DOMENICA III DOPO PASQUA (2021)

DOMENICA III DOPO PASQUA (2021)

Semidoppio. • Paramenti bianchi.

La Chiesa è nella gioia perché Gesù è risuscitato e ci ha fatti liberi (All.). Essa dà quindi gloria a Dio (Intr.) e ne canta le lodi (Off.). «Ancora un poco di tempo e non mi vedrete più, aveva detto Gesù nel Cenacolo, allora piangerete e vi lamenterete; ancora un poco di tempo e mi rivedrete e il vostro cuore si rallegrerà» (Vang.). Gli Apostoli, vedendo Gesù risuscitato, provarono quella gioia che risuona ancora nella liturgia pasquale; e come la Pasqua è un’immagine della Pasqua eterna, questa gioia è la stessa che avrà la Chiesa quando, dopo aver, nel dolore, generato anime a Dio, vedrà Gesù apparire trionfante nel cielo alla fine dei secoli, tempo assai breve, se paragonato all’eternità (Mattutino). « Egli allora cambierà la nostra afflizione in un gaudio che nessuno potrà più rapirci » (Vang.). Questo gaudio santo comincia già su questa terra, poiché Gesù non ci lascia orfani, ma viene a noi per mezzo dello Spirito Santo; e nella grazia sua siamo colmati di gioia nella speranza di una felicità avvenire. Non attacchiamoci ai vari piaceri del mondo, dice San Pietro, noi che siamo stranieri e viandanti avviati verso il cielo al seguito del divino Risuscitato, ma osserviamo i precetti tanto positivi, quanto negativi del Vangelo (Ep.), affinché, facendo professione di Cristianesimo, possiamo evitare quello che disonora questo nome e praticare quanto vi è conforme (Or.) e giungere cosi alla celeste Gerusalemme. «uno dei sette Angeli mi disse: Vieni e ti mostrerò la novella sposa, la sposa dell’Agnello. E vidi Gerusalemme che scendeva dal cielo, ornata dei suoi monili, alleluia. Come è bella la sposa che viene dal Libano, alleluia » (Respons.). L’eucaristico e divino alimento delle anime nostre protegga i nostri corpi (Postcomm.), affinché mitigando in noi l’ardore dei desideri terrestri, ci faccia amare i beni celesti (Secr.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXV: 1-2. Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja.

[Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Ps LXV: 3 Dícite Deo, quam terribília sunt ópera tua, Dómine! in multitúdine virtútis tuæ mentiéntur tibi inimíci tui.

[Dite a Dio: quanto sono terribili le tue òpere, o Signore. Con la tua immensa potenza rendi a Te ossequenti i tuoi stessi nemici.]

Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja.

[Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio 

Orémus. – Deus, qui errántibus, ut in viam possint redíre justítiæ, veritátis tuæ lumen osténdis: da cunctis, qui christiána professióne censéntur, et illa respúere, quæ huic inimíca sunt nómini; et ea, quæ sunt apta, sectári.

[O Dio, che agli erranti mostri la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia, concedi a quanti si professano cristiani, di ripudiare ciò che è contrario a questo nome, ed abbracciare quanto gli è conforme.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli: 1 Pet II: 11-19

“Caríssimi: Obsecro vos tamquam ádvenas et peregrínos abstinére vos a carnálibus desidériis, quæ mílitant advérsus ánimam, conversatiónem vestram inter gentes habéntes bonam: ut in eo, quod detréctant de vobis tamquam de malefactóribus, ex bonis opéribus vos considerántes, gloríficent Deum in die visitatiónis. Subjécti ígitur estóte omni humánæ creatúræ propter Deum: sive regi, quasi præcellénti: sive dúcibus, tamquam ab eo missis ad vindíctam malefactórum, laudem vero bonórum: quia sic est volúntas Dei, ut benefaciéntes obmutéscere faciátis imprudéntium hóminum ignorántiam: quasi líberi, et non quasi velámen habéntes malítiæ libertátem, sed sicut servi Dei. Omnes honoráte: fraternitátem dilígite: Deum timéte: regem honorificáte. Servi, súbditi estóte in omni timóre dóminis, non tantum bonis et modéstis, sed étiam dýscolis. Hæc est enim grátia: in Christo Jesu, Dómino nostro.”

(“Carissimi: Io vi scongiuro che da stranieri e pellegrini vi asteniate dai desideri sensuali, che fanno guerra all’anima. Tenete una buona condotta fra i gentili, affinché, mentre sparlano di voi quasi foste malfattori, considerando le vostre buone opere, diano gloria a Dio nel giorno in cui li visiterà. Per amor di Dio siate, dunque, sottomessi a ogni autorità umana; sia al re, che è sopra di tutti, sia ai governatori come da lui mandati a far giustizia dei malfattori e a premiare i buoni. Poiché questa è la volontà di Dio, che, operando il bene, chiudiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti. Diportatevi da uomini liberi, che non fate della libertà un mantello per coprire la nequizia, ma quali servi di Dio. Onorate tutti, amate la fratellanza, temete Dio, rendete onore al re. Servi, siate con ogni rispetto sottomessi ai padroni, e non soltanto ai buoni e benevoli, ma anche agli indiscreti; poiché questa è cosa di merito; in Gesù Cristo Signor nostro”).

L’obbedienza e l’autorità come principio

(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Tutta l’Epistola di questa domenica, terza domenica di Pasqua, è degna del suo autore umano e delle circostanze storiche in cui gli accadde di scrivere. San Pietro, apostolo dell’autorità tratta precisamente dell’autorità per garantirne i diritti. Ma non si circoscrive nel suo mondo religioso, non chiede obbedienza solo ai pastori d’anime, va oltre ei direbbe guardi di preferenza, almeno a momenti, l’autorità civile. Certo egli pensa a quel mondo romano che dopo essere stato il mondo della violenza, volle essere il mondo della legge. E si preoccupa, il Pontefice, ormai romano anch’esso, di quel mondo in cui vive, se nme preoccupa in due modi, per due ragioni. Intanto quel mondo ha un suo valore spirituale, morale, vero e proprio in quanto non è pio e non vuol essere il mondo della violenza bruta e dell’arbitrio personale, quel mondo non bisogna guastarlo per pretesa, neppur per pretesi interessi spirituali superiori come certi fanatici sarebbero pronti a fare; bisogna conservarlo. Il Cristianesimo assume il suo ufficio di conservatore della civiltà. Conservarlo per se stesso, conservarlo anche per creare uno scandalo civile alle coscienze di fronte all’invito religioso del Vangelo. – Ma per conservare quel mondo civile bisogna custodire, rafforzare il principio, uno dei principi su cui regge, che è proprio l’autorità col suo correlativo: l’obbedienza. L’autorità principio unificatore, l’autorità rappresentanza dell’intere collettivo di fronte alla somma degli interessi individuali, somma concorrente. – Il Cristianesimo per bocca dei suoi primi propagandisti più autorevoli, Pietro e Paolo, vi apporta il suggello di una vera e propria consacrazione, il paganesimo, in fondo, ha avuto – se è limitato al concetto di autorità per forza, o delle autorità entusiasmo – nell’un caso e nell’altro, un concetto personale dell’autorità, la persona del monarca (comunque poi si chiami chi comanda). Nel paganesimo, e dovunque il paganesimo, il laicismo civile risorge, comanda il più forte, in ragione ed in nome della sua forza. Il monarca è il potente, uomo o classe. – Che se poi si esce da questa situazione così precaria e avvilente, vuoi per chi comanda, vuoi per chi obbedisce, è per il rotto della cuffia dell’entusiasmo, il mito, il feticcio. Il monarca è Cesare, tutti lo acclamano e lo adulano. Di fronte alla sua autorità personale e mitologizzata l’obbedienza è servilità, una schiavitù dorata, schiavitù sempre. Il monarca nei due casi comanda, s’impone perché è lui. Il padrone sono me. Si fabbrica sull’arena mobile. Se la forza vien meno? Se l’entusiasmo si sgonfia? Che cosa succede? Dove va a finire la società di cui l’autorità è anima, vita, forza stabile, è verso la spersonalizzazione dell’autorità. L’autorità principio sostituita dall’autorità persona. E noi abbiamo di questo sforzo una formula magica nell’epistola di oggi. – « Obbedite ai vostri capi legittimi anche quando, anche se essi sono cattivi ». È l’ipotesi più terribile. La bontà e la qualità che sembra essenziale in chi comanda. Passi pure la mancanza di genio, d’ingegno, ma la bontà! La funzione del comando è proprio una funzione morale e moralizzatrice. E l’Apostolo è ben lontano dal negare in chi comanda l’utilità, la preziosità della bontà. Un buon monarca è il piu grande dono di Dio a un popolo. Ma non bisogna edificare lì; neppur lì, su questa facoltà preziosissima. Guai! Si tornerebbe al personalismo; l’obbedienza è alla discrezione dei sudditi e possono giudicare le qualità personali. E perciò obbedite ai vostri capi sempre, perché sono capi, qualunque siano le loro qualità o i loro difetti… anche ai (personalmente cattivi. Purché non comandino il male, purché non si erigano comandando né contro Dio, né contro la coscienza. – I Cristiani sono così i sudditi migliori, i più fidati dell’impero … d’ogni impero, d’ogni stato civile, diremmo oggi in linguaggio moderno. E perciò sono ciechi i governi che combattono il Cristianesimo; si danno la zappa sui piedi. Sono miopi i governi che accarezzano la religione per secondi fini, sono savi oltreché onesti, i governi che favoriscono senza ipocrisie, equivoci e sottintesi il Cristianesimo: lavorando in apparenza per la religione, lavorano in realtà abilmente ed efficacemente per sé.

Alleluja

Allelúja, allelúja. Ps CX: 9

Redemptiónem misit Dóminus pópulo suo: alleluja.

[Il Signore mandò la redenzione al suo pòpolo. Allelúia.]

Luc XXIV: 46 Oportebat pati Christum, et resúrgere a mórtuis: et ita intráre in glóriam suam. Allelúja.

[Bisognava che Cristo soffrisse e risorgesse dalla morte, ed entrasse così nella sua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Joannes XVI: 16; 22

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Módicum, et jam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis ejus ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me, et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo: Quid est hoc, quod dicit: Modicum? nescímus, quid lóquitur. Cognóvit autem Jesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quaeritis inter vos, quia dixi: Modicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora ejus: cum autem pepérerit púerum, jam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos igitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.”

[In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre. Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: Che significa ciò che dice: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quel che dice. E conobbe Gesù che volevano interrogarlo, e disse loro: Vi chiedete tra voi perché abbia detto: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà, e nessuno vi toglierà il vostro gàudio.]

OMELIA

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; C. Ed. Marietti, 1933)

Sulle afflizioni.

Amen, amen dico vobis,

Quia plorabitis et flebitis  vos:

mundus autem gaudebit.”

(JOAN. XVI, 20) .

Chi potrebbe ascoltare senza stupire, Fratelli miei, il linguaggio che il Salvatore tiene ai discepoli prima di salire al cielo, quando predice che la loro vita non sarebbe stata che un succedersi di lagrime, di croci e di sofferenze; mentre i seguaci del mondo si abbandonerebbero ad una gioia insensata, ridendo come frenetici? « Non già – ci dice S. Agostino – che i seguaci del mondo, cioè i malvagi, non abbiano anch’essi le loro pene; i dolori e gli affanni sono le conseguenze di una vita peccaminosa, un cuore sregolato trova il suo supplizio nella propria sregolatezza. „ Essi sono travolti nella maledizione che Gesù Cristo pronuncia contro coloro i quali non pensano che ad abbandonarsi ai piaceri ed alla gioia. La sorte dei buoni Cristiani è ben differente: bisogna ch’essi si rassegnino a passare la vita nella sofferenza e nel pianto; ma poi, dalle lagrime e dai dolori passeranno ad una gioia e ad un piacere infinito nella sua grandezza e nella sua durata; mentre i seguaci del mondo, dopo qualche momento di gioia, mescolata ad amarezze, passeranno la loro eternità nelle fiamme. « Guai a voi, dice loro Gesù Cristo, guai a voi che non pensate che a godervela, poiché i vostri piaceri davanti alla mia giustizia vi saranno causa di danni senza fine. Ah! fortunati, dice poi ai buoni Cristiani, ah! fortunati voi, che passate i vostri giorni nelle lagrime, poiché verrà un giorno in cui Io stesso vi consolerò. » Vi mostrerò dunque, F . M., che le croci, i dolori, la povertà ed il disprezzo sono l’eredità di un Cristiano che cerca di salvare la propria anima e di piacere a Dio. O bisogna soffrire in questo mondo, o non sperar mai più di vedere Iddio lassù in cielo. Esaminiamo tutto questo un po’ davvicino.

I . — Dico primieramente che da quando siamo annoverati tra i figli di Dio, prendiamo una croce, la quale non deve abbandonarci che alla morte. Dovunque Gesù Cristo ci parla del cielo non manca di dirci che noi non possiamo meritarlo se non colle croci e colle sofferenze: « Prendete la vostra croce, ci dice Gesù Cristo, e seguitemi, non per un giorno, non per un mese, non per un anno, ma per tutta la vostra vita. » S. Agostino ci dice: « Lasciate le gioie ed i piaceri alla gente del mondo; ma voi che siete figli di Dio, piangete coi figli di Dio. » Le sofferenze e le persecuzioni ci sono vantaggiosissime sotto due rapporti. Primo, perché vi troviamo mezzi assai efficaci di espiare i nostri peccati passati, poiché, o in questo mondo, o nell’altro bisogna subirne la pena. In questo mondo le pene non sono infinite sia nella durata che nel rigore: siamo in mano di un Dio misericordioso che ci castiga perché ha grandi disegni di misericordia su di noi; Egli ci fa soffrire un momento per renderci felici durante tutta una eternità. Per quanto sieno grandi le nostre pene, Egli non ci tocca ora che col suo dito mignolo; mentre, nell’altra vita, i dolori ed i tormenti che sopporteremo saranno generati dalla sua potenza e dal suo furore. Sembrerà ch’Egli cerchi esaminare le sue forze per farci soffrire. In questo mondo le nostre pene sono ancora addolcite dalle consolazioni e dai conforti che troviamo nella nostra santa Religione; ma nell’altro mondo non avremo né consolazioni né sollievo; tutto sarà per noi motivo di disperazione. Oh! felice il Cristiano che passa la sua vita nelle lacrime e nei dolori, poiché eviterà tanti mali e si procurerà tanti piaceri e gioie eterne! – Il santo Giobbe ci dice che la vita dell’uomo non è che un “succedersi di miserie.„ Entriamo in qualche particolarità. Invero, se andiamo di casa in casa, vi troviamo dappertutto la croce di Gesù Cristo; qui, una perdita di beni, un’ingiustizia che riduce alla miseria una povera famiglia; là una malattia che inchioda quel povero uomo su un letto di dolore, affinché passi la sua vita nei patimenti; altrove una povera donna che bagna il suo pane di lagrime, per i dispiaceri che le fa provare un marito irreligioso e brutale. Se mi volgo ad un’altra, vedo la tristezza dipinta sul suo volto: se gliene domando il perché mi risponderà ch’è accusata di cose, cui non ha mai neppur pensato. Da una parte sono poveri vecchi rigettati e disprezzati dai loro figli e ridotti a morire di affanno e di miseria. Finalmente, da un’altra parte, sento una casa risuonare di pianti causati dalla perdita del padre, della madre, d’un figlio. Ecco in generale. F . M., ciò che rende la vita dell’uomo sì triste e miserabile, se consideriamo tutte queste cose solo umanamente; ma se ci volgiamo dalla parte della Religione, vedremo che siamo grandemente sventurati desolandoci e piangendo come facciamo.

II. — Vi dirò poi che quello che vi rende così disgraziati, si è il guardare sempre a quelli che stanno meglio di voi. Un povero, nelle miserie della sua povertà, invece di pensare ai delinquenti carichi di catene, condannati a passare i loro giorni nelle prigioni, o a perdere la loro misera vita su di un patibolo, porterà il suo pensiero nella casa d’un grande del mondo, che sovrabbonda di beni e di piaceri. Un ammalato, invece di pensare ai tormenti che soffrono gli infelici dannati, i quali urlano nelle fiamme, sono schiacciati dalla collera di Dio, mentre un’eternità di tormenti non potrà mai cancellare il minimo loro peccato; getterà gli occhi su quelli che mai non furon tocchi da malattia e dalla povertà. Ecco, F . M., ciò che rende i nostri mali insopportabili. E che cosa ne deriva da questo, se non lamenti e pianti, che ci fanno perdere ogni merito pel cielo? Poiché, da una parte noi soffriamo senza consolazione e senza speranza d’esserne ricompensati, dall’altra, invece di servircene per espiare i nostri peccati, non facciamo che aumentarli colle mormorazioni e colla mancanza di pazienza. Eccone la prova: da quando parlate male di quella persona che ha tentato farvi del male, che guadagno avete ottenuto? Il vostro odio s’è mitigato? No, F. M., no. Dopo tanti anni che non cessate di gridare contro quel marito, che colla sua ubriachezza, coi suoi stravizzi e colle sue folli spese vi addolora, è egli diventato più ragionevole? No, sorella, no. Quando accasciato da malattie e da dissesti finanziari vi siete abbandonato alla disperazione fin a volervi uccidere, fino a maledire coloro che vi hanno dato la vita, i vostri mali sono cessati, le vostre pene diventarono meno dolorose? No, F. M., no. Quel figlio che v’ha fatto versare tante lacrime è risuscitato? No, F. M., no. Così le vostre impazienze, la vostra mancanza di sottomissione alla volontà di Dio e la vostra disperazione non hanno servito che a rendervi più infelici, non avete fatto altro, dunque, che aggiungere nuovi peccati agli antichi. Ecco, F. M., la sorte infelice e sconfortante d’una persona che ha perduto di vista il fine per cui Iddio le manda le croci. Ma, mi direte voi, abbiamo già sentito cento volte questo linguaggio: queste sono parole e non consolazioni; anche noi parliamo così a quelli che soffrono. — Ah! amico mio, guarda, guarda in alto; togli il tuo cuore dal fango della terra in cui lo tieni immerso, togli quelle nebbie che ti nascondono i beni che ti possono procurare le tue pene. Ah! guarda in alto, osserva la mano d’un buon padre che ti prepara un posto beato nel suo regno; un Dio ti colpisce, per guarire le piaghe arrecate dal peccato alla tua povera anima; un Dio ti fa soffrire per coronarti di gloria immortale. Volete sapere, F. M., come dobbiamo ricevere le croci che ci vengono o dalla mano di Dio o da quella delle creature? Ecco. Come il santo Giobbe che, dopo aver perduto immense ricchezze ed una numerosa famiglia, non se la prese, né con la folgore che aveva distrutto una parte dei suoi armenti, né coi ladri che avevano rubato il resto, né col vento impetuoso che, fatta crollare la sua casa aveva schiacciato i suoi poveri figli: ma s’accontentò di dire: “Ahimè! la mano del Signore s’è aggravata su di me.„ Quando steso per un anno sul letamaio, coperto di ulceri, senza ristoro e consolazione, disprezzato dagli uni ed abbandonato dagli altri, perseguitato fin dalla moglie che, invece di consolarlo, si burlava di lui, dicendogli: “Domanda a Dio la morte affinché finiscano questi mali. Vedi come ti tratta il tuo Dio, che tu servi con tanta fedeltà? — Taci, le rispose, se abbiamo ricevuto con ringraziamenti la prosperità dalle sue mani, perché non dobbiamo ricevere i mali di cui ci affligge?„ Ma, voi pensate, non posso spiegarmi come sia Dio che ci affligge, Dio, che è la stessa bontà, che ci ama infinitamente. Domandatemi allora anche se è possibile che un padre castighi il figlio suo, che un medico dia un rimedio amaro ai suoi ammalati. Pensereste voi forse che sarebbe meglio lasciar vivere quel figliuolo nel suo libertinaggio, piuttosto che castigarlo, per farlo camminare sulla via della salute e condurlo al cielo? Vi pare che un medico farebbe meglio a lasciar morire il suo ammalato, per tema di dargli medicine amare? Oh! quanto siamo ciechi se ragioniamo così! Bisogna che Dio ci castighi, altrimenti non saremmo nel numero dei suoi figli, poiché Gesù Cristo stesso ci dice che il cielo non sarà dato che a coloro che soffrono e che combattono fino alla morte. Credete, F. M., che Gesù Cristo non dica la verità? Ebbene, esaminate la vita che hanno condotto i santi, vedete la via ch’essi hanno presa: quando non soffrono si credono perduti ed abbandonati da Dio. “Dio mio, Dio mio – esclamava piangendo S. Agostino – non risparmiatemi in questo mondo, fatemi soffrire molto; purché mi usiate misericordia nell’altro io sono contento.„ — “O quanto sono felice – diceva S. Francesco di Sales nelle sue Malattie – di aver trovato un mezzo così facile per espiare i miei falli. Oh! quant’è più dolce e consolante soddisfare la giustizia di Dio su di un letto di dolore che andarla a soddisfare nelle fiamme! „ Ed io dico, dopo tutti i santi, che i dolori, le persecuzioni e le altre miserie sono i mezzi più efficaci per attirare un’anima a Dio. Infatti, vediamo che i più gran Santi son quelli che hanno sofferto di più: Dio distingue i suoi amici soltanto colle croci. Vedete S. Alessio che restò per quattordici anni coricato su di un fianco tutto scorticato e, in quella crudele posizione, si accontentava di dire: ” Dio mio, voi siete giusto, mi castigate perché sono peccatore e m’amate.„ Vedete ancora santa Lidwina, giovane di straordinaria bellezza, domandare a Dio, se la sua beltà poteva essere motivo della caduta e della rovina della propria anima, di farle la grazia di perderla. Sull’istante fu coperta di lebbra, che la rese a tutti oggetto d’orrore, e questo per trentotto anni, cioè fino alla sua morte. E durante questo tempo ella non si lasciò sfuggire nemmeno una parola di lamento. Quanti, che. ora sono nell’inferno sarebbero in cielo, se Iddio avesse lor fatto la grazia di restar lungo tempo ammalati. Ascoltate S. Agostino: “Figli miei – ci dice – negli affanni, consolatevi col pensiero della ricompensa che vi è preparata.„ Si racconta nella storia che una povera donna era da molti anni stesa su di un letto di dolore; le si domandò che cosa poteva darle tanto coraggio per soffrire con tanta pazienza. “Eh! disse, sono così contenta d’essere come Dio mi vuole, che non cambierei con tutti i regni del mondo. Quando penso che Dio vuol ch’io soffra, mi consolo tutta.„ S. Teresa ci riferisce che un giorno Gesù Cristo apparendole le disse: « Figlia mia, non ti stupire di quanto vedi; i miei servi fedeli passano la loro vita nelle croci, nel disprezzo ; più il Padre mio ama qualcheduno e più lo fa soffrire.„ S. Bernardo accettava le sue croci con tanta riconoscenza, che un giorno diceva piangendo a Dio: “Ah! Signore, quanto sarei felice di aver la forza di tutti gli uomini, per poter soffrire tutte le croci dell’universo!„ S. Elisabetta, regina d’Ungheria, cacciata dal suo palazzo dai propri sudditi e trascinata nel fango, invece di pensare a punirli, corse alla chiesa a far cantare il Te Deum di ringraziamento. S. Giovanni Crisostomo, quel grande amante della croce, diceva che preferiva soffrire con Gesù Cristo che regnare in cielo con Lui. S. Giovanni della Croce, dopo aver provata tutta la crudeltà dei suoi fratelli, che lo misero in prigione e lo batterono sì barbaramente ch’egli era tutto coperto di sangue, che cosa rispose a coloro che erano testimoni dei suoi dolori? – E che, amici miei, voi piangete perché io soffro? Ma se non ho passato mai momenti così felici!„ Gesù Cristo, apparsogli, gli disse: “Giovanni, che cosa vuoi che ti dia per ricompensarti di quanto soffri per me ? — Ah! Signore, esclamò, fate ch’io soffra ancor più! „ Conveniamo dunque, F. M., che i Santi comprendevano meglio di noi la fortuna di soffrire per Dio. Si sente dire da molti tra voi quando hanno dei dolori: Ma che ho fatto a Dio perché mi mandi tante disgrazie? — Che male avete fatto, perché il buon Dio vi affligga così?… Prendete tutti i comandamenti della legge di Dio e vedete se ve ne ha uno contro cui non abbiate peccato. Che male avete fatto? Percorrete tutti gli anni della vostra giovinezza, passate nella memoria tutti i giorni della vostra miserabile vita; e poi domandate che male avete fatto perché il buon Dio vi affligga così. Contate dunque per nulla tutte le abitudini vergognose, in cui avete marcito sì lungo tempo? Contate dunque per nulla quella superbia la quale vi fa credere che debbono tutti inchinarsi davanti a voi per qualche pezzo di terra più degli altri che possedete e che, forse, sarà la causa della vostra dannazione? Contate dunque per nulla quell’ambizione che non vi lascia mai contenti, quell’amor proprio, quella vanità che vi occupa continuamente, quelle vivacità, quei risentimenti, quelle intemperanze, quelle gelosie? Contate dunque per nulla quella detestevole negligenza per i Sacramenti e per tutto ciò che riguarda la vostra povera anima: tutto questo voi l’avete dimenticato; ma siete perciò meno colpevole? Ebbene! amico, se siete colpevole, non è giusto che il buon Dio vi castighi? Ditemi, amico, che penitenze avete fatto per espiare tanti peccati? Dove sono i vostri digiuni, le vostre mortificazioni e le vostre buone opere? Se dopo tanti peccati non avete versato una lagrima; se dopo tanta avarizia vi siete accontentato solo di fare qualche leggera elemosina; se dopo tanta superbia non volete subire la minima umiliazione; se dopo aver fatto servire tante volte il vostro corpo al peccato, non volete sentir parlare di penitenza, bisogna che il cielo faccia giustizia poiché voi non volete farvela. Ahimè! quanto siamo ciechi! Vorremmo fare il male senza esser puniti, o meglio, vorremmo che Dio non fosse giusto. Ebbene! Signore, lasciate vivere tranquillo questo peccatore, non aggravate la vostra mano su di lui, lasciatelo impinguare come una vittima destinata alle vendette eterne, ed in quel fuoco, avrete tempo di fargli soddisfare la vostra giustizia; risparmiatelo in questo mondo, poiché egli lo vuole; nelle fiamme gli farete fare una penitenza inutile, senza fine. Dio mio! che questa disgrazia non ci tocchi mai! « Oh! – esclama S. Agostino – moltiplicate le mie afflizioni e le mie sofferenze fin che vorrete, purché mi usiate misericordia nell’altra vita!„ Ma, mi dirà un altro, tutto questo è per quelli che hanno commesso gravi peccati; non per me, che, grazie a Dio, non ho fatto gran male. — Eh! voi dunque credete che perché non avete fatto molto male non dovete soffrire? ed io vi dirò: appunto perché avete cercato di far bene il buon Dio vi affligge e permette che siate schernito e disprezzato e che si getti in ridicolo la vostra divozione; è Dio stesso che vi fa provare dispiaceri e malattie. E ne stupite? Date uno sguardo a Gesù Cristo, vostro vero modello, vedete se ha passato un solo istante senza soffrire pene che uomo alcuno non potrà comprendere. Ditemi, perché i farisei lo perseguitavano, e cercavano continuamente di poterlo sorprendere per condannarlo a morte? Era forse colpevole? No, senza dubbio; ma eccone la ragione. Perché  i suoi miracoli ed i suoi esempi d’umiltà e di povertà erano la condanna del loro orgoglio e delle loro cattive azioni. Diciamo meglio, F. M.; se percorressimo la sacra Scrittura, vedremmo che fin dal principio del mondo, le sofferenze, il disprezzo e gli scherni sono sempre stati il retaggio dei figli di Dio; cioè di quelli che hanno pensato di piacere a Dio. Infatti chi può disprezzare e burlarsi d’una persona che adempie i suoi doveri di Religione, se non un infelice dannato che l’inferno ha vomitato sulla terra per far soffrire i buoni, o per cercare di trascinarli negli abissi, dove egli è già per sempre? Ne volete la prova? Eccola. Perché Caino uccise suo fratello Abele? Non forse perché era più buono di lui? Non gli tolse forse la vita perché non poté indurlo al male? Perché i figli di Giacobbe gettarono il loro fratello Giuseppe in una cisterna? non forse perché la sua vita santa condannava la loro condotta libertina? Che cosa attirò tante persecuzioni sugli Apostoli che, ad ogni momento erano gettati in prigione, battuti, torturati; e la cui esistenza, dopo la morte di Gesù Cristo, non fu che un martirio continuo, giacché quasi tutti hanno finito i loro giorni nel modo più crudele e doloroso? Ora, che male facevano essi, i quali non cercavano che la gloria di Dio e la salute delle anime? Siete disprezzati, derisi, perseguitati quantunque non diciate né facciate male ad alcuno? Tanto meglio se vi si disprezza, e vi si deride. Se non aveste nulla da soffrire che cosa avreste da offrire a Dio nell’ora di morte? Ma, direte, essi offendono Dio, si perdono facendo soffrire gli altri; se Dio volesse, potrebbe impedirneli. — Certo che se lo volesse impedirebbe. Perché Iddio tollerava i tiranni? Gli era egualmente facile punirli come conservarli; ma si serviva dei loro cattivi intenti per provare i buoni ed affrettare la loro felicità. Non v’ha dubbio che dobbiate compiangerli e pregare per essi, non perché vi disprezzanoe vi deridono, ma per il male ch’essi fanno a se stessi. Bisogna infatti convenire che si deve essere ben ciechi disprezzando uno perché serve Dio meglio di noi, cerca con più diligenza la via del cielo, e fa maggior numero di buone opere e di penitenze. È questo un mistero veramente incomprensibile. Se vuoi dannarti: ebbene! fallo. Perché ti inquieti se, io vado dove tu non vuoi andare? Io voglio andare in cielo; se tu non ci vai, è perché nonlo vuoi. Apri gli occhi, amico, riconosci il tuo accecamento: quando m’avrai impedito di servire il buon Dio, o sarai la causa della mia dannazione, che ne ricaverai? Ancora una volta, apri gli occhi, esci dal tuo errore. Cerca d’imitare quelli ch’hai disprezzato fino ad ora, e troverai la felicità in questo mondo e nell’altro. Ma, mi direte, io non faccio loro alcun male; perché essi vogliono fame a me? — Tanto meglio, amico, buon segno; siete sicuro di essere sulla via che conduce al cielo. Ascoltate nostro Signore: « Prendete la vostra croce e seguitemi; se perseguitano me perseguiteranno anche voi; io sono disprezzato e voi pure lo sarete: ma. lungi dallo scoraggiarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi è promessa in cielo. Chi non è pronto a soffrir tutto, fino a perdere la vita por amor mio, non è degno di me. » Perché il santo Tobia diventò cieco? Non era egli forse un uomo dabbene? Ascoltate ciò che dice Gesù Cristo parlando a S. Pietro martire, che si lagnava di un oltraggio fattogli senza ch’egli vi avesse dato motivo. « Ed io, Pietro, disse Gesù Cristo, che male avevo fatto quando mi si fece morire? » Riconosciamolo tutti, F. M., noi facciamo belle promesse a Dio finché nessuno ci dice nulla, e tutto va a seconda dei nostri desideri; ma al primo piccolo scherno, disprezzo od anche alla minima burla di un empio, il quale non ha il coraggio di fare ciò che voi fate, arrossite, ed abbandonate il servizio di Dio. Ah! ingrato, non ricordi quanto Iddio ha sofferto per amor tuo? Non è forse, o amico, perché vi è stato detto che fate l’uomo dabbene, che non siete che un ipocrita, e che siete più cattivo di quelli che non si confessano mai, che avete abbandonato Dio, per mettervi dalla parte di quelli che saranno dannati? Fermatevi, amico, non andate più oltre; riconoscete la vostra pazzia, e non gettatevi nell’inferno.

III. — Ditemi, F. M., che cosa risponderemo quando Dio confronterà la nostra vita con quella di tanti martiri, dei quali gli uni sono stati fatti a pezzi dai carnefici, gli altri sono marciti nelle prigioni, piuttosto di tradire la propria fede? No, F. M., se siamo buoni Cristiani, non ci lamenteremo degli scherni che ci si fanno: invece, più ci si disprezza, più saremo contenti e più pregheremo Dio per quelli che ci perseguitano; rimetteremo ogni vendetta nelle mani di Dio, e, se egli lo trova conveniente per la sua gloria e per la nostra salute, lo farà. Vedete Mosè coperto ingiurie dal fratello e dalla sorella: a tutto questo disprezzo, oppone una bontà ed una carità sì grandi che Dio ne fu commosso. Lo Spirito Santo dice ch’egli era il più mite degli uomini che vivevano allora sulla terra.„ Il Signore colpì la sorella con un’orribile lebbra per punirla di aver mormorato contro il fratello. Mose, vedendola punita, lungi dall’esterne contento, disse al Signore: “Ah! Signore, perché punite mia sorella? Sapete ch’io non ho mai domandato vendetta; guarite, ve ne prego, mia sorella. „ Dio non poté resistere alla sua bontà; e la guarì. Oquale felicità per noi, F. M., se nel disprezzo e negli scherni che ci si fanno, ci comportassimo così! Quanti tesori pel cielo! No, F. M., fin che non vi si vedrà far del bene a quelli che vi disprezzano, preferirli anche agli stessi amici e non opporre alle loro ingiurie che bontà e carità, non sarete del numero di quelli che Dio ha destinato pel cielo, direte che cosa siamo noi? Eccolo. Noi facciamo come quei soldati che, finché non vi è pericolo, sembrano invincibili e che, al primo pericolo prendono la fuga; così finché siamo adulati pel nostro modo di vivere, e si lodano le nostre azioni, crediamo che nulla potrà farci cadere; ed invece un nonnulla ci fa precipitare, ed abbandonare tutto. Dio mio, come è cieco l’uomo quando si crede capace di qualche cosa, mentre non è capace che di tradirvi e di perdervi! E d io dico, F. M., che nulla è più adatto a convertire quelli che lacerano la nostra riputazione quanto la dolcezza e la carità. Essi non possono resistervi. Se sono troppo induriti ed hanno già messo il sigillo alla loro riprovazione, si confonderanno, e se n’andranno come disperati: eccone la prova. Si racconta che S. Martino aveva con sé un chierico giovanetto. Sebbene avesse fatto ogni possibile per ben allevarlo nel servizio di Dio, il chierico divenne un vero libertino, uno scandaloso: non v’era sorta d’ingiurie e d’oltraggi ch’egli non lanciasse contro il suo santo vescovo. Ma S. Martino invece di cacciarlo da sé, come meritava, lo trattava con sì grande bontà che sembrava moltiplicare le sue cure in proporzione degli insulti che riceveva. Ad ogni momento spargeva lacrime ai piedi del crocifisso, per sollecitare la sua conversione. Ad un tratto il giovane aprì gli occhi; considerando, da una parte, la carità del Vescovo, dall’altra le ingiurie di cui l’aveva coperto, corse a gettarsi ai suoi piedi per domandargli perdono. Il Vescovo l’abbraccia e benedice Dio d’aver avuto pietà di quella povera anima. Quel giovane fu. per tutta la vita, un modello di virtù e considerato come un santo. Prima di morire ripeté più volte che la pazienza e la carità di Martino, gli avevano valso la grazia della conversione. – Si, F. M.. ecco a che riusciremmo se, invece di rendere ingiuria per ingiuria, avessimo la fortuna di non opporre che dolcezza e carità. Ahimè! quando i santi non avevano occasione d’esser disprezzati, essi stessi la cercavano: eccone la prova.Leggiamo nella vita di sant’Atanasio che una dama, desiderando lavorare per guadagnarsi il cielo, andò dal vescovo e gli domandò uno dei poveri che veniva nutrito d’elemosina, por averne cura essa stessa: perché, diceva, vorrei esercitare un po’ la pazienza. Il santo Vescovo le mandò una donna estremamente umile e che non sapeva tollerare d’esser servita da quella dama. Ogni volta che le rendeva un servizio ella si profondeva in mille ringraziamenti. Malcontenta di tutti questi ringraziamenti, la dama, tutta triste, va dal Vescovo dicendogli: “Monsignore, voi non m’avete servita com’io desideravo; m’avete dato una persona che colla sua umiltà mi copre di confusione. Al minimo servizio ch’io le rendo, s’inchina fino a terra; datemene un’altra.„ Il vescovo, vedendo la sua voglia di soffrire, gliene diede una che era superba, collerica, disprezzatrice. Ogni volta che la dama la serviva, la copriva d’ingiurie, rinfacciandole ch’essa l’aveva domandata, non per averne cura, ma per farla soffrire. E giunse perfino a batterla; ed essa che fece? Eccolo: più la povera disprezzava la dama, più questa la serviva senza stancarsi e con maggior sollecitudine. Che avvenne? Commossa da tanta carità la donna si convertì e morì da santa. Oh! F. M., quante anime, nel giorno del giudizio ci rimprovereranno, perché se non avessimo opposte alle loro ingiurie che bontà e carità, sarebbero in cielo; mentre invece bruceranno nell’inferno eternamente! Se abbiamo detto in principio, F. M., che le croci, come tutte le miserie della vita, ci erano date da Dio per soddisfare la sua giustizia per i nostri peccati, possiamo dire anche ch’esse sono un preservativo contro il peccato. Perché Dio ha permesso che uno vi recasse danno, che un altro v’ingannasse? Eccone la ragione. Perché Dio, che vede l’avvenire, ha previsto che il vostro cuore s’attaccherebbe troppo alle cose della terra e che perdereste di vista il cielo. Egli permette che si laceri il vostro onore, che vi si calunni: e perché? Perché siete troppo superbi, troppo gelosi della vostra riputazione; per questo ha permesso che foste umiliati; altrimenti vi sareste dannati. Finendo dunque, F. M., io dico che non vi è alcuno più disgraziato nelle croci che l’uomo senza Religione. Ora accusa se stesso dicendo: Se avessi preso quelle misure, questa disgrazia non mi sarebbe toccata. Ora accusa gli altri: Fu quella persona la causa dei miei mali; non le perdonerò mai più. Egli si augura la morte e la augura agli altri. Maledice il giorno della sua nascita; commetterà mille viltà, che crederà lecite, per togliersi d’impaccio; ma no, la sua croce, o meglio il suo inferno, l’accompagnerà. Tale è la fine disgraziata di colui che soffre senza rivolgersi a Dio, che solo può consolarlo e sollevarlo. Ma guardate invece una persona che ama Dio e che desidera d’andarlo a vedere in cielo: Dio mio, dice, quanto sono poca cosa i miei dolori in confronto di ciò che i miei peccati meritano che io soffra nell’all’altra vita! Voi mi fate soffrire un piccolo momento in questo mondo per rendermi felice per tutta l’eternità. Quanto siete buono, mio Dio! fatemi soffrire; ch’io sia oggetto di disprezzo ed’orrore davanti al mondo; purché abbia la fortuna di piacervi, non voglio altro. Concludiamo dunque che chi ama Dio è felice anche in mezzo a tutte le tempeste del mondo. Dio mio, fate che noi soffriamo sempre, affinché dopo avervi imitato quaggiù, veniamo a regnare con voi in cielo!

Credo…

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps CXLV: 2 Lauda, anima mea, Dóminum: laudábo Dóminum in vita mea: psallam Deo meo, quámdiu ero, allelúja.

[Loda, ànima mia, il Signore: loderò il Signore per tutta la vita, inneggerò al mio Dio finché vivrò, allelúia.]

Secreta

His nobis, Dómine, mystériis conferátur, quo, terréna desidéria mitigántes, discámus amáre coeléstia.

[In virtú di questi misteri, concédici, o Signore, la grazia con la quale, mitigando i desiderii terreni, impariamo ad amare i beni celesti.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes XVI: 16 Módicum, et non vidébitis me, allelúja: íterum módicum, et vidébitis me, quia vado ad Patrem, allelúja, allelúja.

[Ancora un poco e non mi vedrete più, allelúia: ancora un poco e mi vedrete, perché vado al Padre, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Sacramenta quæ súmpsimus, quæsumus, Dómine: et spirituálibus nos instáurent aliméntis, et corporálibus tueántur auxíliis.

[Fai, Te ne preghiamo, o Signore, che i sacramenti che abbiamo ricevuto ci ristòrino di spirituale alimento e ci siano di tutela per il corpo.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLE AFFLIZIONI

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLE AFFLIZIONI

Amen, amen dico vobis,

Quia plorabitis et flebitis  vos: mundus autem gaudebit.”

(JOAN. XVI, 20).

Chi potrebbe ascoltare senza stupire, Fratelli miei, il linguaggio che il Salvatore tiene ai discepoli prima di salire al cielo, quando predice che la loro vita non sarebbe stata che un succedersi di lagrime, di croci e di sofferenze; mentre i seguaci del mondo si abbandonerebbero ad una gioia insensata, ridendo come frenetici? « Non già – ci dice S. Agostino – che i seguaci del mondo, cioè i malvagi, non abbiano anch’essi le loro pene; i dolori e gli affanni sono le conseguenze di una vita peccaminosa, un cuore sregolato trova il suo supplizio nella propria sregolatezza. „ Essi sono travolti nella maledizione che Gesù Cristo pronuncia contro coloro i quali non pensano che ad abbandonarsi ai piaceri ed alla gioia. La sorte dei buoni Cristiani è ben differente: bisogna ch’essi si rassegnino a passare la vita nella sofferenza e nel pianto; ma poi, dalle lagrime e dai dolori passeranno ad una gioia e ad un piacere infinito nella sua grandezza e nella sua durata; mentre i seguaci del mondo, dopo qualche momento di gioia, mescolata ad amarezze, passeranno la loro eternità nelle fiamme. « Guai a voi, dice loro Gesù Cristo, guai a voi che non pensate che a godervela, poiché i vostri piaceri davanti alla mia giustizia vi saranno causa di danni senza fine. Ah! fortunati, dice poi ai buoni Cristiani, ah! fortunati voi, che passate i vostri giorni nelle lagrime, poiché verrà un giorno in cui Io stesso vi consolerò. » Vi mostrerò dunque, F . M., che le croci, i dolori, la povertà ed il disprezzo sono l’eredità di un Cristiano che cerca di salvare la propria anima e di piacere a Dio. O bisogna soffrire in questo mondo, o non sperar mai più di vedere Iddio lassù in cielo. Esaminiamo tutto questo un po’ davvicino.

I . — Dico primieramente che da quando siamo annoverati tra i figli di Dio, prendiamo una croce, la quale non deve abbandonarci che alla morte. Dovunque Gesù Cristo ci parla del cielo non manca di dirci che noi non possiamo meritarlo se non colle croci e colle sofferenze: « Prendete la vostra croce, ci dice Gesù Cristo, e seguitemi, non per un giorno, non per un mese, non per un anno, ma per tutta la vostra vita. » S. Agostino ci dice: « Lasciate le gioie ed i piaceri alla gente del mondo; ma voi che siete figli di Dio, piangete coi figli di Dio. » Le sofferenze e le persecuzioni ci sono vantaggiosissime sotto due rapporti. Primo, perché vi troviamo mezzi assai efficaci di espiare i nostri peccati passati, poiché, o in questo mondo o nell’altro bisogna subirne la pena. In questo mondo le pene non sono infinite sia nella durata che nel rigore: siamo in mano di un Dio misericordioso che ci castiga perché ha grandi disegni di misericordia su di noi; Egli ci fa soffrire un momento per renderci felici durante tutta una eternità. Per quanto sieno grandi le nostre pene, Egli non ci tocca ora che col suo dito mignolo; mentre, nell’altra vita, i dolori ed i tormenti che sopporteremo saranno generati dalla sua potenza e dal suo furore. Sembrerà ch’Egli cerchi esaminare le sue forze per farci soffrire. In questo mondo le nostre pene sono ancora addolcite dalle consolazioni e dai conforti che troviamo nella nostra santa Religione; ma nell’altro mondo non avremo né consolazioni né sollievo; tutto sarà per noi motivo di disperazione. Oh! felice il Cristiano che passa la sua vita nelle lacrime e nei dolori, poiché eviterà tanti mali e si procurerà tanti piaceri e gioie eterne! – Il santo Giobbe ci dice che la vita dell’uomo non è che un “succedersi di miserie.„ Entriamo in qualche particolarità. Invero, se andiamo di casa in casa, vi troviamo dappertutto la croce di Gesù Cristo; qui, una perdita di beni, un’ingiustizia che riduce alla miseria una povera famiglia; là una malattia che inchioda quel povero uomo su un letto di dolore, affinché passi la sua vita nei patimenti; altrove una povera donna che bagna il suo pane di lagrime, per i dispiaceri che le fa provare un marito irreligioso e brutale. Se mi volgo ad un’altra, vedo la tristezza dipinta sul suo volto: se gliene domando il perché mi risponderà ch’è accusata di cose, cui non ha mai neppur pensato. Da una parte sono poveri vecchi rigettati e disprezzati dai loro figli e ridotti a morire di affanno e di miseria. Finalmente, da un’altra parte, sento una casa risuonare di pianti causati dalla perdita del padre, della madre, d’un figlio. Ecco in generale. F. M., ciò che rende la vita dell’uomo sì triste e miserabile, se consideriamo tutte queste cose solo umanamente; ma se ci volgiamo dalla parte della Religione, vedremo che siamo grandemente sventurati desolandoci e piangendo come facciamo.

II. — Vi dirò poi che quello che vi rende così disgraziati, si è il guardare sempre a quelli che stanno meglio di voi. Un povero, nelle miserie della sua povertà, invece di pensare ai delinquenti carichi di catene, condannati a passare i loro giorni nelle prigioni, o a perdere la loro misera vita su di un patibolo, porterà il suo pensiero nella casa d’un grande del mondo, che sovrabbonda di beni e di piaceri. Un ammalato, invece di pensare ai tormenti che soffrono gli infelici dannati, i quali urlano nelle fiamme, sono schiacciati dalla collera di Dio, mentre un’eternità di tormenti non potrà mai cancellare il minimo loro peccato; getterà gli occhi su quelli che mai non furon tocchi da malattia e dalla povertà. Ecco, F . M., ciò che rende i nostri mali insopportabili. E che cosa ne deriva da questo, se non lamenti e pianti, che ci fanno perdere ogni merito pel cielo? Poiché, da una parte noi soffriamo senza consolazione e senza speranza d’esserne ricompensati, dall’altra, invece di servircene per espiare i nostri peccati, non facciamo che aumentarli colle mormorazioni e colla mancanza di pazienza. Eccone la prova: da quando parlate male di quella persona che ha tentato farvi del male, che guadagno avete ottenuto? Il vostro odio s’è mitigato? No, F. M., no. Dopo tanti anni che non cessate di gridare contro quel marito, che colla sua ubriachezza, coi suoi stravizzi e colle sue folli spese vi addolora, è egli diventato più ragionevole? No, sorella, no. Quando accasciato da malattie e da dissesti finanziari vi siete abbandonato alla disperazione fin a volervi uccidere, fino a maledire coloro che vi hanno dato la vita, i vostri mali sono cessati, le vostre pene diventarono meno dolorose? No, F. M., no. Quel figlio che v’ha fatto versare tante lacrime è risuscitato? No, F. M., no. Così le vostre impazienze, la vostra mancanza di sottomissione alla volontà di Dio e la vostra disperazione non hanno servito che a rendervi più infelici, non avete fatto altro, dunque, che aggiungere nuovi peccati agli antichi. Ecco, F. M., la sorte infelice e sconfortante d’una persona che ha perduto di vista il fine per cui Iddio le manda le croci. Ma, mi direte voi, abbiamo già sentito cento volte questo linguaggio: queste sono parole e non consolazioni; anche noi parliamo così a quelli che soffrono. — Ah! amico mio, guarda, guarda in alto; togli il tuo cuore dal fango della terra in cui lo tieni immerso, togli quelle nebbie che ti nascondono i beni che ti possono procurare le tue pene. Ah! guarda in alto, osserva la mano d’un buon padre che ti prepara un posto beato nel suo regno; un Dio ti colpisce, per guarire le piaghe arrecate dal peccato alla tua povera anima; un Dio ti fa soffrire per coronarti di gloria immortale. Volete sapere, F. M., come dobbiamo ricevere le croci che ci vengono o dalla mano di Dio o da quella delle creature? Ecco. Come il santo Giobbe che, dopo aver perduto immense ricchezze ed una numerosa famiglia, non se la prese, né con la folgore che aveva distrutto una parte dei suoi armenti, né coi ladri che avevano rubato il resto, né col vento impetuoso che, fatta crollare la sua casa aveva schiacciato i suoi poveri figli: ma s’accontentò di dire: “Ahimè! la mano del Signore s’è aggravata su di me.„ Quando steso per un anno sul letamaio, coperto di ulceri, senza ristoro e consolazione, disprezzato dagli uni ed abbandonato dagli altri, perseguitato fin dalla moglie che, invece di consolarlo, si burlava di lui, dicendogli: “Domanda a Dio la morte affinché finiscano questi mali. Vedi come ti tratta il tuo Dio, che tu servi con tanta fedeltà? — Taci, le rispose, se abbiamo ricevuto con ringraziamenti la prosperità dalle sue mani, perché non dobbiamo ricevere i mali di cui ci affligge?„ Ma, voi pensate, non posso spiegarmi come sia Dio che ci affligge, Dio, che è la stessa bontà, che ci ama infinitamente. Domandatemi allora anche se è possibile che un padre castighi il figlio suo, che un medico dia un rimedio amaro ai suoi ammalati. Pensereste voi forse che sarebbe meglio lasciar vivere quel figliuolo nel suo libertinaggio, piuttosto che castigarlo, per farlo camminare sulla via della salute e condurlo al cielo? Vi pare che un medico farebbe meglio a lasciar morire il suo ammalato, per tema di dargli medicine amare? Oh! quanto siamo ciechi se ragioniamo così! Bisogna che Dio ci castighi, altrimenti non saremmo nel numero dei suoi figli, poiché Gesù Cristo stesso ci dice che il cielo non sarà dato che a coloro che soffrono e che combattono fino alla morte. Credete, F. M., che Gesù Cristo non dica la verità? Ebbene, esaminate la vita che hanno condotto i santi, vedete la via ch’essi hanno presa: quando non soffrono si credono perduti ed abbandonati da Dio. “Dio mio, Dio mio – esclamava piangendo S. Agostino – non risparmiatemi in questo mondo, fatemi soffrire molto; purché mi usiate misericordia nell’altro io sono contento.„ — “O quanto sono felice – diceva S. Francesco di Sales nelle sue Malattie – di aver trovato un mezzo così facile per espiare i miei falli. Oh! quant’è più dolce e consolante soddisfare la giustizia di Dio su di un letto di dolore che andarla a soddisfare nelle fiamme! „ Ed io dico, dopo tutti i santi, che i dolori, le persecuzioni e le altre miserie sono i mezzi più efficaci per attirare un’anima a Dio. Infatti, vediamo che i più gran Santi son quelli che hanno sofferto di più: Dio distingue i suoi amici soltanto colle croci. Vedete S. Alessio che restò per quattordici anni coricato su di un fianco tutto scorticato e, in quella crudele posizione, si accontentava di dire: ” Dio mio, voi siete giusto, mi castigate perché sono peccatore e m’amate.„ Vedete ancora santa Lidwina, giovane di straordinaria bellezza, domandare a Dio, se la sua beltà poteva essere motivo della caduta e della rovina della propria anima, di farle la grazia di perderla. Sull’istante fu coperta di lebbra, che la rese a tutti oggetto d’orrore, e questo per trentotto anni, cioè fino alla sua morte. E durante questo tempo ella non si lasciò sfuggire nemmeno una parola di lamento. Quanti, che ora sono nell’inferno sarebbero in cielo, se Iddio avesse lor fatto la grazia di restar lungo tempo ammalati. Ascoltate S. Agostino: “Figli miei – ci dice – negli affanni, consolatevi col pensiero della ricompensa che vi è preparata.„ Si racconta nella storia che una povera donna era da molti anni stesa su di un letto di dolore; le si domandò che cosa poteva darle tanto coraggio per soffrire con tanta pazienza. “Eh! disse, sono così contenta d’essere come Dio mi vuole, che non cambierei con tutti i regni del mondo. Quando penso che Dio vuol ch’io soffra, mi consolo tutta.„ S. Teresa ci riferisce che un giorno Gesù Cristo apparendole le disse: « Figlia mia, non ti stupire di quanto vedi; i miei servi fedeli passano la loro vita nelle croci, nel disprezzo ; più il Padre mio ama qualcheduno e più lo fa soffrire.„ S. Bernardo accettava le sue croci con tanta riconoscenza, che un giorno diceva piangendo a Dio: “Ah! Signore, quanto sarei felice di aver la forza di tutti gli uomini, per poter soffrire tutte le croci dell’universo!„ S. Elisabetta, regina d’Ungheria, cacciata dal suo palazzo dai propri sudditi e trascinata nel fango, invece di pensare a punirli, corse alla chiesa a far cantare il Te Deum di ringraziamento. S. Giovanni Crisostomo, quel grande amante della croce, diceva che preferiva soffrire con Gesù Cristo che regnare in cielo con Lui. S. Giovanni della Croce, dopo aver provata tutta la crudeltà dei suoi fratelli, che lo misero in prigione e lo batterono sì barbaramente ch’egli era tutto coperto di sangue, che cosa rispose a coloro che erano testimoni dei suoi dolori? – E che, amici miei, voi piangete perché io soffro? Ma se non ho passato mai momenti così felici!„ Gesù Cristo, apparsogli, gli disse: “Giovanni, che cosa vuoi che ti dia per ricompensarti di quanto soffri per me? — Ah! Signore, esclamò, fate ch’io soffra ancor più! „ Conveniamo dunque, F. M., che i Santi comprendevano meglio di noi la fortuna di soffrire per Dio. Si sente dire da molti tra voi quando hanno dei dolori: Ma che ho fatto a Dio perché mi mandi tante disgrazie? — Che male avete fatto, perché il buon Dio vi affligga così?… Prendete tutti i comandamenti della legge di Dio e vedete se ve ne ha uno contro cui non abbiate peccato. Che male avete fatto? Percorrete tutti gli anni della vostra giovinezza, passate nella memoria tutti i giorni della vostra miserabile vita; e poi domandate che male avete fatto perché il buon Dio vi affligga così. Contate dunque per nulla tutte le abitudini vergognose, in cui avete marcito sì lungo tempo? Contate dunque per nulla quella superbia, la quale vi fa credere che debbono tutti inchinarsi davanti a voi per qualche pezzo di terra più degli altri che possedete e che, forse, sarà la causa della vostra dannazione? Contate dunque per nulla quell’ambizione che non vi lascia mai contenti, quell’amor proprio, quella vanità che vi occupa continuamente, quelle vivacità, quei risentimenti, quelle intemperanze, quelle gelosie? Contate dunque per nulla quella detestevole negligenza per i Sacramenti e per tutto ciò che riguarda la vostra povera anima: tutto questo voi l’avete dimenticato; ma siete perciò meno colpevole? Ebbene! amico, se siete colpevole, non è giusto che il buon Dio vi castighi? Ditemi, amico, che penitenze avete fatto per espiare tanti peccati? Dove sono i vostri digiuni, le vostre mortificazioni e le vostre buone opere? Se dopo tanti peccati non avete versato una lagrima; se dopo tanta avarizia vi siete accontentato solo di fare qualche leggera elemosina; se dopo tanta superbia non volete subire la minima umiliazione; se dopo aver fatto servire tante volte il vostro corpo al peccato, non volete sentir parlare di penitenza, bisogna che il cielo faccia giustizia poiché voi non volete farvela. Ahimè! quanto siamo ciechi! Vorremmo fare il male senza esser puniti, o meglio, vorremmo che Dio non fosse giusto. Ebbene! Signore, lasciate vivere tranquillo questo peccatore, non aggravate la vostra mano su di lui, lasciatelo impinguare come una vittima destinata alle vendette eterne, ed in quel fuoco, avrete tempo di fargli soddisfare la vostra giustizia; risparmiatelo in questo mondo, poiché egli lo vuole; nelle fiamme gli farete fare una penitenza inutile, senza fine. Dio mio! che questa disgrazia non ci tocchi mai! « Oh! – esclama S. Agostino – moltiplicate le mie afflizioni e le mie sofferenze fin che vorrete, purché mi usiate misericordia nell’altra vita!„ Ma, mi dirà un altro, tutto questo è per quelli che hanno commesso gravi peccati; non per me, che, grazie a Dio, non ho fatto gran male. — Eh! voi dunque credete che perché non avete fatto molto male non dovete soffrire? ed io vi dirò: appunto perché avete cercato di far bene il buon Dio vi affligge e permette che siate schernito e disprezzato e che si getti in ridicolo la vostra divozione; è Dio stesso che vi fa provare dispiaceri e malattie. E ne stupite? Date uno sguardo a Gesù Cristo, vostro vero modello, vedete se ha passato un solo istante senza soffrire pene che uomo alcuno non potrà comprendere. Ditemi, perché i farisei lo perseguitavano, e cercavano continuamente di poterlo sorprendere per condannarlo a morte? Era forse colpevole? No, senza dubbio; ma eccone la ragione. Perché  i suoi miracoli ed i suoi esempi d’umiltà e di povertà erano la condanna del loro orgoglio e delle loro cattive azioni. Diciamo meglio, F. M.; se percorressimo la sacra Scrittura, vedremmo che fin dal principio del mondo, le sofferenze, il disprezzo e gli scherni sono sempre stati il retaggio dei figli di Dio; cioè di quelli che hanno pensato di piacere a Dio. Infatti chi può disprezzare e burlarsi d’una persona che adempie i suoi doveri di Religione, se non un infelice dannato che l’inferno ha vomitato sulla terra per far soffrire i buoni, o per cercare di trascinarli negli abissi, dove egli è già per sempre? Ne volete la prova? Eccola. Perché Caino uccise suo fratello Abele? Non forse perché era più buono di lui? Non gli tolse forse la vita perché non poté indurlo al male? Perché i figli di Giacobbe gettarono il loro fratello Giuseppe in una cisterna? non forse perché la sua vita santa condannava la loro condotta libertina? Che cosa attirò tante persecuzioni sugli Apostoli che, ad ogni momento erano gettati in prigione, battuti, torturati; e la cui esistenza, dopo la morte di Gesù Cristo, non fu che un martirio continuo, giacché quasi tutti hanno finito i loro giorni nel modo più crudele e doloroso? Ora, che male facevano essi, i quali non cercavano che la gloria di Dio e la salute delle anime? Siete disprezzati, derisi, perseguitati quantunque non diciate né facciate male ad alcuno? Tanto meglio se vi si disprezza, e vi si deride. Se non aveste nulla da soffrire che cosa avreste da offrire a Dio nell’ora di morte? Ma, direte, essi offendono Dio, si perdono facendo soffrire gli altri; se Dio volesse, potrebbe impedirneli. — Certo che se lo volesse impedirebbe. Perché Iddio tollerava i tiranni? Gli era egualmente facile punirli come conservarli; ma si serviva dei loro cattivi intenti per provare i buoni ed affrettare la loro felicità. Non v’ha dubbio che dobbiate compiangerli e pregare per essi, non perché vi disprezzanoe vi deridono, ma per il male ch’essi fanno a se stessi. Bisogna infatti convenire che si deve essere ben ciechi disprezzando uno perché serve Dio meglio di noi, cerca con più diligenza la via del cielo, e fa maggior numero di buone opere e di penitenze. È questo un mistero veramente incomprensibile. Se vuoi dannarti: ebbene! fallo. Perché ti inquieti se, io vado dove tu non vuoi andare? Io voglio andare in cielo; se tu non ci vai, è perché nonlo vuoi. Apri gli occhi, amico, riconosci il tuo accecamento: quando m’avrai impedito di servire il buon Dio, o sarai la causa della mia dannazione, che ne ricaverai? Ancora una volta, apri gli occhi, esci dal tuo errore. Cerca d’imitare quelli ch’hai disprezzato fino ad ora, e troverai la felicità in questo mondo e nell’altro. Ma, mi direte, io non faccio loro alcun male; perché essi vogliono fame a me? — Tanto meglio, amico, buon segno; siete sicuro di essere sulla via che conduce al cielo. Ascoltate nostro Signore: « Prendete la vostra croce e seguitemi; se perseguitano me perseguiteranno anche voi; io sono disprezzato e voi pure lo sarete: ma. lungi dallo scoraggiarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi è promessa in cielo. Chi non è pronto a soffrir tutto, fino a perdere la vita por amor mio, non è degno di me. » Perché il santo Tobia diventò cieco? Non era egli forse un uomo dabbene? Ascoltate ciò che dice Gesù Cristo parlando a S. Pietro martire, che si lagnava di un oltraggio fattogli senza ch’egli vi avesse dato motivo. « Ed io, Pietro, disse Gesù Cristo, che male avevo fatto quando mi si fece morire? » Riconosciamolo tutti, F. M., noi facciamo belle promesse a Dio finché nessuno ci dice nulla, e tutto va a seconda dei nostri desideri; ma al primo piccolo scherno, disprezzo od anche alla minima burla di un empio, il quale non ha il coraggio di fare ciò che voi fate, arrossite, ed abbandonate il servizio di Dio. Ah! ingrato, non ricordi quanto Iddio ha sofferto per amor tuo? Non è forse, o amico, perché vi è stato detto che fate l’uomo dabbene, che non siete che un ipocrita, e che siete più cattivo di quelli che non si confessano mai, che avete abbandonato Dio, per mettervi dalla parte di quelli che saranno dannati? Fermatevi, amico, non andate più oltre; riconoscete la vostra pazzia, e non gettatevi nell’inferno.

III. — Ditemi, F. M., che cosa risponderemo quando Dio confronterà la nostra vita con quella di tanti martiri, dei quali gli uni sono stati fatti a pezzi dai carnefici, gli altri sono marciti nelle prigioni, piuttosto di tradire la propria fede? No, F. M., se siamo buoni Cristiani, non ci lamenteremo degli scherni che ci si fanno: invece, più ci si disprezza, più saremo contenti e più pregheremo Dio per quelli che ci perseguitano; rimetteremo ogni vendetta nelle mani di Dio, e, se egli lo trova conveniente per la sua gloria e per la nostra salute, lo farà. Vedete Mosè coperto ingiurie dal fratello e dalla sorella: a tutto questo disprezzo, oppone una bontà ed una carità sì grandi che Dio ne fu commosso. Lo Spirito Santo dice ch’egli era il più mite degli uomini che vivevano allora sulla terra.„ Il Signore colpì la sorella con un’orribile lebbra per punirla di aver mormorato contro il fratello. Mose, vedendola punita, lungi dall’esterne contento, disse al Signore: “Ah! Signore, perché punite mia sorella? Sapete ch’io non ho mai domandato vendetta; guarite, ve ne prego, mia sorella. „ Dio non poté resistere alla sua bontà; e la guarì. O. quale felicità per noi, F. M., se nel disprezzo e negli scherni che ci si fanno, ci comportassimo così! Quanti tesori pel cielo! No, F. M., fin che non vi si vedrà far del bene a quelli che vi disprezzano, preferirli anche agli stessi amici e non opporre alle loro ingiurie che bontà e carità, non sarete del numero di quelli che Dio ha destinato pel cielo, direte che cosa siamo noi? Eccolo. Noi facciamo come quei soldati che, finché non vi è pericolo, sembrano invincibili e che, al primo pericolo prendono la fuga; così finché siamo adulati pel nostro modo di vivere, e si lodano le nostre azioni, crediamo che nulla potrà farci cadere; ed invece un nonnulla ci fa precipitare, ed abbandonare tutto. Dio mio, come è cieco l’uomo quando si crede capace di qualche cosa, mentre non è capace che di tradirvi e di perdervi! E d io dico, F. M., che nulla è più adatto a convertire quelli che lacerano la nostra riputazione quanto la dolcezza e la carità. Essi non possono resistervi. Se sono troppo induriti ed hanno già messo il sigillo alla loro riprovazione, si confonderanno, e se n’andranno come disperati: eccone la prova. Si racconta che S. Martino aveva con sé un chierico giovanetto. Sebbene avesse fatto ogni possibile per ben allevarlo nel servizio di Dio, il chierico divenne un vero libertino, uno scandaloso: non v’era sorta d’ingiurie e d’oltraggi ch’egli non lanciasse contro il suo santo vescovo. Ma S. Martino invece di cacciarlo da sé, come meritava, lo trattava con sì grande bontà che sembrava moltiplicare le sue cure in proporzione degli insulti che riceveva. Ad ogni momento spargeva lacrime ai piedi del crocifisso, per sollecitare la sua conversione. Ad un tratto il giovane aprì gli occhi; considerando, da una parte, la carità del Vescovo, dall’altra le ingiurie di cui l’aveva coperto, corse a gettarsi ai suoi piedi per domandargli perdono. Il Vescovo l’abbraccia e benedice Dio d’aver avuto pietà di quella povera anima. Quel giovane fu. per tutta la vita, un modello di virtù e considerato come un santo. Prima di morire ripeté più volte che la pazienza e la carità di Martino, gli avevano valso la grazia della conversione. – Si, F. M.. ecco a che riusciremmo se, invece di rendere ingiuria per ingiuria, avessimo la fortuna di non opporre che dolcezza e carità. Ahimè! quando i santi non avevano occasione d’esser disprezzati, essi stessi la cercavano: eccone la prova.Leggiamo nella vita di sant’Atanasio che una dama, desiderando lavorare per guadagnarsi il cielo, andò dal vescovo e gli domandò uno dei poveri che veniva nutrito d’elemosina, per averne cura essa stessa: perché, diceva, vorrei esercitare un po’ la pazienza. Il santo Vescovo le mandò una donna estremamente umile e che non sapeva tollerare d’esser servita da quella dama. Ogni volta che le rendeva un servizio ella si profondeva in mille ringraziamenti. Malcontenta di tutti questi ringraziamenti, la dama, tutta triste, va dal Vescovo dicendogli: “Monsignore, voi non m’avete servita com’io desideravo; m’avete dato una persona che colla sua umiltà mi copre di confusione. Al minimo servizio ch’io le rendo, s’inchina fino a terra; datemene un’altra.„ Il vescovo, vedendo la sua voglia di soffrire, gliene diede una che era superba, collerica, disprezzatrice. Ogni volta che la dama la serviva, la copriva d’ingiurie, rinfacciandole ch’essa l’aveva domandata, non per averne cura, ma per farla soffrire. E giunse perfino a batterla; ed essa che fece? Eccolo: più la povera disprezzava la dama, più questa la serviva senza stancarsi e con maggior sollecitudine. Che avvenne? Commossa da tanta carità la donna si convertì e morì da santa. Oh! F. M., quante anime, nel giorno del giudizio ci rimprovereranno, perché se non avessimo opposte alle loro ingiurie che bontà e carità, sarebbero in cielo; mentre invece bruceranno nell’inferno eternamente! Se abbiamo detto in principio, F. M., che le croci, come tutte le miserie della vita, ci erano date da Dio per soddisfare la sua giustizia per i nostri peccati, possiamo dire anche ch’esse sono un preservativo contro il peccato. Perché Dio ha permesso che uno vi recasse danno, che un altro v’ingannasse? Eccone la ragione. Perché Dio, che vede l’avvenire, ha previsto che il vostro cuore s’attaccherebbe troppo alle cose della terra e che perdereste di vista il cielo. Egli permette che si laceri il vostro onore, che vi si calunni: e perché? Perché siete troppo superbi, troppo gelosi della vostra riputazione; per questo ha permesso che foste umiliati; altrimenti vi sareste dannati. Finendo dunque, F. M., io dico che non vi è alcuno più disgraziato nelle croci che l’uomo senza Religione. Ora accusa se stesso dicendo: Se avessi preso quelle misure, questa disgrazia non mi sarebbe toccata. Ora accusa gli altri: Fu quella persona la causa dei miei mali; non le perdonerò mai più. Egli si augura la morte e la augura agli altri. Maledice il giorno della sua nascita; commetterà mille viltà, che crederà lecite, per togliersi d’impaccio; ma no, la sua croce, o meglio il suo inferno, l’accompagnerà. Tale è la fine disgraziata di colui che soffre senza rivolgersi a Dio, che solo può consolarlo e sollevarlo. Ma guardate invece una persona che ama Dio e che desidera d’andarlo a vedere in cielo: Dio mio, dice, quanto sono poca cosa i miei dolori in confronto di ciò che i miei peccati meritano che io soffra nell’altra vita! Voi mi fate soffrire un piccolo momento in questo mondo per rendermi felice per tutta l’eternità. Quanto siete buono, mio Dio! fatemi soffrire; ch’io sia oggetto di disprezzo ed orrore davanti al mondo; purché abbia la fortuna di piacervi, non voglio altro. Concludiamo dunque che chi ama Dio è felice anche in mezzo a tutte le tempeste del mondo. Dio mio, fate che noi soffriamo sempre, affinché dopo avervi imitato quaggiù, veniamo a regnare con voi in cielo!

LO SCUDO DELLA FEDE (154)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (23)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE XVIII

Il Purgatorio.

121. Prot, Pertanto la questione delle Indulgenze sarebbe ormai cosa finita, se il motivo per cui sono elargite, spinta non avesse la Chiesa Cattolica ad insopportabili errori. Essa dunque ci insegna, come dogma di fede, che se quella pena temporale, di cui si è parlato, come anche le colpe veniali, espiate non sono nella vita presente, espiare si debbano nella vita futura in un luogo di pena che appella PURGATORIO, dal quale nessuno può uscire per entrare nella eterna gloria, finché purgato non siasi da qualunque macchia. Ed affinché questo sognato PURGATORIO giovi, se non altro, ad ingrassare i Preti ed i Frati alle spalle de’ vivi e dei morti, insegna pure, come dogma di fede, che a liberar quelle anime penanti giovano, per modo di suffragio, le preghiere dei fedeli e dei Santi del cielo, le messe, le limosine, gli uffizi, le Indulgenze, ec, ec. Oh iniquità!… Questo PURGATORIO, altro none che un’esiziale invenzione di satanasso, la quale annienta la Croce di Cristo, irroga una insopportabile contumelia alla misericordia di Dio, rovescia, distrugge la nostra fede.8 » (Calvino, lib.3 Instit. cap, 5 §3).

Bibbia. È scritto: « Metti il tuo pane e il tuo vino sul sepolcro del giusto. » (Tob. IV, 18).

« Gli uomini di Jabes Galaad,… preser le ossa loro (di Saul e di Gionata) e le seppellirono nel bosco di Jades, e digiunarono per sette giorni. » (1.° de’ Re, XXXI, 13). Davidde prese le sue vesti, e stracciolle, e (così) tutti quelli eran con lui,… e digiunarono fino alla sera a causa di Saulle e di Gionata suo figliuolo, e del popolo del Signore; perché eran periti di spada. » (° Reg. I, 11-13). Dimmi adesso, di grazia, che significa porre il pane sul sepolcro de’ morti, digiunare per i morti, se non che suffragare colle limosine e colle penitenze le anime dei morti? Ogni altro senso di queste espressioni sarebbe ridicolo. Infatti, perché mai per la morte di Mosè, di Aronne, di Samuele, perdite tanto dolorose, è scritto bensì che tutto Israele pianse, ma non si fa menzione alcuna  di digiuni? Perché mai lo stesso Davidde che tanto aveva pianto e digiunato per ottener dal Signore la guarigione di un suo neonato bambino, a lui certamente più caro che Saulle e Gionata, appena ne intese la morte, si vestì a festa, dicendo: « Ora che è morto, perché ho da digiunare? » (Medes. XII, , 23). Di questo modo diverso di agire non potrà mai addursene altra ragione che questa, cioè, che Mosè, Aronne, Samuele, insomma i Santi, i bambini innocenti non hanno bisogno di suffragi, come l’hanno gli altri. – È scritto ancora: « Siam passati pel fuoco e per l’acqua, ma tu (o Signore ) ci hai quindi condotti in luogo di refrigerio. » (Ps. LXV, 11, 14).

« E tu (o Signore) mediante il sangue del tuo testamento hai fatto uscire i tuoi, ch’erano prigionieri, dalla fossa in cui non è acqua. » (Zacch. IX, 11). In questi due passi di che altro si parla, se non si parla del Purgatorio?

« Or sotto le vesti degli uccisi trovaron delle cose offerte agli idoli…. Tutti pertanto…. rivolti all’orazione supplicarono che il commesso delitto fosse posto in oblio. Ma il fortissimo Giuda, fatta una colletta, mandò a Gerusalemme dieci mila dramme di argento, perché offerto fosse un sacrifizio pei peccati dei morti…. Santo dunque e salubre è il pensiero di pregare per i morti, affinché SIANO SCIOLTI DAI LORO PECCATI.» (2° Macc. XII, 40 e segg.). – Ora negar non potrai che questo testo sia pienamente decisivo, quand’anche questo libro non fosse divino; perché se anche non avesse che l’autorità di una veridica istoria, chiaramente ti mostra che dal popol di Dio era creduto, come dogma di fede, l’articolo del Purgatorio. Mentre non solo ricorreva alle orazioni per suffragare le anime dei morti, ma offeriva sacrifizii nel tempio, e per conseguenza istituiti aveva per tale oggetto riti solenni che far non poteva, né avrebbe fatto, se ciò non avesse appreso per divina rivelazione. Nota di più che la conclusione del testo non riguarda la storia del fatto, ma è l’espressione della credenza dell’autore, ed essendo certo che questo libro fu scritto dalla stessa Sinagoga, come chiaro apparisce dal primo capitolo, è certo ancora che tal conclusione tiene il luogo di una solenne dogmatica decisione su questa materia.

Prot. Ma se vi è il Purgatorio, perché Gesù Cristo e gli Apostoli non ne hanno parlato?

122. Bibbia. Non ne hanno parlato?… Ascoltami: « Chiunque avrà sparlato contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonato né in questo secolo, né nel futuro. » (Matth. XII, 32).

« L’opera di ciascuno si farà manifesta, imperocché il dì Signore la porrà in chiaro; poiché sarà manifestata per mezzo del fuoco. Se l’opera di alcuno… arderà, ne soffrirà egli il danno, egli poi sarà salvo: così però come attraverso del fuoco. » (I Cor, III, 13, 14, 15).

« Spesso (Onesiforo) mi ristorò, e non si vergognò della mia catena…. Diagli il Signore di trovare misericordia presso il Signore in quel giorno. » (II Tim. I, 16-18).

« Chi sa che il proprio fratello pecca di peccato che non è a morte, chiegga e sarà data vita a quello che pecca non a morte. Havvi il peccato a morte: non dico che uno preghi per questo » (I Giov. I, 16).

Hai ben capito? Nel primo testo ti significa il Redentore esservi dei peccati che si perdonano nell’altra vita: nel secondo, dichiara S. Paolo, che il perdono di tali peccati non si ottiene che in un luogo di pena, scontandosi – come attraverso il fuoco: nel terzo, lo stesso S. Paolo prega pel riposo di Onesiforo già morto. Nell’ultimo S. Giovanni distingue quelli che hanno colpe veniali, da quelli che le hanno mortali: pei primi esorta a pregare, pei secondi non vuol che si preghi. La qual cosa non può riguardare che i passati all’altra vita; essendo di fede rapporto agli esistenti nella vita presente che si può, e si deve pregare per tutti.

123. Prot. « Nel vero, se si riguarda il maggior numero degli uomini, non sono eglino degni né del cielo, né dell’inferno. Per codeste ragioni la dogmatica cristiana si vede naturalmente condotta ad  ammettere uno stato mediano, in cui né si goda della beatitudine celeste, né si soffra il tormento dell’inferno; ma sia un luogo di purgazione, nel quale, per ciò stesso che si è detto, vi abbiano ad essere moltissimi nella non perduta speranza di giungere in processo di tempo, benché dopo tante pene, ad una sorte migliore. Quando i protestanti si pongono ad insegnare, di necessità son portati a discorrere per differenti gradi sì della beatitudine che della dannazione; e non sapendo fare altrimenti per trarsi d’impaccio, dichiarano esser piccol segno di beatitudine il minimo grado di pena, e toccarsi l’un l’altro scambievolmente; il che  importa che esista uno stato di mezzo. » (Koeppen, Opp. T, 2).

« La qual differenza per qual motivo non permetterà la Religione Cristiana che sia ricevuta? Forse che non è riconosciuta realmente dalla maggior parte de’ Cristiani? Certo i nostri Riformatori non dovevano rigettar del tutto questo stato mediano, giacché ad esso prestavasi ferma credenza nella Chiesa antichissima, ed oltre a ciò s’insegnava da ogni banda, tottochè molte fiate sia un buon destro per recare in mezzo ree e vergognoso usanze. » (Lessing, Opere varie di teologia, 1770).

« È inutile dire che la stessa autorità della Chiesa stia dalla parte di coloro che ammettono questo luogo , altrimenti chiamato PURGATORIO. »

« È manifesto dalla concorde testimonianza degli Ecclesiastici, che è stata pratica della Chiesa di pregare per tutti, nessuno eccettuato » (Rosenmuller, T . 2 lib. 13, cap. 3, § 18)-

« Il buon uso di pregare pei defunti cominciò nell’età degli Apostoli e continuossi a mettere in pratica sino al secolo XVI, nella Chiesa universa » (Collier, Giustificazione dei motivi a difesa della Rivelazione: T, I)

« Questa costumanza cristiana ringiovanisce, e ravviva la fede dell’immortalità dell’anima; alza, a così dire, un lembo del velo che ne cuopre la vista del sepolcro, ed appalesa per tal modo l’unione che bene ha luogo tra questo e l’altro mondo. Se noi (protestanti) avessimo tal costumanza mantenuta, non avremmo per disavventura a piangere in mezzo a noi tanto scetticismo e tanta miscredenza. Non trovo ragione alcuna, perché  una Chiesa particolare, la quale non può pretendere di avere in potestà sua doni soprumani, e che tanto si è dilungata DA’ TEMPI PRIMITIVI DEL CRISTIANESIMO, possa cosi facilmente e all’impazzata mettere giù un’usanza, che lungi dall’esser condannata, trovasi assai ragionevolmente, secondo la Scrittura, praticata di già fin da’ primi tempi. Nell’età Apostolica, ne’ giorni dei miracoli e delle rivelazioni essa era in uso. Negli articoli di fede non si lasciò da banda; nè da altri, se non dal solo eretico Ario, di poco o niun conto si dichiarò. La vediamo adoperata ai tempi di Agostino, e di là fino al secolo decimosesto. Che se ormai siam giunti a tale, che por noi non si faccia più cos’alcuna pei nostri trapassati, e che non paia più oltre convenevole di raccomandarli a Dio; se ne abbiam messa in non cale ogni memoria, e la trapassiam tacitamente, mentre ab antico si usava fare nella Santa Cena (nella Messa), non vi ha dubbio noi trasandiamo di effettuare quel fratellevole commercio che interviene nella comunanza de’ Santi, come con qualunque altra che sìa. Ciononostante si vorrà poi dire che noi restiamo nella comunione de’ Santi? E perseverando siffattamente a trattar da lontano colla Chiesa universale, non avrà poi altri a dire che noi guastiamo la fede, e che di un articolo di lei ributtiam la metà? » (Collier, Op. cit. p, 100).

« Io credo fermamente, oso dirlo; so che vi è il Purgatorio; resto facilmente persuaso che di esso si fa menzione nella Scrittura. ». (Lutero, Disp. Lipsica.)

« Quando la Chiesa Cattolica…. va raccomandando i trapassati nel Signore, si mostra chiaramente essere informata dalla più sublime ed universale idea religiosa » (Horst, Misteriosofia, p. 226).