LA GRAZIA E LA GLORIA (28)

LA GRAZIA E LA GLORIA (28)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

I.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

TOMO PRIMO

LIBRO VI.

LA NOSTRA FILIAZIONE NEL SUO RAPPORTO CON LA TERZA PERSONA DELLA TRINITÀ

CAPITOLO II.

Cos’è lo Spirito Santo in se stesso. Come Esso sia la Santità santificante, il Dono del Padre e del Figlio, e come un complemento della Trinità.

1. – Se lo Spirito di Dio, la terza Persona dell’adorabile Trinità, è l’amore sostanziale e personale, Esso deve essere lo Spirito Santo, lo Spirito di santità, la Santità Santificante. La conseguenza è evidente. Perché cos’è la santità se non il perfetto amore di Dio, la carità? Un compagno inseparabile in noi della grazia santificante! Questo è il motivo per cui S. Paolo chiama la carità il vincolo della perfezione (Col. V., 14) e il fine della fede (1 Tim., I, 5); per questo è chiamata da San Giacomo il comandamento reale. Amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le proprie forze, è essere santi, tanto più santi quanto più profondamente l’amore di Dio affonda le sue radici nell’anima e più completamente si impadronisce del governo della sua vita. – Interroghiamo la Teologia per imparare da essa ciò che costituisce precisamente la santità. Essa risponde che la santità consiste, prima di tutto, nell’unione dell’anima con Dio come suo principio e fine ultimo; o, per usare altri termini ugualmente consacrati dalla Scuola, nella conversione dell’anima a Dio. Parlo di un’unione, una conversione, non semplicemente transitoria e fugace, ma abituale e permanente per sua natura. Questo significa che il principio fondamentale della santità debba essere l’amore di Dio: perché è l’amore che ci volge verso Dio, come verso il nostro fine ultimo, e ci fa aderire pienamente alla sua suprema bontà; ma è l’amore, come l’abbiamo studiato nel terzo libro di quest’opera, l’amore radicato nella grazia abituale, e che esce da questa grazia interiore come suo principio naturale. – A questo elemento costitutivo della santità ne sono legati altri due che sono solo sue conseguenze: la purezza e la fermezza. La  Purezza: « La santità in sé – dice l’autore dei Nomi Divini – è una purezza libera da ogni crimine, pienamente perfetta, senza la minima macchia » (S. Dion., de div. Nomin., c. 12). Tutto ciò che contamina l’anima, tutto ciò che tende a renderla meno pura, è una deviazione dall’amore, e quindi interrompe o almeno indebolisce e ritarda il suo movimento verso Dio. La Fermezza: perché l’unione del cuore con il Bene Sovrano non è come la tendenza ai beni finiti e contingenti. Questi, essendo solo mezzi con cui dobbiamo aiutarci per tendere all’acquisizione del nostro fine ultimo, devono quindi essere perseguiti solo con misura; ma quello, essendo il nostro fine supremo, richiede una costanza incrollabile nella tendenza. Ho cercato di riassumere fedelmente la dottrina sviluppata più a lungo dal Dottore Angelico (S. Thom. 2. 2. Q. 181, a. 8; Comp. Theol., c. 46-47, ecc.). Questo è sufficiente per farci capire come questi due caratteri dello Spirito Santo, l’amore e la santità, siano legati l’uno all’altro, e di fatto formino una sola e medesima proprietà personale (A sostegno di questa dottrina, citiamo un passo della lettera Enciclica di Leone XIII, Divinum – 9 maggio 1897 -: « Lo Spirito Santo è chiamato Santo, perché, essendo il primo e supremo Amore, dirige le anime verso la santità, che consiste giustamente nell’amore per Dio »). – Lo Spirito di Dio è amore, quindi è unione con la Bontà suprema; un’unione così intima e perfetta che arriva fino all’unità. Lo Spirito di Dio è amore, e questo amore è il termine infinito delle compiacenze divine del Padre e del Figlio nella loro infinita bellezza; quindi, esclude ogni affezione che sarebbe un disordine dell’amore. Lo Spirito di Dio è amore e questo amore è Dio: quindi Esso partecipa alla stabilità eterna ed immutabile di Dio. Non è la Santità sovrana, perfetta? E questa Santità è per eccellenza una virtù santificante. Perché è così? Perché è l’esemplare ed il prototipo di tutta la carità nella creatura; perché la natura propria dell’amore è quella di comunicarsi, di diffondersi, di donare e donarsi; perché il fiume, effuso dal Cuore di Dio, tende con tutto il suo peso a riversarsi nei ruscelli di benefici sulle creature di Dio per santificarle a sua immagine. – È dunque vero che è un tutt’uno, sia che si dica dello Spirito Santo che è Amore, sia che lo si chiami Virtù santificante o santità. Inoltre, questi stessi termini sono dati come equivalenti nei monumenti autorizzati della Tradizione. Così l’undicesimo Concilio di Toledo, nella sua magnifica professione di fede, dice dello Spirito Santo che procede sia dal Padre che dal Figlio: « poiché Esso è la carità o santità dell’uno e dell’altro ». S. Agostino, di cui esso seguiva la dottrina e di cui adottò persino le espressioni, aveva già scritto: « Lo Spirito Santo, essendo uno in essenza con  il Padre ed il suo Verbo, può essere considerato o come la loro comune unità, o come la carità o la santità: unità perché è carità: carità perché è santità » (Sant’Agostino, De Trinit., L. VI, c. 4, n. 7). Trovo le stesse idee in un notevole testo di San Basilio. « La via per la conoscenza di Dio va da un solo Spirito attraverso un solo Figlio a un solo Padre ». E, in un ordine inverso, la bontà naturale e la santità essenziale fluiscono dal Padre attraverso l’unico Figlio allo Spirito Santo » (Basilio, de Spir. S., n. 41. P. Gr, t. 32, p. 153.). Lo stesso pensiero è espresso da Gregorio di Nazianzo: « Voi date conto della nostra fede se insegnate che il Padre è veramente Padre … il Figlio veramente Figlio… lo Spirito Santo veramente Santo, perché non c’è nessun altro Santo come Lui, poiché Egli è la santità medesima » (Greg. Nazianzus, Orat. 25, n. 16: P. Gr. 35, p. 1221).  – E S. Cirillo di Alessandria: « Coloro che affermano che lo Spirito è santo per partecipazione e non per natura, ci dicano cosa è in se stesso e nella sua stessa ipostasi. La Scrittura lo chiama solo Santo… Questo, dunque, è l’appellativo che rende ciò che Egli è nella sua essenza: poiché lo si chiama Santo » (Cyrill Aless., Thesaur., P. Gr., vol. 75, p. 596). Vediamo che lo Spirito Santo riceve dal Figlio e dal Padre attraverso il Figlio. E cosa riceve? La natura divina, senza dubbio; ma, in virtù del suo modo di procedere, è come bontà, cioè come carità e santità, che la riceve. – Gli orientali si dilettano nelle metafore; e se le prodigano quando trattano i nostri più alti misteri, non rimproveriamoli. Infatti, oltre al fatto che Dio stesso ci ha dato un tale esempio nelle Sacre Scritture, niente è spesso più adatto a fare nei nostri misteri ciò che è meglio fare per far capire in essi ciò che ci è dato di capire. Ora, sotto quali immagini ci offrono lo Spirito divino? Abbiamo già visto che: è il profumo delizioso che si sprigiona dal balsamo; è l’olio che penetra nel corpo e nel cuore per santificarli; è il buon odore che emana il fiore nel suo mattino, la dolcezza che si gusta nel miele, il calore che si irradia da un focolare. Sono tutti simboli e figure che ci rappresentano lo Spirito di Dio nella sua relazione con il Padre e il suo Figlio unico. (Cfr. Franzel., de Deo trino, thes. 26; Petav, de Trinit., L. VII, c. 12, n. 11; c. 13, n. 21-22; ecc.) Bisognerebbe non aver mai letto i nostri Libri santi per non sapere che con queste metafore essi sono soliti esprimere l’eccellenza dell’amore puro e santo e i suoi frutti che sono le virtù (II Cor., II, 45, Cant. I, 4, 12, ecc.). – Gli stessi Padri non cessano di presentare la santità santificante come un carattere proprio dello Spirito di Dio. Qui il grande S. Basilio afferma che « lo Spirito Santo, poiché è santo per essenza, è la fonte di ogni santità » (S. Basilio, ep. 8, n. 10; ep. 159, n. 2. P. Gr. t. 32, p. 261 e 621), « Che si tratti di Angeli, di Arcangeli o di tutte le potenze celesti, tutti sono santificati dallo Spirito: perché lo Spirito ha la santità per natura e non per grazia; e per questo porta il nome di Santo in modo singolare. Qui, San Cirillo di Alessandria la chiama « la virtù santificante che, procedendo naturalmente dal Padre, dà agli imperfetti, la perfezione » (S. Cirillo Al., Thesaurus P. Gr., vol. 75, p. 597). – Aggiungiamo un’ultima osservazione che serve come risposta a questa domanda: Il nome Spirito Santo è proprio della terza Persona? Si potrebbe dubitarne: perché Dio per natura è spirito; è santo per essenza, e di conseguenza queste due parole « Spirito Santo », non soltanto separate, ma anche unite tra loro, non esprimono nulla che non si adatti alle tre Persone divine. Bisogna confessare che non è se non per questo nome, somma dei nomi di Padre e del Figlio, che rivelano con il suo significato nativo il carattere distintivo dei primi due. Tuttavia, non è senza motivo che la terza Persona l’abbia ricevuto dalla Scrittura e dalla Tradizione come suo nome distintivo. Infatti, dire che è Spirito è designarlo come il soffio o il movimento d’amore che, provenendo dal cuore di Dio, lo muove verso la sovrana bontà. Dire che è Santo significa implicare che questo stesso amore sia essenzialmente santo, poiché la santità perfetta è l’unione attraverso l’amore con la bontà sovranamente amabile. « Ed è da lì che viene la regola della fede cattolica che chiama la terza Persona lo Spirito Santo, quando ci fa dire: Io credo nello Spirito Santo » (S. Thom., Comp. Theol., c. 47).

2. – Essere il Dono del Padre e del Figlio è il terzo carattere che distingue lo Spirito Santo dalle altre due Persone; e non so se non sia anche frequentemente ricordato nelle Scritture e dai Padri più che quella dell’Amore personale e della virtù santa e santificante. All’inizio del secondo secolo, un grande Vescovo la cui nascita illustrò l’Asia e il cui martirio la nostra Gallia, Sant’Ireneo di Lione, scriveva:  « Dio nella sua bontà ci ha fatto un Dono, e questo Dono, è al di sopra di tutti gli altri doni, perché li comprende tutti in sé: è lo Spirito Santo » (S. Ireneo, c. Hæres, L. IV c. 33, n. 8; n. 4; L.III, c. 17, n. 2). Era d’altronde abitudine in quei tempi remoti, quando si enumeravano le Persone della Santa Trinità, designare la terza Persone con la parola Dono, come dal suo nome proprio (Petav., de Trinit., L. VIII c. 3.). – Sant’Agostino, così ben versato nella lettura dei Padri e dei Dottori antichi, testimonia espressamente che, « per i dotti e grandi interpreti delle divine Scritture, il carattere distintivo dello Spirito Santo è di essere il Dono di Dio » (Sant’Agostino, de Fid. et Symbol., n. 19). Egli stesso nelle sue meditazioni sulla Trinità, cercando con umile e rispettosa curiosità ciò che distingua le processioni in Dio; perché l’una essendo generazione, l’altra non ha come termine un Figlio, si arresta a questa soluzione, come la più certa: « Exiit non quomodo natus, sed quomodo datus; et ideo non dicitur Filius. » La sua origine non è una nascita, ma un dono; in altre parole, Esso è per la sua origine un dono; ed è per questo che non lo chiamiamo Figlio.  (S. August. de Trinit., L. V, c. 14). Questa è la dottrina che la Chiesa riassume mirabilmente quando chiama lo Spirito Santo, nei suoi inni, « Il dono dell’Altissimo, Donum Dei altissimi ». Ora, tutta questa dottrina dei Padri e della santa Chiesa, poggia manifestamente sulle Scritture, come Sant’Agostino ha sottolineato in più di un luogo (Id. ibid. L. XV, c. 19). Gli Atti ci dicono che Simone, quel mago di Samaria, quando vide che « lo Spirito Santo veniva dato ai battezzati con l’imposizione delle mani degli Apostoli, offrì loro del denaro. Disse loro: « Datemi questo potere che coloro sui quali impongo le mani ricevano lo Spirito Santo. » Pietro rispose: « Perisca con te il tuo denaro, tu che hai pensato che il dono di Dio potesse essere comprato con denaro » (Atti VIII, 17-21). Il Signore stesso aveva detto ai suoi discepoli: « Riceverete il dono dello Spirito Santo », cioè il Dono che è lo Spirito, poiché è questo Spirito divino che prometteva loro. (Act. II, 38) – Alla donna samaritana, alla quale chiedeva da bere, Gesù Cristo aveva già risposto: « Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è che ti dice: “Dammi da bere”, avresti potuto chiederglielo, ed Egli ti avrebbe dato il dono dell’acqua viva, che diventa in colui che la beve una sorgente che scorre verso la vita eterna (Joan. IV, 10, 14). E quest’acqua, Dono di Dio, non è altro che lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver raccontato come Gesù gridò nel tempio: « Se qualcuno ha sete, venga a me e beva; chi crede in me, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno », l’Evangelista aggiunge subito: « Egli disse questo a causa dello Spirito che avrebbero ricevuto coloro che credevano in lui » (Gv. VII, 37-39). Quest’acqua viva e vivificante è dunque lo Spirito Santo, ed è questo che Gesù chiama il Dono di Dio. Ecco perché San Paolo, parlando dei fedeli, non teme di affermare che tutti « noi siamo abbeverati in uno stesso Spirito » (Cor. XII, 13); oppure, come leggeva Sant’Agostino, « noi tutti abbiamo bevuto dello stesso Spirito ». (S. Agostino, de Trinit., L. XV, c. 19). Questo stesso santo Dottore, avendo riportato questi testi e altri dello stesso genere, conclude in questi termini: « Ci sono molte altre testimonianze nelle Scritture per attestarci di concerto che il Dono di Dio è lo Spirito Santo, in quanto è dato a coloro che amano Dio attraverso di Lui. Tuttavia, sarebbe troppo lungo raccoglierli tutti… Ma, poiché sappiamo che lo Spirito Santo è chiamato Dono di Dio, non turbiamoci quando qualcuno ci parla del dono dello Spirito Santo; ma riconosciamo qui lo stesso tipo di locuzione che fa parlare S. Paolo della spogliazione del corpo. Paolo parla della spogliazione del corpo di carne, in éxpoliatione corporis carnis (Col. II, 11). Il corpo di carne non è altro che la carne; così il Dono dello Spirito Santo è lo stesso Spirito Santo (S. Aug. de Trinit., L. XV, n. 35-37 cum antec.; col. L. V, c. 16, 17). Dunque ,il titolo di dono è in tutta verità singolarmente proprio della terza Persona.

3. – Ma, per quanto solidamente stabilita possa sembrare, questa dottrina offre serie difficoltà che dobbiamo chiarire. Infatti, se la Scrittura ci insegna che lo Spirito Santo è dato a noi da Dio, ci assicura anche che il Padre ci abbia dato il suo unico Figlio, e non vediamo cosa potrebbe impedire al Padre di darsi Egli stesso a tutti. Di conseguenza, la qualità di Dono non è così propria dello Spirito Santo da non appartenere anche alle altre due Persone. Come può allora essere il suo carattere distintivo? Per risolvere questa questione, sono necessarie alcune osservazioni. Il dono, preso nel senso più generale della parola, si dice di tutto ciò che si presti ad essere dato gratuitamente e liberalmente, a qualunque titolo appartenga al donatore, sia per identità che in qualsiasi altro modo. In questo senso, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono anche per loro natura un Dono « Donum Dei ». Perché è così? Perché tutto ciò che caratterizza l’essenza del dono si trova in Dio, qualunque sia la Persona che consideriamo. In effetti Dio, considerato in se stesso, è sovranamente atto ad essere dato: perché il Bene supremo, la fonte di ogni bene, tende per sua natura a comunicarsi; ed è per questo che, senza subire alcun cambiamento o perdita in se stesso, eleva la sua creatura e la porta al più alto grado di perfezione. Non abbiamo visto che il dono creato della grazia ci è dato da Dio come mezzo necessario per possedere e godere il Dono increato?  Inoltre, la donazione che Dio fa di se stesso è sovranamente gratuita e liberale: perché Lui solo riversa la sua generosità, senza che nulla possa obbligarlo a dare, né nell’ordine della natura né nell’ordine della grazia; solo Lui può dare infinitamente. Solo Egli può dare all’infinito, poiché dona se stesso; solo Lui dà senza trarre per sé alcun profitto o utilità dai doni che fa, poiché è tutto il Bene. Perciò si può dire di Dio che Egli solo « è assolutamente liberale, perché non agisce per la propria utilità, ma solo per sua bontà » (S. Thom., 1 p., q. 44, a. 1, ad 1; col. 2. 2, q. 132, a. 1, ad 1).  Sarebbe ozioso cercare di dimostrare che la terza delle condizioni contenute nella nostra definizione sia soddisfatta in Dio, che sia Padre, Figlio o Spirito Santo. Potrebbe non appartenere a se stesso, il cui essere è la sua Essenza, tanto che supporgli qualche dipendenza è distruggere l’idea stessa di Dio? Così, in Dio, la qualità del “dono” è essenziale e quindi comune. – In un senso più stretto, il dono è detto di una cosa liberalmente data, ma distinta dal donatore. Ed è così che solo il Figlio e lo Spirito Santo possono essere dati: il Figlio da suo Padre, lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Se mi chiedete perché il Padre stesso non possa essere il dono increato delle altre Persone, Egli che da un lato è il Bene sovrano, e dall’altro è distinto da loro come loro lo sono da Lui, la risposta è facile: se può essere un donatore, Egli stesso non può essere dato che da se stesso: perché una Persona divina, per essere data, deve in qualche modo appartenere a chi la dona. Ora, solo due modi di appartenenza possono essere concepiti in Dio: uno basato sull’identità della Persona con se stessa, l’altro sulla processione d’origine. Così la santa Scrittura, che ci parla del dono della seconda e della terza Persona (Joan III, 16; XIV, 16), tace costantemente sulla prima. Infine, in un significato ancora più ristretto, il dono può essere preso per quello che, per sua natura, è il primo dono che un donatore fa, quello che precede gli altri in qualità di principio. In questo senso, lo Spirito Santo è singolarmente il Dono di Dio. Questo perché per il suo modo di origine è l’Amore personale, procedendo come Amore dal Padre e dal Figlio, e, di conseguenza, come il primo dei doni, il Dono per eccellenza. Infatti, dice San Tommaso, dal quale ho derivato tutta questa dottrina (S. Thom:, 1p., q. 38, at. 1 e 2), il primo dono non può essere che l’amore: perché il Dono propriamente detto non va senza gratuità. Ora, la gratuità nei doni ha come causa l’amore. Se do gratuitamente, è perché voglio il bene di chi lo riceve; in altre parole, è perché amo. Cos’altro è l’amore se non il dare amore? Quindi, procedere dal Padre e del Figlio come amore, è quindi essere il loro Dono, il Dono infinito, il Dono increato. Ed è in questo senso che Sant’Agostino dice che « per il Dono che è lo Spirito Santo, le membra di Gesù Cristo ricevono i doni propri a ciascuna di esse »  (S. Aug., de Trin., L. XV, 32. 34). Il dono, considerato nel suo senso proprio, si presenta con un doppio rapporto. Un rapporto al donatore, cioè alla Persona che lo possiede e lo fa: e questo rapporto non è altro che il rapporto originario in Dio. In rapporto con il donatario, cioè con la creatura ragionevole che sola è capace di ricevere lo Spirito Santo e di goderne. Come, infatti, possiamo concepire un dono senza pensare a chi può darlo e riceverlo? Tuttavia, non crediamo che, per essere un dono, lo Spirito Santo debba essere attualmente posseduto dalla creatura. Farlo sarebbe negargli questa proprietà personale, poiché, dato solo nel tempo, sarebbe esistito da tutta l’eternità senza essere il Dono di Dio. Perché lo Spirito Santo abbia questo carattere distintivo, è sufficiente che abbia dalla sua processione eterna la capacità e la tendenza ad essere dato, secondo il buon volere di Dio, il Padrone di tutti i doni perfetti. « Perché non è la stessa cosa essere un dono ed essere dato; poiché il dono può esistere prima di essere dato, ma esso non è dato se nessuno lo ha ricevuto. » – Ciò che ho detto sulla doppia relazione che l’idea del dono presenta allo spirito, deve essere inteso anche in relazione alla Santità santificante, questo altro carattere ipostatico dello Spirito divino. Infatti, quando chiamo lo Spirito Santo la santità del Padre e del Figlio, io affermo, non che Egli sia  formalmente ciò che li rende entrambi santi, ma che Egli procede da loro come il soffio, l’irradiazione, l’eterno profumo della loro santità comune; e quando la chiamo santità santificante o virtù santificante, la rappresento come la fonte di ogni santità per le creature, e con questo stesso fatto dichiaro la sua relazione, il suo rapporto con queste stesse creature, considerate come essere  o capaci di diventare giuste e sante attraverso di Lui. Allo stesso modo, affermando dello stesso Spirito che è l’Amore del Padre e del Figlio, l’Amore personale, esprimo di nuovo, almeno in modo confuso, questa doppia relazione. Egli non può meritare questo titolo se non alla sola condizione che sia il frutto della loro comune dilezione. Ora, l’amore con cui Dio ci ama è lo stesso amore con cui il Padre ama il Figlio e il Figlio ama suo Padre. Si può dunque dire in tutta verità che il Padre e il Figlio ci amino come amano se stessi attraverso lo Spirito Santo, perché questi termini, se correttamente intesi, significano una sola cosa, cioè che amando se stessi e noi con lo stesso infinito atto d’amore, producono un termine sostanziale che si riferisce a tutti gli oggetti dell’amore divino: in primo luogo alla Bontà sovrana, e secondariamente al bene delle creature. (S, Thom., 1 p., q. 37, a. 2). Si può aggiungere che senza lo Spirito Santo, l’Amore personale, né il Padre né il suo unico Figlio potrebbero amarci, perché togliere il termine del loro amore reciproco equivarrebbe a distruggere questo amore. È nello stesso senso che i santi Dottori, come ho già osservato, rimproveravano agli ariani di aver tolto al Padre sia l’intelligenza, sia la sapienza in Lui rifiutando un Verbo immanente e consustanziale. Nessuna intelligenza né volontà in atto senza un termine prodotto interiormente che è dove si trova il Verbo o l’amore (Cfr. Petav., de Trinit., L. VI, c. 9: S. Thom, de Potent:, q.10, a. 1; cont. Gent., L. IV, c. 14).  Tutto quello che abbiamo appena scritto sulle caratteristiche personali dello Spirito Santo, si trova in forma breve in un testo di Sant’Agostino. « L’amore che è di Dio e che è Dio, è lo Spirito Santo; questo Spirito per mezzo del quale la carità di Dio è riversata nei nostri cuori, che ci rende  ostie e tempio della Trinità. Ecco perché lo Spirito Santo è anche giustamente chiamato il Dono di Dio. E cos’è questo Dono, se non la Carità che conduce a Dio, e senza la quale nessun altro dono possa condurre a Dio » (S. Agostino, de Trinit., L. XV, n. 32). – Portare a Dio, condurre a Dio, cos’altro è se non la santificazione? Di conseguenza, queste tre caratteristiche dello Spirito Santo, il carattere dell’Amore, il carattere del Dono e il carattere della Santità, sono così essenzialmente unite che ciascuna di esse richiama le altre; o piuttosto, esse formano una sola e medesima proprietà, quella che rende lo Spirito Santo l’Amore personale: poiché questo Amore è la santità sussistente e santificante, e il Dono primordiale su cui si basano tutti i doni e da cui essi procedono. Se, quindi, la concatenazione tra le caratteristiche dello Spirito Santo è così stretta che non si possa affermare o negare l’una senza affermare o negare le altre; benché i Padri dell’Oriente si fossero soffermati di più su questa, e i Padri dell’Occidente sull’altra, non se ne potrebbe concludere nessuna diversità di dottrina: perché, ancora una volta, questi caratteri sono compatibili, e non sono che una stessa proprietà considerata da punti di vista diversi.

4. – Lo Spirito Santo ha ancora un altro nome nei Padri: essi lo chiamano « la pienezza, il complemento della Trinità » (S. Cirillo. Ales. L.-X., in c. XV Joan. P. Gr., L. 74, p. 417; col. Thesaur. Assert. 34. P. Gr., t. 75, p. 607). Egli è il termine supremo della vitalità divina. Poiché se il Padre è nel seno di Dio un Principio senza principio, se il Figlio, nato dal Padre come suo principio, è a sua volta con Lui il principio dello Spirito Santo, lo Spirito Santo non riversa la sua infinita perfezione in nessun’altra Persona. Il torrente della vita divina, che scorre dal Padre come da una sorgente eternamente piena, si ferma nel suo corso a questo Spirito divino. E anche la ragione stessa si rende conto che debba essere così. In uno spirito della massima purezza, qual è il nostro Dio, ogni processione immanente deve essere o per via di conoscenza o per via di amore, e da una parte e dell’altra il termine è essenzialmente uno, perché è essenzialmente infinito. Se si toglie lo Spirito Santo, non si ha l’effusione d’amore che segue naturalmente la contemplazione della bellezza suprema: Dio sarebbe dunque imperfetto. Mettete al contrario una quarta Persona dopo lo Spirito Santo, e questo sarebbe ancora un’alterazione dell’Essere divino, poiché dovreste avere una processione che la natura stessa di uno spirito sovranamente spirituale e sovranamente perfetto respinge. Quindi, lungi dal vedere, in questa apparente sterilità dello Spirito Santo, non so quale inferiorità che lo abbasserebbe al di sotto delle altre due Persone, è suo eterno onore essere così pienamente Dio, così grande, così amabile e così buono che qualsiasi altra Persona, venendo dopo di Lui, rovescerebbe l’intera economia dell’Essenza divina, e offuscherebbe la sua stessa gloria: perché non apparirebbe più come il completo compimento di quella vita per eccellenza, che è la divinità stessa. – Queste considerazioni potrebbero sembrare troppo lunghe, almeno in un’opera in cui il grande mistero della Trinità non sia il tema principale. Spero, tuttavia, che la loro utilità, e persino la loro necessità, sarà compresa quando avremo visto quanto siano importanti per la comprensione del ruolo attribuito dalla Scrittura e dai documenti ecclesiastici allo Spirito Santo nelle opere della grazia e della gloria.