subito beatificato dentro, come una terra seminata che le stagioni favoriscono; colui che fa il male è subito ferito dentro, spogliato, disorganizzato, tagliato fuori di comunicazione con Dio, sola forza che arricchisce, consegnato alla creazione ostile, e così votato alla sventura.

D. L’unico tribunale è dunque in noi?

R. Sì, ed è la coscienza; ma la coscienza voce di Dio, e non la falsa coscienza formata dai nostri vizi.

D. Questo tribunale è sempre eretto?

R. È sempre in segreta attività; ma alla fine, tutta la causa si chiarisce.

D. Ed è anche in noi il luogo di esecuzione?

R. E dove sarebbe, a titolo principale? Si tratta del nostro destino. Ma la creazione vi collabora. Operi bene o male, l’uomo è subito trasformato nella natura della sua propria azione, e posto così in accordo o in conflitto con l’ordine morale che Dio regola. La sua felicità o la sua infelicità sono fin d’allora acquisite, salvo che egli non cambi. Noi siamo di fronte al mondo come colui che fa la sua scelta prima di partire.

D. Siamo noi dunque rigorosamente gli agenti del nostro destino, compreso il nostro destino eterno?

R. Noi siamo gli autori del nostro destino, nell’interno e per l’azione dell’ordine divino. Il destino eterno non è che la manifestazione dello stato di coscienza che il giusto o il peccatore hanno provocato in se stessi, e la fissazione eterna de’ suoi effetti. L’uomo vola allora con le sue proprie ali e respira del suo alito, quell’alito dello Spirito Santo la grazia del quale gonfiò il suo cuore; oppure è preso nelle sue proprie reti e vi soffoca. « Dio per punire il male, non ha che da lasciarlo fare » (LACORDAIRE). « La loro colpa non è una cosa e la loro pena un’altra; ma contro di loro si rivolge la loro colpa stessa » (S. GREGORIO).

D. Perchè si parla allora di vita futura? La vita eterna è tutto il tempo.

R. Di fatti, la vita futura non è futura; adesso appunto noi vi entriamo. « Il regno di Dio è dentro di voi », disse nostro Signore. La vita eterna non si estende in durata, ma in profondità, e la successione dei nostri giorni non serve che ad acquistarla o a ritrovarla se l’abbiamo perduta.

D. E anche îl cielo e l’inferno occupano tutto il tempo?

R. Essi non sono tutto il tempo in manifestazione, ma sono tutto il tempo in sostanza; perché alla fine non fanno altro che rivelare due stati dell’anima: lo stato di grazia o l’assenza di grazia, la virtù o il peccato.

D. Donde viene che non lo sentiamo?

R. Ho già risposto parlando della grazia. Ma donde viene che spaccando un grano, non vi si trova il fiore, o la spiga?

D. Vorrei capire la differenza precisa tra la coscienza di oggi e la coscienza nell’ora del giudizio.

R. Oggi la coscienza ci avverte; allora, sarà tutta occupata nel convincerci. Qui la sua voce è coperta dai nostri desideri, dalle nostre passioni; allora essa stessa coprirà ogni voce e si pareggerà all’anima tutta quanta, tutta riflessa in se stessa. Non abbiamo detto che l’anima separata sarebbe a se stessa il suo proprio lume, sotto l’irradiamento divino?

D. Una sincerità assoluta, e in qualche modo sostanziale?

E. L’identità con se stesso, nella propria chiarezza.

D. Formidabile sincerità!

R. Sincerità formidabile per tutti, e per il peccatore terrificante, crudele come l’inferno, del quale essa è una parte. Perciò Tertulliano evoca con una specie di terrore quell’ora in cui l’anima « sarà tutt’insieme e il reo e il testimonio ».

D. Che confusione, senza dubbio!

R. Una confusione infinita, davanti all’infinita perfezione divina e alle possibilità infinite che in se stessa aveva l’anima peccatrice. Eccola quest’anima miserabile privata della suprema e futile consolazione di lagnarsi; infatti dove trovare una commiserazione disponibile, in colui che dichiara se stesso e per se stesso la causa de’ suoi mali?

D. E tutto ciò è irrevocabile?

R. Ciò è necessariamente irrevocabile, se uno è veramente arrivato al termine; perché la durata è interminabile. Il destino non si ricomincia.

D. Il dramma antico non ha niente di paragonabile a una tale fatalità!

R. È vero, e vi è di che allibire, quando si pensa che nei nostri cinquanta, sessanta o settant’anni — a meno che lo spazio non sia assai più breve — una formidabile eternità si nasconde.

D. Ma se noi rinunziamo?

R. « Noi siamo imbarcati » (PASCAL). La felicità è la nostra vocazione, e noi non possiamo rinunziarvi senza delitto. Felicità, infelicità, ecco l’alternativa. E Dio era debitore a se stesso di proporci l’opzione; ma non vi era luogo di autorizzarci a rigettare il problema, perché la felicità, qui, coincide col dovere. Se il Signore dei nostri cuori vuol renderci felici, è una ragione di disubbidirgli?

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.