Uomini liberi e schiavitù delle bestie!

Uomini liberi e schiavitù delle bestie!

[Tit. redaz.]

[da: “Trattato Dello Spirito Santo”, J.- J. Gaume; cap. XVII, e XVIII]

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I Cittadini delle due Città.

   Ogni società si divide in due classi; governanti e governati: conosciamo i re ed i principi della Città del bene e della Città del male. Quali ne sono i cittadini? Questa è la questione alla quale dobbiamo noi ora rispondere.

I cittadini, ovvero i sudditi della Città del bene e della Città del male, sono tutti gli uomini. La ragione, l’esperienza e la fede ce l’hanno detto”: non vi sono tre città ma due sole. Faccia egli quel che si voglia, bisogna che l’uomo, qualunque sia il suo nome e il suo grado, appartenga all’una od all’altra: questa alternativa è crudele.

Incominciata essa con la vita, non finisce neppure con la morte. Unita al duplice quadro del mondo angelico e del mondo satanico, che passa sotto i nostri occhi, ci rivela la vera posizione dell’ uomo quaggiù. Chi può riguardarlo senza essere commosso sino alla profondità dell’ essere suo ?

     Il nostro corpo, fragile come un vetro, vive tra due forze spaventose, il cui antagonismo potrebbe ad ogni secondo divenire a noi fatale. Secondo i calcoli della scienza, la colonna d’aria che pesa sul capo di ciascuno di noi, rappresenta un peso di 20,000 libbre. Chi ci salva dalla distruzione? Soltanto l’aria che è dentro di noi, intorno a noi, e sotto di noi. Quest’ aria fa resistenza alla massa superiore e rende la vita possibile. Appena che l’equilibrio viene a rompersi, subito l’uomo resta schiacciato.

Cosi succede della nostra anima. Essa vive della sua vera vita, la vita della grazia, fra due potenze nemiche e di una forza incalcolabile. All’ equilibrio di queste due potenze essa deve evitare leterna rovina. La conservazione della nostra vita spirituale è dunque un miracolo non meno continuo, non meno sorprendente, ma molto più degno di riconoscenza che la conservazione della nostra vita fisica.

Nelle stesse condizioni è posta evidentemente l’esistenza delle società. L’influenza più o meno determinante del mondo angelico o del mondo satanico, rende conto delle alternative di lumi e di tenebre, di delitti e di virtù, di libertà e di servitù, di gloria e di vergogne, di prosperità e di catastrofi, che segnalano di quando in quando gli annali dell’ umanità. Tale è la vera filosofia della storia. La prova non dubbia di questo fatto rivelatore dell’innalzamento e della caduta degli imperi, è la storia medesima della Città del bene e della Città del male: noi la delineeremo ben tosto a grandi tratti.

Frattanto notiamo che una sola cosa costituisce, tanto al morale che al fisico, tutto il pericolo della situazione, la rottura cioè dell’ equilibrio. Essa ha luogo nell’ordine spirituale, tutte le volte che l’uomo dà la preponderanza su sè medesimo allo Spirito del male, piuttosto che allo Spirito del bene; cosa che dipende da lui, unicamente da lui. A fine di distornarlo da quest’atto di colpevole follia, a cui lo sollecitano di continuo i principi della Città del male, lo Spirito Santo non si contenta di fornirgli tutti i mezzi di resistenza, ma gli mostra le conseguenze della sua fellonia. Esse sono terribili, subitanee, inevitabili: é la schiavitù, l’onta ed il castigo.

Triplice baluardo con cui il Re della città del bene circonda la sua felice Città, all’ oggetto di preservare i suoi sudditi dalla tentazione di uscirne.

La schiavitù. — La libertà è figlia della verità: Veritas liberabit vos. La Città sola del bene, diretta dallo Spirito di verità, è la patria della libertà. I disertori nell’abbandonarla, per entrare nella Città del male, imparino ad arrossire. No, essi non glorificano la libertà, ma la disonorano: essi non camminano alla conquista della indipendenza, ma diventano schiavi: e lo sono di già. Da lungo tempo la logica e la fede hanno pronunziata la loro sentenza. La libertà non consiste nel fare il male, ma nell’evitarlo. Quanto più lo evitiamo, tanto più siamo liberi. « Bisogna, dice san Tommaso, ragionare del libero arbitrio come dell’intelletto. Il libero arbitrio sceglie tra gli atti che si riferiscono al fine; l’intelletto trae le conclusioni dai princȋpii. Ora ognun sa che entra nelle attribuzioni dell’intelletto quella di trarre delle conclusioni, ma sempre logicamente discendenti da dati princȋpii. Che se, nel trarre una conclusione, dimentica o disprezza i princȋpi, è una imperfezione, una debolezza da parte sua. « Parimente, la perfezione del libero arbitrio consiste nell’avere la facoltà di fare differenti scelte, ma sempre relative al fine proposto. Per esempio, gli accade di fare una scelta contraria al fine ultimo dell’uomo? Questa non è una perfezione, ma una debolezza e un difetto. Quindi risulta che la libertà, o la perfezione del libero arbitrio è più grande negli Angeli che non possono peccare, che in noi che peccare possiamo. »

Tale è dunque la dottrina dell’Angelo della Scuola: la libertà è il potere di fare il bene, come lintelletto ha la facoltà di conoscere il vero. La possibilità di fare il male non è più dell’essenza della libertà: quanto la possibilità d’ingannarsi, non è dell’essenza dell’ intelletto ; come la possibilità d’essere malato non è dell’essenza della salute. L’impeccabilità è la perfezione della libertà, come l’infallibilità è la perfezione dell’intelletto; come l’essere liberi da infermità è la perfezione della salute.

Essere peccabile è dunque un difetto nella libertà, come essere fallibile lo è nell’ intelletto; come essere malato lo è nella sanità. Ne segue dunque che quanto più l’uomo pecca, tanto più mostra la debolezza del suo libero arbitrio; parimente quanto più egli s’inganna, tanto più mostra la debolezza della sua ragione; cosi quanto più è malato tanto più egli fa prova di cattiva salute.

Altresi, l’uomo quanto più pecca e sragiona più che mai si degrada e si rende spregevole, imperocché si riavvicina sempre più al fanciullo che non ha ancora né la libertà, né l ‘intendimento, e all’insensato che non l’ha più, o alla bestia che non l’avrà mai. Questa verità fondamentale è la prima armatura della quale lo Spirito Santo ci riveste, il primo motivo dato all’uomo di rinchiudersi eternamente dentro i confini della Città del bene. Molti non lo comprendono. Sedotti dai principi della Città del male, moltissimi vengono a riguardare il giorno in cui si emancipano dalla sovranità dello Spirito Santo, come il giorno natalizio della loro libertà.

Poveri ciechi! che una volta almeno guardino in faccia la verità: né gli costerebbe molto. Essa è scolpita nella schiavitù di tutte le facoltà della loro anima: nella degradazione di tutte le membra del loro corpo, in tutte le pagine macchiate della loro pretesa vita indipendente.

Giovani o vecchi, ricchi o poveri, letterati o illetterati, per avere disertato dalla Città del bene, traditi i voti del vostro battesimo, arrossito della fede della vostra infanzia e delle pratiche de’ vostri avi, vi credete voi forse liberi? lo siete voi? È vero, voi camminate con la testa alta e con lo sguardo sicuro. Le vostre labbra si contorcono al riso, e la vostra fronte si nasconde sotto un sembiante di gaiezza. Al suono metallico della vostra voce, ed al tuono imperioso delle vostre parole si potrebbe prendervi per i reggitori dell’umanità. Ciò nonostante voi non siete che tanti schiavi, schiavi infelici, e schiavi della peggiore specie.

In luogo di un solo Padrone, altissimo e santissimo che voi rifiutate di servire come egli l’intende, servite altrettanti padroni che sono le vostre ignobili passioni; e fuori di voi, altrettante creature che possono procurarvi o disputarvi l’insigne onore di soddisfarle. Voi le servite, non come l’intendete, ma come esse l’intendono.

Padroni spietati, essi vi trascinano con la corda al collo, o vi cacciano con la bacchetta alla mano in tutte le tenebrose vie del male. Trascinati lontano dal paese natio, avete dimenticato la strada dei nostri templi; ma sapete a mente la strada dei teatri e di altri luoghi. Il calice del Dio Redentore, in cui con la vita si beve la virtù, l’onore, la libertà, il pacificamento dell’anima e dei sensi, vi è di disgusto; e voi bevete a lunghi sorsi il calice del demonio, in cui con la morte, si beve il delitto, la vergogna, la schiavitù, la febbre dell’anima ed i furori della disperazione. Immaginandovi d’esser troppo grandi agli occhi vostri per portare su di voi le insegne protettrici della Regina del Cielo, voi portate invece, incastonati nell’oro i capelli di una cortigiana. Uomini e non angeli, bisogna che amiate la carne. Voi non avete voluto amare la carne immacolata dell’Uomo Dio, amerete la carne immonda di ima creatura immonda.

Vorreste invano respirare talora l’aria della libertà. Come tanti uccelli impaniati nelle ‘perfide reti, non potete prendere il vostro volo. Ad ogni tentativo, una voce spietata, la voce dei vostri padroni mascolini o femminini si fa udire; non fare resistenza, tu sei mio.

Dandomi la tua volontà tu mi hai dato tutto. Dammi il tuo danaro, dammi le tue notti, dammi le rose delle tue gote; dammi la pace della tua anima, dammi la salute del tuo corpo; dammi la gioia di tua madre; dammi le speranze di tuo padre; dammi l’onore del tuo nome, e voi lo date!                                          Siete liberi?

Silenzio! schiavi:

non profanate nel pronunziarla, una parola che vi accusa. Schiavi nella vostra intelligenza, tiranneggiata dal dubbio e dall’errore; schiavi nel vostro cuore, tiranneggiato da brutali appetiti, cosa è la vostra vita se non che un panno lordo? Che forse la storia della vostra vita è quella di uno schiavo? Sciagurati! che non potete scendere nella vostra coscienza senza ascoltarvi una voce che vi accusa, né contemplare le vostre mani senza vedervi il segno dei ferri o i vostri piedi senza rinvenirvi la palla del galeotto! Figli di re diventati guardiani di porci; ecco quel che voi siete. Avete proprio ragione di andarne superbi ! [Misit illum in villam suam ut pascerei porcos. Luc., xv, 15].

La schiavitù dell’anima: ecco ciò che incontrano tutti gli uomini che mettono il piede fuori del recinto della Città del bene: poiché sta scritto: « dove abita lo Spirito del Signore ivi, e ivi soltanto, abita la liberta.1 » [Ubi autem Spiritus Dei, ibi libertas. II, Cor, III, 17].

Ora nel mondo morale, come nel mondo materiale avvi una legge che la parte superiore attrae l’inferiore: Major pars trahit ad se minorem. Alla servitù dell’anima si aggiunge necessariamente la schiavitù del corpo: per conseguenza la schiavitù sociale. Non basta il ripeterlo spesso, e oggi soprattutto: la libertà civile e politica non si trova né nella punta di un pugnale, né nella bocca di un cannone, né sotto il lastrico di una barricata. Essa è figlia non di una carta né di una legge, né di una forma qualunque di governo, ma della libertà morale. Checché ne dica o faccia:

ogni popolo corrotto è uno schiavo nato!

   La libertà morale suppone la fede: la fede è la verità, la verità non risiede che nella Città del bene.

Volete voi averne la prova? pigliate un mappamondo. Accanto al dispotismo dell’errore che cosa vi mostra esso? Dappertutto il dispotismo dell’oro, il dispotismo della carne, il dispotismo della materia, e sopra tutti questi dispotismi, quello della sciabola. Che cosa è dunque una società che scuote il giogo dello Spirito Santo? Testimoni non sospetti, gli stessi pagani rispondono: « È una quantità di bestiame sopra un mercato, sempre pronto a vendersi al migliore offerente. » [Parole di Giugurta, in Sallustio].

Più che la storia antica, la storia moderna non dà loro neppur l’ombra di una smentita. Come è egli trattato il bestiame umano? Come se lo merita. satana, a cui si dà, abbandonando lo Spirito Santo, gli manda dei padroni fatti di sua mano. Nerone, Eliogabalo, Diocleziano e tanti altri, s’incaricano di far gustare all’uomo emancipato le dolcezze della libertà, della quale gode la Città del male. Per un ricambio di misericordiosa giustizia, Iddio medesimo permette l’esaltazione di queste tigri coronate. A questo proposito la storia riferisce un fatto che dà da riflettere. Siccome i popoli hanno sempre il governo che essi si meritano, una crudele bestia, chiamata Foca, erasi assisa sul trono imperiale di Roma. Per suo ordine il sangue scorreva a torrenti; e la bestia lo beveva come una delizia. Un solitario della Tebaide, stomacato più che afflitto di un tale spettacolo, si rivolge a Dio e gli dice: “Perché, o mio Dio, l’avete fatto voi imperatore?” E Dio gli risponde: “Perché non ne ho trovato uno più malvagio”.

Cosi, conservare la libertà con tutte le sue glorie, tale è per l’umanità il primo vantaggio del suo soggiorno nella Città del bene; il perdere questo tesoro e trovare la schiavitù, tale è, se essa osa varcarne il recinto, il suo primo castigo.

La vergogna. — Di libero diventare volontariamente schiavo è un’onta. D’uomo diventar bestia è ancora una maggiore. Quest’onta inevitabile è il secondo baluardo, di cui lo Spirito Santo circonda la Città del bene per impedir all’uomo di uscirne.

Indiarsi [divenir Dio -n.d.r.-], o farsi bestia: ecco i due poli opposti del mondo morale. 0 Dio, o bestia; tal’è la suprema alternativa in cui si trova posto l’uomo quaggiù. La ragione è ch’egli è obbligato a vivere sotto l’impero del Re della Città del bene, o sotto l’impero del Re della Città del male. Ora, e l’uno e l’altro di questi Re fa i suoi sudditi ad immagine sua: Iddio, lo Spirito Santo, li fa dii: Satana bestia, li fa bestie. La città del bene è una grande fabbrica di Dei, e la Città del male una grande fabbrica di bestie. «Ciascuno di noi, dice sant’Agostino, è come il suo amore. Se ami la terra, tu sarai terra: se ami Dio, tu sarai dio. »

« Restate con me, dice lo Spirito Santo, ed Io vi faccio figli di Dio, Dii veri, Dii per l’essere divino che vi comunico: Dii per la verità dei vostri pensieri; Dii per la nobiltà dei vostri sentimenti; Dii per la santità della vostra vita; Dii per l’indomita potenza della vostra volontà contro il male, armato di sofismi, di promesse o di minacce; Dii pel diritto all’eredità eterna di Dio, vostro Creatore e vostro Padre.»

Lo Spirito Santo ha mantenuta la parola. Vedete ciò che sono diventati gli Angeli docili alla sua voce. Risplendenti di gloria, inondati di voluttà, dotati di tutti gli attributi divini, l’intelligenza, la forza, la bontà; essi si avvicinano a Dio, quanto il finito può avvicinarsi all’infinito. Vedete l’umanità cristiana nei suoi veri rappresentanti, gli Apostoli, i martiri, le vergini, quelle legioni di santi e di sante, divinamente generati da diciotto secoli e più oltre, su tutti i punti del globo. A quale altezza essi innalzano l’umanità cristiana al disopra dell’umanità pagana, al disopra dell’umanità che cessa d’essere cristiana!

Che cosa sarà se voi contemplate questa deificazione nel suo complemento, cioè dire negli splendori dell’eternità? Qui è che la parola, spirando sulle labbra, non può più fare udire se non che l’espressione della sua impressione: « No, l’occhio dell’uomo non ha punto visto, né il suo orecchio ha punto inteso, e ancor meno il suo cuore il quale, per quanto vasto egli sia, non può comprendere ciò che Dio riserba a coloro, che sono divenuti per l’amore, suoi figli e suoi eredi. »

Dal canto suo, il principe della Città del male travaglia con accanimento all’opera contraria. Allorché attira a sè un uomo, lo piglia nelle sue granfie, gli acceca lo spirito, gli corrompe il cuore, lo inebria co’ suoi veleni e lo trasforma in bestia. Considerate piuttosto, che la bestia fa tutto quel che fa l’uomo, eccetto una cosa. La bestia mangia, beve, dorme, digerisce, cammina, corre, vola, nuota, fabbrica, calcola, parla, scrive, canta, viaggia, prevede, accumula, esercita tutte le arti della pace e della guerra. In tutto questo, essa è uguale all’uomo, talvolta superiore. Ma vi è una cosa che la bestia non fa, che non può fare, né farà giammai, e che la lascia a una distanza infinita al di sotto dell’uomo: la preghiera. L’ uomo prega; la bestia non prega.

L’uomo adora, la bestia non adora, cioè dire, in altri termini, che l’uomo e la bestia, in una sola cosa diversificano: nella religione.

Ora, il primo effetto dell’azione satanica sull’uomo è di farlo arrossire della religione; e ne arrossisce! La religione ha due grandi manifestazioni, la preghiera e l’amore. La preghiera è talmente il segno distintivo dell’uomo, che i pagani l’hanno definito un animale che prega: animal religiosum. Lo stesso Nostro Signore definisce il cristiano: un uomo che prega sempre : oportet semper orare et numquam deficere. Cosi quando l’uomo cessa di pregare, si avvicina alla bestia. Se egli non prega punto, diventa affatto bestia. Non siamo noi che lo diciamo, è la stessa verità che si esprime per bocca di san Paolo, uomo animale, animalis homo.

Ora è cosa nota che il primo atto dell’ uomo diventato cittadino della Città del male, si è di rinunziare alla preghiera. Un esempio tra mille. Se havvi nella vita ordinaria una circostanza in cui la preghiera sia sacra, è l’ora solenne del cibo. Noi diciamo solenne, perché il pasto è un’azione profondamente misteriosa. Mangiando, l’uomo comunica, comunica con le creature e nel modo più intimo, poiché ei le trasforma nella sua propria sostanza. Ora tutte le creature sono viziate dallo Spirito del male, a cui esse servono di veicoli, per introdursi nell’uomo e comunicargli i suoi veleni. Questa assimilazione separata dalla preghiera che gli purifica cacciando il demonio, è evidentemente piena di pericoli.

Così l’ha compreso l’umanità tutta quanta. Di qui, quel fatto altrimenti inesplicabile che tutti i popoli, anche pagani, hanno pregato prima di mangiare. Il fatto essendo universale, ha dunque una causa universale. Una causa universale è una legge. Pregare prima di mangiare è dunque una legge dell’umanità. Il disprezzo orgoglioso, il sorriso imbecille non vi fanno niente. Rimarrà sempre il non conoscere nella natura che due specie di esseri che mangiano senza pregare: le bestie, e quelli che assomigliano ad esse.

Diciamo che assomigliano ad esse, imperocché si può sfidare non solamente tutti gli sprezzatori del Benedicite, che è poco, ma tutti i naturalisti del mondo a trovare la differenza tra l’uomo che mangia senza pregare, e un cane o un porco. Assimilarsi alle bestie in una circostanza in cui tutti i popoli anche pagani, hanno sentita la necessità di distinguersi da loro; ecco quel che fanno! E perché lo fanno, si tengono per grandi genii. È bisogna venire al tempo nostro di grossolano materialismo, per incontrare uomini che si crederebbero disonorati, se due volte al giorno essi non si assimilassero ostensibilmente all’asino ed al coccodrillo.

“Homo cum in honore esset, non intellexit : comparatus est jumentis insipientibus et similis factus est illis”. (Ps. XLVIII)

Un secondo segnale della religione è l’amore. Lo Spirito Santo essendo carità, dell’anima in cui risiede forma la carità vivente. Il segno distintivo della carità è l’oblio di se medesimo, per Iddio e per gli altri; l’oblìo del corpo a profitto dell’anima, l’oblio portato sino al sacrifizio. Appena che l’uomo entra nella Città del male, subito sparisce la carità, e gli succede l’egoismo. L’uomo si ricorda di sé, e nient’altro che di sé. Invece di andare da sé verso gli altri, va dagli altri verso di sé. L’egoismo non sa che una parola sola, ma la sa a maraviglia: l’io. L’io in tutto ; l’io dappertutto: l’io sempre. Dopo di me, Iddio e i suoi ordini; dopo di me, gli altri e i loro bisogni e i loro desideri; dopo di me, nulla. Non basta; l’egoismo è il sacrifizio degli altri per sé. Innocenza, onore, fortuna, riposo, sanità, la stessa vita, non sono niente per lui, allorquando si tratta di soddisfare sé stesso.

Ma che cosa è il “me” dell’egoista? È forse la sua anima? nient’affatto: imperocché l’amore dell’anima è la carità: che cosa è dunque? È la parte inferiore del suo essere, è il corpo; e nello stesso corpo, la parte più infima. Al di fuori della fede, tutto il lavoro dell’uomo si riduce in ultima analisi alla vita corporea. Il bere ed il mangiare ne sono gli elementi. Cominciata per essi, sostenuta per essi, finisce per essi. Avere da bere e da mangiare, soddisfare le sue cupidigie, averle in abbondanza, assicurarsi d’averle sempre; ecco la prima e l’ultima parola dell’ egoismo. Il rimanente non è che un mezzo o un risultato. Ora il laboratorio della vita animale è il ventre. In fin dei conti la vita di ogni uomo si riferisce al ventre, poiché è divenuto suddito di colui che si chiama la Bestia, la Bestia per eccellenza, la Bestia in tutti i sensi. Quindi per definire queste immense e queste immonde mandrie di Epicuro, la parola a un tempo cosi energica e cosi giusta dell’Apostolo, che gli chiama: adoratori del Dio ventre: Quorum Deus venter est. Ciò che è vero dell’uomo e di taluni popoli, lo è stato dell’umanità medesima la vigilia del diluvio, e lo sarà ancor più verso la fine dei tempi. Questa vergognosa assimilazione dell’uomo alla bestia si svolge in tutte le sue conseguenze. Noi non ne citiamo che ima sola: cioè la stupidità o la perdita dell’intelligenza. La bestia è stupida, vale a dire che essa non capisce, né ammira. Essa non capisce; perché il capire è vedere l’idea nel fatto. Ponete un triangolo sotto gli occhi di un cane, ei vedrà un oggetto materiale, formato di tre lati eguali: ma l’idea del triangolo gli sfugge. Perché? Perché al di là del dominio dei sensi non vi è nulla per lui. La bestia non ammira. Per ammirare bisogna capire. Certo, all’asino produce la stessa impressione tanto la vista di un capolavoro, che la vista di un carciofo. La bestia dunque non comprende, né ammira. Cosi avviene all’uomo che diventa bestia. Caduto egli dalle altezze della fede non ha più altra intelligenza che quella della materia e della vita materiale. Cercate lo scopo finale delle sue speculazioni, dei suoi studi e delle sue scoperte, della sua politica, di tutto quel moto febbrile che lo trascina e lo consuma: che vi trovate voi? Il corpo ed i suoi appetiti. Luce, progresso, civiltà, qual’è il significato di tutte queste parole pompose? tradotte in prosa volgare significano; scienza di petardi, filosofia pirotecnica, amore di fuoco di stoppa, guarentigia e glorificazione di fuochi fatui. In altri termini, è il programma invariabile e l’eterno ritornello di tutti gli uomini e di tutti i popoli, beatificati dalla Bestia infernale. « Beviamo e mangiamo, poiché noi morremo domani. Quest’è la nostra beatitudine ed il nostro destino. Pane e piaceri: ecco tutto l’uomo.» Non mi date come prove dell’intelligenza dell’uomo animale, il modo abile con cui manipola la materia. La rondine, il baco da seta, l’ape che non hanno intendimento, la manipolano più abilmente di lui. Noi lo ripetiamo, l’intelligenza consiste nel leggere l’idea nel fatto, nel vedere la causa nel fenomeno : notate bene non quella causa immediata che riluce in qualche modo attraverso il fatto; ma la vera causa, la causa prima e lo scopo finale. Ora tutto ciò non è conosciuto che nella Città del bene.

A colui che abita la Città del principe delle tenebre, parlate del mondo delle cause, del mondo di Dio e degli Angeli, vero dominio dell’intelligenza: tutte queste realtà sono per lui tante astrazioni o chimere; egli è uno stupido.città male

Che cosa sarà se voi gli segnalate l’intervento permanente, universale, inevitabile e decisivo del mondo inferiore? Le sue labbra sorrideranno di disprezzo; egli è uno stupido.

Discendete da queste elevatezze: ditegli che egli ha un’anima immortale, creata a immagine di Dio, redenta dal sangue di un Dio, destinata ad una felicità o a una infelicità eterna; aggiungete che l’unica faccenda dell’uomo essendo il salvarla, occuparsi di tutte le altre, eccetto che di questa, è uno scacciare le mosche e tessere delle tele di ragno; egli sbadiglia o dorme; è stupido.

Tentate di dispiegare dinanzi ai suoi occhi le meraviglie della grazia, tutti quei capolavori di potenza, di sapienza e di amore che hanno esaurita l’ammirazione dei più grandi genii, voi gli parlate una lingua di cui non capisce una parola; è uno stupido.

Sermoni, libri di pietà o di filosofia cristiana, conferenze religiose, feste solenni le quali, con i più augusti misteri, descrivono allo spirito ed al cuore i più grandi benefìzi del cielo, come i più grandi avvenimenti della terra; insomma tutto ciò che attiene al mondo soprannaturale, lo annoia; egli non comprende nulla, non sa nulla; è uno stupido.

Ma parlategli di danaro, di commercio, di vapore, di elettricità, di macchine, di carbon fossile, di cotone, di barbabietole, di bestiame, di praterie, d’ingrassi, di produzione e di consumo, egli diventa tutt’occhi e tutt’orecchi. Voi toccate la questione vitale della sua filosofia, la questione della marmitta: non ne conosce altra.

« L’uomo, dice il Profeta, dimenticando da sua dignità, si è tenuto bestia senza intelligenza, ed è diventato simile a lei.»

A fine di proteggere la pace e la vita de’ suoi sudditi contro gli assalti del nemico, lo Spirito Santo circonda la sua Città di un terzo baluardo più solido dei primi. Se l’uomo, chiunque si sia, osa dire al Re della Città del bene: Io non voglio più obbedirvi, “non serviam”; all’istante, di libero diventa schiavo, e cammina verso l’abbrutimento. Trascinato per tutte le degradazioni intellettuali e morali, incomincia per esso sino da questa vita l’inferno, che l’aspetta nell’altra. Tal’è, noi lo abbiamo visto, la sorte inevitabilmente riserbata all’individuo. Se la ribellione contro lo Spirito Santo diviene contagiosa sino al punto, che nel suo insieme, un popolo, o lo stesso genere umano, non sia più che un grande insorto, allora il delitto, traboccando da tutte le parti, attira a sé dei castighi eccezionali. Ogni legge reca seco una sanzione. Ogni legge avendo per soggetto l’uomo, composto di un corpo e di un’anima, è una spada a doppio taglio, che colpisce il prevaricatore nelle due parti del suo essere. Pigliate una qualunque legge divina o ecclesiastica che vi piaccia, se voi cercate bene, tenete per certo di trovare senza pregiudizio della sanzione morale, una ricompensa e una punizione temporale, unita all’osservanza o alla violazione di questa legge.

Lasciando da parte i flagelli particolari, rilegga l’umanità i suoi annali storici e profetici. Tre grandi catastrofi vi sono registrate. La prima è il diluvio, o la rovina del mondo antidiluviano. Quale fu la cagione di questo cataclisma nel quale perì, eccetto otto persone, tutta intera la stirpe umana ? Colui che con la sua mano ruppe le dighe del mare ed aprì le cateratte del cielo, ce la rivela in due parole: « Il mio Spirito, dice il Signore, non resterà più a lungo nell’uomo, imperocché l’uomo è diventato carne ». Questa terribile sentenza si traduce in tal modo: « A malgrado di tutti i miei avvertimenti, l’uomo ha scosso il giogo del mio spirito, spirito di luce e di virtù; ei s’è reso schiavo dello Spirito di tenebre e di malizia. Il mondo soprannaturale, la sua anima, Io stesso, non siamo più nulla per lui. Del suo corpo ha fatto il suo Dio, è divenuto carne. Come creatura colpevole e degradata, è indegna del benefizio della vita; ei perirà. » Ed al diluvio di delitti succedette il diluvio d’acqua che portò via tutti.

Una seconda catastrofe, non meno famosa della prima, è la rovina del mondo pagano. Dimenticando l’uomo la terribile lezione che aveva ricevuta, di nuovo si era sottratto all’azione dello Spirito Santo. Datosi corpo e anima allo Spirito malvagio, era venuto a riconoscerlo quasi universalmente per suo re e per suo Dio. Sotto mille nomi diversi, egli lo adorava in tanti milioni di templi da un capo all’altro del mondo: tante adorazioni, tanti, sacrilegi, crudeltà e infamie. Siccome l’uomo innanzi al diluvio, era ridivenuto carne, così al soffio dei barbari, disparve il mondo pagano sotto un diluvio di sangue.

   Una terza catastrofe, più terribile e non meno certa delle precedenti, è la rovina del mondo apostata del cristianesimo, mediante il diluvio di fuoco che porrà fine all’esistenza della specie umana sul globo. Conculcando i meriti del Calvario e i benefizi del Cenacolo, il mondo degli ultimi giorni si costituirà in piena ribellione contro lo Spirito del bene. Schiavo più che mai dello Spirito del male, ei si abbandonerà con un cinismo sconosciuto a tutti i generi d’iniquità. Tale sarà il numero dei disertori, che la Città del bene sarà quasi deserta, mentre la Città del male piglierà proporzioni colossali. Una terza volta l’uomo sarà divenuto carne. Lo Spirito del Signore si ritirerà per non più ritornare; e un diluvio di fuoco arderà la terra, mille volte più colpevole poiché sarà mille volte più ingrata della terra dei pagani e dei giganti.

La schiavitù, l’onta, il castigo: tale è dunque il triplice baluardo che l’uomo dee varcare per uscire dalla Città del bene. A questi mezzi esteriori, se si aggiungono gli aiuti ed i benefizi di ogni genere, prodigati agli abitanti di questa felice Città, non siamo noi in diritto di concludere che nessuno vorrà abbandonarla? Se la esperienza confermi il ragionamento, ce lo insegnerà ora la storia.

Nel giorno dell’Ascensione

Ascensione

Preghiera nel giorno dell’ascensione

O Gesù, nostro Creatore e fratello nostro, noi ti abbiamo seguito fin dalla tua nascita con gli occhi e con il cuore; nella Liturgia abbiamo celebrato ciascuno dei tuoi passi da « gigante » (Sal.18, 6) con speciali solennità; ma osservando la tua continua elevazione, nell’opera redentrice, dovevamo prevedere il momento nel quale saresti andato a prendere possesso del solo posto che ti conviene, del trono sublime dove starai eternamente assiso alla destra del Padre. Lo splendore che ti circondava dopo la resurrezione, non era di questo mondo; e tu non puoi più restare con noi. In questi quaranta giorni, ti sei trattenuto con noi soltanto per consolidare la tua opera; e domani, la terra, che ti possedeva da trentatré anni, sarà priva di te. Noi ci rallegriamo del trionfo che ti aspetta insieme con Maria tua Madre, ai discepoli che ti sono sottomessi alla Maddalena ed alle sue compagne; ma alla vigilia di perderti permetti anche ai nostri cuori di provare un sentimento di tristezza poiché tu eri l’Emmanuele, il « Dio con noi », e d’ora in avanti sarai l’astro divino che aleggerà su noi e non potremo più né vederti né toccarti con le nostre mani, o Verbo di Vita! (I Gv. i, i). Tuttavia diciamo ugualmente: a te sia gloria e amore! poiché ci hai trattati con una misericordia infinita. Tu non ci dovevi niente, noi eravamo indegni di attirare i tuoi sguardi, e sei sceso su questa terra macchiata dal peccato, hai abitato tra noi, hai pagato il nostro riscatto con il sangue, ristabilendo la pace tra Dio e gli uomini. Sì, adesso é giusto che tu ritorni a colui che ti ha mandato (Gv. 16, 5). Noi sentiamo la voce della Chiesa che accetta il tuo esilio, e che non pensa che alla tua gloria: « Fuggi diletto mio, ed imita la gazzella o il cerbiatto sul monte degli aromi » (Cant. 8, 14). Potremmo noi, peccatori come siamo, non imitare la rassegnazione di colei che é, allo stesso tempo, tua Sposa e nostra Madre?

L’evangelizzazione del mondo.

Gueranger

   Prendendo poi quel tono di autorità che conviene a Lui solo, disse loro: «Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crede e sarà battezzato si salverà; chi non crede sarà condannato» (Mc. 16, 15-16). Come compiranno essi questa missione di predicare il Vangelo nel mondo intero? Con quali mezzi riusciranno ad accreditare la loro parola? Gesù lo indica: « Or questi sono i miracoli che accompagneranno i credenti: nel nome mio scacceranno demoni; parleranno lingue nuove; prenderanno in mano serpenti, e se berranno qualche veleno mortifero non ne avranno danno; imporranno le mani agli ammalati e guariranno » (Ibid. 16, 17-18). Egli vuole che il miracolo sia il fondamento della sua Chiesa, come l’aveva scelto quale argomento della sua missione divina. La sospensione della legge della natura annunzia agli uomini che l’ autore di questa stessa natura sta per pronunciarsi: ad essi, allora, il dovere di ascoltare e credere umilmente.

Ecco dunque questi uomini sconosciuti dal mondo, sprovvisti di ogni mezzo umano, eccoli investiti della missione di conquistar la terra e di farvi regnare Gesù Cristo. Il mondo ignora anche la loro esistenza; assiso sul trono, Tiberio, che vive nel terrore delle congiure, non suppone affatto tale spedizione di nuovo genere che si sta iniziando, dalla quale l’impero romano sarà conquistato. A questi guerrieri, occorre un’armatura ma di tempra divina, e Gesù annuncia che stanno per riceverla. « Voi però rimanete in città, finché siate dall’alto investiti di vigoria » (Le. 24, 49), Ma quale sarà quest’armatura? Gesù lo spiegherà, ricordando la promessa del Padre, « la promessa che avete udito dalla mia bocca. Perché Giovanni battezzò nell’acqua, ma voi sarete battezzati nello Spirito Santo di qui a non molti giorni » (Atti, 1).

[Dom P. Guéranger: “L’anno liturgico”; ed. Paoline, Alba, 1956]

Dal Breviario Romano nel giorno dell’Ascensione:

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Sermone di san Leone Papa

Sermone 1 sull’Ascensione del Signore

Quest’oggi, o dilettissimi, si compie il numero di quaranta giorni sacri trascorsi dopo la beata e gloriosa risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, colla quale, nello spazio di tre giorni, la potenza divina rialzò il vero tempio di Dio che l’empietà dei Giudei aveva distrutto, numero preordinato dalla santissima disposizione della provvidenza a nostra utilità e istruzione: perché il Signore prolungando in questo spazio di tempo la sua presenza corporale quaggiù, la nostra fede nella risurrezione vi trovasse le prove e la conferma necessarie. Perché la morte di Cristo aveva turbato assai i cuori dei discepoli: e lo stordimento della diffidenza era penetrato nei loro spiriti resi pesanti dall’angoscia causata dal suo supplizio sulla croce, dal suo ultimo sospiro, dalla sepoltura del suo corpo esanime.

Perciò i beatissimi Apostoli e tutti i discepoli, ch’erano sgomenti per la morte (di Gesù) sulla croce ed avevano esitato sulla fede nella sua risurrezione, furono talmente confermati dall’evidenza della verità, che, lungi dall’essere rattristati al vedere il Signore ascendere nelle altezze dei cieli, furono al contrario ripieni di grande gioia. E certo, c’era là una grande ed ineffabile causa di gioia, allorquando in presenza di questa santa moltitudine, una natura umana s’innalzava al di sopra della dignità di tutte le creature celesti, per sorpassare gli ordini Angelici, per essere elevata più alto degli Arcangeli, e non arrestarsi nelle sue elevazioni sublimi che allorquando, ricevuta nella dimora dell’eterno Padre, ella sarebbe associata al trono e alla gloria di colui alla natura del quale si trovava già unita nel Figlio.

Poiché l’ascensione di Cristo è la nostra elevazione; e il corpo ha la speranza d’essere un giorno dove l’ha preceduto il suo glorioso capo: esultiamo dunque, dilettissimi, con degni sentimenti di gioia, e rallegriamoci con pia azione di grazie. Perché noi quest’oggi non solo siamo stati confermati possessori del paradiso, ma nella persona di Cristo abbiamo penetrato ancora nel più alto dei cieli: e per ineffabile grazia di Cristo, abbiamo ottenuto di più di quanto avevamo perduto per invidia del diavolo. Infatti quelli che il velenoso nemico aveva bandito dalla felicità della prima dimora, il Figlio di Dio se li è incorporati e li ha collocati alla destra del Padre: col quale, essendo Dio, vive e regna insieme collo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Così è.

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Omelia di san Gregorio Papa

Omelia 29 sul Vangelo

     Il ritardo che i discepoli frapposero nel credere alla risurrezione del Signore, non fu tanto loro debolezza quanto, per così dire, nostra sicurezza futura. Difatti a motivo del loro dubbio, la risurrezione fu dimostrata con molte prove: e noi quando leggiamo questi fatti, non siamo forse confermati dalla loro esitazione? La storia di Maria Maddalena, che credé subito, mi è meno utile di quella di Tommaso che dubitò per molto tempo. Perché questi, dubitando, toccò le cicatrici delle ferite (del Salvatore) e tolse così dal nostro cuore la piaga del dubbio.

Per far penetrare in noi la verità della risurrezione del Signore, dobbiamo notare quel che riferisce Luca, dicendo: «Essendo insieme a mensa comandò loro di non allontanarsi da Gerusalemme» (Act. 1,4). E poco dopo: «A vista di essi, si levò in alto, e una nube lo tolse agli occhi loro» (Act. 1,9). Notate queste parole, osservate questi misteri. Dopo essere stato a mensa con essi, si levò in alto. Mangiò, e (poi) ascese: affin di renderci manifesta coll’azione del mangiare, la realtà della sua carne. Ma Marco ricorda che il Signore prima di ascendere in cielo, rimproverò ai discepoli la durezza del loro cuore e la loro incredulità. Che è da osservare in ciò, se non che il Signore rimproverò i discepoli quando li lasciava corporalmente, affinché queste parole, dette nel separarsi da loro, rimanessero più profondamente impresse nel cuore di (quelli) che le ascoltavano?

Dopo aver ripresa la loro durezza, sentiamo ciò ch’Egli comanda: «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Marc. 16,15). Forse che, fratelli miei, il santo Vangelo doveva predicarsi alle cose insensate, o agli animali privi di ragione, e perciò si dice ai discepoli: «Predicate ad ogni creatura»? Ma col nome di «ogni creatura» qui si indica l’uomo. L’uomo infatti ha qualche cosa di ogni creatura. Perché l’essere gli è comune colle pietre, la vita cogli alberi, la sensibilità cogli animali, l’intelligenza cogli Angeli. Se dunque l’uomo ha qualche cosa di comune con ogni creatura, si può dire, in qualche modo, che l’uomo è ogni creatura. Perciò il Vangelo è predicato ad ogni creatura, quando si predica all’uomo solo.