CAPITOLO XV.
FEDE DEL BUON LADRONE.
Magnificenze della conversione per parte dell’uomo. — Magnificenze della fede del Buon Ladrone. — Più vìva di quella dei Patriarchi, dei Prufeti, degli Apostoli. — Passi di S. Gian-grisostomo e di S. Agostino. — Più furie. — Testo di S. Giang-risostomo e di S. Agostino. — La più grande che siasi veduta al mondo. — Parole di S. Agostino.
Se la conversione di Disma è magnifica per parte di Dio, essa non lo è meno dal canto dell’ uomo. Per convertire un peccatore non basta che la grazia gli parli al cuore. Uopo è che il cuore si apra all’influenza della grazia, e che si abbandoni alla sua azione salutare. Uopo è che la cooperazione dell’uomo sia in proporzione colla grandezza della misericordia che la sollecita. Tale si fu quella del Buon Ladrone. La grazia incomparabile, che era penetrata nell’ anima sua, richiedeva da lui una fede eroica, una speranza eroica, un’eroica carità. Applichiamoci a contemplare queste tre virtù, che come tre soli illuminano ad un tratto l’anima di Disma, la trasfigurano, e coi raggi loro dissipano le dense tenebre, nelle quali è avvolto il Calvario. – Il primo diamante che brilla in fronte alla Chiesa Cattolica è la fede. Intorno ad un siffatto gioiello sono collocate tutte le altre pietre preziose, che compongono la corona immortale della Sposa del Verbo incarnato. – Ciò che ha luogo per la Chiesa, lo ha pure per ciascuno dei suoi figli. La fede è quella che dà principio alla nostra vita soprannaturale: e la fede consiste nel credere ciò che non cade sotto i nostri sensi; argumentum non apparentium. Quanto più le verità sono al di sopra della ragione, e più denso è il velo che le ricopre, altrettanto più forte occorre che sia la fede, e più penetrante il suo sguardo. Riportiamoci al tempo, al luogo, alle condizioni nelle quali si trovava Nostro Signore, e calcoliamo quale, per riconoscerlo come Dio, esser dovette la forza della fede nel Buon Ladrone, e quanto penetrante il suo sguardo. Eccoci sul Calvario. Dirigiamoci a S. Disma e interroghiamolo. Come hai fatto a scoprire nel tuo compagno di supplizio il tuo Re, il tuo Dio? Qual segno di divinità, qual indizio di regia dignità vedesti mai in quel condannato, deriso dai dottori, ed obbrobrio del popolo? Ov’è il suo trono? Ov’è la sua corte? Ove il suo reale mantello? Ove i ministri suoi? ove gli estorciti? Il suo trono? Un patibolo, la croce che lo martirizza. La sua corte? Due malfattori crocifissi ai suoi fianchi, ed una vile canaglia che lo insulta. Il suo reale paludamento? Un cencio meschino che ne ricopre appena le parti più delicate del corpo. I suoi ministri? I carnefici che dopo di averlo crocifisso, stanno impassibili a riguardarlo nelle angosce della sua dolorosa agonia. I suoi eserciti? Pochi paurosi discepoli che sin dal principio della persecuzione, l’hanno vilmente abbandonato. Se nulla, assolutamente nulla, in Gesù crocifisso fa travedere un re, qualche cosa forse in lui fa scorgere un Dio; e la fede di Disma non sarà stata superiore a quella dei Patriarchi e dei profeti? « Abramo, dice il Crisostomo, credette in Dio; ma Iddio stesso gli aveva parlato dall’alto dei cieli, e gli aveva mandato i suoi angeli a messaggeri; di sua propria bocca gli aveva espresso le sue volontà. Mosè credette in Dio; ma 1’aveva veduto nel rovo ardente, che gli parlava di mezzo alle fiamme, e quindi in mezzo allo strepito delle trombe e dei tuoni. Isaia ed Ezechiele credettero in Dio; ma il primo lo aveva veduto assiso sull’eccelso suo trono, circondato di gloria; ed il secondo lo vide portato sulle ali dei cherubini. Tutti gli altri profeti credettero in Dio; ma tutti lo avevano veduto, benché di una maniera diversa, nella magnificenza della sua maestà, per quanto n’è capace la vista umana. E ciò sia detto, non per menomare la fede di quei santi personaggi, ma solo per mostrare la superiorità di quella del Buon Ladrone. » In verità che anch’egli vide il Signore; ma in qual luogo ed in qual tempo? « Nell’ignominia della croce! In ignominia, continua il Santo Dottore. Egli lo vide non già assiso su di un trono maestoso circondato dalle poderose legioni della celeste milizia; ma sulla Croce, e non lo vide che là. E che vuol dire, averlo veduto sulla Croce? Vuol dire che il vide su di un trono di scherno, mille volte più atto a nascondere che a rivelare la sua divinità. Vuol dire che, in luogo dei cherubini, non aveva per corteggio visibile che due ladri. Vuol dire che invece di adorazioni, egli non riceveva che insulti e bestemmie. In una parola, egli non lo vide che sulla Croce e non Io vide che là: ciò dice tutto. » – Se almeno, mentre Gesù era appeso al patibolo, Disma avesse inteso uscire dalla sua bocca alcuna di quelle parole onnipotenti, che convengono a un Dio; l’avesse inteso pronunziare contro i colpevoli la tremenda sentenza, che rivela il supremo giudice dei vivi e dei morti! Ma no. Ei lo vide quando tutte le potenze delle tenebre, scatenate contro di lui, Io tenevano in loro piena balìa. In luogo di sentirlo fulminar sentenze, ei lo sente, quale avvocato dei suoi stessi carnefici, implorar grazia e perdono per essi. Tali sono le due circostanze di tempo, e di luogo nelle quali il Buon Ladrone vide Nostro Signore. Ora queste due circostanze erano agli occhi della ragione tutto quello ch’esser vi potesse di più valevole a trattener Disma, al pari del suo ostinato compagno, nelle tenebre dell’errore, ed a farlo con esso cadere nelle tenebre dell’inferno. Ebbene: appunto in simili circostanze il Buon Ladrone, per un atto di eroica fede, riconosce Gesù suo Dio, tale ad alta voce il proclama, ed a Lui si raccomanda per quando rientrerà nel suo regno! « Come, grida il Crisostomo, tu lo vedi sospeso ad un patibolo, o parli di un regno nei cieli? … Crucifixam vides et regem prædìcas? In ligno pendere crucis et cœlorum regna meditaris? » Sia per la vivacità, sia per la prontezza, sia per la forza, porremo noi a confronto la fede del Buon Ladrone con quella degli Apostoli? « Noi abbiamo creduto, e conosciuto, dicono i discepoli al loro maestro, che tu sei il Cristo Figliuol di Dio. » [« Non credidimus et cognovimus, ipsia tu es Christus Filius Dei. » Juan., III, 69]. E quando la loro fede si esprimeva con tale vivacità? Dopo di aver veduto gli innumerevoli miracoli operati da Gesù, e di aver ricevuto da Lui la virtù di operarne. E di quali prodigi non li aveva resi testimoni? L’avevano essi veduto sovrano padrone del mondo visibile e del mondo invisibile, comandare agli elementi ed alle spirituali potenze dell’aria. Lo avevano veduto cangiar l’acqua in vino; nutrire cinque mila persone con cinque pani e due pesciolini, guarire i lebbrosi, rendere il moto ai paralitici, la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la vita ai morti, e cacciare i demoni. L’avevano veduto sul Tabor nell’atto di manifestare loro lo splendor della sua gloria, e il cielo e la terra rendere omaggio alla sua divinità; il cielo per mezzo della voce del Padre che diceva: « Questi è il mio Figliuolo diletto, nel quale io mi sono compiaciuto; lui ascoltate, La terra con la presenza di Mosè e di Elia, venuti per dichiarare, che Egli era il compimento della legge e dei profeti, la aspettazione delle genti e il Salvatore dell’umanità. È forse meraviglia che siffatti miracoli, e cento altri ripetuti nel corso di tre anni sotto gli occhi degli Apostoli, abbiano dato la vivacità del fuoco alla loro fede? Ora vediamo se fu cosi viva coinè quella del Buon Ladrone. – Ei pare che Nostro Signore medesimo decidesse la questione allorché disse a s. Tommaso: « Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto. Beati coloro che non hanno veduto e hanno creduto. » – Gli Apostoli avevano veduto, ed avevano creduto. Disma nulla aveva veduto, e credeva. Ove dunque lo sguardo della fede dovea esser più vivo e più penetrante, per riconoscere come Dio quello che fa le opere di Dio, o per riconoscere come Dio, chi non ne fa alcuna? Qual opera di Dio aveva mai visto farsi da Nostro Signore il Buon Ladrone? Che vedeva egli nella sua persona? L’uomo il più disprezzato di Gerusalemme; un malfattore condannato a morte dal senato della sua nazione. – Qual prodigio era occorso per aprire gli occhi suoi alla luce, illuminare la sua fede, e rettificare la sua opinione? Nessuno. – Dopo che Gesù di Nazaret ora divenuto suo compagno di supplizio, dopo la loro uscita dal Pretorio di Pilato e l’arrivo al Calvario, qual miracolo aveva Egli operato? Qual morto aveva risuscitato? Qual infermo guarito? Da chi mai aveva cacciato il demonio? Qual segno, quale indizio, ancorché fugace, aveva dato della sua divinità, celata sotto il sanguinoso ammanto della sua umanità? Nessuno. E non ostante il buio di questi densi veli, la fede penetrante di Disma scopre in Gesù il Dio del cielo e della terra, il Creatore e il Redentore del mondo. Egli crede, egli adora e proclama la sua fede con un virile coraggio che nulla vale ad intimidire. Se rispetto alla vivacità, la fede del Buon Ladrone sostiene con vantaggio il confronto colla fede degli Apostoli, essa è di una superiorità incontrastabile rispetto alla forza. Dal Calvario discendiamo per poco al giardino degli Olivi. Gesù è sai punto di esser preso, e gli Apostoli gli sono dappresso. Chi è tra loro che all’appressarsi delle guardie del Pretorio ardisca manifestare la sua fede e dire a quella sacrilega schiera: Che pretendete di fare? Il nostro Maestro è il Figlio di Dio! … Non una sola parola di fede, ma una subita fuga di paurosi e di vili: Omnes relicto eo fugierunt. Essi fuggono, si celano, si disperdono di tal maniera, che durante tutta la passione, nessuno sa che sia di loro. Se pur Pietro si mostra, egli è per rinnegare il suo Maestro. Giovanni, il solo Giovanni apparisce sul Calvario, ma non profferisce una parola per proclamare la divinità dell’adorabile suo Maestro. Il solo apostolo, il solo evangelista del Calvario è il Buon Ladrone. « Voi chiedete, dice il Crisostomo, che avesse egli fatto per meritare il Paradiso? Or io ve lo dico: quando Pietro rinnegava il suo Maestro sulla terra, il Ladrone lo confessava sulla croce. Il Principe degli Apostoli non resiste alle minacce di una vile fantesca; ed il Ladrone sospeso al patibolo, in mezzo a tutto un popolo di minacciosi bestemmiatori, proclama la divinità del bestemmiato Signore, lo riconosce qual Re del cielo, e senza esitare gli domanda di sovvenirsi di lui, quando avrà preso possesso del regno suo. » S. Agostino parla non altrimenti che il Crisostomo. « E che aveva dunque operato di sì grande il Ladrone per ascendere dalla croce che aveva ben meritata; fino al paradiso? Volete voi che in poche parole vi esprima la potenza della sua fede? In quella che Pietro negava in basso; egli confessava in alto. Ed io il dico, non per accusare, Dio me ne guardi, s. Pietro, ma sol per rilevare il coraggio magnanimo del Ladrone. Il discepolo non regge alla prova per la minaccia di un’abbietta donnicciola. Il ladro è in mezzo ad una moltitudine di schiamazzatori che vomitano bestemmie, maledizioni ed insulti, e non ne fa caso. Ei non si arresta all’abiezione visibile del suo compagno di pena; ma con l’occhio della fede penetra al di là di tutte queste cose, le disprezza quali ombre effimere che ascondono la verità, e sì fa a dire: Ricordati di me, o Signore, quando sarai nel tuo regno. Colorò che avevano veduto il Signore risuscitare i morii, vacillarono: il Ladrone crede in Lui quando fu crocifisso. Ad una fede siffatta io non so che aggiungere. In verità il Signore non ha mai trovato tanta fede né in Israele, né in tutto il mondo. » Il Vescovo Eusebio conchiude dicendo: « Egli è dunque assai più grande, e molto più glorioso pel Ladrone l’aver riconosciuto il Signore in un uomo che moriva sul patibolo, che se egli avesse creduto in Lui quando operava prodigi. Quindi non è senza ragione che egli meritasse una sì magnifica ricompensa. » – Dopo tutto ciò, sarà egli da stupire, se un concerto di lodi in tutti i secoli ha esaltata la fede del Buon Ladrone? Dopo la Santissima Vergine, s. Pietro, e s. Paolo, nessun Santo, secondo a noi pare, fu tanto esaltato dai Padri e Dottori della Chiesa. Si potrebbe formare un volume dei loro elogi.
CAPITOLO XVI.
SPERANZA DEL BUON LADRONE
Speranza non meno magnifica della sua fede. — L’uomo costruzione di Dio. — Tre parti di questo edificio. — Loro connessione. — Dottrina di S. Tommaso. — Fermezza della speranza del Buon Ladrone: parole di S. Bernardo. — Vivacità ed eroismo della medesima. — La speranza di Disma paragonata a quella della Maddalena. — Testimonianze.
La seconda virtù che risplende nel Buon Ladrone è la speranza. Essa riluce di uno splendore non meno vivo di quel della fede. Secondo S. Paolo, l’uomo è edificio di Dio. Dei aedìficatio eslis. Il divino architetto conosce le regole dell’arte: Egli incomincia dallo stabilire i fondamenti, sui fondamenti innalza le mura, e sulle mura pone la corona dell’edificio. Ora nella costruzione del Cristiano, le basi, le mura, la corona, sono la fede, la speranza e la carità. « La casa di Dio, dice S. Agostino, riposa sulla fede, s’innalza sulla speranza, e si compie con la carità. » S. Bernardo aggiunge. – « Con ragione l’Apostolo definisce la fede, base della speranza, dappoiché voler sperare senza credere si è un voler dipingere sul vuoto. Or la fede dice: Iddio prepara ai suoi fedeli dei beni immensi e incomprensibili. La speranza dice: essi mi sono riserbati. La carità dice: corro a prenderne il possesso. » Con la consueta sua lucidità S. Tommaso mostra la necessaria connessione di queste tre virtù, ed il fine al quale ci conducono. « La fede, la speranza, la carità, dice il sommo Dottore, son tre elementi aggiunti alla natura umana per la grazia del Redentore, che innalzano l’uomo, come per tre gradini, all’unione con Dio, facendolo, giusta l’espressione di S. Pietro, partecipe della natura divina. La fede alza l’intelletto, e l’arricchisce di alcune verità soprannaturali, che la luce divina gli fa conoscere. La speranza eleva la volontà e la dirige verso il possesso del bene soprannaturale, che ci è promesso. La carità eccita l’amore e lo fa tendere all’unione col bene soprannaturale divenuto suo oggetto. » Un sì magnifico edifizio non è già l’opera di un giorno. Ordinariamente dura tutto il tempo della vita, e per un privilegio eccezionale fu istantaneo nel Buon Ladrone. In un batter d’occhio, la sua speranza divenne perfetta come la sua fede. La speranza è perfetta quando è ferma, viva, eroica; e tal si fu quella di Disma. – Una speranza ferma è una speranza che nulla fa vacillare, né intimidisce, né fa esitare né l’enormità o il numero dei commessi peccati, né la grandezza della grazia sperata, né la dignità dell’offeso, né l’indegnità dell’ offensore. Una speranza che ha vittoriose risposte a tutti gli apparenti rifiuti; una speranza che in certo modo pone Dio stesso in stato da non poter rispondere, dicendogli con Giobbe: « Voi avete un bel fare, quand’anche mi toglieste la vita, io riporrò sempre in voi la mia speranza: » o colla Cananea, che assomigliata ai cani da Nostro Signore gli dice: « Sia pure, trattami come i cani; in una sì abbietta condizione spererò ancora, perocché i cagnolini mangiano le briciole, che cadono dalla tavola dei loro padroni. » – Volgiamo ora i nostri sguardi al Buon Ladrone. Egli si è confessato colpevole di tutta una vita d’iniquità contro Dio e contro gli uomini; iniquità tali che per sua confessione, han meritato il più crudele ed obbrobrioso di tutti i supplizi. Nos quidem juste. Dal fondo di questo abisso ecco spuntare la speranza … – S. Paolo paragona la speranza all’àncora che tien salda al suo posto la nave sbattuta dalla tempesta, e le impedisce andare a fondo Con tutta l’energia della sua fede Disma prende quest’àncora, e la getta sul fondo solido dell’onnipotenza, e dell’ infinita misericordia del Dio che muore al suo fianco. E fin da questo momento, non più dubbi, né incertezze, né timori nell’anima sua. Con una imperturbabile tranquillità egli attende ciò che ha domandato. E che ha egli domandato? Egli ha chiesto ciò che la maggior parte dei santi giungono a conseguire con una vita di austerità, e di combattimenti; egli ha chiesto ciò che Dio ha di meglio, e che riserba ai suoi più intimi amici; ha domandato il paradiso, val quanto dire il possesso eterno di Dio stesso con tutte le sue felicità. « Ricordati di me, disse egli al Salvatore, quando sarai nel tuo regno. » Lo che significa, dammi il paradiso; e ne è prova la risposta del Signore: « Oggi stesso sarai meco nel paradiso. » – Ed è Disma che domanda il paradiso, né più né meno, Disma il vecchio ladro; e lo domanda con quella lingua poc’anzi lurida di bestemmie! Qual confidenza, per non dire, qual santa sfacciataggine! Quanta latronis fiducia. E ciò che fa stupire la ragione, egli ottiene quanto domanda, e l’ottiene sul momento. O mio Dio! di qual maniera i vostri pensieri sono al di sopra dei nostri! E che è dunque la confidenza in voi? E donde le viene questa vittoriosa potenza? Nelle maggiori angustie, la fiducia è l’omaggio più accetto, che possa render a Dio una debole creatura. Così ella confessa e glorifica la sua potenza infinita, la sua infinita sapienza, e la sua infinita bontà. Quanto più urgente è il bisogno e più grande la indegnità, tanto più quest’omaggio diviene sublime e acquista forza sul cuore di Dio. Prima del buon Ladrone, Davide ne lasciò uno splendido esempio. Reo di grandi colpe ei ne domanda perdono a Dio. Ed a qual titolo? « Tu perdonerai il mio peccato (egli dice) perché egli è grande. Perdonare un peccatuzzo, ed anche peccati ordinari, è un nulla per voi che siete misericordia infinita; ma perdonare delitti enormi, ecco quello che manifesta la vostra bontà e vi fa glorificare, come ben meritate, dagli angeli e dagli uomini. Propter nomen tuum Domine propitiaberis peccato meo, multum est enim. » [Ps. XXIV, 11]. Altrettanto è salda, altrettanto è viva la speranza di Disma. Una speranza viva è quella che possiede tutti gli organi della vita, e ne fa uso. Cogli occhi che la fede le dà, vede al di là dell’angusto orizzonte del tempo, i beni immensi che Dio le ha preparati. Essa ha una lingua, ed è per parlare di questi beni futuri; un cuore, ed è per desiderarli; ha mani e piedi, ed è per agire e correre a conquistarli. Avendo per fine Dio stesso con tutte le sue ricchezze, tutto ciò che non è Dio, lo stima come spazzatura: “Omnia arbitror ut stercora” essendo ostacolo lo spezza; se è mezzo ella sen giova. Simile all’augello che fende l’aere, e che né la pioggia, né la neve, né il caldo, né il freddo, né le nubi, né i venti contrari arrestano nel suo rapido volo, la speranza traversa, senza punto arrestarvisi, le cose del tempo; e con 1’occhio sempre fisso alla meta, essa con tutta l’energia tende verso le regioni dell’eternità. E che aggiungere per dipingere la speranza nell’attività di sua vita? Simile ai fiumi che corrono all’oceano, malgrado la lunghezza delle distanze, malgrado gli scogli o le sabbie, che ne ingombrano il letto, e malgrado le dighe stesse che la mano dell’uomo oppone alla loro impetuosità, la speranza corre a Dio, quali che ne siano gli ostacoli. Bellezze della natura, ricchezze, onori, piaceri, affari, viaggi, gioventù, vecchiezza, salute, infermità, miseria, favori, persecuzioni, fatica, riposo, vicende di ogni genere, nulla vale a trattenerla. – Quando la speranza possiede in grado eminente queste due qualità, la fermezza e la vivacità, essa è eroica: e tal fu la speranza del Buon Ladrone. Egli chiede a Nostro Signore il suo più ricco tesoro, il paradiso; non gli chiede di poter discendere dalla croce, né di essere restituito alla libertà ed alla vita. Egli non dice che una sola parola: Memento: Ricordati di me. E la dice senza esitare, e su quella sola parola riposa tranquillo e sicuro, come su di un molle origliere; tanto egli conta sulla bontà dì Quello a cui la rivolge. – Si direbbe che egli già conoscesse la preghiera che la Chiesa volge ora al suo divino Sposo: « O Dio, che superi i voti e le suppliche di coloro che t’invocano: Qui preces supplicum excedis et vota! – Meno ferma e meno viva si mostra la fiducia di Maria Maddalena, e di S. Pietro. Oppressa da vergogna, e divorata dai rimorsi la donna di Maddalo risolve di venire a chiedere il suo perdono. Tra il timore e la speranza ella si introduce nella sala del festino; e non osa rivolgere la parola al Signore, né farsi innanzi a Lui; ma si rimane indietro, e come per guadagnarsi la sua benevolenza, versa sul capo di Lui un vaso di prezioso unguento; poi si getta ai suoi piedi, li bagna delle sue lacrime, e li asciuga coi suoi capelli. Dopo la sua caduta il Principe degli Apostoli non ha il coraggio di andare a gettarsi ai piedi del suo buon Maestro; ma si allontana dal luogo del suo peccato, e va a nascondere le sue lacrime, prezzo necessario del suo perdono. Se la fiducia di S. Pietro fosse giunta, come quella di Disma, al supremo grado dell’eroismo, il figlio della Colomba sarebbe sull’istante tornato in mezzo ai servi del sommo sacerdote, ed avrebbe confessato il suo divino Maestro, sicuro di avere gli aiuti necessari per sopportare le derisioni, e i duri trattamenti, ai quali poteva esporlo la sua coraggiosa risoluzione. – Ben’altra è la condotta del buon Ladrone. Egli non distoglie il suo sguardo da Nostro Signore, e non esita, né si lascia imporre dal timore, né diminuisce per nulla la grandezza della sua domanda. Animato dalla speranza, fa ciò che S. Pietro non aveva osato di fare. – Ha egli il coraggio di proclamare innocente, degno del trono, e ingiustamente condannato a morte il crocifisso Signore. A simili tratti è forza riconoscere l’eroismo della speranza. Quindi è che un pio autore ha ben ragione di esclamare: « In pochi istanti egli è divenuto di nemico, amico; di sconosciuto, famigliare; di straniero, vicino; di ladro, confessore. Oh! quanto è mai grande la confidenza di questo ladrone! Agli occhi stessi della sua coscienza, reo d’ogni male, digiuno d’ogni bene, violatore di tutte le leggi, rapitore della vita e delle sostanze altrui, sul limitare della morte, senza più alcuna speranza nella vita presente, egli concepisce la speranza di conseguire la vita futura, che ha in tanti modi demeritata, e che non meritò mai; e pur non teme punto di domandarla. Chi potrà ora disperare, sperando a tal segno il Ladrone? » [Vitis mystica, seu de Pass. Dom., c. IX, inter. Opp. S. Bern., t. V, p. 891, edit. Gaume].