DOMENICA IV DOPO L’EPIFANIA (2019)

  DOMENICA IV DOPO EPIFANIA 2019

Incipit


In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XCVI:7-8 Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda.]

Ps XCVI: 1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Orémus.

Deus, qui nos, in tantis perículis constitútos, pro humána scis fragilitáte non posse subsístere: da nobis salútem mentis et córporis; ut ea, quæ pro peccátis nostris pátimur, te adjuvánte vincámus.

[O Dio, che sai come noi, per l’umana fragilità, non possiamo sussistere fra tanti pericoli, concédici la salute dell’ànima e del corpo, affinché, col tuo aiuto, superiamo quanto ci tocca patire per i nostri peccati.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XIII: 8-10

Fratres: Némini quidquam debeátis, nisi ut ínvicem diligátis: qui enim díligit próximum, legem implévit. Nam: Non adulterábis, Non occídes, Non furáberis, Non falsum testimónium dices, Non concupísces: et si quod est áliud mandátum, in hoc verbo instaurátur: Díliges próximum tuum sicut teípsum. Diléctio próximi malum non operátur. Plenitúdo ergo legis est diléctio.

Omelia I.

[Mons. G. BONOMELLI, Nuovo saggio di Omelie, vol. I, Marietti Ed. – Torino, 1899 – imprim.]

“Non vogliate avere altro debito, che quello d’amarvi l’un l’altro; perché chi ama il prossimo, ha adempiuta la legge. Di fatto, il non fare adulterio, non uccidere, non rubare, non dir falsa testimonianza, non desiderare il male e se vi è alcuna altro precetto, tutto è compreso in questa parola: Amerai il prossimo come te stesso. L’amore del prossimo non opera alcun male: il compimento dunque della legge è l’amore „ (Rom. XIII, 8-10).

Il tratto della epistola, letta or ora, è tolto dal capo decimoterzo della lettera di S. Paolo ai fedeli di Roma. È brevissimo, perché si contiene tutto in soli tre versetti: ma se poche sono le parole e le sentenze, vasto quanto mai si può dire è il loro significato. Bastici il dire che l’Apostolo in queste poche righe ha compendiata tutta la legge, come in termini dichiara egli stesso in quelle parole che avete udito: Il compimento della legge è l’amore. Il soggetto, che siamo chiamati a considerare è caro e giocondo ad ogni anima bennata e per se stesso si raccomanda alla vostra attenzione. “Non vogliate avere altro debito, che quello di amarvi l’un l’altro. „ Queste parole si possono mutare in queste altre: Ogni vostro dovere si riduce all’amore scambievole. Se noi percorriamo tutti gli scritti del nuovo Testamento non troviamo un precetto più spesso e più vivamente raccomandato e inculcato quanto il precetto della carità fraterna. Gesù Cristo lo chiama “precetto nuovo“, perché prima di Lui non fu mai sì chiaramente imposto, né mai a tanta altezza di perfezione portato: lo chiama precetto suo, perché è quello che più gli sta a cuore e meglio d’ogni altro esprime la natura e l’indole della legge evangelica, tantoché afferma, che all’osservanza di questo precetto si conosceranno i suoi discepoli. Nessuna meraviglia pertanto che S. Paolo qui riduca tutti i doveri del Cristiano all’amore reciproco. Ma qui si affaccia naturalmente una difficoltà: come è mai possibile che tutti i doveri del Cristiano si riducano all’amore fraterno, che dobbiamo avere gli uni con gli altri? – Narra S. Girolamo, che l’apostolo Giovanni, più che nonagenario, dimorava in Efeso: ogni volta che i fedeli si raccoglievano nella chiesuola, vi veniva portato a braccia dai discepoli, che lo pregavano di far loro udire la sua parola. Il santo vegliardo non faceva che ripetere: “Figliuolini miei, amatevi a vicenda. „ Annoiati i discepoli di udir sempre quelle parole, gli dissero: “Maestro, perché ci dici sempre questo? „ Egli rispose, scrive S. Girolamo, in modo degno di lui: “Perché è il precetto del Signore, e se anche solo si adempie, basta ,, (Degli Scrittori eccles.). La risposta d’un tanto Apostolo, commentata da tanto dottore, mi dispenserebbe da qualunque spiegazione; ma è prezzo dell’opera svolgerla più largamente. E per pigliare le cose un po’ dall’alto, vediamo anzi tutto che cosa sia questo amore del prossimo. E forse quel sentimento comune, che più o meno ci porta tutti ad amare il nostro prossimo, quella cotal tenerezza, che sentiamo verso i nostri simili, che fa spuntare negli animi nostri la compassione verso i sofferenti? Certamente questo sentimento è buono, fa onore alla nostra natura; questa tenerezza, questa compassione verso i sofferenti è il carattere delle anime nobili ed è dono del cielo. Ma non è questo l’amore del prossimo, che il Vangelo comanda. Questo sentimento, questa tenerezza, questa compassione può aversi anche senza le opere. Quanti mostrano di sentire al vivo i mali altrui e son larghi di parole e scarsissimi ai fatti! Silla fu uno de’ più mostruosi tiranni dei quali parli la storia. Eppure, assistendo in teatro, piangeva come un fanciullo udendo rappresentare alcune scene commoventi. S’inteneriva alle scene d’un immaginario dolore e faceva versare torrenti di sangue e di lagrime. – Ho visto avari commuoversi dinanzi alle miserie dei tapini e rifiutare un soldo di limosina! – L’amore del prossimo comandato da Gesù Cristo è forse quel sentimento che ci muove ad amarlo per le sue buone e belle doti, per i benefici ricevuti, per i vantaggi che ne speriamo, per il piacere che proviamo in beneficarlo? Non io condannerò siffatto amore, che può essere naturalmente buono; ma in tal caso l’amor nostro non abbraccerà tutti, perché non tutti sono forniti di belle e buone qualità, ne da tutti abbiamo ricevuti benefici, o possiamo sperarne, e il piacere che si prova in amarli e beneficarli non è continuo e bastevole, e lo fosse anche, sarebbe un motivo affatto umano, e perciò troppo debole e incerto. Qual è dunque l’amor del prossimo che compendia in sé l’adempimento di tutti i nostri doveri? È quello che si accende nel nostro cuore, che esce dalle fibre più riposte dell’anima nostra, che ci fa sentire il bene e il male altrui come se fosse bene e male nostro: è quello che si manifesta nelle opere, che ci muove efficacemente al soccorso di quanti ne abbisognano, secondo le nostre forze: è quello infine che ha la sua radice e il suo alimento nella ragione non solo, ma nella fede e in Dio stesso. È questo l’amore del prossimo, che regge ad ogni prova e che compendia l’adempimento di tutti i nostri doveri. – Io devo amare il mio prossimo; e perché? Perché Dio lo ha creato, quel Dio che ha creato me pure; perché Dio lo conserva; perché Dio ha scolpita in lui la sua immagine e lo ama come un padre ama il figliuol suo. Io devo amare il mio prossimo, perché il Figliuol di Dio si è fatto uomo per lui, come per me; perché ha patito ed è morto per lui, come per me; perché Gesù Cristo gli offre le sue grazie, ha stampato od è pronto a stampare nell’anima sua il carattere d i figlio di Dio, e lo chiama al possesso eterno di se stesso. Io devo amare il mio prossimo, in una parola, perché lo vuole Iddio, perché Gesù Cristo me lo comanda, perché è mio fratello per natura. e per grazia, e come è operoso l’amore di Dio  verso il prossimo, così a somiglianza del suo dev’essere operoso il mio. Ecco l’amore del prossimo secondo il Vangelo. – L’amore del prossimo, che scaturisce da sì alta e pura fonte, racchiude in sé tutte le qualità e doti, che lo rendono perfetto. Esso è universale, perché si estende a tutti ed a ciascun uomo, perché non vi è pure un uomo solo, pel quale non valgano i motivi sopra accennati. Siano cattolici, siano eretici, siano scismatici, siano ebrei, siano pagani, tutti sono opera delle mani di Dio, per tutti è morto Gesù Cristo. — Questo carattere di universale nel senso più ampio della parola è proprio soltanto dell’insegnamento evangelico. Fuori del Cristianesimo l’amore del prossimo è l’amore di famiglia, della tribù, della nazione, ma non dell’uman genere: si estende ad alcuni, ma non a tutti e per lo più. è figlio delle simpatie, della gratitudine, o della speranza. È un amore continuo, perpetuo, perché i motivi, che lo accendono e lo alimentano, come ciascun vede, sono continui e non cessano, né possono cessare un solo istante. I motivi non sono propriamente negli uomini, nei loro meriti, ma in Dio Creatore e Redentore, nel suo volere, e perciò non soggetti a mutamento di sorta e quindi anche l’amore, che ne è l’effetto, non solo è universale e continuo, ma eguale nel senso or ora spiegato. – È un amore eguale, perché quantunque possa e debba variare d’intensità in ragione dei vincoli diversi che ci legano al prossimo, nondimeno a tutti si estende senza eccezione, come a tutti si estendono la creazione e la redenzione. – Che importa che questi sia povero, rozzo, ignorante? Che importa che quello sia ingrato, vizioso, scellerato? Che importa che mi odi, mi insulti, mi perseguiti ferocemente? Io deplorerò, condannerò le opere sue, ma amerò lui, perché non cessa d’essere l’opera di Dio, la conquista di Gesù Cristo. Il mio amore si appunta in Dio e in Gesù Cristo, e Dio e Gesù Cristo non si muta mai. Ecco il segreto che spiega la carità cristiana; ecco il perché questi missionari e queste suore abbandonano la famiglia e la patria, si seppelliscono in un ospitale, in un ricovero, valicano i mari, si gettano in mezzo ai barbari, ai selvaggi, ai cannibali per istruirli, incivilirli, per morire per loro e con loro. Ora, l’amore del prossimo, quale l’abbiamo tratteggiato, deve necessariamente manifestarsi in due modi: col non dire, né far cosa che spiaccia o rechi danno al prossimo e col dire e fare tutto ciò che gli piace o gli rechi vantaggio, come meglio è dato a noi. E per questo che l’Apostolo, volendo mostrare che tutti i doveri verso il prossimo si recapitolano nella carità, scrive: “Di fatto il non fare adulterio, non uccidere, non rubare, non dir falsa testimonianza, non desiderare il male, e se vi è altro precetto, tutto è compreso in questa parola: Amerai il prossimo come te stesso. „ Chi ama di vero amore il prossimo, come ama se stesso, adempie la legge perfettamente, non fa male a chicchessia e fa bene a tutti quelli, ai quali può farlo. E dunque vero ciò che l’Apostolo soggiunge in forma di sentenza assoluta: “Compimento della legge è l’amore” — Plenitudo legis est dilectio. Forse mi direte: Ma non abbiamo noi doveri verso noi stessi e verso Dio? Ora questi non sono compresi nell’amore verso del prossimo. Come dunque poté dire l’Apostolo: “L’amor e del prossimo è il compimento della legge? „ Veramente può intendersi i n questo senso: A quel modo che l’amore di Dio ci porta all’adempimento dei doveri, che riguardano Dio, così l’amore del prossimo ci porta ad adempire tutti i doveri, che abbiamo col prossimo; ma parmi che possa intendersi assai bene in quest’altro modo: Certamente chi ama Dio, dee volere ciò che vuole Iddio e, per conseguenza, deve amare il prossimo, come lo ama Dio e come Dio comanda. Nell’amore di Dio è chiaramente compreso l’amore del prossimo, come nella causa si contiene l’effetto. Ma nell’amore del prossimo si contiene anche l’amore di Dio? In qualche senso, sì, o carissimi. Perché è impossibile amare il prossimo stabilmente, senza eccezione, affettuosamente, con sacrificio di se stessi, anche quando esso è ingrato e ci odia, senza l’aiuto di Dio, senza l’amore di lui e se nel prossimo non vediamo e non amiamo Dio stesso. “Niuno, dice S. Giovanni, vide giammai Iddio: se noi ci amiamo gli uni gli altri, Dio dimora in noi e la sua carità in noi è compiuta „ (Epist. I. IV, 12). Che è come dire: Iddio si ama nell’uomo: chi ama l’immagine di Dio, ama Dio, e l’uomo è veramente l’immagine viva di Dio sulla terra. Amiamo adunque Dio e ameremo il prossimo: amiamo il prossimo, come si dee, ed ameremo Dio, perché questi due amori non si possono separare.

Graduale

Ps CI: 16-17

Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.]

ALLELUJA

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja. [Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia] Alleluja

Ps XCVI: 1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja. [Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matth. VIII: 23-27

“In illo témpore: Ascendénte Jesu in navículam, secúti sunt eum discípuli ejus: et ecce, motus magnus factus est in mari, ita ut navícula operirétur flúctibus, ipse vero dormiébat. Et accessérunt ad eum discípuli ejus, et suscitavérunt eum, dicéntes: Dómine, salva nos, perímus. Et dicit eis Jesus: Quid tímidi estis, módicæ fídei? Tunc surgens, imperávit ventis et mari, et facta est tranquíllitas magna. Porro hómines miráti sunt, dicéntes: Qualis est hic, quia venti et mare obædiunt ei?”

OMELIA II

Omelia della Domenica IV dopo l’Epifania

[Mons. Bonomelli, ut supra – Omelia XVIII]

“Gesù essendo entrato in una navicella, i suoi discepoli lo seguitarono: ed ecco si levò un grande movimento del mare, talché la navicella era coperta dalle ondate. E Gesù dormiva. I suoi discepoli, accostatisi a lui, lo svegliarono, dicendo : Signore  salvaci, noi ci perdiamo. E Gesù disse loro: A che tanta paura, o uomini di poca fede? E alzatosi, comandò al vento ed al mare e si fece grande bonaccia. E gli uomini ne stupivano, dicendo: E chi è costui, che i venti ed il mare gli ubbidiscono? „ (Matt. VIII, 23-28). Gesù Cristo dopo aver guarito il lebbroso presso Cafarnao e in Cafarnao il famiglio del centurione e liberata dalla febbre la suocera di Pietro, lungo la riva del lago di Tiberiade o di Genesaret, che gli Ebrei chiamavano mare, montò sopra una barchetta e di là, come narra S. Marco (IV, 1, 2), ammaestrava le turbe schierate sulla riva. E poiché ebbe finito, licenziata la moltitudine, volle tragittarsi sulla riva opposta del lago. Nella traversata avvenne il fatto che vi ho narrato, che sarà il soggetto delle nostre considerazioni comuni, sì, ma pur sempre belle ed utili. “Gesù, essendo entrato in una navicella, i suoi discepoli lo seguitarono: ed ecco si levò un gran movimento nel mare, talché la navicella era coperta dalle ondate. „ Questo il fatto, che non ha bisogno di spiegazione di sorta; piuttosto qui è da ricordare una dottrina comune dei Padri, che ha il suo fondamento nei Libri santi, ed è questa: vi sono nei Libri divini fatti che dobbiamo tenere con tutta certezza, essere avvenuti, come si narrano e che sono ordinati a significare altri fatti e ad insegnarci altre verità. Così noi dobbiamo tenere che Isacco saliva veramente il monte, carico delle legna, come narra la Scrittura; ma dobbiamo anche tenere che Isacco, in quell’atto, raffigurava Gesù Cristo che saliva il Calvario, portando il legno della croce. Possiamo applicare questo principio al fatto evangelico, che veniamo considerando. Eccovi la barchetta, sulla quale montò Gesù Cristo coi discepoli: eccovi il mare e la tempesta, che sorge. Che simboleggia essa quella barchetta? Simboleggia la Chiesa, nella quale sta sempre Gesù Cristo con i suoi discepoli. Che cosa adombra il mare? La vita presente, che si alterna tra le burrasche e la calma. E la burrasca che sorse, che significa? Le lotte, i travagli, le prove, le persecuzioni che la Chiesa deve sostenere attraverso ai secoli. Ora quello che si può dire della Chiesa, in qualche senso e ragguagliata ogni cosa, si può dire d’ogni anima, nella quale Gesù Cristo abita per la fede e per la grazia, che  viaggia su questo mare del mondo, ora tranquillo ed ora tempestoso. La storia della Chiesa e d’ogni anima cristiana è dipinta al vivo nella navicella, che solca il lago di Tiberiade. La Chiesa sferra dalle spiagge della terra, e spiega le vele verso le sponde del cielo: sopra di essa sta sempre Gesù Cristo con gli Apostoli, nella persona del suo Vicario e de’ suoi Vescovi e lo seguono i suoi fedeli. Essa, è vero, non può naufragare, ma non va immune da tempeste: tempeste suscitate dalle passioni, da nemici interni ed esterni, più o meno violente secondo i tempi ed i luoghi. Ricordatevelo bene, o figliuoli dilettissimi: Gesù Cristo non promise mai alla sua Chiesa la pace stabile; anzi le predisse persecuzioni d’ogni fatta: annunziò che le porte, cioè le potenze d’inferno, l’avrebbero sempre combattuta e ch’essa ne sarebbe uscita vincitrice. Dunque non facciamo le meraviglie se la vediamo sì spesso or qua, or là, ora nel capo, ora nelle membra fieramente assalita. È la sua condizione. Può avere periodi di pace; ma pace continua, stabile, non mai; essa naviga sul mare, troppo spesso campo e giuoco dei venti e delle procelle; la pace vera e perfetta l’avrà solo in quel dì, che si chiuderanno i tempi e getterà l’àncora sul porto tranquillo e sicuro della eternità. Ciò che dico della Chiesa, l’applichi ciascuno a se stesso, e si ricordi che la vita è una milizia, cioè un periodo, in cui la pace e le battaglie necessariamente si avvicendano. E perché Dio vuole che la sua Chiesa, come una nave, che veleggia sul mare, sia a sì frequenti intervalli flagellata dalle procelle? Perché il somigliante vuole o permette per ogni anima, che naviga in questo pelago fortunoso della vita? Perché, se la guerra mostra il valore del soldato, la lotta mette in luce la forza divina della Chiesa: perché le prove impongono la vigilanza continua, affinano la virtù, obbligano a ricorrere a Dio, esercitano la pazienza, avvivano la fede, accrescono la, speranza e danno occasione al merito. L’acqua che ristagna, impaluda e si corrompe; un’aria immobile si altera e soffoca; la pace troppo lunga snerva il soldato: il movimento preserva l’acqua dalla corruzione, la bufera muta e rinfresca l’aria, la guerra addestra il soldato, e le lotte ringagliardiscono e purificano la Chiesa non meno che i singoli fedeli (S. Cipr.: De Mortalitate). – Ritorniamo alla navicella, che sul lago di Tiberiade era fieramente sbattuta dai venti per guisa, dice il Vangelo, che a quando a quando era coperta dalle ondate e minacciata d’essere sommersa. Che faceva Gesù? “Egli  intanto dormiva, „ col capo adagiato, come dice S. Marco, sopra un guanciale. Egli dormiva e, credo, veramente, non in apparenza. Egli era perfetto uomo, e come uomo aveva bisogno di cibo, di bevanda, di riposo e di sonno come noi, e perciò nulla di più naturale, che dopo le fatiche della predicazione e dell’intera giornata secondasse il bisogno della natura e si addormentasse. Egli certo vedeva il pericolo ed il terrore degli Apostoli, eppure dormiva e mostrava di non veder nulla e di nulla curarsi. Similmente talvolta accade che la Chiesa soffra grandi pressure e corra gravi pericoli, e che Gesù Cristo lasci fare e quasi dorma: accade talvolta che la navicella dell’anima nostra sia qua e là trabalzata dalle onde frequenti delle tribolazioni e delle tentazioni, e che l’aiuto dall’alto venga meno: Gesù dorme. Egli vuole che ricorriamo a Lui, e così con la preghiera in parte meritiamo l’onore della vittoria. — E’ ciò che fecero gli Apostoli là sul lago di Tiberiade. Essi, vedendo Gesù che riposava tranquillamente, in sulle prime non volevano turbare il suo sonno; ma, crescendo l’impeto della procella, e levandosi più minacciose le onde, e non potendo più oltre reggere al timone ed ai remi, vistasi la morte alla gola, corsero a Gesù, e destatolo, sclamarono: “Signore, salvaci, noi ci perdiamo. ,, E’ questo, o cari, uno dei frutti più preziosi delle tribolazioni e dei grandi pericoli: vedendoci impotenti a superare la prova, conosciamo meglio noi stessi, sentiamo la necessità del soccorso divino e mossi dalla fede e dalla speranza, ci prostriamo innanzi a Dio e preghiamo. — Ah! sono le tribolazioni, sono i dolori, sono le tentazioni quelle che ci sollevano da questa terra e ci conducono a Dio. – Gli Apostoli ricorsero a Gesù e lo pregarono perché li stringeva davvicino il pericolo della morte. Imitiamoli ogni qualvolta i venti delle tentazioni e delle tribolazioni agitano e minacciano la navicella dell’anima nostra: il nostro grido, la nostra preghiera sia quella stessa degli apostoli: “Signore, salvaci, . noi ci perdiamo — Domine, salva nos, perimus. E Gesù disse loro: A che tanta paura, o uomini di poca fede? „ E come ciò? Gli Apostoli si gettano ai piedi di Gesù e lo pregano con tutto l’ardore dell’anima di salvarli dalla morte, ed Egli li rimprovera, come soverchiamente timidi e uomini di poca fede? Dovevano dunque astenersi dal pregarlo ed aspettare quando tutti fossero stati gettati in mare? Perché dunque il rimprovero? Senza dubbio Gesù li rimprovera pel soverchio timore, onde erano sopraffatti, timore, che non dovevano avere, trovandosi con Lui, che non poteva perire: è il manco di conoscimento della sua divina persona, l’angoscia smodata, la poca fede che Gesù riprende negli Apostoli. Allorché preghiamo d’essere liberati dai mali del corpo, non ci facciano mai difetto la calma, la rassegnazione ai divini voleri e la figliale fiducia in Dio. “E alzatosi, Gesù comandò ai venti ed al mare e si fece grande bonaccia. „ Sembra evidente che Gesù volgesse la parola al vento ed al mare, anzi S. Luca dice che li rimproverò, e ciò in forma di comando assoluto, come Signore d’ogni cosa, e incontanente si quietò il vento, e il lago tornò tranquillo in guisa che apparve chiaramente tutto ciò essere stato effetto del volere di Gesù Cristo. Come allora pregato fece cessare la tempesta del lago, così anche al presente, pregato da noi, sperderà i venti e le burrasche, che travagliano la sua Chiesa e turbano le anime nostre, se ciò tornerà a bene di quella e di queste. Purtroppo, o fratelli, per molti si pecca in varie maniere per ciò che spetta il ricorrere a Dio nei bisogni. – Vi sono molti, che non si curano di ricorrere a Dio allorché i nemici spirituali li stringono e le passioni rompono a rivolta, o ricorrono fiaccamente. Questi cadranno, perché senza l’aiuto di Dio non possono far nulla, e l’aiuto Iddio ordinariamente non l’accorda a chi non lo prega. Allorché adunque la tentazione ci preme e ci incalza, leviamo la mente a Dio, imploriamo con fede viva il soccorso, ed il soccorso, non ne dubitate, verrà. Vi sono altri, che nelle pene della vita, nei travagli temporali, nelle infermità, nelle calamità pubbliche o private, corrono ai piedi degli altari, pregano, fanno pellegrinaggi, digiuni e pretendono in modo assoluto che Dio li esaudisca. Costoro confondono malamente le cose: allorché si tratta della salvezza dell’anima nostra, dei beni spirituali assolutamente necessari, anche la preghiera può e deve essere assoluta, perché Dio si è obbligato ad esaudirci. Non sia mai per altro che vogliamo imporre a Dio il tempo e il modo. Che se si tratta di beni temporali, la nostra preghiera vuol essere condizionata, perché potrebb’essere che ciò che per noi si domanda non piacesse a Dio e tornasse anche di danno al conseguimento della salvezza nostra. Stiamo in guardia contro tutti questi difetti, nei quali frequentemente si cade anche dai buoni. “Gli uomini poi ne stupivano, dicendo: Chi è costui, che il vento e il mare gli ubbidiscono? „ Questi uomini, che rimasero colmi di stupore alla vista di tanto miracolo, erano gli Apostoli e forse anche alcuni altri, che sopra altre piccole barche l’avevano seguito. Ed è bene a credere, che non solo stupissero del miracolo, ma vivamente ringraziassero Gesù d’averli scampati dalla morte e lo riconoscessero per l’aspettato Messia, per Salvatore del mondo e l’adorassero. Figliuoli carissimi! la gratitudine è un sacro dovere con gli uomini, allorché ci beneficano: quanto è più sacro con Dio ogni qualvolta ci benefica, e ci benefica sempre, ad ogni istante! La gratitudine dei benefici ricevuti è il miglior mezzo per ottenerne altri anche maggiori.

 Credo in unum Deum…

Offertorium

Ps CXVII: 16; 17

Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini. [La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta

Concéde, quaesumus, omnípotens Deus: ut hujus sacrifícii munus oblátum fragilitátem nostram ab omni malo purget semper et múniat. [O Dio onnipotente, concedici, Te ne preghiamo, che questa offerta a Te presentata, difenda e purifichi sempre da ogni male la nostra fragilità.]

Communio

Luc IV: 22 Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei. [Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio

Orémus.

Múnera tua nos, Deus, a delectatiónibus terrenis expédiant: et coeléstibus semper instáurent aliméntis. [I tuoi doni, o Dio, ci distolgano dai diletti terreni e ci ristorino sempre coi celesti alimenti.]

FESTA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE (2019)

PURIFICAZIONE DELLA VERGINE MARIA

 [P. Vincenzo STOCCHI: Discordi Sacri – DISCORSO XVIII. Tipogr. Befani; Roma, 1884 – imprim.]

PURIFICAZIONE DI MARIA

“Et postquam impleti sunt dies purgationiseius, tulerunt illum in Ierusalemut sisterent eum Domino”.

Luc. XI, 22.

La vista di questa pompa solenne, la frequenza vostra in questo tempio, quella cara immagine di Maria svelata al popolo bolognese che le si prostra dinanzi, mentre mi commuovono il cuore, e mi inteneriscono fino alle lacrime, mi sollevano il pensiero alla considerazione della onnipotenza di Dio, la quale non dà mai più splendida vista di sé, che quando con arte di sapienza infinita trae il bene dal male. Gran cosa è infatti cavare dall’abisso del nulla il cielo e la terra, chiamare dalle tenebre la luce perché risplenda, seminare di stelle le volte azzurre del firmamento, accendere nel cielo il fuoco vivificatore del sole; ma dall’abisso smisurato del male e del male di colpa cavare il bene, e tal bene che Dio ne sia glorificato più assai che non fu vilipeso dal male; o questo è tal opera, nella quale l’onnipotenza supera per cosi dire se stessa: e certo la più grande fra le opere di Dio, la redenzione del mondo, si è compiuta ordinando al bene il massimo di tutti i delitti, il deicidio. Ora una di queste dimostrazioni di onnipotenza pare a me che ci si porga nella presente pompa di annuale solennità, e certo o signori a chi ci domanda perché questi otto giorni di celebrità dedicati a Maria, noi ne alleghiamo per cagione un orribile sacrilegio. Fu involata sacrilegamente questa immagine che veneriamo, fu ricuperata mirabilmente, questa solennità espia il sacrilegio e commemora il ritorno di Maria alla sua sede. Ecco dunque un furto sacrilego rivolto da Dio a gloria della sua Madre, ecco l’onore della Regina del Cielo germogliato dall’oltraggio e dall’onta che le inflisse una mano nefanda, e se il sacrilegio non precedeva, né io direi oggi da questo luogo, né voi udireste le lodi della Vergine Madre e del Figlio che porta fra le sue braccia. Alle quali lodi darà il tema la solennità che oggi corre della Purificazione di Maria, e io dentro la cerchia del mistero di questo giorno circoscriverò il panegirico. – La rivoluzione per rabbia di fare onta a Maria ha raso questa solennità dall’albo dei giorni sacri, io spiegandovi i misteri che in questo dì si commemorano, mi sforzerò di rivendicarlo a Gesù Cristo e a Maria.

1. Ciò che si avvera nei misteri tutti della vita mortale del Salvatore e Signor nostro Cristo Gesù, che in essi si diano la mano e cospirino con armonia mirabile, l’umiltà e la grandezza, la abbiezione e la sublimità, l’umiliazione e la gloria; apparisce in modo anche più stupendo nel mistero che oggi la santa Chiesa commemora della presentazione di Gesù al tempio e della purificazione di Maria. E vaglia la verità. Nel codice di Mosè esiste una doppia legge promulgata a nome di Dio: comanda la prima che tutti i primogeniti maschi del popolo ebreo siano portati al tempio, presentati al Signore e riscattati con un’offerta di argento. Comanda la seconda che la donna che ha concepito e partorito un figliuolo maschio sia immonda per quaranta giorni e poi vada al tempio, offra in sacrificio un agnello di un anno se può: se è poverella e non può, invece dell’agnello offra due tortore o due colombe. Questa è la legge. Ora chi in questo giorno si fosse trovato nel tempio di Gerusalemme quando Maria e Giuseppe entrarono portando Gesù pargoletto di quaranta giorni, nulla avrebbe veduto di singolare, nulla che degno gli paresse di richiamare la sua attenzione. È una sposa di primo parto che fornito il puerperio viene al tempio a purificarsi, l’accompagna il suo sposo e portano al tempio stesso il primo frutto del loro connubio per offrirlo secondo la legge al Signore. Quel pargoletto leggiadro che Maria introduce nel tempio portandolo tra le sue braccia è una Persona che sostenta due nature e secondo le due nature vanta una doppia generazione e una doppia natività. Secondo la generazione eterna è il Verbo figliuolo del Padre, secondo la generazione temporale il medesimo Verbo è figliuolo di Maria. Dal Padre che eternalmente lo genera, eternalmente riceve la natura divina, dalla Madre che lo ha generato nel tempo ha temporalmente ricevuto la natura umana, ma queste due nature non moltiplicano il soggetto, e la medesima persona del Verbo fatto carne che sostenta le due nature è Gesù. In principio erat Verbum, dice l’evangelista S. Giovanni, rimovendo il velame del gran mistero. In principio il Verbo era. Non basta. Et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. (Io. I , 1) Questo Verbo che era a principio e non ha per conseguenza principio ed è eterno, era presso Dio ed era Dio. Era Dio perché Dio è uno solo, e il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo sono un sol Dio. Era presso Dio perché il Verbo che secondo la natura è un solo Dio col Padre, secondo la persona è dal Padre distinto ed è col Padre, e il Padre è con Lui. Hoc erat in principio apud Deum. E col Padre che lo genera questo Verbo era a principio perché la generazione non importa anteriorità e posteriorità di tempo fra il generato e il generante, ma ordine solo di origine, principio e generante il Padre, generato e Figliuolo il Verbo, ma entrambi eterni, anzi un solo eterno perché un solo Dio. Creatore per conseguenza di tutte le cose il Padre e creatore il Verbo. Omnia per ipsum facta sunt. Nessuna cosa si trova tra le cose create che non sia stata creata dal Padre e nessuna cosa che non sia stata creata dal Verbo, et sine ipso factum est niliil quod factum est. (Io. I, 3). Il Verbo era vita per essenza, il Verbo luce, il Verbo creatore del mondo. In ipso vita erat. Erat lux vera. Mundus per ipsum factus est. (Io. I,10) E questo medesimo Verbo, questo generato dal Padre, questo Creatore, questa luce, questa vita, questo Verbo si è fatto carne, ed ha abitato fra noi, e non ha cessato però di esser Figliuolo del Padre. Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis, et vidimus gloriam eius, gloriam quasi unigeniti a Patre. (Io. I, 14.) Eccovi dunque un miracolo che ogni estimazione sorpassa, eccovi un bambinello di quaranta giorni che è eterno, eccovi una creatura che è il Creatore, eccovi un Dio che è uomo, eccovi un uomo che è Dio, eccovi un debole che è onnipotente, eccovi un Onnipotente che è debole, eccovi, che è dire tutto in uno, eccovi il Verbo di Dio fatto carne e venuto ad abitare fra noi, et Verbum caro factum est et habitavit in nobis. – Tale e tanto è il pargoletto che in questo giorno si presenta nel Tempio. Un Dio esinanito fino a sostentare personalmente una individua natura umana, un uomo esaltato fino a sussistere in una Persona divina. Ma non meno del Figliuolo portato al tempio è mirabile la Madre che il porta. Essa è Maria, vergine della regia stirpe di Dio. Θεοτόκος (= Teotokos)Genitrice di Dio, ecco il vocabolo unico che esprime adequatamente la eccellenza e la dignità di Maria. E perché? Perché quest’uomo Gesù che è il Verbo di Dio sussistente nella natura umana, non secondo la sua natura divina, ma secondo la natura umana egualmente sua, è stato da Lei generato con vitale somministrazione materna e da Lei prodotto in similitudine di natura e consustanziale alla Madre: mediatamente e remotamente seme di Adamo, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di David: immediatamente e prossimamente per verace e propriamente detta generazione materna, seme della donna per eccellenza, della Vergine benedetta, semen mulieris. Non ha quindi Maria generato un uomo in cui il Verbo pigliasse l’abitazione come bestemmiava Nestorio, non è stata un mero canale per cui il Verbo con la carne assunta sia trapassato, come altri eretici farneticarono, no no: se così fosse Maria non sarebbe Madre di Dio, avrebbe generato al più l’umanità del Verbo non il Verbo secondo la umanità: Maria in modo materno della sua sostanza, operando soprannaturalmente lo Spirito Santo, comunicò la natura umana alla divina Ipostasi del Verbo di Dio; onde il Verbo di Dio è vero figliuolo naturale di Dio e della Vergine. E dico della Vergine, perché senza offesa del verginale suo giglio concepì Maria il Verbo, che come concepito adornò, profumò, sublimò la virginità della Madre; così partorito lasciò intatto il claustro per cui passò quasi raggio di sole per un cristallo tersissimo. Ecco dunque l’obbietto della solennità di questo gran giorno. Il tempio di Gerusalemme che riceve secondo la profezia di Malachia l’Angelo destinato del testamento, e lo riceve partorito sulle braccia della più sublime creatura che fosse mai, la figlia di David, la Vergine benedetta, che ha concepito e partorito un figliuolo che porta il principato sugli omeri, perché Uomo Dio.

2. Ma se è così, succede naturalissima la domanda: perché, perché mai questa Vergine e questo pargolo vengono al tempio in questo quarantesimo giorno dal parto e dal nascimento? Esiste, come accennai, una doppia legge mosaica che impone al dì quarantesimo l’oblazione del primogenito al tempio, e la purificazione della Madre, ma questa legge non lega né Gesù che è Dio, né Maria che unica e sola è, per inaudito portento, Vergine e Madre. Qui i santi Padri entrano per cosi dire in arringo e ragioni arrecano validissime, perentorie, irrefragabili, affine di provare convenientissima questa presentazione del Figlio al tempio e questa purificazione della Madre. Il Figlio volle dare in sé un esempio di obbedienza perfetta alla legge, la Madre non volle respingere la umiliazione di essere tenuta madre comune, ambedue vollero porgere questo ossequio alla maestà del Signore ripagando, con obbedienza in cosa non debita, la fellonia delle umane prevaricazioni. E queste sono ragioni che non ammettono replica perché verissime. Ma a me è sempre piaciuta di preferenza un’altra ragione, la quale prova che fu convenientissimo. e starei per dire necessario che Gesù e la Vergine ciascuno dal canto suo alla legge doppia si soggettassero, e la ragione è questa: Gesù è il Verbo di Dio fatto carne, che nato della Vergine Maria portò dal seno della Madre l’ufficio di Redentore e però di sacerdote e di vittima del genere umano. Ponete mente. Il Verbo di Dio avanti la incarnazione, quando aveva solo come propria la natura divina non fu, né poteva essere, sacerdote né vittima, questo è evidente: perché al Verbo secondo la natura divina conviene ricevere non offrire il sacrificio e la vittima. Ma non appena il Verbo fu fatto carne fu incontanente vittima e sacerdote, perché dalla volontà divina fu destinato, ed Egli offerse da se medesimo ad immolarsi sull’altare della croce vittima umano-divina in sostituzione del genere umano. Mirabil cosa! Dio era stato offeso da tutto il genere umano e per placarlo era mestieri un mediatore adeguato che sostituito all’uomo soddisfacesse alla giustizia di Dio, ma questo mediatore non poteva essere solamente creatura e non poteva essere solamente Dio; non poteva essere solamente creatura perché nessuna creatura si adegua alla divina altezza per modo da potersi interporre, se cosi è lecito dire, per ufficio tra l’uomo e Dio; non poteva essere solamente Dio, perché, dice S. Paolo, mediator unius non est. (Gal. III, 20) Nessuno può essere mediatore presso se stesso. Ed ecco mirabile invenzione della divina Sapienza. La seconda Persona della Trinità sacrosanta assume la natura umana, ed avete un mediatore che non è solamente creatura né solamente Dio. Non è solamente creatura perché anche secondo la umanità Gesù è il Verbo di Dio; non è solamente uomo perché la natura assunta non ha personalità propria e sussiste nella Persona del Verbo; così Gesù mediante la persona comunica con la divinità, mediante la natura assunta comunica con gli uomini e tramezzando fra l’offensore e l’Offeso è verissimo mediatore naturale, per l’incarnazione costituito Gesù cioè vittima sostituita per tutto il genere affinché porti le iniquità di tutti sopra di sé, e placando l’ira divina riconcili con Dio l’uman genere. – A questo signori miei a questo era nato, a questo cresceva Gesù, ad esser vittima che pagasse per noi. Ma della vittima è proprio che venga presentata al tempio e collocata sull’altare che deve innaffiare col proprio sangue, e così Gesù fino dal primo albore della sua vita al tempio viene presentato e fa la solenne oblazione di sé per la salute del mondo al Padre, e il Padre accetta il cambio del nuovo Adamo capo della rigenerata umanità, e da allora in poi ogni respiro di Gesù, ogni palpito del suo cuore, ogni vagito, ogni pensiero, ogni affetto, tutto insomma anima corpo, vita, morte, sangue, pene, fatiche, tutto è sangue, vita, morte, pene, fatiche di vittima, perché tutte le opere di Gesù Cristo sono prezzo della redenzione, la quale se si attribuisce alla morte è solo per questo che la morte pose il colmo e il suggello e consumò coll’opera principale il riscatto del mondo che le opere teandriche antecedenti avevano iniziato. Ecco un degno perché della presentazione al tempio del pargoletto Gesù. Era vittima già designata alla redenzione del mondo, doveva dunque essere offerta fin dagli esordì della vita acciocché tutto, tutto fosse in Lui operazione di vittima dalla culla alla croce.

3. Ma se è così: se Gesù doveva, come vittima designata a pagare i non suoi peccati, essere offerto al tempio, vedete subito quanto era conveniente che al tempio, come fosse una madre comune, lo presentasse Maria. Si ripete tutti i giorni nella santa Chiesa la dottrina sublimissima invero che insegna, come Gesù è il nuovo Adamo capo del genere umano rigenerato. Ma con questa dottrina va intimamente connessa 1’altra che compagna del nuovo Adamo nella nostra ristorazione sia un’Eva novella migliore della antica, e questa Eva novella è Maria. Questa dottrina è rivelata da Dio; e nel famoso proto Evangelio si parla di una donna per eccellenza nella quale sempre si è riconosciuta Maria, e S. Ireneo, S. Epifanio, S. Agostino e tutto in una parola il coro dei SS. Padri tessono un parallelo tra la prima madre del genere umano che partorì i figliuoli alla morte e la seconda che li partorisce alla vita, e quando Maria rispose all’Angelo, che le chiedeva il consenso, quell’ineffabile, ecce ancilla Domini: fìat mihi secundum verbum tuam. (Luc. I , 38) nel profferirsi alla divina maternità, si profferse ad essere sacerdotessa e vittima del genere umano. Gesù dunque fino dai primi albori della sua vita mortale viene offerto vittima al tempio perché cresca in istato di vittima fino alla croce, e al tempio col pargoletto in braccio si presenta Maria, e offre se medesima col Figliuolo al grande olocausto col quale deve essere ristorato il mondo e pacificato nel sangue della croce di Gesù Cristo il cielo con la terra. Quindi Maria che oggi col Pargoletto in braccio ci si mostra nel tempio intraprende una carriera che finirà sul calvario appiè della croce. E la sacerdotessa dell’uman genere che oggi presenta al tempio la vittima, la dovrà poi con alto strazio del cuore offrire in opera quando Madre dolorosissima starà spettatrice e parte delle pene che all’età di trenta anni uccideranno di viva forza questo unico e innocentissimo frutto delle sue viscere, vittima sostituita per tutto il genere umano, Cristo Gesù. Eccovi dunque perché non astretta dal vincolo della legge pure viene al tempio Maria. Viene per motivo più alto senza misura che non è l’osservanza di una cerimonia mosaica. Ma perché dunque si purifica al pari delle altre donne dalla immondizia di un concepimento immacolato e di un parto verginale? Perché vuole imitare il frutto delle sue viscere, che essendo santo e impolluto si fece peccato per noi, e la infinita purità apparve un lebbroso, un percosso, un umiliato da Dio. Vedete guest bambino! Omnes nos quasi oves erravimus, vi posso dire con Isaia, unusquisque in viam suam declinami, et posuit Dominus in eo iniquitates omnium nostrum. (Is. LIII, 6) Tutti noi siamo andati errando come pecore stolte, indisciplinate, ciascuno ha declinato per la sua via, e Dio ha posto sopra di esso tutte le nostre iniquità, e oggi le riceve sopra le spalle e le porterà sulla croce. E dal bambino posso rivolgere la parola e il guardo alla madre, e vedete, posso dirvi, vedete voi questa donna? Questa donna immacolata, innocentissima, piena di grazia è una vittima destinata al dolore, e partoriti naturalmente al peccato ci partorirà fra le pene alla grazia. – Questi affetti, o cuori magnanimi della Madre e del Figlio, in questo memorando giorno vi tempestarono, e il Padre nella duplice oblazione ricevette per dir così una primizia dell’olocausto e una caparra del prezzo, odorò in odore di soavità la duplice vittima e diede ad entrambi dell’accettazione il pegno, e quasi dissi col suo suggello lo suggellò.

4 Sì o signori, eterno Padre in questo giorno suggellò la duplice vittima, e fu Simeone vecchio, dice Agostino, annoso, provato, famoso, che pronunziando i destini del Figlio appressò il rovente suggello al cuore della Madre. Era in Simeone lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo lo aveva fatto certo che non avrebbe veduto la morte se prima con gli occhi suoi veduto non avesse il Messia, e si trovava in questo giorno nel tempio e lo Spirito Santo gli aveva ispirato di andarvi. Ed ecco entrano Maria e Giuseppe nel tempio e la madre porta tra le braccia il suo bambinello. Li vede Simeone, sente una voce che gli dice al cuore quel Bambinello egli è desso, con le braccia prostese, con gli occhi ardenti, con la fiamma del desiderio nel volto corre con tremulo piede al Bambino, e senza più lo si reca tra le sue braccia. O Signore, Signore, ora, ora è il tempo, raccogliete pure in pace l’anima mia poiché questi occhi hanno veduto il mio Salvatore. Così giubilando gridò Simeone, ma poi annuvolossi ad un tratto e scurato il sembiante, corrugata la fronte, con occhio addolorato si rivolse alla Madre. E questo pargolo, disse, è posto in ruina e in risurrezione di molti in Israele e in bersaglio di contraddizione. – E tu, donna, preparati perché una spada ti trapasserà l’anima da parte a parte. Positus est hic in ruinam et resurrectionem multorum in Israel et in signum cui contradìcetur, et tuam ipsius animam pertransibit gladìus. (Luc. II, 34.) Eccovi con questopresagio, quasi con un suggello medesimo suggellato il Figlioe la Madre e costituiti entrambi in grado di vittime. Povera Madre!Non appena suonò sul labbro di Simeone quella profezia formidabile,intese subito che spada fosse quella che la aspettava,tutto, tutto vide e comprese. Vide come allora accadesse la carneficinadel frutto delle sue viscere, e allora fu per mio credereche il Cuore di Gesù impresse se medesimo come suggello sulcuore di Maria per tal modo che il cuore del Figlio non battessed’un palpito, non fosse commosso di un affetto al quale non consentissee corrispondesse il cuore della Madre. Ora il cuore diGesù fu sempre un cuore di vittima, e dal presepio di Betlemfino al Calvario mai non cessò di prepararsi e quasi corroborarsialla croce. Cresceva Gesù e di bambino si faceva pargoletto, e questemembra che crescono, diceva giorno e notte, crescono al martirioe alla croce. Procedeva l’un di più che l’altro, e di pargolettosi faceva adolescente, di adolescente garzone, ma semprela croce col duro peso gli gravitava sul cuore e garzonetto pienodi grazia e di sapienza, una cara mestizia gli annuvolava la frontesu cui si diffondeva l’amore, e quella mestizia era il pensierodella croce. Alla croce si preparò nella officina di Nazaret, quandotrattò con la divina mano arnesi fabrili, e quando giovane uscidalla tenda alla pugna, e predicò alle turbe il regno di Dio, ognipasso che stampò sul terreno l’offerse al Padre come un passoalla croce. O cuore di Gesù cuore di vittima, un palpito un palpitosolo non ti commosse, senza che urtassi nella durezza terribiledella croce. E che cuore fu il tuo in questo tempo medesimoo immacolata Figlia di David se non un cuore di vittima? Se Gesùcresceva e di bambino si faceva pargoletto, di pargoletto adolescente,di adolescente garzone, di garzone giovane adulto, cresceva sempresotto i tuoi occhi e tu lo vedevi, lo vedevi e vederlo e sentirtisuonare all’orecchio le parole di Simeone era un punto solo.Stringeva Maria al cuore il suo pargoletto e si deliziava in quellamembra cui illeggiadriva la grazia, e sentiva dirsi, questo pargoletto è posto in ruina e risurrezione di molti. Nutricava allaviva fontana del petto verginale quel caro pegno cui vaporava ilprofumo della inabitante divinità, e il cuore le ripeteva. Questoamore è posto a bersaglio di contraddizione. Vedeva crescere ilsuo diletto, dolcissimo garzoncello dagli occhi di colomba, dallaguancia di rosa sulle cui labbra si diffondevano le soavità celestiali,e prepàrati, udiva replicarsi, o Madre, perché una spadati deve trapassare l’anima da parte a parte. Vedeva farsi giovaneil suo Gesù e con Gesù che veniva in età, vedeva avvicinarsi ilmartirio, vittima insomma e madre di vittima, nel cui cuore lacarità di Dio mesceva la fiamma col naturale amore di madre,ebbe sempre sul cuore e davanti agli occhi la croce nella qualecon l’olocausto del Figlio sarebbe salito al Cielo in odore di soavitàl’olocausto altresì della Madre. O Anna profetessa figliuolaottuagenaria di Fanuele che coi digiuni e colle orazioni servendoDio ti sei meritata la gran ventura di vedere l’incarnato Verbodi Dio, parla pure di Lui a quanti aspettano la redenzione d’Israele,ma parla al tempo medesimo di Maria e non disgiungere la Madredal Figlio, e dì a tutti che due vittime si suggellano in questogiorno per essere una sola oblazione per la nostra salute.

5. Ma perciò stesso che era Gesù il nuovo Adamo vittima universale del genere umano, ottimamente profetizzò di Lui Simeone che Egli era posto in ruina e in risurrezione di molti in Israele e in bersagliò di contraddizione. La seconda parte di questa terribile profezia esplica e dà ragione della prima, e vale come se dicesse così: Siccome questo fanciullo sarà bersaglio di contraddizione; così è anche posto in ruina e in risurrezione di molti. Mirabil cosa signori miei! Correva il quarantesimo secolo da che il genere umano era strazio e ludibrio di satanasso, da che gli uomini a maniera di turbolenta fiumana precipitavano, una generazione dopo l’altra, all’inferno, da che la terra gemeva sotto il peso della vetusta maledizione: per tutto il mondo era una viva espettazione di cose nuove e di un nuovo ordine di secoli, in Israele si aspettava il Redentore promesso, si consultavano i Profeti, si stancava il Cielo con suppliche moltiplicate. Pareva che comparso appena fra gli uomini questo desiderato, i popoli, le genti, le tribù, le lingue dovessero correre a calca per adorarlo e collocarlo colle proprie mani sui loro altari. Ma invece, o Dio! Non appena questo desiderato comparve, cominciò subito la contraddizione per conto di Lui: e un gran numero di uomini, o perfidia forsennata ed immane! si rivolsero il Figlio di Dio venuto a salvarli in causa e strumento di perdizione e di rovina. La cosa era predetta, e Isaia a nome di Dio aveva profetizzato così. Io porrò in Sionne una pietra viva, provata, angolare, preziosa fondata nel fondamento. Questa pietra è Gesù Cristo, e sopra di essa è scolpita questa iscrizione. Qui ceciderit super lapidem ìstum confringetur, super quem vero ceciderit conterei eum. (Matth. XXI, 44.) Chi urterà contro questa pietra si sfracellerà, e coloro sopra i quali essa cadrà ne saranno schiacciati. Però, grida S. Pietro principe degli Apostoli, questa pietra viva, eletta, provata, angolare, preziosa, collocata nel fondamento dalla mano stessa di Dio, è inevitabile: tutti gli uomini che vivono sulla terra la trovano intraversata sulla loro via e conviene che scelgano o lasciarsi edificare sopra di lei o essere da lei stritolati. Ciò vuol dire che per conto di Gesù Cristo non si può essere indifferenti: qualunque ne ascolta la menzione ed il Nome è strette subito da una ineluttabile necessità di pigliare un partito : o con Lui o contro di Lui: via di mezzo non ci è. Egli è posto in bersaglio di contraddizione. Positus est in signum cui contradicetur. (Luc. II, 34.) Tutta la storia dei diciannove secoli che sono corsi dalla nascita di Gesù in Betlemme fino ai di nostri confermano questo vero e ci mostra il Figlio di Dio e di Maria posto in bersaglio di contraddizione e in rovina e in resurrezione di molti. Vi piace vederlo signori miei? Attendete e lo vedrete dopo che mi avrete concesso un breve respiro.

6. Gesù è posto bersaglio di contraddizione in ruina e in resurrezione di molti. Bene sta: ecco che nato appena Gesù, Erode lo trova sulla strada: posto al bivio conviene che scelga: sceglie di cozzare contro la pietra: cozza e ne è sfracellato. I Giudei vedono questa pietra nel mezzo a loro: osservano questa pietra, non piace loro, la disconoscono, la ripudiano la riprovano: la pietra cade sopra i riprovatori, li schiaccia tutti, e per propria virtù colloca se medesima nella testa dell’angolo Onesta pietra viene di poi consegnata agli Apostoli che la portano in faccia ai regi e alle genti: ed ecco non appena se ne ascolta la menzione ed il nome, il tumulto della contraddizione incomincia. Popoli e monarchi, nobili e popolani, dotti e ignoranti, nazioni civili e barbare si dividono in due schiere, altri aderiscono a questa pietra e ad essa si stringono, altri la osteggiano con contraddizione mortale. Si combatte accanitamente, il furore ministra le armi, cadono sfracellati i nemici e la pietra sta. E chi ha lingua e penna per descrivere le lotte e i trionfi di questa pietra? O pietra benedetta: tu lottasti in Roma contro la spada degli imperatori e vincesti: lottasti in Grecia contro la superbia dei filosofi e vincesti: lottasti contro tutte le passioni e le corruttele umane congiurate ai tuoi danni nel rimanente del mondo e vincesti. Vincesti e sottomettesti e l’indiano corrotto e l’ebreo feroce e l’arabo molle e l’africano indomito e l’adusto egiziano e il barbaro scita. Anche di trionfo in trionfo contraddetta sempre e sempre posta in rovina e in resurrezione di molti, verificasti la profezia di Daniele e diventata un gran monte empiesti di te medesima tutta la terra. Ma dopo tante vittorie non cessasti di essere bersaglio di contraddizioni, e alle mannaie, ai roghi, agli eculei, alle fiere dei Cesari, dei proconsoli, dei prefetti successero le perfidie e i cavilli degli eretici: ai cavilli e alle perfidie degli eretici, le nequizie teologiche dei Cesari bizantini; alle nequizie teologiche dei Cesari bizantini, le scimitarre e la ferocia dei barbari; alla ferocia e alle scimitarre dei barbari, la truculenta bestialità degli imperatori tedeschi, e poi di nuovo gli eretici, e dopo gli eretici i regalisti, e dopo i regalisti i politici, e dopo i politici quei mentecatti che il secolo passato chiamò filosofi. Al secolo dei filosofi successe il secolo della rivoluzione: contraddizione successe a contraddizione, assalto ad assalto, impeto ad impeto, furore a furore; Gesù Cristo fu a molti in resurrezione a molti in rovina, caddero urtando nella pietra uno dopo l’altro i nemici e la pietra sta. Ma che fremito è questo che mi percote le orecchie? Che si medita nei consigli dei monarchi e nelle assemblee dei popoli? Ecco che genti sorgono contro genti, regni contro regni, ecco che la terra rende più che mai somiglianza di un mare dove ed Euro e Noto, ed Affrico ed Aquilone ed Austro si avventano con tutto l’impeto della loro rabbia e mescolano le onde dall’imo fondo e levano i flutti alle stelle. Che pretendono, che vogliono gli uomini arrovellati e stravolti da sì furibonda vertigine? È la tempesta, il fremito, il tumulto, il furore dell’antica contraddizione intorno l’antico bersaglio Gesù Cristo, Figliuolo di Dio e pietra angolare del mondo. Stupenda cosa, signori miei, meraviglioso spettacolo! Noi assistiamo ad una lotta tra Gesù Cristo e la rivoluzione quale non fu vista forse mai per lo addietro. La rivoluzione fa sforzi eroici per togliersi davanti Gesù Cristo che le fa paura, ma più dà opera di evitare questa pietra e più se la trova dinanzi intraversata ai suoi passi. Vede la oscena questa pietra e freme e ringhia e spuma e latra e si arrovella ma invano. Affronta direttamente il terribile bersaglio. Ci urta con la insana testa e sente crosciarne al colpo le ossa. Fa opera di scansarla dissimulando il dispetto sotto la maschera di cinica indifferenza? E questa pietra le fa da se medesima inciampo ai piedi. Proclama la separazione dello stato da Gesù Cristo e dalla sua Chiesa? E Gesù Cristo si presenta ad ogni passo in mezzo alla via e la costringe ad occuparsi di esso dicendo, son qua. Protestate di non credere, protestate di non curarvi, deridete, bestemmiate, rubate, calpestate, insultate, ma vi trovate sempre alle mani con Gesù Cristo e il sarcasmo medesimo, la bestemmia, e le opere da ladroni che vi nobilitano, dicono in loro favella che una catena fatale a Gesù Cristo vi tira per sfracellarvi contro di Lui e verificare il vaticinio di Simeone che come esso è posto in  bersaglio di contraddizione cosi è anche posto in ruina e in risurrezione di molti. Ma noi o Gesù Cristo crediamo: crediamo e la nostra fede è la nostra gloria: noi nella contraddizione che vi bersaglia ci schieriamo dalla parte vostra. Quanto abbiamo di bene di forza, di spiriti, di coraggio, di vita, vogliamo tutto spendere per Voi. Voi accoglieteci sotto il vostro stendardo. Passa il mondo e gli uomini passano con esso. Tra pochi giorni il corpo di questi vermini che vi fanno guerra sarà un pugno di fango e l’anima verrà ai vostri piedi. Dio santo, Dio eterno, Dio immortale, Gesù Cristo figliuolo di Dio, viva a Voi l’anima nostra e ci sostenti intanto quella fede la quale è la vittoria che vince il mondo.