Omelia della Domenica della Pentecoste

Ascensione

Omelia della Domenica della Pentecoste 

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

-Ispirazioni –

È questo il memorabile giorno in cui lo Spirito Santo discese in forma di fuoco sopra i discepoli, con Maria Vergine nel Cenacolo congregati. Se mi chiedete, uditori umanissimi, perché venne in questa forma di fuoco? Io vi rispondo con l’angelico dottor S. Tommaso (3 P, q. 39. A. 7.) che lo Spirito Santo prese forma sensibile di questo elemento per significare ch’egli produce nell’anime nostre quegli effetti, che sono propri del fuoco. Il fuoco illumina, purifica, consuma. Lo Spirito Santo illumina la mente, purifica il cuore, consuma le viziose abitudini: “Deus noster ignis conmmens est” (ad. Ebr. XII, 29). Ma perché in noi produca questi salutevoli effetti, è necessario aprirGli la strada con accogliere e mettere in pratica de sue sante ispirazioni. Si verificherà allora ciò che Gesù Cristo ha promesso nell’odierno Vangelo, che lo Spirito Santo c’insegnerà e ci suggerirà ogni cosa appartenente alla nostra eterna salute: “Ille docebit vos omnia, et suggeret vobis omnia”. Ma come potrà insegnare, se chiudiamo le orecchie alle sue voci? Come potrà suggerirci i mezzi e la via da tenere per andar salvi, se chiudiamo gli occhi alla sua luce? È dunque della somma importanza, anzi della massima necessità, il profittare della sua luce, l’ascoltare la sua voce, il seguire le sue sante ispirazioni. Ispirazioni, notate bene quel che mi accingo a dimostrarvi, ispirazioni, dall’accoglimento o rifiuto delle quali può dipendere la nostra eterna salvezza, o la nostra eterna perdizione. Uditemi cortesemente!

Noi siamo pellegrini su questa terra: “peregrinamur a Domino” (2 Cor. V, 6). In questa nostra pellegrinazione, i nostri passi sono indirizzati alla casa dell’eternità “Ibit homo in domum aeternitatis suae” (Prov. XVI, 5), e di quella eternità felice, o sventurata a cui l’uomo viatore avrà diretti i suoi passi, “in domum aeternitatis suae”. Posto ciò, egli è certo che in qualità di viatori o di pellegrini ci troviamo sovente ad un bivio, in capo a due strade, l’una a destra, l’altra a sinistra, una che al bene ci porta, l’altra al male, una di salute, l’altra di perdizione. Tutto il punto sta a metter bene il primo piede, a dar il primo passo nella buona strada. Si chiama dallo Spirito Santo un tal passo: “initium viae bonae”, principio di buon sentiero, che sul cominciare da una ispirazione, la quale ci suggerisce una limosina o una preghiera, una confessione da farsi, o un vizio da emendarsi, un’occasione da fuggire, o una virtù da praticare; alla quale ispirazione secondata vien poi dietro una serie non interrotta d’altri passi virtuosi, che dirittamente ci conducono fino all’ultima meta, fino alla beata eternità.

La predestinazione degli eletti, come co’ santi Agostino e Tommaso insegnano i teologi, altro non è che la divina prescienza, e l’ordinazione de’ mezzi valevoli a condurre i predestinati all’eterna beatitudine; onde siccome la sua provvidenza ha disposto di darci l’esistenza e la vita, così la sua bontà ha decretato di farci sentire nel tal tempo, nella tal circostanza quella santa ispirazione, la quale se prontamente si accoglie e s’eseguisce, come il primo anello di ben contesta catena, trae seco l’altre grazie, gli altri lumi, gli altri mezzi, che facilmente conducono all’ultimo beato fine.

Vediamolo in pratica. Dove cominciò la predestinazione, la santità di tanti eroi, che veneriamo sugli altari? Da un’occasione per essi fortuita, ma dallo Spirito Santo diretta a commuoverli, accompagnata dall’impulso della sua grazia, e da un raggio della superna sua luce. Entra a caso in una Chiesa S.Antonio Abbate ancor giovanetto, mentre si legge il santo Vangelo, ciò che sente lo crede detto a se stesso, e sull’istante vende tutto ciò che possiede, lo dà a’ poveri, fugge dal mondo, si nasconde in un deserto, diviene Patriarca di monaci, caro a Dio, terribile a’ demoni. Una limosina prima negata, e poi per commovente ispirazione conceduta, innalzò alla più gran santità un Francesco d’Assisi. Giugne casualmente alle mani d’Ignazio di Loiola un libro divoto, comincia a leggerlo per rompere l’ozio; ma leggendo, lo Spirito del Signore lo illumina, profitta di questo lume, rompe i legami del mondo, e si fa uno de’ più zelanti promotori della gloria di Dio. La vista del contraffatto cadavere del complice de’ suoi disordini, congiunta con una luce alla mente, e con un tocco al cuore, converte sul momento la peccatrice Margherita da Cortona in una fervidissima penitente. Un avviso della propria madre ben accolto da Andrea Corsino lo cangia di lupo in agnello in un chiostro del Carmelo, e lo fa un Vescovo santissimo! Ditemi ora, uditori, se questi santi, e tanti altri di cui son piene l’ecclesiastiche storie, avessero disprezzata quell’ispirazione, negletta quella chiamata, ributtata quella grazia, volete dire che, rifiutato il primo passo, avrebbero poi potuto più metter piede in quella virtuosa carriera, che li portò all’onore degli altari, ed alla patria dei beati? V’è molto a dubitarne. L’ occasione è calva, dicea un antico uomo di senno, una volta che sia passata non si può più tenere per i capelli. Gesù Cristo chiamò i suoi discepoli a seguitarLo, e li chiamò passando, “cum pertranserit”, e li chiamò una sola volta, e sull’ istante Simon Pietro abbandonò la sua barca, Matteo il suo banco, i figli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo, le loro reti, e cominciarono così la carriera dell’ apostolato, che li rese tanto accetti a Dio, e tanto benemeriti della sua Chiesa.

Per l’opposto que’ due seguaci della legge di Mosè, invitati dal Redentore a seguirLo, perché trovarono scuse, uno per assistere al funerale del padre, l’altro per ispedire gli affari domestici, perdettero la bella sorte d’essere annoverati fra’ suoi discepoli, e S. Agostino li piange come perduti. Ah, dicea pertanto lo stesso Agostino, fratelli miei, osservo nel santo Vangelo che Gesù dispensa i suoi benefici come lampi fuggitivi, e via passando, “pertransit benefaciendo”, e vi confesso apertamente, e v’assicuro, che mi riempie di timore Gesù che passa. “Fratres mei, dico, et aperte dico, timeo lesum transenuntem” (Serm. 18 de verb. Dom.). La sua chiamata è una luce che balena alla mente: chi non profitta di questa luce resterà al buio, camminerà fra le tenebre, incontrerà inciampi e precipizi; e perciò il Redentore ci avvisa a camminare al favor di questa luce acciò non ci sorprendano tenebre per noi fatali: “Ambulate dum lucem habetis, ne vos tenebrae comprehendant (Jo. XII, 33).

È vero che talora rinnova le sue chiamate, Iddio pietoso, e fa di nuovo risplendere la sua luce, anche a chi chiuse gli occhi per non vederla; ma di qui appunto nasce il pericolo per l’uomo caparbio, che ostinato nelle sue ripulse vie più s’indura, come una incudine al dir di Giobbe (Giob. XLI, 15), sotto i colpi di grave martello. Non vi fu anima tanto dalla divina grazia amorevolmente assediata con replicate ispirazioni, quanto quella di Giuda. Osservate la traccia amorosa tenuta dal divino maestro per espugnare il cuore di questo suo discepolo traditore. Gesù scopre, e comincia a dargli indizio d’avere scoperto il suo iniquo disegno. Voi siete, dice a’ suoi discepoli, per purezza di cuore costituiti in grazia e mondi; ma tutti nol siete “Vos mundi estis, sed non omnes” (Jo. XIII, 10). Potea Giuda conoscere l’infelice suo stato, e sentirne rimorso, ma non si muove. Replica Gesù e con più forza gli mette innanzi l’enormità del suo delitto con dire: Uno fra voi è per malizia un vero Demonio: “Ex vobis unus diabolus est”, e Giuda non inorridisce. Passa ad intimargli l’atrocità della pena che va ad incorrere, pena per la quale sarebbe meglio per lui che mai veduta avesse la luce del giorno: “Bonum erat ei si non fuisset homo ille” (Mat. XXVI, 24); e Giuda è insensibile. Parla Gesù in genere finora, e non lo nomina per lasciargli un segreto ritiro a ravvedersi, ma nulla giova. Torna alle prese il buon Salvatore, e alquanto più chiaro: un di voi, o miei discepoli, un di voi mi tradirà: “Unus ex vobis tradet me” , e Giuda dissimula. Più chiaro ancora: La mano del traditore è meco su questa mensa. “Manus tradentis me mecum est in mensa” (Luc. XXII, 21): assai più chiaro: Chi meco in questo piatto pone la mano, desso è colui che mi tradirà: “Qui mecum intingit manum in paropside, hic me tradet” (Mat. XXVI, 23), e Giuda fa il sordo, e tutto disprezza. E via, finalmente gli dice Gesù, vanne pure, ed il reo attentato che volgi in mente affrettati ad eseguirlo. “Quod facis, fac citius” (Jo. XII, 21). Non fu già questo un precetto, dice qui il Crisostomo, non comanda Iddio un’azione sì indegna, un tradimento, “non est vox praecipientis”. Non fu consiglio, una somma bontà non può consigliare un eccesso cotanto esecrabile, “non est vox consulentis”. Che dunque volle significare Cristo con quelle parole? Volle dimostrare il giusto e tremendo abbandono ch’egli facea di quel cuore indurito, come non più capace di ravvedimento e di emenda. “Cum Judas, conchiude il citato Dottore, “esset inemendabilis, dimisit cum Christus” (Hom. 73 in Io.). Ma pure Giuda dà qualche segno di penitenza, restituisce il danaro a’ sacerdoti, rende la fama al suo divino maestro, si ritratta, confessa d’aver tradito il sangue d’un giusto. Ahimè nulla giova, movimenti son questi da disperato, non d’un convertito. Dio vi guardi, miei cari, dall’imitare nel rifiuto delle divine ispirazioni questo discepolo prevaricatore, incontrerete la stessa sorte. Farete forse come Giuda qualche opera apparentemente buona, ma non vi gioverà ad uscire da quel precipizio, che dopo tanti avvisi non avete voluto schivare.

Potete forse lagnarvi che Iddio non v’abbia parlato? Dio vi parlò quando vi trovaste in quella malattia, quando per lo spavento di morte temporale ed eterna vi fé’ conoscere lo stato deplorabile dell’anima vostra: prometteste allora, se Dio vi accordava grazia d’uscirne, di cangiar vita; Egli vi esaudì, e voi non adempiste la fatta promessa. Vedeste esposto in Chiesa, o condotto al sepolcro il cadavere di quella donna, colpita nel fior dell’età, foste presente al funerale di quel facoltoso, ed una voce vi disse al cuore: ecco dove va a finire la beltà e la ricchezza. La vanità delle terrene cose disingannò in quel momento il vostro intelletto, ma la volontà non si arrese a romperne il colpevole attacco. Quel rimorso, fratello mio, quel rimorso, che vi lacera il cuore, è una grazia da voi non conosciuta, con cui Iddio pietoso vi stimola ad emendar costume, a troncare quella scandalosa corrispondenza; che conto ne fate? Vi avvisa per mezzo di quel congiunto, di quell’amico, di quel buon cristiano a ritirarvi da quella licenziosa conversazione, a lasciare quel giuoco, quel ridotto, quel malvagio compagno, che ascolto gli date? Figlio, dice a più d’uno di noi, se non paghi gli operai, se non soddisfi quel debito, se non dismetti quella lite ingiusta, se non adempi quel pio legato, non isperare salute. Figlio, dice a quell’altro, le partite di tua coscienza son mal in ordine, datti fretta d’aggiustarle con una generale confessione: fa’ al presente quel che desidererai voler fare in punto di morte. Tutte queste e simili voci, pensieri, sentimenti, ispirazioni, rimorsi, sono chiamate di Dio, sollecito del vostro bene; se chiudete l’orecchie, come un aspide sordo, Iddio offeso, Iddio disprezzato tratterà voi come da voi venne trattato. Così Egli si esprime e minaccia: “Vocavi, et renuistis, ego quoque in interitu vestro ridebo” (Prov. I, 24. 26). Ponderate bene, peccatori fratelli miei, queste tremende divine parole. “Vocavi”, ch’io vi abbia più volte chiamati, e tuttora vi chiami, non potete negarlo. Vi ho chiamati per bocca de’ miei sacri ministri colla predicazione, per bocca dei vostri parenti colle ammonizioni, per mezzo di quelle disgrazie, di quelle infermità, coll’esempio de’ buoni, col castigo de’ malvagi: “Vocavi, et renuistis”, che abbiate ricusato di ascoltarmi, dovete confessarlo, ve ne convince la propria coscienza. Che cosa dunque potete aspettarvi? “Ego quoque”, che Dio cioè vi renda la pariglia, e nel maggior de’ vostri affanni si rida di voi, “in interitu vestro ridebo”. Miei cari, se si può dire di voi che fate continua resistenza agl’impulsi dello Spirito Santo, come ai contumaci Ebrei rinfacciò lo zelante Levita S. Stefano, “vos semper Spiritui Sancto resistitis” (Act. VII, 51), voi siete perduti. Sarete come una casa, che minaccia ruina, che perciò si lascia vuota e abbandonata. “Ecce relinquetur vobis domus vestra deserta” (Mat. XXIII, 38): abbandono, segno fatale d’eterna riprovazione. Che Dio vi guardi.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.