I NOVISSIMI

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[da. I tesori di Cornelio Alapide – vol. II)

-1.- Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. — 2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. — 3. Come dobbiamo ricordare i novissimi.

novissimi

 1. -Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. — I novissimi, cioè gli ultimi fini, sono la morte, il giudizio, il paradiso, l’inferno, l’eternità. Dimenticare cose di tanta importanza, non prevederle, non prepararvisi, è la somma delle disgrazie che possa accadere ad un uomo. Infatti dimenticare la morte, vuol dire non pensare a prepararvisi, ed avventurarsi alla triste morte del peccatore: disgrazia irreparabile. Dimenticare il giudizio di Dio è un disprezzarlo; e allora sarà molto terribile questo giudizio. Dimenticare il cielo è grande sciagura, perché così facendo non si fa nulla per guadagnarlo, e si perde; e perduto il paradiso, tutto è perduto. Dimenticare l’inferno, è un andarvi incontro; e chi vi si incammina, facilmente vi precipita. Dimenticare l’eternità, è lo stesso che perdere il tempo e l’eternità; si può immaginare disgrazia più tremenda? Ciò non ostante, oh come è comune nel mondo la dimenticanza dei novissimi! Per ciò Gesù fulminò quello spaventevole anatema: «Guai al mondo» (Matth. XVIII, 7). A quanti si possono rivolgere quelle parole del Signore nel Deuteronomio: « Gente senza consiglio e senza prudenza, perché non aprire gli occhi e comprendere e provvedere ai loro novissimi? » (XXXII, 28-29). E quelle altre d’Isaia : « Tu non hai pensato a queste cose, e non ti sei ricordato dei tuoi novissimi » (- Terribile imprudenza che ha conseguenze fatali è quella di dimenticare le cose future, di non considerare i novissimi per arrivarvi preparati. Che onta, che rabbia non sarà per i figli del mondo l’udirsi rinfacciare dai demoni nell’inferno: O sciagurati! voi sapevate che c’era un inferno, e potendolo schivare con poco costo, vi ci siete tuffati a capo fitto! Voi avete dimenticato i novissimi, e avete perduto tutto. Ci si parla dei nostri novissimi; noi li conosciamo, vi crediamo, e intanto operiamo come se non ci riguardassero affatto e non ne diventiamo migliori! O cecità fatale! O follia incredibile! O uomini stupidi e da compiangersi! Non pensare, non penetrare, non temere cose tanto gravi, non prepararvisi!

2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. — « In tutte le tue opere, dice il Savio, proponiti sotto gli occhi i tuoi novissimi, e non cadrai mai in peccato » (Eccli. VII, 40). La ragione è chiara, poiché il fine che uno si propone, diventa il principio e la regola di tutte le azioni; ora il fine di tutte le cose sta compreso essenzialmente nei fini ultimi, ossia nei novissimi. Tutte le persone operano per un fine; perché dunque non operare guardando ai fini ultimi?… Chi dice a se stesso, quando si sente tentato a offendere Dio: Al punto di morte, vorrò io aver commesso questo peccato? — tosto si mette su l’avviso e resiste. — Quando sarò innanzi al tribunale di Dio, quando il Giudice divino mi peserà nella bilancia della sua giustizia, vorrò che il peso dei miei misfatti vinca quello delle mie virtù? Ebbene, schiverò il peccato e praticherò la virtù. Mi sta a cuore di passare dal tribunale di Dio al cielo? dunque mi studierò di guadagnarmi questo cielo. Forse che mi garberà udirmi al giudizio quella terribile sentenza : “Partitevi da me, o maledetti, e andate al fuoco eterno?” Dio me ne scampi! Dunque mi applicherò a chiudermi l’inferno per sempre, schivando soprattutto il peccato mortale. Quando entrerò nell’eternità, vorrò io aver perduto il tempo? Certo che no: conviene dunque che non ne perda un istante; — queste sono le salutari considerazioni che fa colui il quale non dimentica i suoi novissimi. Dunque chi non vede ch’egli diventa quasi impeccabile, compiendosi in lui il detto dello Spirito Santo — Il fine dell’uomo che è la beatitudine eterna, lo porta alla fuga del peccato e alla pratica della virtù, come a mezzi coi quali si ottiene la beatitudine. Per ciò S. Agostino dice: «La considerazione di questa sentenza: — Ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno — è la distruzione dell’orgoglio, dell’invidia, della malignità, della lussuria, della vanità e della superbia, il fondamento della disciplina e dell’ordine, la perfezione della santità, la preparazione alla salute eterna. Se ti preme non andare perduto, guarda in questo specchio dei tuoi novissimi ciò che sei e ciò che sarai tu la cui concezione è macchia vergognosa, l’origine è fango, il termine è putredine. Davanti a questo specchio, cioè in faccia ai novissimi, che cosa diventano le delicate imbandigioni, i vini squisiti, le splendide calzature, il lusso del vestire, la mollezza della carne, la ghiottoneria, la crapula, l’ubriachezza, la magnificenza dei palazzi, l’estensione dei poderi, l’accumulamento delle ricchezze? ». Prendiamo dunque il consiglio di S. Bernardo e nel cominciare un’azione qualunque diciamo a noi medesimi: Farei io questo, se dovessi morire in questo momento? (In Speculo monach.). Simile a quella di S. Bernardo è la regola di condotta suggerita da Siracide, per ordinare e santificare tutte le nostre azioni: « In ogni tua impresa scegli quello che vorresti aver fatto e scelto quando sarai in punto di morte ». Fate tutte le vostre azioni come vorreste averle fatte il giorno in cui comparirete innanzi a tutto il mondo, per renderne conto al supremo tribunale di Dio. Non fate cosa di cui abbiate a pentirvi eternamente: schivate quello che vi farebbe piangere per tutta l’eternità, quello che vi toccherebbe pagare nell’eterno abisso dell’inferno. Studiatevi di fare benissimo e perfettissimamente ogni cosa, affinché abbiate da rallegrarvi di tutto ciò che pensate, dite, e fate; e ne riceviate una ricca mercede in cielo. Ora la memoria dei novissimi procura tutti questi vantaggi… Non dimenticate anche che sono prossimi i vostri novissimi…; che incerta è l’ultima ora… Chi non teme una cattiva morte, come avrà paura del giudizio e dell’inferno? Ah! se gli uomini pensassero di frequente al giorno della loro morte, preserverebbero la loro anima da ogni cupidigia e malizia… O voi, che volete essere eternamente felici, pensate sempre a quella sentenza. — Parlando di Gerusalemme, Geremia dice che « ella si dimenticò del suo fine, per ciò sdrucciolò in un profondo abisso di miserie e di degradazione » (Lament. I, 9). Dunque, pensando agli ultimi fini non si cade, e chi è caduto, si rialza. « Noi cessiamo di peccare, dice S. Gregorio, quando temiamo i tormenti futuri ». Ripetiamo anche noi col Salmista: « Ho pensato ai giorni antichi, ho meditato gli anni eterni » (Psalm. LXXVI, 5).

  1. Come dobbiamo ricordare i novissimi. — Perché il ricordo dei novissimi abbia tutta l’efficacia che ne promette lo Spirito Santo, conviene in primo luogo che non si fermi soltanto sopra di uno, ma li abbracci tutti. Per qualcuno infatti il pensiero della morte, invece di essere incentivo al bene, può essere uno stimolo al male: « La nostra vita sfumerà come nebbia » (Sap. II, 3), dissero gli empi ricordandosi della loro morte imminente; ma da questo pensiero conclusero: « Venite dunque e godiamo finché abbiamo tempo » (Ib. 6). Perciò non dice il Savio nel citato testo: memorare novissimum tuum, ma novissima tua; perché il pensiero della morte riesca proficuo, ricordiamoci che alla morte terrà dietro un duro giudizio (Hebr. IX, 27); che al giudizio andrà annessa una sentenza o di eterna pena o di eterno premio (Matth. XXV, 46). Dal ricordo dei novissimi trae pure un gran vantaggio la vita spirituale del cristiano, la quale consistendo nella pratica delle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, trova nella meditazione dei novissimi un ottimo alimento. Infatti il ricordo della morte distrugge l’ambizione e la superbia, e così dà la prudenza. La memoria del giudizio, mettendoci dinanzi agli occhi quel Giudice rigoroso, ci porta a usare giustizia e bontà col prossimo. Il ricordo dell’inferno reprime l’appetito dei piaceri illeciti e così avvalora la temperanza. La memoria del Paradiso diminuisce il timore dei patimenti di questa vita e cosi rinsalda la fortezza. – Si richiede in secondo luogo, che questo ricordo sia fatto su la propria persona, come pare ci dica il Savio il quale non dice semplicemente: memorare novissima, ma vi aggiunge tua. Quanti vi sono, che ricordano i novissimi anche spesso, ora discorrendone nelle chiese, ora trattandone nei libri, ora disputandone su le cattedre, ora figurandoli o su marmi, o su bronzi o su tele? eppure non menano tutti una vita santa. Bisogna che chi ricorda i novissimi, pensi che proprio lui si troverà, e forse tra brevissimo tempo, al letto di morte… nella bara, al camposanto… Che proprio lui si presenterà al giudizio di Dio e a lui toccherà il castigo o il premio eterno. Conviene in terzo luogo che questo ricordo dei novissimi non sia cosa speculativa ma pratica, perciò lo Spirito Santo fa precedere al testo citato quelle parole: in ogni tua azione. Se prima di ogni azione considerassimo i novissimi, non solo eviteremmo il peccato, ma troveremmo in quella considerazione la forza di praticare le più eroiche virtù. Sarebbe poi un errore il credere che il pensiero dei novissimi porti con sé la tristezza. Se lo Spirito Santo ci assicura che il ricordo frequente dei novissimi basta a tenerci pura la coscienza: — In aeternum non peccabis — è cosa chiara che porta con se la gioia del cuore che è la più grande di tutte le gioie. — Non est oblectamentum super cordis gaudium (Eccli. XXX, 16). E ne abbiamo infatti una conferma nel medesimo Ecclesiastico il quale dopo di aver detto in altro luogo: « Non abbandonarti alla tristezza, ma cacciala da te» (XXXVIII, 21), soggiunge subito: e ricordati dei novissimi, quasi che il pensiero dei novissimi sia il più sicuro per tenere lontana dal cuore umano la tristezza.

25 maggio: SAN GREGORIO VII, PAPA E CONFESSORE

“Diléxi iustítiam et odívi iniquitátem, proptérea morior in exsílio”.

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Papa Gregorio VII, di nome Ildebrando, nacque a Siena in Toscana. Grande innanzitutto per dottrina, santità e ogni virtù, diede gloria mirabile a tutta la Chiesa di Dio. Adolescente, rivestì l’abito religioso nel monastero di Cluny e servì Dio con tanto ardore di pietà da essere eletto priore dai padri di quel monastero. Nominato poi abate del monastero di san Paolo fuori le mura, a Roma, e più tardi ancora cardinale di santa romana Chiesa, portò a compimento importantissimi incarichi e legazioni sotto i sommi pontefici Leone IX, Vittore II, Stefano IX, Nicolò II e Alessandro II. Alla morte di papa Alessandro, fu eletto, con unanime consenso, Sommo Pontefice. Emerse come combattente e strenuo difensore delle libertà ecclesiastiche. Per questo soffrì molto e fu costretto ad allontanarsi da Roma. Mentre stava per morire, le sue ultime parole furono : « Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità perciò muoio in esilio ». Salì al cielo nel 1085, e il suo corpo fu sepolto con grandi onoranze nella cattedrale di Salerno.

In un momento particolarmente critico per la Santa Chiesa, il monaco Ildebrando, divenuto Papa con il nome di Gregorio VII, si trovò ad affrontare le gravi minacce che il potere temporale portava alla libertà della Chiesa. Celebre è la sua resistenza, da uomo forte qual’era, alle pretese di Enrico IV con relative scomuniche, antipapa, scisma ed episodi da narrazione epica. Le sofferenze derivategli da queste vicende turbinose vengono descritte da lui stesso in una lettera indirizzata a sant’Ugo di Cluny. « Tali sono, egli dice, le angosce alle quali siamo in preda, che quegli stessi che vivono con noi, non soltanto non possono più sopportarle, ma non ne sostengono neppure più la vista. Il santo re Davide diceva al Signore: “All’affollarsi de’ miei interni affanni, le tue consolazioni mi deliziano l’anima” (Sal. XCIII, 19); ma per noi, molto spesso, la vita è una noia e la morte un voto ardente. Se accade che Gesù, il dolce consolatore, vero Dio e vero uomo, si degni tendermi la mano, la sua bontà rende la gioia al mio cuore afflitto; ma per poco che Egli si ritiri, la mia perturbazione giunge all’eccesso. In quel che dipende da me, muoio continuamente; in ciò che viene da Lui, a momenti io vivo. Se le mie forze cedono del tutto, io grido dicendogli con voce gemente: “Se imponesti un fardello così pesante a Mosè ed a Pietro, mi pare che ne sarebbero sopraffatti”. Cosa può succedere di me, che sono niente, in confronto a loro? Tu, dunque, Signore, non devi fare che una cosa: governare Tu stesso con il tuo Pietro il Pontificato che mi è imposto; altrimenti mi vedrai soccombere; ed il pontificato sarà ricoperto di confusione nella mia persona».

È Roberto il Guiscardo che con i Normanni giunge a Roma a cacciare lo scomunicato Enrico IV ed il falso papa da questi illegittimamente insediato, mettendo a sacco la città eterna. Gregorio trova temporaneo rifugio nell’abazia di Cassino, ove tra l’altro si verifica un significativo episodio: durante la Messa, una colomba bianca si posa sulla sua spalla e gli parla all’orecchio: non è difficile, da questo esplicito simbolo, riconoscere l’azione dello Spirito Santo che dirigeva e governava i pensieri e gli atti del santo Pontefice. Nei primi mesi del 1085 si reca allora a Salerno ove presiede alla dedicazione della Chiesa nella quale ancora oggi riposa il corpo di San Matteo. Muore così in esilio, lontano dalla Cattedra di cui era legittimo occupante, compiendo un martirio non cruento, ma non meno doloroso ed umiliante, perdonando, come Gesù Cristo sulla croce, coloro che lo avevano offeso, tranne i figli della perdizione (Enrico IV e l’usurpante Guiberto), ed affidando l’intrepida contessa Matilde di Canossa al coraggioso vescovo Anselmo di Lucca.

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In omaggio a Gregorio VII, il cardinale Siri, eletto una prima volta Papa nel conclave del 1958, scelse il nome di Gregorio XVII, e di lui ironicamente seguì la sorte. Anch’egli infatti morì dopo lungo esilio a Genova, costretto da “coloro che hanno per padre il diavolo”, e dai loro adepti, i “marrani della quinta colonna nella Chiesa”, a lasciare la cattedra di Pietro in balia degli usurpanti che avrebbero dovuto portare, secondo i piani, allo sfascio totale la Chiesa cattolica, ma … “Qui habitat in caelis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos”. [Se ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall’alto il Signore].

    Ancora molti cattolici oggi non hanno familiarità, o hanno grandi difficoltà, solo a pensare come anche qualche altro Papa sia stato costretto all’esilio. Così è opportuno citare i precedenti storici (esempi concreti) dei Papi legittimi e validamente ordinati che furono costretti all’esilio da Roma a causa dei nemici della fede, prima del ventesimo secolo.

Il seguente è un elenco parziale dei Papi che sono stati costretti all’esilio da Roma prima del ventesimo secolo. La maggior parte di essi morì o fu martirizzata mentre era ancora in esilio:

  • S.Clemente I: esiliato e martirizzato
  • S.Ponziano: Esiliato e martirizzato
  • S. Cornelio: Esiliato e martirizzato.
  • Liberio: Esiliato durante l’eresia ariana.
  • San Lucio.
  • S. Stefano I: Morì in esilio.
  • S. Marcello I: Morì e fu martirizzato.
  • S. Eusebio: Morì in esilio.
  • San Silverio: Esiliato e martirizzato
  • S. Martino I esiliato e martirizzato.
  • San Leone IX
  • Innocenzo II: Esiliato per 8 anni ma riconquistò il seggio di Pietro a Roma dopo l’abdicazione dell’antipapa Vittorio IV.
  • S. Gregorio VII: morì in esilio a Salerno.
  • Pio VI: Morì a Valencia!
  • Pio VII: Esiliato e imprigionato da Napoleone per 15 anni!
  • Pio IX: Esiliato a Gaeta per 9 mesi, è stato successivamente un prigioniero in Vaticano!

La successiva, invece, è una lista parziale degli antipapi che hanno usurpato l’ufficio di Papa a Roma, sia durante la sua assenza, sia anche simultaneamente alla presenza di un vero Papa, prima del ventesimo secolo:

  • Ippolito: 217-235 D.C.
  • Novaziano: 251 D.C.
  • Felice II: Novembre 355-365 D.C.
  • Cristoforo: Settembre 903 – gennaio 904 D.C.
  • Bonifacio VII: Giugno e luglio, 974 e agosto 984 – luglio 985 D.C.
  • Benedetto IX: Fu dapprima eletto come vero papa nel 1032 A.D.; successivamente dimessosi, tornò come antipapa dal novembre 1047 al luglio 1048 D.C.
  • Benedetto X: dall’aprile 1058 al gennaio del 1059 D.C.
  • Silvestro IV: Novembre 1105 -1111 D.C.
  • Celestino II: 1124 D.C.
  • Anacleto II: da Febbraio 1030 a gennaio 1038 D.C.
  • Vittore IV: 1038 da marzo a maggio 1038 D.C.
  • * Giovanni XXIII: dal maggio 1410 a maggio 1415 A.D. (Cardinale Baldassarre Cosa) che è rimasto a Roma dal 1411 al 1413 durante lo scisma che si protrasse dal 1378 al 1418 D.C.

*Nota: Angelo Roncalli dopo aver usurpato l’ufficio papale di Papa Gregorio XVII [“Siri”] nel 1958 D.C., prese il nome di Giovanni XXIII, lo stesso nome dell’anti-papa Baldassarre Cosa, che usurpò l’ufficio pontifico durante l’esilio del vero Papa, ed una volta effettuata la sua usurpazione, anche nella stessa Roma. La politica nella Chiesa Romana è sempre stata quella di non prendere il nome di un anti-papa. Molti hanno già compreso che questo è stato un segnale criptico dell’anti-Papa Roncalli (che ha convocato l’apostata Pseudo-Concilio Vaticano II e fatto cardinale il principale agente marrano, capo degli Illuminati di Baviera, G.B. Montini) ai suoi compagni “fratelli” in tutto il mondo per segnalare a coloro che “dovevano capire”, che era iniziata la “rivoluzione finale”, gli stessi ai quali poi Montini segnalava gongolante che, grazie a lui, “il fumo di satana, era penetrato nella Chiesa” – [intelligenti pauca!]

mad. Salette

“Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo… La Chiesa sarà in eclissi..”, queste parole si sono compiutamente realizzate ai nostri tempi, fino all’ultima sillaba.

[Nostra Signora di La Salette a Melanie Calvat nel 1846 A.D., in un’apparizione riconosciuta  ed approvata pienamente dalla Chiesa]