CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (22)

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XXI.

(altro seguito del precedente.)

Nuovo tratto di parallelismo tra la Religione della Città del bene e la religione della Città del male: il cibarsi della vittima — L’antropofagia: sua causa — Lettera di un missionario d’Africa: storia di un sacrificio umano con divoramento della vittima — Altre testimonianze— L’antropofagia presso gli antichi; prove — Altro tratto di parallelismo: il sacrificio comandato da Dio e da satana — Prove di ragione — Testimonianza d’Eusebio — Tirannie di satana per ottenere vittime umane: passi di Dionigi d’Alicarnasso e di Diodoro di Sicilia.

Non è solamente nella istituzione del sacrificio che il re della Città del male contraffà il Re della Città del bene: ei lo scimmiotta altresì nelle circostanze che l’accompagnano e nella ispirazione misteriosa che lo comanda. Conosciamo le purificazioni, le astinenze, le preparazioni che nella Città di Dio hanno sempre preceduto l’oblazione del sacrificio. Conosciamo del pari i trasporti di gioia, i canti, le danze, la musica sacra che l’accompagnavano presso l’antico popolo di Dio, come pure l’allegrezza e la pompa con cui il nuovo popolo l’accompagna nelle grandi solennità. – Inutile provare che tutto ciò si ritrova intatto, benché sfigurato nella Città del male. Il fatto è conosciuto da chiunque ha la più lieve nozione dell’antichità pagana. (Vedi tra altri Theatrum magnum vitæ humanæ art. Sacerdotes.). Ve n’ha un altro che ci sembra chiedere una speciale spiegazione. In tutte le condizioni del sacrificio la più universale, perché la più importante, è la partecipazione alla vittima mediante il mangiare. Abbiamo visto che quest’atto è materiale, morale o figurativo. Ad imitazione del vero Dio, satana lo vuole per se medesimo. Come egli esige delle vittime umane, cosi spesso esige dai suoi adoratori la partecipazione all’abominevole sacrificio, con un mangiare reale. Di qui l’antropofagia. Che in generale l’antropofagia sia dovuta ad una ispirazione satanica, ci sembra facile il provarlo con un perentorio ragionamento. L’antropofagia è un fatto. Ogni fatto ha una causa. La causa dell’antropofagia è naturale o soprannaturale. Naturale, se ella si trova negli istinti della natura o nei lumi della ragione. Ora gli istinti della natura portano cosi poco l’uomo a mangiar l’uomo, che per esempio, in una città assediata o sopra una nave priva di ogni mezzo di sussistenza, si è all’ultima estremità e con una ripugnanza estrema, che l’uomo si decide per salvar la sua vita, a nutrirsi della carne del suo simile. La ragione nei suoi lumi, non trova niente che comandi, che approvi, ed a più forte ragione, che glorifichi una simile azione. Che dico? appena si giunge a scusarla. Non vi è nessuno che non provi un sentimento di orrore, leggendo nella storia i fatti, per fortuna assai rari, di antropofagia, allorquando pare che sieno comandati dalle circostanze. Ci si lamenta, si deplora, ma non si applaudisce mai. – Se la causa dell’antropofagia non è naturale, essa è dunque soprannaturale. Vi sono due soprannaturali, quello divino, e quello satanico. È forse nel primo, che noi troviamo la causa dell’antropofagia? No per certo. Iddio la condanna. A meno che non si ammetta un effetto senza causa, rimane dunque l’attribuirlo al secondo, vale a dire all’eterno nemico dell’uomo,. Difatti è desso l’ispiratore, esso la cui infernale malizia perverte tutti gli istinti della natura, spegne tutti i lumi della ragione, sino al punto di far trovare all’uomo il suo piacere in un atto, che è il rovescio completo di tutte le leggi divine ed umane. Noi ritorneremo su questo fatto: per il momento dobbiamo occuparci dell’antropofagia, considerata come appendice obbligata del sacrificio. L’antichità ce la mostra praticata presso i Bassari, popolo della Libia. « Essi avevano, dice Porfirio, imitato i sacrifici dei Tauri e mangiavano la carne degli uomini sacrificati. Chi non sa che dopo quegli orrendi pasti, essi entravano in tal furore contro sé medesimi, che mordendosi reciprocamente, non cessavano di nutrirsi di sangue, se non quando, coloro che primi (i demoni) avevano introdotto quella specie di sacrifici, non ebbero distrutta la loro razza. » (De abstinent., lib. II, i, 56, ediz. Didot, p. 45). – Sotto la stessa forma l’abbiamo trovata presso la maggior parte dei selvaggi del nuovo mondo; essa si pratica ancora nell’Oceania e nell’Africa centrale. Non potendo trattenerci a lungo, ne riferiremo un solo esempio: « Il 18 ottobre 1861 uno dei nostri missionari, venuto a Parigi, dopo dodici anni di dimora sulla costa occidentale dell’Africa, ci diceva e, più tardi, voleva altresi scriverci ciò che segue: « Nel mese di settembre 1850 io stesso era in quei luoghi, dove si fece il sacrificio di cui ora vi parlo. Bisogna notare, che questo non è un fatto isolato; ma questa sorte di sacrifici sono di un uso molto frequente. La vittima era un bel giovane, preso da un borgo vicino. « Per quindici giorni fu tenuto attaccato per i piedi e per le mani ad un tronco d’albero in mezzo alle case del villaggio. Sapendo egli la sorte che gli toccava, questo disgraziato fece durante la notte, tra il quattordicesimo e quindicesimo giorno, un supremo sforzo per liberarsi da quei legami, e vi riuscì. Smarrito egli giunge avanti giorno ad un posto francese. Nessuno intendeva la sua lingua, per cui fu preso per uno schiavo fuggitivo, e si consegnò senza difficoltà ai negri, i quali essendosi posti in cerca di lui, non tardarono a reclamarlo. Ricondotto al villaggio, il sacrificio fu deciso per quello stesso giorno, che era un venerdì; ed ebbe luogo al solito modo. « La vittima fu strettamente legata e distesa sopra una pietra, a guisa di altare, nel centro di una gran piazza. Intorno alla piazza vengono poste sopra dei focolari, delle marmitte piene d’acqua. Una musica assordante accompagnata da innumerevoli tamtam, occupa una delle estremità della piazza, e aspetta il segnale. La popolazione del villaggio e di quei all’intorno, spesso in numero di tre o quattro mila persone, vestite dei loro abiti da festa si distendono in cerchio intorno alla vittima: in piccolo, assomigliava agli anfiteatri dei Romani. « Al dato segnale, la musica, i tamtams, i clamori della moltitudine riempiono l’aria di un frastuono infernale: è l’annunzio del sacrificio. I sacrificatori si accostano alla vittima, armati di pessimi coltelli, ed incominciano il loro atroce ministero. Secondo i riti, la vittima deve essere fatta a pezzi ancor viva, e con le articolazioni. Si comincia dalla mano destra che si stacca dal braccio, tagliando l’articolazione del polso; quindi si passa al piede sinistro, che viene tagliato sotto la noce; poi si viene alla mano sinistra, e al piede destro. Dai polsi si passa ai gomiti, dai gomiti ai ginocchi, dai ginocchi alle spalle, dalle spalle alle cosce, alternando sempre fino a che non resta che il tronco, sormontato dalla testa. Così fu immolato il mio disgraziato giovine. – « Via via che cadono le membra della vittima, vengono esse portate in quelle caldaie piene d’acqua bollente. L’operazione si termina troncando, o meglio, segando il capo che è gettato in mezzo alla piazza. Allora comincia uno spettacolo, del quale nulla saprebbe dare neppure una debole idea. Gli spettatori sembrano invasati da un furore diabolico. Al suono di una musica orribilmente scordante, al rumore di vociferazioni umane, le donne scapigliate, gli uomini strafiguriti da non so quale magica ebbrezza, si abbandonano a dei balli, o piuttosto a delle contorsioni spaventose. La ronda infernale non ha altra regola che l’obbligo per ciascun danzatore di dare, ballando e senza fermarsi, una pedata alla testa della vittima, da farla rotolare per tutti i punti della piazza, e di cogliere con un coltello, passando vicino a quelle caldaie, un pezzo di carne, mangiato con la voracità della tigre. Con ciò essi credono pacificare il feticcio scorrucciato. « Sotto una forma palliata, l’antropofagia religiosa si manifesta nei banchetti che seguono la vittoria. L’uomo comprende benissimo ch’è diretto da esseri a lui superiori, che senza distinzione di razze, di climi, o di civiltà, tutti i popoli celebrano gli avvenimenti felici, come i successi riportati in guerra, con feste religiose. Le nazioni cristiane offrono il loro Dio in olocausto, e cantano il Te Teum in rendimento di grazie. Il sacrificio dell’uomo è l’Eucaristia di quelle che non lo sono; e il mangiare della carne umana, è il Te Deum dell’antropofago: qui i fatti abbondano. « Innanzi la loro conversione gli abitanti delle Isole Gambier erano in continua guerra. Essi erano antropofagi a tal punto che una volta, dopo una lotta sanguinosa tra le due parti, un enorme cumulo di cadaveri essendo stato innalzato, i vincitori lo divorarono in un gran banchetto che durò otto giorni. » (Annali, ecc., n. 148, p. 299). – Quelli dell’Arcipelago Fidji non depongono mai le armi. « Tutto quel che cade nelle mani del vincitore, scrivono i missionari, è in un attimo, massacrato, arrostito e divorato. Adesso vi è una battaglia o piuttosto una strage di questo genere tra Pan e Reva, dove ogni giorno si rinnovano scene di un cannibalismo degno di bestie feroci. Immense piroghe vanno da una sponda all’altra, cariche, di corpi morti, dei quali ogni partito fa omaggio alle sue divinità sanguinarie,, innanzi di portarli al forno…. In certe isole si aggiunge l’insulto alla crudeltà. Si taglia la testa della vittima; la si profuma di olio; si accomodano con gran simmetria i suoi capelli, e quando il .corpo è arrostito, ella viene a riprendere il suo posto sulla tavola del banchetto. » (Id., n. 115, p. 509). « A Viti-Levou, quando arriva il tempo delle pubbliche feste, una vivanda qualunque è sempre decretata a prezzo d’omaggio al vincitore. Allorché noi sbarcammo, era il corpo arrostito di un infelice Vitiano. Io era stato invitato a prender parte alla festa. Voi indovinate il motivo del mio rifiuto. Del resto, in questa isola, e in quelle più prossime, i desinari di carne umana sono frequentissimi…. Per celebrare un avvenimento, ancorché sia di poco rilievo, il re ha uso di servire i suoi amici delle membra di qualcuno dei suoi disgraziati sudditi. » (Annali, ecc., n. 82, p. 198). – Sotto questo punto di vista l’antropofagia religiosa è molto più antica che non si crede. Nessun popolo l’ha praticata con pari tracotanza e sopra una più grande scala, dei Romani. Che cosa erano in ultima analisi quei combattimenti di gladiatori, quei giochi sanguinosi dell’anfiteatro, se non vasti banchetti di carne umana? Come presso i selvaggi, così erano imbanditi per ringraziare gli dei di qualche vittoria. Ond’è che lo stesso spirito che gli ordinava anticamente, gli comanda oggi; là sotto il nome di Marte o di Giove; qui sotto il nome di Feticcio o di Manitou. L’Oceanico mangia le sue vittime con i denti, mentre il Romano le divorava con gli occhi, e le gustava con delizia. L’Oceanico è un selvaggio incolto, il Romano era un selvaggio incivilito. Ma nell’uno come nell’altro, trovasi la sete naturalmente inesplicabile di sangue umano. (Credere che l’antropofagia fosse sconosciuta dai popoli dell’antico mondo sarebbe un errore. Sino al IX secolo essa regnava nella Cina, al Pegu, a Giava, è presso i popoli dell’Indocina. I condannati a morte, i prigionieri di guerra, erano uccisi e divorati; si facevano persino dei pasticci di carne umana. – Lettera del Sig. De Paravey. Annali di Filosofia cristiana, t. VI, 4a serie, p. 162). A questo proposito, dice il sig. Veuillot, « che l’Antica Roma, vista attraverso della Roma cristiana, ispira subito disgusto. Quei grandi Romani, quei padroni del mondo non appariscono se non che tanti selvaggi letterati, Vi è egli presso i cannibali nulla di più atroce, di più abominevole o di più abietto, della più parte delle costumanze religiose, politiche e civili dei Romani? Non vi si vede un lusso il più sfrenato, una crudeltà la più infame, un culto il più stupido? Che differenza di forma può segnalarsi, tra il Feticcio ed il nume Lare? Che differenza, tra il capo di un’orda antropofaga, che mangia il suo nemico vinto, ed il patrizio che compra dei vinti, perché essi combattono e si uccidono nei banchetti? » (Profumo di Roma. — Lo stolto pagano). – Fra le circostanze che accompagnano il sacrificio nella Città del bene, come nella Città del male, vediamo che il parallelismo è completo. Non lo è meno nella ispirazione misteriosa che lo comanda. Abbiamo mostrato che sotto nessun punto di vista l’idea del sacrificio si trova logicamente nella natura umana. Nonostante essa vi è dappertutto, e vi è fino dall’origine del mondo. Viene dunque dal di fuori; ed i fatti confermano il ragionamento. Che cosa dicono gli annali della Città del bene, l’Antico e Nuovo Testamento? Nell’immensa varietà di sacrifici offerti, sotto la legge mosaica, vi dicono che non ve ne ha uno, il cui ordine non sia venuto da un oracolo divino. Essi vi dicono che nella legge evangelica, l’augusto Sacrificio sostituito a tutti i sacrifici, è una rivelazione divina, Dio ha parlato, e l’uomo sacrifica. Ecco quel che succede nella Città del bene. – Per una ragione analoga, la stessa cosa ha luogo nella Città del male. satana ha parlato, e l’uomo sacrifica. La sua parola è tanto più certa, quanto più l’uomo sacrifica il suo simile. Ei lo sacrifica su tutti i punti del globo; la parola dunque di satana è universale. Ei lo sacrifica malgrado le più vive ripugnanze della natura, la parola dunque di satana è assoluta, minacciosa. Ei lo sacrifica dappertutto, dove il vero Dio non è adorato: l’Ebreo stesso, tosto che abbandona Jehovah, cade nel Moloch e gli sacrifica i suoi figli e le sue figlie. Il sacrificio umano non è dunque, né l’effetto dell’immaginazione, né il resultato di una deduzione logica, né un affare di razza, di clima, di epoca, di civiltà o di circostanze locali: è un affare di culto. Così nella Città del male, come nella Città del bene ogni sacrificio riposa sopra un oracolo: qui ancora l’istoria consacra la logica. – (Si è preteso spiegare il sacrificio umano dicendo: « L’uomo si è immaginato che quanto più la vittima era nobile, tanto più era accetta alla Divinità. Questo ragionamento ha dato luogo al sacrificio umano. » L’uomo si ‘è immaginato! Ecco che ciò è presto detto. Questo ragionamento, o piuttosto questa immaginazione, suppone che l’idea del sacrificio sia naturale all’uomo. Ora ciò è falso, come noi lo abbiamo provato. L’uomo non ha potuto immaginare il sacrificio di un pollo; perché ha egli immaginato il sacrificio del suo simile? L’uomo si è immaginato! ma quando gli è venuta questa immaginazione? Come si trova essa presso tutti i popoli che non adorano il vero Dio? come mai non si trova altro che là? Come sparisce ella con lo sparire del culto del grande omicida? L’uomo si è immaginato! non avvi di immaginario in tutto ciò che il ragionamento di coloro, i quali, per ignoranza o per paura del soprannaturale, hanno immaginato una simile spiegazione). – « I sacrifici umani, dice Eusebio, debbono essere attribuiti agli spiriti impuri, i quali hanno congiurato la nostra perdita. Non è la nostra voce, ma quella di coloro che non partecipano alle nostre credenze, che rende omaggio alla verità. È quella che accusa altamente la perversità dei tempi che ci hanno preceduto: dove la superstizione degli infelici, avidamente stimolata e ispirata dai demoni, era venuta sino al punto di abiurare tutti i sentimenti naturali, credendo di placare le potestà impure, mediante lo spargimento del sangue degli esseri più cari, è con innumerevoli vittime umane. Il padre immolava al demonio il suo unico figlio; la madre la sua figlia adorata; i vicini scannavano i loro parenti; i cittadini i loro concittadini ed i loro commensali nelle città e nelle campagne. Trasformando in una ferocia inaudita i sentimenti della natura, essi mostravano evidentemente, che una frenesia demoniaca

erasi impadronita di loro (la medesima assurda frenesia del “diritto all’aborto” diffusa in tutto il mondo scristianizzato ed oggi soggetto nuovamente alla schiavitù del demonio, al lucifero-baphomet, il signore dell’universo! – ndr. -). – La storia greca e barbara ne offre esempi innumerevoli. » (Præp. Evang. lib, IV, c. XV). – La voce di cui parla Eusebio, è quella degli autori pagani. Dopo averne nominati un gran numero, aggiunge: « Io citerò ancora un altro testimone della ferocia crudele di questi demoni, nemici di Dio e degli nomini: è Dionigi d’Alicarnasso, scrittore versatissimo nella Storia romana che ha tutta abbracciata in un’opera, fatta con grandissima cura. I Pelasgi, dice egli, rimasero poco tempo in Italia, grazie agli dei che vegliavano sugli aborigeni. Avanti la distruzione delle città, la terra era rovinata dalla siccità; nessun frutto giungeva a maturità sugli alberi. I grani che arrivavano a germogliare ed a fiorire, non potevano giungere al tempo in cui la spiga si forma. Lo strame non bastava più al nutrimento del bestiame. Le acque perdevano la loro salubrità; e tra le fontane, le une seccavano durante l’estate, le altre a perpetuità. « Una sorte simile colpiva gli animali domestici e gli uomini. Essi perivano prima di nascere, o poco dopo la loro nascita. Se taluni scampavano alla morte, erano colpiti da infermità o da deformità d’ogni specie. Per colmo di mali, le generazioni giunte al loro intero sviluppo erano in preda a malattie ed a mortalità che oltrepassavano tutti i calcoli di probabilità. « In questi estremi, i Polasgi consultarono gli oracoli per sapere quali dii mandavano loro queste calamità, per quali trasgressioni e infine con quali atti religiosi potevano essi sperare la cessazione. Il nume rese questo oracolo : « Nel ricevere i beni che avevate sollecitati non avete reso ciò che avevate fatto voto di offrire; ma vi ritenete il più prezioso. » Infatti i Pelasgi avevan fatto voto d’offrire in sacrifizio a Giove, ad Apollo ed ai Cabrii, la decima di tutti i loro prodotti. (Offerte delle primizie e delle decime: altro tratto di parallelismo…). – « Allorché fu loro riferito questo oracolo, essi non poterono comprenderne il senso. In questa perplessità uno dei loro vecchi disse: Voi siete in un completo errore, se voi credete che gli dei vi facciano ingiuste richieste. È vero, avete dato fedelmente le primizie delle vostre ricchezze; … ma la parte della umana generazione, la più preziosa di tutte per gli dei, è ancora dovuta. Se voi pagate questo debito, gli dei saranno placati e vi restituiranno il loro favore. « Taluni considerarono questa soluzione come perfettamente ragionevole; altri come un inganno. In conseguenza si propose di consultare il nume per sapere se infatti, gli conveniva di ricevere la decima degli uomini. Deputarono essi dunque una seconda volta, dei sacri ministri, e il nume rispose in un modo affermativo. Si sollevarono tosto delle difficoltà tra di loro circa il modo di pagare questo tributo. La dissensione ebbe luogo da primo tra i capi della città; quindi scoppiò tra tutti i cittadini, i quali sospettavano dei loro magistrati. Intere città furono distrutte; una parte degli abitanti disertò il paese, non potendo tollerare la perdita di esseri che erano più a loro cari, e la presenza di quelli che gli avevano immolati. Però i magistrati continuarono ad esigere rigorosamente il tributo, parte per essere offerti agli dei, parte pel timore di essere accusati di avere dissimulato delle vittime, finché alla fine la razza dei Pelasgi, trovando la sua esistenza intollerabile, si disperse in lontane regioni. » (Dion. Halyc lib. I).A questa testimonianza contentiamoci di aggiungere quella di un altro storico non meno autorevole: « Dopo la morte di Alessandro il Macedone e vivente il primo Tolomeo, scrive Diodoro di Sicilia, i Cartaginesi furono assediati da Agatocle tiranno di Sicilia. Vedendosi ridotti all’estremo, essi sospettarono che Saturno gli fosse contrario. Il loro sospetto si fondava su ciò che in tempi anteriori, avendo uso di immolare a questo dio i figli delle migliori famiglie, più tardi ne avevano fatti comprare alcuni clandestinamente, che educavano per essere sacrificati. Un’inchiesta ebbe luogo, e si scopri che parecchi dei fanciulli immolati erano stati supposti. « Pigliando questo fatto in considerazione, e vedendo i nemici accampati sotto le loro mura, furono presi da un religioso terrore per avere trascurato di rendere gli onori tradizionali ai loro dei. A fine di riparare al più presto questa omissione, scelsero a voce di suffragi duecento fanciulli delle migliori famiglie, e li immolarono in un solenne sacrificio. Quindi coloro che il popolo accusava di avere defraudato gli dei, si eseguirono da se medesimi, offrendo spontaneamente i propri figli. Ve ne furono circa trecento. » (Lib. XX). – La terribile potenza che esigeva il sacrificio dei fanciulli, comandava tutte le altre pratiche sanguinarie od oscene dei culti pagani. Ascoltiamo un altro rivelatore non sospetto dell’abominevole mistero. « Le feste, dice Porfirio, le immolazioni, i giorni nefasti e consacrati al lutto, che si celebrano, divorando delle crude vivande, sbranandosi le membra, imponendosi delle macerazioni, cantando e facendo cose oscene, con clamori, agitazioni violente di capo e movimenti impetuosi, non si rivolgono a nessun nume, ma ai demoni, per distornare la loro collera e come un addolcimento all’antichissima usanza di sacrificare loro delle vittime umane. – « Riguardo a questi sacrifici, non si può né ammettere che gli dei li abbiano pretesi, né supporre che alcuni re o generali li abbiano offerti spontaneamente, sia consegnando i propri loro figli ad altri per sacrificarli, ossia consacrandoli ed immolandoli essi medesimi. Essi volevano mettersi al coperto dalle ire e dalle violenze di esseri terribili e malefici, o saziare gli animi frenetici di quelle viziose potenze, le quali volendolo, non potevano unirsi corporalmente alle loro vittime. Come Ercole assediando Oechalia per amore di una vergine, così del pari i demoni forti e violenti, volendo godere di un’anima, tuttora impacciata dai legami del corpo, mandano alle città, pesti e sterilità, fanno nascere guerre e divisioni intestine, fino a che essi non abbiano ottenuto l’oggetto della loro passione. » (Apud Euseb., Pmep. evang., lib. IV, c. IV). – Come lo stesso sacrificio, cosi era il modo del sacrificio prescritto dagli oracoli. Non vi è miglior prova della presenza dello spirito infernale, quanto la maniera con cui si compieva l’uccisione abominevole di tutto ciò che l’uomo ha di più caro. A Cartagine esisteva una statua colossale di Saturno di bronzo: essa aveva le mani aperte e volte verso la terra. Ai suoi piedi era un fornello pieno di fuoco. Il fanciullo posto sulle braccia dell’idolo, non essendo ritenuto da niente, scivolava nel fornello, dove era consumato al rumore di canti e d’istrumenti musicali. (Diod. Sicul., ibid., ecc.,etc.). Sotto nomi differenti, questa statua omicida esisteva in Oriente ed in Occidente, presso i Giudei e presso i Galli.