Omelia della Domenica I dopo Pentecoste

Omelia della Domenica I dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

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-Giudizi temerari-

“Siate imitatori, dice a tutti noi nell’odierno Vangelo il divino Salvatore, siate imitatori della misericordia del vostro Padre celeste, con esser misericordiosi ancor voi”. Per essere tali, astenetevi dal giudicare i vostri fratelli con giudizio e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati: “Nolite iudicare, et non iudicabimini, nolite condemnare, et non condemnabimini”. Se un cieco guida un altro cieco, cadono ambedue nella fossa. La vostra volontà è una potenza cieca, la sua guida è l’intelletto. L’intelletto che non può conoscere il pensiero, l’intenzione dell’altrui mente, né l’interno del cuore altrui, anch’esso in questa parte è cieco. Se egli dunque si porti a formar sinistro giudizio de’ prossimi suoi, un cieco guiderà l’altro cieco, e cadranno entrambi in colpe di temerari giudizi e d’ingiuste condanne. “Numquid potest caecus caecum ducere? Nonne ambo in foveam cadunt?” E poi con che coraggio scoprite negli occhi altrui una tenua festuca e non vi accorgete della grossa trave che sta negli occhi vostri? Ipocriti, il vostro zelo è una ingiustizia. Togliete prima da’ vostri la trave, e penserete poi a togliere la pagliucola dall’occhio del vostro fratello. Ecco con quali energiche forme si esprime contro i giudizi temerari il nostro legislatore Cristo Gesù. A secondare i suoi divini comandi, i suoi amorevoli avvisi, diretti a preservarci da tanto male, io passo ancor più a dimostrarvi quanto sono fallaci, quanto sono ingiusti i giudizi degli uomini che temerari ardiscono erigersi in giudici degli altri uomini. La grazia di Dio e la vostra attenzione, o signori, renda profittevole la presente spiegazione.

I . “Mendaces filii hominum in stateris”. Bugiardi, dice il re Profeta, sono i figliuoli degli uomini nelle loro bilance. Queste bilance sono i giudizi che l’uomo fa de’ suoi simili. Chi adopra queste bilance non è per l’ordinario la giustizia e la ragione, ma o un genio naturale o una viziosa passione. Il genio è un cristallo che fa vedere tutti gli oggetti tinti dello stesso colore. La passione è un peso che prepondera ad ogni buon senso, è un fumo che offusca la mente, è una benda che toglie la vista. Agli occhi di Gionata Davidde, perché amico, è un oggetto di amore, agli occhi di Saullo, perchè lo teme suo successore nel regno, è un oggetto d’invidia e d’odio mortale. Giuditta, che tutta spirante pompa e bellezza si porta al campo Assiro, desta in Ozia principe di Betulia stima, ammirazione e rispetto: eccita per 1’opposto in Oloferne pensieri e sentimenti oltraggiosi alla di lei onestà. Tanto è vero che la disposizione dell’animo è la molla che agisce sui nostri concetti, e dà movimento ed impulso ai nostri giudizi. Ond’è che dall’altrui genio, e dall’altrui passione dipende il giudizio che si forma in noi. “Ex alienis affectibus iudicamur(D. Anton. Ep.). Così la ragion persuade, così mostra 1′ esperienza. Guidato dunque da queste scorte ingannevoli, non può essere se non fallace il giudizio degli uomini.

Fallaci sono altresì gli umani giudizi, perché per lo più fondati sull’apparenza; perciò Gesù ci proibisce il giudicare secondo l’esteriore aspetto delle cose che si appresentano al nostro sguardo o alla nostra mente, “nolite judicare secundum faciem(Jo. VII, 24). Chi avesse veduto il giovane Giuseppe fuggir dalla stanza della sua padrona, che col di lui mantello fra le mani gridava forte, tacciandolo di tentatore, l’avrebbe creduto colpevole, e si sarebbe ingannato. Chi avesse veduto Abramo alzar la spada in atto di uccidere l’innocente suo figlio, “padre crudele” avrebbe gridato tra sdegno e pietà, padre crudele! … e si sarebbe ingannato. E non si ingannò Eli credendo Anna, madre del Profeta Samuele, ebbra, agitata dal vino, perché pregava con affannoso trasporto e straordinario fervore? E non s’ingannarono gl’isolani di Malta nel riputare S. Paolo uomo malvagio, perseguitato dall’ira di Dio in terra ed in mare, perché appena salvato dal naufragio lo videro morsicato da vipera velenosa? L’apparenza dunque non è regola di buon giudizio, ella anzi è la via dell’inganno. Lo disse anche un gentile, “decipimur specie recti(Horat.).

Se dunque, io dico a voi, l’apparenza è un’ingannatrice, se non vorreste che altri formassero giudizio di voi dalla sola apparenza perché vi fate lecito per leggieri indizi dar corpo all’ombre, ammetter dubbi, fomentar sospetti, precipitar giudizi? Perché un saluto di convenienza, un sorriso d’urbanità stimarlo un segno di turpe amicizia? Perché la nuova veste di quella figlia che sarà frutto de’ suoi lavori, o risparmio del suo sostentamento, la credete regalo di qualche seduttore ? Perché la pallidezza di quell’altra v’ingerisce sospetti ingiuriosi alla sua onestà? Perché coloro che coll’industria e col sudore si avanzano in acquisti ed in possessi, li giudicate ladri od usurai? Se non fate senno, se non cangiate costume, arriverà a voi ciò che si legge de’ Moabiti. Il sole appena alzato all’orizzonte co’ rossicci vapori coloriva l’acque stagnanti nel campo de’ collegati col re d’Israele. Quel rosseggiante riverbero lo credettero sangue uscito dalle ferite de’ loro nemici trucidati tra di loro; perciò ingannati si avvicinano al campo per rapirne le spoglie. Si avvidero dell’errore, ma troppo tardi, onde restarono vittime del proprio inganno, e pagarono col sangue vero un sangue apparente. Giudici per mere apparenze, i vostri giudizi sanguinosi dell’onore, della condotta, della fama de’ vostri fratelli ricadranno sopra di voi. Giudicate? Sarete giudicati. Condannate? sarete condannati!

II. Né solamente sono fallaci gli umani giudizi perché basati sull’apparenza, ma ingiusti, perché mancanti d’autorità. Chi siete voi, v’interroga l’apostolo, che vi arrogate l’autorità di giudicare il vostro fratello? “Tu quis es, qui judicas fratrem tuum?(Ad. Rom. XIV). Siete voi superiori, maestri, padri di famiglia? Se tali siete, dovete credere che quei vostri figli, quei vostri discepoli sieno morigerati, che vostra figlia sia cauta, sia costumata; ma per regola di buon governo invigilate su’ loro andamenti, indagando, informandovi, con chi trattano, con chi si accompagnano, non vi fidate, temete, il cuor sempre vi batta su la loro condotta. Fuor di questo grado di superiorità, che vi autorizza ad ammetter dubbi e ragionevoli sospetti per impedire il male de’ vostri sudditi, non vi è permesso formar giudizi de’ vostri eguali. A Dio soltanto supremo padrone delle sue creature, a Dio scrutatore dei cuori, cui nulla può esser celato, a Dio appartiene il giudicare di noi. Io, dic’Egli, sono il giudice e il testimonio di tutte le vostre azioni. “Ego sum iudex et testis, dicit Dominus” (Sem. XXIX, 23). Ella è dunque un’intollerabile temerità che l’uomo si usurpi quel che a Dio solo compete.

Ingiusti sono altresì i nostri giudizi, perché formati senza cognizione di causa. Sapeva il sommo Iddio il peccato de’ nostri progenitori, ciò non di meno per nostra istruzione istituisce una forma di giudizio. Chiama a sé Adamo, interroga Eva, domanda il perché hanno trasgredito il suo precetto. Più: l’infame delitto di Sodoma, oltre la scandalosa pubblicità ne’ suoi contorni, era, secondo l’espressione del sacro Testo, salito fino al cielo a provocare la divina vendetta; pure, prima di venire alla condanna udite come Dio parlò: “discenderò dall’alto: ed in persona mi porterò sul luogo a vedere e a riconoscere di presenza il corpo di quel nefando misfatto. “Descendam, et videbo utrum clamorem, qui venit ad me, opere compleverint (Gen. XVIII, 21). Aveva forse bisogno il Signore di una informazione locale a foggia umana? Tutto ciò sta così espresso per dare a noi lezione ed avviso; a noi che al primo indizio, ad una semplice ombra, subito fabbrichiamo sospetti e giudizi sul dorso de’ nostri prossimi, e con tutta franchezza si taglia, si decide, si pronunzia prepotente quel ricco, usuraio quel mercante, sedotta quella figlia, infedele quella maritata, ipocrita quel divoto, ingiusto quel giudice, bugiardo quel povero uomo, strega quella povera vecchia.

Eh mio Dio! Sapete donde derivano siffatti giudizi che uccidono la carità e la giustizia? Dal cuore hanno la loro sorgente, e partono dal cuore, “de corde exeunt”, dice Gesù Cristo, “de corde exeunt cogitationes malae” (Matt. XV, 19). Un cuor maligno, un cuore infetto manda queste nere esalazioni alla mente, e i mali pensieri si accordano colle cattive affezioni del cuore. Datemi un cuor retto, in un cuor retto abita la carità, e la carità non ammette pensieri malvagi, charitas non cogitat malum (1 Ad Cor., XIII). Retto, rettissimo era il cuore di S. Giuseppe, e benché avesse sott’occhio la pregnezza della sua sposa, ben lontano dal concepirne sinistra idea, l’ammirava come uno specchio della più illibata onestà, e voleva ritirarsi per lasciarne a Dio il pensiero. Retto era il cuore di Valentiniano imperatore, che al riferir di S. Ambrogio, non sapeva pensar male de’ suoi sudditi, tuttoché delinquenti. Se giovani attribuiva la colpa all’ardor del sangue in quell’inesperta età, se vecchi, alla debolezza della mente, se poveri, alla necessità e alla miseria, se ricchi, alla forza della tentazione. In somma separava sempre l’intenzione dall’azion cattiva, e volea più tosto ingannarsi col pensar bene, che far violenza al suo cuore pensando male. Così è un cuor ben fatto, un cuor innocente sarà la vittima dell’altrui malizia, piuttosto che pensar male dell’altrui condotta.

Tutto l’opposto per chi ha in seno un cuor mal affetto: per la rea sua disposizione vede colla fantasia quel che non si presenta alla vista, tutto interpreta in senso obliquo, studia, macchina sull’altrui conto, esamina, critica parole, azioni, costumi senza eccezion di persone, cerca il nodo nel giunco, e trova il suo gusto in pascersi di dubbi immaginari, idee chimeriche, d’aerei supposti, di temerari sospetti, di sinistri giudizi. Che occupazione pessima è questa mai! Quanto di danno all’anima, quanto d’ingiuria al prossimo, quanto di offesa a Dio!

Miei dilettissimi questi disordini son troppo contrari alla virtù non solo e alla divina legge, ma alla ragione pur anche ed al buon senso. Volete evitarli? Togliete dall’occhio vostro la trave, togliete cioè dal vostro animo la passione, la malignità, l’avversione, l’invidia che fan vedere negli occhi altrui le festuche, e le fan comparire legnami da fabbriche. Non giudicate dall’apparenza. La Maddalena appariva a Simone il lebbroso tuttavia peccatrice, ed era già giustificata e santa. Non giudicate sugli altrui rapporti quasi sempre falsi e calunniosi. Per questi la casta Susanna, creduta colpevole, fu prossima ad essere lapidata, se Dio pel profeta Daniele non avesse difesa la sua innocenza. Non giudicate in modo veruno, perché ignorando l’intenzione dell’operante, non potete avere cognizione di causa, né pur la Chiesa dell’interno. Non giudicate perché non avete autorità; a Dio solo spetta il giudizio, e non a voi. Il giudizio che farete del vostro prossimo formerà il processo del giudizio vostro al tribunale di Cristo giudice. La stessa misura che adopererete per gli altri, sarà quella con cui sarete voi misurati. “Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remitietur vobis”. Non giudicate, miei cari, e non sarete giudicati, “nolite iudicare et non iudicabimini”: non condannate, e non sarete condannati, “nolite condemnare, et non condemnabimini ”.

Missione dello Spirito Santo.

Missione dello Spirito Santo

[mons. J.J.Gaume: “Trattato dello Spirito Santo”. Firenze-1887-]

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     Per quanto lo permettano le oscurità della presente vita, noi conosciamo lo Spirito Santo in sé medesimo. Esso è la terza Persona della SS. Trinità. Egli è Dio come il Padre ed il Figliuolo. Ei procede dall’uno e dall’altro mediante una sola spirazione e come da un solo e medesimo Principio, senza che per ciò vi sia né posterità, né priorità, né ineguaglianza qualsiasi tra Colui che procede e quelli da’ quali egli procede. Esso è il fondatore e il Re della Città del bene. Sotto i suoi ordini diretti sono poste tutte le schiere angeliche, notte e giorno dappertutto, per proteggere nelle quattro parti del mondo, i fratelli del Verbo incarnato contro gli assalti delle legioni infernali. Amore consustanziale del Padre e del Figliuolo, a Lui si attribuisce per appropriazione di linguaggio, l’opera per eccellenza dell’adorabile Trinità. Qual’è quest’opera? La creazione? No! La Redenzione? No!. Qual’è dunque? La santificazione e la glorificazione; il Padre crea, il Figliuolo riscatta, lo Spirito Santo santifica; il Padre fa degli uomini, il Figliuolo dei Cristiani, lo Spirito Santo dei Santi e dei beati. L’opera dello Spirito Santo è dunque più sublime di quella del Padre e del Figliuolo, poiché essa è il compimento e dell’una e dell’altra. [“Haec est enim voluntas Dei sanctifìcatio vestra”. I Thess., IV, 3.]

Che quest’opera suprema appartenga allo Spirito Santo, la prova è chiara. È Esso che forma Maria, la Madre del Redentore e, nel seno verginale di Maria, il Redentore medesimo. Esso che Lo dirige, che Lo ispira, che Gli dà incarico di fare miracoli e che Lo glorifica: “Ille me glorificabit”. Come prolungamento di quest’opera di universale santificazione, è Esso che forma la Chiesa, Madre del cristiano, e nel seno verginale della Chiesa, lo stesso cristiano, fratello del Verbo incarnato. Esso che lo dirige, che lo ispira, che lo innalza a poco a poco alla santificazione, e dalla santificazione alla gloria. [“Verbum caro factum habuit a Spiritu sancto, qui totum hoc unionis hominis cum Deo opus in Christo peregit, eumque ita sanctificavit, ut illi virtutem dederit omnes homines sanctifìcandi“. In Epist. Ad Rom c. I, 4.]. Questa grande opera, magnifica sintesi di tutte le opere del Padre e del Figliuolo, non poteva rimanere isolata nelle inaccessibili regioni dell’eternità. Che anzi, doveva essa diventare palpabile e compiersi nel tempo. Per compierla, lo Spirito Santo ha dunque avuto una missione. Prima di andare più oltre fa d’uopo spiegare questa parola tanto spesso pronunziata e tanto poco intesa. Allorché essa parla delle divine Persone, la Teologia cattolica intende per missione: “La eterna destinazione di una persona della Trinità al compimento di un opera del tempo: destinazione che le è data dalla Persona da cui essa procede” [“Missio est unius personae a persona ex qua procedit destinatio ad aliquem effectum temporalem”. Vid. S. Th., i p., q. 43, art. 2, ad 2. — Vitass., De Triniti q. 8, art. 5.]. Fin da “ab eterno” era deciso che il Verbo si farebbe uomo e verrebbe nel mondo per salvarlo [“Non enim misit Deus Filium suum in mundum, ut sudice mundum, sed ut salvetur mundus per ipsum”. Joan., III, 17.]: ecco la sua missione. Fin da “ab eterno” era deciso che lo Spirito Santo verrebbe nel mondo per santificarlo: ecco la sua missione!

Parimente nelle Persone divine, vi sono tante missioni divine quante sono processioni. Il Padre non ha missione, perché Egli non procede da nessuno. Il Figliuolo riceve la sua missione dal Padre solo, perché non procede che da Lui. [“Qui misit me Pater“. Joan VIII, 16. — “Misit Deus Filium suum“. Gal., IV, 4.]. Lo Spirito Santo riceve la sua missione dal Padre e dal Figliuolo, perché Egli procede dall’uno e dall’altro. [“Cum autem venerit Paracletus, quem ego mittam vobis a Patre”. Joan., XV, 26].  Ascoltiamo sant’Agostino: « Il Figliuolo, dice, è mandato dal Padre, perché è apparso nella carne, e non il Padre. Vediamo altresì che lo Spirito Santo è stato mandato dal Figliuolo: “Quando Io me n’anderò, Io ve lo manderò”; e dal Padre: Il Padre ve Lo manderà in mio nome. Con ciò, vedesi chiaro che il Padre senza il Figliuolo, né il Figliuolo senza il Padre non ha mandato lo Spirito Santo; ma ha ricevuto la sua missione dall’uno e dall’ altro. Del Padre solo non si legge in nessun luogo che sia stato mandato. E la ragione è che Egli non è né generato, né procedente da nessuno. Infatti, non è né la luce, né il calore che manda il fuoco; ma è il fuoco che manda il calore e la luce. » [Contra Serm. Arian., c. IV, n. 4, opp. t. VIII, p. 964].

Ammiriamo per un po’ la profonda giustezza del divino linguaggio. Allorché egli annunziava lo Spirito Santo ai suoi Apostoli, il Verbo incarnato dice: « Egli mi glorificherà, imperocché Egli prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto ciò che appartiene a mio Padre è mio. Ecco perché ho detto: Egli prenderà del mio e ve l’annunzierà. » [Joan. XVI, 14, 15]. Non dice, prenderà di me, perché sarebbe dire in qualche maniera, ch’Egli sarebbe il solo principio dello Spirito Santo, e che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo, come il Figliuolo procede dal Padre, vale a dire da Lui solo. Ma non è cosi. Per questo Egli dice: Egli piglierà del mio, e non “di me”. Imperocché, ancorché Egli prenda da Lui, non prende di Lui tranne ciò che Egli medesimo ha preso dal Padre. Di guisa che la missione dello Spirito Santo viene insieme e dal Figliuolo e dal Padre, dal quale il Figliuolo stesso ha tutto ricevuto. Del resto, non bisogna credere che la missione implichi una inferiorità qualunque in colui che la riceve, relativamente a colui che la dà. La missione non denota molto meno una inferiorità, quanto la stessa processione di cui è la conseguenza: l’Angelo della scuola dice con ragione: « Nelle persone divine, la missione è senza separazione, senza divisione della natura divina che è una, e la medesima nel Padre e nel Figliuolo e nello Spirito Santo; essa non indica dunque che una semplice distinzione d’origine. » [“Talis missio est sine separatione, sed habet solam distinctionem originis“, I p., q. 48, art. 1, ad 4]. Cosi, per adoperare un paragone imperfetto, il raggio è mandato dal centro, e il fiore dalla pianta, senza esserne separato, e conservando la natura dell’uno e dell’altro. Completiamo queste nozioni fondamentali, aggiungendo che vi sono due sorta di missioni per il Figliuolo e per lo Spirito Santo: una visibile e l’altra invisibile.  Per il Figliuolo, la missione visibile fu l’Incarnazione: per lo Spirito Santo: la sua comparsa al battesimo di Nostro Signore, sul Thabor, e il giorno della Pentecoste.

Per il Figliuolo, la missione invisibile ha luogo tutte le volte che Egli viene, Sapienza infinita, e Luce soprannaturale a comunicarsi all’anima preparata, nella quale abita come nel suo tempio; per lo Spirito Santo, la missione invisibile si rinnova ogni volta che viene, come Amore infinito, Carità soprannaturale, a comunicarsi all’anima ben disposta, nella quale egli abita come in suo santuario. [S. Aug., apud S. 71., i p., q. 48, art. 6, ad 1]. Lo scopo di questa duplice missione è di assimilare l’anima alla Persona divina che gli è inviata: “Similis ei erimus”. Ora, siccome il Figlio, Luce eterna, e lo Spirito Santo, Amore eterno, sono stati mandati per l’intero mondo, così l’intenzione di Dio è di assimilarsi l’umano genere, e assimilandoselo, mediante la verità e la carità, di deificarlo. O uomo! se tu comprendessi il dono di Dio: “Si scires donum Dei!” Cotale missione, nel concetto divino, non è transitoria ma permanente: essa è infatti fino a che l’uomo non vi pone fine col peccato mortale. Essa non arreca soltanto all’anima i lumi del Figliuolo e i doni dello Spirito Santo: ma il Figliuolo e lo Spirito Santo vengono in Persona ad abitare in lei. [“Si quis diligit me…. ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus”. Joan., XIV, 23]. Completare l’opera del Verbo, facendo nei cuori ciò ch’Egli aveva fatto nelle menti, compiere così la trasformazione dell’uomo in Dio: tale è la magnifica missione dello Spirito Santo. In ragione stessa della sua importanza, essa dovette essere l’ultimo termine del concetto divino; per conseguenza l’anima della storia, il motore e la chiave di tutti gli avvenimenti compiuti dall’origine del mondo in poi. Se dunque l’Incarnazione del Verbo ha dovuto essere conosciuta da tutti i popoli; e per ciò, promessa, figurata; predetta, preparata sino dalla nascita dell’uomo, con più forte ragione ha dovuto essere altrettanto della missione dello Spirito Santo, compimento dell’Incarnazione; i fatti confermano il ragionamento.

Spirito Santo

Ora, affinché sia bene inteso che le promesse, le figure, le profezie, le preparazioni di cui andremo disegnando il quadro, si riferiscono alla terza persona della SS. Trinità, e non ad un altro spirito, è bene il ricordare l’insegnamento dei Padri, intorno al significato della parola “Spirito” nella Scrittura. Basti a noi udire sant’Agostino : « Si può, dice egli, domandare se, allorquando la Scrittura dice lo “Spirito di Dio”, senza aggiungere niente, bisogni intendere lo Spirito Santo, la terza Persona della Trinità consustanziale al Padre ed al Figliuolo; per esempio: “Là dove è lo Spirito di Dio, ivi è la libertà”, e altrove: “Iddio ce l’ha rivelato mediante il suo Spirito”; e altresì: “ciò che è nascosto in Dio, nessuno lo sa, fuorché lo Spirito di Dio”. In questi passi, come in moltissimi altri dove nulla è aggiunto, si tratta evidentemente dello Spirito Santo. Il contesto lo fa comprendere abbastanza. Difatti, di chi altri parla la Scrittura quando dice: “Lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siamo i figliuoli di Dio”; e: “lo Spirito medesimo, aiuta la nostra infermità, è un solo e medesimo Spirito che opera tutte queste cose distribuendole a ciascuno come gli piace”. In tutti questi luoghi, né la parola Dio, né la parola Santo, è aggiunta alla parola Spirito; e nonostante si parli chiaramente dello Spirito Santo. « Io non so se si potrebbe provare con un esempio solo, autentico, che là dove la Scrittura nomina lo Spirito di Dio senza aggiunta, essa non voglia parlare dello Spirito Santo, ma bensì di un altro spirito buono quantunque creato. Tutti i testi citati per stabilire il contrario sono dubbiosi, ed avrebbero bisogno di chiarimento. » [De divers. Quaest. lib. II. n. 6, p. 187, opp. t. VI, S. Th., I p., q. 74, art. III, ad 4].

Come vedemmo, nei consigli eterni era deciso che due Persone dell’Augusta Trinità discenderebbero visibilmente sulla terra: il Figliuolo per salvare il mondo coi suoi meriti infiniti, lo Spirito Santo per santificarlo con la effusione delle sue grazie. Ma quando un monarca, teneramente amato dal suo popolo, deve visitare le diverse parti del suo regno per seminare dei benefizi, tutti gli spiriti sono preoccupati della sua venuta. La fama lo precede; come pure i corrieri: tutte le strade si aprono dinanzi a lui, e niente è dimenticato per preparargli un ricevimento degno delle speranze ch’egli fa nascere, e dell’entusiasmo che ispira. Non vi è cristiano che non lo sappia: ecco ciò che ha fatto Dio per preparare la venuta del Verbo incarnato. Promesso, figurato, predetto, atteso per quaranta secoli, il Desiderato delle genti, domina maestosamente il mondo antico. Esso è l’anima della Legge e dei Profeti, l’oggetto di tutti i voti, la fine di tutti gli avvenimenti, lo scopo dell’innalzamento e della caduta degli imperi: insomma Egli è l’asse divina intorno a cui gira tutto il governo dell’universo. Questa preparazione, sorprendente per grandezza e per maestà, non era dovuta soltanto alla seconda Persona della SS. Trinità, ma altresì alla TERZA! Eguale al Figliuolo per la dignità di sua natura, superiore in un senso per la sublimità della sua missione, e dovendo come il Figliuolo scendere personalmente sulla terra, lo Spirito Santo doveva, come il Messia, essere preceduto da una lunga sequela di promesse, di figure, di profezie, di preparazioni, per essere non meno del Messia, l’oggetto costante dell’ universale aspettativa: “Desideratus cunctis gentibus”. Questa induzione della fede non inganna punto. La storia ci mostrerà la terza Persona della Trinità, occupante lo stesso posto della seconda, e nel concetto di Dio, e nella speranza del genere umano e nella direzione di tutti gli avvenimenti del mondo antico, per il lungo intervallo di quattromila anni.