LO SCUDO DELLA FEDE (XXXI)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

 XXXI

ALCUNI PRECETTI EVANGELICI.

Il precetto del perdono non è troppo duro? — Quello della continenza, non è contro natura? — Quello dell’umiltà,  non è avvilente? E quello della preghiera non è inutile? — La preghiera non umilia che serve pregare se non si ottiene? — Perché  dobbiamo recarci anche in chiesa a pregare? — Io pregherei, ma mi manca il tempo e sono assalito dalla noia.

— Ma nel Vangelo di Gesù Cristo non vi sono forse dei precetti impossibili a praticarsi?

L’asserire ciò è parlare da eretico. Santo Agostino dice chiaro che Dio (epperò Gesù Cristo) non domanda cose impossibili; ma comandando ti anima a fare quello che tu puoi e a domandare a Dio quello che da te non puoi.

— Ma, ad esempio, quel precetto di presentare la guancia sinistra a chi ci ha percosso nella destra, di cedere anche il mantello a chi ci ha tolta la tonaca, di correre altre due miglia a chi ci ha già trascinati a correre con lui per un miglio …

Anzi tutto devi ritenere che il praticare tali cose letteralmente, per ispirito di mortificazione e di umiltà, è solo consiglio. Come precetto poi Gesù Cristo intende di dire che non dobbiamo cercare o desiderare la vendetta, che piuttosto che vendicarci dobbiamo essere disposti a ricevere un’altra ingiuria, e che interiormente dobbiamo essere disposti a rinunziare a quello che ci sarebbe dovuto, ogni volta che la carità e la gloria di Dio lo richieda. D’altronde combattendo Egli la passione della vendetta, non intende di togliere per tal guisa ai magistrati la libertà di reprimere l’ingiusto offensore e nemmeno perciò all’offeso la facoltà di ricorrere ai medesimi per avere riparazione o giustizia.

— Ad ogni modo però il mondo reputa melenso e vile colui, che sopporta in pace l’ingiuria e perdona l’offensore.

Così fa il mondo degli uomini stravolti di cervello, il mondo dei malvagi e dei viziosi; ma non già il mondo dei savi, dei buoni, dei ben pensanti, perciocché questo mondo ha sempre riguardato come vile colui che si vendica. Ed in vero non è proprio da vile l’adirarsi, il vendicarsi, facendo così quello che fanno le bestie, quello che fa la vespa, che punge chi la stuzzica, quello che fa la vipera che morde chi la calpesta, quello, che fa il mulo che spranga calci contro chi lo percuote? – Sì, lo diceva già Aristotile, filosofo pagano: L’ira e la vendetta sono appetiti bestiali.

— Eppure è cosa dura certe volte il perdonare!

Anzi è duro tutto il contrario. Capisco che l’amor proprio deve fare un sacrificio, ma non è mille volte meglio per la tranquillità di nostra vita che lo faccia? E come può vivere tranquillo chi ha in cuore l’amarezza, l’odio, il livore, la brama di vendicarsi! È ancora per lui la pace, la gioia, la felicità? No, affatto. Più non dorme quieto la notte; di giorno, anche in mezzo agli affari, lo tormenta un pensiero funesto, tra gli stessi divertimenti una larva, che conturba, gli si para dinanzi, la larva della sua inimicizia. E poi ha da sacrificare le compagnie, le adunanze, le ricreazioni dove pratica l’avversario; deve evitare quelle strade per dove egli passa, deve star pronto a voltare la faccia quando lo incontra; e quando pure è riuscito a umiliarlo, a vendicarsi di lui, più che mai deve temere, che o egli, o i suoi parenti, o i suoi amici preparino di ripicco un’altra vendetta. E questa condizione di vita non è un inferno anticipato? E non è dunque meglio perdonare, e per tal guisa compiere il precetto di Gesù Cristo, e assicurarsi di essere così da Dio perdonati, avendo detto lo stesso Gesù: « Perdonate e vi sarà perdonato? »

— Queste considerazioni mi persuadono assai, non solo della convenienza, ma persino della facilità del perdonare. Un altro precetto tuttavia che nella morale di Gesù Cristo mi pare molto difficile ad eseguirsi è quello che riguarda la continenza. A me pare che l’obbligo di questa virtù sia cosa contro natura, superiore alle forze umane, epperò impraticabile.

Il dire ciò seriamente sarebbe una gravissima bugia ed una esecranda bestemmia contro la sapienza di Gesù Cristo, che non comanda nulla che non si possa praticare. L’uomo coll’aiuto del Signore può vincere qualsiasi più terribile passione, epperò anche quella contraria alla continenza, la quale, se fosse contro natura, non verrebbe certamente comandata da Colui, che è Autore stesso della natura. D’altronde gli stessi filosofi pagani hanno riconosciuta la necessità e l’importanza di tale virtù. Talete ha detto; « Temi la voluttà, che è madre del dolore ». Cicerone lasciò scritto: « L’impudicizia impedisce il consiglio, è nemica della ragione, né tiene alcun commercio colla virtù. Non vi è peste più esiziale della lussuria ». Aristotile ha sentenziato: « Con le laidezze della libidine si logora il corpo ». E Quintiliano insegnò: « Essendo divina l’origine dell’anime nostre, conviene aspirare alla virtù, e non servire ai turpi piaceri del senso ».

— Ma pure non vi ha nell’uomo una tendenza naturale contro siffatta continenza?

Anche le tendenze a mangiare e a bere sono naturali; ma se si soddisfano entro i limiti della natura e della fede non c’è male, se invece si fa ciò fuori dei giusti limiti, si fa cosa cattiva, dannosa e condannevole. Così è di quest’altra tendenza. Se essa è contenuta nei limiti del matrimonio cristiano, secondo le leggi di Dio, non è cattiva, e l’obbedirvi giusta i sentimenti della ragione e della fede non è male, anzi può essere un dovere. Ma il soddisfarla fuori dell’ordine e dei limiti voluti e fissati da Dio per il bene della società, è e sarà sempre un gran male. E lo è e sarà non solo perché violazione d’un precetto divino e causa di una serie di danni spirituali per l’anima, ma ancora perché fonte funesta di tanti mali morali e corporali per gl’individui e per la società. Se noi entrassimo in certe famiglie e domandassimo la cagione di tante discordie, di tanti disordini, di tanti patrimoni mandati a fondo, di tanta miseria, di tanti scandali, e persino di tante violenze e di tanti delitti, molte sarebbero costrette a risponderci che non fu altra, se non l’abbominevole vizio della disonestà. E se domandassimo ai medici, che frequentano le case dei privati e i pubblici ospedali, ben ci saprebbero dire, che la causa principalissirna di tante schifose infermità e di tanti morti sul fior della vita si è purtroppo questo detestabile vizio. Così pure quelle nazioni dove il brutto vizio trionfa sia per la immoralità dei privati individui, sia anche per la connivenza dei reggitori della cosa pubblica, per la libertà orribile che essi concedono a tutto ciò che lo fomenta, alla letteratura, alla pittura, alla scultura, ai teatri, ai balli, ai divertimenti pubblici, ai trafficanti della disonestà ed alle case del peccato, quelle nazioni, dico, benché (come una nazione a noi vicina), siano ricche, piene di lusso e di civiltà raffinata, sono tuttavia nazioni, che precipitano alla rovina. In conclusione se nella dottrina di Gesù Cristo vi hanno dei precetti, come questo, alquanto difficili, a praticarsi tutt’altro che inferirne qualche cosa contro il pregio di tale dottrina, se n’ha piuttosto a riconoscere la somma perfezione. Con tali precetti Gesù Cristo mostrò di avere grande stima di noi; ci fa conoscere che vuole anche l’opera nostra nell’affare di nostra salvezza, che non dobbiamo pretendere di andare in Paradiso in carrozza, senza superare difficoltà, senza far opposizione alle proprie inclinazioni, che il regno dei cieli insomma, come Egli ha detto, patisce forza e lo guadagnano coloro che si fanno violenza.

— Sì, lo credo. Non mi negherà tuttavia che nella dottrina di Gesù Cristo vi siano precetti strani ed avvilenti l’umana dignità. Quel comando ad esempio di non fare le nostre buone opere per essere veduti e lodati dagli altri, di dichiararsi servi inutili, quando si è fatto bene qualche cosa, di non cercare i primi posti, di farsi l’ultimo e il servo altrui, di fuggire gli onori e le lodi e persino la compiacenza delle medesime, di essere umili insomma, mi sembra troppo vero che, se venga da noi praticato, offenda il sentimento della nostra dignità!

Così pur troppo si pensa da coloro che parlano contro le virtù cristiane, senza sapere neppure che cosa esse siano; ma del resto è tutto il contrario. Se c’è cosa che rispetti il vero sentimento della nostra condizione è l’umiltà, e se c’è cosa che l’offenda è la brutta superbia. L’umiltà non è mica un inganno, per cui uno si sforzi di riputarsi quello che non è e di rinunziare ad ogni merito. L’umiltà è in fondo in fondo purissima verità; è una luce dell’intelletto che ci discopre quello che noi siamo, e nell’ordine della natura e in quello della grazia, ed una sincera disposizione del cuore di trattarci e lasciarci trattare in conformità di ciò. Laonde il vero umile non disconosce alcuno dei doni, che possiede. Se ha ingegno, virtù, prerogative speciali di natura o grazia, non gli è vietato di riconoscerle, perché come farebbe a ringraziarne Iddio, se non riconoscesse quello che da Lui gli fu donato? Ma a questa cognizione egli aggiunge per l’appunto l’intima persuasione che i beni che ha, non li ha da sé, ma da Dio: che perciò non ha il diritto per essi di cercare le lodi altrui, di vantarsi abile a questo e a quello, di volere dagli altri essere onorato, applaudito e collocato al primo posto, e di vanamente compiacersi; ma che in quella vece ha il dovere di offrire a Dio ogni bene che ha. Ora che cosa vi è in tutto ciò, che offenda menomamente il sentimento dell’umana dignità? Al contrario veramente l’offende la superbia, che è la falsa stima e il falso amore di se stesso spinto fino al punto di voler essere al di sopra di tutti gli altri, da non volere degli uguali, e da disprezzare ben anche gli inferiori. E l’offende altresì per i mezzi, dei quali induce l’uomo a valersi per riuscire nel suo intento di primeggiare su tutti; giacché a raggiungere tale scopo non lo induce forse talvolta a strisciare cortigianescamente ai piedi altrui, a far mercato di se stesso, a ricorrere ad arti abiette, a transazioni vigliacche, a bugiarde promesse? Ed ecco perché il mondo stesso mentre ammira chi è umile, e facendo il bene, ed essendo valente non cerca la lode altrui, beffa e irride chi è superbo; tanto che chi non è umile finge di esserlo e fa sembiante di rifiutare gli onori per non incorrere l’altrui biasimo.

— Anche in questo ella dice bene, e godo che togliendomi dalla mente certe strane idee, mi faccia ammirare la giustizia e la sapienza dei precetti del Vangelo. Tuttavia non le pare che Gesù Cristo abbia pure fatto dei precetti inutili?

Precetti inutili? E quale per esempio?

— Quello della preghiera.

Come? il più utile, il più necessario anzi dei precetti, tu lo chiami inutile?

— E sì. Che bisogno ha Iddio, che noi lo preghiamo?

Egli certamente bisogno non ne ha affatto, ma non lascia di avere il diritto, che noi con la nostra preghiera lo glorifichiamo, lo adoriamo, lo ringraziamo. Non è Egli il nostro Dio, il nostro Sovrano, il nostro Benefattore supremo? E noi vorremmo da non avere ad aprire la bocca per confessare tutto ciò? Non arriveremmo al massimo della ingratitudine e della malvagità? E poi non dobbiamo noi pregare Iddio, perché ci conceda gli aiuti d’ogni maniera, di cui abbisogniamo?

— Ma Iddio, con la sua onniscienza, non conosce tutto quello che ci è necessario, e non può Egli darcelo, senza che noi glie lo domandiamo?

Senza dubbio che ei lo potrebbe: ma se Egli non lo vuole, non è padrone di fare come gli piace? E non siamo noi tenuti di obbedire ai suoi comandi? Non sono già moltissimi i doni, che Dio ci ha fatto del tutto gratuitamente, non solo senza alcuna nostro merito, ma senza che pure glieli chiedessimo? Se per tanto ve ne sono ancora moltissimi altri, di cui abbiamo assolutamente bisogno, e che Egli non ci vuol dare senza che glieli domandiamo, non avremo noi l’obbligo assoluto di pregarlo?

— Ma Iddio è un essere immutabile: ciò che Egli vuole, lo vuole eternamente. Egli perciò ha dato al mondo delle leggi, che sono invariabili e le quali fanno fare alle cose tutte il corso loro segnato. Perchè adunque pregare? Perché Iddio cangi quello che dall’eternità ha stabilito? E allora come credere all’immutabilità della sua natura?

Caro mio, questa obbiezione non è altro che un pretto giuoco intellettuale. Difatti, tra queste leggi invariabili, di cui tu parli, non tiene un primo posto la preghiera? Se Dio ha stabilito da tutta l’eternità di rendere feconda la terra, di guarire degli ammalati, di consolare degli afflitti, di convertire dei peccatori, di rassodare dei virtuosi, di salvare dal flagello un popolo alla tale e tale altra ora dei secoli, perché a questa e a quell’altra ora dei secoli sarà pregato dagli uomini, forseché egli muta perciò le sue leggi? o non ne mantiene piuttosto immutabile il corso ? Noi adunque preghiamo, noi dobbiamo pregare « non già, come nota San Tommaso, per mutare le divine disposizioni, ma per impetrare ciò che Egli ha stabilito doversi adempiere per ragione della preghiera, per meritare cioè per mezzo della preghiera quei beni, che Egli innanzi ai secoli ha disposto di donarci per essa »

— Non mi potrà tuttavia negare che la preghiera umilii l’uomo e lo avvilisca.

Oh sì! Certe preghiere avviliscono e sono al tutto indegne dell’uomo. Coloro ad esempio che si pongono in ginocchio davanti alle divinità carnali dei loro cuori, davanti ai potenti della terra, e si fanno a domandar loro in grazia o uno sguardo o una piccola croce da cavaliere, costoro sì che si avviliscono prodigiosamente nelle loro preghiere! ma non già colui, che s’inginocchia avanti a Dio e Lui prega, e pregandolo riconosce la sua grandezza, la sua sovranità, la sua bontà, le sue perfezioni, e in tal guisa non si spinge alla ridicolaggine superba di credersi senza bisogno del suo aiuto e di voler essere da Lui indipendente.

— Eppure a che serve pregare, se non si ottiene da Dio quel che si vuole?

Ma bisogna un po’ vedere se si vuole ciò che è bene, oppure ciò che è male. A che si prega da molti? Si prega per ottenere una buona fortuna, si prega perché sia prosperata nelle ricchezze la famiglia, si prega per vincere quella lite ed abbattere quell’avversario, si prega sembra strano, ma pur è vero, si prega talvolta anche per riuscire a fare una vendetta, o per altri scopi somiglianti. E come mai il Signore, che è pieno di bontà, esaudirà queste nostre insensate preghiere? Inoltre anche allora che si domandano cose buone, si prega come si deve, con divozione, con fede, con umiltà, con perseveranza? – Sii certo che Gesù Cristo, come nella sua dottrina ci ha comandato di pregare, così nella stessa avendoci assicurato l’esito della preghiera, farà sempre onore alla sua parola, purché noi facciamo del tutto per parte nostra il nostro dovere.

— Benissimo. Ma perché dobbiamo recarci anche in chiesa a pregare? Non possiamo noi pregare Dio da per tutto? E Gesù Cristo nel suo Vangelo ci ha forse fatto alcun precetto a questo riguardo? Mi sembra anzi che Egli abbia detto di chiudersi perciò nella propria stanza. Dunque?

Dunque è verissimo che noi possiamo pregare Iddio da per tutto, in casa, fuori di casa, nelle campagne, sul lavoro, in viaggio, eccetera, e facciamo benissimo a pregarlo in ogni dove. È vero ancora che Gesù Cristo fa grande elogio dell’orazione privata e da solo, e ce ne diede Egli più volte l’esempio ritirandosi sul monte, nel deserto, presso il Getsemani a pregare Dio da sé solo. Tuttavia ci vuole altresì l’orazione pubblica, fatta in comune e in chiesa. Nel suo Vangelo ha ricordato che la chiesa nelle Scritture, si chiama per eccellenza Casa di orazione. Ed in vero nell’antica legge, quando Iddio ordinò la costruzione del tempio, a questo fine particolarmente l’ordinò, e nella sua consacrazione assicurò in modo esplicito e preciso, che chiunque si fosse recato nel tempio a pregarlo l’avrebbe esaudito. – Per di più aggiunse che « se due si fossero uniti insieme a chiedere a Dio qualunque cosa, sarebbe stata loro accordato dal suo Padre celeste, perché dove fossero due o tre congregati nel suo nome, Egli sarebbe stato là in mezzo a loro ». Le quali parole si riferiscono alla preghiera fatta in comune e specialmente in chiesa, dove i fedeli formano nel pregare un cuor solo ed un’anima sola. – D’altronde la stessa ragione ci mostra la convenienza e l’utilità della preghiera fatta altresì nella Casa di Dio. Non è per mezzo di questa preghiera, che si rende a Dio il culto pubblico della società? Non è per questa preghiera che si stringe vieppiù fra gli uomini la fraternità? Non è per essa che ci andiamo animando meglio gli uni gli altri a compiere i nostri doveri verso Dio?

— Sì, ciò è verissimo. Ma è vero altresì che la preghiera sia tanto utile come si dice?

Utilissima. La conservazione della fede, la volontà risoluta di fare il bene, la forza di vincere le tentazioni, la luce per dissipare i dubbi, la consolazione in mezzo alle tribolazioni della vita, l’energia, gli slanci generosi, i magnanimi propositi di renderci sempre migliori, e infine la nostra eterna salvezza, tutto proviene dalla preghiera. E invece quei languori, quelle debolezze, quelle irritabilità, quei disgusti della vita al tutto singolari, quelle angosce così cocenti e quelle disperazioni così gravi, che talora si provano, sono causa dell’assenza della preghiera. Prega, amico mio, prega, e ti troverai contento e felice.

— Io pregherei, ma mi manca il tempo; ho molte altre cose da fare. E poi chi lavora, prega.

Tu dici una gran bugia. Trovi tanto tempo non solo pe’ tuoi affari, pe’ tuoi lavori e pe’ tuoi studi, ma anche per i tuoi divertimenti e per tante chiacchere inutili, e forse anche dannose, e non trovi tempo per un po’ di preghiera? Tu dici: Chi lavora, prega. Sì, anche il lavoro indirizzato a Dio può servire di bella preghiera. Ma appunto perciò bisogna offrirlo e consacrarlo a Lui col mandargli innanzi un po’ di preghiera. Alla fin fine credi tu che sia necessario che tu passi delle ore intere nel pregare? Alcuni minuti al mattino, alcuni altri alla sera, in cui tu dica le orazioni indicate dal Catechismo pel buon cristiano, ordinariamente bastano. Vedi adunque che non puoi dire che ti manchi il tempo per pregare. Che se poi realmente ti mancasse, dovresti trovarlo. Non lo trovi forse per mangiare, per dare al tuo corpo il necessario sostentamento? Quanto più adunque devi trovarlo per dare il necessario sostentamento all’anima.

— Sì, ha ragione. Ma che vuole mai? Quando mi metto a pregare mi piglia tale noia, oppure mi assalgono tali distrazioni, che mi par proprio inutile il pregare.

Se ti assale la noia, è perché non ti studi di pregare con fede, con amore, con raccoglimento. Se poi durante la preghiera ci assalgono delle distrazioni, e allora noi facciamo il possibile per allontanarle. Ma se non ci avvediamo delle medesime, non dobbiamo credere perciò che il Signore non accetti le nostre preghiere. Egli è infinitamente buono, e sa benissimo compatire alla nostra debolezza.

— Ebbene sia certo che d’ora innanzi praticherò colla massima esattezza questo precetto della preghiera.

Bravo? Mi rallegro di cuore con te per questo buon proposito.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.