LO SCUDO DELLA FEDE XLIX

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S. E. I. Ed. Torino, 1927

XLX.

IL PARADISO.

Esistenza ed essenza del paradiso. — Come vi si veda Iddio — Come in Dio si conoscano tutte le creature. — Differenza fra i beati e contentezza che tutti provano nonostante tale differenza. — Felicità dell’anima prima della risurrezione, e del corpo dopo di essa. — Se si possa in cielo essere sorpresi dalla noia. — Se ivi si soffra per la perdita di qualche nostro caro.

— Ed ora eccomi a farle alcune domande intorno al paradiso. E primieramente: esiste esso davvero?

L’esistenza del paradiso è verità di fede, espressa nel simbolo sotto il nome di vita eterna; e tutti i popoli l’hanno sempre ammessa, benché molti di essi abbiano  errato ed errino tuttora, intorno alla sua essenza. Tutte le nostre aspirazioni più sublimi e più pure lo reclamano; e se l’uomo sopporta la vita con i suoi dolori, con le sue fatiche, con i suoi travagli è perché sente che un giorno sarà consolato e ricompensato in cielo. Infine gli attributi di Dio lo esigono non meno delle facoltà dell’uomo; la sua giustizia, la sua potenza, la sua sapienza, il suo amore, tutte insomma le sue perfezioni importano l’esistenza di una felicità eterna per colui che, ossequente alla legge del Signore, ha menato quaggiù una santa vita, o per lo meno è morto nella grazia di Dio.

— E dove si trova il paradiso?

Questo non si può dire. « Certamente, dice l’illustre Bougaud è un luogo, e un luogo materiale, perché deve accogliere non solamente delle anime, ma delle anime unite ai corpi, e già a quest’ora ne accoglie. È un luogo immenso, milioni di volte più grande della terra, perché deve riunire senza ombra di confusione tutti i santi, che hanno abitato il nostro globo dalle sue più remote origini, e che lo abiteranno sino al chiudersi dei secoli. È un luogo d’uno splendore ineffabile, in confronto del quale la terra, con tutte le sue meraviglie, non è che un luogo di esilio ed una regione di tenebre ». Ma dove sia collocato non si sa. Che se alcuni, anche dotti, in tempi remoti, hanno collocato il cielo nel firmamento, negli astri, ciò essi non fecero che esprimendo le loro supposizioni. D’altronde a me pare inutile ricercare dove il paradiso materialmente si trovi, giacché il paradiso piuttosto che dal luogo dev’essere costituito dallo stato di felicità, che gode il beato.

—- E in che cosa consiste propriamente la felicità del cielo?

La felicità o beatitudine essenziale consiste nel veder Dio, nel contemplare la sua infinita bellezza, chiara com’è, e nell’amare la sua infinita bontà con un amore che procaccia una gioia ed una dolcezza ineffabile.

— Perché mi disse beatitudine essenziale?

Perché questa è la beatitudine, che costituisce davvero il paradiso e così compiutamente da saziare per sé sola, tutti i desideri dei beati. Tuttavia questi godono ancora della bellezza materiale del cielo, della compagnia dei Santi loro compagni e di quella degli Angeli, della presenza della Regina del cielo Maria, e soprattutto della SS. Umanità di Gesù Cristo. Ma siccome questo gaudio non è punto necessario alla perfetta felicità dei beati, perciò si può chiamare accidentale ossia accessorio. – Inoltre secondo l’insegnamento di S. Tommaso i vergini, per la vittoria che riportarono sulla carne, vivendo da Angeli in corpo umano, i Martiri che trionfarono delle persecuzioni del mondo, e i Dottori che abbatterono il demonio con la difesa e spiegazione della dottrina di Gesù Cristo, avranno una gloria accidentale tutta loro propria, la quale dopo la risurrezione ridonderà pure nel loro corpo, glorificato. – Infine la felicità di tutti i beati del paradiso sarà compitissima dalla sicurezza che hanno di non perderla più mai e di goderla per sempre.

— In paradiso pertanto si vede davvero Iddio?

Senza alcun dubbio, e si vede faccia a faccia, quale Egli è. Così c’insegnano la Sacra Scrittura e la Chiesa.

— E lo si vede con questi occhi materiali?

No, certamente, neppure dopo la risurrezione, quando i beati saranno in cielo non solo con l’anima ma eziandio col corpo: perché i nostri occhi materiali non potendo vedere le cose spirituali non potranno neppure mai vedere Iddio, che è purissimo spirito. Anzi neppure con la sola intelligenza si può vedere Iddio, quando pure, dice S. Tommaso, egli aumentasse indefinitamente le sue forze proprie e native, perché vi sarebbe sempre tra la sua natura e la nostra un abisso insormontabile. Lo si vede adunque con la intelligenza fornita da Dio di una disposizione nuova, apposita, d’ordine superiore, che si chiama lume della gloria.

— Dunque neppure in cielo senza questo lume della gloria Dio non si vede?

No, certamente, di quella guisa che cogli stessi occhi materiali non possiamo vedere nemmeno una montagna per quanto a noi vicina senza l’aiuto della luce.

— E vedendo Iddio col lume della gloria, i beati lo comprendono chiaramente?

Questo no. Per comprendere Iddio non basta vederlo; bisognerebbe arrivare a conoscerlo con quella perfezione, con cui Dio conosce se stesso con la sua scienza infinita, la qual cosa è impossibile ad ogni creatura.

— E allora che cosa significa quel vedere Iddio, che costituisce in cielo la felicità dei beati?

Significa che i beati in cielo conoscono Iddio, la sua divina sostanza, le sue divine perfezioni, la sua augustissima Trinità quanto è loro possibile, secondo le forze della natura elevata dalla grazia; le quali forze essendo finite non possono perciò procacciare un conoscimento infinito di Dio, ossia la sua comprensione.

— Dunque anche lassù in cielo continuano ad esservi dei misteri, che i beati non possono comprendere. E così persistendo l’ignoranza, come può essere pienamente appagata la loro mente ?

No, caro mio, non è come tu dici. Benché il conoscimento, che i beati hanno di Dio, non sia infinito, tuttavia è tale da far scomparire ogni mistero e da mostrar loro con chiarezza ogni verità, ragione per cui in paradiso cessa la fede, che serve a farci credere ciò che non vediamo. Siccome poi la mente dei beati in cielo conosce Iddio quanto può bramare di conoscerlo con tutte le sue forze di natura e di grazia, perciò resta pienamente appagata in tutti i suoi desideri spinti all’ultimo punto, si trova perfettamente sazia e felice di tale conoscimento, ancorché non sia la comprensione, e non soffre alcun patimento, neppure minimo.

— È vero che nel conoscimento di Dio i beati hanno altresì il conoscimento di tutte le creature?

Verissimo. Essi conoscono anche le creature come effetti nella loro causa. « Mettiamoci innanzi agli occhi della mente, ti dirò con l’illustre Mons. Bonomelli, tutte le creature materiali, dall’atomo inorganico al cedro del Libano, dal microbo all’elefante. Quante creature! Quante forze! Quante doti e proprietà e rapporti infiniti tra loro! Quale immensa moltitudine! Salite all’uomo, alla sua mente, alla mente di ciascuno. Quanti pensieri e cognizioni in una sola! in tutte! Poi salite agli Angeli! Tutte le loro cognizioni, atti, ecc. ecc. Poi tutto l’universo con tutte le sue evoluzioni passate, presenti, future; è tal mole di cose, di pensieri ed atti da opprimere qualunque intelligenza. Ebbene: tutto ciò che fa l’Artefice è nella sua mente, nella sua volontà: così tutte le cose create in cielo, in terra, nell’universo, le loro evoluzioni, i loro fenomeni sono tutti in Dio, che come Creatore li precontiene in se stesso; tutte le cognizioni degli uomini e degli Angeli, tutti gli atti delle loro menti, delle loro volontà, sono in Dio, in quanto che tutto questo è esplicazione di quella forza che Iddio ha collocato in essi, e perciò tutto precontiene in se stesso; Più: Dio contiene in se stesso tutti i possibili, relativamente a sé ed agli altri tutti, tutto ciò che può fare e quello che realmente farà. Come dunque chi potesse entrare nella mente dell’uomo, vi leggerebbe tutti i suoi pensieri, così chi può entrare nella mente di Dio (come i beati in paradiso) vi vede senza studio, senza speculazioni, senza fatica, senza sforzo alcuno ogni cosa, comprese quelle che non furono, che non saranno mai, ma che potrebbero essere; è un oceano sterminato di cognizioni certe, limpide, perfette, inamissibili, in cui il beato ènaufrago. Quale gioia! quale felicità!»

— Davvero che questa è una gioia ed una felicità, che allieta al solo pensarvi. Ma il conoscimento di Dio, della sua grandezza, della sua potenza e volontà, da cui questa gioia e felicità emana, è desso per tutti i beati eguali?

Oh! no, certamente. Là si è tutti uguali in quanto che tutti si possiede lo stesso Dio immediatamente e sempre; ma in quanto al conoscerlo e goderlo si è differenti a seconda del maggiore o minore lume di gloria, che i santi hanno ivi da Dio, in conformità ai loro maggiori o minori meriti e alla maggiore o minore carità, di cui conseguentemente arderanno. È perciò appunto che Gesù Cristo ha detto nel Vangelo che «nella Casa del suo Padre vi sono molte mansioni, » cioè in numero sterminato e di diversi gradi.

— Ma questa diversità non è causa di invidia e di disgusto ai beati?

Niente affatto. I beati non possono essere capaci né di invidia per il maggior bene altrui, né di disgusto per il loro minore, perché sono tutti animati dalla carità più perfetta, e tutti godono del bene degli altri come del proprio. D’altronde siccome la felicità di quegli stessi beati, che in cielo sono fra i minori, è tanto perfettamente commensurata alla capacità che hanno di godere, perciò neppure a loro rimane alcun minimo desiderio da soddisfare. Supponi che un uomo adulto ed un fanciullo arrivino assetati ad una sorgente abbondantissima di acqua pura e fresca, e che tutti e due bevendo di quell’acqua, quanto ciascuno di essi ne può bere, si dissetino ciascuno pienamente. Forseché il fanciullo, che per la minore capacità del suo stomaco non può bere tant’acqua come quell’uomo adulto, provi perciò dell’invidia e del disgusto? No, certamente, essendo egli contentissimo di poter bere quanto vuole e quanto può. Così è dei beati in cielo. Quindi bellamente il nostro sommo poeta fingendo nel Paradiso (Canto III) di interrogare un’anima celeste così:

Ma dimmi: Voi, che siete qui felici,

Desiderate voi più alto loco,

Per più vedere, e per più farvi amici?

si fe’ rispondere:

Frate, la nostra volontà quieta

Virtù di carità, che fa volerne

Sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta,

sicché in fine conchiuse:

Chiaro mi fu allor, com’ogni dove

In cielo è paradiso, e sì la grazia

Del Sommo ben d’un modo non vi piove.

— Ho inteso. Ma questa grande felicità è certo che Iddio la conceda alle anime di coloro, che muoiono in grazia, prima ancora della risurrezione dei corpi e dell’universale giudizio?

— Certissimo, anzi di fede secondo l’insegnamento datone dalla Chiesa in uno de’ suoi Concilii, nel Concilio Fiorentino. Le anime dei giusti appena sciolte dal loro corpo, se sono libere da ogni pena temporale e da ogni neo di colpa veniale, subito vanno al paradiso; altrimenti vi vanno tosto che abbiano scontata la pena temporale e compiuta la loro purificazione nel purgatorio.

— E dopo la risurrezione e l’universale giudizio, il corpo unito all’anima in cielo godrà esso dei piaceri come ne gode qui in terra?

No, caro mio, in cielo il corpo godrà dei piaceri come si conviene alla condizione gloriosa, in cui è risuscitato. Perciò non vi saranno più per lui questi piaceri meschini, grossolani, materiali e terreni, ma piaceri di ordine superiore, del tutto spirituali ecelesti.

— Con tutto ciò a me pare che in cielo si debba finire per essere sorpresi dalla noia. Quello starsene lì sempre allo stesso posto, intenti alla stessa contemplazione non è cosa, che per lo meno ad un certo punto renda indifferenti?

Ben si vede che tu ti fai del cielo una idea molto meschina e ben diversa da quella che dovresti farti. È vero che i pittori sogliono rappresentare il cielo come un vasto cerchio, ove i beati se ne stanno ciascuno estatico al proprio posto, nella contemplazione di Dio. Ma i pittori fanno così non già per rappresentarci il cielo quale esso è, ma per aiutare in qualche modo la nostra fantasia a figurarcelo. Così fanno pure i poeti e gli oratori colle loro descrizioni, anzi così fa la stessa Scrittura, la quale a darci qualche idea del cielo si serve di immagini materiali, di tutto ciò che di bello, di buono, di piacevole vi è in questo mondo. Perché nell’ordine presente non è possibile per noi formarci un’idea pura di tutto ciò che è spirituale e soprasensibile, senza l’involucro d’una forma o immagine sensibile: sempre abbisogniamo dell’aiuto dei fantasmi per rappresentarci l’anima, gli Angeli, le virtù, le perfezioni, lo stesso Dio. Epperò come quando la Scrittura ci parla di posti, di seggi, di mansioni in cielo, di corone, di palme, di vesti che là si hanno ecc., non intende parlarci di posti, di seggi, di mansioni, di corone, di palme, di vesti materiali, ciò che sarebbe ridicolo degli Angeli e delle anime ancora separate dai corpi, ma di gradi diversi di felicità, così i pittori seguendo queste stesse immagini ci rappresentano i beati fermi ciascuno al proprio posto, nella stessa contemplazione di Dio. Ma la cosa è ben diversa. Ed anzitutto i beati sia con la sola anima prima della risurrezione, sia con l’anima e col corpo dopo la risurrezione, come insegna san Tommaso, potranno muoversi e recarsi di qua e di là a seconda della loro volontà, sia per esercitare quegli atti di cui sono capaci, e per essi rendere gloria alla divina sapienza, sia per ricreare la loro vista dalla bellezza delle diverse creature, nelle quali la stessa divina sapienza eminentemente risplende; e tutto ciò senza che avvenga il menomo decrescimento della loro beatitudine, essendo che da per tutto hanno presente Iddio e ne godono la visione. Come dunque si può ingenerare la noia nei beati, i quali, ora da soli, ora in compagnia di altri beati andranno di sfera in sfera, visiteranno i milioni e milioni di astri, vi contempleranno le bellezze che in essi vi sono, le meraviglie che in ciascuno si trovano? E che dire di quello che i beati potranno considerare ed ammirar nel mondo degli Angeli e in quello delle anime ? « Una sola anima in cielo, dice Bougaud, ben conosciuta, basta a rapire. Si vede a rilucervi la bontà di Dio, la sua pazienza, la sua delicatezza infinita, i suoi colpi di folgore temprati dalla tenerezza per divellerla dal male. La biografìa di ciascuna di esse rivela, starei per dire, una nuova scienza di Dio, siffattamente getterà luce nuova e inaspettata sopra i suoi attributi ». Che dire ancora di quei colloqui e di quelle relazioni dolcissime, che i beati del cielo hanno coi loro parenti coi loro amici salvi con essi, e tra i quali vi èperfetto riconoscimento, con gli Angeli e coi Santi tutti, per cui del continuo si scambiano nuovi pensieri, nuovi sentimenti, nuove adorazioni, nuovi entusiasmi, nuove espansioni di carità e di gioia! E poi la stessa visione di Dio, bellezza infinita, nella quale vivono e palpitano tutte le bellezze, e che pur appagando pienamente la nostra intelligenza e il nostro cuore, senza lasciarci nulla da cercare o desiderare, come felicemente si esprime il Padre Felix, « dà ai beati, con un’espressione sempre nuova dell’infinito, una felicità che ringiovanisce eternainente, » come mai puòlasciarci cadere nella noia? No, certamente, ciò non è possibile: se così fosse, il cielo non sarebbe più cielo.

— Ma per lo meno in Paradiso non si prova dai beati qualche pena nel sapere dannato qualcuno dei loro cari?

È fuori di dubbio che nessun’ombra di dolore offusca la felicità dei beati in cielo; epperò non possono soffrire neppure per la dannazione dei loro cari, perché la vedono giustissima, pienamente conforme ai loro demeriti. Tuttavia a capire e spiegare come ciò avvenga ti confesso che è difficile assai, e di tutte le spiegazioni, che si adducono, non appaga interamente la ragione che questa: Dio con la sua onnipotenza può dare ai beati una miracolosa disposizione d’animo, per cui mentre essi godono ineffabilmente ed eternamente, e vedono certi loro cari a soffrire spaventosamente e pure eternamente, non restano tuttavia menomamente amareggiati.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.