GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO

GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO

Da: Il dovere dell’ORTODOSSIA – LA ROCCIA

[« Renovatio », I (1966), fasc. 1, pp. 3-4].

PREMESSA

Molti fatti, di diverso ordine, hanno suscitato un più vasto interesse per la teologia ed hanno, per converso, sollecitato la teologia ad un dialogo più serrato con la cultura contemporanea. – E sorta così una larga pubblicistica teologica e si sono compiuti vari tentativi di esporre i punti di contatto e di confronto della dottrina tradizionale con correnti culturali diverse ed opposte, che qualificano il nostro tempo. Questo ha condotto anche ad una comunicazione dei linguaggi ed ha posto il problema del rinnovamento di ciascuno di essi. Per principio la Chiesa è sempre chiamata al rinnovamento, a comprendere e a vivere in misura sempre più ricca il messaggio che Cristo le ha affidato e che lo Spirito custodisce, illumina, vivifica per ogni anima. – Di ciò è custode un metodo ed un criterio che ha nel Romano Pontefice e nei Vescovi in comunione gerarchica con Lui il suo fondamento e di cui la teologia ha elaborato nei secoli le regole, fedele alle parole degli Apostoli: nihil innovetur, nisi quod traditum est. La Chiesa si rinnova in una continua fedeltà e rappresenta così il punto fermo del cammino della storia universale. La tradizione cristiana contiene in sé anche la tradizione dell’umanità, cioè quei principi universali che, iscritti nella mente umana, sono stati da essa elaborati e svolti nella sua lunga storia, costituendo un patrimonio filosofico e culturale che è diretto riferimento di ogni possibile nuova conquista. – La teologia è quindi inevitabilmente chiamata al paragone con le opinioni correnti, sia al fine di garantire e di esplicitare l’oggetto primario della Rivelazione, sia per contrastare le false dottrine che insidiano l’equilibrio spirituale e civile dell’uomo. Essa non può dunque risolvere il suo rapporto con la cultura solo con la semplice distinzione dei propri oggetti: perché è solo in relazione a Dio che l’uomo e le sue opere sono conoscibili. – La scienza che si fonda sulla Rivelazione ed ha Dio per oggetto non può dunque porsi in fronte alle altre conoscenze come qualcosa di separato e di lontano: ovunque essa ha un «bene proprio» da difendere. –

DEL CRITERIO TEOLOGICO

[«Renovatio», II (1967), fase. 1, pp. 3-4].

In qualunque scienza il criterio, ossia il mezzo per dimostrare accettabili e vere le asserzioni della scienza stessa, occupa logicamente il primo posto. Nulla passa che non sia rigidamente giudicato valevole, proporzionato, conclusivo, dal criterio. Chi non sta nei limiti fissati dal «criterio» è semplicemente fuori della scienza, ossia diviene arbitrario, stravagante, fantastico, incredibile. – Rispetto ad una scienza il «criterio» decide inappellabilmente chi sia accettabile, chi sia riprovevole, chi sia intonato e chi stonato, chi giustificato e chi arbitrario. Chi non vuole la scienza non vuole il criterio e chi non vuole il criterio dimostra chiaramente di non volere la scienza. Chi affila i propri strumenti secondo il criterio è ragionevole, chi usa gli strumenti fuori del canone imposto dal criterio è irragionevole. La irragionevolezza ha molti gradi; gli ultimi sono spaventevoli. – La Teologia è una scienza. Infatti, se non dimostra quello che afferma, non convince. Le convinzioni non possono essere gratuite. Se la Teologia è una scienza, ha un criterio, che va rispettato. Il criterio della Teologia è la Rivelazione e quanto viene garantito od autorizzato divinamente dalla Rivelazione, dalla Parola di Dio. E per tale motivo che il “certo” Magistero ecclesiastico ed ogni altro fonte che vi si collega realmente sono sufficienti per dare in Teologia una dimostrazione. Ma ogni argomento, che non sia appoggiato validamente dalla Rivelazione, o dal Magistero, o da qualche fonte collegato con esso, dimostra nulla. Sono pensieri di uomini, mentre occorrono i pensieri di Dio. – Nasce così una lucida discriminazione tra le cose che sono serie e quelle che non lo sono. La parola Teologia è più larga della parola Rivelazione, perché comprende tutta la sistemazione delle verità, la loro illustrazione, la deduzione delle loro inesauribili ricchezze. Questo «più» che sta nella Teologia è sotto buona scorta; a controllare tutto c’è il criterio teologico. Gli uomini hanno bisogno di questo «più», che la Teologia arreca, perché vogliono intendere, vogliono contemplare, hanno una problematica da risolvere. Ne hanno diritto, perché non sono mummie. Questo diritto non può essere attentato da nessuno. Ce forse da temere un inquinamento nell’esercizio legittimo di questo diritto? No. Perché? A far la guardia alla verità c’è il criterio teologico. Esso fa buona guardia anche a molte altre cose.

LA ROCCIA

[Renovatio, II (1967), fasc. 2, pp. 183-184]

Nel Vangelo di Matteo (XVI, 18) la «roccia» è Pietro, il quale non è solo una persona, ma una «istituzione». La Chiesa, fondata da Cristo su quella «roccia» — Pietro – , appare chiaramente (nel testo citato) acquistarne solidità, stabilità, indeffettibilità. Il legame tra la consistenza della «roccia» – Pietro – e la consistenza della Chiesa appare tanto indiscutibile che non si fa alcuna illazione indebita, qualificando la stessa Chiesa quale «roccia». – Qui si parla di questa «roccia». Tale la volle Cristo. Ciò posto, ci sono alcune importanti considerazioni da fare. La Chiesa dà sicurezza perché è «roccia», non agglomerato, non sabbia. Si tratta di una significazione, la quale va oltre il senso materiale della metafora: infatti anche le rocce della terra si crepano, a lungo andare, per la azione degli elementi atmosferici. Questa «roccia» non ha né crepe, né sfaldature, dato che l’effetto della sua solidità è garantito nel testo di Matteo fino al termine della Storia. La roccia resta e nessuno la scalfisce in se stessa, implicata come è in una impresa divina. Ma talvolta degli uomini possono ad altri togliere la visione della roccia. Altra cosa è che sia roccia, altra cosa che appaia a tutti tale [qui è lampante la stoccata alla setta vaticana! -ndr.- ]. La distinzione è profonda, anche se gli errori degli uomini possono velare la realtà, mentre non possono distruggerla. Si pone insomma la questione della «visibilità», facile per tutti, della roccia. Se accadessero fatti che togliessero a taluni degli uomini la visibilità della «roccia» nella Chiesa, le conseguenze sarebbero gravi.Chi si converte alla Chiesa, si converte perché è convinto di avere trovato la «roccia», non il dubbio, la esitazione, la contraddizione, la anarchia dottrinale. Si converte quando sa di poggiare sul sicuro, sul durevole, sull’indiscutibile. Si converte quando sa che la sua speranza non è inane. Toglietegli la visibilità della roccia: che farà? E necessario che la «roccia» resti visibile nella sua compattezza ed invulnerabilità.La parola «roccia» indica una grave e certa realtà, che viene espressa con una forte metafora significativa. Forse non è male uscire per un momento dalla metafora. – Ecco gli elementi per i quali la Chiesa può essere, con significazione piena e pura, chiamata la «roccia». Ha per Capo e divino garante Gesù Cristo. Egli Le ha assegnato le quattro note distintive che si menzionano nel Simbolo Niceno Costantinopolitano:

  • Ha la legittima e sicura efficacia sacramentale.
  • Ha la verità intera, custodita con garanzia.
  • Ha pertanto la impreteribile distinzione pacificante tra la verità acquisita con certezza e la ipotesi, la opinione, la sempre libera ricerca. Il tutto perché in essa funziona un Magistero infallibile.
  • Il Magistero infallibile è legato alla struttura gerarchica della Chiesa. E per questo che chi non vede la Gerarchia, non vede la «roccia». Ne perde e non ne acquista semplicemente la sicurezza.

[Grassetto e colore sono redazionali]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.