Prove dirette della divinità dello Spirito Santo.

Prove dirette della divinità dello Spirito Santo.

[mons J.-J. Gaume: Tratt. dello Spirito Santo, vol. II, cap. III e IV]

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    La prima cosa a sapersi dello Spirito Santo si è che Egli è Dio come il Figliuolo e il Padre: che ha la stessa natura, la stessa divinità, le stesse perfezioni: che è eterno com’Essi, onnipotente, infinitamente sapiente, e infinitamente buono; degno come loro della fiducia e dell’amore, delle adorazioni, delle preghiere e delle lodi del cielo e della terra, degli Angeli e degli uomini. Ecco tutto ciò che noi professiamo, dicendo: Io credo nello Spirito Santo: Credo in Spiritum Sanctum.  Ora nei libri sacri, dalla Genesi sino all’Apocalisse: quell’insegnamento non interrotto per diciotto secoli, dei Padri della Chiesa e della Chiesa medesima, la divinità dello Spirito Santo non brilla con minore splendore che la divinità del Figliuolo e del Padre. La prova é nelle testimonianze citate sin qui in favore del domma della Trinità. Noi potremmo starcene a questo, imperocché niente è meglio fondato della nostra fede sulla divinità dello Spirito Santo. Con tutto ciò rechiamo alcune prove dirette di questa verità fondamentale. Esse si presentano numerosissime nei nomi che la Scrittura dà allo Spirito Santo; negli attributi che essa Gli riconosce; nella tradizione dei Padri e nella dottrina della Chiesa.

Questi nomi ci offrono due generi di prove della divinità dello Spirito Santo: una negativa, e le altre positive. La prima risulta da questo fatto perentorio, che nelle scritture dell’antico e nuovo Testamento, lo Spirito Santo non è appellato mai creatura. Però noi troviamo nei profeti e negli Apostoli, la luminosa enumerazione delle principali creature del cielo e della terra. David ce la dà parecchie volte nei salmi. Daniele la ripete magnificamente nel cantico dei tre fanciulli di Babilonia. Fra tutti i capi d’opera della potenza créatrice, non si fa nessuna menzione dello Spirito Santo. Paolo, rapito sino al terzo cielo, ha visto le gerarchie angeliche: egli nomina gli ordini che le compongono, ciascuno pel suo nome. Il suo aspetto, irradiato dalla luce dello stesso Dio, non ha scoperto lo Spirito Santo. In nessun luogo Lo nomina tra le creature: il che pertanto non avrebbe egli mancato di fare, se lo Spirito Santo non era Dio. Difatti, il suo sublime censimento delle angeliche creazioni ha per iscopo di mostrare che tutto ciò che non è Dio, é al disotto del Verbo incarnato. Non solamente ei non nomina mai lo Spirito Santo tra le creature, ma sempre ei Lo pone nella stessa linea del Padre e del Figliuolo e Lo nomina con Essi.

Veniamo adesso alle prove positive. Nell’Antico Testamento il nome di Jehovah, e nel Nuovo il nome di Dio senza modificazione é, come ognun sa, il nome incomunicabile di Dio. Ora questo doppio nome è dato costantemente allo Spirito Santo. Nel secondo libro dei Re, Davide dice: «Lo Spirito di Jehovah ha parlato per me, e il suo discorso è uscito dalle mie labbra. » [Spiritus Domini (hebraice Jehovah) locutus est per me, et sermo ejus per linguam meam. II Reg. XXIII, 2.] Qual’è questo Spirito? Il seguente versetto tosto ce lo insegna: « Il Dio d’Israele mi ha detto: Il Forte d’Israello ha parlato. » [Dixit Deus Israel mihi : Locutus est Fortis Israel. Id., 8.]. Donde si vede che lo Spirito di Jehovah è Jehovah medesimo, il Forte, il Dio d’Israele. Isaia alla volta sua così si esprime: « E il Signore degli eserciti (Jehovah) ha detto: Va’ e di’ a quel popolo: Voi ascolterete attentamente, e non vorrete intendere » [Et dixit Dominus exercituum (hebraice Jehovah): Vade, et dices populo huic : Audite audientes, et nolite intelligere. Is., VI, 9.]. Qual è questo Dio, questo Jehovah degli eserciti? Lo Spirito Santo, risponde san Paolo. Nella sua prigione di Roma, parlando agli Ebrei increduli accorsi ad udirlo, ricorda questo testo d’Isaia e dice loro: « Lo Spirito Santo ha avuto ragione di dire per bocca d’Isaia: Va e di’ a questo popolo: Voi ascolterete con attenzione ma non vorrete capire.» [Bene Spiritus sanctus locutus est per Isaiam: Vade, et dices populo huic: Audite audientes, et nolite intelligere. Act. XXVIII, 25]. Ivi ancora quegli che Isaia chiama il Signore degli eserciti, Jehovah, il Dio d’Israele, il vero Dio, in una parola: l’Apostolo ci dice che è lo Spirito Santo. Poteva egli insegnare con più chiarezza la divinità della terza Persona dell’Augusta Trinità? Non è solamente in Isaia, ma in tutti i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento è detto che Dio ha parlato per mezzo dei profeti. Per non citarne che due esempi: nel principio del suo Vangelo san Luca si esprime in questi termini : « Come il Dio d’Israele lo ha detto per bocca dei suoi santi profeti nel succeder dei secoli. » [Sicut locutus est per os sanctorum, qui a saeculo sunt, prophetarum ejus. Luc., I, 70]. E san Paolo scrivendo agli Ebrei: « In antico Iddio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti. » [Olim Deus loquens patribus in prophetis. Hebr., I, 1]. Ebbene, questo Dio ispiratore dei profeti è ancora lo Spirito Santo. Noi non possiamo esserne più assicurati se non per la testimonianza di san Pietro medesimo. Ecco le sue parole : « Bisogna che la Scrittura sia compiuta, come lo Spirito Santo l’ha predetto per bocca di David. » [Oportet implori scripturam, quam praedixit Spiritus sanctus per os David. Act, I, 11]. E altrove : « È per ispirazione dello Spirito Santo che hanno parlato i santi uomini di Dio.1 » [Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines. II Petr., I, 21.]. Di qui dunque quel ragionamento tanto semplice quanto concludente: Colui che ha parlato mediante i profeti è il vero Dio. Ora è lo Spirito Santo che ha parlato per i profeti. Lo Spirito Santo è dunque Dio, vero Dio, come il Padre ed il Figliuolo. Di più, siccome la Scrittura distingue lo Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, ne risulta chiaramente che lo Spirito Santo è una Persona distinta dal Figliuolo e dal Padre.

In una circostanza memorabile lo stesso Apostolo proclama con splendore non minore la divinità dello Spirito Santo. Anania inganna sul prezzo del suo campo; all’inganno aggiunge una pubblica menzogna, ed in presenza di tutta la Chiesa di Gerusalemme, Pietro gli dice : « Perché Satana ha egli tentato il tuo cuore sino a farti mentire allo Spirito Santo? non hai mentito soltanto agli uomini ma a Dio. >> [Dixit autem Petrus : Anania, cur tentavit Satanas cor tuum, mentiri te Spiiitui sancto et fraudare de pretio agri?…. Non es mentitus hominibus sed Deo. Act, V, 3, 4.]. Anania ha mentito allo Spirito Santo. Pietro svela la sua colpa e gli dice: Mentendo allo Spirito Santo, non agli uomini, né ad una semplice creatura tu hai mentito, ma a Dio stesso.

Spirito Santo

   Dunque lo Spirito Santo è Dio. La conseguenza è logica e la conclusione inappuntabile. Per gli attributi, lo stesso ragionamento che per i nomi. È Dio quegli al Quale si convengono tutti gli attributi di Dio: ora tutti gli attributi di Dio convengono allo Spirito Santo. I grandi attributi di Dio sono : l’eternità, l’immensità, l’intelligenza infinita, l’onnipotenza; e lo Spirito Santo gli possiede tutti.

L’eternità. È eterno Colui il quale ha preceduti tutti i tempi: ed ha preceduti tutti i tempi, Colui che nel creare l’uomo, ha creato il tempo medesimo. Ora lo Spirito Santo ha creato il mondo di concerto col Padre e col Figliuolo. Nel Principio, Dio creò il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio era portato sulle acque.

L’immensità. È immenso Quegli il quale abbraccia tutti i luoghi e che gli riempie, sino al punto che niuno può sottrarsi alla sua presenza. « Lo Spirito del Signore riempie il globo. [Spiritus Donimi replevit orbem terrarum. Sap.I, 7.]. Dove andrò io lontano dal vostro Spirito? Dove fuggirò lontano dalla vostra faccia? Se io monto in cielo, Voi vi siete; se io scendo nell’inferno, vi siete pure; se io piglio le ali dell’aurora e mi trasporto al di là degli oceani, è la vostra mano che mi vi condurrà e mi tenete alla vostra diritta. » [Quo ibo a Spiritu tuo et quo a facie tua fugiam? Si ascendero in coelum, tu illio es; si descendero in infemum, ades. Si sumpsero pennas meas diluculo et habitavero in extremis maris, etenim illuc manus tua deducet me et tenebit me dextera tua. Psalm. CXXXVIII, 7-10].

L’intelligenza infinita. Egli vede tutto, conosce tutto, sa tutto, Quegli pel quale il cielo e la terra non hanno nessun segreto; che penetra sin nelle loro profondità i misteri dello stesso Dio: che abbraccia la verità, tutta la verità nel passato, nel presente, nell’avvenire, e che n’è il dottore infallibile. Tal’é lo Spirito Santo. Parlando delle meraviglie della celeste Gerusalemme, san Paolo dice: « L’occhio non ha punto visto, l’orecchio non ha punto udito e il cuore dell’uomo non ha mai compreso ciò che Dio prepara a quelli che L’amano; ma per noi Iddio ce l’ha rivelato per mezzo del suo Spirito, poiché questo Spirito penetra ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce tra gli uomini ciò che è nell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Parimente, nessuno conosce ciò che è un Dio, se non lo Spirito di Dio…. [I Cor. II, 9-11] ». E san Giovanni : « Il consolatore, lo Spirito Santo, che mio Padre manderà in mio nome, vi insegnerà tutte le cose, vi rammenterà tutto ciò che Io vi ho detto e vi annunzierà tutto quello che deve accadere.». [Joan.XIV, 26, e XV, 13] Questi testi così chiari furono le armi vittoriose, di cui sant’Ambrogio e gli antichi Padri si servirono per confondere il negatore della divinità dello Spirito Santo, l’empio Macedonio.

L’onnipotenza. È onnipotente colui che fa uscire l’essere, dal nulla, con un sogno della sua volontà e per cui tutte le opere denotano una potenza infinita. Tale è ancora lo Spirito Santo. « I cieli, dicono i profeti, sono stati creati dal Verbo del Signore, e la loro costante armonia dallo spirito della sua bocca; imperocché lo Spirito della sapienza creatrice è onnipotente,» [Verbo Domini coeli firmati sunt, et Spiritu oris ejus omnis virtus eorum. Ps. XXXII, 6. — Omnium enim artifex.docuit me sapientia… est enim in illa Spiritus… omnem habens virtutem. Sap., VII, 21-23].

Le opere. Noi non faremo che sfiorare quest’ampio soggetto, poiché dobbiamo trattarne minutamente nel seguito dell’opera nostra. Le opere di Dio sono di due sorte, le opere della natura e le opere della grazia. Ora tutte queste opere sono attribuite allo Spirito Santo, come al Figliuolo ed al Padre. Nell’ordine naturale la creazione dell’uomo e del mondo; noi l’abbiamo già visto per le testimonianze dei libri santi. Aggiungiamo soltanto la parola cosi precisa del sant’uomo Giobbe: « È lo Spirito di Dio che mi ha creato : Spiritus Dei fecit me. » [XXXIII, 4]. Nell’ordine della grazia, la rigenerazione dell’uomo e del mondo. Il profeta ce l’insegna: «Voi manderete il vostro Spirito e tutto sarà creato, e rinnoverete la faccia della terra. [Ps. CIII, 30] » E con più chiarezza ancora il Maestro dei profeti: « Se qualcuno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio. » [Jo. III, 5]. È la formula stessa della rigenerazione universale: « Andate dunque, istruite tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.  » Matth., XXVIII, 14]. Qual uguaglianza più perfetta!

« Oh, si, Spirito santificatore, esclama Bossuet, voi siete eguale al Padre ed al Figliuolo, poiché noi siamo del pari consacrati nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo; chè voi avete con essi uno stesso tempio che è l’anima nostra, il nostro corpo, e tutto ciò che noi siamo. Nulla d’ineguale né di estraneo al Padre ed al Figliuolo, deve essere nominato con essi in eguaglianza. Io non voglio essere battezzato nè consacrato in nome di un conservo, né voglio essere il tempio di una creatura, chè sarebbe una idolatria il fabbricarle un tempio, e con maggior ragione l’essere e il credersi sé medesimo il proprio tempio ». [Elev. sopra i mist., II Serm., Elev. 5.].

La tradizione. Essa si è espressa mediante la voce dei Padri e dei dottori. Non meno precisa di quella della Scrittura, la sua parola ha attraversato i secoli, di continuo riprodotta da nuovi organi. La vediamo altresì immobilizzata in tanti monumenti che risalgono sino alla culla del cristianesimo. Gli echi dell’Oriente e dell’Occidente ripetevano ancora gli ultimi accenti della voce degli apostoli; san Giovanni era appena sceso nella tomba, quando comparvero i primi apologisti cristiani. Relativamente a san Basilio, il papa san Clemente, terzo successore di San Pietro, martirizzato verso l’anno 100, aveva l’usanza di fare questa preghiera: Vìva Dio e il nostro Signor Gesti Cristo e lo Spirito Santo, [Vivit Deus et Dominus Jesus Cristus et Spiritus sanctus – Lib, de Spir. sanct.XXIX, n. 72]. Nella sua eloquente Apologia presentata all’imperatore Antonino, verso 1’anno 120, san Giustino così si esprime: « Noi onoriamo e adoriamo in spirito e in verità il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo. » [Hunc (Patrem) et qui ab eo venit … Filium et Spiritum sanctum colimus et adoramus, cum ratione et veritate venerantes. Apolog. 1, n. 6].  Ciò che san Giustino aveva detto a Roma, qualche anno più tardi sant’Ireneo l’ insegnava nelle Gallie: « Coloro che, dice, scuotono il giogo della legge e si lasciano adescare dai loro allettamenti, non avendo nessun desiderio dello Spirito Santo, l’apostolo gli chiama con ragione uomini di carne. [Eos vero, qui effrenes sunt, et feruntur ad suas concupiscenti as. nullum h.ab entes divini Spiritus desiderium, merito apostolus camales vocat. (Citato da san Basilio in prova della divinità dello Spirito Santo. Lib. de Spir. Sanct., c. XXIX, n. 72.)  All’istess’epoca Atenagora domandava : « Non è egli strano che siamo chiamati atei, noi che predichiamo Dio il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo? » Quis non miretur, cum auclit nos, qui Deum patrem praedicàmus et Deum Filium et Spiritum sanctum…. atheos vocari- Legat. pro christian. n. 12 e 24]. Il suo contemporaneo, Eusebio di Palestina, per incoraggiarsi a parlare, diceva: « Invochiamo il Dio dei Profeti, autore della luce, mediante il nostro Salvatore Gesù Cristo con lo Spirito Santo.5 » [Loquitur enim in hunc modum, se ad dicendum excitans: Sanctum ProphetarumDeum, lucis auctorem, per Salvatorem nostrum Jesum Christum cum sancto Spiritu, invocante». Ap. Basii,, ibid.].

Sono scorsi appena venti anni e noi troviamo la testimonianza non più di un solo uomo, ma di tutta una Chiesa. L’anno 169, i fedeli di Smirne scrivono a quelli di Filadelfia la stupenda lettera nella quale raccontano che san Policarpo, loro vescovo e discepolo di san Giovanni, prossimo a soffrire il martirio, ha reso gloria a Dio in questi termini : « Padre del diletto e benedetto Figliuolo tuo, Gesù Cristo: ….O Dio degli Angeli e delle potenze, Dio di ogni creatura, io vi lodo, vi benedico, vi glorifico con Gesù Cristo vostro Figliuolo diletto, pontefice eterno, per cui gloria a Voi con lo Spirito Santo, adesso e nei secoli dei secoli. » [Pater dilecti et benedicti Ellii tui Jesu Christi…. Deus Angelorum et Potestatum, Deus totius creaturae..-.. Te laudo, te benedico, te glorifico per Jesum Christum dilectum Filium tuum, Pontifìcem aeternum, per quem tibi cum Spiritu sancto gloria nunc et in futura saecula saeculorum. Amen. Epist. Smym. Eccl., apud Baron an. 169]. Che la divinità dello Spirito Santo fosse un domma della fede cristiana, gli stessi pagani lo sapevano. Nel suo dialogo intitolato Philopatris. Luciano, uno dei più grandi nemici, introduce un cristiano che invita un catecumeno a giurare per il Dio sovrano, per il Figliuolo del Padre, per lo Spirito che ne procede, che fanno uno in tre e tre in uno, ciò che è il vero Dio.

Nel terzo secolo noi troviamo in Occidente, il terribile Tertulliano. Il suo libro De Trinìtate contro Praxea comincia cosi : « Praxea, procuratore del diavolo è venuto a Roma a fare due opere del suo maestro; egli ha cacciato il Paracleto e crocifìsso il Padre. La zizzania praxeana ha germogliato. Con l’aiuto di Dio la svelleremo; basta che noi opponiamo a Praxea il simbolo che ci viene dagli Apostoli. Noi crediamo dunque sempre, e ora più che mai, in un solo Dio, il quale ha inviato sulla terra il proprio Figliuolo, il quale alla sua volta è risalito a suo Padre, ha mandato lo Spirito Santo, santificatore della fede di coloro che credono al Padre, e al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Benché essi sieno inseparabili, pur tuttavia altro è il Padre, altro il Figliuolo, altro lo Spirito Santo ».

Dall’Oriente ci viene la testimonianza del santo vescovo martire, Dionigi d’Alessandria; quantunque falsamente accusato di sabellianismo, termina la sua difesa con queste notevoli parole: « Conformandoci in tutto alla formula ed alla regola ricevuta dai vescovi che hanno vissuto prima di noi, unendo la nostra voce alla loro, vi rendiamo grazie e poniamo fine a questa lettera. Cosi a Dio Padre e al Figliuolo Gesù Cristo nostro Signore con lo Spirito Santo, sia gloria ed impero nei secoli dei secoli. Àmen.2 » [….Tandem nunc vobis scribere desinimus : Deo autem Patri et Filio Domino nostro Jesu Chxisto cum sancto Spiritu gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen. Apud S. Basii., ubi supra, n. 72.].  La formula gloriosa di fede non sfugge a Giulio Africano. Nel quinto libro della sua Storia egli dice: « Noi che abbiamo intesa la forza di questo linguaggio, e che non ignoriamo la grazia della fede, rendiamo, grazie al Padre che ha dato a noi, sue creature, il Salvatore di tutte le cose, Gesù Cristo, al quale sia resa gloria e maestà con lo Spirito Santo in tutti i secoli. ». [Adv. Prax. C. I, II, IX, edit. Pamel]. Ecco nel quarto secolo, i due grandi luminari della Chiesa Orientale, san Basilio e san Gregorio Nazianzeno. Il primo incomincia col citare due costumanze, come testimoni viventi della fede immemorabile alla divinità dello Spirito Santo, le preghiere lucernarie e l’inno d’Atenogene. « È parso buono a noi padri, dice egli, di non ricevere in silenzio il benefìzio della luce della sera, ma di render grazie appena che essa brilla. Chi è l’autore della preghiera, che si recita in rendimento di grazie, allorché si accendono le lampade, non lo sappiamo; ma il popolo pronunzia questa antica formula che nessuno ha mai tacciato d’empietà: «Lode al Padre ed al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Chi conosce l’inno di Atenogene, lasciato da questo martire ai suoi discepoli come un preservativo, allorché s’incamminava al rogo, sa ciò che i martiri hanno pensato dello Spirito Santo.2 » [Apud S. Basii., ubi supra, n. 73.]

L’illustre vescovo diventa egli medesimo un organo potente della tradizione. Lo Spirito Santo, dice, è chiamato santo, come il Patire è Santo, come il Figlio è Santo; santo non come la creatura che trae la sua santità dal di fuori, ma santo nella stessa essenza della sua natura. Per conseguenza egli non è santificato, ma santifica. Egli è detto buono, come il Padre è buono, perché la bontà gli è essenziale; parimente è detto retto, come lo stesso Signore Dio è retto, perché è di sua natura la stessa rettitudine, la stessa verità, la stessa giustizia, senza variazione, senza alterazione a causa della immutabilità di sua natura. È detto Paracleto, come il Figliuolo medesimo; di modo che tutti i nomi comuni al Padre e al Figliuolo convengono allo Spirito Santo, in virtù della comunanza di natura. Dove trovare un’altra origine? » [Lib. de Spirìt. sancii, c. XXIX, n. 78]. Ascoltiamo adesso l’amico suo san Gregorio Nazianzeno: « Lo Spirito Santo è sempre stato, è, e sarà’; non haa avuto mai principio, né avrà mai fine, nulla più che il Padre ed il Figliuolo, co’quali è inseparabilmente unito. Egli è stato dunque partecipe della divinità non la ricevendo mai; perfezionante, né stato mai perfezionato; riempiendo ogni cosa, tutto santificando, non essendo né santificato né ripieno; che dà la divinità e non la riceve; sempre lo stesso e sempre eguale al Padre ed al Figliuolo; invisibile, eterno, immenso, immutabile, incorporeo, essenzialmente attivo, indipendente, onnipotente; vita e padre della vita; luce e centro della luce; bontà e sorgente di bontà, ispiratore di profeti, distributore delle grazie. Spirito di adozione, di verità, di sapienza, di prudenza, di scienza, di pietà, di consiglio, di forza, di timore; che possiede tutto in comune col Padre e col Figliuolo: adorazione, potenza, perfezione, e santità.1 » [Spiritus sanctus et semper erat, et est, et erit, nec ullo ortu generatus, nec finem habiturus, etc.: Orat. in die Pentecoste]. Che cosa di più chiaro di questo passo, a cui sarebbe facile aggiungerne molti altri dell’epoca medesima? Né meno formali, né meno numerose sono le testimonianze dei tempi posteriori: una sola basterà. « Noi crediamo allo Spirito Santo, dice Ruperto, e noi lo proclamiamo vero Dio e Signore, consustanziale e coeterno al Padre ed al Figliuolo, cioè dire assolutamente lo stesso in sostanza che il Padre ed il’ Figliuolo, ma non lo stesso, quanto alla persona. Infatti siccome altra è la persona del Padre, e altra la persona del Figliuolo ; cosi altra è la Persona dello Spirito Santo. Ma la divinità, la gloria, la maestà del Padre e del Figliuolo, sono la divinità, la gloria, la maestà dello Spirito Santo. A fine di distinguere la Persona del Figlio dalla Persona dello Spirito Santo, noi diciamo che il Figliuolo è il Verbo, e la Ragione del Padre, ma Verbo sostanziale, Ragione eternamente e sostanzialmente vivente; e dello Spirito Santo, diciamo che è la Carità o l’Amore del Padre e del Figliuolo, non carità accidentale, amore passeggero, ma Carità sostanziale e Amore eternamente sussistente. » [Spiritum sanctum credimus et confìtemur verum esse Deum et Dominum, Patri et Filio consubstantialem, quod Patrem et Filium, non eumdem in persona quam Patrem et Filium, etc. De Operib. Spir. sancL, lib. I c. III]. E per fare risaltare con splendore la divinità dello Spirito Santo, il profondo teologo aggiunge: « Vogliamo noi aver qualche idea di questo amore e della sua maestosa potenza? Pigliamo due creature dello stèsso genere e della stessa specie, una delle quali lo possiede, e l’altra ne è priva. Se questo è fra gli Angeli, uno è Lucifero, l’altro san Michele; tra gli uomini, uno è Pietro, l’altro Giuda. La sola cosa che forma la differenza tra questi due angeli e tra questi due uomini, si è che uno è partecipe dello Spirito Santo, l’altro no. Alla maestà del Verbo che gli ha creati, l’uno e l’altro debbono l’essere ragionevoli, essi non differiscono tra loro, come si è detto, se non che per la partecipazione o per la privazione dell’eterno amore. Quest’esempio fa rifulgere il carattere proprio dell’operazione dello Spirito Santo: la creatura ragionevole deve la sua esistenza al Verbo eterno: ed allo Spirito Santo deve l’esistenza buona. » [ibid.].  La grande parola dei secoli si è incarnata in parecchie pratiche eminentemente tradizionali : vogliamo parlare delle tre immersioni nel battesimo ; del Kyrie ripetuto tre volte in onore di ciascuna persona divina ; del trisagio cantato nella liturgia; del segno della croce, della doxologia e del Gloria Patri. Specialmente queste due preghiere sono la splendida proclamazione del domma della Trinità, per conseguenza della divinità dello Spirito Santo. Come eco terreno dell’eterno trisagio dei serafini, ‘queste ammirabili formule danno termine a tutti gli inni e a tutti i salmi dell’ufficio. sino dai tempi apostolici esse si ripetono giorno e notte in tutti i punti del globo, per mezzo di migliaia di bocche sacerdotali. Altrettanto è del segno della croce. Questo segno augusto, la cui origine, non di questa terra, ripete con una voce indefessa a tutti gli echi del mondo e a tutti gli istanti della giornata; il Padre é Dio, il Figliuolo è Dio, lo Spirito Santo è Dio. Quanto più questi usi sono polari, tanto più confermano l’antichità e la universalità della tradizione.

Ci rimane da coronare tutte le prove dirette della divinità dello Spirito Santo, per mezzo dell’insegnamento della Chiesa. Ciò che essa sta per insegnarci è la verità, nulla più che la verità, tutta la verità. Difatti, le è stato detto : « Andate, istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a custodire tutte le verità che Io vi ho affidate ; imperocché ecco che Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. » [S. Matt. XXVII; 19,20] Il Verbo incarnato non sarebbe Dio, se la Chiesa, con la quale Egli ha promesso d’essere, tutti i giorni, per tutti i secoli, potesse insegnare una sola volta un solo errore, per quanto piccolo lo si supponga, o lasciar perire una sola delle verità affidate alla sua custodia.

Cosi i protestanti che negano la perpetua infallibilità della Chiesa, negano altresì virtualmente la divinità di Nostro Signore, Il loro Dio non è il vero Dio ; è un Dio impotente o mentitore. Impotente, poiché non ha potuto impedire l’insegnamento dell’errore; mentitore, poiché non l’ha voluto, dopo aver promesso di farlo. Ora, fra tutte le verità, la custodia delle quali e l’insegnamento, sono state rimesse alla Chiesa, brilla in primo grado la divinità dello Spirito Santo. Come quella del Figliuolo e del Padre, noi la vediamo scritta a caratteri indelebili nel Sinodo degli Apostoli, nel Simbolo di Nicea, nel Simbolo di Costantinopoli e in quello di sant’Atanasio. Riassumendo con una inimitabile precisione la dottrina dei tre altri, quest’ultimo cosi, si esprime: «La fede cattolica è di adorare un solo Dio nella Trinità, e la Trinità nell’unità, non confondendo punto le persone, né separando la sostanza. Infatti, altra è la persona del Padre, altra quella del Figliuolo, altra quella dello Spirito Santo. Ma del Padre e dei Figliuolo e dello Spirito Santo la divinità è una, la gloria eguale, la maestà coeterna. Tale il Padre, tale il Figlio, tale lo Spirito Santo. Increato il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo. Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo. Eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo. E con tutto ciò non vi sono tre eterni, ma un solo eterno; parimente non vi sono tre increati, né tre immensi, ma un solo increato, un solo immenso. Così Dio il Padre; Dio il Figlio; Dio lo Spirito Santo. E ciononostante, non vi sono tre Dei, ma un solo Dio. » Alla vista dello Spirito del Bene che si rivela nel mondo con tanto splendore,.e cammina a gran passi a riprender possesso delle intelligenze, lo Spirito del male comprese che il suo impero era minacciato persino nelle sue fondamenta. Per scongiurarne la ruina, egli suscita, in Oriente ed in Occidente, innumerevoli negatori dello Spirito Santo. Armati di sofismi, i Valentiniani, i Montanisti, i Sabelliani, gli Ariani,, gli Eunomeni, scendono 1’uno dopo l’altro nell’arena. Costoro con una fede malvagia e, con una pertinacia, della quale non si trova ragione d’essere, altro che nella ispirazione satanica, assalgono fortemente, di viva voce e per iscritto la divinità dello Spirito Santo, trionfalmente difesa dai dottori cattolici. Ma quando la passione discute, la ragione non è mai sicura di vincere. Gli errori intorno allo Spirito Santo si accrescono come un cancro, sino a Macedonio che ne fa una lebbra così estesa, quasi quanto l’arianesimo. Chi fu quest’uomo, il cui nome, aggiunto a quello di Ario, ricorda cosi tristemente uno dei più famosi eresiarchi della Chiesa primitiva? Macedonio era patriarca di Costantinopoli: innalzato a quella dignità nel 351 dagli Ariani, dei quali partecipava gli errori, esercitò contro i Novaziani ed i cattolici, violenze tali che lo resero odioso, anche all’imperatore Costanzo, suo protettore. In un conciliabolo tenuto a Costantinopoli nel 360, e presieduto da Acacio ed Eutropio, gli Ariani lo deposero e lo fecero esiliare dalla capitale. Ristabilito sulla sua sede per ordine dell’imperatore, ei si mostrò nemico giurato dei cattolici e degli Ariani. Contro questi ultimi ei sostenne la divinità di Nostro Signore, e contro i primi negò la divinità dello Spirito Santo, del quale fece una semplice creatura più perfetta delle altre. Un anno dopo nel 361, l’eresiarca, spogliato una seconda volta della sua dignità, morì come Ario, miseramente.

Frattanto la zizzania dei suoi errori era caduta in molte teste sediziose. Ricchi di facondia, di artifizio e di scelleratezza, i macedoniani formarono una sètta tanto numerosa, che la Chiesa durò fatica ad estirparla. I principali furono Maratone, vescovo di Nicomedia, Eleusio di Cizica, ordinati da Macedonio; Sofronio, vescovo di Pompeopoli nella Paflagonia, ed Eustasio di Sebaste in Armenia. Come tutti i novatori, cosi i macedoniani, detti altresi Pneumatoniachi, vale a dire nemici dello Spirito Santo, o Maratoniani, dal nome del vescovo di Nicomedia, affettavano una grave esteriorità e austeri costumi. Grazie a questo artifizio essi. Seducevano il popolo ed i monaci, tra quali si occupavano a seminare i loro errori. E malgrado degli sforzi della Chiesa d’Oriente, l’eresia, lungi dall’essere spenta, estendeva le sue devastazioni. Venti anni di inutili lotte fecero capire a Teodosio la necessità di un concilio generale. Di concerto col papa san Damaso, il pio imperatore convoco l’augusta assemblea a Costantinopoli per il mese di maggio dell’ anno 381. Ella si trovò composta di cento cinquanta vescovi. Alla loro testa vedevasi san Gregorio di Nazianze, san Cirillo di Gerusalemme, san Gregorio di Nissa, fratello di san Basilio; Melecio, vescovo dAntiochia; Ascolio di Tessalonica, e fuori dell’ordine dei vescovi, l’illustre dottore san Girolamo. A fine di togliere ogni pretesto, sia di nullità del concilio, ossia di giudizio reso senza avere udito le parti, l’imperatore chiese che i macedoni ani fossero convocati con i cattolici. Essi vi furono di fatti rappresentati da trentasei vescovi, i due principali dei quali erano Eleusio di Cizica e Mariano di Lampsaco. Fra le mani dei Padri trovavasi la formula di fede della Chiesa cattolica, mandata nel 353 dal papa san Damaso a Paolino, vescovo d’Antiochia ; di più, il simbolo di Nicea. I vescovi resero testimonianza della fede delle loro Chiese, interamente conforme a questi due monumenti. Quanto ai macedoniani, essi furon sentiti, i loro sofismi rifiutati ed essi stessi convinti di essere novatori, in opposizione con la fede cattolica e con la fede degli apostoli. Cosi, proclamando solennemente la divinità dello Spirito Santo, il concilio non fece un nuovo articolo di fede ; ei si contentò di confermare il domma, e nel definirlo, di porlo al riparo dagli attacchi dell’eresia. Dietro l’esempio del concilio di Nicea, il quale, per annientare l’arianesismo, aveva aggiunto alcune spiegazioni al simbolo degli apostoli, il concilio di Costantinopoli confuse i macedoniani e assicurò l’ortodossia della dottrina, sviluppando l’articolo del simbolo di Nicea intorno allo Spirito Santo.

La divinità dello Spirito Santo non essendo punto attaccata, il concilio di Nicea aveva detto semplicemente : E allo Spirito Santo la santa Chiesa cattolica, ecc. Nello spiegare queste parole, i Padri di Costantinopoli aggiunsero: E allo Spìrito Sànto, Signore e vivificatore, il quale procede dal Padre, e che col Padre ed il Figliuolo è adorato e conglorificato; che ha parlato mediante i profeti. La lettura solenne di quest’articolo fu seguita incontanente dagli applausi del concilio e dagli anatemi contro l’eresia. A voce unanime, i vescovi esclamarono: « Ecco la fede degli ortodossi! a questo modo crediamo tutti. Maledizione ed anatema a chiunque tenesse un’altra dottrina, diversa da quella che è stata definita, e che attaccherebbe la fede di Nicea, che noi approviamo, che giuriamo, e che professiamo, dichiarando empie, inique, perverse, eretiche, le opinioni degli ariani, degli eunomiani, dei sabelliani, dei marcellanisti, dei fontiniani, degli apollinaristi e di tutti coloro che aderiscono alle loro dottrine, che le predicano o che le favoriscono! » A fine di rendere la loro definizione, per quanto era possibile ancor più rispettabile, imprimendole una nuova impronta di cattolicità, i Padri di Costantinopoli indirizzarono una lettera sinodale a tutti i vescovi d’Occidente. Ed eccone il tenore: « Ai nostri generabilissimi fratelli e colleghi Damaso, Ambrogio, Brittonio, Valeriano ed altri santi vescovi, riuniti nella gran città di Roma. Il domma che abbiamo definito deve essere approvato da voi e da tutti coloro che non pervertono la parola della vera fede. Difatti, essendo esso antichissimo e conforme alla formula del battesimo, c’insegna a credere nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo, vale a dire alla divinità, alla potenza ed all’unità di sostanza del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo; all’eguaglianza di dignità ed alla coeternità d’impero in tre ipostasi, o persone infinitamente perfette. « Di maniera che, non vi ha più appiglio per la pestilenziale eresia di Sabellio, la quale, confondendo le Persone, distrugge le loro rispettive proprietà; né per le bestemmie degli eunomiani, degli ariani e degli altri che attaccano lo Spirito Santo, dividono 1’essenza, la natura o la divinità, e introducono nella Trinità, che è increata, consustanziale e coeterna, una natura posteriormente ingenerata o creata, o di una essenza differente. »Da questa lettera risulta che i vescovi d’ Occidente erano radunati a Roma col Papa Damaso, per distruggere l’eresia di Macedonio, intantoché i vescovi d’Oriente lo scomunicavano a Costantinopoli. Non fuvvi mai accordo più perfetto, né maggiore unanimità, né condanna più solenne e più irrevocabile.

Satana battuto da questo colpo di fulmine, stette per lunghi secoli senza osare di rialzare il capo e assalire direttamente la divinità dello Spirito Santo. Finalmente giunse il ritorno del suo regno. Col rinascimento vedonsi ricomparire tutti gli errori e tutte le eresie che si credevano per sempre spente; esse riappariscono ancor più sottili più audaci e più complete che nell’antichità. Cosicché i sociniani rinnovano 1’eresia di Macedonio, svolgendola; e gli autori di questa setta furono i due Socino, zio e nipote. Il primo, nacque a Siena nel 1525; e a malgrado degli anatemi del concilio di Laterano, il razionalismo, alimentato dallo studio fanatico degli autori pagani, invadeva l’Europa. Socino fu nutrito in quell’atmosfera avvelenata. Appena uscito di collegio assisté nel 1546 al famoso conciliabolo di Vicenza [ritenuto l’atto di fondazione della franco-massoneria moderna -n.d.r.-], dove la distruzione del Cristianesimo fu risoluta. Fedele agli impegni ch’egli vi contrasse ed ai principi della sua educazione, il giovane e libero pensatore, impiegò tutta la sua vita nel rinnovellare l’arianesimo e il macedonianismo, a fine di scalzare dalla sua base il cristianesimo. Il secondo, nato a Siena nel 1530, ereditò lo spirito anticattolico del suo zio e fu uno dei più ardenti promotori delle sue eresie. Aveva meno di vent’anni che già la paura dell’inquisizione gli fece abbandonare l’Italia. Ei passò in Francia, di là in Svizzera, dove pubblicò le sue empietà. L’inquietudine del suo spirito congiunta al desiderio di dommàtizzare dapertutto, lo condusse ben presto in Polonia. I letterati l’accolsero con favore; ed un gran numero si dichiararono suoi partigiani, ed egli mori in mezzo appunto a questa truppa di atei nel 1604.1 suoi discepoli, degni del loro maestro, vollero trarre conseguenze pratiche dalle sue dottrine. Furono commessi grandi eccessi; il popolo indignato li cacciò, e in odio dell’eresia, dell’eresiarca e del suo seguito, le ceneri di Socino furono disotterrate, portate sulle frontiere della piccola Tartaria, e messe dentro a un cannone, le mandarono nel paese degli infedeli. [Di questo empio, funesto ed immondo servo di satana, parleremo compiutamente in un prossimo scritto –n.d.r.-]. Abbiamo detto che nelle loro empietà contro lo Spirito Santo i sociniani avevano oltrepassato i macedoniani. Secondo sant’Agostino questi ultimi non negavano resistenza personale dello Spirito Santo, ma la sua divinità. D’altro canto erano essi ortodossi circa le due altre Persone della santa Trinità. [Lib. de haeresib.] Per i sociniani lo Spirito Santo non è neppure una creatura; ma un soffio, una forza, una semplice influenza di Dio sull’uomo e sul mondo. La stessa Trinità, un’accozzaglia di parole senza idee: il peccato originale, la grazia, i sacramenti, il cristianesimo tutto quanto, altrettante chimere. Quest’è la negazione pagana, la negazione di Sesto Empirico, innalzata alla sua ultima formula, e continuata dai nostri razionalisti moderni.

A questa negazione impudente nella sua espressione, assurda nel suo principio, funesta nelle sue conseguenze, basta opporre e le testimonianze della tradizione da noi citate, e la conferma solenne di tutti i dommi attaccati, fatta dal concilio di Trento al principio de’ suoi immortali lavori: « I nostri predecessori, dicono i Padri, inauguravano le loro sessioni con la professione della fede cattolica e l’opponevano come uno scudo impenetrabile a tutte le eresie. Dietro al loro esempio ci par buono il professare solennemente il simbolo di cui si serve la santa Chiesa Romana, unico ed incrollabile fondamento della fede, contro il quale non prevarranno mai le porte dell’inferno: Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, e nel Signore Gesù Cristo, figliuolo unico di Dio e nello Spirito Santo, Signore e vivificatore; il quale procede dal Padre e dal Figliuolo; il quale Col Padre e col Figliuolo è adorato e conglorificato, e che ha parlato per mezzo dei profeti. 1 » [ Conc. Triden. sess. III.]  Questo simbolo cattolico, immutabile come la stessa verità, espressione esatta della fede delle nazioni incivilite, rivestito della sanguinosa sottoscrizione di dodici milioni di martiri, è la prova eternamente trionfante della divinità dello Spirito Santo, il rifugio sicuro di ogni spirito perseguitato dal dubbio, la inespugnabile rocca, dall’alto della quale il cristiano sfida satana ed i suoi ministri, con tutti i loro sofismi e tutte le loro negazioni.

Il macedonianismo ed il socinianismo : tali sono le due grandi eresie le quali, a dodici secoli di distanza hanno assalito, ma invano, la divinità dello Spirito Santo. Nell’intervallo, ne è sorta una terza ; la quale apparentemente, meno fondamentale delle due altre, ha avuto più disastrose conseguenze. S’intende bene che vogliamo parlare dell’eresia dei Greci intorno alla Processione dello Spirito Santo. Muro di divisione, tuttora in piedi, tra la chiesa latina e la chiesa greca, bisogna oggidi più che mai farlo conoscere e confutarlo.

 

La strana sindrome di nonno Basilio: 19

nonno

   Caro direttore, eccomi ancora qui davanti al mio aggeggio elettronico per raccontarle le strane vicende della mia famiglia, che si susseguono purtroppo ininterrottamente e turbinosamente. Ma veniamo ai fatti: in una chiara mattina primaverile, circa all’ora terza, ero intento a salmodiare il “Veni Creator Spiritus”, che apre la mia novena allo Spirito Santo, la madre di tutte le novene che, in verità, iniziata come tale, è poi diventata prima una “novantena”, poi una novena con prolungamento semestrale, infine una “giornaliera continua” che mi aiuta molto nella mia vigilanza spirituale, e giacché ci sono, anche per conservare le mie residue attività cerebrali. Con me erano ovviamente, anche se solo di passaggio, i miei cari nipoti Mimmo e Caterina che sostenevano a tratti la mia voce stentata. E ripensavo a come ci si sia potuti separare nella fede dalla Chiesa Cattolica Romana proprio su di un argomento chiave come lo Spirito Santo, così come successe nel 1054, anno in cui si verificò il cosiddetto scisma d’Oriente, perpetrato dall’orgoglio di Fozio che fu portato a disconoscere il Primato di Pietro, oltre che ad introdurre poi altre perniciose eresie. Come mi aspettavo, interviene subito Mimmo interrompendo il mio discorsetto: “Ma nonno, anche il mio parroco dice che tra Ortodossi e Cattolici romani non ci sono diversità sostanziali, forse più che altro di riti, e che quindi qui il discorso ecumenico può essere proficuamente attuato!”. “Caro Mimmo, se questa cosa l’avessi detta tu, conoscendoti per quel mattacchione che sei, mi sarei fatta una grassa risata, ma poiché sostieni che tali espressioni siano state proferite, anche se ho i miei dubbi, da un prelato, a sua volta confortato da autorità più alte e Caterina me ne da subito conferma, citando anche nomi illustri oltre a numerosi avvenimenti “ecumenici” tra alte cariche ecclesiastiche, sono costretto a puntualizzare, ricorrendo ai “rimasugli” della mia malandata memoria, dalla quale si riaffacciano prodigiosamente non solo gli insegnamenti dello zio Tommaso, santo sacerdote, come ripetutamente detto, ma pure i ricordi della tremenda campagna di Russia di un anziano medico veterinario, mio dirimpettaio in gioventù. Ciò premesso, andiamo ad analizzare attentamente la religione eretico-scismatica dei cristiani orientali, detta impropriamente “Ortodossa”, perché nei fatti non lo è proprio!. Anzitutto a livello linguistico va notato che “cattolici” e “ortodossi” sono due titoli che entrambe le istituzioni, sia la Chiesa romana, che la “setta” orientale, si auto-assegnano. Anche l’apostolicità, condizione necessaria per rendere validi i sacramenti[1], è condivisa sia dalla Chiesa romana sia da quelle orientali. Quale è dunque il problema? Interviene ancora Mimmo: “Secondo il mio amico idraulico bielorusso Yuri (ma dopotutto) la Chiesa romana ha perduto la vera ed originaria Fede”. “Ma questo, caro Mimmo –ribatto subito- è il leitmotiv tipico di ogni scismatico come giustifica che poi non si riesce mai a definire. Eppure, anche qui, analizzando realmente il processo storico che ha portato alla spaccatura tra Occidente ed Oriente cristiano, si comprende benissimo che la colpa di tale divisione è per lo più esclusivamente degli pseudo-ortodossi”. “Ed adesso tocca a te dimostrarlo, nonno”, mi dice Mimmo con aria di sfida.“Cominciamo allora dagli interessi politici. Sin dai primi secoli, la Chiesa Apostolica ha ribadito che il primato nella Chiesa spetta al vescovo di Roma, il Papa. Ne parla il Vangelo, lo ribadirono i Padri della Chiesa, lo affermarono solennemente i Concilii ecumenici, così come già detto in altre occasioni … vattele a ripassare. Negli Acta del Concilio di Nicea (325), ad esempio, al canone VI leggiamo, a proposito della precedenza di alcune sedi sulle altre: “In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi”. La Chiesa poneva il vescovo di Alessandria, il vescovo di Gerusalemme e il vescovo di Antiochia come Patriarchi, ossia Vescovi con particolare onore e con particolare potere di giurisdizione su quelle regioni. Il Canone specifica che anche al Vescovo di Roma è riconosciuta una simile autorità, segno che i nuovi patriarcati venivano costituiti sul modello di quello romano, sebbene esclusivamente il Papa romano mantenesse il primato pietrino. Il primato di Roma non fu mai pienamente tollerato dal potere ecclesiastico e soprattutto politico delle regioni orientali. Già Costantino pare, secondo vari autori, che decise di farsi battezzare come ariano in punto di morte, in segno di disprezzo verso la Chiesa di Roma, Chiesa che insieme a tutte le altre aveva dichiarato – proprio nel Concilio da egli stesso convocato a Nicea – l’arianesimo come eresia. Dieci anni dopo Nicea, infatti, lo stesso Costantino convocò un conciliabolo a Tiro, dove condannò il vescovo patriarca di Alessandria, Sant’Atanasio, approvando il credo ariano. Le prime incrinature con l’Oriente, dunque, sono di natura prettamente politica. Costantino e i successivi imperatori cristiani cercavano di manovrare la Fede per questioni di potere e non di Verità religiosa. Fu sotto Teodosio, nel 381, che il Concilio di Costantinopoli I stabilì solennemente valide ed immutate le decisioni del Concilio di Nicea e ribadì la condanna all’arianesimo e alle varie innovazioni teologiche che si stavano diffondendo nell’area orientale, che in quanto innovazioni costituivano di per sé eresie (… un po’come tutte le innovazioni moderniste …. capiscimi bene Mimmo!) Fu in occasione di questo Concilio, e non prima, che fu istituita la figura del Patriarca di Costantinopoli, che tuttavia aveva un primato d’onore nella regione orientale ed era però sempre sottomesso alle decisioni del Pontefice. Dunque, impossibilitati a dare fondatezza teologica per praticare l’eresia del cesaropapismo, il clero orientale e le autorità imperiali continuarono a cercare pretesti teologici per screditare la Chiesa di Roma. Il primo fu, ovviamente, quello riguardante il primato petrino. Commenterà Sant’Alfonso: “È fuori dubbio che il Signore, comunicando a Pietro il nome di “pietra”, gli comunicò la potestà vicaria di capo ( … ) Inoltre disse il Signore a Pietro: “pasce agnos meos … pasce oves meas…”. Per pasce (pasci) si intende ogni atto pastorale di presiedere, condurre, ridurre, agnos (agnelli) sono tutti i fedeli, i figli, oves (pecore madri) sono gli Apostoli ed i Vescovi loro successori … potrei dirtene tanti altri ma mi fermo qui. Più volte fu ribadito il primato petrino del vescovo romano e più volte uscirono dissensi da parte dell’Impero e del clero bizantino. Ma la Chiesa può piegarsi alle esigenze politiche? Il patriarca di Costantinopoli fu quindi scomunicato nel 1054 da Papa Leone IX, ma questi, invece di ritrattare o ubbidire, senza autorità decise di scomunicare a sua volta il Pontefice romano, compiendo una insanabile frattura fra Occidente ed Oriente, nota più tardi con il nome di Grande Scisma. Sin dal 1054, le varie chiese orientali (molto differenti al loro interno anche a livello teologico, oltre che liturgico, in quanto autocefale, cioè autonome secondo fantasia…) sono cresciute in funzione della loro ostilità a Roma. Mentre la Chiesa Cattolica ha con il tempo approfondito e chiarito solennemente, attraverso i Concilii e le affermazioni dogmatiche e magisteriali, il deposito della Tradizione ereditata dagli Apostoli, le chiese ortodosse non hanno indetto più alcun Concilio ecumenico, per timore di dar ragione alla Chiesa Cattolica anche su un singolo dogma. Ne è un esempio clamoroso il dibattito sul Purgatorio. Qualsiasi cristiano orientale ortodosso, infatti, negherà l’esistenza del Purgatorio come regno ultraterreno alternativo ad Inferno e Paradiso, in cui sono destinate le anime di coloro che muoiono in stato di grazia ma che non hanno ancora espiato definitivamente le proprie colpe. Eppure, anche gli ortodossi durante le loro celebrazioni pregano per i defunti, tradizione che arriva dall’epoca apostolica ed anche preapostolica (come dimostrano i libri dei Maccabei) e che loro continuano a trasmettere. Tuttavia gli ortodossi non hanno avuto mai il coraggio di chiedersi: perché pregare per i defunti? Chiedilo anche al tuo amico Yuri vediamo cosa risponde … Infatti, se le anime dei defunti per cui si prega sono all’inferno, le preghiere sono inutili, perché la dannazione è irrevocabile. Se invece essi sono in paradiso, le preghiere sono parimenti inutili, perché hanno già raggiunto la beatitudine, la mèta della propria esistenza. Perché dunque pregare per i defunti se non per dar loro suffragio, ossia aiutarli a raggiungere la pienezza della santità e della salute eterna? Paradossalmente, anche le tradizioni degli stessi ortodossi danno ragione ai dogmi cattolici. Gli ortodossi negano a parole il dogma del Purgatorio, ma nei fatti lo affermano. Negare una verità di fede esclusivamente per non concordare con Roma è un mero atto di superbia, nonché esternazione di poca libertà spirituale, ancora peggio: è peccato contro lo Spirito Santo (non uno, bensì tre … : impugnare la verità conosciuta … ostinarsi nel peccato, … l’impenitenza finale). Può infatti una chiesa essere veramente libera se è costretta in tutto quello che dice a confrontarsi con un’altra, e scegliere ciò che è vero e ciò che è falso in base a ciò che afferma l’altra chiesa? Tralasciando la santità di Costantino, accettata dagli ortodossi, passiamo alla “questione del Filioque”, che fu un altro pretesto per lo scisma, o della processione dello Spirito Santo. I teologi occidentali aggiunsero nel Credo niceno-costantinopolitano, per una maggiore chiarezza, che “lo Spirito Santo […] procede dal Padre “e” dal Figlio”. Essa è dunque la terza Persona della Santissima Trinità. I teologi orientali, invece, sostenevano che lo Spirito Santo procedesse solo dal Padre e che fosse dunque la seconda Persona trinitaria. Spiega Padre Dragone nel Catechismo di San Pio X commentato: “Da tutta l’eternità il Padre, per via della conoscenza genera il Figlio in modo perfetto e totale, come un atto unico e puro. Il Figlio è quindi perfetto come il Padre da tutta l’eternità. Il Padre contemplando da tutta l’eternità il Figlio Lo ama con un amore infinito, e il Figlio da tutta l’eternità ricambia il Padre con lo stesso amore. Padre e Figlio, con un atto unico e perfettissimo spirano a vicenda un amore eterno, infinito, perfetto, Amore che è la Terza Persona, eguale e distinta dal Padre e dal Figlio, e che riceve tutto il suo essere dal Padre e dal Figlio, come da unico principio o fonte d’amore”. Il Vangelo stesso dichiara che lo Spirito Santo non è la seconda, ma la terza Persona della Trinità: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”(S.Matteo XXVIII,19). Caterina dimostra di inserirsi correttamente nella discussione e ci ricorda: “ … ma diversi Papi si sono sforzati con ogni mezzo, amorevolezza ed energia, di ricondurre gli orientali sulla retta strada dottrinale, come nei confronti ad es. di Michele Cerulario, ed essi più volte sembravano esserne convinti, come al Concilio di Firenze. Ed anche in questo caso, tornati a casa ritrattarono subito i documenti ivi firmati, un ribaltone in piena regola, come il conciliabolo vat’inganno secondo, sempre fomentati da coloro che per padre hanno il ‘farfariello’ e sono nemici di tutti gli uomini, ma in particolare dei cristiani. A questo punto però, la sede di Costantinopoli, in balia di una cotale eresia anti-filioque, senza sostegno divino (ricordiamo che disprezzare lo Spirito Santo significa condannarsi “in cielo e in terra” senza misericordia alcuna, e così fu …) venne spazzata via in pochissime battute, con ferocia cruenta impressionante, dalle orde dei maomettani, cancellata per sempre come vera cattedra apostolica! Come doveva poi succedere in Russia, in tempi più recenti, e fino ad oggi in Iraq, in Siria e così via”. Brava Caterina, vedo che hai ben approfondito la questione, anche ci sarebbe ancora molto da dire, ma … ragazzi, adesso sono stanco, è l’ora del biscottino della nonna Genoveffa (mia moglie, per chi non avesse letto le precedenti missive) … ne riparliamo anzi, presentatemi i vostri amici orientali, così potremo conoscere più da vicino i loro usi e … costumi religiosi”. Caro direttore, la saluto e non dubiti, le farò sapere come andrà a finire!

Preghiera per i giorni delle QUATTRO TEMPORA

Da: “Via del paradiso”, Siena 1823 – imprimatur –

“O Dio sapientissimo, Dio santissimo, che ci avete insegnato per bocca del vostro santo Angelo Raffaele, che l’orazione accompagnata dal digiuno, e dalla limosina è un sacrificio grato alla vostra divina Maestà, e ci avete dichiarato di vostra propria bocca esservi una specie di demoni che non si vince se non coll’orazione e col digiuno, siate benedetto d’aver’ispirato alla vostra Chiesa di consacrare al digiuno ed all’orazione tre giorni in ogni stagione dell’anno.

Degnatevi, Vi prego, di accettare a gloria vostra, l’esaltazione della santa Chiesa e a santificazione delle anime nostre, il sacrificio del nostro spirito per mezzo dell’orazione e del nostro corpo per mezzo del digiuno, che Vi offriamo in queste Tempora. Accettateli, Vi supplico, in ringraziamento di tanti benefici che abbiamo da Voi ricevuti, e de’ quali ci riconosciamo indegni. Accettateli in penitenza delle colpe passate, delle quali Vi chiediamo umilmente perdono. Con questo santo digiuno, che indebolisce la carne, indebolite gli sforzi del demonio contro di noi, e fortificateci nel vostro santo servizio; elevateci ed uniteci inseparabilmente a Voi per mezzo dell’orazione, moltiplicando sopra di noi le vostre grazie, e benedizioni.

E poiché appartiene principalmente ai vostri Ministri di ottenerci queste grazie e benedizioni in questi tempi che la santa Chiesa ha destinato all’Ordinazione dei Sacerdoti, dateci per vostra bontà uomini secondo il vostro cuore, che si applichino unicamente a conoscere ed adempire le vostre sante volontà. Ispirate ai Pastori di eleggere all’augusto e santo Sacerdozio persone piene di scienza, di virtù e di zelo, che possono elevare al Cielo le mani pure ed offrirVi degnamente il Sacrificio pel vostro popolo. Imprimete nel loro spirito le vostre sante Verità, animate il loro cuore coll’amor della vostra santa legge, riempiteli di zelo per le anime, acciò essendo essi lucerne ardenti e luminose avanti a Voi e avanti agli uomini, possano con l’esempio servire di guida ai fedeli per condurli sicuramente al Cielo. Così sia.

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QUATTRO TEMPORA

(Dom Guéranger: “l’anno liturgico”)

   La Chiesa pratica in questo giorno (mercoledì dopo Pentecoste – n.d.r. -) il digiuno chiamato delle Quattro Tempora, il quale si estende anche al Venerdì e al Sabato seguenti. Questa osservanza non appartiene punto all’economia dell’Avvento; essendo una delle istituzioni generali dell’Anno Ecclesiastico. Si può annoverare nei numero delle usanze che la Chiesa ha derivate dalla Sinagoga; poiché il profeta Zaccaria parla di digiuno del quarto, del quinto, del settimo e del decimo mese. L’introduzione di tale pratica nella Chiesa cristiana sembra risalire ai tempi apostolici; questa è almeno l’opinione di san Leone, di sant’Isidoro di Siviglia, di Rabano Mauro e di parecchi altri scrittori del l’antichità cristiana: tuttavia, è da notare che gli Orientali non osservano tale digiuno.

Fin dai primi secoli, le Quattro Tempora sono state fissate, nella Chiesa Romana, alle epoche in cui si osservano ancora attualmente; e se si trovano parecchie testimonianze dei tempi antichi nelle quali si parla di Tre Tempora e non di Quattro, è perché le Tempora di primavera, cadendo sempre nel corso della prima Settimana di Quaresima, non aggiungono nulla alle osservanze della Quarantena già consacrata a un’astinenza e a un digiuno più rigorosi di quelli che si praticano in qualsiasi altro tempo dell’Anno.

Le intenzioni del digiuno delle Quattro Tempora sono nella Chiesa le stesse che nella Sinagoga: consacrare cioè, mediante la penitenza, ciascuna delle stagioni dell’anno. (…) Esso [il digiuno] è la fonte di pensieri casti, di risoluzioni sapienti, di consigli salutari. Mediante la mortificazione volontaria, la carne muore ai desideri della concupiscenza, lo spirito si rinnova nella virtù. Ma poiché il digiuno non ci basta per acquistare la salvezza delle nostre anime, suppliamo al resto con opere di misericordia verso i poveri. Facciamo servire alla virtù quello che togliamo al piacere; e l’astinenza di colui che digiuna divenga il nutrimento dell’indigente ».

Prendiamo la nostra parte di questi avvertimenti, noi che siamo i figli della santa Chiesa; e poiché viviamo in un’epoca in cui il digiuno dell’Avvento [e della Pentecoste –ndr.-] non esiste più, impegniamoci con tanto più fervore a soddisfare il precetto delle Tempora, in quanto questi tre giorni (…), nei quali la disciplina della Chiesa ci impone in modo preciso, in questa stagione, l’obbligo del digiuno. Rianimiamo in noi, con l’aiuto di queste lievi osservanze, lo zelo dei secoli antichi, ricordandoci sempre che se per la venuta di Gesù Cristo nelle nostre anime é soprattutto necessaria la preparazione interiore, tale preparazione non potrà essere vera in noi, senza manifestarsi all’esterno attraverso le pratiche della religione e della penitenza.

Il digiuno delle Quattro Tempora ha ancora un altro fine oltre quello di consacrare, con un atto di pietà, le diverse stagioni dell’Anno; esso ha un legame intimo con l’Ordinazione dei Ministri della Chiesa, che riceveranno la consacrazione il sabato, e la cui proclamazione aveva luogo un tempo davanti al popolo nella Messa del Mercoledì (…) I fedeli debbono unirsi alle intenzioni della Chiesa, e presentare a Dio l’offerta dei loro digiuni e delle loro astinenze, con lo scopo di ottenere degni Ministri della Parola e dei Sacramenti, e veri Pastori del popolo cristiano.